GASLINI RIVISTA DI PEDIATRIA E SPECIALITÀ PEDIATRICHE Direttore Responsabile Lorenzo Moretta Coordinamento Redazionale Ubaldo Rosati Comitato di Redazione Silvio Del Buono, Giorgio Dini, Pasquale Di Pietro, Alberto Ferrando, Vincenzo Jasonni, Renata Lorini, Alberto Martini, Giovanni Melioli, Carlo Minetti, Francesco Perfumo, Giovanni Rossi, Paolo Tomà, Vito Pistoia, Giacomo Pongiglione, Giovanni Serra International Board Max D. Cooper (Howard Hughes Medical Institute Research Laboratories, University of Alabama at Birmingham, Alabama, USA) Anthony S. Fauci (National Institute of Allergy and Infectious Diseases, NIH, Bethesda, Maryland, USA) Alain Fischer (Groupe Hospitalier Necker-Enfant Malades, Paris, France) Alberto Mantovani (Istituto Mario Negri, Milano) Sergio Romagnani (Istituto di Clinica Medica III, Servizio di Immuno-Allergologia, Università di Firenze, Firenze) Segreteria Angela Carbonaro (Direzione Scientifica) Stefano Canu (Direzione Scientifica) Chiara Giuliano (Centro Controllo Direzionale e Servizio Qualità) Istituto Scientifico “Giannina Gaslini” L.go Gerolamo Gaslini, 5 - 16147 Genova - Tel. 0105636 int. 461/807/688 This journal is PEER REVIEWED Direzione, redazione, ufficio grafico, ufficio pubblicità, fotocomposizione, amministrazione - Edizioni Minerva Medica - Corso Bramante 83-85 - 10126 Torino Tel. (011) 67.82.82 - Fax (011) 67.45.02 - E-mail: [email protected] Web Site: www.minervamedica.it Stampa - Edizioni Minerva Medica - Tipografia di Saluzzo - Corso IV Novembre 29-31 - 12037 Saluzzo (CN) - Tel. 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Pubblicazione periodica quadrimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Sped. in a.p. DL 353 (conv. in L. 27-02-2004 N° 46) art. 1, comma 1, DCB/CN GASLINI RIVISTA DI PEDIATRIA E SPECIALITÀ PEDIATRICHE Vol. 41 Aprile 2009 N. 1 INDICE 1 35 RICERCA CLINICA APPLICATA CASO CLINICO La genomica funzionale ha portato all’identificazione della proteina-canale TMEM16A: nuove opportunità per la fibrosi cistica e altre patologie Un caso di ematuria e proteinuria Caputo A., Caci E., Ferrera L., Pedemonte N., Sondo E., Pfeffer U., Ravazzolo R., Zegarra-Moran O., Galietta L. J. V. Barbano G. 39 DIAGNOSTICA I test allergici di terzo livello 5 Un approccio evidence-based alla diagnostica molecolare delle febbri periodiche ereditarie Gattorno M., Federici S., Caroli F., Caorsi R., Pelagatti M. A., Solari N., Baldi M., Ceccherini I., Martini A. Melioli G. 43 Acne volgare: le 10 domande più frequenti Montinari M., Viglizzo G., Occella C. 13 FORUM: ASPETTI CLINICI DEL BAMBINO IMMUNODEPRESSO Diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze primitive Melioli G., Pistoia V. 49 QUIZ DERMATOLOGICO Una sindrome “indimenticabile” Montinari M., Viglizzo G., Nemelka O., Bleidl D., Occella C. 51 QUIZ RADIOLOGICO Una lesione osteolitica diafisaria 19 Damasio M. B., Gambini C. Castagnola E., Sala I., Mularoni A., Moroni C. 55 Le infezioni nel bambino immunocompromesso CORSI, SEMINARI, CONVEGNI 27 Patologia polmonare nel bambino emato-oncologico sottoposto a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) Panigada S., Gardella C., Ullmann N., Faraci M., Castagnola E., Fioredda F., Sacco O. Vol. 41 - N. 1 Il bambino maltrattato: dal dire al fare Eventi organizzati dalla Scuola Internazionale di Scienze Pediatriche Translational Research in Paediatric RheumatologyTRiPR Piano di formazione aziendale GASLINI III RICERCA CLINICA APPLICATA GASLINI 2009;41:1-4 La genomica funzionale ha portato all’identificazione della proteina-canale TMEM16A: nuove opportunità per la fibrosi cistica e altre patologie A. CAPUTO 1, E. CACI 1, L. FERRERA 1, N. PEDEMONTE 1, E. SONDO 1, U. PFEFFER 2 R. RAVAZZOLO 1, O. ZEGARRA-MORAN 1, L. J. V. GALIETTA 1 1Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto Giannina Gaslini, Genova 2S. S. Genomica Funzionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova N el periodo 2001-2003 è stato raggiunto un obiettivo impensabile fino a pochi anni prima: il sequenziamento di tutto il genoma umano. In poco tempo, l’enorme mole di informazioni relativa alla sequenza di basi nucleotidiche, che costituiscono il DNA in ogni nucleo di una cellula veniva resa disponibile a tutti i ricercatori con un semplice clic di un mouse. Quasi da un momento all’altro, progetti di ricerca che in precedenza avrebbero richiesto mesi o anni di lavoro, ad esempio la sequenza di un gene, la sua struttura in esoni e introni, la sua posizione su un determinato cromosoma, potevano essere sostituiti da una semplice sessione al computer in cui le stesse informazioni erano ottenute attraverso Internet da banche dati pubbliche. Il sequenziamento del genoma umano ha anche permesso lo sviluppo di una serie di tecnologie e strumenti molto utili per comprendere il ruolo di ciascun gene 1. In effetti, uno dei principali argomenti della ricerca biomedica attuale è lo studio della funzione dei diversi geni che compongono il genoma umano e il modo in cui questi interagiscono tra loro, la cosiddetta genomica funzionale 2, 3. A questo riguardo, uno strumento molto importante a disposizione dei ricercatori è rappresentato dai cosiddetti “microarray” di DNA 1-3. I microarray sono costituiti da lastrine su cui sono depositate in maniera ordinata decine di migliaia di piccoli frammenti di DNA. In una delle applicazioni più frequenti, i microarray sono utilizzati per valutare l’espressione di migliaia di geni contemporaneamente. In questo caso i microarray sono messi a contatto con RNA, estratto da cellule in coltura, tessuti od organi, e reso fluorescente mediante marcatura con opportune molecole. Dopo la reazione di ibridazione, ogni molecola di RNA, corrispondente a un gene, lega il frammento complementare presente in una posizione ben precisa del microarray. Il risultato viene letto con uno strumento specifico chiamato scanner che misura l’intensità della luce emessa e quindi il livello di espressione di ciascun gene. Un altro strumento molto importante è rappresentato dal silenziamento genico mediante siRNA (small interfering RNA) 4. I siRNA sono corti frammenti di RNA a doppio filamento che possono essere sintetizzati in maniera da essere complementari ad un determinato gene bersaglio. Una volta introdotto in una cellula mediante transfezione, un siRNA va ad appaiarsi all’RNA messaggero complementare determinandone la degradazione. La tecnica di silenziamento mediante siRNA permette quindi di ottenere lo spegnimento selettivo di un gene in mezzo a migliaia di altri geni espressi in una cellula. L’analisi dell’espressione genica con microarray e il silenziamento mediante siRNA sono stati alla base di uno studio da noi recentemente pubblicato sull’identificazione di TMEM16A quale proteina costitutiva dei canali del cloruro attivati da calcio 5. Canali del cloruro Ogni cellula possiede nella propria membrana plasmatica una serie di proteine che hanno la funzione Autore di contatto: Luis J. V. Galietta, Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 1 CAPUTO GENOMICA FUNZIONALE di canali ionici. Tra queste ci sono i canali del cloruro (o canali anionici) che assicurano il trasporto di cloruro e di altri piccoli anioni quali il bicarbonato, il tiocianato e lo ioduro 6. Esistono diversi tipi di canali del cloruro che si distinguono per struttura, per le proprietà biofisiche e farmacologiche e per il meccanismo di regolazione. Uno dei primi canali del cloruro ad essere stato identificato è CFTR, la proteina mutata nei pazienti con fibrosi cistica (FC) 7. Infatti, la fibrosi cistica è causata da un difetto di trasporto di elettroliti e di acqua a livello di diversi organi tra i quali i polmoni, il pancreas, il fegato, le ghiandole sudoripare e l’apparato riproduttivo maschile. Il deficit di secrezione nei pazienti FC provoca la disidratazione della superficie di molti epiteli. Nelle vie aere questo problema causa l’arresto della funzione mucociliare creando un ambiente favorevole per la colonizzazione da parte di batteri. Il gene CFTR fu identificato nel 1989 mediante la strategia di “positional cloning” 7. La scoperta del gene mutato nella FC ha permesso ai ricercatori di studiare la funzione della proteina corrispondente. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che la proteina CFTR è un canale del cloruro regolato dai livelli intracellulari di cAMP. Negli ultimi anni è stato possibile anche comprendere il meccanismo con il quale le mutazioni che colpiscono i pazienti FC provocano la perdita di funzione della proteina CFTR. Queste informazioni sono state utilizzate per la ricerca di farmaci in grado di ripristinare la funzione della proteina mutata 6. Oltre a CFTR, esistono altri tipi di canali anionici, tra i quali i canali del cloruro attivati da calcio (CaCC). Questo tipo di canali ionici è stato descritto per più di venti anni in diversi studi effettuati su cellule epiteliali, muscolari, endoteliali e neuronali 8. Tecniche elettrofisiologiche quali il patch-clamp hanno rivelato la presenza, in tutte queste cellule, di canali anionici accomunati dal fatto di essere regolati dal potenziale di membrana e dal calcio intracellulare. Seppure noti dal punto di vista funzionale, i canali CaCC sono rimasti sconosciuti dal punto di vista molecolare per molti anni. In effetti, l’identificazione delle proteine che costituiscono i canali CaCC è stato un filone di ricerca piuttosto controverso costellato da studi con risultati contrastanti 9. L’interesse verso i canali CaCC ha diverse motivazioni. Nelle cellule epiteliali la secrezione di cloruro dipendente dal calcio rappresenta una via alternativa al trasporto di cloruro mediato da CFTR. Quindi, nei 2 pazienti FC la stimolazione dei CaCC con opportuni farmaci potrebbe essere una strategia per aggirare l’ostacolo rappresentato dalla proteina CFTR mutata. Questi stessi farmaci potrebbero essere utili anche in pazienti con altre patologie dell’apparato respiratorio quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva. I canali CaCC sono anche espressi nelle cellule muscolari lisce dove il trasporto di cloruro attivato da calcio è parte essenziale del meccanismo di accoppiamento tra eccitazione e contrazione. Pertanto, l’inibizione farmacologica di CaCC potrebbe essere utile per il trattamento dell’ipertensione. Identificazione di TMEM16A Il nostro gruppo di ricerca è coinvolto già da molti anni nello studio del trasporto di cloruro nelle cellule epiteliali e delle proteine-canale corrispondenti. Da un lato siamo interessati alla scoperta di molecole con attività farmacologica sulla proteina CFTR nativa e mutata. Dall’altro cerchiamo di scoprire i meccanismi con i quali le cellule regolano il trasporto di anioni. Nel 2002 avevamo effettuato un’osservazione interessante