NewsMagazine n. 21 - Dipartimenti - Università Cattolica del Sacro

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Dipartimento di Sociologia
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano
Gruppo
Interstizi & Intersezioni
NewsMAGAZINE n. 21
Inverno 2010/2011
Il segreto dell’attività creativa sta nel conservare la giovinezza.
Il segreto della genialità, nel conservare l’infanzia,
la disposizione d’animo dell’infanzia per tutta la vita.
(Pavel Florenskij)
Cari destinatari,
non è questa la sede in cui affrontare un’analisi della recente legge di riforma dell’università, che personalmente
ritengo precarizzante e punitiva nei confronti dei ricercatori e docenti, trentamila persone che svolgono un ruolo
chiave in un grande paese di sessanta milioni di abitanti, unico al mondo per la sua storia e la sua cultura. Mi limito
a rilevare la grande assente da questa riforma: la ricerca e la passione della ricerca, senza la quale – come scriveva
Max Weber un secolo fa – non è possibile intraprendere questa professione che è anche vocazione, Beruf. E’ solo
questa passione, unita ad un lavoro diuturno, che può portare alla scoperta in campo scientifico così come ad analisi
creative per affrontare i problemi sociali, compito quest’ultimo delle scienze umane. E vorrei osservare che nel
giorno dell’approvazione della riforma al Senato, nel dicembre scorso, gli studenti universitari hanno sorpreso tutti
andando a manifestare, in modo non violento, non nel centro blindato di Roma ma nelle periferie: i giovani hanno
messo al centro la periferia, rivalutando simbolicamente le zone povere e marginali, i luoghi di passaggio, i terrains
vagues dei suburbi. Mi sembra un esempio di creatività, di pensiero che ben si accorda alla logica degli “interstizi” a
cui si ispira la nostra impresa. Con i migliori auguri.
Giovanni Gasparini
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1. Forum su “2010/2000 – Un decennio di cambiamenti”, a cura di Giovanni Gasparini
(Giovanni Gasparini, Maurice Aymard, Elena Riva, Laura Balbo, Stefano Angeli, Domenico Bodega, Fausto Colombo,
don Antonio Torresin)
2. Incontri
•
Nicoletta Polla-Mattiot, Appuntamento col silenzio
3. Libri & Scritti
•
•
•
Pierantonio Frare, Il potere della parola. Dante, Manzoni, Primo Levi
Maddalena Colombo, Una ricerca sugli early school leaver guarda all’innovazione nelle politiche per il successo
formativo
Antonella Occhino, Il tempo libero nel diritto del lavoro
4. Arte & Comunicazione
•
Gigi Cotichella, Una Giornata da Dio (Ammesso che sia in casa)
5. Vita quotidiana
•
•
Giovanni Gasparini, La leggerezza insostenibile dell’email
Marco Ermentini, Tre voci da “Architettura timida. Piccola enciclopedia del dubbio
6. Rubrica “Le città interstiziali”
•
Francesca Maci, Hong Kong
Pubblicazioni recenti
Prossimi eventi
1. Forum su “2010/2000 - Un
decennio di cambiamenti”
a cura di Giovanni Gasparini, Università
Cattolica, Milano
@ Introduzione – Norme e normatività nella vita
quotidiana
Introducendo questo Forum, che non mira certo
all’esaustività ma che vuole offrire su alcune aree
della vita associata una serie di flash, indico a mia
volta un tratto sociostrutturale che nell’ultimo
decennio ha assunto proporzioni via via più ampie
e invasive. Si tratta dello sviluppo inarrestabile
delle norme che reggono la vita quotidiana dei
singoli e la loro partecipazione alle organizzazioni
e istituzioni della società contemporanea (aziende,
unità
produttive,
servizi,
pubblica
amministrazione e così via). Un elemento
decisivo al riguardo mi sembra lo sviluppo delle
tecnologie moderne della comunicazione, e in
generale dell’elettronica, informatica e telematica,
che oltre a condizionare i nostri comportamenti (si
pensi ad es. alla normatività inaggirabile insita nei
computer) controllano in misura crescente e
impressionante la nostra attività, fotografando e
cineriprendendo, registrando i nostri movimenti e
comunicazioni, ricostruendo da tracce indelebili
(come l’uso di una carta di credito o di un badge)
le nostre azioni nel tempo. Fra altri esempi cito il
rapporto con l’automobile, specie in ambito
urbano. Salire in macchina e mettersi a guidare
comporta obbligatoriamente allacciare la cintura
di sicurezza, altrimenti la suoneria non cessa di
inviare i suoi segnali di avvertimento, e avvalersi
di ogni altro sistema di controllo previsto (come i
seggiolini per i bambini); rispettare in ogni
dettaglio regole che talvolta sono impossibili da
rispettare (come il limite dei 50 kmh in città),
l’interdizione di zone ZTL o Ecopass, i sensi
vietati e i lunghi giri per raggiungere certi luoghi,
il divieto di penetrazione in vaste zone pedonali…
il tutto con continui controlli elettronici
sull’accesso alle zone proibite e sulla velocità
(Autovelox). Anche le sanzioni sono diventate
molto più severe e ansiogene: l’introduzione della
patente a punti ne è una prova. Il parcheggio in
città è un vero azzardo, e in ogni caso sottoposto
di regola a pagamento, persino nelle zone
periferiche come dimostra il caso recente di
Milano. Continuando con l’esempio della guida e
del traffico veicolare, tutto questo non ha avuto
risultati apprezzabili sulla sicurezza personale dei
pedoni, sempre sottoposti al rischio di incidenti
gravi nelle aree urbane, e ha generato effetti
collaterali trasgressivi, come quelli dei ciclisti che
percorrono in bici i marciapiedi riservati ai
pedoni: si tratta di una pratica ormai corrente e
non sanzionata in diverse città italiane. Concludo
con alcuni altri accenni sulla vita quotidiana.
Anzitutto, si è moltiplicato il numero degli oggetti
senza i quali “non si può uscire di casa”, salvo
essere fortemente penalizzati: non solo le chiavi di
casa e della macchina ma il documento d’identità,
la carta di credito oltre al denaro contante, il
telefono cellulare, la chiavetta usb ed
eventualmente il computer portatile, una serie di
badge per accedere ai luoghi consueti di lavoro,
parcheggio ecc., il tesserino sanitario, il tesserino
fiscale, altre tessere varie. In secondo luogo, gli
scambi commerciali e di servizi esigono
certificazioni date da scontrini, ricevute e fatture,
oltre che il ricorso al codice fiscale. In terzo
luogo, si assiste ad una moltiplicazione capillare
dei controlli burocratici in tutte le attività della
pubblica amministrazione, tra cui l’Università
stessa. Il paradosso è che, in questo contesto
sempre più fitto di norme e di procedure da
seguire in ogni ambito individuale e
organizzativo, continuano a manifestarsi forme di
devianza clamorose, quelle che vengono indicate
come scandali e che in questi anni hanno investito
i campi più diversi: politica, amministrazione,
edilizia e urbanistica, aziende in genere, sport,
evasioni fiscali perpetrate da singoli. Si direbbe
che nel decennio trascorso in Italia si sia
proceduto su due binari divaricati: da un lato
l’aumento implacabile delle norme che incidono
sulla vita quotidiana a tutti i livelli, dall’altro
forme di devianza che in certi contesti
socioprofessionali e territoriali assumono valenza
diffusa e persino di scandalo, allorché vengono
messe in luce.
