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E’ vietata ogni riproduzione
ISBN 88-8497-076-8
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
Gli autori ringraziano lo Studio RPBW per la gentile
collaborazione.
Referenze fotografiche
Gigliola Ausiello, pp.6,12-15,17,21s,23,63-64,
87-96,131
Benito De Sivo, pp.10,16,20,21d,22,27-28,
68-72,78,80-83,123,133-135
Francesco Polverino, pp.8,11,18,26,33-34,36,38,
53-54,56,58-59,100,102-106,111-112,120-122,
138-141
Il presente lavoro è stato concepito ed impostato
unitariamente dagli autori.
In particolare a Francesco Polverino vanno attribuiti il
capitolo 1 e, del capitolo 4, i paragrafi relativi al Centre
Pompidou, alla Menil Collection, alla Riconversione
del Lingotto, allo Stadio S. Nicola, alla Città della
Musica e quelli del capitolo 5 sulla Struttura primaria
del Centro Pompidou, sulle “foglie” della copertura
della Menil Collection, sulle finestre del Lingotto,
sull’impianto strutturale dello Stadio S. Nicola, sulle
travi reticolari delle coperture degli Auditorium di
Roma; a Gigliola Ausiello il capitolo 3 e, del capitolo 4,
i paragrafi relativi alle case in rue de Meaux, al
Terminal dell’Aeroporto Internazionale del Kansai, al
Centro Culturale di Nouméa, al Museo della
Fondazione Beyeler, alla ricostruzione della
Potsdamer Platz, e quelli del capitolo 5 sulla
copertura del Kansai Air Terminal, sulla struttura in
legno lamellare del Centro Culturale di Nouméa, sulle
facciate delle case di rue de Meaux, sulla copertura
della Fondazione Beyeler, sulle facciate e i cornicioni
della Banca Popolare di Lodi.
Benito de Sivo è autore del capitolo 2.
Gli autori ringraziano l’ing. Pasquale De Pasca per le
rappresentazioni in grafica computerizzata del
capitolo 5.
in copertina:
Museo Nazionale della Scienza
e della Tecnica ad Amsterdam
Presentazione di Benito de Sivo
7
1. Biografia di Renzo Piano
9
2. Tecnologia e architettura
19
3. La formazione pragmatica
25
4. Le opere di Renzo Piano
Centre Pompidou, Parigi
Menil Collection, Houston
Riconversione della fabbrica Lingotto, Torino
Stadio S. Nicola, Bari
Case in rue de Meaux, Parigi
Terminal dellʼaeroporto internazionale del Kansai, Osaka
Centro culturale Jean Marie Tjibaou, Nouméa, Nuova Caledonia
Museo della Fondazione Beyeler, Riehen, Basilea
Ricostruzione della Potsdamer Platz, Berlino
Città della Musica, Roma
29
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65
73
79
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5. La progettazione degli elementi costruttivi
La struttura primaria del Centre Georges Pompidou
Le foglie nella copertura della Menil Collection di Houston
Le finestre del Lingotto di Torino
Lʼimpianto strutturale dello Stadio S. Nicola di Bari
La grande copertura del Kansai Air Terminal di Osaka
Struttura in legno lamellare del Centro culturale
J.M. Tjibaou a Noumea
Facciate in GRC e laterizio delle case in rue de Meaux a Parigi
Copertura del museo della Fondazione Beyeler a Riehen
Facciate e cornicioni in vetro della Banca Popolare di Lodi
Travi reticolari delle coperture degli auditorium di Roma
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6. Riferimenti bibliografici
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Centro Pompidou, Parigi.
Il fronte sulla piazza.
1. La biografia di Renzo Piano
Renzo Piano nasce a Pegli (Genova), ridente borgo della riviera di Ponente, il 14 settembre 1937,
dall’impresario edile Carlo e dalla signora Rosetta, detta Pettina. Dopo aver frequentato senza
molto impegno le scuole medie e aver sottoposto la sorella Anna agli effetti degli esperimenti
sulle sue rudimentali macchine elettriche, studia
architettura all’Università di Firenze e al Politecnico di Milano, laureandosi nel 1964.
Ancora studente lavora presso lo studio di Franco Albini e contemporaneamente fa pratica di
costruzioni nei cantieri del padre.
