Burr V., La persona in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 2004, pp.184. Recensione di Manuela Repetto – 30 ottobre 2006 Abstract La psicologa Vivien Burr affronta in quest’opera un argomento spesso trascurato dalla psicologia sociale, elaborando una nuova concezione di persona in chiave psicosociale che la affranca dalle rappresentazioni individualiste tipiche delle società occidentali. The psychologist Vivien Burr tackles in this work a topic which has been often neglected by Social Psychology developing a new concept of the person under the psyco-social perspective that redeems it from individualistic conceptions typical of occidental societies. Recensione La psicologia sociale tradizionale assume che la persona possieda una propria natura innata soggetta alle influenze dell’ambiente sociale. Quest’opera, basandosi sulle teorie della micro-sociologia e sugli orientamenti attuali della psicologia sociale europea, mette in discussione questo assunto e riformula una concezione della persona più connotata in senso sociale. Il percorso di ricerca intrapreso dall’autrice muove dalla constatazione che chiunque si accinga a studiare la psicologia sociale può acquisire una certa familiarità con il suo oggetto, senza però riuscire a collocare la persona in un quadro più generale. A partire da un’accurata indagine critica delle teorie della psicologia sociale di cui, oltre a cogliere i punti di forza e le debolezze, valuta in che misura ciascuna di esse consideri la persona nell’accezione sociale, l’autrice dimostra come la persona venga solitamente concepita, secondo un approccio diffuso nelle società occidentali industriali, in una chiave prettamente individualista. Sulla formazione del concetto moderno di individuo l’autrice riconosce l’influenza del dualismo cartesiano, basato sul principio della separazione tra l’ordine soggettivo e quello oggettivo, che ha ridotto la persona ad un fenomeno mentale e soggettivo senza però fornire una spiegazione accettabile della relazione reciproca tra mente e corpo, tuttora irrisolta. Nella concezione attuale la persona è infatti un soggetto capace di libero pensiero e dotato di valori e credenze unici, ma è un individuo contenuto nel proprio spazio psicologico e separato dalla realtà materiale e dagli altri individui [p.15]. L’individualismo non nega l’influenza della società sul soggetto, tuttavia questo viene considerato preesistente e in una certa misura anche indipendente dalla società. L’autrice traccia un quadro sulla psicologia sociale che individua due approcci principali: la psicologia britannica e americana, portatrice di una concezione individualista ed empirista, e la psicologia europea, più orientata in senso sociologico. Burr ritiene che la diramazione della psicologia sociale in questi due indirizzi risalga alla diatriba tra Mead, interessata alla relazione tra mente e società, e il comportamentista Watson, avverso a qualsiasi riferimento a mente e coscienza. Mead ha impresso un forte sviluppo all’orientamento sociologico elaborando la 1 teoria dell’interazionismo simbolico, con cui sancisce l’interdipendenza fra individuo e società. Il soggetto non preesiste alla società, ma emerge da essa in quanto capace di assumere il ruolo altrui in un processo in cui si diventa consapevoli di se stessi. In Europa, Tajfel e Moscovici rimettono in discussione la psicologia sociale statunitense promuovendo il radicamento sociale dell’individuo. L’emergere dell’indirizzo critico, del costruzionismo sociale e della psicologia sociale rappresentano un ulteriore passo verso la concezione sociale della persona. Burr elabora questa nuova visione della persona reinterpretando i risultati di ricerche sperimentali classiche. In primo luogo l’autrice intende dimostrare come il comportamento sia dipendente non tanto dagli atteggiamenti, visti come proprietà mentali stabili che testimoniano l’attaccamento al modello della persona intesa come singolo, quanto dal contesto sociale, dalla cultura, dalla specifica interazione. Il significato di persona non può essere colto pienamente se non si comprende come è socialmente radicata. Non sono tanto i gruppi a condizionare il corso delle azioni dei singoli, ma è la situazione, alla cui costruzione partecipano collettivamente gli individui, che dà senso alle condotte dei soggetti coinvolti. I gruppi piuttosto contribuiscono, in accordo con quanto sostenuto da Tajfel, alla costruzione dell’identità di chi entra a farne parte, facendo sì che ogni individuo sia una