© Mondo della Bibbia, Elledici, n. 74

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Dal tempio
pagano
alla chiesa
cristiana
Di Maria Milvia
Morciano
Atene, il Partenone.
© Foto Zappino
olte chiese sorgono su edifici
più antichi e ne riutilizzano le
strutture. Gli esempi sono tantissimi: ben oltre 1400 casi,
sparsi in tutta Europa, per non
parlare di quelle che ne recuperano solo singoli elementi,
come colonne, architravi, capitelli. Queste architetture più di ogni altre sembrano organismi viventi, cresciuti e sviluppati attraverso il tempo,
tenendo sempre forte un legame con il luogo e le
tracce preesistenti, che non scompaiono ma si
uniscono e si armonizzano, simili a un palinsesto
su cui si possono leggere i segni della storia.
M
Il riuso non riguarda solo templi pagani, ma anche edifici di altra funzione e natura, come terme, case private, impianti produttivi. Un caso
celebre, benché tardo, è la Basilica di Santa Maria degli Angeli, progettata da Michelangelo,
che sfruttò la grande sala del tepidarium delle
Terme di Diocleziano, vicino alla Stazione Termini di Roma.
Maggiormente degni di attenzione, comunque,
rimangono i templi antichi trasformati in chiese,
perché talvolta oltre alle strutture si conserva anche la memoria delle divinità adorate, che continuano a vivere negli attributi dei santi cristiani.
Il tempio più famoso e sacro sull’acropoli di
Atene, il Partenone, realizzato tra il 447 e il 438
a.C., fu ridedicato nel 432 alla Santa Sapienza,
in greco «Aghia Sofia» ovvero il Verbo e quindi
Cristo. La sapienza era la qualifica che connotava la dea Atena, che così non fu dimenticata, ma
assorbita e reinterpretata dal cristianesimo. Nel
662 il tempio fu consacrato alla Vergine, invocata nel tempio come «Panaghia Ateniotissa», la
Tutta santa di Atene, dove Panaghia identifica la
Madonna. Il culto alla Vergine Maria venne a
rimpiazzare quello alla vergine dea pagana.
Il riuso preservò da distruzione certa numerosi
templi o edifici antichi che, in stato di abbandono, sarebbero stati esposti a continue spoliazioni e distruzioni.
Il Pantheon di Roma deve il suo nome al significato di «tempio dedicato a tutti gli dei». La sua
costruzione fu iniziata nel 27 a.C. dal console
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Marco Agrippa, fu poi restaurato e completato
nel 118 d.C. dall’imperatore Adriano, dopo i
danni subiti dagli incendi dell’80 e del 110 d.C.
Nel 608 l’imperatore Foca donò il tempio a papa Bonifacio IV che lo consacrò al culto cristiano nel nome di Sancta Maria ad Martyres. Le
grandi tegole che coprivano originariamente il
tetto e le travi che lo sorreggevano erano in
bronzo dorato, come pure di bronzo era il grandioso portone, che è rimasto, mentre le tegole
furono portate via dall’imperatore Costante II
nel VII secolo e le travi da papa Urbano VIII
Barberini, che le adoperò per fare il baldacchino
di San Pietro e alcuni cannoni di Castel
Sant’Angelo. Questo scempio fece commentare
a Pasquino, che era la voce del popolo: «Quello
che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini».
Il Pantheon è comunque il monumento romano
passato con i minori danni attraverso i secoli,
tanto che oggi lo possiamo ammirare quasi nello stesso aspetto che aveva nell’antichità. La sua
trasformazione in chiesa cristiana lo ha preservato pressoché intatto.
L’affermazione della religione cristiana su quella
pagana avvenne in modo complesso e non sempre
senza traumi: rappresentò un momento decisivo
con una trasformazione radicale della società antica, materializzata proprio in queste metamorfosi architettoniche. Ma in che modo avvennero
queste trasformazioni? Quale fu il processo che le
accompagnò e quale il suo valore simbolico?