Nel 1965 apre a Genova lo Studio Piano e, mettendo a frutto quanto ha appreso nella collaborazione a Londra con Zygmunt S. Makowsky,
esperto di strutture spaziali, e a Milano con Marco Zanuso, del quale è stato assistente al Politecnico per due anni, inizia a sperimentare con i
mezzi dell’impresa paterna la costruzione di
strutture leggere di tipo piramidale e di strutture
a guscio. Ed è proprio questo tipo di struttura,
leggera e rigida nel contempo, che viene presentata alla XIV Triennale di Milano nel 1967, e utilizzata come copertura facilmente smontabile e rimontabile, nella realizzazione dei capannoni dello stabilimento per l’estrazione dello zolfo a Pomezia e in un’officina per la lavorazione del legno
a Genova.
L’anno successivo, Piano costruisce il suo studio
a Genova adottando armature piramidali spaziali
che fanno da cornice a pannelli in poliestere traslucidi sul lato nord ed opachi a sud, utili per illuminare uniformemente dall’alto i piani di lavoro di
uno spazio a pianta quadrata di quattrocento
metri quadrati.
Verso la fine degli anni Sessanta collabora con il
“grande maestro” Louis I. Kahn a Filadelfia nel
progetto della fabbrica Olivetti-Underwood di
Harrisburg in Pennsylvania e incontra Jean
Prouvé che diviene suo amico e riferimento.
Ancora i principi della modularità e della componibilità verranno adoperati nel 1970 per la realizzazione del padiglione dell’Industria Italiana
all’Esposizione internazionale di Osaka, costruito
in Italia, smontato e rimontato in Giappone e per-
Museo Nazionale della Scienza
e della Tecnica ad Amsterdam.
Stadio S. Nicola, Bari.
tanto fondato sulla leggerezza, sulla trasportabilità e sulla resistenza agli agenti atmosferici.
Con gli stessi principi strutturali, Piano realizza tra
il 1972 e il 1974 quattro case unifamiliari a Cusago, presso Milano, identiche all’esterno ma caratterizzate dalla flessibilità dello spazio interno,
che può essere variato dall’utente in funzione dei
suoi bisogni specifici.
Nel periodo tra il 1971 e il 1978 è in società con
Richard Rogers (Studio Piano & Rogers a Londra) e tra il 1978 e il 1980 istituisce la società Piano & Rice Associates con Peter Rice, con il quale continuerà il sodalizio fino al 1992, anno della
sua scomparsa.
Il 1971 può considerarsi l’anno di inizio di un periodo di grande creatività. L’incontro con Rogers
e con lo Studio Ove Arup, del quale fa parte Peter Rice, è determinante per la partecipazione al
concorso internazionale per il progetto del Centro Nazionale d’arte e di cultura “G. Pompidou”
di Parigi e per la vittoria su di una agguerrita massa di concorrenti e di denigratori che vogliono a
tutti i costi impedire la realizzazione dell’edificio.
Contemporaneamente, in Italia viene costruito il
padiglione per gli uffici della B&B a Novedrate: un
edificio a pianta completamente libera con una
doppia copertura a struttura reticolare spaziale,
di quaranta metri di luce, che ospita la rete impiantistica di climatizzazione, molto importante
nel gran caldo estivo della Brianza.
L’avventura, come la definisce Piano, del Centro
Pompidou, si protrae fino al 1978, mentre gli uffici della B&B vengono completati nel 1973.
Il lavoro di Parigi comprende, nello stesso periodo, anche quello della realizzazione dell’IRCAM
(Istituto per la Ricerca e il Coordinamento
dell’Acustica e della Musica), durante il quale nasce la grande amicizia con Pierre Boulez e Luciano Berio, che lo introducono nel mondo della
musica.
Al termine della grande impresa parigina, Piano
riceve la Honorary Followship della Union of International Architects; nel 1981, il Compasso
d’Oro in Italia e la AIA Honorary Followship negli
Stati Uniti. L’interesse per il recupero dei centri
storici minori lo porta ad accettare la proposta
dell’Unesco, nel 1979, di organizzare un programma di riqualificazione di aree degradate, sviluppando ad Otranto un progetto partecipativo di
laboratorio di quartiere.
Sperimenta così metodi di diagnostica non distruttiva e di intervento poco invasivo, inventando una serie di mezzi d’opera per lavorare alla
piccola scala, in presenza degli abitanti.
