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Carla Mazzarelli
LA TUTELA DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO E
ARTISTICO FRA XIX E XX SECOLO:
IL RIONE SANT’ANGELO E L’AREA OSTIENSE *
Nell’ambito del progetto di un Atlante storico-ambientale di Roma tra
XVIII e XX secolo il CROMA ha avviato un’indagine più specifica sul patrimonio monumentale, archeologico, architettonico e storico-artistico della
città 1.
Le ricerche si sono in particolare concentrate su due emblematiche realtà
urbane, tra centro storico e area fuori le mura: il rione Sant’Angelo e la vasta zona, fuori Porta San Paolo, tra le vie Ostiense e Portuense. La ricerca
ha avuto come obiettivo quello di ricostruire, oltre a una “mappa” delle
principali emergenze delle due aree in questione, con le diverse trasformazioni avvenute nel corso dei secoli, relative sia al “conservato” che al “perduto” 2, anche una traccia di una storia della tutela, e degli interventi di restauro attuati sui monumenti antichi e moderni e sugli elementi di arredo urbano. L’indagine si è concentrata in un ambito cronologico compreso tra gli
anni Venti del XIX secolo – la Roma di Stendhal che allora notava come
“grazie agli immensi lavori i monumenti antichi hanno totalmente cambiato
d’aspetto dal 1809, e la Scienza che se ne occupa, è diventata più ragione-
Abbreviazioni: ASR: Archivio di Stato di Roma; ASC: Archivio storico capitolino; ASBAAL:
Archivio della Soprintendenza ai Beni architettonici e ambientali del Lazio.
1
È dal 1996 che il Centro per lo studio di Roma (CROMA) è andato progressivamente affinando il progetto di un Atlante storico-ambientale; si rimanda, per una visione dell’impostazione generale del progetto, a F. PALAZZO-C.M. TRAVAGLINI, Per un atlante storico-ambientale
di Roma tra XVIII e XX secolo, «Roma moderna e contemporanea», VI, 1/2, 1998, pp. 219-228.
Il presente contributo fornisce i primi risultati e indica alcuni spunti di indagine di una ricerca
più ampia e complessa ancora in fieri; si rimanda perciò ad altra sede una trattazione più completa delle problematiche qui solo accennate. Desidero comunque fin da ora ringraziare quanti
mi hanno facilitato e aiutato nelle ricerche e in particolare i funzionari tutti dell’Archivio di
Stato di Roma, dell’Archivio storico capitolino e dell’Archivio della Soprintendenza ai Beni
architettonici e ambientali del Lazio. Un particolare ringraziamento a Carlo M. Travaglini,
Michele Franceschini e Paola Pavan; a Liliana Barroero per il costante interessamento; a Nicoletta Cardano per i preziosi consigli.
2
Sulle problematiche relative al rapporto tra conservato e perduto a Roma si veda B. TOSCANO, Vademecum per una storia dell’arte che non c’è, «Roma moderna e contemporanea»,
VI, 1/2, 1998, pp. 15-33.
*
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vole” 3 – e gli anni Trenta del secolo scorso: un lasso di tempo in cui, come
è noto, non solo il volto della città muta totalmente, anche e soprattutto nel
rapporto tra centro storico e area extra moenia, ma che segna tappe fondamentali nella storia della tutela. Numerosi, inoltre, gli interventi di ripristino
e innovazione apportati agli edifici e, in particolare, alle chiese di Roma, nei
due decenni precedenti la breccia di Porta Pia; interventi che, come nota
Racheli, non si discostano troppo da quelli che seguiranno sino al termine
del secolo XIX e, fatte le dovute eccezioni, anche durante il fascismo 4.
Nella scelta dei materiali da raccogliere sono state favorite soprattutto le
fonti iconografiche: dalla documentazione connessa con la bibliografia periegetica, tra XVIII e XIX secolo, ai materiali dei fondi Titolo 54 e Ispettorato
edilizio, presso l’Archivio storico capitolino, compresi tra il 1848 e il 1930
circa. In particolare, attraverso tali fondi, che contengono le richieste di licenze edilizie presentate da enti e privati all’amministrazione capitolina, si
è voluta estendere la ricerca non solo agli edifici di peculiare interesse storico-artistico ma anche a quelli minori, meno connotati in senso architettonico e decorativo, in modo da creare un quadro generale dei criteri di trasformazione architettonica tra XIX e XX secolo in cui inserire, con maggiore
pertinenza, gli interventi attuati su edifici storici, recuperare l’“immagine”
di edifici scomparsi e definire così l’aspetto di intere aree urbane oggi completamente alterate 5. Per l’indagine sull’attività di tutela che concerne le
due aree in questione si è, invece, partiti da una verifica della situazione attuale, attraverso la ricognizione dell’edilizia vincolata dalla Soprintendenza
ai Beni ambientali e architettonici del Lazio. La situazione attuale è stata
poi confrontata con i dati forniti da alcune fonti bibliografiche e archivistiche comprese tra il 1820 circa e i primi anni del secolo scorso per meglio
evidenziare l’evolversi dei criteri di salvaguardia e tutela dalla metà del XIX
secolo a oggi 6.
Il primo caso di studio è stato dunque il rione XI, Sant’Angelo, il più pic-
H. STENDHAL, Roma, nelle persone, nei luoghi, nei monumenti; con riproduzione di antiche stampe, Roma-Torino, Casa Editrice Nazionale, Roux e Variego, 1906 (prima edizione
italiana), p. 94.
4
A.M. RACHELI, Restauro a Roma 1870-2000. Architettura e città, Venezia, Marsilio,
2000, p. 25.
5
Particolarmente utili, a questo scopo, sono le piante e i disegni di alzato allegate alle richieste.
6
Con il materiale reperito sono state realizzate delle banche-dati sull’edilizia vincolata
delle due aree oggetto di studio: i records (epoca del monumento, tipo di proprietà, anno di
imposizione del vincolo) legati alla particella catastale di riferimento hanno permesso la creazione di carte tematiche relative ai vincoli del rione Sant’Angelo (per la cui realizzazione è
stata indispensabile la collaborazione della dottoressa Keti Lelo che qui si ringrazia). Sono in
corso di realizzazione quelle riferibili all’area Ostiense.
