la “grande cometa” del 2007

“GRANDE
COMETA” DEL 2007
LA
di Piergiorgio Cusinato
Straordinaria cometa,
quella apparsa improvvisamente nei
cieli di inizio gennaio al tramonto. Il
suo nome è “McNaught”, lo scopritore
australiano che l’ha individuata per la
prima volta nell’agosto 2006. Si tratta
della cometa più luminosa degli ultimi
40 anni, ancora più della Hale Bopp,
anche se quest’ultima poteva apparire più spettacolare in quanto la sua
osservazione avveniva nelle ore notturne. Lo splendore di questa cometa è
aumentato repentinamente dai primi
di gennaio, quando l’astro chiomato ha
iniziato ad avvicinarsi al Sole. Ben presto la cometa McNaught ha superato
anche la luminosità di Giove, divenendo il 12 gennaio splendente quanto Venere, osservabile anch’essa al tramonto a poca distanza dalla cometa. Tra l’8
e il 12 gennaio la cometa presentava
una coda di polveri molto evidente di
3-4 gradi di lunghezza, perfettamente
visibile già dopo 15 minuti dal tramonto del Sole. Il giorno 13 gennaio
la cometa McNaught è stata avvistata
ad occhio nudo addirittura con il Sole
sopra l’orizzonte; evento rarissimo,
capitato solamente altre 2 volte nel
secolo passato: nel 1910 con la Cometa
Daylight e nel 1965 con la Ikeya Seki.
Quel giorno lo splendore della McNaught ha raggiunto un valore stimato
pari alla magnitudine -6,0, cinque
volte superiore a quello di Venere,
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divenendo così per alcune ore il terzo
oggetto più luminoso del cielo, dopo il
Sole (m.v. -26,7) e la Luna Piena (m.v.
-12,7). Purtroppo però da quel giorno
la cometa si è “tuffata” nei cieli australi, divenendo inosservabile alle nostre
latitudini, anche se non mancano comunque segnalazioni di avvistamenti
diurni i giorni 14 e 15 gennaio. Dal 12
al 16 gennaio la McNaught è entrata
nel campo di vista della sonda SOHO,
che da anni ormai segue quotidiana-
mente l’attività del Sole. La luminosità
della chioma e della coda della cometa
era talmente elevata da saturare il
sensore CCD della sonda. Anche la
sonda STEREO ha ripreso il passaggio
ravvicinato della McNaught al Sole, rivelando agli occhi increduli degli astonomi lo sviluppo dell’incredibile coda
di polveri. Il perielio è stato raggiunto
il 12 gennaio ad una distanza di 0,17
U.A. dal Sole, pari a circa 25 milioni di
chilometri, all’interno quindi dell’orbi-
In alto: la McNaught l’8
gennaio sullo sfondo del
Gran Vernel.
A destra; la cometa sta
tramontando dietro la
Marmolada (foto AAC).
“grandecometa”
cometa” del
del 2007
2007
lala“grande
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A sinistra: 12
gennaio, poco dopo
il tramonto del
Sole la cometa è già
visibile.
Sotto e seguenti,
alcuni momenti del
viaggio in Sudafrica.
(foto AAC)
In alto: 13 gennaio, la
cometa visibile in pieno
giorno (foto AAC).
A destra: 10 gennaio, la
McNaught dal Lagazuoi
(foto AAC).
ta di Mercurio. L’orbita, iperbolica, ci dice
che la cometa proviene dagli spazi interstellari e non fa quindi parte del “regno”
del Sole, nei pressi del quale non ritornerà
mai più. Il fatto che fosse una cometa
“vergine” ha fatto subito ritenere che il
nucleo si potesse spezzare, non resistendo allo shock del passaggio ravvicinato
alla nostra stella. Così invece non è stato
e la McNaught ha mostrato una straordinaria attività emissiva di polveri. Le immagini riprese dall’emisfero australe nei
giorni successivi al perielio mostravano
infatti la maestosità della coda, formata
da decine di striature create dalle emissioni di polveri avvenute nelle settimane
precedenti e ora perfettamente visibili ai
privilegiati osservatori del sud del mondo. La luminosità della chioma, in rapido
calo, era comunque ancora elevatissima,
tanto che il giorno 20 gennaio essa era
ancora pari a quella di Sirio, la stella più
luminosa del cielo. La coda di polveri,
molto arcuata e striata, si estendeva per
oltre 30 gradi quasi parallela all’orizzonte; molti osservatori dell’emisfero boreale,
nonostante la cometa si trovasse ben al
di sotto dell’orizzonte, hanno osservato
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e fotografato le sue striature più estreme.
