“GRANDE COMETA” DEL 2007 LA di Piergiorgio Cusinato Straordinaria cometa, quella apparsa improvvisamente nei cieli di inizio gennaio al tramonto. Il suo nome è “McNaught”, lo scopritore australiano che l’ha individuata per la prima volta nell’agosto 2006. Si tratta della cometa più luminosa degli ultimi 40 anni, ancora più della Hale Bopp, anche se quest’ultima poteva apparire più spettacolare in quanto la sua osservazione avveniva nelle ore notturne. Lo splendore di questa cometa è aumentato repentinamente dai primi di gennaio, quando l’astro chiomato ha iniziato ad avvicinarsi al Sole. Ben presto la cometa McNaught ha superato anche la luminosità di Giove, divenendo il 12 gennaio splendente quanto Venere, osservabile anch’essa al tramonto a poca distanza dalla cometa. Tra l’8 e il 12 gennaio la cometa presentava una coda di polveri molto evidente di 3-4 gradi di lunghezza, perfettamente visibile già dopo 15 minuti dal tramonto del Sole. Il giorno 13 gennaio la cometa McNaught è stata avvistata ad occhio nudo addirittura con il Sole sopra l’orizzonte; evento rarissimo, capitato solamente altre 2 volte nel secolo passato: nel 1910 con la Cometa Daylight e nel 1965 con la Ikeya Seki. Quel giorno lo splendore della McNaught ha raggiunto un valore stimato pari alla magnitudine -6,0, cinque volte superiore a quello di Venere, 2 www.cortinastelle.it divenendo così per alcune ore il terzo oggetto più luminoso del cielo, dopo il Sole (m.v. -26,7) e la Luna Piena (m.v. -12,7). Purtroppo però da quel giorno la cometa si è “tuffata” nei cieli australi, divenendo inosservabile alle nostre latitudini, anche se non mancano comunque segnalazioni di avvistamenti diurni i giorni 14 e 15 gennaio. Dal 12 al 16 gennaio la McNaught è entrata nel campo di vista della sonda SOHO, che da anni ormai segue quotidiana- mente l’attività del Sole. La luminosità della chioma e della coda della cometa era talmente elevata da saturare il sensore CCD della sonda. Anche la sonda STEREO ha ripreso il passaggio ravvicinato della McNaught al Sole, rivelando agli occhi increduli degli astonomi lo sviluppo dell’incredibile coda di polveri. Il perielio è stato raggiunto il 12 gennaio ad una distanza di 0,17 U.A. dal Sole, pari a circa 25 milioni di chilometri, all’interno quindi dell’orbi- In alto: la McNaught l’8 gennaio sullo sfondo del Gran Vernel. A destra; la cometa sta tramontando dietro la Marmolada (foto AAC). “grandecometa” cometa” del del 2007 2007 lala“grande 3 A sinistra: 12 gennaio, poco dopo il tramonto del Sole la cometa è già visibile. Sotto e seguenti, alcuni momenti del viaggio in Sudafrica. (foto AAC) In alto: 13 gennaio, la cometa visibile in pieno giorno (foto AAC). A destra: 10 gennaio, la McNaught dal Lagazuoi (foto AAC). ta di Mercurio. L’orbita, iperbolica, ci dice che la cometa proviene dagli spazi interstellari e non fa quindi parte del “regno” del Sole, nei pressi del quale non ritornerà mai più. Il fatto che fosse una cometa “vergine” ha fatto subito ritenere che il nucleo si potesse spezzare, non resistendo allo shock del passaggio ravvicinato alla nostra stella. Così invece non è stato e la McNaught ha mostrato una straordinaria attività emissiva di polveri. Le immagini riprese dall’emisfero australe nei giorni successivi al perielio mostravano infatti la maestosità della coda, formata da decine di striature create dalle emissioni di polveri avvenute nelle settimane precedenti e ora perfettamente visibili ai privilegiati osservatori del sud del mondo. La luminosità della chioma, in rapido calo, era comunque ancora elevatissima, tanto che il giorno 20 gennaio essa era ancora pari a quella di Sirio, la stella più luminosa del cielo. La coda di polveri, molto arcuata e striata, si