copia in piccola scala della società cui appartiene. Riprendendo il classico esperimento di Zimbardo sulla prigione di Stanford, Burr dimostra poi l’importanza dei ruoli nel modellamento della condotta personale: l’uomo della strada può essere indotto a mettere in atto determinati comportamenti se posto in situazioni in cui viene legittimato a farlo. Tramite la valutazione dei processi di assunzione di ruolo l’interazionismo simbolico promuove un concetto di persona intesa come entità socialmente prodotta e negoziata che contrasta con le visioni deterministiche e dualistiche della persona. Il ruolo non si riferisce a uno status o ad una posizione sociale prefissata, ma descrive la situazione sociale del singolo in relazione a quella degli altri in un dato momento. L’interazione è un processo di negoziazione sociale, di valutazione continua del concetto che ognuno possiede del ruolo dell’altro che ha come effetto la definizione condivisa della situazione e lo stabilizzarsi o il cambiamento dei ruoli in essa implicati. Il sé allora non è più una proprietà privata dell’individuo, ma una costruzione fragile e fluida negoziata attraverso l’interazione sociale [p.77] e non ha più senso distinguere il sé dal ruolo impersonato. Il sé secondo Cooley è un sé rispecchiato, nel senso che i comportamenti e i pensieri non provengono semplicemente da se stessi, ma sono sempre attuati o pensati in riferimento ad altre persone. Mead oltrepassa il concetto di sé rispecchiato con la teoria del processo riflessivo, secondo la quale non ci si limita a guardare a se stessi con gli occhi degli altri, ma assumendo la prospettiva dell’ “altro generalizzato” si vedono anche le interazioni fra le persone da una prospettiva generale. Anche il concetto di etichettamento e quello di profezia che si autoadempie avvalorano la tesi dell’origine sociale dell’identità e del senso di sé. Si richiamano in parte all’interazionismo simbolico le posizioni teoriche europee, come quella di Moscovici sulla funzione delle rappresentazioni sociali, definite come quegli assunti che permettono ai membri della società di comunicare fra loro e di comprendere le esperienze. Questi assunti vengono creati e riformulati quotidianamente dagli individui nel corso delle interazioni, ma al contempo modellano le loro percezioni sul mondo. Anche la psicologia discorsiva assume una posizione anticognitiva riconoscendo l’importanza dell’interazione e attribuendo al significato una natura contestuale. Essa si distingue dalla psicologia nordamericana tradizionale reputando irrilevanti le condizioni interne della persona come le credenze, gli atteggiamenti, le emozioni o le motivazioni e dedicandosi invece allo studio delle applicazioni di utilizzo del linguaggio in contesti reali. A differenza della teoria delle rappresentazioni sociali, la psicologia discorsiva ha come limite principale quello di non considerare la relazione fra il sociale e lo psicologico, in 2 quanto non affronta la questione della natura psicologica della persona e di conseguenza non affranca la psicologia sociale dalla visione tradizionale di disciplina basata sullo studio delle influenze della società sull’individuo. Secondo l’autrice solo i sostenitori dell’interazionismo simbolico e della teoria delle rappresentazioni sociali si pongono invece il problema di ridefinire l’individuo in termini sociali. Il costruzionismo sociale condivide alcune prospettive teoriche con la psicologia discorsiva per l’enfasi sulla natura costruita della verità e sull’origine sociale di ogni costruzione. Il mondo, secondo questa corrente, è qualcosa di costruito dai discorsi che avvengono in un dato momento e in un dato luogo; i modi in cui questi discorsi costruiscono l’esperienza possono essere analizzati decostruendo i testi dei discorsi stessi. Secondo questo approccio, non avrebbe alcun senso distinguere il mondo reale dalla costruzione della realtà, in quanto non sarebbe possibile fare a meno del sistema linguistico e vedere la realtà allo stato puro. Le versioni più estremiste del costruzionismo considerano la persona come il prodotto inconsapevole delle elaborazioni discorsive; quelle meno radicali riconoscono ad essa un certo margine di manovra e la capacità di reagire criticamente alle costruzioni. L’autrice si oppone quindi alle psicologie nordamericane che analizzano i fenomeni sociali in termini di processi mentali e di comportamenti individuali; sostiene invece gli indirizzi di psicologia sociale più recenti originatesi in Europa e le teorie