Allontanandosi rapidamente dal Sole
e dalla Terra, la McNaught è rimasta
comunque perfettamente visibile ad
occhio nudo ancora fino a fine febbraio,
con una coda di polveri di oltre 10 gradi.
La lunghezza reale delle polveri rilasciate
nello spazio dalla McNaught ha superato
i 150 milioni di chilometri, vale a dire la
distanza che separa la Terra dal Sole.
Due soci della nostra Associazione, i
giorni 20 e 21 gennaio, si sono recati a
Cape Town, in Sud Africa, per assistere
allo straordinario spettacolo offerto dalla
McNaught. Testimonianza di quest’esperienza è raccontata direttamente dalla
penna di Piergiorgio Cusinato, uno dei
due protagonisti, assieme ad Alfonso Pocchiesa, della straordinaria avventura in
terra d’A frica all’inseguimento della più
bella cometa degli ultimi 100 anni.
INSEGUENDO LA COMETA...
Chiedo scusa a tutti coloro che ho convinto che le comete non possono essere
portatrici di sciagure. Ho cambiato totalmente idea, ho sperimentato di persona
quanto nefaste esse siano.
NASCE LA “FOLLE” IDEA
Ma andiamo per ordine. La cometa,
inaspettata, si presenta nei nostri cieli
diretta verso il Sole. Tutti i soci dell’A ssociazione Astronomica Cortina vengono
allertati, ed eccoci, ogni sera, appostati
nei punti accessibili più alti, come il Passo
Giau ed il Lagazuoi, poiché la cometa si
presenta molto bassa verso Ovest, per
ammirare e fotografare questo inaspettato astro. Commenti entusiastici: assomiglia alla West con le sue tre code, no, ha
la coda simile a quella della Hyakutake,
è più brillante della Hale-Bopp. Il trascinatore di sempre, Alessandro Dimai,
riesce persino a far salire a piedi verso
gli alti monti innevati lo stesso Marco
Migliardi, generalmente poco propenso
ai grandi sforzi. Giuseppe Menardi invece
le foto alla cometa le scatta, ovviamente,
in cima a una impervia vetta, altrimenti
non sarebbe più lui. In tutti noi l’entusiasmo sale giorno dopo giorno e quando
la cometa, dopo aver virato attorno al
Sole, svanisce ai nostri occhi, portandosi
nei cieli australi, ecco subito il grande
desiderio di recarci in Sudafrica, avendo
calcolato che la cometa, dopo il perie-
lio, verrà surriscaldata dal Sole, il che
allungherà enormemente la sua coda di
polveri. Certamente a Sud si presenterà
molto più spettacolare di come l’avevamo vista nei nostri cieli. All’appello per
partire si fanno avanti Marco Migliardi,
la famiglia Dimai, l’amica delle eclissi
Lucia Favaretto, Alfonso Pocchiesa ed il
sottoscritto. Partiti tutti quel venerdì 19
gennaio? Macché. Marco si ammala, la
cometa non c’entra affatto, non è colpa
sua, ridicolo pensarlo. Lucia all’ultimo
istante non ce la fa per il troppo stress
del suo intenso lavoro. E se fosse proprio
la cometa che mette i paletti al viaggio?
Non facciamo ridere. Sempre avanti.
Sebbene rimasti solo in sei, giungiamo
in auto fino a Monaco di Baviera dove
al “check-in” ecco la sorpresa: la figlia di
Alessandro, Elisa, il governo del Sudafrica non la vuole perché inserita nel passaporto paterno e, per quella nazione,
pur trattandosi di una minorenne, ciò
non è ammesso: ci vuole un passaporto
individuale. Grande shock. A questo
punto mi sorge il sospetto che la cometa
McNaught abbia effettivamente delle
facoltà malefiche.
ED INFINE IL SUDAFRICA...