Giovanni Gasparini
@ Dall’Europa al mondo: la una sfida per le
scienze sociali
«Non c’è una storia di Francia, c’è soltanto una
storia d’Europa», scriveva Marc Bloch negli anni
1930. Quarant’anni dopo, citando Marc Bloch,
Fernand Braudel aggiungeva: «Non c’è una storia
d’Europa, c’è soltanto una storia del mondo».
Tutti e due avevano anticipato un mutamento
necessario sia della storia, sia delle altre scienze
sociali, di cui pensavano che dovevano
condividere la stessa esigenza e lo stesso rapporto
colle società nelle quali si sviluppavano. Per dirlo
in termini che sono più quelli di Braudel che di
Bloch, ma che Bloch, difensore del metodo
regressivo - dal più conosciuto, perchè più vicino
2
a noi, al meno conosciuto, perchè più lontano –
avrebbe potuto accettare, il presente rinnova
sempre le domande che fa al passato. E il passato,
pure se non basta a spiegare il presente, aiuta a
capirlo, perchè vi è sempre almeno in parte
presente. Lo dobbiamo confessare: da storici e
scienziati sociali, abbiamo seguito con ritardo e
lentezza questi suggerimenti. Abbiamo aspettato
la fine degli anni 1960 per adattare le nostre
discipline alla nuova dimensione europea che il
processo d’unificazione all’ovest, prima, poi
l’allargamento all’est dopo il 1989 ci imponevano.
Abbiamo dovuto superare le nostre abitudini, i
limiti delle nostre lingue, delle nostre istituzioni e
delle nostre tradizioni scientifiche nazionali. A
poco a poco, la circolazione dei professori,
ricercatori e studenti e il moltiplicarsi degli
incontri scientifici hanno imposto il quadro
europeo come orizzonte delle nostre ricerche. Non
bastava però questa prima tappa. Concentrando la
nostra attenzione sull’Europa, abbiamo lasciato in
secondo piano il resto del mondo. Il riferimento
alla globalizzazione di cui potevamo misurare
ogni giorno gli effetti non ci ha spinto ad
affrontare subito la seconda tappa della strada: il
superamento dell’eurocentrismo concettuale delle
nostre discipline, confortato dal peso delle nostre
istituzioni di formazione, di valorizzazione e di
legittimazione della ricerca. Non si trattava
soltanto di pensare il mondo, ma anche di
confrontare i nostri punti di vista, le nostre
interrogazioni e le nostre problematiche con quelli
delle nuove comunità scientiche che, dall’Asia
all’Africa e all’America Latina. si moltiplicavano
e affermavano il loro dinamismo, la loro
autonomia, e l’originalità delle loro culture e delle
loro società. Abbiamo tardato a riconoscere che
questa «diseuropeanizzazione del mondo», messa
in evidenza da Wolf Lepennies a Singapore più di
quindici anni fa, apriva la strada a una
rifondazione delle nostre discipline a scala
mondiale, su una base che non poteva essere, in
un primo tempo, che multilaterale e aperta alla
diversità delle culture e delle situazioni locali.
Tale svolta, iniziata intorno al 2000, comincia a
far sentire i suoi primi effetti positivi. Ma siamo
soltanto all’inizio della strada.
Maurice Aymard, EHESS, Parigi
@ 10 anni di vita italiana
Dieci anni fa cominciavano il ventunesimo secolo
e il terzo millennio, ma sembrano passati secoli
tanti sono i cambiamenti, le innovazioni e le vere
e proprie rivoluzioni che hanno modificato
drasticamente il modo di vivere degli Italiani. E se
a primeggiare è sicuramente la tecnologia che ha
subito incessanti trasformazioni anno dopo anno,
non mancano quegli elementi, come i brand e i
marchi, che hanno saputo modificare lo stile di
vita anche in settori come l’alimentazione e la
gastronomia, il mondo del divertimento e del
tempo libero, la moda e, infine, il modo di
informarsi, conoscere e apprendere. Questi brand
non si sono imposti solo come status symbol, ma
piuttosto come elementi di forza che hanno
mutato la vita del paese, rendendola più facile e
comoda e fornendo veri e propri stili di vita
alternativi, divertenti e mai visti, non solo per i
giovani. Se nella classifica speciale spicca la
tecnologia con gli iPod, gli iPhone e gli iPad, a
ruota ne seguono altri. In primis il food-fenomeno
del brunch che ha mutato la domenica a tavola
degli italiani, soprattutto nelle grandi città, oltre a
quello degli agriturismi che hanno fatto loro
riscoprire la natura e il cosiddetto cibo biologico.
Ultima rivoluzione gastronomica è quella del
commercio equo e solidale che, a piccoli passi, ha
trovato spazio anche nella grande distribuzione
italiana, facendosi conoscere al grande pubblico.
Un’altra rivoluzione culturale è rappresentata
dalla filosofia del low cost che non solo ha
imposto un nuovo modo di viaggiare
rivoluzionando i cieli con prezzi convenienti e
appetibili a tutti, ma ha imposto importanti
variazioni anche al mondo dell’industria della
moda con riflessi a cascata sulla comunicazione
pubblicitaria. Ma i primi dieci anni del XXI
secolo sono anche gli anni del boom di un nuovo
format televisivo: i reality che hanno
rivoluzionato i palinsesti delle tv generaliste
italiane, insieme con la pay-tv che offre con
centinaia di programmi monotematici e ha portato
in Italia l’HD, l’High Definition delle immagini:
un’innovazione nell’approccio al mezzo di
comunicazione di massa più amato dagli italiani
che inizia a coinvolgere tutti con l’avvento del
“digitale
terrestre”.
Rivoluzioni
anche
nell’informazione
e
nell’industria
dell’intrattenimento. Nata il 15 gennaio 2001,
Wikipedia,
l’enciclopedia
multilingue
collaborativa, online e gratuita, è diventata il
punto di riferimento per tutti i naviganti che hanno
abbandonato negli anni le polverose e
mastodontiche enciclopedie, lasciate a far
“libreria” sugli scaffali. Con una media di 60
milioni di accessi al giorno, più di 10 milioni di
voci, 34 milioni di pagine e con la sua filosofia di
“pubblicazione aperta a tutti” si è imposto come
uno dei dieci siti più visitati al mondo. Viaggia
sempre sul World Wide Web il fenomeno
d’intrattenimento del momento, il social network
per antonomasia, ovvero Facebook, capace di
3
attirare l’attenzione di giovani e adulti, che è stato
in grado di modificare i rapporti interpersonali e
di annullare le distanze in maniera immediata con
amici e parenti. Tuttavia, in cima alla mia
personale graduatoria delle rivoluzioni culturali
più importanti, svettano gli sms (acronimo di short
message service), il servizio messaggi brevi che
ha trasformato le modalità di comunicazione di
miliardi di persone, facilitando i contatti personali,
ma impoverendo la lingua propria della
comunicazione verbale. Mi chiedo spesso, da
storica, cosa penseranno e scriveranno di noi i
miei colleghi del futuro quando utilizzeranno i
nostri sms come fonti storiche per spiegare ai
posteri come erano i loro avi. Forse è meglio non
porsi questo genere di domande!