3
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 309
colo dei rioni di Roma, oggetto in anni recenti di accurate ricognizioni soprattutto per quanto concerne l’area del Ghetto 7. La complessa evoluzione
urbanistica del rione è stata fortemente condizionata dalla presenza di emergenze archeologiche connotate in senso monumentale (Portico d’Ottavia,
Teatro di Marcello, Circo Flaminio, Cripta Balbi) sulle quali si innestano
edifici storici a carattere religioso – emblematico il caso Portico d’OttaviaSant’Angelo in Pescheria – o articolati complessi edilizi nobiliari – Palazzo
Savelli-Orsini – che hanno determinato, nel corso del tempo, non solo l’evoluzione architettonica del rione ma anche quella toponomastica ed economico-sociale. Fin dalla metà del XIX secolo si pone il problema della tutela e
della valorizzazione di tali emergenze: l’isolamento del Teatro di Marcello e
del Portico d’Ottavia, attuato poi solo negli anni 1926-1932, era già previsto
nel piano regolatore di Viviani (1873), mentre nel 1898 anche l’architetto
Raffaele Mazzetti, al servizio della famiglia Orsini, propose un progetto di
isolamento del Teatro 8. Attraverso la documentazione iconografica e la bibliografia periegetica emerge chiaramente, inoltre, quella che appare una peculiarità del rione: una ricca vitalità commerciale e umana che si confronta
con l’emergenza monumentale nel senso di una specifica riutilizzazione; botteghe e abitazioni si insediano nelle strutture antiche divenendo “forma” integrante del monumento già in epoca medievale. In un’incisione di Duperac
del 1575 rappresentante le Vestigia del Theatro che fu edificato da Augusto
in nome di Marcello 9 si trovano descritte con precisione le botteghe nei fornici – i commercianti dietro i loro banconi che richiamano l’attenzione dei
passanti, la merce ben esposta appesa a travi di legno – botteghe che si ritrovano, pressoché immutate, nelle incisioni del Sette, dell’Otto e del Novecento e nelle foto della fine del XIX e dei primi del XX secolo 10. Così, peculiarità
unica del rione era la pescheria i cui grandi banchi di pesce erano collocati,
fino al 1877, tra le antiche colonne del Portico d’Ottavia, una delle più sin-
7
Ci si riferisce in particolare, dopo gli studi di Carla Benocci (C. BENOCCI, Il Rione Sant’Angelo, Roma, Nantes, 1980), alla ricognizione, ricca di documentazione, Il Ghetto, C. Benocci-E. Guidoni (a cura), Roma, Bonsignori, 1993 e Il Ghetto di Roma. Progetto di recupero
urbano ed edilizio, Roma, Kappa, 1995, con un’ampia ricerca documentaria proprio sulle trasformazioni del XIX secolo.
8
Cfr. C. BENOCCI, Il Palazzo Savelli e il Teatro di Marcello, «Alma Roma», XXV, 3-4,
1984, pp. 14-23.
9
L’incisione fa parte della raccolta E. DUPERAC, I vestigi dell’antichità di Roma, Roma,
Lorenzo della Vaccheria, 1575.
10
Tra le incisioni più note si possono citare quella nella Roma aeterna di Petri Schenkii,
del 1705 e l’incisione di L. Rossini nella raccolta Le Antichità Romane. Una inedita raccolta
di foto ottocentesche e del primo Novecento delle botteghe del Teatro di Marcello, in buona
parte provenienti dall’Archivio Fotografico del Comune di Roma, è nel volume di S. FORNARI,
Il Ghetto di Roma, Roma, Palombi, 1984.
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golari attrazioni di Roma, riprodotta frequentemente dagli artisti, specie stranieri. Tale integrazione tra abitato e antico, di cui sono testimonianza le numerose sculture e frammenti romani ancora oggi incastonati nelle murature,
rivela anche come, nel tessuto edilizio di quest’area, siano strettamente integrate tra loro “la città romana, la città storica e quella vitale” 11. Ciò appare
tuttora una caratteristica specifica del rione, e pone particolari problemi di
conservazione e tutela.
Di tale stretto rapporto tra la “città vitale” e l’antico e stratificato patrimonio del rione sono una chiara e spesso vivace testimonianza le istanze presentate dagli stessi abitanti, tra il 1816 e il 1835, alla Commissione Antichità e
Belle arti per la salvaguardia, la conservazione di un monumento o per la denuncia del ritrovamento di antichità nel corso di scavi o ristrutturazioni. Sono
gli anni in cui l’attività legislativa dello Stato pontificio nei beni culturali si fa
più pressante anche per “il risarcimento del patrimonio culturale depauperato
nel vortice delle passate vicende” 12; si manifesta inoltre una cura più scientifica dei monumenti con l’adozione di nuove tecniche di scavo, teorie e metodi
di restauro propri di “una progettualità che tutto coinvolge” 13. Nel 1824, dunque, gli “abitanti di piazza Giudea reclamano per il risarcimento della piazza”
14
; la motivazione, chiaramente espressa nella stessa richiesta 15, rimanda al valore estetico e turistico (dunque economico) del monumento, secondo quanto
espresso anche nel Chirografo del 1820 del cardinal Pacca. Essi tengono infatti a sottolineare che “mal si addice ad una piazza della capitale, ornata di
bella fontana, che la breve area sia in parte selciata, e qua e là sterpata” 16; si
esprime quindi un’esigenza di tutela per ciò che appare come un patrimonio,
non solo del proprio spazio vissuto, ma anche dell’intera città. In questo senso
si rivela significativo, anche come testimonianza di un criterio di intervento
conservativo, il ricorso, presentato il 20 agosto 1836, “contro l’oste” per aver
“imbrattato in piazza di Ghetto parte della casa e dell’iscrizione di traverso
che la cinge, con colore bianco” 17 con la richiesta che “venga tolto tale sconcio colore, ed uguagliata sia l’una che l’altra all’antico aspetto che conserva la
Il Ghetto di Roma (…), cit., p. 22.
Sull’argomento cfr. D. TAMBLÈ, La politica culturale dello Stato pontificio, in Roma fra
la Restaurazione e l’elezione di Pio IX: Amministrazione, economia, società e cultura, A. Bonella-A. Pompeo-M.I.Venzo (a cura), atti del convegno, Roma, 1997, pp. 760-782.
13
Ibidem.
14
ASR, Camerlengato, parte II, tit. IV, b. 147, fasc. 38.