Di otto in programma, solo due salgono
sul volo per Cape Town: Alfonso e lo
scrivente. La famiglia Dimai è costretta
a soggiornare a Londra in attesa del
ritorno degli unici due scampati all’ira
della cometa. Avanti, miei prodi! ci scrive
Marco via sms. Saliti noi due sull’aereo
per Città del Capo, chiediamo di sederci
a sinistra per ammirare la cometa in volo
nel primo mattino. Un guasto elettronico ci lascia incollati alle sedie, fermi a
Londra, per ben tre ore. Ma la cometa
non c’entra proprio, ma no, le comete non
influiscono sull’elettronica, ma cosa dici!
Fatto sta che questo ritardo ci toglie la
possibilità quella notte di ammirare la
cometa dall’aereo. Dopo quattordici ore,
ecco Città del Capo che si presenta serena
e soleggiata sotto le nostre ali, pardon,
sotto quelle dell’aereo, ovviamente. Noleggiati auto e navigatore, breve sosta in
albergo e subito puntiamo su Cape Point,
luogo dove avviene l’incontro dei due
oceani. E’ questo un parco naturale, una
zona senza case e senza luce artificiale,
l’ideale per ammirare un cielo terso e godere della massima oscurità. Il tragitto è
stato lungo, la strada tortuosa, oltretutto
attenti a rimanere con l’auto sempre a
sinistra, all’inglese, e non a destra come
l’istinto vorrebbe. E talmente attenti
a questo uso anglosassone da sfiorare
ripetutamente, beccandolo varie volte,
il cordolo laterale. Giusto in tempo per
raggiungere i cancelli del Parco prima
delle 17.00, ora di chiusura. “Mi raccomando”, ci dice il guardiano, “alle 20.00
uscire.” Che soddisfazione avercela fatta
ad entrare, chi mai pensava al ritorno,
la mente concentrata solo sulla cometa,
parole inutili quelle del guardiano! Eravamo determinati a sfruttare l’oscurità
all’interno del Parco, pronti a rischiare
una multa salata pur di raggiungere lo
scopo. E il pranzo? E la cena? Qualcuno
avrebbe dovuto spiegarci cos’è il cibo.
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A destra: la cometa
McNaught, Luna e Venere
al tramonto da Cape Town
(foto Fabrizio Meandri).
Ma se stiamo parlando della cometa, il
resto non ci interessa. Saliti in cima a
Cape Point con una cremagliera (ultima
corsa, naturalmente...) constatammo che,
purtroppo, il vento che prima ci aveva
deliziato la vista del mare mosso e spumeggiante, lì in alto era fortissimo, con
raffiche che mettevano a rischio il nostro
equilibrio. Dopo aver girovagato per
mezz’ora alla ricerca di un luogo adatto
per piazzare i nostri treppiedi, ci sistemammo infine abbastanza al riparo dalle
terribili raffiche che arrivavano a colpi,
come uscissero dalla bocca di un drago.
Tanta corsa per vedere l’incontro dei due
oceani? Ma no, neppure uno sguardo, tale
era la nostra concentrazione sulla messa
a punto degli strumenti. Discuti, calcola
dove si vedrà la cometa, un ragionamento
basato su quanto visto a Cortina, una
cometa abbastanza vicina al Sole, pensavamo, in base ai giorni trascorsi dopo la
sua scomparsa dai cieli di Cortina. Non
eravamo preparati ad un calcolo esatto,
il capo era Alessandro, lui conosceva la
posizione precisa della cometa quando
fosse riapparsa. Questa carenza di dati ci
è stata fatale. Tramontato il Sole e scandagliato il cielo con il binocolo e nulla
vedendo dopo mezz’ora, ci siamo convinti
che purtroppo la cometa si era ormai nascosta tra l’umidità dell’aria che stagnava
sopra il mare. Si vedeva solo la Luna, una
falce sottilissima, mai vista prima così,
quasi evanescente. Delusi al massimo,
chiusi i cavalletti, rimessi gli strumenti
nei loro contenitori, scendemmo al parcheggio dove ci attendeva la macchina.
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Attraverso i vetri dell’auto, appena saliti,
improvvisamente, dalla sottile falce della
Luna vediamo uscire un diamante, sì,
Venere, non c’erano dubbi! Venere che un
attimo prima era occultata dalla Luna.
“Alfonso! Alfonso prendi gli strumenti”,
gridai. Schizziamo fuori dalla vettura
per fotografare l’inaspettato evento e
cosa vediamo? Una enorme CO-ME-TA!