Elena Riva, Università Cattolica, Milano
@ La politica
Il futuro è una parola oggi al centro
dell’attenzione (all’ attenzione della politica, ma
anche di tutti noi, nel vivere quotidiano). Alcune
rapide riflessioni. Nei percorsi scolastici – dalle
elementari in avanti – viene dato molto spazio all’
insegnamento della storia: si comincia con il
paleolitico, e poi il neolitico, e gli ittiti e i sumeri
e i babilonesi; e avanti, la storia greca e romana e
si arriva agli etruschi, via via si arriva al Medio
Evo. Il punto però è questo: mancano lo spazio e
il tempo per avvicinarsi al presente. Non
ricevono, le “nuove generazioni”, non soltanto
adeguate informazioni ma nemmeno un quadro
della società in cui sono collocati. E nessuna
attenzione, nessun interrogativo, sugli anni che
abbiamo davanti. Dico le “nuove generazioni”.
Ma se ci pensiamo tutti siamo in tanti modi tenuti
lontani, distratti, da conoscenze e riflessioni
sufficientemente approfondite sui processi in
corso. Resi preoccupati, impauriti e rassegnati. E
non siamo messi nelle condizioni di portare uno
sguardo consapevole, attento, su scelte e proposte
e scenari del futuro. Dunque, impegnarci a farlo
maturare, questo sguardo, è una urgente questione
“politica” (nel senso ampio della parola). Lo dico
anche
così:
impegnarci
a
lavorare
sociologicamente a una “cultura del futuro”. Certo
non a livello “nazionale” o “locale”: è ovvio che il
riferimento deve essere alla dimensione europea
(perlomeno). O possiamo anche dire “globale”,
ma in un senso articolato, come suggerisce Saskia
Sassen, che parla di “nuova realtà in divenire”, dei
“nuovi attori” e degli “attori emergenti”. Il tema
della cultura del futuro potrebbe essere un
riferimento. E penso che ci sono sedi e occasioni
di incontro e di dibattito per lavorare in questo
modo sui processi in atto: ci sono le reti, i siti;
anche i media (almeno alcuni). Portarli nelle
istituzioni della formazione scolastica e
universitaria; al “pubblico” – in crescita – della
formazione permanente, che sempre più diventerà
importante negli anni che abbiamo davanti.
Laura Balbo, Università di Ferrara
@ Il libro (l’editoria)
Secondo dati recentemente resi pubblici
dall’Associazione italiana editori (rielaborazioni
di fonti Istat) dal 2000 ad oggi quanti dichiarano
di aver letto almeno 1 libro all’anno sarebbero
passati da 21.140.000 a 26.440.000 individui (dal
38,3% al 46,8% della popolazione italiana, con un
incremento de 15%). Inoltre all’interno di questo
universo quanti avrebbero letto almeno 1 libro al
mese (i lettori “forti”) sarebbero cresciuti con un
incremento ancora maggiore (da 2.558.000 a poco
più di 4.000.000, +49%). Si tratta di dati
sorprendenti, variamente spiegabili (la crescita
della scolarizzazione), che dovrebbero diffondere
ottimismo tra quanti il libro amano e in vario
modo con esso o attorno ad esso operano. Eppure
non è affatto questo il sentimento che qui si
respira. Anzi, il contrario è sicuramente vero e i
motivi sono innumerevoli, ma tutti cooperano per
addensare sul futuro nubi di una tempesta
imminente (in certe realtà già presente: nei paesi
anglosassoni l’editoria – come prima l’industria
musicale e poi l’informazione quotidiana – è oggi
vissuta come un settore in crisi strutturale). Alle
radici sta la pervasività dei cambiamenti che la
digitalizzazione e la rete promettono di produrre
non solo sui modi di distribuire (libro cartaceo/vs
ebook), ma (il che è socialmente assai più
rilevante) su un certo modo di creare, organizzare,
riflettere e condividere i contenuti del pensiero. Il
libro è stato per secoli il modello con cui
apprendere tanto a disciplinare il proprio pensiero
quanto ad entrare con rispetto ed empatia
nell’immaginario e nei sentimenti altrui. Senza
nulla
togliere
allo
straordinario
valore
partecipativo e di immediatezza delle nuove
comunicazioni possono assicurare (da ultimo gli
eventi nei paesi arabi lo testimoniano), la mia
speranza è che si riesca ad imparare in un futuro
prossimo a far convivere equilibratamente questi
valori con quelli che una tradizione di lavoro
intellettuale (di cui il libro è la concretizzazione)
ci ha trasmesso: l’importanza della responsabilità
e della riflessione individuale, la pratica metodica
del dubbio, del ragionamento critico e della
verifica (in specie delle fonti). E quindi il mio
augurio è che si riesca a mantener vivi (con i libri)
anche questi valori presso le generazioni digitali,
insegnando loro ad apprezzare e utilizzare i nuovi
4
media per quel che offrono: che è molto, ma non è
tutto.
Stefano Angeli, editore
@ L’azienda
L’immagine prevalente oggi è una combinazione
di mercato e di gruppo. Questo dualismo crea un
interessante paradosso: il mercato privilegia
individui intraprendenti, imprenditori con mano
libera, mentre la “squadra” richiede specialisti con
vincoli comuni, sociali e professionali.
Mercato e comunità sono così differenti? La
comunità si fonda sulle virtù morali di
cooperazione e di fiducia, anche il mercato
possiede al fondo assunti impliciti di fiducia e di
mantenimento di promesse. Senza questi
fondamenti morali pre-contrattuali il mercato
fallirebbe con l’aumento dei costi di transazione
tipici dei sistemi altamente politicizzati. Questa
opposizione binaria lascia spazio alla simultaneità
e alla compresenza di ciò che crea esperienza
nelle organizzazioni: l’accentramento e il
decentramento, il lavoro di gruppo e la
responsabilità individuale, il bisogno di
cambiamento e la necessità di continuità, la
visione di lungo termine e i risultati gestionali di
breve termine; tutti evocati con eguale
convinzione.