psicosociali di matrice più marcatamente sociologica. L’individualismo più che una caratteristica inscritta nella natura umana, è un risultato storico in quanto si è dimostrato inadeguato a comprendere culture come quelle orientali, in cui l’individuo è inteso in un senso collettivo essendo definito dal suo ruolo e dalle sue relazioni sociali, piuttosto che dalle sue caratteristiche soggettive. L’accurata indagine condotta in quest’opera sulla natura della relazione fra sociale e psicologico porta il lettore a chiedersi fino a che punto si possa effettuare una distinzione fra queste due dimensioni, ovvero in che misura la persona preesista al sociale o è da esso prodotta. Le forme dominanti di psicologia sociale contrappongono l’individuo alla società, assumendo che l’individuo preesista ad essa. La dicotomia tra questi due elementi si ricollega anche al dibattito tra libertà e determinismo, che in psicologia sociale si esprime nel cercare di scoprire in che misura il comportamento sia l’esito di forze sociali, dando impulso alle ricerche sui gruppi, sulle folle e sul conformismo. Considerando invece individuo e società in relazione dialettica la persona può essere vista come libera e allo stesso tempo vincolata dalla società. Un‘indagine più feconda e completa sulla dimensione relazionale richiederebbe un approfondimento che vada oltre i confini della psicologia e della sociologia e che valuti l’apporto di alcune correnti filosofiche quali l’antropologia dialogica, il personalismo, la fenomenologia o l’ermeneutica. Indice Premessa I. Individuo e società in psicologia sociale. II. Le origini sociali del comportamento. III. Assunzione di ruolo. IV. I gruppi e il Sé sociale. V. Rappresentazioni e linguaggio. VI. La persona in psicologia sociale. Glossario. Riferimenti bibliografici. Indice analitico. 3 Indice dei nomi. Autore Vivien Burr è professore di Psicologia Sociale presso l’Università di Huddersfield, in Inghilterra, dove è membro del Centre for Constructions and Identities. Svolge attività di ricerca nel campo della psicologia sociale, delle differenze di genere e dei media. Bibliografia essenziale dell’autore Burr, V, (1999) Realism, relativism, social constructionism and discourse, in I. Parker (ed) Social Constructionism, Discourse and Realism, London: Sage. Burr, V. and Butt, T.W. (1999) Psychological distress and postmodern thought in D. Fee (ed) Pathology and the Postmodern: Mental Illness as Discourse and Experience, London; Sage. Reprinted in Bates, Y. and House, R. (eds) (2003) Ethically Challenged Professions: Enabling innovation and diversity in psychotherapy and counselling. Ross-on-Wye: PCCS Books. Burr, V. (1999) The extra-discursive in social constructionism, in D. Nightingale and J. Cromby (eds) Social Constructionist Psychology, Buckingham: OUP. Burr, V. (2002) The Person in Social Psychology. London: Psychology Press. Burr, V. (2002) Judging gender from samples of adult handwriting: accuracy and use of cues. Journal of Social Psychology, 142(6), 691-700. Burr, V. (2003) Ambiguity and sexuality in Buffy the Vampire Slayer: A Sartrean analysis. Sexualities 6 (3). Burr, V. (2003) Social Constructionism (second edition). London: Psychology Press. Burr, V. (2003) “It all seems so real”: Intertextuality in the Buffyverse. Refractory: a Journal of Entertainment Media, March, vol.2, 2003. [http://www.refractory.unimelb.edu.au/journalissues/vol2/vivienburr.html] Burr, V. (2003) Buffy vs. the BBC: Moral questions and how to avoid them. Slayage: The Online International Journal of Buffy Studies. No 8, April. [http://www.slayage.tv/] Burr, V. (2003) Constructivism. In Encyclopedia of Social Science Research Methods. London: Sage. (December) Butt, T.W.and Burr, V. (2004) Invitation to Personal Construct Psychology (second edition). London: Whurr Publishers. Originally published as Burr and Butt. Jarvis, C. and Burr, V. (2005) Friends are the family we choose for ourselves: Young people and families in the TV series Buffy the Vampire Slayer. Young: Nordic Journal of Youth Research 13 (3), 269-283 Burr, V. (2005) Scholar/'shippers and Spikeaholics: Academic and fan identities at the Slayage conference on Buffy the Vampire Slayer. European Journal of Cultural Studies 8 (3), 375-383. Links http://www.hud.ac.uk/hhs/dbs/cci/ [Sito del Centre for Constructions and Identity dell’Università di Huddersfield] http://www.socialpsychology.org/ [Social Psychology Network, un database con innumerevoli risorse relative alla psicologia sociale] 4