Ho visto ciò che in vita mia non avevo
mai visto, una combinazione celestiale
come ad occhio umano non è forse mai
apparsa: una cometa dalla lunghissima
coda ricurva e una splendida Venere che
si materializza da dietro una falce di
Luna! Davanti ad uno spettacolo così incredibile, irreale sono rimasto inebetito.
Preparata l’attrezzatura, nel buio, in una
posizione dove il vento soffiava furioso,
non fu facile fotografare, tanto che, prima di applicare la macchina fotografica,
il cavalletto volò via come un fuscello,
danneggiandosi. No, no, la cometa non
è colpevole, ma era necessario ripetercelo; troppe le coincidenze per ritenerla
innocente. Mentre Alfonso cercava di fotografare, io non riuscivo a staccarmi dal
binocolo per ammirare quello spettacolo
eccezionale. Un binocolo preso in prestito
da Marco: il mio, alla vigilia della partenza, dopo 35 anni di onorato servizio, mi
era caduto nella fretta dei preparativi.
Con lo stupore negli occhi ci avviammo,
alla fine delle riprese, verso l’uscita del
Parco Nazionale di Cape Point. Nel buio
ci parve di intravvedere il cancello chiuso.
Ci avevano avvisati, ma eravamo disposti
anche a passare la notte nel parco pur di
fotografare la cometa McNaught. Da una
torretta, dopo un po’, sbucò un custode.
Ci guardò stupito, per lui eravamo dei
marziani, non era concepibile che alle
22.30 ci fosse ancora qualcuno all’interno del Parco. Poi incominciò stizzito a
chiederci come mai non eravamo usciti
alle 20.00. Spiegai le nostre ragioni, la cometa da fotografare. Non capiva, la parola cometa non gli era nota. Cercai di fargli
comprendere che avevamo fotografato il
cielo. Massima indifferenza e maggior arrabbiatura nel non capire perché eravamo
là. Tentai di impietosirlo, di convincerlo a
lasciarci uscire. Ma la risposta fu
agghiacciante: non possedeva le chiavi
del cancello. Silenzio. Io e Alfonso ci
guardammo in faccia, cosa facciamo? Il
custode si allontanò, poi però tornò sui
suoi passi dicendoci che avrebbe chiamato la direzione del Parco e dopo tre quarti
d’ora apparvero i fari di una jeep con
all’interno una guardia. Anche lui ci scrutò meravigliato. Io volevo ricominciare a
giustificarmi, poi mi arresi, non avrebbe
capito lo straordinario evento che ci aveva indotto a fermarci all’interno. Infatti
non abbiamo trovato una sola persona,
fra coloro che abbiamo incrociato, che
sapesse della cometa. Silenzio. Alla fine:
nome, cognome, indirizzo, telefono e
firma, quindi la minaccia che se la cosa si
fosse ripetuta avremmo passato guai seri.
I cancelli del paradiso si aprirono. Con il
nostro navigatore nel buio della notte,
puntammo verso Città del Capo, dove
giungemmo alle due del mattino. Alle
sette sveglia.
ALLA RICERCA DEL CIELO PIU’ BUIO
L’interdizione di tornare a Cape Point
ci costrinse a cercare un nuovo sito di
osservazione per la sera di domenica 21
gennaio. Nulla ci distraeva, eravamo venuti per osservare la cometa McNaught
ed ogni sforzo, ogni pensiero ed ogni
azione era rivolta a raggiungere l’obiettivo: fotografare il raro avvenimento. Nella
ricerca di un luogo adatto attraversammo
stupendi villaggi baciati dall’intenso Sole
e dalle onde furiose del mare. Dove ci fermiamo a pranzo? E dai con questa parolaccia, ma non sai che siamo qui per fotografare la cometa, mica per gozzovigliare!
Sempre avanti. Tante colline parevano
adatte allo scopo, ma non avevano accessi
carrozzabili. Ci colpì il nome di un villaggio Ocean View. Forse da lì sale un sentiero verso le colline. Percorremmo le vie di
questa cittadina abitata esclusivamente
da gente di colore, e quale sorpresa: tutte
le vie erano dedicate all’astronomia; strano leggere: Venus Road, Rigel Street, Sirius Square. Un vero benvenuto. Arrivammo alle ultime case che sovrastavano il
paese e ancora una volta nessuna strada
verso la collina. Chiedemmo informazioni ad un ragazzo e lui, felice di essere stato interpellato, ci dette delle indicazioni
incomprensibili; così lo invitammo a salire in macchina affinché ci portasse verso
la collina. C’era una mulattiera chiusa con
una sbarra. Al ragazzino venne in mente
che suo zio possedeva una chiave di un’altra stradina che portava verso i monti.