che riguardava l’effetto dell’interleuchina-4 (IL-4) sulle cellule epiteliali bronchiali in coltura 10. In pratica avevamo scoperto che il trattamento per 24 ore delle cellule bronchiali con IL-4 provocava un aumento della secrezione di cloruro mediata dai canali CaCC. Diverse evidenze indicavano che l’effetto di IL-4 fosse causato da un aumento di espressione del gene o dei geni che codificano per i canali CaCC. Abbiamo quindi deciso di sfruttare questo meccanismo per identificare le proteine che costituiscono tali canali. A questo scopo abbiamo effettuato un’analisi globale dell’espressione genica mediante microarray confrontando l’RNA estratto da cellule trattate con IL-4 con quello estratto da cellule non stimolate. L’obiettivo era l’identificazione di geni per proteine di membrana a funzione sconosciuta la cui espressione fosse aumentata da IL-4 (Figura 1). L’analisi con microarray ha dimostrato che IL-4 ha un impatto notevole sull’espressione genica nelle cellule bronchiali. Infatti, l’espressione di centinaia di geni risultava aumentata anche di decine o centinaia di volte. Abbiamo ipotizzato che tra questi geni potesse trovarsi il gene corrispondente ai canali CaCC. Il lavoro successivo è stato facilitato da programmi disponibili su internet che calcolano la probabilità GASLINI Aprile 2009 GENOMICA FUNZIONALE CAPUTO Microarray Cellule epiteliali bronchiali Estrazione di RNA (+/- IL-4) UTP Controllo 20 µA siRNA Anti-TMEM 16A Linee cellulari Silenziamento genico con siRNA Proteine di membrana a funzione scinosciuta indotte da IL-4 Figura 1. — Strategia per l’identificazione della proteina-canale TMEM16A. Cellule bronchiali polarizzate sono state stimolate per 24 ore con IL-4 (10 ng/ml) oppure con terreno di coltura di controllo. Dopo il trattamento, l’RNA è stato estratto dalle cellule, reso fluorescente per marcatura e ibridato su microarray Affymetrix contenenti 57.000 sonde. L’espressione di ciascun gene è proporzionale all’intensità della luce emessa in corrispondenza di ciascuna sonda. I geni stimolati da IL-4 e codificanti per proteine di membrana a funzione sconosciuta sono stati ulteriormente valutati mediante silenziamento genico. A questo scopo, cellule con attività endogena di canali del cloruro attivati da calcio sono state transfettate con “small interfering RNA” (siRNA). Le cellule sono state poi stimolate con UTP, un agonista che attiva i canali del cloruro attraverso un aumento intracellulare di calcio. Solo i siRNA contro la proteina TMEM16A hanno determinato una significativa riduzione delle correnti di cloruro indotte da UTP. che una determinata proteina sia in effetti localizzata nelle membrane cellulari. Questo tipo di analisi ha ristretto a sei il numero di geni interessanti, cioè geni che codificano per proteine di membrana a funzione sconosciuta (TMEM16A, TMTC3, TSPAN8, CDH26, KIAA1126, SIDT1). La fase successiva del progetto doveva servire per capire se tra le proteine sopra citate ci fosse quella che costituisce i canali CaCC. Per questo obiettivo abbiamo adoperato il silenziamento genico con siRNA, effettuato su cellule epiteliali che hanno attività endogena di tali canali. L’ipotesi di lavoro era che il silenziamento di uno dei geni rivelati dai microarray avrebbe dovuto portare alla scomparsa dei canali CaCC. Abbiamo quindi introdotto per transfezione, in cellule CFBE41o- (bronchiali) e cellule CFPAC-1 (pancreatiche), molecole di siRNA silenzianti. Il risultato è stato che i canali CaCC scomparivano solo quando veniva silenziata la proteina TMEM16A. Questo risultato, confermato più volte anche su cellule epiteliali Vol. 41 - N. 1 bronchiali in coltura primaria, ha indicato TMEM16A come un possibile canale del cloruro. Per confermare questa conclusione abbiamo indotto l’espressione di TMEM16A in cellule che normalmente non hanno attività di canali CaCC. In questo caso l’ipotesi era che l’espressione (eterologa) di TMEM16A dovesse causare la comparsa di canali del cloruro. Abbiamo quindi transfettato cellule HEK-293, COS-7 e FRT con plasmidi contenenti la sequenza codificante del gene TMEM16A. Il risultato di questi esperimenti, effettuati con tre saggi funzionali diversi (fluorimetria, camera di Ussing, patch-clamp), è stato sempre lo stesso: l’espressione di TMEM16A provocava la comparsa di flussi e correnti di cloruro regolate da calcio. In particolare, la tecnica del patchclamp rivelava che i canali del cloruro associati ad espressione di TMEM16A avevano le caratteristiche biofisiche e farmacologiche tipiche dei canali CaCC. In conclusione, i nostri studi hanno dimostrato che i canali CaCC, a lungo studiati per diversi anni, sono costituiti dalla proteina TMEM16A 5. I nostri risultati sono stati confermati da altri due gruppi di ricerca che sono arrivati alla stessa conclusione attraverso strategie diverse 11, 12. Prospettive La proteina TMEM16A fa parte di una famiglia composta da altri nove membri (da TMEM16B a TMEM16K). Rimane ora da verificare se anche le altre proteine TMEM16 siano dei canali anionici. Questo interrogativo è particolarmente interessante perchè rimangono dei tipi di canali del cloruro ancora da scoprire. In particolare TMEM16C è una proteina espressa principalmente nel sistema nervoso centrale dove potrebbe rappresentare un canale del cloruro di particolari tipi di neuroni. TMEM16F, TMEM16H e TMEM16K hanno invece un’espressione ubiquitaria e potrebbero quindi funzionare da canali ionici con una funzione essenziale per la vita e il funzionamento delle cellule. L’identificazione della proteina TMEM16A permette l’avvio di una serie di filoni di ricerca rivolti alla comprensione del suo ruolo fisiologico e all’identificazione di modulatori farmacologici. In particolare rimane da capire se i canali CaCC, che ora possiamo chiamare TMEM16A, abbiano un ruolo nel determinare la gravità della malattia polmonare nei pazienti FC. Infatti, GASLINI 3 CAPUTO GENOMICA FUNZIONALE si può ipotizzare che una maggiore attività di TMEM16A in pazienti FC, dovuta a fattori genetici, possa compensare il deficit di trasporto di cloruro e quindi rendere il fenotipo meno grave. In conclusione, la strategia che è stata seguita per identificare la proteina TMEM16A dimostra le poten- zialità della genomica funzionale. L’applicazione dei nuovi strumenti e informazioni a disposizione dei ricercatori, sviluppati soprattutto dopo il sequenziamento del genoma umano, saranno sempre più utili per comprendere il ruolo fisiologico di geni a funzione sconosciuta. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 4 Seo D, Ginsburg GS. Genomic medicine: bringing biomarkers to clinical medicine. Curr Opin Chem Biol 2005;9:381-6. Quackenbush J. Extracting meaning from functional genomics experiments. Toxicol Appl Pharmacol 2005;207:195-9. Wang S, Sim TB, Kim YS, Chang YT. Tools for target identification and validation. 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Gaslini, Genova 3Laboratorio di Genetica, Ospedale Galliera, Genova L e malattie autoinfiammatorie sono un gruppo di malattie ereditarie, ad esordio generalmente precoce, causate da mutazioni di geni coinvolti nella regolazione della risposta infiammatoria, identificate con il termine di malattie autoinfiammatorie (Tabella I) 1. Alcune di queste malattie assumono un andamento periodico o ricorrente (Febbri periodiche), caratterizzato da accessi febbrili spesso accompagnati da sintomatologia muco-cutanea, gastrointestinale e articolare. Si tratta della Febbre Familiare Mediterranea, la sindrome TRAPS e la sindrome da difetto incompleto di mevalonato-chinasi (già nota come Sindrome da IperIgD). In un secondo insieme di patologie l’infiammazione sistemica è dominata da un caratteristico rash urticarioide, che si accompagna a varie altre manifestazioni cliniche (Tabella I). A questo gruppo appartengono la sindrome autoinfiammatoria familiare da freddo, la sindrome di Muckle-Wells e la sindrome cronica infantile neurologica, cutanea e articolare (CINCA) 2, 3. Queste tre malattie rappresentano in realtà un ampio spettro fenotipico legato a differenti mutazioni di un unico gene, denominato cold-induced autoinfammatory syndrome 1 (CIAS-1) che appartiene alla famiglia dei recettori intracellulari NALP (ed è pertanto denominato anche NALP3) 4. Recentemente è stata individuata anche una sindrome infiammatoria associata all’esposizione al freddo anche in alcuni soggetti portatori di mutazioni di un altro membro della famiglia NALP, il gene NALP12 5. Altre condizioni sono connotate dalla formazione di tipiche lesioni granulomatose (malattie granulomato- se). Nella sindrome di Blau (o granulomatosi giovanile sistemica familiare) i granulomi si localizzano a livello della cute, delle articolazioni o dell’uvea oculare (da cui deriva, rispettivamente, la triade clinica di dermatite, artrite e uveite). Queste malattie sono associate a mutazioni del dominio NACHT del gene CARD15 (o NOD2) 6, 7. L’elemento distintivo dell’ultimo gruppo di patologie, assai rare, è rappresentato dallo sviluppo di ascessi piogenici sterili prevalentemente a carico della cute, delle articolazioni e delle ossa (malattie piogeniche). Di questo gruppo fanno parte la sindrome artrite sterile piogenica, pioderma gangrenoso e acne (PAPA), legata a mutazioni del gene per la proteina 1 legante il CD-2 (CD2BP1, denominato anche PSTPIP1) 8, e la sindrome di Majeed, causata da mutazioni del gene LPIN2, nella quale si osservano osteomielite cronica multifocale ricorrente associata ad anemia congenita diseritropoietica e dermatosi neutrofilica 9. Caratteristiche cliniche delle febbri periodiche I pazienti con FP presentano episodi febbrili ricorrenti associati ad un vario corteo sintomatologico (rash cutaneo, dolori toracici e addominali, artro-mialgie ecc.). L’esordio degli accessi febbrili avviene in pieno benessere, senza alcun prodromo infettivo e può essere spesso associato a brivido. La durata degli episodi è variabile a secondo della malattia. Gli episodi sono intervallati da periodi di completo benes- Autore di contatto: M. Gattorno, Unità Operativa di Pediatria II, Unità di Reumatologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. E-mail: [email protected] Vol. 41 - N. 1 GASLINI 5 GATTORNO FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED TABELLA I. — Basi genetiche e caratteristiche cliniche delle sindromi autoinfiammatorie ereditarie. Malattia Febbri periodiche Febbre familiare mediterranea Sindrome da Iper IgD TRAPS Gene Ereditarietà Caratteristiche cliniche MEVF AR Breve durata degli episodi febbrili associati a dolori addominali e toracici Rash simil-erisipela al dorso del piede, artrite Risposta alla Colchicina MVK AR Esordio precoce Durata episodi febbrile di 3-5 giorni Rash cutaneo e interessamento addominale