estendeva per oltre 30 gradi quasi parallela all’orizzonte; molti osservatori dell’emisfero boreale, nonostante la cometa si trovasse ben al di sotto dell’orizzonte, hanno osservato 4 www.cortinastelle.it e fotografato le sue striature più estreme. Allontanandosi rapidamente dal Sole e dalla Terra, la McNaught è rimasta comunque perfettamente visibile ad occhio nudo ancora fino a fine febbraio, con una coda di polveri di oltre 10 gradi. La lunghezza reale delle polveri rilasciate nello spazio dalla McNaught ha superato i 150 milioni di chilometri, vale a dire la distanza che separa la Terra dal Sole. Due soci della nostra Associazione, i giorni 20 e 21 gennaio, si sono recati a Cape Town, in Sud Africa, per assistere allo straordinario spettacolo offerto dalla McNaught. Testimonianza di quest’esperienza è raccontata direttamente dalla penna di Piergiorgio Cusinato, uno dei due protagonisti, assieme ad Alfonso Pocchiesa, della straordinaria avventura in terra d’A frica all’inseguimento della più bella cometa degli ultimi 100 anni. INSEGUENDO LA COMETA... Chiedo scusa a tutti coloro che ho convinto che le comete non possono essere portatrici di sciagure. Ho cambiato totalmente idea, ho sperimentato di persona quanto nefaste esse siano. NASCE LA “FOLLE” IDEA Ma andiamo per ordine. La cometa, inaspettata, si presenta nei nostri cieli diretta verso il Sole. Tutti i soci dell’A ssociazione Astronomica Cortina vengono allertati, ed eccoci, ogni sera, appostati nei punti accessibili più alti, come il Passo Giau ed il Lagazuoi, poiché la cometa si presenta molto bassa verso Ovest, per ammirare e fotografare questo inaspettato astro. Commenti entusiastici: assomiglia alla West con le sue tre code, no, ha la coda simile a quella della Hyakutake, è più brillante della Hale-Bopp. Il trascinatore di sempre, Alessandro Dimai, riesce persino a far salire a piedi verso gli alti monti innevati lo stesso Marco Migliardi, generalmente poco propenso ai grandi sforzi. Giuseppe Menardi invece le foto alla cometa le scatta, ovviamente, in cima a una impervia vetta, altrimenti non sarebbe più lui. In tutti noi l’entusiasmo sale giorno dopo giorno e quando la cometa, dopo aver virato attorno al Sole, svanisce ai nostri occhi, portandosi nei cieli australi, ecco subito il grande desiderio di recarci in Sudafrica, avendo calcolato che la cometa, dopo il perie- lio, verrà surriscaldata dal Sole, il che allungherà enormemente la sua coda di polveri. Certamente a Sud si presenterà molto più spettacolare di come l’avevamo vista nei nostri cieli. All’appello per partire si fanno avanti Marco Migliardi, la famiglia Dimai, l’amica delle eclissi Lucia Favaretto, Alfonso Pocchiesa ed il sottoscritto. Partiti tutti quel venerdì 19 gennaio? Macché. Marco si ammala, la cometa non c’entra affatto, non è colpa sua, ridicolo pensarlo. Lucia all’ultimo istante non ce la fa per il troppo stress del suo intenso lavoro. E se fosse proprio la cometa che mette i paletti al viaggio? Non facciamo ridere. Sempre avanti. Sebbene rimasti solo in sei, giungiamo in auto fino a Monaco di Baviera dove al “check-in” ecco la sorpresa: la figlia di Alessandro, Elisa, il governo del Sudafrica non la vuole perché inserita nel passaporto paterno e, per quella nazione, pur trattandosi di una minorenne, ciò non è ammesso: ci vuole un passaporto individuale. Grande shock. A questo punto mi sorge il sospetto che la cometa McNaught abbia effettivamente delle facoltà malefiche. ED INFINE IL SUDAFRICA... Di otto in programma, solo due salgono sul volo per Cape Town: Alfonso e lo scrivente. La famiglia Dimai è costretta a soggiornare a Londra in attesa del ritorno degli unici due scampati all’ira della cometa. Avanti, miei prodi! ci scrive Marco