Girammo mezzo paese ed eccoci davanti
alla casa dello zio. Il ragazzo entrò, uscì
con una chiave e chiese settanta Rand
solo per consegnarcela. Gli spiegai che
prima avremmo voluto vedere il tipo di
strada e se era percorribile. Ci portò fuori
paese fino a raggiungere effettivamente
una sbarra. Tentò di aprirla, ma ci fece
capire che la sbarra era stata manomessa.
Il desiderio di trovare un luogo adatto e
certo anche la nostra grande ingenuità ci
impedì di capire che il ragazzo voleva solo
soldi e che stava escogitando ogni stratagemma per ottenerli. Gli demmo una
buona mancia, ma non scese dalla macchina, ci chiese di lasciarlo in un negozio
di alimentari per comperare del pollo per
i suoi genitori. Va bene, ma ricordati che
non ti riportiamo a casa. Il primo negozio
non gli andava bene, il secondo nemmeno
e finalmente capimmo, sempre troppo
tardi, che anche questa era una scusa.
Adesso basta, dissi. Eravamo in periferia
di Ocean View. Capì subito che eravamo
determinati e scese dalla macchina. Gli
feci notare che aveva dimenticato la giacca, al che lui si avvicinò per raccattarla
con entrambe le mani. Non potevamo
sospettare che era una mossa ben precisa:
sotto la giacca aveva nascosto il binocolo. Di questo amaramente mi accorsi
quando cercai nel sacco lo strumento per
puntarlo verso la cometa. Il binocolo era
scomparso. Mi sembrava più che giusto
dare la colpa alla cometa, la nostra stupidità risultava così molto attenuata. Vista
la difficoltà di trovare un luogo adatto,
escludendo il Parco Cape Point, dove
eravamo già segnalati come reprobi, puntammo sul Table Mountain che si trova
a Sud della città di Cape Town, all’altezza
di 1.080 metri. Il monte si presenta imponente, con una parete verticale ed un
vasto altopiano. Puntammo sulla funivia
per conoscere gli orari. L’ultima corsa
scendeva alle 22.00. Il conto era semplice:
la cometa appariva nel cielo alle 21.00,
alle 21.40 sprofondava nell’oceano. Un
colpo di fortuna, finalmente un segno
positivo.
L’idea ci entusiasmava e immaginavamo
già la scritta sotto la cometa: foto scattata dal Table Mountain, cima conosciuta
in tutto il mondo. Era fatta! Rilassati,
finalmente alle 16.30 del 21 gennaio,
dopo due giorni, decidemmo di mangiare
qualcosa. Rifocillati, salimmo in funivia
portandoci lontano da luci e rifugio.
Mentre ci incamminavamo sentiamo
suonare una sirena. Un turista si ferma
per chiedermi spiegazioni del perché
della sirena ed io di rimando: The siren?
It’s not important! Evidentemente volevo
Sotto: 20 gennaio: la splendida
cometa McNaught poco dopo il
tramonto (foto AAC).
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sbarazzarmi di lui subito, e diedi l’unica
risposta che mi si presentò alla mente.
Cosa sapevo io della sirena? Una risposta
poco gentile e senza senso, ma il destino
già incombeva . Dopo tre quarti d’ora,
dalle 20.00 alle 20.45, una nuvola velocissima, di una umidità mai sperimentata,
scivolò sopra l’altopiano. Un istante dopo,
fradici e con gli occhiali grondanti acqua,
eravamo totalmente ciechi.
Era come agire sopra una pentola d’acqua
bollente. Non una parola, continuavamo
a trafficare con i due cavalletti. Nessuno
aveva il coraggio neanche solo di pensare
che forse non avremmo visto per niente
la cometa. Alle 20.45 la nuvola, come per
incanto, svanì e tornammo a riveder le
stelle. Attenti ai tempi, attenti all’inquadratura, che la cometa si trovi proprio
presenza con rumorose raffiche. Alfonso
non voleva accettare la cruda realtà.