15
“Dopo la distruzione fatta di alcuni casotti in piazza Giudea, l’erezione e atterramento di
un muro, sono rimaste elevazioni e cavità tali in quella piazza, che rendono pericoloso il passo
a uomo e bestia, e temibile il rovesciamento di vetture”. Ibidem, fasc. 38.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
11
12
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 311
parte non guasta” 18. Tali istanze sono solo alcune delle numerose, riguardanti
proprio l’area del rione Sant’Angelo, che si rintracciano nel Fondo Camerlengato, Antichità e Belle arti, presso l’Archivio di Stato di Roma e rendono evidente come già tra gli anni Venti e Quaranta del XIX secolo si possa parlare di
un rinnovato interesse per la tutela dei monumenti e degli edifici storici del rione. Nel 1823, dunque, si “invocano provvedimenti per la conservazione del
Portico d’Ottavia” 19, anche se il restauro della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria e di parte dell’antico monumento verrà attuato, secondo i criteri della
reintegrazione stilistica, dall’architetto Alessandro Betocchi solo tra il 1869 e
il 1870. Sempre nel 1823 si prendono provvedimenti anche per l’“antica Torre
Margana” 20 mentre Francesco Santacroce Publicola richiede che sia restaurata
la “sua” chiesa di Santa Maria in Publicolis 21; nel 1834 “Francesco Mola e
Salviati Nicola fanno richiesta di restauro di una casa al Portico d’Ottavia” 22,
infine, nel 1842, dopo il restauro di due delle statue della fontana delle Tartarughe “coperte di tartaro biancastro salito dall’Acqua Felice” 23, viene inoltrata
la richiesta di pulire anche le altre due poiché “questo startaramento ha ora
prodotto grave difficoltà di prospettiva, perciocché le due statue ripolite mostrano il bronzo di antica patinatura, laddove le altre due conservano il tartaro
suddiviso” 24. Negli anni immediatamente successivi e in particolare a partire
dal 1848, data in cui vengono abbattuti per ordine di Pio IX i portoni del Ghetto, e fino al 1888, quando viene eseguita la demolizione del quartiere già con-
ASR, Camerlengato, parte II, tit. IV, b. 242, fasc. 2503. La documentazione costituisce
un’interessante descrizione dello stato della casa di Lorenzo Manili in piazza Santa Maria del
Pianto (piazza Giudea) a quella data. Così infatti l’incaricato della Commissione Antichità e
Belle arti descrive l’iscrizione del palazzo quattrocentesco, il primo settembre 1836 proponendo anche un intervento di restauro: “Nella piazza di Santa Maria del Pianto sopra la bottega ad
uso di tabaccaro ritenuta in affitto dagli eredi Parisini ricorre un parapetto di antica fabbrica
con iscrizione. Nella fascia inferiore era appoggiato l’antico tavolone quale venne dalla Presidenza delle strade per disposizione generale demolito, ed ora si vedono ancora esistere le
grappe di ferro, non solo ma benanche un filo di ferro di corali murati i quali servirono a riparare l’introduzione delle Acque pluviali fra l’antico tavolato e la fascia suddetta, la di cui demolizione per decoro converrebbe essere fatta. Ciò che poi ha deturpato il parapetto descritto
è l’apertura del vano inferiore di finestra con apporvi la ringhiera di ferro, forse per dar lume
alla camera, quale opera ha alterato l’antica iscrizione, restando intermezza e non intellegibile.
A mio parere potrebbesi con facilità restaurare quante volte vogliasi conservare questa Antichità con riprendere il parapetto in travertino, ed iscrizione e quindi patinare il nuovo lavoro”.
19
Ibidem, b. 229, fasc. 2190. Sul restauro del Portico d’Ottavia-Sant’Angelo in Pescheria
si rimanda a I. SALVAGNI, Il restauro della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria e del propileo
severiano (1843-1870), «Ricerche di Storia dell’arte», 56 (1995), pp. 73-79.
20
Ibidem, b. 146 (il fascicolo risulta mancante).
21
Ibidem, b. 147, fasc. 45.
22
Ibidem, b. 229 (il fascicolo risulta mancante).
23
Ibidem, b. 290, fasc. 3294.
24
Ibidem.
18
312 Carla Mazzarelli
templata nella deliberazione consiliare del 24 marzo 1885 che prevedeva “di
rialzare e sistemare il suolo bonificandolo con regolari fognature, di aprirvi
ampie ed arieggiate strade e di costruirvi fabbricati che alla salubrità delle
abitazioni accoppino il decoro edilizio, cancellando un fomite di epidemie ed
uno sconcio per la capitale” 25, la struttura edilizia del rione si rinnova, non solo con modifiche e restauri delle antiche fabbriche ma anche con generali “abbellimenti” delle facciate degli edifici, numerose sopraelevazioni, e nuove
edificazioni 26. La documentazione reperita nel Fondo Titolo 54 dell’Archivio
storico capitolino, dal 1854 al 1887, alla vigilia della demolizione del Ghetto,
rivela una omogeneità evidente nei criteri di ristrutturazione degli edifici, sia
per quelli interni al serraglio degli ebrei, sia per l’area esterna 27. Secondo una
tipologia d’intervento tipica della cultura ottocentesca due o più piccoli “casamenti”, accostati con un dislivello di uno o due piani, di struttura ancora medievale, vengono ridotti a un unico “casamento” dando in genere carattere di
continuità alle facciate, in uno stile neo-cinquecentesco, con l’inserimento di
moderati bugnati e partiti decorativi.
A questo tipo di “abbellimento” – termine largamente usato nella relativa documentazione – vengono sottoposti diversi edifici in via dei Falegnami, via Rua, via Pescheria, piazza Campitelli 28 (figure 1-3), ma anche
edifici che devono rapportarsi a strutture antiche da rispettare 29 o edifici
Cfr. A.M. RACHELI, Il Restauro a Roma, cit., p. 62.
Si rimanda, per questo aspetto e per la ricognizione della documentazione dei fondi Titolo 54
e Ispettorato edilizio relativa all’area del Ghetto, a G. BASTIANELLI-L. MARCHIONNI, Lo sventramento
del Ghetto e la sua documentazione, 1848-1904, in Il Ghetto (a cura di C. Benocci-E. Guidoni),
cit., pp. 29-31.
27
Si sottolinea che la ricerca archivistica condotta sul Fondo Titolo 54 si è estesa, oltre che ai
confini storici del rione, anche alla zona di piazza Campitelli-San Nicola in Carcere inclusa nel rione dopo gli sventramenti degli anni Trenta.