via sms. Saliti noi due sull’aereo per Città del Capo, chiediamo di sederci a sinistra per ammirare la cometa in volo nel primo mattino. Un guasto elettronico ci lascia incollati alle sedie, fermi a Londra, per ben tre ore. Ma la cometa non c’entra proprio, ma no, le comete non influiscono sull’elettronica, ma cosa dici! Fatto sta che questo ritardo ci toglie la possibilità quella notte di ammirare la cometa dall’aereo. Dopo quattordici ore, ecco Città del Capo che si presenta serena e soleggiata sotto le nostre ali, pardon, sotto quelle dell’aereo, ovviamente. Noleggiati auto e navigatore, breve sosta in albergo e subito puntiamo su Cape Point, luogo dove avviene l’incontro dei due oceani. E’ questo un parco naturale, una zona senza case e senza luce artificiale, l’ideale per ammirare un cielo terso e godere della massima oscurità. Il tragitto è stato lungo, la strada tortuosa, oltretutto attenti a rimanere con l’auto sempre a sinistra, all’inglese, e non a destra come l’istinto vorrebbe. E talmente attenti a questo uso anglosassone da sfiorare ripetutamente, beccandolo varie volte, il cordolo laterale. Giusto in tempo per raggiungere i cancelli del Parco prima delle 17.00, ora di chiusura. “Mi raccomando”, ci dice il guardiano, “alle 20.00 uscire.” Che soddisfazione avercela fatta ad entrare, chi mai pensava al ritorno, la mente concentrata solo sulla cometa, parole inutili quelle del guardiano! Eravamo determinati a sfruttare l’oscurità all’interno del Parco, pronti a rischiare una multa salata pur di raggiungere lo scopo. E il pranzo? E la cena? Qualcuno avrebbe dovuto spiegarci cos’è il cibo. la “grande cometa” del 2007 5 A destra: la cometa McNaught, Luna e Venere al tramonto da Cape Town (foto Fabrizio Meandri). Ma se stiamo parlando della cometa, il resto non ci interessa. Saliti in cima a Cape Point con una cremagliera (ultima corsa, naturalmente...) constatammo che, purtroppo, il vento che prima ci aveva deliziato la vista del mare mosso e spumeggiante, lì in alto era fortissimo, con raffiche che mettevano a rischio il nostro equilibrio. Dopo aver girovagato per mezz’ora alla ricerca di un luogo adatto per piazzare i nostri treppiedi, ci sistemammo infine abbastanza al riparo dalle terribili raffiche che arrivavano a colpi, come uscissero dalla bocca di un drago. Tanta corsa per vedere l’incontro dei due oceani? Ma no, neppure uno sguardo, tale era la nostra concentrazione sulla messa a punto degli strumenti. Discuti, calcola dove si vedrà la cometa, un ragionamento basato su quanto visto a Cortina, una cometa abbastanza vicina al Sole, pensavamo, in base ai giorni trascorsi dopo la sua scomparsa dai cieli di Cortina. Non eravamo preparati ad un calcolo esatto, il capo era Alessandro, lui conosceva la posizione precisa della cometa quando fosse riapparsa. Questa carenza di dati ci è stata fatale. Tramontato il Sole e scandagliato il cielo con il binocolo e nulla vedendo dopo mezz’ora, ci siamo convinti che purtroppo la cometa si era ormai nascosta tra l’umidità dell’aria che stagnava sopra il mare. Si vedeva solo la Luna, una falce sottilissima, mai vista prima così, quasi evanescente. Delusi al massimo, chiusi i cavalletti, rimessi gli strumenti nei loro contenitori, scendemmo al parcheggio dove ci attendeva la macchina. 