TNFRSF1A AD Lunga durata degli episodi febbrili (>10 giorni) Edema periorbitale, mialgie, dolore scrotale AD Orticaria e febbre scatenata dall’esposizione al freddo Sindromi associate alla famiglia NALP FCAS S. di Muckle-Wells NALP3 (CIAS1) Orticaria cronica, sordità neurosensoriale, amiloidosi CINCA Sindrome periodica associata a NALP12 Malattie piogeniche PAPA S. di Majeed Malattie granulomatose Sindrome di Blau Come sopra e displasie ossee, ritardo intellettivo, meningite cronica NALP12 AD Lesioni orticarioidi, artro-mialgie e febbre scatenati dall’ esposizione al freddo, sordità neurosensoriale CD2BP1(PSTPIP1) AD Episodi ricorrenti di artrite asettica responsiva a FANS/steroide, pioderma gangrenoso, acne LPIN2 AR Osteomielite cronica multifocale ricorrente associata ad anemia congenita diseritropoietica e dermatosi neutrofilica CARD15 (NOD2) AD Artrite poliarticolare granulomatosa ad esordio precoce Rash cutaneo, panuveite TRAPS: tumor necrosis factor (TNF) receptor-associated periodic syndrome; TNFRI: recettore per TNF tipo I; FCAS: familial cold autoinflammatory syndrome; CINCA: chronic infantile neurological cutaneous articular syndrome; PFAPA: periodic fever, aphthous stomatitis, pharingitis, adenitis; PAPA: pyogenic sterile arthritis, pyoderma gangrenosum, acne. sere, durante i quali il paziente può svolgere senza problemi le normali attività quotidiane con un normale accrescimento. La febbre mediterranea familiare (FMF, OMIM 249100) è trasmessa con una modalità autosomica recessiva. Il gene responsabile (MEFV) è stato identificato nel 1997 e codifica per una proteina (denominata pirina o marenostrina) che è coinvolta nella risposta infiammatoria e nel controllo dell’apoptosi cellulare 10. In più del 75% dei casi la malattia si manifesta entro i 10 anni di vita. Gli episodi febbrili hanno breve durata (1-3 giorni) e sono molto spesso accompagnati da dolore addominale intenso (peritonite asettica). Frequente è anche la presenza di artralgia o 6 artrite assai spesso monoarticolare e localizzata a una delle grandi articolazioni degli arti inferiori. La FMF è particolarmente frequente negli ebrei non-ashkenazi, arabi, turchi e armeni (con indice di carrier che può arrivare a 1 su 3 individui nella popolazione armena). Nelle popolazioni caucasiche la sua frequenza è decisamente inferiore. Il deficit parziale di mevalonato-chinasi con febbre periodica (o sindrome da Iper IgD) (OMIM 260960) è trasmessa con una modalità autosomica recessiva ed è determinata da una alterazione del gene della mevalonato-kinasi (MVK) (enzima chiave nella via metabolica di sintesi del colesterolo e degli isoprenoidi) con deficit enzimatico parziale GASLINI Aprile 2009 FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED GATTORNO 11. La malattia si manifesta assai spesso nel primo anno di vita e comunque prima dei 10 anni di età. Gli accessi febbrili hanno esordio improvviso, sono preceduti da brividi e durano circa 3-6 giorni. Una sintomatologia gastroenterica è molto comune e si caratterizza per la presenza di dolore addominale, diarrea e/o vomito. La comparsa di linfoadenomegalia, specie laterocervicale, è un altro sintomo di frequente osservazione. Le manifestazioni mucocutanee sono molto comuni e comprendono macule eritematose, lesioni simil-orticarioidi e, più raramente, aftosi orale. Un interessamento articolare sotto forma di artralgie o di artrite oligoarticolare, asimmetrica, è piuttosto comune 12. È opportuno sottolineare che gli elevati livelli circolanti di IgD, sebbene suggestivi, non sono patognomonici, in quanto un incremento delle IgD può non essere osservato, specie sotto i due anni di vita, o può essere osservato sebbene più raramente in pazienti con altre forme di febbre ricorrente. La Tumor Necrosis Factor (TNF)-Receptor Associated Periodic Fever Syndrome (TRAPS, OMIM 142680) è una malattia a trasmissione autosomica dominante causata da mutazioni nel gene codificante il recettore di tipo I del TNF (TNFRSF1A) 13. Questa affezione, descritta nel 1982 in una famiglia irlandese e quindi già nota come “Hibernian fever”, si caratterizza clinicamente per la presenza di accessi febbrili di durata variabile da un giorno a parecchie settimane e che ricorrono con frequenza anch’essa variabile, in genere 2-4 volte all’anno. Altri sintomi spesso associati alla febbre comprendono dolore addominale, pleurite, artrite o artromialgie, linfoadenomegalia. In alcuni casi si osservano lesioni eritematose fisse, calde e dolenti, con infiltrato sottocutaneo tali da assumere un aspetto di simil-panniculitico. Approccio diagnostico alle febbri periodiche nell’infanzia L’indagine molecolare rappresenta ovviamente un elemento fondamentale per la diagnosi di queste malattie. Tuttavia, in considerazione degli alti costi connessi a tali indagini è necessario razionalizzarne l’indicazione ai casi veramente meritevoli. Per arrivare a ciò bisogna partire da alcune importanti considerazioni di fondo, che potremmo così riassumere: Vol. 41 - N. 1 TABELLA II. — Principali cause di febbre periodica in età pediatrica. Malattie infettive — Infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie — Infezioni delle vie urinarie — Virali (EBV, Parvovirus B19, HSV 1 e 2) — Batteriche (infezioni occulte, Borrelia, Brucella) — Parassitarie (Malaria) Difetti immunitari congeniti — Immunodeficienze primitive — Neutropenia ciclica Malattie infiammatorie multifattoriali — Malattia di Behcet — Lupus eritematoso sistemico — Malattia di Crohn Malattie autoinfiammatorie ereditarie — Febbre Familiare Mediterranea — Deficit parziale di mevalonato-chinasi (Iper IgD) — Sindrome TRAPS — Sindrome di Muckle-Wells Malattie neoplastiche — Leucemia linfoblastica acuta — Leucemia mieloide acuta — Linfoma (Febbre di Pel Epstein) Forme idiopatiche — Sindrome PFAPA 1) la presenza di una febbre periodica o ricorrente non è esclusiva di una forma su base ereditaria, ma può caratterizzare anche una serie di patologie di altra natura (Tabella II); 2) una volta escluse le altre cause di febbre periodica, bisogna considerare che solo una modesta percentuale dei pazienti con caratteristiche compatibili con una febbre periodica ereditaria risulta essere positivo al test genetico (8-15% a seconda delle casistiche); 3) tale situazione è particolarmente vera in età pediatrica nella quale esiste una forma di febbre periodica “idiopatica”, non legata cioè ad alcun difetto genetico noto, denominata con il termine di sindrome PFAPA (Periodic Fever, Aphthosis, Pharyngitis and Adenitis) (Tabella III). Le caratteristiche degli accessi febbrili di questa condizione, la cui eziologia e definizione nosografica è tuttora oggetto di un acceso dibattito, sono del tutto sovrapponibili a quelli già descritte per le forme periodiche ereditarie nel paragrafo precedente 14; 4) nell’ambito delle stesse FP ereditarie esiste un ampio grado di sovrapposizione clinica che rende difficile la scelta del test genetico da effettuare. GASLINI 7 GATTORNO FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED TABELLA III. — Criteri diagnostici per la sindrome PFAPA. 1. Episodi febbrili ricorrenti con esordio prima dei 5 anni di età 2. Sintomi costituzionali, in assenza di infezioni delle alte vie respiratorie con almeno uno tra: — Stomatite aftosa — Linfadenite cervicale — Faringite TABELLA IV. — Variabili incluse nel calcolo dello score diagnostico (Vari), la codifica delle variabili che meglio discrimina i soggetti geneticamente positive da quelli geneticamente negative e relativi coefficenti (βi). Vari Età all’esordio Dolore addominale 3. Esclusione della neutropenia ciclica mediante controlli seriati dei globuli bianchi prima, durante e dopo i periodi sintomatici 4. Periodi asintomatici tra gli accessi febbrili Aftosi 5. Normale crescita staturo-ponderale e normale sviluppo psico-fisico Dolore toracico Da Marshall et al. Pediatr Infect Dis J 1989;8:658. Diarrea Uno score diagnostico per le febbri periodiche ereditarie Familiarità Fin dal 2002, il nostro Istituto ha avviato uno studio multicentrico su base nazionale mirato alla caratterizzazione clinica e genetica dei pazienti pediatrici affetti da una sospetta malattia autoinfiammatoria. Nell’ambito di tale studio è stato offerta la possibilità della diagnostica molecolare per i principali geni associati alle malattia autoinfiammatorie, in collaborazione con il Laboratorio di Genetica del Galliera (per il gene MEFV). Nel corso di questi anni abbiamo ricevuto informazioni cliniche relative alle manifestazioni associate agli episodi febbrili e alla loro frequenza, nonché il materiale biologico di oltre 900 pazienti con sospetta malattia autoinfiammatoria. Sulla base delle considerazioni sopra esposte abbiamo pensato di prendere spunto da questa esperienza unica per mettere a punto uno strumento evidencebased di facile utilizzo e basato esclusivamente su aspetti clinici che possa aiutare il pediatra ad orientarsi nel percorso diagnostico di fronte ad un bambino con febbre periodica o ricorrente, tenendo conto di queste tre fondamentali domande: quando sospettarla? Quando è indicato il test genetico? Che gene analizzare ? Lo studio 15 è stato condotto analizzando i dati clinici di un totale di 244 pazienti con sospetta febbre periodica di cui sono analizzati tutti e tre i geni (MEFV, MVK e TNFRSF1A). Per poter entrare nello studio i pazienti dovevano presentare un febbre periodica o ricorrente (>38 °C) di natura sconosciuta (esclusione delle condizioni riportate nella Tabella II) con periodi intercritici liberi da sintomi clinici, incluso la normalità degli indici di flogosi 15. 