28
Il rinnovamento edilizio del rione è particolarmente intenso tra gli anni Sessanta e gli anni
Settanta; alcuni casi sono quelli dell’edificio in via dei Falegnami 24-29 (ASC, Titolo 54, prot.
14171, a. 1873) di cui viene ristrutturata la facciata e che viene sopraelevato o dell’edificio, in seguito demolito, di via della Pescheria 66-68 (ASC, Titolo 54, prot. 8272, anno 1866), il cui disegno
del prospetto risulta particolarmente interessante anche per la descrizione minuta dei diversi frammenti antichi incastonati nella facciata. Si cita, inoltre, il caso dell’edificio di piazza Campitelli, anche se esula dai confini storici del rione perché il progetto di allargamento di tale edificio (ASC, Titolo 54, prot. 2485) presentato nel 1873 viene rifiutato dall’amministrazione capitolina in quanto
veniva a insistere sull’area in cui, secondo il piano regolatore di Viviani, “per dare prospettiva al
teatro di Marcello” era previsto “l’atterramento di un grande gruppo di case quante se ne trovano
massimamente lungo la catena di Pescaria che nell’insieme assommano al numero di venti”; il progetto “acconcio allo scopo” si legge nella documentazione “di isolare quelle antichità, le quali per
l’abbandono in cui sono lasciate oggi ci meritano la taccia di barbari”, non fu però allora realizzato.
29
È il caso di un edificio in via Montanara ai civici 50-55 la cui sopraelevazione pone il problema del rispetto di “un antico edificio esistente al primo piano, le cui strutture” dichiara l’incaricato dell’amministrazione capitolina “devono essere conservate nella loro integrità” ASC, Titolo
54, prot. 47675.
25
26
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 313
Figura 1. Edificio in piazza Campitelli n. 5-6; stato precedente l’intervento di ristrutturazione (ASC, Titolo 54, prot. 2485, anno 1873; dis. 4).
Figura 2. Edificio in piazza Campitelli 5-6; progetto di ampliamento e ristrutturazione
(ASC, Titolo 54, prot. 2485, anno 1873; dis. 5).
314 Carla Mazzarelli
Figura 3. Progetto di demolizione di edifici per l’isolamento del Teatro di Marcello (zona
più chiara) (ASC, Titolo 54, prot. 2485, anno 1873; dis.1).
nobiliari storici come il Palazzo Orsini e Palazzo Costaguti, per i cui progetti di restauro o sopraelevazione intervengono architetti di maggiore
fama.
La ristrutturazione di una parte del Palazzo Orsini, e in particolare del
“casamento in via di Pescheria civico 38-43”, precedente al restauro delle
case poste “nella via Savelli numeri civici 38 e 41 e nella via di Pescheria
numeri civici 43-47” realizzato da Carnevali nel 1869 30, viene affidata all’architetto Luigi Boldrini; nelle due belle tavole acquarellate, allegate alla richiesta, vengono rappresentati sia l’edificio, costituito da due casamenti, nello stato precedente l’intervento, sia il progetto di ristrutturazione mirante a
“ridurre a un solo fabbricato” il prospetto dell’edificio 31 (figure 4-5). È invece Giovan Battista Giovenale, noto architetto presidente dell’Associazione
artistica fra i cultori di architettura, che si occupò anche del ripristino di Santa Maria in Cosmedin (1896-99), a intervenire, su incarico del conte Ascanio
Costaguti, nella ristrutturazione e sopraelevazione (figura 6) del Palazzo Costaguti in piazza Mattei, tra il 1887 e il 1888: il progetto prevedeva di “rial-
30
31
C. BENOCCI, Palazzo Savelli
ASC, Titolo 54, prot. 17520,
(…), cit., p. 14.
anno 1867.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 315
Figura 4. Palazzo Orsini. Prospetto in via della Pescheria 38-43; stato precedente l’intervento di ristrutturazione (ASC, Titolo 54, prot. 17520, anno 1867).
Figura 5. Palazzo Orsini. Prospetto in via della Pescheria 38-43; progetto di ampliamento e ristrutturazione (ASC, Titolo 54, prot. 17520, anno 1867).
316 Carla Mazzarelli
Figura 6. Palazzo Costaguti. Progetto di sopraelevazione – G.B. Giovenale (ASC, Titolo
54, prot. 17063, anno 1887). Foto: Giulio Napolitano.
zare nella piazza, portando a livello della parte già sopraelevata [una prima
sopraelevazione era stata attuata già nel 1882] e di aprire due finestre nella
parte superiore del salone” 32.
Tali ristrutturazioni, piuttosto arbitrarie e basate sul criterio della reintegrazione, si spiegano anche con la scarsa considerazione con cui questi due
monumenti erano allora tenuti in conto. È quanto si evince dall’Inventario
dei Monumenti di Roma compilato dall’Associazione artistica fra i cultori di
architettura a partire dal 1895, sotto la presidenza di Gaetano Koch, e pubblicato tra il 1908 e il 1912, quando era presidente proprio Giovan Battista Giovenale. Tale catalogazione, alla base dell’elenco delle fabbriche aventi carattere storico e artistico allegato al regolamento edilizio del 1912, si rivela particolarmente interessante per avere un quadro dei criteri di tutela affermatisi
tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e per l’analisi e la scelta dei monumenti da salvaguardare del rione Sant’Angelo, alla vigilia delle demolizioni
degli anni Venti-Trenta. Nella nota introduttiva è chiaramente espressa la
funzione di tale catalogazione che “ha il duplice scopo di impedire il disperdimento o la manomissione del nostro patrimonio storico-artistico e agevo32
ASC,
Titolo 54, prot. 17063, anno 1887.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 317
larne lo studio” 33 ma, allo stesso tempo, l’Inventario vuole essere uno strumento per superare il problema del rapporto tra rispetto del monumento antico, “memoria” della città, e necessario progresso: “I monumenti dell’antichità, del Medio Evo e del Rinascimento sono in numero così grande che spesso
giungono ad ostacolare ed arrestare lo sviluppo e il rinovellamento della città
[…], è ora dovere del Governo e del Comune tutelare ad ogni costo questo
patrimonio, e coordinare alla conservazione di tali preziosi avanzi anche i lavori di pubblica utilità” 34. Gli edifici da salvaguardare sono divisi in tre classi e analizzati per singole parti, secondo un criterio “puntiforme” che non
considera il monumento nella sua interezza; un concetto che è alla base anche dei vincoli imposti con la legge 364 del 1909 fino al 1920. Alla Classe I
appartengono i “monumenti o parti di monumenti che devono essere assolutamente conservati dove sono e quali sono”, alla Classe II “monumenti o parti di monumenti che possono essere spostati”, alla Classe III “monumenti o
parti di monumenti che devono essere studiati ed illustrati avanti che subiscano qualsiasi trasformazione” 35. Appare chiaro che in realtà quest’ultima
classe contempla la possibilità della demolizione dell’edificio. La catalogazione dei monumenti del rione Sant’Angelo, compilata dall’architetto Francesco Galassi, presenta un numero significativo di edifici o parti di essi inclusi nella Classe III: tra questi, oltre ai palazzi Orsini, Costaguti, Lovatelli,
Senni, compaiono anche le chiese di Sant’Ambrogio, Sant’Angelo in Pescheria, San Stanislao dei Polacchi e l’Oratorio dei Pescivendoli; la fontana
delle Tartarughe e i “frammenti antichi” inseriti nei prospetti di palazzo Manili o della casa e torre dei Margana sono inclusi nella II – ne era dunque
contemplato lo spostamento – mentre sono da considerarsi di Classe I la
chiesa di Santa Caterina dei Funari – significativa eccezione visto che anche
la chiesa di Santa Maria in Campitelli è inserita nella Classe III – così come
gli “avanzi romani” del Portico d’Ottavia e del Teatro di Marcello “con costruzioni di epoca posteriore” 36.