6 www.cortinastelle.it Attraverso i vetri dell’auto, appena saliti, improvvisamente, dalla sottile falce della Luna vediamo uscire un diamante, sì, Venere, non c’erano dubbi! Venere che un attimo prima era occultata dalla Luna. “Alfonso! Alfonso prendi gli strumenti”, gridai. Schizziamo fuori dalla vettura per fotografare l’inaspettato evento e cosa vediamo? Una enorme CO-ME-TA! Ho visto ciò che in vita mia non avevo mai visto, una combinazione celestiale come ad occhio umano non è forse mai apparsa: una cometa dalla lunghissima coda ricurva e una splendida Venere che si materializza da dietro una falce di Luna! Davanti ad uno spettacolo così incredibile, irreale sono rimasto inebetito. Preparata l’attrezzatura, nel buio, in una posizione dove il vento soffiava furioso, non fu facile fotografare, tanto che, prima di applicare la macchina fotografica, il cavalletto volò via come un fuscello, danneggiandosi. No, no, la cometa non è colpevole, ma era necessario ripetercelo; troppe le coincidenze per ritenerla innocente. Mentre Alfonso cercava di fotografare, io non riuscivo a staccarmi dal binocolo per ammirare quello spettacolo eccezionale. Un binocolo preso in prestito da Marco: il mio, alla vigilia della partenza, dopo 35 anni di onorato servizio, mi era caduto nella fretta dei preparativi. Con lo stupore negli occhi ci avviammo, alla fine delle riprese, verso l’uscita del Parco Nazionale di Cape Point. Nel buio ci parve di intravvedere il cancello chiuso. Ci avevano avvisati, ma eravamo disposti anche a passare la notte nel parco pur di fotografare la cometa McNaught. Da una torretta, dopo un po’, sbucò un custode. Ci guardò stupito, per lui eravamo dei marziani, non era concepibile che alle 22.30 ci fosse ancora qualcuno all’interno del Parco. Poi incominciò stizzito a chiederci come mai non eravamo usciti alle 20.00. Spiegai le nostre ragioni, la cometa da fotografare. Non capiva, la parola cometa non gli era nota. Cercai di fargli comprendere che avevamo fotografato il cielo. Massima indifferenza e maggior arrabbiatura nel non capire perché eravamo là. Tentai di impietosirlo, di convincerlo a lasciarci uscire. Ma la risposta fu agghiacciante: non possedeva le chiavi del cancello. Silenzio. Io e Alfonso ci guardammo in faccia, cosa facciamo? Il custode si allontanò, poi però tornò sui suoi passi dicendoci che avrebbe chiamato la direzione del Parco e dopo tre quarti d’ora apparvero i fari di una jeep con all’interno una guardia. Anche lui ci scrutò meravigliato. Io volevo ricominciare a giustificarmi, poi mi arresi, non avrebbe capito lo straordinario evento che ci aveva indotto a fermarci all’interno. Infatti non abbiamo trovato una sola persona, fra coloro che abbiamo incrociato, che sapesse della cometa. Silenzio. Alla fine: nome, cognome, indirizzo, telefono e firma, quindi la minaccia che se la cosa si fosse ripetuta avremmo passato guai seri. I cancelli del paradiso si aprirono. Con il nostro navigatore nel buio della notte, puntammo verso Città del Capo, dove giungemmo alle due del mattino. Alle sette sveglia. ALLA RICERCA DEL CIELO PIU’ BUIO L’interdizione di tornare a Cape Point ci costrinse a cercare un nuovo sito di osservazione per la sera di domenica 21 gennaio. Nulla ci distraeva, eravamo venuti per osservare la cometa McNaught ed ogni sforzo, ogni pensiero ed ogni azione era rivolta a raggiungere l’obiettivo: fotografare il raro avvenimento. Nella ricerca di un luogo adatto attraversammo stupendi villaggi baciati dall’intenso Sole e dalle onde furiose del mare. Dove ci fermiamo a pranzo? E dai con questa parolaccia, ma non sai che siamo qui per fotografare la cometa, mica per gozzovigliare! Sempre avanti. Tante colline parevano adatte allo scopo, ma non avevano accessi carrozzabili. Ci colpì il nome di un villaggio Ocean View. Forse da lì sale un sentiero verso le colline. Percorremmo le vie di questa cittadina abitata esclusivamente da gente di colore, e quale sorpresa: tutte le vie erano dedicate all’astronomia; strano leggere: Venus Road, Rigel Street, Sirius Square. Un vero benvenuto. Arrivammo alle ultime case che sovrastavano il paese e ancora una volta nessuna strada verso la collina. Chiedemmo