Questa
compresenza
è
essenzialmente l’equilibrio entro cui avvengono le
scelte gestionali delle imprese: la ricerca
simultanea di controllo e di consenso, di
ottimizzazione e di integrazione, di coerenza e di
adattamento tra persone, strategie e obiettivi
aziendali. Questi opposti non sono scelte tra
alternative, la cui appropriatezza dipende dalla
specificità del contesto, ma rappresentano
dualismi che richiedono di essere riconciliati e
bilanciati in modo dinamico. Forze opposte come
il breve e il lungo termine, la differenziazione e
l’integrazione, gli orientamenti all’interno o
all’esterno, la gerarchia e la rete, il controllo dei
costi e la qualità totale cambiano con continuità,
quasi senza possibilità di essere riconciliate
definitivamente e generano tensioni. Nei contesi
ambientali del passato, queste tensioni
assumevano la forma di picchi, di cicli di stabilità
e di cicli rivoluzionari, come nei modelli di
equilibrio puntuato. Nei contesti moderni
complessi e a rapido cambiamento, caratterizzati
in alcuni settori da ipercompetizione, le tensioni
sono permanenti, la variabile dipendente diventa
la tensione tra opposti, più che la coerenza rispetto
a risultati difficilmente definibili. Molte
organizzazioni appaiono oggi in equilibrio
precario tra forze opposte accuratamente
identificate.
Domenico Bodega, Università Cattolica, Milano
@ Un evento nel decennio: il campionato del
mondo del 2006
Il 9 luglio 2006 la nazionale italiana di calcio
vinse (per la quarta volta nella storia della
manifestazione) il campionato mondiale, che si
disputava in Germania. Sembrava aprirsi una
stagione di svolta per il nostro Paese: l’Unione di
Centrosinistra aveva vinto le elezioni dopo il
primo quinquennio di governo berlusconiano, che
era stato controverso e aveva scontentato molti.
Qualcuno osservò che la concomitanza
richiamava un’altra stagione di rinascita (gli anni
Ottanta), aperta ufficialmente nel 1982 dalla
precedente vittoria ai Mondiali. Le cose,
naturalmente, non stavano così, e vale la pena di
rileggere brevemente quella vicenda, nelle sue
radicali differenze dal 1982, per coglierne i brividi
premonitori di una stagione invece buia, da cui il
nostro Paese non è ancora uscito. Prima di tutto, la
nazionale di calcio del 2006 usciva dal terremoto
appena incipiente di Calciopoli: la testimonianza
di una passato prossimo di corruzione e di vicende
poco chiare in cui parevano invischiati alcuni dei
giocatori-simbolo di quella squadra (a cominciare
dal suo capitano). La squadra si giocava non
soltanto una vittoria sportiva, ma anche un
tentativo di riscatto, o forse più propriamente di
amnistia. Se la mitica nazionale del 1982, allenata
da Enzo Bearzot, aveva fatto quadrato nel proprio
silenzio stampa per difendere la propria
compattezza e azzerare spiacevoli gossip, quella
di Lippi si chiuse a riccio in un risentimento solo
vagamente comprensibile, sapendo di poter
riconquistare la propria dignità solo con una
vittoria finale che avrebbe riscattato i singoli
giocatori. Un segnale di individualismo collettivo
su cui occorrerebbe riflettere, per comprendere
molto dell’Italia di oggi. Secondo punto: come la
vittoria dell’Unione alle elezioni, quella della
Nazionale ebbe qualche punto oscuro. L’Unione
vinse sul filo di lana, dopo una grande rimonta
berlusconiana. Fu subito chiaro che la coalizione
sarebbe stata a rischio, e governare avrebbe
rappresentato un’impresa difficilissima. Anche la
nazionale vinse con la Francia ai rigori, dopo un
episodio oscuro, quello della testata di Zidane a
Materazzi, che probabilmente lo aveva duramente
provocato. Zidane fu espulso, e la Francia ebbe un
prezioso rigorista in meno…Rispetto alla trionfale
battaglia con la Germania del 1982, la finale 2006
fu tignosa, difficile, risolta come si risolvono le
partite ai penalties, quando non ci si libera mai dal
controfattuale (se qualcuno dei nostri avesse
sbagliato…). Il calcio italiano visse dopo quel
trionfo momenti difficili, da cui non può dirsi del
tutto uscito ancora oggi, malgrado i trionfi
5
interisti. Come il nostro Paese, che dal 2008 è
sprofondato in un altro ottimistico incubo…Terzo
punto: i festeggiamenti. Che nel 2006 furono –
senza esagerazione – simili a un trionfo pagano: i
giocatori furono accolti a Roma come vincitori di
una campagna militare e letteralmente celebrati
come gli antichi vincitori dei giochi olimpici
(salvo con meno buon gusto). I campioni del
mondo del 1982, per la cronaca, erano stati accolti
al Quirinale e a Palazzo Chigi, e poi erano fuggiti
a casa, per cominciare le meritate vacanze con le
famiglie…La morale di questo aspetto è che la
sinistra al governo celebrò la nazionale in modo
assolutamente berlusconiano. E tutti sappiamo
come andò a finire quell’esperienza politica. Qual
è il messaggio che quella vittoria ci lascia? Aveva
detto Sandro Pertini, intervistato sul significato
dei Mondiali 1982: questa è la nostra domenica.
Veniamo da una lunga settimana, e sappiamo che
un’altra verrà, non meno impegnativa. Almeno,
godiamoci la festa. Il 2006 invece fu come il
leopardiano sabato del villaggio: sembrava
annunciare una felicità che non venne,
semplicemente perché poi smettemmo tutti di
cercare di costruirla.
Fausto Colombo, Università Cattolica, Milano
@ Cosa è cambiato nelle nostre chiese
Difficile descrivere i cambiamenti di luoghi e
ambienti che sono stati familiari nel panorama di
senso e fede di lunga tradizione. Ad un approccio
teorico preferisco uno descrittivo a partire dalla
finestra più accessibile. Quando una persona
qualsiasi entra in una chiesa, dopo 10/20 anni cosa
potrebbe notare? Anzitutto la diminuzione dei
fedeli e l’aumento dei capelli bianchi. Una Chiesa
invecchiata, che affronta una stagione che sembra
più quella di un tramonto che non di un inizio.
Correlativamente poi vedrebbe la mancanza di
bambini e di giovani: qualcuno ha parlato di un
grembo sterile, e comunque di una Chiesa che
vive il distacco sofferto da una generazione
giovanile che le sembra estranea, tangenziale.
Certo, tutto questo ha a che fare con la statistica e
un invecchiamento che riguarda tutta la società
italiana. Il dato andrebbe circostanziato meglio,
ma colpisce. Non solo invecchiano i fedeli ma
anche la “classe dirigente” in perfetto parallelismo
con quella sociale economica e politica. Meno
preti, più spostamenti: a chi entra in Chiesa
interessano poco queste faccende, ma forse
percepisce cambiamenti in atto nelle strutture,
nelle configurazioni delle parrocchia. Cose che si
capiscono poco e sembrano “affari interni” ma
che s’intuisce stanno consumando non poche
energie in chi ha una responsabilità ecclesiale.