8 Codifica Mesi Mai=0 Talvolta o spesso=2 Sempre=3 Mai=0 Talvolta o spesso=1 Sempre=2 Assente=0 Presente=1 Mai=0 Talvolta Spesso=1 Sempre=2 Negative=0 Positive=1 βi -0.067 1.494 -1.504 1.958 0.901 1.503 Score diagnostico – (0,067 × età) + (1,494 × dol add) – (1,504 × aftosi) + (1,958 × dol torac) + (0,901 × diarrea) + (1,503 × familiarità) Lo studio è stato condotto dividendo la casistica in due sottogruppi. Un primo sottogruppo di 173 pazienti (Training set) è stato utilizzato per sviluppare l’ipotesi, ovvero per la creazione dello score diagnostico. In questo sottogruppo vi erano 18 pazienti con IperIgD, 7 pazienti TRAPS e 12 pazienti con FMF (pazienti geneticamente positivi) e 136 pazienti risultati negativi a tutti i test genetici effettuati (pazienti geneticamente negativi). Tramite una analisi di regressione logistica univariata sono state identificate le manifestazioni cliniche in grado di distinguere i soggetti geneticamente positivi da quelli geneticamente negativi. Le variabili così ottenute, sono state inserite in un modello di analisi multivariata che ha permesso di individuare un insieme di 6 variabili indipendenti in grado di identificare i pazienti a più alto rischio di essere portatori di una mutazione di uno dei tre geni. Le sei variabili incluse nel modello multivariato erano le seguenti: età di esordio, storia familiare positiva, presenza di dolore addominale, dolore toracico e diarrea nel corso dell’episodio, assenza di stomatite aftosa 15. È stato creato uno score diagnostico con una combinazione lineare di queste variabili, pesate ciascuna con il coefficiente stimato dal modello logistico utilizzato (Tabella IV); lo score determina il grado di probabilità per un determinato paziente di risultare GASLINI Aprile 2009 FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED GATTORNO Figura 1. — Flow-chart diagnostica per la Febbre periodica di sospetta natura autoinfiammatoria. Per il calcolo dello score diagnostico vai a www.printo.it/periodicfever. positivo al test genetico ed è consultabile al sito www.printo.it/periodicfever 15. La sensibilità e la specificità di questo score diagnostico sono state quindi verificate sul secondo sottogruppo di 71 pazienti (Validation set). Di questi, 31 erano geneticamente positivi (13 IperIgD, 6 TRAPS, 14 FMF) and 40 negativi. Utilizzando il 15% di probabilità di risultare positivo al test genetico come il valore soglia di discriminazione tra individui a basso e ad alto rischio, lo score permetteva di identificare correttamente 27 su 31 pazienti geneticamente positivi (sensibilità 87%) e 28 su 40 soggetti geneticamente negativi (specificità 72%) 15. Ci siamo successivamente chiesti se, una volta identificato un paziente ad alto rischio di essere portatore di mutazioni per i geni associati a febbre periodi- Vol. 41 - N. 1 ca, esistessero delle variabili cliniche in grado di orientare verso il test genetico da effettuare. Una analisi di regressione a fasi multiple ha permesso di individuare le manifestazioni cliniche maggiormente correlate alle diverse malattie nei pazienti con score diagnostico ad alto rischio geneticamente positivi. In particolare, la durata dell’episodio febbrile inferiore a 2 giorni è risultata significativamente associata alla FMF, mentre una durata superiore ai 7 giorni si associava alla TRAPS. La maggior parte dei pazienti geneticamente positivi che presentavano una durata degli episodi tra i 3 e i 6 giorni era affetto da IperIgD o FMF. In questi pazienti, la presenza di vomito e il riscontro di una splenomegalia al momento dell’accesso febbrile sono risultati fortemente associati ad una sindrome da IperIgD (Figura 1) 15. GASLINI 9 GATTORNO FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED Una flow-chart diagnostica per la febbre periodica in età pediatrica Sulla base dei risultati sopra riportati abbiamo quindi proposto una flow-chart diagnostica che possa servire come strumento per l’indicazione al test genetico nei bambini con febbre periodica o ricorrente (Figura 1), una volta escluse le altre possibili cause elencate nella Tabella II. Dal punto di vista pratico si suggerisce, per ogni paziente per il quale si sospetta una febbre periodica, di calcolare il risultato dello score (facilmente eseguibile al sito www.printo.it/periodicfever) in modo di individuare il grado di rischio di essere portatore di una mutazione dei geni noti. I pazienti ad alto rischio dovrebbero essere sottoposti ad analisi genetica, orientandosi sul gene da studiare con la flow-chart riportata in Figura 1. Nei pazienti a basso rischio si consiglia invece di procrastinare la richiesta di tale approfondimento diagnostico. In questo caso si propone di seguire il paziente longitudinalmente per valutare l’eventuale comparsa di nuove manifestazioni cliniche o la tendenza alla risoluzione spontanea degli episodi febbrile, come spesso si osserva nei pazienti PFAPA geneticamente negativi. Anche se la maggior parte dei pazienti pediatrici portatori di mutazioni del gene NALP3 presenta un andamento cronico, alcuni di essi possono avere un andamento ricorrente (sindrome di Muckle- Wells), rientrando di fatto nella diagnostica differenziale delle febbri periodiche. In questi pazienti, la presenza di un rash simil-orticarioide, unitamente ad una temperatura solitamente inferiore ai 38 °C dovrebbe aiutare ad orientarsi facilmente verso questa patologia. Il nostro studio è stato eseguito su una casistica prevalentemente di origine italiana. Per tale motivo non ha potuto analizzare l’influenza dell’etnia come variabile discriminante. Questo dato è indubbiamente molto rilevante per la FMF che, come abbiamo ricordato è particolarmente frequente nelle etnie turca, araba, armena ed ebraica. In questo caso il suggerimento è quello di iniziare lo screening genetico dal gene MEFV in tutti i pazienti appartenenti alle etnie sopra citate che presentano uno score diagnostico ad alto rischio. Sulla base di questa nostra esperienza riteniamo che lo score diagnostico possa rappresentare uno strumento molto utile per il Pediatra di base ed ospedaliero per la corretta impostazione dell’iter diagnostico nei bambini con febbre periodica. Da circa un anno abbiamo iniziato ad utilizzare lo score come strumento di screening per la decisione di sottoporre i pazienti con febbre periodica a test genetico, con un indubitabile vantaggio dal punto di vista della razionalizzazione del ricorso a tale procedura diagnostica. In questo momento è in corso la validazione di questo strumento in popolazioni diverse da quella italiana. Bibliografia 1. Gattorno M, Federici S, Pelagatti MA, Caorsi R, Brisca G, Malattia C et al. Diagnosis and management of autoinflammatory diseases in childhood. J Clin Immunol 2008;28(Suppl 1):S73-S83. 2. McDermott MF. Autosomal dominant recurrent fevers. Clinical and genetic aspects. Rev Rhum Engl Ed 1999;66:484-91. 3. Caroli F, Pontillo A, D’Osualdo A, Travan L, Ceccherini I, Crovella S et al. Clinical and genetic characterization of Italian patients affected by CINCA syndrome. Rheumatology (Oxford) 2007;46:473-8. 4. Hoffman HM, Mueller JL, Broide DH, Wanderer AA, Kolodner RD. Mutation of a new gene encoding a putative pyrin-like protein causes familial cold autoinflammatory syndrome and Muckle-Wells syndrome. Nat Genet 2001;29:301-5. 5. Jeru I, Duquesnoy P, Fernandes-Alnemri T, Cochet E, Yu JW, Lackmy-Port-Lis M et al. Mutations in NALP12 cause hereditary periodic fever syndromes. Proc Natl Acad Sci U S A 2008;105:1614-9. 6. Miceli-Richard C, Lesage S, Rybojad M, Prieur AM, Manouvrier-Hanu S, Hafner R et al. CARD15 mutations in Blau syndrome. Nat Genet 2001;29:19-20. 7. Rose CD, Wouters CH, Meiorin S, Doyle TM, Davey MP, Rosenbaum JT et al. Pediatric granulomatous arthritis: an international registry. Arthritis Rheum 2006;54:3337-44. 8. Lindor NM, Arsenault TM, Solomon H, Seidman CE, McEvoy MT. A new autosomal dominant disorder of pyogenic sterile arthritis, pyoderma gangrenosum, and acne: PAPA syndrome. Mayo Clin Proc 1997;72:611-5. 9. Ferguson PJ, Chen S, Tayeh MK, Ochoa L, Leal SM, Pelet A et al. Homozygous mutations in LPIN2 are responsible for the syndrome of chronic recurrent multifocal osteomyelitis and congenital dyserythropoietic anaemia (Majeed syndrome). J Med Genet 2005;42:551-7. 10. A candidate gene for familial Mediterranean fever. The French FMF Consortium. Nat Genet 1997;17:25-31. 11. Drenth JP, Cuisset L, Grateau G, Vasseur C, van de Velde-Visser SD, De Jong JG et al. Mutations in the gene encoding mevalonate kinase cause hyper-IgD and periodic fever syndrome. International Hyper-IgD Study Group. Nat Genet 1999;22:178-81. 10 GASLINI Aprile 2009 LATTANTE CON VOMITO RICORRENTE E ARRESTO DELL’ACCRESCIMENTO PONGIGLIONE 12. D’Osualdo A, Picco P, Caroli F, Gattorno M, Giacchino R, Fortini P et al. MVK mutations and associated clinical features in Italian patients affected with autoinflammatory disorders and recurrent fever. Eur J Hum Genet 2005;13:314-20. 13. McDermott MF, Aksentijevich I, Galon J, McDermott EM, Ogunkolade BW, Centola M et al. Germline mutations in the extracellular domains of the 55 kDa TNF receptor, TNFR1, define a family of dominantly inherited autoinflammatory syndromes. Cell 1999;97:133-44. 14. Marshall GS, Edwards KM, Butler J, Lawton AR. Syndrome of periodic fever, pharyngitis, and aphthous stomatitis. J Pediatr 1987;110: 43-6. 15. Gattorno M, Sormani MP, D’Osualdo A, Pelagatti MA, Caroli F, Federici S et al. A diagnostic score for molecular analysis of hereditary autoinflammatory syndromes with periodic fever in children. Arthritis Rheum 2008;58:1823-32. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 11 FORUM: ASPETTI CLINICI DEL BAMBINO IMMUNODEPRESSO GASLINI 2009;41:13-8 INTRODUZIONE AL FORUM I n questo numero apriamo una finestra su alcuni aspetti clinici del bambino affetto da immunodeficienza. L’argomento è di grande interesse e comprende patologie congenite e forme secondarie acquisite. Non era nostra intenzione proporre al lettore una revisione di un campo di tale ampiezza e con risvolti fisiopatologici, clinici, terapeutici e di ricerca estremamente interessanti, ma anche talvolta complessi e non del tutto definiti. Tuttavia, poiché l’argomento è uno di quelli con cui il pediatria si ritrova a confrontarsi, abbiamo ritenuto interessante affrontarlo pur limitando la presentazione ad alcuni aspetti molto pratici quali la diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze, con il protocollo adottato presso l’Istituto Giannina Gaslini per la diagnostica delle immunodeficienze primitive, che si basa su alcuni test elementari (primo livello), che, in caso positivo, possono essere ulteriormente approfonditi con test di livello superiore (secondo, terzo e quarto livello). Il secondo aspetto è un inquadramento delle infezioni nel bambino immunocompromesso, tenendo presente che la comparsa di un’infezione opportunistica in un bambino apparentemente sano, il ripetersi con frequenza di infezioni, o la comparsa di infezioni gravi da patogeni usualmente poco “aggressivi” o di riattivazioni di infezioni endogene o pregresse può rappresentare la prima manifestazione clinica di un deficit immunologico. Infine una revisione sintetica, ma basata su una grande esperienza, delle infezioni polmonari, avendo presente che i polmoni sono gli organi più soggetti alle infezioni nel bambino immunocompromesso, e che in tali condizioni le complicanze polmonari presentano spesso evoluzioni molto rapide e potenzialmente fatali se non vengono diagnosticate in tempo e adeguatamente trattate. Diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze primitive G. MELIOLI 1, 2, V. PISTOIA 1, 3 1Dipartimento di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, IRCCS G. Gaslini, Genova 2Laboratorio di Analisi Cliniche, IRCCS G. Gaslini, Genova 3Laboratorio di Oncologia, IRCCS G. Gaslini, Genova S ono noti, ad oggi, oltre 150 differenti