informazioni ad un ragazzo e lui, felice di essere stato interpellato, ci dette delle indicazioni incomprensibili; così lo invitammo a salire in macchina affinché ci portasse verso la collina. C’era una mulattiera chiusa con una sbarra. Al ragazzino venne in mente che suo zio possedeva una chiave di un’altra stradina che portava verso i monti. Girammo mezzo paese ed eccoci davanti alla casa dello zio. Il ragazzo entrò, uscì con una chiave e chiese settanta Rand solo per consegnarcela. Gli spiegai che prima avremmo voluto vedere il tipo di strada e se era percorribile. Ci portò fuori paese fino a raggiungere effettivamente una sbarra. Tentò di aprirla, ma ci fece capire che la sbarra era stata manomessa. Il desiderio di trovare un luogo adatto e certo anche la nostra grande ingenuità ci impedì di capire che il ragazzo voleva solo soldi e che stava escogitando ogni stratagemma per ottenerli. Gli demmo una buona mancia, ma non scese dalla macchina, ci chiese di lasciarlo in un negozio di alimentari per comperare del pollo per i suoi genitori. Va bene, ma ricordati che non ti riportiamo a casa. Il primo negozio non gli andava bene, il secondo nemmeno e finalmente capimmo, sempre troppo tardi, che anche questa era una scusa. Adesso basta, dissi. Eravamo in periferia di Ocean View. Capì subito che eravamo determinati e scese dalla macchina. Gli feci notare che aveva dimenticato la giacca, al che lui si avvicinò per raccattarla con entrambe le mani. Non potevamo sospettare che era una mossa ben precisa: sotto la giacca aveva nascosto il binocolo. Di questo amaramente mi accorsi quando cercai nel sacco lo strumento per puntarlo verso la cometa. Il binocolo era scomparso. Mi sembrava più che giusto dare la colpa alla cometa, la nostra stupidità risultava così molto attenuata. Vista la difficoltà di trovare un luogo adatto, escludendo il Parco Cape Point, dove eravamo già segnalati come reprobi, puntammo sul Table Mountain che si trova a Sud della città di Cape Town, all’altezza di 1.080 metri. Il monte si presenta imponente, con una parete verticale ed un vasto altopiano. Puntammo sulla funivia per conoscere gli orari. L’ultima corsa scendeva alle 22.00. Il conto era semplice: la cometa appariva nel cielo alle 21.00, alle 21.40 sprofondava nell’oceano. Un colpo di fortuna, finalmente un segno positivo. L’idea ci entusiasmava e immaginavamo già la scritta sotto la cometa: foto scattata dal Table Mountain, cima conosciuta in tutto il mondo. Era fatta! Rilassati, finalmente alle 16.30 del 21 gennaio, dopo due giorni, decidemmo di mangiare qualcosa. Rifocillati, salimmo in funivia portandoci lontano da luci e rifugio. Mentre ci incamminavamo sentiamo suonare una sirena. Un turista si ferma per chiedermi spiegazioni del perché della sirena ed io di rimando: The siren? It’s not important! Evidentemente volevo Sotto: 20 gennaio: la splendida cometa McNaught poco dopo il tramonto (foto AAC). la “grande cometa” del 2007 7 sbarazzarmi di lui subito, e diedi l’unica risposta che mi si presentò alla mente. Cosa sapevo io della sirena? Una risposta poco gentile e senza senso, ma il destino già incombeva . Dopo tre quarti d’ora, dalle 20.00 alle 20.45, una nuvola velocissima, di una umidità mai sperimentata, scivolò sopra l’altopiano. Un istante dopo, fradici e con gli occhiali grondanti acqua, eravamo totalmente ciechi. Era come agire sopra una pentola d’acqua bollente. Non una parola, continuavamo a trafficare con i due cavalletti. Nessuno aveva il coraggio neanche solo di pensare che forse non avremmo visto per niente la cometa. Alle 20.45 la nuvola, come per incanto, svanì e tornammo a riveder le stelle. Attenti ai tempi, attenti all’inquadratura, che la cometa si trovi proprio presenza