Scuoteva le porte di vetro, quasi volesse
romperle, forse dalla rabbia, forse con
la speranza di entrare a difenderci dal
vento che si faceva sempre più insistente
e gelido. Poi i nostri animi si placarono,
Alfonso dal biglietto dedusse il numero
telefonico della partenza. Segreteria
telefonica. La fortuna volle che avessi inserito nel cellulare quello dell’hotel. Così
potei parlare. Hallo? Siamo in cima al Table Mountain... Come?! Ma perché ci trattano sempre da marziani? Era inconcepibile per loro che ci trovassimo lassù nella
buia notte. Un attimo, una seconda persona, una terza, incredulità ed imbarazzo. Alla fine qualcuno con calma olimpica
ci informò che non ci restava che passare
Tramonto
sull’oceano dal
Table Mountain
(foto AAC).
sopra gli speroni del Table Mountain,
al momento giusto, per dare maggior
pathos all’immagine. Altro controllo dei
tempi, stupenda la cometa, con quella
sua coda ricurva che sembrava sospinta
dal vento; ai nostri occhi appariva come
un’enorme “piuma” sospesa nel cielo. Proibito entusiasmarsi, però, dovevamo operare come freddi matematici, avevamo un
“Lavoro” da svolgere! Guardo l’orologio,
meno un quarto alle 22.00. Via, prendi i
cavalletti, le macchine fotografiche e giù
verso la funivia.
PRIGIONIERI SUL TABLE MOUNTAIN
Un gran brutto presagio, il rifugio buio,
tutto spento, nessuno. Corriamo alla partenza, silenzio, buio, chiuso. Non un’anima viva. Solo il vento segnalava la sua
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la notte lassù e aspettare l’alba. Ribadii
subito che alle 07.30 partiva l’aereo per
Londra. Si convinse che qualcosa bisognava fare e mi disse di richiamare dopo
un quarto d’ora. Richiamai e mi diede il
cellulare di Steven, con il quale mi misi
subito in contatto. Un vero gentleman
che mi assicurò di interessarsi per farci
scendere, sempre che fossimo abituati a
camminare in montagna e disse di richiamare fra venti minuti. Demmo un’occhiata alle passeggiate in cima all’altopiano.
L’idea era quella di scendere nonostante
il buio, ma verso dove? E se ci perdiamo,
come facciamo a segnalare dove ci troviamo? E se non c’è campo per il cellulare?
Ricevemmo un sms da Alessandro: “Bravi
andate a nanna, ve lo meritate.” A quel
punto lo informai della nostra situazio-
ne. Credo che ci abbia inviato ben cinque
sms con la scritta: non muovetevi, non
muovetevi! L’utilità di non muoverci mi
fu chiara quando, richiamando Steven
e indicandogli il nome del sentiero che
avevamo letto sullo schizzo delle passeggiate, si fece una grande risata, lui che
nel parlare era sempre misurato, gentile,
ripeto, un vero gentleman. Questo mi
convinse che sarebbe stata una pazzia
scendere. Steven mi pregò di pazientare,
nessuna delle guide di montagna rispondeva e di richiamarlo fra un quarto d’ora.
Se non trovava nessuno avrebbe avvisato
l’ “Emergency”. Altro quarto d’ora e niente, nessuna risposta dalle guide e quindi
avrebbe chiamato i soccorsi: pazientate e
richiamatemi. Quando richiamai finalmente mi diede un nome, Alan, e il numero del suo cellulare. Alan sì mi rispose, un
uomo deciso e di poche parole, aveva già
avvisato i suoi compagni e sarebbe andato a prenderli e verso le 2 del mattino
sarebbero giunti in cima.
Alfonso a questo punto cercò un antro
dove ripararsi, io come promesso ad Alan,
mi misi davanti all’entrata della funivia. Ero solo a tu per tu con le stelle e il
vento. Con il vento cercavo di trovare un
accordo, gli parlavo, perché a quel punto,
in quella solitudine ogni cosa era viva.