tipi di immunodeficienza primaria (IP), che riguardano virtualmente tutte le funzioni note del sistema immune 1. Anche se alcune IP sono relativamente frequenti, (per esempio, un deficit selettivo di IgA è presente in 1:300-1:700), altre, come la X-linked severe combined immunodeficiency, hanno una frequenza tra 1:50 000 e 1:100 000. Chiaramente non tutti i pazienti con infezioni ricorrenti hanno un’IP. Infatti, nella diagnosi differenziale, è necessario considerare anche altri fattori (per esempio difetti anatomici, diabete, malnutrizione ecc.) che possono condizionare la capacità del paziente di rispondere in maniera immunologicamente adeguata ai patogeni. Peraltro, una diagnostica di laboratorio delle IP deve essere messa in atto ogni volta che è necessaria una diagnosi differenziale accurata. Da un punto di vista della sintomatologia, i difetti della produzione di anticorpi non sono apparenti nei primi mesi di vita, quando la risposta nel piccolo Autore di contatto: G. Melioli, Clinica Pediatrica, Università di Genova, Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 13 MELIOLI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE TABELLA I. — Immunodeficienza primaria. Famiglia Patologia Emocromo Ig seriche Fenotipo C’ Fagocitosi Difetti delle cellule B e degli anticorpi X-Linked Agammaglobulinemia (XLA) Linfopenia Ipogammaglobulinemia NS NS Common Variable Immunodeficiency (CVID) (hypogammaglobulin emia) e Selective IgA Deficiency Hyper-IgM Syndrome Apparentemente normale Ipogammaglobulinemia, deficit di IgA Linfociti B virtualmente assenti, ricerca proteina BTK in CMF B normali ma funzionalmente difettose T con vari difetti NS NS Neutropenia NS NS NS IgG Subclass Deficiency Apparentemente normale IgM elevate, assenza di IgA IgG totali spesso normali deficit di una o più sottoclassi (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4) NS NS NS X-linked SCID Linfopenia T ed NK (grave) Ipogammaglobulinemia NS NS ADA Deficiency Linfopenia grave NS NS Purine nucleoside phosphorylase (PNP) Deficiency Bare Lymphocyte Syndrome (MHC-II deficiency) NS NS NS NS NS NS NS NS Omenn’s syndrome Leucocitosi, eosinofilia, linfocitopenia Iper IgE Linfociti B Funzionalmente danneggiati, pochi linfociti T Deplezione T, B ed NK Difetto selettivo e grave della funzione delle cellule T Difetto di espressione di HLA I e HLA II per deficit di TAP Deficit grave T e B NS NS Partial Combined Immunodeficiencies Wiskott-Aldrich Syndrome (WAS) Ataxia-Telangiectasia (AT) Piastrinopenia IgM basse, IgG e IgA normali, IgE alte Ipogammaglobuline mia (incostante) NS NS NS Modesto deficit T e B NS NS T cell deficiencies DiGeorge Linfopenia Difetto T isolato, cellule B normali NS NS Deficit combinati TeB Severe Combined Immunodeficiency (SCID) NS Spesso normali ma sottoclassi di IgG e IgA possono essere modificate (Continua) 14 GASLINI Aprile 2009 DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE MELIOLI TABELLA I.—(Segue). Famiglia Patologia Difetto della fagocitosi Cartilage Hair Hypoplasia Chronic Granulomatous Disease (CGD) Leukocyte Adhesion Defect (LAD) Chediak-Higashi Syndrome (CHS) Emocromo Ig seriche Fenotipo C’ Fagocitosi Difetto T NS NS NBT test patologico NS Difetto Neutrofilia NS NS Difetto Granuli giganti nei neutrofili NS Ridotta espressione di CD18/CD15 NBT test patologico NS Difetto Hyper-IgE Syndrome NS Forte aumento delle IgE NS NS Possibile Chronic Mucocutaneous Candidiasis NS NS NS NS NS Difetti del complemento Altre paziente è supportata dagli anticorpi materni passati attraverso la placenta ed il latte. Successivamente, il paziente soffre di una patologia infettiva grave, causata prevalentemente da batteri in grado di ricoprirsi di una capsula mucopolisaccaridica, come lo Streptococcus pneumoniae. In questi pazienti, la concentrazione di immunoglobuline circolanti è ridotta nella maggior parte dei casi. Al contrario, i difetti del numero o della funzione dei linfociti sono caratterizzati da mughetto, diarrea e difetto di crescita. Successivamente, vengono diagnosticate infezioni ricorrenti da virus (Varicella zoster virus, virus di Epstein-Barr EBV, citomegalovirus, adenovirus), da miceti o da parassiti. In questi pazienti, è evidente una linfopenia dalla nascita. Esempi selezionati di IP con indicazione dei relativi difetti sono contenuti nella Tabella I. Diagnostica di primo livello Il protocollo adottato presso l’Istituto Giannina Gaslini per la diagnostica delle immunodeficienze Vol. 41 - N. 1 primitive si basa su alcuni test elementari (primo livello), che, in caso positivo, possono essere ulteriormente approfonditi con test di livello superiore (secondo, terzo e quarto livello). In genere, i test di primo livello consentono di identificare i pazienti con una reale immunodeficienza. Questi test consistono nel conteggio delle cellule del sangue periferico e nel dosaggio degli anticorpi IgG, IgA ed IgM nel siero. Il conteggio delle cellule nel sangue periferico viene normalmente effettuato con strumentazioni ad elevata automazione che identificano le popolazioni leucocitarie (in particolare granulociti e linfociti) dopo lisi dei globuli rossi, sulla base delle loro caratteristiche fisiche: infatti, i linfociti circolanti sono cellule piccole e caratterizzate da una complessità molto bassa, a differenza, per esempio, dei granulociti che sono più grandi ma, soprattutto, caratterizzati dalla presenza di granuli facilmente rilevabili con le moderne strumentazioni basate sugli scatter della luce. Un conteggio di linfociti inferiore a 1000 cellule/mmc (3000 sotto i due anni) indica che siamo in presenza di una linfocitopenia. È anche evidente che una neutropenia ed una trombocitopenia devono GASLINI 15 MELIOLI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE immediatamente suggerire un ulteriore approfondimento diagnostico. Il dosaggio delle immunoglobuline circolanti è un test routinario che consente di documentare la funzionalità del sistema immune adattativo. I valori attesi per le IgG sono 700 mg/dl, per le IgM sono 70 mg/dl e per le IgA sono 40 mg/dl. Valori più bassi indicano che potrebbe esistere un’immunodeficienza e consigliano l’esecuzione di indagini di secondo livello. In qualche caso, può essere utile misurare le IgE circolanti. E’ peraltro importante ricordare che la concentrazione di immunoglobuline si modifica con l’età e per questo motivo è determinante utilizzare controlli adeguati per ogni intervallo di età. La valutazione delle sottoclassi delle immunoglobuline poteva essere considerata un test di secondo livello ma da quando queste sono disponibili su strumentazioni ad elevata automazione, nulla osta a associare l’indagine delle sottoclassi alla misura delle immunoglobuline circolanti. Diagnostica di secondo livello Le indagini di laboratorio di secondo livello prevedono un approfondimento mirato allo studio delle popolazioni e delle sottopopolazioni di linfociti del sangue periferico. In particolare, è essenziale contare la percentuale ed il numero assoluto dei linfociti T, dei linfociti B e delle cellule NK. Nell’ambito dei linfociti T, è importante conoscere la percentuale ed il numero assoluto dei linfociti T con fenotipo CD4+ e con fenotipo CD8+. Questi rappresentano rispettivamente le cellule con funzioni prevalentemente di tipo “helper” e le cellule con funzioni prevalentemente di tipo “citotossico”. L’indagine fenotipica deve essere effettuata sempre contemporaneamente ad un test emocromocitometrico, in maniera che i conteggi “assoluti” siano corretti e standardizzati. In alcuni casi (per esempio, la ALPS), è necessario che l’indagine fenotipica sia molto approfondita, consentendo di identificare sottopopolazioni “rare” (per esempio, le cellule CD4CD8- TCR a/b positive) che sono rappresentative di una data patologia. Esistono altre indagini di laboratorio che possono essere effettuate con metodi di routine e quindi rientrano di fatto nel secondo livello delle indagini per la diagnosi di una IP. Tra queste, la valutazione sierologica della capacità di rispondere ad agenti patogeni (per esempio, anticorpi diretti contro il virus della rosolia, del 16 morbillo, della parotite, della varicella, dell’influenza ecc.) o rispondere adeguatamente a stimoli di tipo vaccinale (tossoide tetanico, virus polio ecc.). Infine, visto l’impatto che il sistema del complemento ha con le capacità di fagocitosi e di killing, un’analisi delle frazioni (C3 e C4) seriche del C’ può essere effettuata facilmente e a basso costo. Diagnostica di terzo livello I test di primo e secondo livello forniscono importanti informazioni sulla presenza o la riduzione numerica fino all’assenza di specifiche popolazioni di cellule immunocompetenti. Al deficit numerico di tali cellule corrispondono precisi difetti funzionali responsabili della sintomatologia; la combinazione di questi due ordini di informazioni consente di formulare un sospetto diagnostico. Tuttavia le patologie da immunodeficienza primitiva non sempre dipendono da difetti differenziativi che si traducono in deficit numerici di cellule immunocompetenti; esistono infatti situazioni patologiche in cui tali cellule sono normalmente rappresentate nel sangue periferico ma funzionalmente compromesse. I test di terzo livello rispondono quindi all’esigenza di “smascherare” immunodeficienze primitive in cui una mutazione a carico di un gene cruciale per il funzionamento della cellula colpita provoca aumentata suscettibilità alle infezioni senza alterarne il programma differenziativo. Presso l’Istituto Giannina Gaslini vengono routinariamente eseguiti di tre tipi di test: 1) test di riduzione del colorante nitro blu di tetrazolio (NBT), 2) test di citotossicità delle cellule natural killer (NK) e 3) test di proliferazione linfocitaria. NBT test La funzione primaria dei granulociti neutrofili nella resistenza alle infezioni è l’uccisione intracellulare dei microrganismi. Questa rappresenta l’ultima tappa di una serie di eventi costituiti dalla migrazione dei neutrofili nella sede di infezione, il riconoscimento dei batteri, la loro ingestione e la degranulazione. NBT è un composto giallo idrosolubile che in seguito a riduzione precipita sotto forma di formazano, un colorante blu scuro. I neutrofili sono in grado di ridurre NBT dopo ingestione di particelle di lattice o simili; durante questo processo viene attivato il burst metabolico attraverso la via dello shunt degli esoso-monofo- GASLINI Aprile 2009 DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE sfati. Il formazano viene quantizzato mediante lettura spettrofotometrica dopo estrazione dai neutrofili con il solvente organico piridina. Poiché la generazione di attività riducente nei neutrofili vitali va di pari passo con le attività metaboliche cellulari indotte