Già i Padri della Chiesa, come Giustino e Tertulliano, consideravano la religione pagana opera diabolica e i suoi dèi demoni travestiti in varie forme per indurre gli uomini al peccato che,
nascosti nelle statue di culto, si nutrivano del fumo e del sangue delle offerte e delle vittime immolate. Per questo motivo, i martiri si rifiutarono di sacrificare e l’imperatore Costantino, dal
315-16, vietò i sacrifici con fuoco e fumo.
I luoghi di culto della vecchia religione erano
quindi considerati infestati dal demonio. Fu affermata la necessità di purificarli costruendo al
loro posto un edificio cristiano. Addirittura Eusebio scrisse della necessità di distruggere radi-
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calmente i templi pagani, ma si tratta di una sua
personale opinione, peraltro condivisa solo da
alcuni gruppi più intransigenti. In realtà il processo fu più vario e complesso.
A lungo resistettero i seguaci della vecchia religione, specie nelle classi dirigenti, e per questo
motivo ci fu la necessità di mediare con loro per
non giungere ad attriti troppo profondi. Mentre
in Oriente il processo fu più radicale e distruttivo, la parte occidentale dell’Impero fu caratterizzata da maggiore cautela. Nel 408 si stabilì
che tutti i templi pagani fossero destinati ad usi
civici ed entrarono nel demanio imperiale. La
demolizione dei luoghi di culto interessò soltanto quelli che sorgevano su terreni dati in affitto a
privati. Conseguenza di questo provvedimento
fu l’abbandono al degrado degli antichi edifici.
Nel 458 fu stabilito che gli ornamenti degli edifici in rovina fossero riutilizzati per nuove costruzioni. Era quindi possibile ottenere la concessione imperiale di prelevare materiale dalla
proprietà demaniale. Cosa che peraltro è già testimoniata circa vent’anni prima dai colonnati
antichi riutilizzati per la basilica di San Paolo
fuori le mura a Roma.
I resti della Roma pagana rappresentavano anche
il simbolo del suo antico splendore, della sua potenza perduta. Cassiodoro, ad esempio, ne parla
con orgoglio e nostalgia, benché questi segni di
antica gloria fossero ormai invasi dalle ortiche.
Rimaneva nell’animo dei Romani una qualche
convinzione superstiziosa che causa della perdita del potere fosse proprio l’abbandono di quelle antiche pratiche rituali, ritenute strettamente
collegate alla fortuna di Roma.
Questo convincimento è raccontato da Procopio,
quando di notte, durante l’assedio di Roma del
537, alcuni cercarono di aprire le porte di Giano,
come si usava in tempo di guerra. Le porte non
si aprirono, bloccate dalla ruggine, sottolineando malinconicamente la fine di un’era.
Tuttavia, sarebbe parziale definire la trasformazione dei templi pagani in chiese per il culto cristiano come un processo voluto e determinato
da una sola matrice ideologica. Le fonti agiografiche insistono sui temi della sconfitta degli
idoli, sulla potenza della croce, sull’esaugurazione, cioè il rito contrario all’inaugurazione,
che aveva segnato il momento della fondazione
del tempio pagano, ma come sempre succede nei
grandi mutamenti storici, la realtà dovette essere senz’altro più sfumata. Probabilmente il significato delle fonti va recepito piuttosto nella
volontà di evidenziare la polemica con il paganesimo, l’esaltazione della potenza insita nel
credo cristiano, del suo portato assolutamente
rivoluzionario e della sua vittoria sull’idolatria.
È necessario prevedere anche motivi d’ordine
pratico: il riutilizzo di strutture già esistenti offriva indiscutibili vantaggi economici perché
Roma, L’isola Tiberina
in un’incisione di
Piranesi (particolare). Le
caratteristiche
costruzioni del tempio
d’Esculapio, a forma di
prua di nave.