Andando oltre i numeri probabilmente
bisognerebbe parlare di un cambio di linguaggio:
non si sente più parlare di temi classici della
teologia preconciliare (grazia e peccato, sacrificio
e espiazione, morte e colpa…) ma si nota un
nuovo linguaggio. Da una parte certamente più
biblico, ma non senza una nuova retorica dove
molto si parla di senso, meno di verità, di amore,
solidarietà, comunione, missione… le parole sono
sempre delicate: alcune si perdono, altre si
consumano in un uso eccessivo. In ogni caso non
sembra che la retorica ecclesiale goda di ottima
salute: chi frequenta la chiesa non sempre vi trova
in un clima di ascolto. A volte si percepisce un
po’ di noia. Tutto negativo? In realtà non è così.
Oggi chi pratica non lo fa più per inerzia sociale.
Chi c’è in chiesa è mosso da una domanda
sincera, magari da una nostalgia di un Dio
perduto, forse da un desiderio di ricominciare, ma
non è lì a caso. Per questo è più esigente, chiede
di più. Molti sono proprio quelli che
ricominciano. Se si provasse a raccontare le storie,
troveremmo diversi di questi nuovi inizi: chi da
una ferita, chi da un incontro, chi da un passaggio
delicato della vita. Un cristianesimo della
“soglia”, che attende di incontrare qualcuno e una
parola che accompagni i passaggi della vita.
Qualcosa di nuovo accade, ma è ancora presto per
coglierne i tratti di una nuova forma di
cristianesimo: il travaglio è in atto ma c’è ancora
vita.
Don Antonio Torresin, parroco, Milano
2. Incontri
Appuntamento col silenzio
(Casa della Cultura, Milano, 9 marzo 2011)
Scuola, laboratorio, occasione di incontro e
confronto, vacanza dal rumore: è nata
l’Accademia del silenzio. Un luogo dove
condividere esperienze di riflessione e creatività
legate al silenzio, uno spazio didattico in cui
6
apprendere ed esercitare le sue potenzialità
comunicative, ideative, relazionali e terapeutiche,
ma soprattutto un viaggio di ricerca, che parte da
una semplice convinzione: che “fare silenzio” è
un’arte, con delle regole che si possono imparare,
trasmettere, condividere. E che riscoprire il
silenzio significa ricostruire un rapporto diverso
con il tempo delle proprie esperienze. Nata da
un’idea di Duccio Demetrio e Nicoletta PollaMattiot,
l’Accademia
del
silenzio
(www.lua.it/accademiasilenzio) ha già raccolto
oltre quattrocento adesioni e ha riunito, con il
coordinamento scientifico di Emanuela Mancino,
un gruppo promotore di cui fanno parte esperti di
discipline diverse: Angelo Andreotti, Ada Ascari,
Giorgio Bert, Giampiero Comolli, Valentina
D’Urso, Marco Ermentini, Emanuele Ferrari,
Daniela Finocchi, Gianni Gasparini, Giorgio
Ieranò, Giorgio Macario, Francesco Marchioro,
Antonella Parigi, Gian Piero Quaglino,
Giampaolo Nuvolati, Luigi Perissinotto, Luigi
Spina, Francesca Rigotti, Manuela Trinci. I lavori
inaugurano il prossimo 9 marzo, con una
Maratona del silenzio alla Casa della Cultura di
Milano: dalle 17 alle 23, una no-stop di
professionisti si alternano sul palco, con relazioni
di 15 minuti, per confrontare esperienze,
prospettive e studi silenziosi. Tanti gli spunti
diversi, dalla fruizione artistica all’ascolto
musicale, dal dialogo filosofico alle tecniche di
comunicazione
pausata,
dalla
sintassi
cinematografica alla ricerca spirituale. Secondo
appuntamento e seconda giornata dedicata al
silenzio: il 30 aprile a Torino, al Circolo dei
lettori. Poi nell’estate inizia una vera e propria
“scuola di silenzio”: le attività didattiche si
svolgeranno nel bel borgo medioevale di
Anghiari, presso la Libera Università, nei mesi di
giugno e agosto. La sfida di chi si iscrive
all’Accademia? Promuovere una nuova militanza
e una nuova ecologia del silenzio, nel rispetto dei
luoghi e delle persone, come occasione per
rivalutare il dialogo, l’ascolto, la riflessione, il
giusto tempo.
Nicoletta Polla-Mattiot, giornalista e scrittrice
3. Libri & Scritti
Pierantonio Frare, Il potere della parola.
Dante, Manzoni, Primo Levi, Novara, Interlinea,
2010.
Perché un libro dedicato al Potere della parola?
Perché mai, come nei nostri anni, si assiste ad un
fenomeno tanto diffuso quanto preoccupante:
l’abitudine “in politica, ma non solo in politica; in
Italia, ma non solo in Italia” non tanto a mentire
nel senso proprio del termine, quanto a falsificare
il significato delle parole, le proprie e quelle degli
altri, piegandole a dire altro rispetto al loro senso
originario: e quindi facendone delle vere e proprie
armi, puntate contro la verità e quindi contro
l’uomo, vissuto come avversario. Tale
falsificazione non può non avere una ricaduta dal
punto di vista morale, sociale e politico – nel
senso alto del termine – poiché, revocando in
dubbio il legame tra linguaggio e verità, genera
una complessiva e pervasiva sfiducia nei rapporti
umani. Ne scaturisce il bisogno di recuperare una
cura amorevole per la parola, e per una parola che
sia tanto bella quanto indirizzata al bene; e ne
scaturisce la necessità di tornare ai grandi autori
della tradizione letteraria italiana, che ha spesso
saputo coniugare etica ed estetica, bene e bello.
I testi di Dante, di Manzoni, di Levi che qui si
esaminano sono i canti I e II della Commedia, i
capp. IX e X dei promessi sposi (la vicenda di
Gertrude), il cap. Il canto di Ulisse di Se questo è
un uomo. Essi sono degli esempi sempre vivi di
una cura assidua e scrupolosa della parola giusta
perché veritiera, di una continua preoccupazione
per la responsabilità insita nella scelta di ogni
parola, di una profonda consapevolezza del potere
delle parole e di una precisa volontà di usarne per
il bene. Guidati dall’analisi dell’autore, i lettori di
questo libro potranno trovare in questi testi lo
stimolo a riflettere criticamente sulle parole che
ascoltano e a fare un uso responsabile di quelle
che pronunciano; e potranno anche trovare in essi
dei modelli e degli esempi di come la parola –
innanzitutto quella di ciascuno di noi – possa
significare, per l’altro, salvezza o dannazione, a
volte non solo metaforiche. Dante, Manzoni e
Primo Levi “mettono a tema il potere della parola,
mostrandone il volto salvifico ma anche quello
terribile”; e ci forniscono gli esempi e gli
strumenti per rinsaldare quel legame originario tra
verità e linguaggio che costituisce il fondamento
dei rapporti umani e che consente di dare vita a un
nuovo umanesimo integrale.