dall’ingestione, la riduzione di NBT costituisce un utile strumento per determinare complessivamente l’integrità metabolica dei neutrofili fagocitanti. La mancata riduzione di NBT da parte dei neutrofili che hanno ingerito particelle è un’importante anomalia di laboratorio che caratterizza la malattia granulomatosa cronica (CGD). Mutazioni in diverse componenti della NADPH ossidasi provocano l’impossibilità di produrre H2O2 o radicali superossidi e quindi l’incapacità di uccidere alcuni patogeni intracellulari obbligati. Test di citotossicità NK I linfociti NK sono dotati di attività citotossica naturale che si esercita soprattutto contro cellule infettate da virus (in particolare herpesvirus) e cellule tumorali. Morfologicamente le cellule NK appaiono come linfociti granulari di dimensioni superiori alla media; le granulazioni azurofile citoplasmatiche contengono fattori citotossici (perforina, granzyme B) necessari per l’uccisione delle cellule bersaglio. Un meccanismo alternativo, anche se meno importante, di killing utilizzato dai linfociti NK è mediato da molecole di superficie della superfamiglia del tumor necrosis factor (ad esempio Fas ligando) che si legano a recettori complementari sulla membrana delle cellule bersaglio (ad esempio Fas). Il classico test di attività citotossica NK viene effettuato incubando per 4 ore cellule mononucleate del sangue periferico (all’interno delle quali i linfociti NK rappresentano in condizioni fisiologiche il 5-15% circa) con la linea eritroleucemica K562 preventivamente marcata con l’isotopo 51Cr. L’uccisione delle cellule target marcate da parte delle cellule NK viene quantizzata misurando con uno scintillatore la radioattività liberata nel sopranatante della co-cultura e rapportando questo valore alla radioattività presente nel sopranatante di cellule K562 marcate incubate da sole e sottoposte o no a lisi osmotica (“lisi totale” e “lisi spontanea”, rispettivamente). Il test di citotossicità NK viene realizzato cimentando concentrazioni scalari di cellule effettrici con una concentrazione fissa di cellule K562 marcate (si parte ad esempio da un rapporto di 100:1 per scendere fino a 3:1); in tal modo si ottiene una curva che consente di valutare qualitativamente la potenza dell’attività NK. Vol. 41 - N. 1 MELIOLI Attualmente il test di citotossicità NK può essere effettuato usando coloranti che si legano alla superficie delle cellule K562 ed essere analizzato quantitativamente con lettura spettrofotometrica. L’interpretazione dei risultati dei test di attività NK non è ovvia. In primo luogo essi vanno ripetuti almeno 2-3 volte nell’arco di un mese prima di concludere che il campione in esame è privo di attività citotossica; un difetto occasionale non fa testo ed il dato deve essere ricontrollato. E’ necessario accertarsi che il paziente non sia in trattamento farmacologico al momento del test ed almeno due settimane prima; ad esempio, corticosteroidi ed immunosoppressori possono azzerare l’attività NK. Inoltre i risultati del test di citotossicità vanno confrontati con quelli dello studio immunofenotipico delle cellule NK nello stesso campione (test di secondo livello); è plausibile che a bassi numeri di linfociti NK corrisponda un’attività citotossica bassa anche in soggetti non affetti da sospetta immunodeficienza. Test di proliferazione linfocitaria I test di proliferazione linfocitaria vengono effettuati per valutare la funzionalità dei linfociti T in pazienti affetti da infezioni ricorrenti provocate da virus o patogeni intracellulari. Tali test possono essere realizzati utilizzando mitogeni policlonali o, alternativamente, antigeni ubiquitari o di richiamo. I mitogeni policlonali, i più noti dei quali sono la fitoemoagglutinina (PHA), il pokeweed miogeno (PWM) e la concanavalina A (Con-A) sono sostanze di origine vegetale capaci di attivare tutti i linfociti T in seguito a legame con glicoproteine della superficie cellulare. Gli antigeni sono molecole che stimolano la proliferazione dei linfociti T legandosi specificamente al T cell receptor. Gli antigeni ubiquitari sono molecole ampiamente rappresentate nell’ambiente, ad esempio la candidina della Candida Albicans. Gli antigeni di richiamo sono antigeni contro i quali il paziente in esame è stato vaccinato e che pertanto sono per definizione capaci di stimolare una risposta anamnestica nei linfociti T. I test di proliferazione linfocitaria vengono solitamente condotti incubando cellule mononucleate del sangue periferico con PHA, marcando le cellule con 3H-timidina circa 16 ore prima della fine del test e contando la radioattività con uno scintillatore al termine della coltura (72 ore). I test di proliferazione linfocitaria in risposta ad antigeni ubiquitari o di richiamo sono eseguiti per rispondere a specifici quesiti diagnostici in condizio- GASLINI 17 CASTAGNOLA LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO ni sperimentali identiche a quelle sopra descritte, con l’unica differenza che il tempo di coltura è prolongato a 6-7 giorni. Come già discusso per il test di citotossicità NK, prima di emettere un referto, è bene riconfermare il risultato del test in 1-2 test supplementari nell’arco di un mese, accertandosi che il paziente non sia o sia stato nelle ultime due settimane in trattamento farmacologico e correlando i risultati a quelli dello studio immunofenotipico delle cellule T. di necessario studiare preventivamente una popolazione di controlli normali scelti in base alla fascia di età ed all’assenza di patologie significative al momento del test e nei due mesi precedenti. Le condizioni dei test dovranno essere rigorosamente standardizzate così da poter essere comparabili anche quando effettuate in tempi diversi. Questo approccio metodologico permette di generare un range di valori normali ai quali riferirsi per analizzare i risultati dei test condotti con materiale biologico dei pazienti. Il problema dei controlli normali Diagnostica di quarto livello Questo problema che è già stato discusso per i test di primo e secondo diventa ancora più complesso per quelli di terzo livello che si basano sul confronto dei risultati ottenuti dallo studio del paziente con quelli dei controlli normali. I valori di riferimento non possono essere tratti dalla letteratura poiché esiste grande variabilità sia nelle condizioni sperimentali adottate in ciascun laboratorio sia nella risposta individuale. È quin- I test di quarto livello si basano sul sequenziamento del DNA nelle regioni che, sulla base dei dati della letteratura e delle evidenze cliniche e di laboratorio, sono candidate ad essere le portatrici del difetto genetico. Ad oggi sono note oltre 130 mutazioni 1 che non possono essere esaustivamente analizzate in questa sede. Bibliografia 1. Fischer A. Human primary immunodeficiency diseases. Immunity 2007;27:835-45. 18 GASLINI Aprile 2009 GASLINI 2009;41:19-26 Le infezioni nel bambino immunocompromesso E. CASTAGNOLA, I. SALA, A. MULARONI, C. MORONI Unità Semplice di Infezioni nel Paziente Immunocompromesso Dipartimento di Ematologia ed Oncologia, Istituto “G.Gaslini”, Genova, Italia L e infezioni rappresentano un frequente problema in età pediatrica e possono rappresentare il primo segno di una incapacità a difendersi dalle infezioni. Le immunodeficienze in generale o comunque le condizioni patologiche che condizionano un aumentato rischio infettivo possono essere primitive o acquisite. Le forme primitive, spesso congenite, riguardano principalmente l’età pediatrica anche se casi meno gravi possono essere diagnosticati anche in età adulta. Le immunodeficienze sono caratterizzate da infezioni dovute sia a patogeni comuni, sia a patogeni opportunisti (che cioè “traggono vantaggio” dalle ridotte capacità di difesa). La comparsa di un’infezione opportunistica in un bambino apparentemente sano, il ripetersi con inusuale frequenza di infezioni, o la comparsa di infezioni gravi da patogeni usualmente poco “aggressivi” o di riattivazioni di infezioni endogene o pregresse può rappresentare la prima manifestazione clinica di un deficit immunologico congenito fino ad allora ignoto. L’immunodeficienza legata ad un’alterazione genetica e dello sviluppo del sistema immunitario è definita come primitiva. La maggior parte dei difetti alla base di una immunodeficienza interessano linee cellulari linfoidi, mieloidi (macrofagi, granulociti) o entrambe. La Tabella I riassume i diversi quadri di deficit immunologico congenito 1, 2. Tuttavia, poiché le infezioni ricorrenti sono un problema frequente in età pediatrica, specie nei primi anni di vita, può essere utile possedere indicazioni, ancorché grossolane, per sospettare o meno la presenza di un deficit immunologico (Tabella II) 3. In linea di massima, il paziente con deficit immunologico, oltre a quadri infettivi gravi e ripetuti, potrà presentare altre alterazioni carat- teristiche della malattia (ad esempio eczema, diarrea cronica e deficit di accrescimento) oppure infezioni causate sempre dagli stessi patogeni e/o a carico degli stessi apparati (ad esempio polmoniti ed infezioni cutanee da S.aureus o Aspergillus nei pazienti con malattia granulomatosa cronica). La ricorrenza di infezioni a carico degli stessi organi o apparati deve far pensare anche alla presenza di malformazioni (cisti polmonari o reflusso vescico-ureterale) o altre malattie (fibrosi cistica) che rappresentano condizioni predisponenti alla riduzione delle difese anti-infettive d’organo, anche se non strettamente di tipo immunologico. Per quanto riguarda le situazioni acquisite, è indubbio che alcune malattie acquisite e, soprattutto, la loro terapia sono accompagnate da un’aumentata frequenza di infezioni da agenti patogeni opportunisti o un’aumentata gravità di infezioni da patogeni comuni. È il caso, per esempio, delle infezioni in soggetti leucemici trattati con chemioterapia antineoplastica o dei trapianti. In questo caso esistono anche correlazioni tra alcuni farmaci (o la loro dose somministrata) e il rischio di sviluppare particolari infezioni. Accanto alle immunodeficienze cosiddette iatrogene perchè legate a farmaci immunsoppressivi, non vanno dimenticate le imunodeficienze acquisite di origine virale, prima fra tutte, ma non unica, l’infezione HIV. Rapporti tra condizione predisponente e patogeni associati Esistono correlazioni abbastanza strette tra il tipo di difetto del sistema immunitario e le infezioni che si Autore di contatto: E. Castagnola, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova, Italia. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 19 CASTAGNOLA LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO TABELLA I. — Classificazione dei deficit immunologici congeniti. Quadro clinico Infezioni dovute alla presenza contemporanea di deficit dell’immunità cellulo-mediata e anticorpale Pricipali condizioni Immunodeficienza severa-combinata (SCID)T-B-: disgenesia reticolare; deficit di RAG-1 e RAG-2, deficit di ARTEMIS, sindrome di Ommen SCID T-B+: SCID X-linked, deficit di JAK3, defict recettore IL7, deficit CD45, deficit CD3D, immunodeficit T con alopecia congenita e distrofia ungueale Defict del metabolismo delle purine: deficit di ADA e PNP Note Nella disgenesia reticolare vi è anche assenza di granulociti Nelle SCID T-B+ i linfociti B sono presenti ma spesso non funzionanti Nel deficit di ADA vi sono spesso associate anomalie scheletriche. Nella linfopenia CD4 idiopatica sono infezioni opportunistichee neoplasie Defict dei recettori del compesso maggiore di istocompatibilità: MHCII: deficit di MHC2TA, deficit di RFX-5, deficit di RFXAP, defict di RFXANK MHCI: defiit di TAP-2 e TAP-1, defict di Tapasina) Defict del CD3: CD3ε, CD3γ, CD3Ζeta Sindrome con iper IgM: Forma X-linked da deficit di CD40 ligando, deficit di CD40 Altri: Defict di ZAP-70, deficit di CD25 (catena α del recettore per IL2), defict di CD8α, deficit di p56 Lck, deficit di Cernunnos, deficit di TMEM142, displasia immuno-ossea di Schimke Linfopenia CD4 idipoatica: deficit stabile numerico dei linfociti CD4 < 300/mmc, in assenza di infezione da HIV o altro deficit conosciuto Infezioni prevalentemente dovute alla mancanza della produzione di anticorpi o dell’opsonizzazione dei patogeni Defict della sintesi di anticorpi Agammaglobulinemia: agammaglobulinemia congenita X-linked (XLA, malattia di Bruton), agammaglobulinemia congenita autosomica dominante (non-Bruton) deficit di BLNK, ipogammaglobulinemia X-linked con deficit di ormone della crescita, deficit di Igα, deficit di catene pesanti µ, defict della catena leggera surrogata γ5, Immunodeficienza comune variabile (CVI): CVI idiopatica, deficit di ICOS, deficit di TACI Deficit selettivo di sottoclassi IgG, IgE e/o IgA totali o sottoclassi: deficit di isotipo γ1, γ2, γ4, deficit parziale di isotipo γ3, deficit di isotipo α1 e α2, deficit di isotipo ε, deficit di sottoclassi IgG con o senza deficit di IgA, deficit di IgA. Deficit di catene leggere: deficit di catene leggere κ Altri deficit anticorpali: ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia deficit di anticorpi con valori normali di immunoglobuline, deficit di CD19, Defict dello switch di classe e sindromi da Iper-IgM che coinvolgono i linfociti B (deficit di AIG, deficit di UNG, defict selettivi di switch di classe) La CVI è in realtà un gruppo eterogeneo di malattie, molte ad eziologia sconosciuta, che colpisce la funzionalità di linfociti T e B (ma spesso non il numero. L’età di esordio è in genere tra 1 e 5 anni, ma anche più tardiva, con ridotti (ma non assenti) livelli di IgG e IgA I pazienti presentano spesso infezioni ricorrenti (specie a carico delle vie respiratorie e del tratto gastroenterico), malattie autoimmuni e neoplasie. L’ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia è data da un ritardo di maturazione del sistema di sintesi delle Ig, che si normalizza entro i 3 anni di vita. Riguarda di solito le IgG, mentre IgM ed IgA sono normali. Difetti della cascata del complemento: Via classica: deficit di C1 (1q polipeptide α, β, e γ; 1r e 1s) C2 e C3, C4 (A e B), C5, C6, C7, C8 (polipeptide α, β, e γ) C9; Via alternativa: deficit di fattore B, D, H1 properdina fattore C; Proteine regolatrici del complemento: angioedema ereditario, deficit di legante il C4 (proteina α e β), defict di fattore accelerante il decadimento (CD55), deficit fattore I, defict di CD59, deficit di Mannose-Binding Lectin (semplice ed associato a deficit di serina proteasi 2 Asplenia In grassetto sono riportate i gruppi o le singole malattie più frequenti o importanti. (Continua) 20 GASLINI Aprile 2009 LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO CASTAGNOLA TABELLA I. — Classificazione dei deficit immunologici congeniti. (Segue). Quadro clinico Pricipali condizioni Note Altri deficit immunologici ben identificati Sindrome di Wiskott-Aldrich e trombocitopenia X-linked, Sindrome linfoproliferativa X-leiked (XLP, malattia di Duncan), Anomalia di Di George, sindrome Iper-IgE e infezioni ricorrenti, Candidosi mucocutanea cronica, Ipoplasia cartilagini-capelli, sindrome di Netherton, defict di Natural Killer, defict di Transcobalamina II, Osteopetrosi AR, sindrome occlusiva delle vene epatiche con immunodefict, Malattie autoimmuni (poliendocrinopatia autoimmune con candidosi e displasia ectodermica; defict immunologico X-linked con poliendocrinopatia e enteropatia (IPEX)) Epidermodisplasia verruciforme (tipo 1 e 2) Nella XLP il fattore scatenante è spesso (ma non esclusivamente) la prima infezione da EBV Nella anomalia di Di George possono esservi associate cardiopatie e deficit di funzione delle paratiroidi. Nella sindrome con Iper-IgE vi sono caratteristiche alterazioni cutanee di tipo dermatitico e vi possono essere associati deficit di funzione dei neutrofili. Nella candidosi mucocutanea cronica vi possono essere malattie autoimmuni (incluse endocrinopatie) Infezioni dovute alla mancanza (numerico o funzionale) di neutrofili Malattia granulomatosa cronica (CGD): forma X-linked, deficit di P22 phox, p47 phox, p67 phox Nella CGD sono caratteristiche le infezioni da S.aureus e Aspergillus La sindrome di Kostmann (su base genetica) sembra presentare i quadri infettivi più gravi Neutropenia: sindrome di Kostmann e altre neutropenie congenite gravi, neutropenia ciclica deficit di GFI1 Deficit di mieloperossidasi, Sindrome di Chediak-Higashi, Sindrome di Griscelli (tipo 1, 2 e 3), Sindrome di Schwachman, Deficit di G6PD, Glicogenosi tipo Ib, Difetto dell’adesione dei leucociti (deficit dell’adesione dei leucociti I e II, defict di LAD3, deficit di LAD con RAC2) Deficit dell’immunità innata, di recettori e di sistemi di segnale Linfoistiocitosi emofagocitica familiare (tipo 1, 2, 3, e 4), Sindrome Hoyeraal-Hreidarsson/discheratosi congenita, Deficit di CD64, Sindrome di Hermansky-Pudlak 2, Sindrome di Barth, Deficit di granuli specifici dei neutrofili, Sindrome di Papillon-Lefevre Nel deficit del recettore di IFNγγ le infezioni sono dovute principalmente a mycobatteri, anche non tubercolari Deficit del recettore dell’interferon gamma (deficit recettore IFNphox e γ deficit IL12 (recettore 1b, deficit p40), deficit STAT1, insensibilità all’ormone della crescita con immundeficienza, deficit IRAK4, displasia ectodermica anidrotica autosomica dominante con deficit di linfociti T, sindrome WHIM, displasia ectodermica ipoidrotica con iper-IgM X-linked (deficit di Nemo) Altre Sindromi associate a rottura o a modificazioni epigenetiche del DNA atassia-teleangectasia e disturbi simili, sindrome di Nijmegen, deficit di DNA ligasi (I e IV), sindrome di Bloom, sindrome con instabilità centromerica, anomalie al volto e immunodeficit (ICF) Deficit dell’apoptosi dei linfociti: Sindrome autoimmune linfoproliferativa (ALPS): difetto di tipo I del mediatore dell’apoptosi APO1/Fas, difetto tipo Ib di APO1Ligando/Fas ligando, ALPS tipo II, deficit di caspasi 8 Febbri periodiche: Febbre familiare mediterranea, sindrome con iper-IgD e febbre periodica, sindrome periodica associata al recettore del TNF, sindrome auto-infiammatoria da freddo (orticaria familiare da freddo e sindrome di Muckle-Wells; sindome cronica infantile neurologica, cutanea e articolare), sinovite granulomatosa con uveite e neuropatie croniche, malattia di Crohn In grassetto sono riportate i gruppi o le singole malattie più frequenti o importanti. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 21 CASTAGNOLA LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO TABELLA II. — Elementi indicativi per la presenza o meno di alcuni dei principali deficit immunologici. Esami di laboratorio per approfondire la diagnosi di deficit immunologico (vedi anche Tabella I) Condizioni cliniche non suggestive di deficit immunologico Condizioni cliniche suggestive di defict immunologico Tipo di deficit immunologico — Episodi isolati e non complicati di faringo-tonsillite o di infezione delle alte vie respiratorie (specie nei mesi invernali) Eczema, diarrea cronica, deficit di accrescimento, polmonite intersitizale cronica, candidiasi mucosa estesa e persistente, epatosplenomegalia, rash cutanei Immunodeficinza severa combinata (SCID) 1. 2. 3. 4. — Episodi isolati e non complicati di otite media (fino 2-3 episodi non complicati, nella stagione invernale nei primi 1-2 anni di frequenza in comunità) Sinusite ricorrente Ricorrenti episodi di polmonite, infezioni cutanee, meningite o setticemia Deficit della sintesi di anticorpi 1. Emocromo 2. Dosaggio immunoglobuline, 3. Eventualmente sottopopolazioni linfocitarie 4. Eventualmente analisi genetiche Ascessi cutanei ricorrenti (specie da S.aureus), linfoadeniti (specie laterocervicali), micosi invasive (specie polmonari) da Aspergillus, polmoniti necrotizzanti, ascessi perirettali Malattia granulomatosa cronica (CGD) 1. Emocrono 2. Funzionalità granulocitaria Ascessi perirettali, gengiviti, ulcere mucose, polmoniti Neutropenia congenita o difetti di chemiotassi 1. Emocrono 2. Funzionalità granulocitaria Infezioni batteriche gravi e ricorrenti (E.coli nei primi 3 mesi, successivamente da batteri capsulati) Asplenia 1. Emocromo (ricerca schistociti) 2. Ecografia addominale (ricerca della milza) Infezioni ricorrenti da N.meningitidis, setticemie da batteri capsulati, sinusite ricorrente Deficit del complemento 1. Dosaggio di C3 e C4 — Episodi ricorrenti di infezioni delle vie urinarie — Episodi ricorrenti, non — Infezioni correlate unicamente con la presenza di dispositivi protesici (valvole cardiache) — Infezioni ricorrenti nelle stesse sedi (per es. artrite settica, osteomielite) — Infezioni associate con difetti anatomici possono osservare. Come conseguenza di ciò è possibile dire che la comparsa di determinati tipi di infezione è suggestiva dell’esistenza di un determinato tipo di deficit immunologico e che, viceversa, in presenza di un determinato tipo di immunodeficienza sarà da attendersi una maggior frequenza o probabilità di osservare determinate infezioni e non altre. La Tabella III riassume le correlazioni più frequenti tra alterazioni delle “capacità di difesa” e causa di infezione 4-6. Per quanto riguarda le alterazioni delle difese granulocitarie e linfocitarie esistono evidenze sufficientemente certe che dimostrano una correlazione tra numero di cellule presenti nel sangue periferico e il rischio di infezioni. Per quanto riguarda i granulociti il rischio di infezione, per lo più batterica o fungina, 22 Emocromo Dosaggio immunoglobuline, Sottopopolazioni linfocitarie Analisi genetiche aumenta in maniera direttamente proporzionale