Nel 1981 apre lo studio RPBW (Renzo Piano
Building Workshop) con uffici a Genova e Parigi,
(successivamente anche ad Osaka e Berlino) e
nello stesso anno lavora alla ristrutturazione dello stabilimento Schlumberger a Montrouge (Parigi), dove si trova ad operare in condizioni analo-
ghe a quelle di Otranto, dovendo riconvertire gli
spazi di lavoro della fabbrica senza allontanare gli
operatori.
Ormai la fama di Renzo Piano valica i confini
dell’Europa e nel 1982 viene contattato dalla vedova del texano John De Menil, magnate del petrolio, per la realizzazione del museo Menil Collection a Huston. Mme De Menil possiede una
raccolta di oltre diecimila opere d’arte che trovano spazio a rotazione in un padiglione inondato
dalla luce naturale diffusa dall’alto attraverso una
copertura in elementi modulari a foglie. La luce
diviene in questo progetto la grande protagonista dello spazio architettonico e si materializza
come senso di leggerezza e trasparenza.
Genova, celebrazioni Colombiane.
Complesso residenziale di rue de Meaux, Parigi.
Cortile aperto.
Modularità e leggerezza caratterizzano anche il
Padiglione itinerante IBM, realizzato nel 1983
con l’uso di legno lamellare e di piramidi in policarbonato trasparente. Il sistema costruttivo
consente la smontabilità e la rimontabilità del padiglione destinato a spostarsi in aree verdi di venti città europee per trasmettere il messaggio della telematica e della informatizzazione. Ancora
una struttura smontabile nel 1983: il progetto di
uno spazio musicale per l’opera Prometeo, che,
dopo l’IRCAM è la seconda esperienza di realizzazione di una struttura destinata alla esecuzione
di un’opera di Luigi Nono, montata nella chiesa
di San Lorenzo a Venezia. L’idea è quella di rivoluzionare l’impostazione tradizionale delle sale
per concerti disponendo il pubblico al centro e gli
orchestrali tutt’intorno, collocati su impalcature
che consentono alla musica di raggiungere gli
ascoltatori da direzioni variabili nel tempo e nello
spazio. La struttura è realizzata in legno lamellare con tecniche da cantiere navale ed ha le proprietà acustiche di un grandissimo strumento
musicale.
Nel 1983 Piano lavora anche per i progetti e le
realizzazioni delle Stazioni per la Metropolitana di
Genova e per la ristrutturazione della fabbrica
Lingotto a Torino. Anche in quest’ultima opera
realizza un grande auditorium da duemila posti,
una sala ad acustica variabile rivestita in tavole di
ciliegio. Nel 1984 è nominato in Francia Commendeur des Arts et des Lettres e nel 1985 riceve la Legion d’Honneur e a Londra la RIBA Honorary Fellowship.
Nel 1984 realizza gli Uffici della Lowara a Montecchio Maggiore e nel 1985 l’Istituto per la ricerca sui metalli leggeri a Novara e la Sede del
Credito Industriale Sardo a Cagliari.
Il tema del recupero urbano è affrontato nel1985
con l’inizio del progetto per le Celebrazioni Colombiane inaugurate a Genova nel 1992. Viene
così recuperata l’area del vecchio porto con la ristrutturazione di alcuni edifici e la costruzione di
nuove strutture, il tutto nella prospettiva di aprire
la città al mare e fornirla di attrezzature economicamente utili come l’acquario, che è ora il più
grande d’Europa, e il grande “bigo” che comprende la piazza per le feste, coperta da una tensostruttura, e l’ascensore panoramico ruotante.
Altro intervento urbano è quello della Foire Internationale di Lione affrontato nel 1985. Il progetto, partito come ristrutturazione della Fiera, riguarda un comparto urbano situato tra il parco
secolare della Tête d’Or e il fiume Rodano e prevede la realizzazione di uno spazio polivalente
denso di funzioni che Piano pensa di sezionare in
moduli per consentire la costruzione dell’intero
complesso per parti, creando quale elemento
unificante una strada coperta in vetro, disposta
parallelamente al fiume e attraversata da percorsi pedonali che garantiscono il collegamento tra
il parco e il fiume. Per la prima volta Piano sperimenta per gli edifici di questo intervento, che ha
preso successivamente il nome di Cité Internationale, il sistema di facciata a “doppia pelle” con
finitura protettiva in laterizio.