Pierantonio Frare, Università Cattolica, Milano
Una ricerca sugli early school leaver guarda
all’innovazione nelle politiche per il successo
formativo
Un’indagine qualitativa, svolta in provincia di
Brescia nel 2007-2008 e pubblicata ora per il
Centro Studi Erickson di Trento, formula un
quadro complesso e dinamico di un fenomeno tra i
più sommersi nell’Italia produttiva: l’abbandono
degli studi di una quota consistente della
popolazione giovanile (circa 1 giovane su 5), sia
7
nel periodo della scuola secondaria, sia in quello
successivo, dopo l’immatricolazione universitaria.
Questo fenomeno appare condizionato non più
solo da fattori classici (marginalità, disagio,
disorientamento) ma anche dal richiamo della
domanda di lavoro e da una eccessiva
frammentazione delle proposte formative, che
rendono scarsamente attraente l’impegno dello
studio, anche per giovani che provengono da
condizioni non svantaggiate. La ricerca (basata su
una cinquantina di interviste semi-strutturate,
singole e in gruppo) si colloca nell’ambito delle
azioni di sistema che gli enti locali hanno
promosso nel quadro delle politiche europee per il
successo formativo. Mediante la Strategia di
Lisbona l’Unione europea ha infatti dato supporto
agli Stati membri nel tentativo raggiungere entro
il 2010 l’ambizioso obiettivo del 10% massimo di
early school leavers, ma diversi paesi tra cui
l’Italia ne sono ancora ben lontani (il nostro tasso
di Esl è fermo al 19,8% per il 2009). Alla luce del
nuovo quadro socio-economico e politicoistituzionale, tale obiettivo è evidentemente
rilanciato con la strategia 2020, che mira inoltre
ad aumentare la quota di giovani-adulti 20-34 anni
in possesso di istruzione terziaria oltre il 40%.
Dall’indagine bresciana emerge che vi sono 1)
cause dirette dell’abbandono (collocate nella
scelta errata della scuola e nell’autoreferenzialità
degli operatori scolastici), a cui si associano 2)
cause remote, in cui è protagonista la famiglia
dell’allievo che, da un lato, può svalutare la
cultura associata al titolo di studio pur
dichiarandosi disposta ad investire perché i figli lo
ottengano, dall’altro, può eccedere in pretese
irrealistiche che fanno sentire i figli inadeguati
rispetto al mandato ricevuto; infine 3) cause
nascoste, ciò che viene chiamato
«sogno
lavoristico» del giovane, che però si rivela
ambiguo e contraddittorio se non è supportato da
sufficiente apertura mentale e successo
imprenditoriale. La tesi sostenuta al termine
dell’analisi è che, al di là delle misure generali che
il sistema-Italia può approntare per sostenere la
motivazione formativa dei giovani e le aspettative
delle famiglie, occorre innovare le politiche
locali, poiché è a questa scala che si è in grado di
far leva sulle cause reali dell’abbandono,
coinvolgendo alla pari tutti i “terminali” del
processo di abbandono: le scuole, le famiglie e le
imprese. A livello nazionale, esistono già dei casi
virtuosi di pratiche innovative, come quello della
stessa provincia di Brescia (che ha avviato una
interessante Campagna di comunicazione sociale
nel 2008), ma vengono citati anche il piano
territoriale della Provincia di Milano (Dispositivo
provinciale di lotta alla dispersione) e il progetto
SPES-GOAL sostenuto dalla Provincia di Napoli,
improntato
direttamente
all’obiettivo
dell’innovazione attraverso la relazione di
partenariato tra insegnanti e professionisti esterni.
Un attento esame dei risultati concreti ottenuti da
queste buone pratiche potrebbe senz’altro
stimolare la loro messa a sistema in altre aree
ugualmente interessate dal fenomeno: la lotta
all’abbandono,infatti, se pur condotta meglio a
livello locale,
rimane un target comune e
fondamentale per l’intero Paese. Per maggiori
riferimenti: Maddalena Colombo, Dispersione
scolastica e politiche per il successo formativo,
Erickson, Trento, 2010.
Maddalena Colombo, Università Cattolica,
Milano
Antonella Occhino, Il tempo libero nel diritto
del lavoro, Giappichelli, 2010.
Una riflessione sull’agire umano come quella in
esame è uno sguardo non solo giuridico sulla
condizione della persona alle prese con la
temporalità dell’azione, e quindi sulla coscienza
della propria libertà. Il tema si presta bene
all’analisi giuridica, non solo sul piano lavoristico
ma anche del diritto costituzionale, poiché i molti
diritti fondamentali della persona (racchiusi nella
felice formula dei “diritti inviolabili dell’uomo”
nell’art. 2 della nostra Costituzione) attendono un
progressivo e mai completo sviluppo delle
condizioni sociali e normative nelle quali poter
essere svolti. Tra i tempi di lavoro e non lavoro,
liberi e di riposo, poi, si inserisce con sempre
maggior frequenza il caso dei tempi di
disponibilità, “tempi interstiziali” dove l’orario è
sostituito concettualmente da un tempo in cui il
lavoratore si mette a disposizione di una eventuale
chiamata, rendendosi responsabile in cambio solo
di una “indennità di disponibilità”. E’ il caso del
lavoratore interinale che è assunto dall’agenzia di
lavoro a tempo indeterminato, sopportando
direttamente il rischio della mancata occasione di
lavoro (missione); o del lavoratore intermittente,
anche detto a chiamata, legato al datore di lavoro
da una sorta di contratto di job on call. Costui,
peraltro, secondo la disciplina vigente, può anche
legarsi al datore di lavoro solo nel senso che
assumerà il ruolo di un normale lavoratore
dipendente solo se accetterà di rispondere
positivamente alla chiamata, senza esservi però
obbligato, e quindi senza percepire la relativa
indennità. A questi casi, dove le persone accettano
complessivamente uno schema contrattuale dove
lo scambio è tra disponibilità e denaro, si possono
accostare altre situazioni che si verificano
8
occasionalmente nel corso di normali contratti di
lavoro part time, quando il lavoratore abbia
accettato (tramite le cosiddette clausole elastiche o
flessibili) di sottostare alla decisione del datore di
modificare a determinate condizioni i tempi di
estensione o di collocazione della prestazione
lavorativa; eventualità che può anche non
determinarsi mai, ma che costringe il lavoratore a
tenersi comunque libero. Un caso analogo, per
certi aspetti, a quello in cui il lavoratore è tenuto
per contratto (individuale o collettivo) a prestare
un certo numero di ore di straordinario a richiesta
del datore di lavoro. Diverso è il caso dei turni di
reperibilità che molti contratti collettivi
impongono a gruppi di lavoratori per esigenze di
sicurezza degli impianti o di continuità del
servizio assicurato (tipicamente nel campo
medico); qui la questione si presenta più come un
aspetto della garanzia dei minimi di riposo
giornaliero che come un fatto di introduzione di
schemi interstiziali nella struttura dei contratti di
lavoro. Queste formule offerte dall’ordinamento
portano a riflettere sul fatto che il lavoro, come
attività obbligatoria in orario, si definisce nella
sua estensione entro il tempo di vita della persona
ma non individua un tempo residuale che è per
definizione sempre libero.