33
Associazione artistica tra cultori di architettura, Inventario dei Monumenti di Roma; ciò
che si vede percorrendo le vie e le piazze dei XV rioni, Roma, 1908-12. È significativo notare
come le categorie “temporali” e stilistiche che secondo i compilatori dell’Inventario rendono
il monumento veramente tale siano quelle di “antico”, “medievale” e “rinascimentale”; ne sono esclusi il “barocco” e il “moderno”; tale criterio, tipico del gusto dell’epoca, spiega la minore considerazione di edifici o di parti di edifici come, ad esempio, Palazzo Orsini e Palazzo
Costaguti. Sull’Inventario si rimanda anche a R. MOTTA, Conservazione, demolizione, ricostruzione di strutture medievali lungo la via del Mare tra piazza Montanara e piazza della Bocca
della Verità, in Gli anni del Governatorato (1926-1945). Interventi urbanistici, scoperte archeologiche, arredo urbano, restauri (a cura di L. Cardilli), Roma, Kappa, 1995, pp. 61-68.
34
Ibidem.
35
Ibidem.
36
Ibidem.
318 Carla Mazzarelli
Tale criterio è alla base delle demolizioni e arbitrarie “ricostruzioni” che
si attuarono nel rione negli anni Trenta. A questo proposito interessante appare il caso di un edificio in piazza Montanara ai civici 25-27 di cui, nell’Inventario, Giovan Battista Giovenale, compilatore del rione Campitelli, descrive gli “avanzi romani, pilastro e trabeazione in travertino incastonati nella muratura” inserendolo nella Classe I; e che viene vincolato nel 1914 perché vi si innestava la facciata “dell’ex chiesa di Santa Maria in Vincio”, e per
la presenza di una “cornice medievale, sul muro esterno, lato destro” 37. Nonostante la segnalazione nell’Inventario e il successivo vincolo di tutela, tale
edificio è proprio tra quelli demoliti tra il 1926 e il 1930 per l’isolamento del
Teatro di Marcello, che portò, tra l’altro, alla scomparsa dell’intera area urbana di piazza Montanara, area caratterizzata da un tessuto edilizio di origine
medievale, il cui aspetto ci è ricordato da una ricca iconografia che ne documenta l’evoluzione nel corso del tempo 38. La documentazione rintracciata relativa a questo edificio ha permesso di ricostruirne, almeno in parte, l’aspetto
perduto. Nel 1835, infatti, i fratelli Cadlolo “proprietari di una casa posta in
piazza Montanara n 26” 39 denunciano alla Commissione Archeologica il ritrovamento, durante lavori “ai fondamenti” della loro casa, di “vari rocchi di
colonne e marmi colorati” 40. Alcuni rappresentanti della Commissione Archeologica recatisi in piazza Montanara così descrivono l’edificio: “Questa
casa è fabbricata sulle vestigia di un portico di alcun altro edifizio di quei
che erano in prossimità del Teatro di Marcello e fra queste vestigia si serbano sotterra archi grandi che si prolungano anche fuori dalla casa che ora viene ristaurata. E siccome sopra questi ruderi viene operato il restauro de’ muri
della casa, fu divisato di raccomandare ai Possessori del fondo di non guastarli o coprirli […]” 41. I materiali rinvenuti dovevano essere pertinenti del-
Scheda di vincolo dell’edificio in piazza Montanara 26-27.
Nelle diverse rappresentazioni della piazza si nota in particolare la caratteristica palazzina
settecentesca tra via dei Sugherari e via Montanara (molto ben visibile appare nell’incisione di
A. Moschetti della raccolta I principali monumenti di Roma, Roma, 1872, in cui viene raffigurata anche un’edicola sull’angolo destro della facciata dell’edificio). Tra gli edifici demoliti è da
segnalare anche la palazzina ai numeri civici 31-32 (nel 1868) di proprietà dei fratelli Ponti.
39
ASR, Camerlengato, parte II, tit. IV, b. 298, fasc. 3489.
40
Ibidem.
41
L’incaricato della Commissione Archeologica prosegue con una precisa descrizione dei
materiali rinvenuti: “I marmi poi sono un rocchio di colonna verso il sommo scapo di circa sei
palmi, del diametro di circa palmi tre di marmo bigio, una picciola colonna di porta santa di
dodici palmi circa, e del diametro di un palmo, ed un pezzo di fregio intagliato. I quali marmi
sia per alcune macchie bianche nel bigio, sia per l’idea della decorazione dell’edificio che forniscono le colonne di porta santa e il fregio sarebbe sommesso avviso della sezione che fossero comprati, quando i proprietari della casa intanto fossero avvertiti a non disperderli infino a
che non abbiano avuto la deliberazione che piaccia all’eminenza Vostra”. Ibidem.