Nel 1987, con lo Stadio San Nicola a Bari, Renzo Piano conferma ancora una volta che alla base di ogni progettazione architettonica deve esserci un’idea e che se questa è forte ed innovativa certamente costituirà la premessa per una
opera valida. Piano non è mai stato un frequentatore di partite di calcio, al contrario di Peter Rice che lo spinge ad accettare l’incarico mettendo a frutto le sue esperienze di strutturista e di
tifoso. Il problema fondamentale di un luogo frequentato da grandi masse è la sicurezza.
Per impedire che le diverse tifoserie vengano a
contatto non bastano le barriere di acciaio o di
vetro solitamente adoperate e inoltre per consentire una rapida ed ordinata fuga in caso di incidente è bene che lo stadio sia diviso in settori. Su
questa base Piano e Rice concepiscono, al di sopra dell’anello inferiore, un sistema a petali indipendenti, fisicamente separati da una interruzione di otto metri in cui sono sistemate le scale di
accesso e di fuga. Questa idea costituisce anche
il fondamento estetico del manufatto insieme alle
tecnologie di prefabbricazione e di montaggio dei
trecentodieci elementi in calcestruzzo cementizio
armato che costituiscono le gradinate e i ventisei
petali. Ancora nel 1987, Piano progetta un intervento per la città archeologica di Pompei e riprende l’esperienza dei laboratori di strada di
Otranto e di Burano per il Progetto di Risanamento dei Sassi di Matera.
Il 1987 è per Renzo Piano certamente un anno
ricco di incarichi e di soddisfazioni. Oltre allo stadio di Bari il RPBW progetta e successivamente
realizza il Centro Commerciale di Bercy 2 a Charenton le Pont (Parigi) e nella stessa città l’insediamento abitativo in rue de Meaux, un interessante esempio di edilizia economica caratterizzato dalla presenza di un ampio giardino piantumato a betulle sul quale si affacciano le case. Un
ambiente tranquillo che isola la residenza dal frastuono della città.
Anche nel 1988 Piano affronta tre importanti progetti: quello per lo Stabilimento Thomson Optronic a Saint Quintin en Yvelines e per l’ampliamento dell’IRCAM a Parigi e inoltre, veramente
grandioso, il Terminal dell’Aeroporto Kansai ad
Osaka, del quale si parlerà in dettaglio più avanti.
Nel 1989 riceve la Royal Gold Medal della RIBA
e in Italia è nominato Cavaliere di Gran Croce,
progetta il Ponte di collegamento dell’arcipelago
di Ushibuka a Kumamoto e realizza il suo bellissimo studio Laboratorio Unesco & Workshop a
Punta Nave (Genova)
Nel 1990 gli viene conferita la laurea honoris causa dall’Università di Stoccarda e riceve il premio
della Fondazione Inamori di Kyoto.
Nel 1991 progetta il Centro culturale J.M. Tjibaou
a Nouméa in Nuova Caledonia, l’opera più poetica ed emblematica della maturità e della sensibilità di Renzo Piano. Il centro culturale dedicato alla civiltà Kanak crea un forte legame con il territorio e si fonde con la cultura costruttiva locale, riprendendo quegli elementi dinamici derivanti dalle condizioni climatiche ed in particolare dal regime dei venti. Dieci capanne formalmente analoghe a quelle locali costituiscono l’elemento unificante del progetto che sarà dettagliatamente descritto in seguito.
Il 1991 è anche l’anno del progetto della grande
Aula liturgica di Padre Pio a San Giovanni Rotondo (Foggia), la cui realizzazione è tuttora in corso
e del complesso della Banca Popolare di Lodi nel
Magazzini del Cotone, Genova.
Aula Liturgica di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo.
Gli archi in pietra.
quale ricompaiono il cotto come finitura delle pareti esterne ventilate ed il vetro usato nella copertura del cortile interno, sostenuta da travi di
funi in acciaio inossidabile.
Nel 1991 Piano riceve il premio Richard Neutra a
Pamona in California.
La Ricostruzione di Potsdamer Platz a Berlino,
nel 1992, ripropone, dopo Lione, il tema della
costruzione di un “pezzo di città” che ha per centro la storica piazza quale cerniera tra la parte est
e quella ovest della vecchia capitale della Germania, divise dal “muro” fino alla sua “caduta”.
Occorre riunificare ciò che era stato per tanti anni separato e ricreare, dai vuoti lasciati dalla
guerra, lo spirito di un centro che emana ancora
una formidabile energia. Del progetto si parlerà
nei prossimi capitoli, ma si vuole qui solo segnalare gli elementi unificanti che lo caratterizzano:
l’acqua ed il cotto delle facciate che Piano aveva
già sperimentato nell’intervento di Lodi.