con rumorose raffiche. Alfonso non voleva accettare la cruda realtà. Scuoteva le porte di vetro, quasi volesse romperle, forse dalla rabbia, forse con la speranza di entrare a difenderci dal vento che si faceva sempre più insistente e gelido. Poi i nostri animi si placarono, Alfonso dal biglietto dedusse il numero telefonico della partenza. Segreteria telefonica. La fortuna volle che avessi inserito nel cellulare quello dell’hotel. Così potei parlare. Hallo? Siamo in cima al Table Mountain... Come?! Ma perché ci trattano sempre da marziani? Era inconcepibile per loro che ci trovassimo lassù nella buia notte. Un attimo, una seconda persona, una terza, incredulità ed imbarazzo. Alla fine qualcuno con calma olimpica ci informò che non ci restava che passare Tramonto sull’oceano dal Table Mountain (foto AAC). sopra gli speroni del Table Mountain, al momento giusto, per dare maggior pathos all’immagine. Altro controllo dei tempi, stupenda la cometa, con quella sua coda ricurva che sembrava sospinta dal vento; ai nostri occhi appariva come un’enorme “piuma” sospesa nel cielo. Proibito entusiasmarsi, però, dovevamo operare come freddi matematici, avevamo un “Lavoro” da svolgere! Guardo l’orologio, meno un quarto alle 22.00. Via, prendi i cavalletti, le macchine fotografiche e giù verso la funivia. PRIGIONIERI SUL TABLE MOUNTAIN Un gran brutto presagio, il rifugio buio, tutto spento, nessuno. Corriamo alla partenza, silenzio, buio, chiuso. Non un’anima viva. Solo il vento segnalava la sua 8 www.cortinastelle.it la notte lassù e aspettare l’alba. Ribadii subito che alle 07.30 partiva l’aereo per Londra. Si convinse che qualcosa bisognava fare e mi disse di richiamare dopo un quarto d’ora. Richiamai e mi diede il cellulare di Steven, con il quale mi misi subito in contatto. Un vero gentleman che mi assicurò di interessarsi per farci scendere, sempre che fossimo abituati a camminare in montagna e disse di richiamare fra venti minuti. Demmo un’occhiata alle passeggiate in cima all’altopiano. L’idea era quella di scendere nonostante il buio, ma verso dove? E se ci perdiamo, come facciamo a segnalare dove ci troviamo? E se non c’è campo per il cellulare? Ricevemmo un sms da Alessandro: “Bravi andate a nanna, ve lo meritate.” A quel punto lo informai della nostra situazio- ne. Credo che ci abbia inviato ben cinque sms con la scritta: non muovetevi, non muovetevi! L’utilità di non muoverci mi fu chiara quando, richiamando Steven e indicandogli il nome del sentiero che avevamo letto sullo schizzo delle passeggiate, si fece una grande risata, lui che nel parlare era sempre misurato, gentile, ripeto, un vero gentleman. Questo mi convinse che sarebbe stata una pazzia scendere. Steven mi pregò di pazientare, nessuna delle guide di montagna rispondeva e di richiamarlo fra un quarto d’ora. Se non trovava nessuno avrebbe avvisato l’ “Emergency”. Altro quarto d’ora e niente, nessuna risposta dalle guide e quindi avrebbe chiamato i soccorsi: pazientate e richiamatemi. Quando richiamai finalmente mi diede un nome, Alan, e il numero del suo cellulare. Alan sì mi rispose, un uomo deciso e di poche parole, aveva già avvisato i suoi compagni e sarebbe andato a prenderli e verso le 2 del mattino sarebbero giunti in cima. Alfonso a questo punto cercò un antro dove ripararsi, io come promesso ad Alan, mi misi davanti all’entrata della funivia. Ero solo a tu per tu con le stelle e il vento. Con il vento cercavo di trovare un accordo, gli parlavo, perché a quel punto, in quella solitudine ogni cosa era viva. Mettiamoci d’accordo, se io mi metto in questa posizione con le gambe rannicchiate, ti accetto, ma tu non cambiare direzione e intensità, ti prego. Cercai di dormire, ma certe raffiche improvvise e fredde