37
38
ASBAAL,
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 319
l’antica chiesa di Santa Maria in Vincis, la cui facciata è riprodotta in un acquerello della fine del XIX secolo conservato presso l’Archivio fotografico
comunale 42. Nel 1882 lo stesso edificio viene sottoposto a una nuova ristrutturazione. Il proprietario, Augusto Cadlolo, infatti, chiede all’amministrazione la licenza per il restauro e la sopraelevazione dell’edificio: come chiaramente si evince dalle due tavole allegate (figure 7-8) alla richiesta, in cui, però, non viene fatto nessun accenno a strutture antiche da rispettare. La ristrutturazione di questa parte dell’edificio prevedeva, in totale omogeneità
con i criteri di ristrutturazione dell’epoca, oltre alla sopraelevazione, un moderato inserimento di elementi decorativi nel prospetto. Il criterio di demolizione “attenta” adottato nel 1926, secondo il quale vennero salvati e reintegrati quasi completamente edifici come la casina dei Vallati o l’edificio oggi
in via del Teatro di Marcello 5 (casina dei Pierleoni), conservati, in altri casi,
mensoloni, soffitti lignei, portali, elementi di finestre, non risparmiò la demolizione dell’edificio di piazza Montanara 25-27: i singoli elementi antichi
Figura 7. Edificio in piazza Montanara n. 25-27. Stato precedente l’intervento di ristrutturazione e sopraelevazione (Titolo 54, prot. 49606, anno 1882, dis. 2).
42
Cfr. M. ARMELLINI, Le chiese di Roma dal secolo IV al secolo XIX, 1942, I, Roma, Ruffolo,
p. 628. Lombardi identifica l’edificio con Sant’Andrea in Vincis. Cfr. F. LOMBARDI, Le chiese
scomparse, Roma, Palombi, 1996.
320 Carla Mazzarelli
Figura 8. Edificio in piazza Montanara n. 25-27. Progetto di restauro (Titolo 54, prot.
49606, anno 1882, dis. 3).
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 321
dell’edificio, considerati di maggior pregio, erano già stati venduti alla Commissione Archeologica nel 1836, secondo un’operazione lontanissima dal
moderno concetto di tutela di un insieme, di un agglomerato urbano che ha
la sua validità nella propria interezza.
La ricognizione dei vincoli imposti dalla Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici del Lazio nell’area, oggetto del nostro secondo studio, tra
le vie Ostiense e Portuense, ha reso evidente come la tutela di questa vasta
area della città extra moenia sia molto recente o in buona parte ancora da attuare. Tra i vincoli storici, imposti con la legge 364 tra il 1909 e il 1920, si
rintracciano solo quelli per il “Cimitero giudaico sulla via Portuense sia nella
parte scavata che in quella da esplorare” 43, il maestoso portale seicentesco attribuito al Girolamo Rainaldi della ex villa Rodiani appena fuori Porta Portese 44, la Tor Marancia in via delle Sette Chiese, vincolo del 1912 e, infine, in
“località ponte fratta” il portale d’ingresso di una villa, in seguito demolito,
vincolato nel 1916. La tutela del ricco patrimonio medievale e moderno è riferibile soprattutto agli anni Novanta ed è da considerarsi ancora in corso: il
complesso abbaziale dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane e la basilica di San Paolo sono stati vincolati nel 1994, i Mercati Generali nel 1990,
l’ex Arsenale-clementino di Ripa Grande solo nel 1999; del 1993 è il vincolo
al complesso scolastico “Cesare Battisti” in piazza Sauli, mentre del 1996 è
il vincolo imposto all’Albergo Rosso di piazza Biffi, un significativo episodio architettonico delle “case-albergo” degli anni Venti-Trenta 45.
Appare chiaro, d’altra parte, come di questa zona della città sia nelle guide che nelle vedute fino alla metà del XIX secolo venga colto in particolare il
fascino “naturale” delle grandi emergenze della basilica di San Paolo e della
piramide di Caio Cestio in rapporto alle vaste ville e vigne circostanti. Lo
stesso Stendhal, a passeggio lungo la via Ostiense, sembra rimanere incantato esclusivamente dalle “Rovine sublimi” e dall’“aria melanconica” della
bruciata basilica di San Paolo. È certo, comunque, che a partire dal 1823,
quando si avvia la “ricostruzione” della “ruinata” basilica di San Paolo, si
rinnova anche l’interesse per la tutela degli altri monumenti dell’area e del
suo patrimonio archeologico. Mentre, infatti, si intraprende il restauro della
Basilica Ostiense 46, si avviano anche provvedimenti per la conservazione
scheda di vincolo, notifica 28/10/1909.
scheda di vincolo, notifica 27/4/1929.
45
Si veda, su questo argomento, V. FRATICELLI, Roma 1914-1929, la città e gli architetti tra
la guerra e il fascismo, Roma, Officina, 1982.
46
Per uno studio sulla ricostruzione della Basilica Ostiense si rimanda anche a E. PALLOTTINO, La nuova architettura paleocristiana nella ricostruzione della basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma (1823-1847), «Ricerche di Storia dell’arte», 1995, 56, pp. 30-59. Numerosi
sono i privati che richiedono alla Commissione Antichità e Belle arti di partecipare al restauro
43
44
ASBAAL,
ASBAAL,
322 Carla Mazzarelli
della piramide di Caio Cestio 47, nei pressi della quale viene scoperto un mosaico nel 1823 48. Nel 1835 la Commissione Archeologica lamenta nuovamente lo stato di degrado, in particolare delle “pitture esistenti nell’interno
della piramide […]” 49 poiché “il reiteramento del fumo che nasce dall’accensione della resina ha annerito le pareti per modo che le vittorie dipinte nei
canti, e gli altri ornati difficilmente si ravvisano” 50. Sono particolarmente numerose, inoltre, le denunce per ritrovamenti durante scavi e gli abusi al patrimonio archeologico dell’area. Scavi e ritrovamenti sono segnalati nella “villa Martinette fuori Porta San Paolo […]”; “un rocchio di granito rosso” 51 viene ritrovato in una villa detta “La Loggetta” fuori Porta San Paolo 52, un mosaico viene ritrovato in una vigna fuori Porta Ostiense, mentre si scava nella
“Vigna Novelli al Monte Fantasia fuori la Porta Ostiense, contrada della Moletta” 53; il 9 maggio 1846, inoltre, Angelo Costantini “guardiano degli Acquedotti” denuncia che “fuori Porta San Paolo […] si demolisce dall’appaltatore Benedetto Crostarosa la via Laurentina” 54, specificando che “questa
via è una delle antiche romane cui vanno unite molte memorie storiche” e
che “il luogo appunto che si demolisce è uno dei più cogniti e più importanti
della topografia di Roma” 55.