Nel 1992 l’attività del Workshop si va notevolmente intensificando. Vengono progettati il Padiglione Cy Twombly a Houston, vicino alla Menil
Collection, il Centro Nazionale per la Scienza e la
Tecnologia, una nave in rame preinverdito ancorata nel porto di Amsterdam, e avviata la ricostruzione dell’Atelier Brancusi a Parigi, piccolo
padiglione legato al Centro Pompidou in forma di
museo “alla rovescia” nelle cui sale non si entra
ma vi si gira intorno, osservando le opere attraverso ampie vetrate per non turbare la sacralità
di un luogo di creazione dell’arte.
Ancora del 1992 è la progettazione del Museo
della Fondazione Beyeler a Riehen, costruito tra
il 1994 e il 1997. Viene ripresa l’esperienza del
museo di Mme De Menil, realizzato dieci anni prima, creando questa volta un tetto completamente vetrato, ma dotato di una serie di elementi diffusori della luce naturale che illuminano le
opere d’arte esposte nelle ideali condizioni di
percezione.
Nel 1992 viene conferita a Renzo Piano la laurea
ad onorem dall’Università di Deft ed è dell’anno
successivo il progetto del Design Center della
Mercedes Benz a Sindelfingen (Stoccarda).
Nel 1994 inizia l’avventura dell’Auditorium di Roma, inaugurato parzialmente il 21 aprile 2002. E
si tratta veramente di una tormentata avventura
che solo il carattere forte di Piano ha potuto trasformare in un ulteriore successo. Roma è stata
finalmente dotata della sua città della musica al
pari di Sydney (Opera House), di Parigi (La Villette), di New York (Lincoln Center) e di Tokyo (Suntory Hall).
Intorno ad una cavea in travertino da tremila posti sono sistemate tre sale di diversa capienza ed
uno scavo archeologico che ha messo in luce la
presenza di una villa romana del sesto secolo
a.C., richiedendo la revisione della planimetria
del progetto.
Nel 1994 Renzo Piano riceve la Honorary Followship dell’American Academy of Arts and Letters, il premio Arnold W. Brunner, il premio Michelangelo a Roma ed è nominato Officier
dell’Orde Nationale du Mérite in Francia e Ambasciatore dell’architettura dell’Unesco.
Nel 1995 il Building Workshop partecipa al concorso per il progetto dell’Arena polifunzionale di
Saitama (Tokyo), è chiamato a progettare il Centro di Servizio del CIS di Nola e si impegna nei lavori di risistemazione interna ed esterna del Plateau Beabourg di Parigi che dopo vent’anni di
esercizio “va in cantiere” per rinnovarsi ed ampliarsi.
Nel 1995 Piano riceve il premio dell’Akademie
der Kunste di Berlino, il premio imperiale a Tokyo
e il premio Erasmus ad Amsterdam.
In questi ultimi anni Renzo Piano e il suo Building
Workshop sono stati impegnati nella costruzione
della Galleria del vento della Ferrari a Maranello e
nel grande progetto per la torre di Uffici e residenze Aurora Place a Sydney: un edificio alto
duecento metri con quarantaquattro piani concepito in modo da catturare le brezze della baia
per provvedere alla ventilazione naturale, con un
notevole risparmio energetico.
Nel 1996 sono conferiti a Renzo Piano il premio
di Capo Circeo e il premio simpatia a Roma.
Tra gli ultimi interessanti lavori si colloca la Torre
della Kpn-Telecom a Rotterdam progettata nel
1997 e completata nel 2000. E’ un edificio per
uffici che sorge sulla riva del fiume Maas, a stretto contatto con il ponte Erasmus, che ha dato lo
spunto per la progettazione di una facciata inclinata a strapiombo con la stessa inclinazione del
cavalletto del ponte.
La facciata inclinata è sorretta da un grosso puntone a forma di sigaro, alto 45 m, ed è destinata,
come si confà ad una società di telecomunicazioni, a ospitare un tabellone elettronico.
Nel 1998 a Renzo Piano viene assegnato il premio Pritzker, il Nobel per l’architettura, ritirato a
Washington alla Casa Bianca, con una spiritosa,
ma anche profonda prolusione di ringraziamento.