Antonella Occhino, Università Cattolica, Milano
4. Arte & Comunicazione
Una Giornata da Dio (Ammesso che sia in
casa)
L’idea di uno spettacolo per riflettere sul tempo,
credo che sia nata da due suggestioni. Da un lato
l’urgenza dell’argomento. Dall’altra l’esperienza
continua del tempo dello spettacolo, il tempo
dell’arte come momento “mistico” in cui siamo in
presenza di un atto creativo e continuamente
viaggiamo altrove, dove quell’atto ci suggerisce di
andare. Il processo creativo non poteva allora che
partire al contrario: come viviamo il tempo, dove
il tempo ci interroga e ci lascia a volte sgomenti.
Ecco che nascono allora i primi nuclei, lo sketch
del tribunale, dove la condanna di un uomo
divenuto ormai un pupazzo perché ha perso tempo
ci fa riflettere sul tanto tempo perso altrove, fino a
scoprire che il vero tempo perso è non realizzare
se stessi. Ed è proprio la scelta di come vivere il
tempo il tema del primo atto reso attraverso
musiche, coreografie, clownerie e sketch comici.
Cuore pulsante la ripresa del mito di Crono, dio
del tempo misurato, che scorre senza senso e
spesso senza pietà, con il concetto di Kairos, il
tempo della bellezza: i due vengono uniti come
fratelli gemelli in una storia inventata che
ripropone al pubblico il dilemma di mettere nel
tempo che scorre un tempo personale, che sia il
proprio modo di attuare la vita. Il secondo atto è
compreso tra due fuochi: il primo lo devo
all’incontro con gli interstizi. L’intuizione che la
frase “non ho tempo” è mendace solo perché ci si
riferisce a certi tempi, mi ha portato a riflettere su
quante cose possiamo fare di bello e di prezioso
nel “poco” tempo che abbiamo. La sfida è sta
quella di costruire un elenco delle azioni che si
possono fare in un minuto, in cinque minuti e in
dieci minuti. Ne è nato uno sketch e un monologo
che spingono lo spettatore a pensare che non tutto
il tempo è perduto, che finché abbiamo un po’ di
tempo, possiamo prenderci del tempo e renderlo
più umano, più vivo e nostro. Il secondo è
l’incontro con Dio. È un Dio che non è in casa
perché è andato alla ricerca non dell’uomo, ma
proprio di quell’uomo che doveva passare una
Giornata da Dio, ma poi preso da mille cose
proprio di Dio si è dimenticato. Ecco allora che
Dio arriva, non fa prediche, non giudica (non è
ancora quello il tempo) ma racconta una favola, il
suo messaggio sul tempo tutto incentrato sulla
speranza: la speranza che ogni giorno che inizi
possa essere una Giornata da Dio, la speranza che
i tanti tempi organizzati e i tanti interstizi tra di
essi possano vederci attori e non semplici
spettatori1.
Gigi Cotichella, regista e operatore teatrale
5. Vita quotidiana
La leggerezza insostenibile dell’e-mail
La posta elettronica, strumento divenuto in pochi
anni indispensabile alla nostra comunicazione
quotidiana, sta forse diventando obsoleta? Me lo
chiedo a partire da un dato di esperienza reale
condiviso da moltissimi utenti: la quantità sempre
più ampia di messaggi e-mail – disparati, di
provenienza e qualità ben diversa ma tutti tenuti
insieme nella schermata della “Posta in arrivo” del
computer
–
che
vengono
ricevuti
quotidianamente. Il secondo elemento di
esperienza condivisa è il fatto che parecchi utenti
non rispondono alle e-mail, professionali o
personali che siano, o lo fanno a malincuore se
1
Una Giornata da Dio (Ammesso che sia in casa):
Spettacolo di varietà scritto da Gigi Cotichella, con
Gigi Cotichella, Giovanna Avataneo, Lorenzo Tiengo e
gli Artisti Terrestri- Realizzato da AnimaGiovane. Lo
spettacolo
gira
l’Italia
da
4
anni.
Su
www.animagiovane.org tutte le informazioni e le date
delle prossime rappresentazioni.
9
sollecitati più volte da chi gli aveva scritto. Perché
la gente non risponde facilmente alle mail? E’
solo per un fatto di cattiva educazione? Scartando
questa ipotesi semplicistica, vorrei indicare
sinteticamente due possibili vie di risposta: la
prima è che vi sia un intasamento oggettivo nelle
comunicazioni e-mail, al quale si uniscono un
agglutinamento che rende difficile sceverare la
qualità dei messaggi e la leggerezza immateriale
dell’email, dove i messaggi più recenti scalzano e
fanno letteralmente scomparire quelli precedenti;
sappiamo bene che dopo 2 o 3 giorni è difficile
andare a ripescare una mail per rispondere, se non
l’abbiamo messa in evidenza. La seconda ipotesi
va più alla radice del mezzo di comunicazione: in
altri termini, l’e-mail mette in discussione
pericolosamente le diseguaglianze – di statusruolo, di gerarchia, di valori persino – tra
emittente e ricevente. Con l’e-mail lo studente si
rivolge direttamente e senza interposizioni al
professore, il lettore al giornalista o scrittore, un
impiegato al direttore, un utente qualunque ad un
personaggio della politica o dell’economia. L’email è in se stessa uno strumento che tende ad
abolire le distanze e stimola ad attuare una
comunicazione a due vie su base paritaria, una
vera e propria inter-azione, e per di più in termini
veloci: ma proprio per questo essa va incontro a
resistenze da parte di chi non si sente tenuto a
rispondere perché si reputa per qualche aspetto
superiore a chi lo ha interpellato, al quale non
concede in sostanza il diritto di rivolgersi a lui su
basi di parità o di chiedergli qualcosa. Viene in
mente la geniale interpretazione che uno storico
americano, Stephen Kern, diede tempo fa riguardo
alla sconfitta dell’Impero austro-ungarico nella
prima guerra mondiale: si tratta del fatto che
Francesco Giuseppe detestava il telefono,
ritenendo inammissibile che dei sottoposti (sia
pure dei generali che gli chiedevano urgentemente
decisioni) si rivolgessero a lui direttamente. E, del
resto, ancora oggi capita che il telefono venga
usato come strumento a una via sola, quando chi
parla “attacca la cornetta” e cioè interrompe la
comunicazione prima di aver ascoltato a sua volta
l’altro, negando in radice il dialogo verbale: non
accade solo tra privati, in Italia è successo nel
corso di un programma televisivo al quale la
telefonata di un uomo di governo in diretta è
rimasta una esternazione a una via sola, senza
possibilità di risposta da parte del conduttore.