mi risvegliavano di colpo. Il cielo era sopra di me, un cielo australe che ho sempre desiderato ammirare, dove i pianeti viaggiano sopra la tua testa, costellazioni rovesciate, lo Scorpione con la coda in su, l’Orione invertito, Rigel in alto, Betelgeuse in basso, sopra Rigel, Sirio e sopra Sirio, Canopus e ancora più in su, quasi allo Zenit, La Croce del Sud. Stelle che conosco poco, ma che amo da sempre: Canopus simile alla nostra Vega. L’A lfa Centauri di una bellezza pari a Sirio. Avevo l’occasione, disteso, di osservare a lungo il cielo australe. Il tempo passava e con il tempo le stelle scorrevano sopra di me e se ne andavano lasciando spazio ad altre tutte eccezionali. Erano vive come me, ero un tutt’uno con loro. Per superare il freddo decisi di sfruttare le mie conoscenze di Yoga e, dopo le asana, il freddo svanì e così meditai. Poi tornai a sdrai- armi sulla pietra gelida. Il cielo era per me una esaltazione, un sentire profondo dell’unione tra me le stelle. Notai che il respiro si faceva sempre più lungo, tanto che con due respiri passava un minuto. Mi sentivo come uno yogi che passa la vita a contemplare. Il grido dei soccorritori mi fece alzare, così da segnalare la mia presenza, quindi mi portai verso l’antro di Alfonso, ma lui non c ‘era. Forse l’unico momento di paura fu proprio questo, uno strapiombo di mille metri era a pochi passi. Fu lui a chiamarmi, aveva cambiato antro, era finito sopra dei trasformatori esterni che emanavano calore. Con tanta premura Alan ci chiese se volevamo un thé. Rifiutammo, volevamo partire subito, i tempi erano strettissimi. SALVI! Alfonso come un mulo si caricò sulle spalle tutta l’attrezzatura e ci incamminammo guidati con torce che illuminavano il sentiero. Un sentiero per noi strano, si doveva saltare da un sasso alto ad uno più basso e così via. Alfonso per ben due volte cadde per la difficoltà di saltare e nello stesso tempo mantenere in equilibrio il carico ingombrante. Più volte gli chiesi di passarmi l’attrezzatura, ma in cuor mio speravo che dicesse di no. Forse l’intuiva, le mie scarpe erano inadatte a scendere e già senza peso ero in difficoltà. Dopo un’ora e mezza di discesa i fari di una jeep si illuminarono. Era la fine di un’avventura fuori programma. Salimmo sulla jeep aiutando a caricare anche i sacchi dei soccorritori. Non avevo parole, mi resi conto dell’enorme peso che avevano portato per noi, il necessario per qualsiasi evenienza. Solo allora chiesi in quanto tempo avessero raggiunto la cima. Un’ora e mezza, lo stesso tempo che abbiamo impiegato noi a scendere. Che gente! Ho pensato ai nostri Scoiattoli quando devono partire di notte per portare soccorso, che sacrificio! Tutto finito, non ci rendevamo conto che la jeep anche per scendere doveva fare dei miracoli. Lo strapiombo non lasciava molto spazio 20 gennaio: la splendida cometa McNaught con la sua lunga coda (foto AAC). alle ruote. Era un sentiero scavato solo per i soccorsi, dove qualsiasi manovra era impossibile. Avevano creato nella roccia la possibilità di invertire la marcia. Solo dopo un’ora di discesa mozzafiato arrivammo ai piedi del monte. Ci portarono alla partenza della funivia dove sostava la nostra vettura: Nome, cognome, indirizzo e telefono. Si ripeteva la scena della notte prima. Ma chi ci vuole più in Sudafrica? Veloci all’albergo, chiusa la valigia, di corsa all’aeroporto. Trovarsi improvvisamente allacciati al sedile era come essere già in paradiso. Il video davanti a noi ci incitava a muovere i piedi, sollevare le braccia, l’hostess ci informava che il volo sarebbe durato undici ore. Non mi riguardava, ero in paradiso e mi addormentai. Se sognai la cometa? No, no, almeno i sogni li faccio ragionevoli! la “grande cometa” del 2007 9