Nel 1999 è nominato Architetto dell’Accademia
Nazionale di San Luca a Roma e Officier dans
l’Ordre National de la Légion d’Honneur di Parigi.
Renzo Piano è stato “visiting professor” presso le
più importanti università di tutto il mondo, tra cui
la Columbia University di New York, l’Università
di Pennsylvania a Filadelfia, la Scuola di Architettura di Oslo, il Central London Polytecnic e la Ar-
chitectural Association di Londra e le Università
di Stoccarda, Tokyo e Deft.
Alla sua attività progettuale sono state dedicate
molte mostre allestite in varie città di tutto il mondo, quali Parigi, Napoli, Helsinki, Vicenza, Marsiglia, Berlino, Madrid, Rotterdam, San Paolo del
Brasile, New York, Huston, Los Angeles, Filadelfia, Boston, Vancouver, Pittsburgh, Chicago,
Tokyo, Osaka, Nagoya e Sapporo.
Museo della Fondazione Beyeler, Riehen.
Copertura a sbalzo.
Atelier Brancusi al Centro Pompidou, Parigi.
5. La progettazione degli
elementi costruttivi
108
109
cucchiaio verticale e furono sperimentati modelli
nella galleria del vento per ottimizzare la forma
degli elementi costruttivi in relazione all’intensità
degli impetuosi venti della zona. Così come tutte le facciate a doppia “pelle” in laterizio e in vetro per le quali sono stati studiati elementi di dettaglio altamente perfezionati attraverso la realizzazione di prototipi e la sperimentazione in laboratorio.
Tra le ultime realizzazioni è certamente da ricordare il meccanismo di apertura delle lastre di vetro che realizzano la schermatura termica di alcune facciate degli edifici della Potsdamer Platz
di Berlino e del giardino d’inverno dell’Aurora
Place di Sydney, per le quali è stato realizzato un
prototipo sperimentale.
Il tipo di struttura principale (primary steel) adottato per la realizzazione del Centre Pompidou
deriva, come detto, dall’adattamento al particolare caso del sistema Gerber, che utilizza travi
appoggiate, sostenute da piccole mensole a
sbalzo.
Facendo proprio il principio statico che sottendeva tale sistema, ed avendo Piano e Rogers
previsto sui lati lunghi dell’edificio un arretramento delle facciate vetrate a 7.60 m dal filo esterno
e a 1.60 m dall’allineamento delle colonne portanti, per il corpo di fabbrica è stata prevista una
campata sospesa coperta da travi a traliccio lunghe 44.80 m e due campate laterali a sbalzo,
ciascuna di 1.60 m di lunghezza, realizzate con
mensole a bilanciere, denominate gerberette;
queste ultime collegate alle travi a traliccio, imperniate agli elementi portanti verticali e ciascuna in equilibrio statico grazie ad una colonna di
tensione posta a-l’estremità libera dell’elemento.
Detta colonna, distante sei metri dal fulcro, risulta collegata a piloni ad Y in cemento armato precompresso in opera, lunghi nove metri, larghi un
metro e profondi venti metri, realizzati come elementi fondali al piede della struttura in acciaio.
Realizzata in tal modo, la struttura portante primaria assicura luci libere tra gli allineamenti delle colonne pari a 48 m.
Per conseguire elevata precisione nella realizzazione dei particolari costruttivi e massima chiarezza di lettura dei meccanismi statici, le giunzioni tra i vari elementi della primary steel sono
del tipo semplice ed ideate per assolvere ognuna ad un solo problema di connessione strutturale. Esempio di ciò è dato dai collegamenti tra
gli impalcati e la struttura verticale, i quali non
contribuiscono alle connessioni tra quest’ultima
e la facciata.
Tale principio di esemplificazione funzionale delle giunzioni informa per intero l’impianto strutturale del Centre Pompidou e lo permea sino a divenirne uno degli elementi funzionalmente e formalmente caratterizzanti l’edificio.
L’ampia superficie del fabbricato si sviluppa su
La struttura primaria del
Centre Georges Pompidou
110
tredici campate da 12.80 m e ciascuna di esse
a sua volta è funzionalmente parzializzata in tre
distinte zone: quella centrale costituente superficie utile per le attività del Centre Pompidou e le
due laterali in cui trovano alloggiamento gli elementi di connettivo ed i sistemi tecnologici.
Al limite di ogni campata insiste un telaio piano
al quale si appoggiano i solai dei sei livelli che
costituiscono il corpo di fabbrica.