I materiali iconografici fornitici dai fondi Titolo 54 e Ispettorato edilizio
documentano l’evoluzione urbanistica e architettonica di quest’area della città negli anni, particolarmente ricchi di interventi in questo senso, compresi
tra la fine del XIX secolo e gli anni Trenta del Novecento: ne emerge una
realtà articolata e ricca; un patrimonio perduto, da studiare e riconsiderare
anche alla luce di una maggiore attenzione a quel “conservato”, ancora in
gran parte privo di un’adeguata tutela 56.
della basilica: il conte Ascanio di Brezza chiede, nel 1824, “la licenza per prendere il disegno
e le piante della ruinata Basilica Ostiense”, lo stesso anno “Luigi Ravaglini e Focardi presentano diversi progetti per le nuove colonne necessarie alla vivicazione della Basilica Ostiense”,
Alessandro Laboureur nel 1825 chiede di essere considerato in occasione dei lavori di San
Paolo (ASR, Camerlengato, IV, parte I, b. 45; parte II, bb. 151, 157); un intero fascicolo
(Ibidem, b. 302, fasc. 3617) raccoglie inoltre le richieste di braccianti, pittori, falegnami, scalpellini, per poter partecipare ai lavori di ricostruzione della basilica.
47
ASR, Camerlengato, parte I, tit. IV, b. 39.
48
Ibidem, b. 46.
49
ASR, Camerlengato, parte II, tit. IV, b. 235, fasc. 2320.
50
Ibidem.
51
Ibidem, b. 235; 1839.
52
Ibidem, b. 234.
53
Ibidem, b. 235, fasc. 2294.
54
Ibidem, b. 298, fasc. 3489.
55
Ibidem.
56
Ci si riferisce soprattutto al patrimonio architettonico e di arredo urbano tra XIX e XX secolo, su cui solo di recente sono stati avviati studi sistematici. Si veda, tra questi: A. CAMPITELLI-M.G. TOLOMEO, Servizi generali e industrie private sulla via Ostiense, «Architettura e urba-
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 323
Alla fine dell’Ottocento l’area era ancora caratterizzata prevalentemente
da vaste tenute, punteggiate di casini agricoli. Andavano però proprio allora
sorgendo edifici di carattere più residenziale e articolati complessi industriali nei pressi del Tevere, anche se, come documentano le numerose richieste di licenze edilizie rintracciate negli stessi fondi, il passaggio dal “casale” o “casa rurale” al “fabbricato ad uso di abitazione” è lento e per diverso tempo le due tipologie convivono. Così tra il 1887 e il 1910, accanto alle
sempre numerose richieste per la ristrutturazione o edificazione di scuderie,
“capannoni” e locali “ad uso magazzino” 57, si moltiplicano, anche, riadattamenti di casali e case rurali in fabbricati abitativi, e nuove edificazioni; sintomatico, poi, di un concetto più residenziale dell’abitato dell’area è anche
la presenza, tra i progettisti dei nuovi edifici, di architetti di un certo prestigio. Ne è chiara e inedita testimonianza il progetto firmato Pio Piacentini
(figura 9) per la costruzione di un “casamento”, in via Ostiense 21, presentato nel 1898 58. La raffinatezza e originalità del prospetto dell’edificio di tipologia quasi neomedievale è chiara testimonianza di un tipico gusto eclettico utilizzato per una casa d’abitazione ancora con caratteri di villetta fuori
porta. È dai primi anni del Novecento che l’area si arricchisce di numerosi
complessi industriali: nel 1910 la Società angloromana fa mettere in funzione il nuovo Gazometro in via Ostiense, la Centrale Montemartini viene
completata nel 1913. Fin dal 1909, inoltre, inizia l’attività dell’Istituto case
popolari, per la realizzazione di programmi di edilizia di tipo economico e
popolare 59. Tale attività si incrementa dopo gli anni Venti per accogliere le
famiglie sfrattate dall’area centrale: i due più grandi interventi nell’area
Ostiense dell’Istituto case popolari sono l’Albergo Rosso di piazza Biffi,
edificato, su progetto di Luigi Sabbatini, nel 1927 e la borgata-giardino
Garbatella, la cui costruzione, secondo le intenzioni, doveva presentarsi come sobborgo operaio: “accanto alla sonante officina, il tetto familiare, gaio,
sereno, riposante” 60, scriveva nel 1923 Innocenzo Costantini, uno dei progettisti. Il patrimonio archeologico industriale, oggetto di indagine da parte
nistica», 1984, pp. 455-62; A. CAMPITELLI, Lo sviluppo industriale a Roma dal XIX al XX secolo,
Bologna, Nuova Città, 1989; La trasformazione della città. Proposte per l’area ostiense; C.
TULLIO-S. POLCI (a cura), Roma. L’architettura del lavoro. Ipotesi di recupero funzionale del
patrimonio edilizio non residenziale, Roma, La Piramide, 1987.
57
ASC, Titolo 54, prot. 300 (via Ostiense, anno 1889), edificazione di una scuderia; è del
1907 la richiesta presentata da Grasselli per “aggiungere alla casa una scuderia e un porticato
per il passaggio a coperto dei carri” in via di Pietra Papa (Titolo 54, prot. 9394, anno 1907).
Cfr. per questo aspetto V. FRATICELLI, Roma 1914-1929 (…), cit.
58
ASC, Titolo 54, prot. 1255.
59
Cfr. A. CAMPITELLI-M.G. TOLOMEO, Servizi generali (…), cit., pp. 445-46.
60
I. COSTANTINI, L’Istituto per le Case popolari a Roma. La Borgata giardino Garbatella,
«Architettura e Arti decorative», II, 3, novembre 1923, p. 119.