Roma, Il Pantheon in
un’incisione di Piranesi.
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Discussioni sulla divinità di Cristo
riadattare costava economicamente meno della
costruzione di una chiesa fin dalle fondamenta.
I risultati delle ricerche archeologiche dimostrano infatti minor tensione e un processo più equilibrato e graduale, che portò a sfruttare le strutture antiche per ragioni utilitaristiche. È evidente una distinzione ben chiara tra l’involucro architettonico e la sua funzione di tempio pagano,
che poteva essere cancellata mediante riti di vero e proprio esorcismo. Ad esempio, nella vita
del vescovo Gregorio di Agrigento, si raccontano le modalità della trasformazione del tempio
della Concordia in chiesa cristiana, sul finire del
VI secolo: furono scacciati i demoni che ancora
si annidavano nel luogo, piantato il segno della
croce, l’edificio restituito alla sua «bellissima
forma» e quindi dedicato ai santi Pietro e Paolo.
Gregorio di Agrigento seguì le stesse istruzioni
che a quell’epoca papa Gregorio Magno aveva
dato all’arcivescovo Mellito, quando si recò in
Inghilterra per una missione evangelizzatrice.
La distruzione degli idoli all’interno di un tempio lasciato intatto cancella il passato solo parzialmente, evitando traumi e frizioni con le popolazioni da poco evangelizzate. Sarebbe stato
più facile, infatti, per i nuovi convertiti al cristianesimo riconoscere e abbracciare la fede cristiana all’interno di un luogo familiare.
Il risultato è una continuità armoniosa. L’aspetto
esteriore degli edifici subì cambiamenti evidenti
ma non distruttivi: il riadattamento dei templi pagani in cristiani avvenne seguendo semplici accorgimenti, come la chiusura dei colonnati esterni e l’inserimento degli arredi funzionali alla liturgia. La scansione delle navate è impressa dalla preesistente cella del dio, che divide l’edificio
longitudinalmente in tre parti. Lo spazio si specializza e si evolve verso forme diverse in modo
graduale, a partire dall’aggiunta dell’abside.
Un esempio particolarmente evidente di questo
rispetto, per di più privo di componenti demoniache, riguarda le strutture del tempio di Esculapio sull’isola Tiberina, trasformato da Ottone
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III, nel 998, nella chiesa dei santi Adalberto e
Paolino, poi di Bartolomeo. La caratteristica forma delle costruzioni dell’edificio più antico, a
forma di poppa di nave, non fu cancellata, conservando memoria del mito che aveva accompagnato la nascita del famoso culto salutare, importato a Roma da Epidauro, città dell’attuale
Turchia, tra il 292 e il 291 a.C., in concomitanza di una grave epidemia. La continuità tra Roma pagana e Roma cristiana si nota in modo particolare nella vera da pozzo sistemata all’interno
della chiesa, che segna l’antica fonte sacra, elemento che contraddistingueva ogni tempio di
Esculapio per le virtù curative dell’acqua.
Quindi la chiesa di San Bartolomeo ereditò ed
assorbì le stesse funzioni terapeutiche del luogo
pagano, così che il dio greco fu sostituito dal
Christus Medicus. Sull’isola fu fondato il convento dei frati ospedalieri di S. Giovanni di Dio,
si insediò la Confraternita dei Sacconi Rossi e,
infine, l’attuale Ospedale Fatebenefratelli. ■
Agrigento, Tempio
della Concordia.
© foto G. Pera
Fazio degli Uberti,
Dittamondo, XV
secolo. Venezia,
Biblioteca Nazionale
Marciana, Marc. Ital. Cl.
IX, 40, f. 18r. In accordo
ai versi di Fazio, la
miniatura raffigura
Roma come una donna
vestita a lutto, che
piange la grandezza
ormai passata
dell’antica città, ben
identificabile
dall’Obelisco Vaticano,
adiacente alla Basilica
di S. Pietro.
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