Ad ogni livello il suddetto telaio presenta una trave a traliccio, lunga 44.80 m, alta tre metri e del
peso di 75 t, incernierata agli estremi alle gerberette; ad essa è fissata la struttura dei pannelli
costituenti i solai mediante attacchi di tipo puntuale in corrispondenza dei soli nodi.
Rispetto alle sollecitazioni da carico verticale
ogni telaio si comporta indipendentemente dagli
altri e le travi a traliccio non sono collegate tra loro.
Il comportamento spaziale dell’insieme dei telai
piani è assicurato in primo luogo da un doppio
sistema di controventamento verticale: quello
longitudinale è costituito dalla griglia di tondi pieni costituenti le facciate di tensione esterna che
si sviluppano lungo i lati maggiori dell’edificio;
quello trasversale è attuato in corrispondenza
dei telai di testata e si basa sul reciproco collegamento delle travi a traliccio effettuato ad ogni
piano con una triplice coppia di controventature
oblique, così da ottenere una struttura piana
funzionante come un’intelaiatura tipo Vierendel.
In secondo luogo l’azione stabilizzante è fornita
a livello degli impalcati a mezzo del collegamento di nodi consecutivi colonna-gerberetta, dei
pannelli di solaio con le travi a traliccio, nonché
da controventature orizzontali realizzate ogni
due piani a campate alternate; nei piani in cui tale intelaiatura è mancante l’azione stabilizzante è
demandata alle colonne che, realizzate in soli
due tronchi alti tre piani, consentono la migrazione delle forze verso piani sottostanti in cui la
controventatura orizzontale è stata predisposta.
Così disegnata, la struttura dell’edificio non ammette giunti di dilatazione orizzontali, né verticali.
nella pagina accanto
Centro Pompidou.
Sezione parziale del meccanismo strutturale.
Si notano i corridoi e le scale mobili a sbalzo sulla
facciata.
gerberette
facciata
scale mobili
connettivo orizzontale
trave 44.80x3.00
solaio
Riguardo agli elementi costituenti la primary
steel, va sottolineato che, ad una loro differenziazione dal punto di vista funzionale ne corrisponde un’altra basata sulle caratteristiche prestazionali e formali. Elementi a tondo pieno sono
difatti utilizzati nel caso di sollecitazione degli
stessi a trazione; per quelli compressi si ritrovano invece adottati elementi tubolari; per i pezzi
speciali (gerberette, giunzioni, ecc) si è ricorso
all’acciaio fuso.
Per la realizzazione degli impalcati sono stati
adottati pannelli semiprefabbricati di lunghezza
pari a quella della campata (12.80 ml) e larghi
6.40 m, collegati alle travi a traliccio ma senza alcun collegamento tra loro
Ogni pannello è costituito da un’ossatura realizzata con profilati ad “I” e lamiera con funzione
portante e di cassaforma a perdere; l’elemento è
completato da un getto di calcestruzzo cementizio di undici centimetri di spessore arrestato ad
1.20 m da ciascun appoggio onde consentire alle cerniere la libera rotazione verticale in corri-
spondenza dei collegamenti pannello-trave.
Tra pannelli adiacenti sono posti equilibratori di
flessione.
Date le notevoli dimensioni di ciascun elemento
della struttura primaria dell’edificio e la mole
complessiva di quest’ultimo, la preventiva definizione della fase di approvvigionamento del cantiere e del momento esecutivo sono state fondamentali, influenzando il processo di realizzazione
dell’opera sin dalla sua fase di gestazione.
In fase di presentazione delle offerte, unitamente a queste ultime, fu richiesto il piano operativo
per il trasporto degli elementi strutturali dal loro
sito al cantiere parigino.
Un aspetto essenziale, visto che detti elementi
furono realizzati in fabbrica e molto lontano dal
sito di assemblaggio. Fatta eccezione per le colonne, prodotte in Francia dalle Aciéries de Pontà-Mousson, le travi, le gerberette e gli altri pezzi
speciali sono stati difatti realizzati in Germania
presso le Acciaierie Krupp ad Essen (travi a traliccio) e presso la consociata Pohlig Heckel Bleichart a Rohrbach-Saar (pezzi in acciaio fuso).
Fissate le modalità di trasporto dei diversi elementi della struttura, furono poi messe a punto
le fasi di montaggio della stessa, provvedendo a
che fossero ridotte al minimo le saldature in opera e del tutto nulle quelle relative ad elementi in
trazione.