Giovanni Gasparini
Tre voci da “Architettura timida. Piccola
enciclopedia del dubbio” (Nardini Editore,
Firenze 2010) di Marco Ermentini
• Abbaino
“Moltissimi grandi uomini sono vissuti negli
abbaini e alcuni di essi vi sono anche morti.
Haydn crebbe in un abbaino e Chesterton morì di
fame in un altro abbaino e vissero così anche
Dickens e Andersen. Gli abbaini hanno sempre
rappresentato la culla del genio.” Forse non ce ne
siamo accorti ma con il tramonto dell’abbaino e la
sua sostituzione con il piatto lucernario
complanare abbiamo perso qualcosa. E’ un luogo
di transizione come l’atrio, il vestibolo, il
corridoio, l’intercapedine e l’antibagno e proprio
per questa sua caratteristica incerta è candidato a
divenire il simbolo della nostra condizione
esistenziale. Jerome K.Jerome aveva proprio
ragione.
• Antibagno
Poesia del disimpegno: non è l’ultimo film
sentimental-natalizio, ma il curioso libro di
Andrea Bortolon. Un saggio su un luogo che è
entrato di prepotenza nella nostra vita:
l’antibagno. Imposto dai pignoli regolamenti di
igiene è un vero incubo per gli architetti. E’ un
piccolo spazio incerto e indefinito tra due porte
che si aprono. E’ un posto ambiguo e che ci
inquieta, uno spazio dubbioso. Viene da
domandarsi il perché della sua esistenza. Forse fa
parte dei luoghi inutili, veri paradossi delle case
degli uomini. Nella storia dell’architettura non c’è
alcuna traccia; si tramanda solo il ricordo di una
lite furibonda tra la proprietaria della villa Savoye
e Le Corbusier che, di antibagni proprio non ne
voleva sapere.
• Intercapedine
Stanotte ho sognato una casa fatta di lunghe
intercapedini. Camminavo in fretta con una
lampada in mano e non riuscivo a trovare la fine.
La penombra era interrotta dalla poca luce che
filtrava dalle poche grate del marciapiede
soprastante. Mi sono svegliato di colpo ed ho
pensato alla casa di Angelo Spettacoli in
Sardegna: è fatta di sole intercapedini interrate
che circondano la cantina. Il bello è che la cantina
non c’è: è un locale quadrato senza accesso. Così
scendendo la ripida scala verso il basso si percorre
il perimetro dell’intercapedine senza sosta alla
ricerca di una porta di accesso che non c’è.
Marco Ermentini, architetto2.
2
Marco Ermentini è presidente della Shy Architecture
Association
www.shyarch.it che raggruppa il
movimento per l’architettura timida. Le azioni della
SAA sono provocatorie ( l’invenzione del miracoloso
farmaco Timidina), ironiche (la parente a punti per il
10
6. Rubrica “Le città interstiziali”
@ Hong Kong
“La dottoranda va a Hong Kong”…parafrasando
un libro di Marianella Sclavi potrebbe essere
questo il titolo di un breve racconto sul viaggio a
Hong Kong che mi ha visto protagonista l’estate
scorsa in occasione di un Convegno sul Servizio
Sociale internazionale. Molta umidità, una
miriade di colori, odori, suoni, una moltitudine di
persone e luoghi!
signore sedute nelle portinerie delle guest house o
che camminano lentamente per la strada
osservano straniti la frenesia che li circonda,
pensando nostalgici ai loro tempi e desiderosi di
una buona tazza di tea preparato in modo
tradizionale. Oriente e occidente convivono uno
accanto all’altro in un paesaggio armonicamente
sgraziato, circondati dal mare.
Francesca Maci, Università Cattolica, Milano
Pubblicazioni recenti
•
•
Edgar Morin, La mia sinistra. Rigenerare la
speranza, Erickson, Trento 2011.
Sonia Livingstone, Ragazzi online. Crescere
con internet nella società digitale, trad. it. a
cura di Piermarco Aroldi, Vita e Pensiero,
Milano 2010.
Prossimi eventi
•
Un’affascinante confusione. Grattacieli ipermoderni, illuminati da luci e insegne sfavillanti,
accanto a palazzi altrettanto alti ma diroccati dove
i panni stesi si perdono tra le crepe dei muri e le
persone vivono stipate come api negli alveari.
L’ordine nel caos: strade grandissime dove
macchine e biciclette scorrazzano in maniera
disordinata con regole proprie non curanti dei
pedoni; sottoterra la metropolitana asettica e
rigorosa dove frecce nere sul pavimento indicano
la direzione di accesso ai treni. L’odore di Mac
Donald e di Pizza Hut si mischia a quello intenso
di spezie e ricette locali cucinate in maniera
tradizionale nei piccoli ristoranti a gestione
familiare. A colazione zuppa con polpette di carne
o cappuccino - maxi e muffin in un caffè di una
delle tante famose catene occidentali. Uomini e
donne vestite di tutto punto corrono
freneticamente da un lato all’altro della città
rincorrendo i loro impegni lavorativi. Ragazzi in
abiti originali e dai tagli stravaganti vendono
articoli di alta tecnologia. Anziani signori e
•
Il Gruppo Interstizi & Intersezioni
organizza un Workshop multidisciplinare
a più voci sul tema della Creatività,
previsto a Milano in Università Cattolica,
il 12 maggio 2011, dalle ore 14.00 alle ore
19.00. Maggiori informazioni saranno
reperibili alla pagina online del Gruppo:
http://dipartimenti.unicatt.it/sociologia_20
72.html, oppure scrivendo una email a
[email protected]
L’Associazione Italiana di Epistemologia
e Metodologia Sistemiche organizza il 2°
Convegno Nazionale AIEMS, previsto a
Roma il 27 marzo 2011 sul tema
Attraverso ed oltre i confini disciplinari:
una sfida necessaria. Per ulteriori
informazioni: www.aeims.eu
restauro)
e
meravigliosamente
sconclusionate.
L’architettura timida si occupa di tutti quegli aspetti
che l’architettura tradizionale
trascura come
l’antibagno, l’intercapedine, l’abbaino, il vespaio, la
bocca di lupo, il sottotetto, il controtelaio e i luoghi
incerti e inquieti.
11
I nostri recapiti:
Giovanni Gasparini
(Il coordinatore)
Dipartimento di Sociologia
Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo A. Gemelli, 1
20123 Milano
[email protected]
Tel. 02.7234.2547
Cristina Pasqualini
(La segreteria)
Dipartimento di Sociologia
Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo A. Gemelli, 1
20123 Milano
[email protected]
Tel. 02.7234.3976
I corrispondenti:
Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes
Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l’Homme – Parigi
(Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara
(Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università
Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano (Bibbia);
Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française –
Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università
Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università
degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia);
Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica);
Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin,
Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia);
Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta,
Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril,
Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia);
Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi
(Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei
Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano
(Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan
Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica
dell’Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione);
Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana,
Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa).
Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.aissociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano
(http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524). Il contenuto degli articoli è
liberamente riproducibile citando la fonte.
Numero chiuso il: 10 marzo 2011
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