Mettiamoci d’accordo, se io mi metto in
questa posizione con le gambe rannicchiate, ti accetto, ma tu non cambiare
direzione e intensità, ti prego. Cercai di
dormire, ma certe raffiche improvvise e
fredde mi risvegliavano di colpo. Il cielo
era sopra di me, un cielo australe che ho
sempre desiderato ammirare, dove i pianeti viaggiano sopra la tua testa, costellazioni rovesciate, lo Scorpione con la coda
in su, l’Orione invertito, Rigel in alto,
Betelgeuse in basso, sopra Rigel, Sirio e
sopra Sirio, Canopus e ancora più in su,
quasi allo Zenit, La Croce del Sud. Stelle
che conosco poco, ma che amo da sempre:
Canopus simile alla nostra Vega. L’A lfa
Centauri di una bellezza pari a Sirio.
Avevo l’occasione, disteso, di osservare a
lungo il cielo australe. Il tempo passava e
con il tempo le stelle scorrevano sopra di
me e se ne andavano lasciando spazio ad
altre tutte eccezionali. Erano vive come
me, ero un tutt’uno con loro. Per superare
il freddo decisi di sfruttare le mie conoscenze di Yoga e, dopo le asana, il freddo
svanì e così meditai. Poi tornai a sdrai-
armi sulla pietra gelida. Il cielo era per
me una esaltazione, un sentire profondo
dell’unione tra me le stelle. Notai che il
respiro si faceva sempre più lungo, tanto
che con due respiri passava un minuto.
Mi sentivo come uno yogi che passa la
vita a contemplare. Il grido dei soccorritori mi fece alzare, così da segnalare la mia
presenza, quindi mi portai verso l’antro
di Alfonso, ma lui non c ‘era. Forse l’unico
momento di paura fu proprio questo, uno
strapiombo di mille metri era a pochi
passi. Fu lui a chiamarmi, aveva cambiato
antro, era finito sopra dei trasformatori
esterni che emanavano calore. Con tanta
premura Alan ci chiese se volevamo un
thé. Rifiutammo, volevamo partire subito, i tempi erano strettissimi.
SALVI!
Alfonso come un mulo si caricò sulle
spalle tutta l’attrezzatura e ci incamminammo guidati con torce che illuminavano il sentiero. Un sentiero per noi
strano, si doveva saltare da un sasso alto
ad uno più basso e così via. Alfonso per
ben due volte cadde per la difficoltà di
saltare e nello stesso tempo mantenere
in equilibrio il carico ingombrante. Più
volte gli chiesi di passarmi l’attrezzatura,
ma in cuor mio speravo che dicesse di no.
Forse l’intuiva, le mie scarpe erano inadatte a scendere e già senza peso ero in
difficoltà. Dopo un’ora e mezza di discesa
i fari di una jeep si illuminarono. Era la
fine di un’avventura fuori programma.
Salimmo sulla jeep aiutando a caricare
anche i sacchi dei soccorritori. Non avevo
parole, mi resi conto dell’enorme peso
che avevano portato per noi, il necessario
per qualsiasi evenienza. Solo allora chiesi
in quanto tempo avessero raggiunto la
cima. Un’ora e mezza, lo stesso tempo che
abbiamo impiegato noi a scendere. Che
gente! Ho pensato ai nostri Scoiattoli
quando devono partire di notte per portare soccorso, che sacrificio! Tutto finito,
non ci rendevamo conto che la jeep anche
per scendere doveva fare dei miracoli. Lo
strapiombo non lasciava molto spazio
20 gennaio: la splendida cometa McNaught
con la sua lunga coda (foto AAC).
alle ruote. Era un sentiero scavato solo
per i soccorsi, dove qualsiasi manovra era
impossibile. Avevano creato nella roccia
la possibilità di invertire la marcia. Solo
dopo un’ora di discesa mozzafiato arrivammo ai piedi del monte. Ci portarono
alla partenza della funivia dove sostava
la nostra vettura: Nome, cognome, indirizzo e telefono. Si ripeteva la scena
della notte prima. Ma chi ci vuole più in
Sudafrica? Veloci all’albergo, chiusa la
valigia, di corsa all’aeroporto. Trovarsi
improvvisamente allacciati al sedile era
come essere già in paradiso. Il video davanti a noi ci incitava a muovere i piedi,
sollevare le braccia, l’hostess ci informava
che il volo sarebbe durato undici ore. Non
mi riguardava, ero in paradiso e mi addormentai. Se sognai la cometa? No, no,
almeno i sogni li faccio ragionevoli!
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