Le travi a traliccio furono trasportate per ferrovia
sino a Porte de la Rochelle. Generalmente arrivavano tre travi alla settimana trasferite in cantiere con un convoglio eccezionale che attraversava di notte la città. Sull’intero percorso, dato il
notevole peso del convoglio si rese necessario
rinforzare gli impianti fognari. Una volta in loco la
movimentazione delle travi era effettuata con
un’unica gru da 500 t.
Le colonne, cave in modo da poter poi essere
riempite d’acqua per esigenze di protezione antincendio, erano invece trasportate in cantiere
divise in due pezzi, ciascuno avente lunghezza
corrispondente all’altezza di tre piani; le due parti erano unite mediante saldatura, possibile in
quanto gli elementi lavoravano a compressione,
La complessità di un nodo all’estremità delle
“gerberette”.
dopo la realizzazione dei primi tre impalcati.
Le operazioni di montaggio della struttura iniziarono dal lato sud dell’edificio e proseguirono
completando una campata per volta; durante la
fase d’assemblaggio le travi a traliccio di ciascun
telaio erano temporaneamente collegate tra loro
con aste oblique ricalcando la geometria e le
modalità esecutive adottate in veste definitiva
per le intelaiature di testata.
Il tempo occorrente per il montaggio di una singola campata fu di circa dieci giorni; l’intera
struttura primaria e quella secondaria degli impalcati furono realizzate in soli otto mesi.
Problema primario nella concezione di un museo, luogo nel quale le opere d’arte esposte devono essere osservate nelle migliori condizioni di
illuminazione, ma devono anche essere protette
dai raggi ultravioletti dannosi per la loro conservazione, è certamente quello della luce naturale,
alla quale Renzo Piano ha dedicato una particolare attenzione in relazione alla grande luminosità
del luogo.
Il sistema di diffusione proposto, lungamente
studiato sia mediante modelli che con la simulazione al calcolatore, con l’uso, tra l’altro, dell’eliodoro strumento capace di porre il modello
nelle diverse condizioni di luce dovute alle stagioni e al volgere del sole giornaliero, si materializza in elementi prefabbricati di ferro-cemento,
le così dette foglie, che costituiscono la briglia
inferiore tesa di una trave reticolare spaziale organizzata in elementi di acciaio duttile. Le travi
spaziali possono raggiungere la luce di 12 metri
e appoggiano su robuste strutture reticolari piane, di luce 6 metri, anche esse composte con
elementi in fusione di acciaio duttile.
Sin dalle prime soluzioni della copertura furono
previste scocche in ferro-cemento e travature
reticolari accoppiate per funzionare come strutture collaboranti, ma solo nella versione finale la
sezione ha assunto quella raffinata complessità
che dona allo spazio interno delle sale di esposizione una vivace ma tranquilla luce diffusa.
Le foglie, realizzate in Inghilterra e spedite via
mare, hanno un’armatura primaria alla quale so-
no rigidamente collegate le boccole filettate per
il sollevamento e la movimentazione, che servono anche come collegamento, mediante perni,
alla base dei bracci della struttura reticolare spaziale, in modo da creare una sezione mista che
risolve sia i problemi statici che quelli della diffusione della luce e della climatizzazione, secondo
un principio di sintesi caro a Renzo Piano.
L’armatura secondaria delle foglie è realizzata
con reti metalliche inossidabili a maglia quadra,
che si adattano docilmente alle curvature
dell’elemento, lavorato con l’estradosso contro
cassero e la superficie in vista rifinita a mano con
cemento bianco e polvere di marmo.
Il lembo inferiore della foglia sostiene una blindobarr alla quale, secondo le esigenze, possono
essere collegati i faretti per l’illuminazione artificiale, diretta su specifiche opere.
La parte metallica della travatura reticolare spaziale è composta da due elementi simmetrici in
fusione di acciaio duttile, con sezioni dei bracci
nella pagina accanto
Centro Pompidou.
Viste esterne e assonometria di una mensola.
Disegno di dettaglio di una “gerberetta”.
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pilastro
SEZIONE E-E
SEZIONE B-B
SEZIONE C-C
SEZIONE P-P
SEZIONE D-D
SEZIONE A-A
colonna di tensione
tiranti di
controvento
facciata
appogio trave
spinotto
SEZIONE X-X