324 Carla Mazzarelli
Figura 9. Edificio in via Ostiense 21. Progetto di Pio Piacentini (Titolo 54, prot. 1255, anno
1898). Foto: Giulio Napolitano].
degli storici solo in anni recenti, 61 costituisce tuttora una rilevante presenza
dell’area Ostiense-Portuense; a partire dal 1910 circa le licenze edilizie per
la costruzione di stabilimenti industriali sono molto numerose: accanto ai
grandi complessi pubblici sorgono diverse fabbriche private, anche di piccole dimensioni e in stretta relazione con gli stabilimenti di maggiore importanza. È il caso dello StabilimentoTipografico in via del Collettore, realizzato su progetto di Emilio Albertini 62 nel 1899; nello stesso anno viene
realizzato uno stabilimento di prodotti chimici, colle e concimi (per la produzione delle quali venivano utilizzati gli scarti della macellazione del Mattatoio) in vicolo di Pietra Papa, “nell’ex vigna Ceccarelli”, su progetto di
Giulio Filippucci (figure 10-11), ingrandito ulteriormente nel 1907 63; nel
1906 si progetta un grande deposito di petrolio e benzina sempre “nella località di Pietra Papa” 64; una certa cura negli elementi decorativi dei prospetti e degli interni caratterizza spesso tali complessi: caso emblematico è
61
Uno dei primi e sistematici studi è quello di F. BORSI, Introduzione all’Archeologia industriale, Roma, Officina, 1978.
62
ASC, Titolo 54, prot. 71975, anno 1899.
63
ASC, Titolo 54, prot. 60019 (anno 1899); Titolo 54, prot. 5421 (anno 1907).
64
ASC, Ispettorato edilizio, prot. 105480, 1906.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 325
quello della Centrale Montemartini ma è interessante segnalare anche il progetto di decorazione, affidata a Giovanni Canevari nel 1912, della facciata
di un “capannone” della Società industrie estrattive 65.
A partire dal 1918 si dà avvio, su progetto di Costantino Moretti, alla costruzione in via dei Papareschi “presso il porto fluviale” del grande complesso per la produzione di “Candele Steariche” Mira Lanza 66.
Come si è detto è tra gli anni Venti e gli anni Trenta che si devono collocare i più importanti interventi dell’Istituto case popolari nell’area OstiensePortuense. Sono gli anni in cui i modelli d’intervento dell’Istituto tendono a
differenziarsi: dai grattacieli per abitazioni intensive di val Melaina e Villa
Pamphili al progetto delle “case rapide” della Garbatella, il cui primo nucleo
nasce nel 1920-22 su un impianto urbanistico di Gustavo Giovannoni e Piacentini. In realtà, rispetto agli esempi delle note e famose città-giardino o dei
sobborghi giardino precedenti e contemporanei, nel caso della Garbatella si
preferì agli isolati di case a schiera il sistema della lottizzazione a villette a
due o tre appartamenti, differenziando il più possibile le diverse tipologie.
Più che al ceto operaio, dunque, la borgata Garbatella risultò dedicata alla
nuova media borghesia industriale. La tipologia rimane quella dei villini, come mostrano chiaramente anche i progetti, realizzati da Innocenzo Costantini, conservati nel Fondo Ispettorato edilizio 67 (figure 12-17); gli edifici assumono a volte l’aspetto di piccoli cottage, mentre la volontà del progettista
appare chiaramente quella di rappresentare il complesso come in stretto rapporto con il verde circostante, in armonia con l’ambiente naturale di cui viene volutamente amplificata la consistenza; sembra, infine, contribuire a connotare in senso “borghese” e rassicurante l’intero contesto delle costruzioni,
l’inserimento, negli accurati progetti di gusto liberty, di personaggi come il
pensoso e anziano passante.
È nel 1927, invece, che viene realizzato su progetto di Luigi Sabbatini
l’Albergo Rosso in piazza Biffi (figure 18-21), una costruzione che per la sua
specifica caratterizzazione costituisce, insieme al sanatorio Cesare Battisti,
uno dei più recenti vincoli imposti nell’area. La campagna di vincolo della
zona Ostiense, che proprio in questi ultimi mesi si avvia ad essere completata, segue criteri che tengono a valorizzare in particolare i complessi di più recente edificazione considerati anche e soprattutto per il loro valore di testimonianze storiche.
65
66
67
ASC,
ASC,
ASC,
Ispettorato edilizio, prot. 676, 1912.
Ispettorato edilizio, prott. 1721; 2151; 27; 256; 1720; 401; 3214; 3906; 1646.
Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920.
326 Carla Mazzarelli
Figura 10. Stabilimento di prodotti chimici, colle e concimi in via di Pietra Papa, prospetto.
Progetto di Giulio Filippucci (Titolo 54, prot. 60019, anno 1899). Foto: Giulio Napolitano.
Figura 11. Stabilimento di prodotti chimici, colle e concimi in via di Pietra Papa, pianta
e rapporto con il fiume (Titolo 54, prot. 60019, anno 1899). Foto: Giulio Napolitano.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 327
Figura 12. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Tipologia di casetta, tipo A.
Progetto di I. Costantini (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
328 Carla Mazzarelli
Figura 13. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Tipologia di casetta, tipo B.
Progetto di I. Costantini (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 329
Figura 14. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Tipologia di casetta, tipo B.
Progetto di I. Costantini (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
330 Carla Mazzarelli
Figura 15. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Prospetto laterale di casetta.
Progetto di I. Costantini (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 331
Figura 16. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Prospetto laterale di casetta.
Progetto di I. Costantini (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
332 Carla Mazzarelli
Figura 17. Istituto case popolari, Borgata giardino Garbatella. Veduta generale. Progetto di I. Costantini. (Ispettorato edilizio, prot. 1810, anno 1920). Foto: Giulio Napolitano.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 333
Figura 18. Quartiere Garbatella, Progetto di Albergo in piazza E. Biffi, planimetria –
L. Sabbatini (Ispettorato edilizio, prot. 22115, anno 1928). Foto: Giulio Napolitano.
334 Carla Mazzarelli
Figura 19. Quartiere Garbatella, Progetto di Albergo in piazza E. Biffi, prospetto – L.
Sabbatini (Ispettorato edilizio, prot. 22115, anno 1928). Foto: Giulio Napolitano.
Figura 20. Quartiere Garbatella, Progetto di Albergo in piazza E. Biffi, prospetto, part.
– L. Sabbatini (Ispettorato edilizio, prot. 22115, anno 1928). Foto: Giulio Napolitano.
La tutela del patrimonio architettonico e artistico fra XIX e XX secolo 335
Figura 21. Quartiere Garbatella, Progetto di Albergo in piazza E. Biffi, prospetto su via laterale – L. Sabbatini (Ispettorato edilizio, prot. 22115, anno 1928). Foto: Giulio Napolitano.