alla discesa del numero dei neutrofili al di sotto di 1000 e ancor più sotto 100 cellule/mmc. Il rischio aumenta anche in relazione alla durata della neutropenia, con rischio più elevato quando la durata supera le 2 settimane. Oltre alle alterazioni quantitative delle cellule fagocitarie, sono importanti anche quelle qualitative, come dimostrato dai quadri clinici che si osservano, ad esempio, nella malattia granulomatosa cronica e nella sindrome di Chediak-Higashi, patologie entrambe caratterizzate da una riduzione non del numero ma della funzionalità del neutrofilo. Per quanto riguiarda invece le cellule mononucleate ed in particolare i linfociti circolanti, esiste evidenza che un valore assoluto di conta linfocitaria stabilmente <1500/mmc in un neonato o in un bambino di pochi mesi con infezio- GASLINI Aprile 2009 LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO CASTAGNOLA TABELLA III. — Associazione tra deficit delle capacità di difesa dalle infezioni e patogeni più frequentemente isolati. Granulocitopenia o difetto di fun- Cocchi Gram-positivi zionalità dei neutrofili Staphylococcus aureus Stafilococchi coagulasi-negativi Streptococchi viridanti Enterococchi Bacilli Gram-negativi Escherichia coli Pseudomonas aeruginosa Gruppo KES (Klebsiella, Enterobacter, Serratia) Citrobacter Funghi Aspergillus species Candida species (soprattutto infezioni invasive) Fusarium Altri miceti meno frequenti (Scedosporium, Geotrichum, ecc) Alterazione della cute e delle muco- Stafilococchi coagulasi-negativi se (barriere) Staphylococcus aureus Stenotrophomonas maltophilia Presenza di accessi venosi Pseudomonas aeruginosa Acinetobacter species Corynebacteria Candida species Mycobatteri non-tubercolari Mucosite del cavo orale Stomatococcus mucilaginosus (Rothia mucilaginosa) Candida species Herpes simplex virus (riattivazione al cavo orale) Gruppo KES (Klebsiella, Enterobacter, Serratia) Acinetobacter species Anaerobi Gram-negativi Candida species Streptococchi viridanti Enterococchi Capnocytophaga Fusobacterium species Mucosite intestinale (inclusa l’entero- Clostridium species colite del neutropenico) Enterococchi Staphylococcus aureus Escherichia coli Pseudomonas aeruginosa Alterazione dell’immunità cellulo- Herpesvirus (VZV, HSV, CMV, EBV, HHV-6, mediata HHV-7, HHV-8) Virus respiratori (RSV, influenza, parainfluenza) Adenovirus, parvovirus, enterovirus, coxsackie Listeria monocytogenes, Legionella pneumophila, Salmonella species Nocardia species Mycobacterium tuberculosis Mycobatteri non-tubercolari Pneumocystis jiroveci Aspergillus species Candida species (principalmente infezione a livello delle mucose) Cryptococcus neoformans Histoplasma capsulatum Coccidioides immitis Toxoplasma gondii Cryptosporidium, Microsporidia Strongiloides stercoralis Alterazione dell’immunità umora- Streptococcus pneumoniae le Haemophilus influenzae Staphylococcus aureus Enterovirus Virus epatitici Alterazione della funzione di sin- Streptococcus pneumoniae goli organi Haemophilus influenzae Milza Neisseria meningitidis Vie urinarie (stasi) In rapporto i microorganismi colonizzanti, ma Vie respiratorie (stasi) molto frequente l’isolamento di Gram-negativi Intestino (stasi, perforazione) Sistema nervoso centrale (alterazione dello stato di coscienza: “polmoniti ab ingestis”) Sovraccarico di ferro da trasfu- Rhizopus species sioni multiple Vol. 41 - N. 1 GASLINI 23 CASTAGNOLA LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO ni ripetute e/o particolarmente gravi deve far pensare alla presenza di un deficit dell’immunità cellulomediata. Nello stesso modo, un valore percentuale di linfociti CD4+ < 15%, a prescindere dai valori assoluti normali (che variano secondo l’età), non è normale ed è correlato ad un dimostrato aumento del rischio infettivo. Le alterazioni dell’immunità umorale, caratterizzate da incapacità a produrre anticorpi (ipoagammaglobulinemia) o frazioni del complemento, possono essere legate a cause congenite o acquisite (terapie corticosteroidee e citotossiche, malattie linfoproliferative, splenectomia e uremia). Il valore di soglia di IgG sotto il quale aumenta il rischio infettivo è considerato essere pari a 400 mg/dl. Le malattie caratterizzate da incapacità congenita a produrre anticorpi si manifestano clinicamente dopo i primi 6 mesi di vita (eccetto che in caso di pazienti nati pretermine), perchè in precedenza il bambino era protetto dalla presenza di anticorpi materni. Spesso in un singolo paziente più fattori favorenti sono presenti contemporaneamente o in sequenza. Il classico esempio è quello delle immunodefcienze congenite gravi combinate (SCID) in cui i pazienti presentano sia un deficit della funzione dei linfociti T, con infezioni da virus, batteri intracellulari e micosi superficiali, sia della funzione dei linfociti B con infezioni da batteri capsulati. Quadri clinici “tipo SCID” sono presenti anche in condizioni di deficit delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (MHCI e II) per mancanza di “attivazione dei linfociti”. L’aumento delle infezioni batteriche, specie da patogeni capsulati, oltre che nei deficit di immunoglobuline è presente anche nei deficit della cascata del complemento (specie C3) e della milza, per deficit della funzione opsonizzante. La gestione di questi pazienti può richiedere l’uso di accessi venosi e interventi chirurgici per drenare raccolte ascessuali o l’intubazione per la comparsa di gravi infezioni polmonari, accrescendo così i rischi di altre infezioni opportunistiche, magari da patogeni ospedalieri. Infatti, un ruolo importante è svolto anche dalle alterazioni della flora microbica endogena. È noto che la flora batterica endogena intestinale è in grado di opporsi alla colonizzazione da parte di agenti patogeni a essa normalmente estranei (Staphylococcus spp., Klebsiella spp., Pseudomonas spp.). Questa azione protettiva viene alterata dalla somministrazione spesso incongrua di antibiotici e dal prolungato ricovero in ospedali o altri istituti di cura (residenze protette, ospedali diurni). La pressio- 24 ne selettiva determinata dai fattori sopraelencati comporta la sostituzione della normale flora batterica, composta da microrganismi normalmente sensibili ai più comuni antibiotici, con una popolazione caratterizzata da germi multiresistenti, con comparsa di infezioni legate a pratiche assistenziali. Quadri clinici delle infezioni In generale, la sintomatologia di una infezione in un paziente immunocompromesso può essere piuttosto scarsa almeno in fase iniziale, ed è pertanto necessario mantenere un elevato livello di sospetto clinico. Tuttavia, la presenza di una localizzazione infettiva scarsamente evidente all’inizio può divenire chiara con la ripresa delle funzioni immunitarie (tipico del paziente con neutropenia indotta da chemioterapia antineoplastica) oppure con l’aggravarsi dell’infezione. Alcune localizzazioni, anche se non patognomoniche, possono essere altamente suggestive di particolari deficit immunitari e/o eziologie. Per esempio gli ascessi cutanei da S.aureus sono frequenti nel paziente con deficit della funzione granulocitaria come nella CGD o nelle sindromi con iper-IgE, le polmoniti”focali” da Aspergillus sono anch’esse tipiche della CGD o della sindrome di Kostman, mentre le forme intersitiziali (CMV, P.jiroveci) sono più caratteristiche delle SCID e, in generale, dei deficit dell’immunità cellulo-mediata. In linea di principio, comunque, le infezioni potranno localizzarsi a livello del cavo oro-faringeo, delle orecchie e dei seni paranasali, delle vie aeree superiori ed inferiori (trachea, bronchi, polmoni), dell’apparato gastroenterico (esofago, stomaco, intestino), delle vie urinarie, dell’apparato genitale esterno, della cute e dei tessuti molli e delle ossa ed articolazioni. Dai siti sopraddetti l’agente patogeno potrà o meno diffondersi al sangue, causando una sindrome settica generalizzata, o ad altri organi od apparati, complicando il quadro clinico. La febbre e, nel caso delle infezioni localizzate, il dolore, i segni di flogosi o il deficit funzionale, rappresentano spesso l’unica manifestazione clinica della patologia infettiva. La presenza di febbre andrà perciò sempre considerata come un potenziale segno di infezione in atto e i pazienti andranno valutati attentamente. Data l’aspecificità dei sintomi è di solito raccomandabile un certa aggressività diagnostica, specie per quanto riguarda l’identificazione micro- GASLINI Aprile 2009 LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO CASTAGNOLA biologica dell’agente causale (emocolture ripetute e colture da qualunque sito clinicamente sospetto di infezione) e la tipizzazione anatomo-istologica di localizzazione d’organo (diagnostica per immagini, accertamenti bioptici). Prevenzione e terapia In considerazione della varietà delle condizioni predisponesti e del polimorfismo eziologico, l’approccio profilattico alle infezioni nell’ospite immunocompromesso è particolarmente problematico. E’ ovvio che l’intervento “preventivo” ideale deve tendere ad eliminare la condizione predisponente, curando la patologia di base. Purtroppo questo approccio è solo raramente perseguibile e spesso comunque con il rischio di gravi complicanze (ad esempio quelle correlate con il trapianto allogenico di midollo osseo per la cura dei deficit immunitari congeniti). Nell’ottica della eliminazione della condizione predisponente va anche visto l’uso del fattore di crescita granulocitario (G-CSF) in alcune neutropenie congenite 7, e il gamma-interferon nella CGD, la cui efficacia profilattica non è del tutto chiara 8, 9. La periodica reintegrazione degli anticorpi nei soggetti affetti da agammaglobulinemia congenita (XLA) ha portato ad un deciso miglioramento della prognosi 10. Tuttavia, questi preparati, che contengono solo IgG e tracce più o meno significative di IgM, non possono porre rimedio al deficit di IgA sieriche e secretorie. Ne consegue che nei pazienti con XLA, la terapia sostitutiva con infusione mensile di immunoglobuline non riesca a prevenire pneumopatie anche molto gravi verosimilmente correlate a fenomeni infettivo-infiammatori ripetuti dovuti all’assenza di IgA secretorie. Per quanto riguarda i soggetti con asplenia le vaccinazioni contro i batteri capsulati rappresentano la più importante ed efficace misura di profilassi delle infezioni più gravi 11. Per quanto riguarda la chemioprofilassi farmacologica, al momento questa risulta essere sicuramente indicata in alcune specifiche condizioni quali co-trimossazolo 3 giorni/settimana per la prevenzione della polmonite da P.jirovecii nei pazienti con deficit dei linfociti T 12, dell’ itraconazolo per la prevenzione dell’aspergillosi e del co-trimossazolo per la prevenzione delle stafilococcie nei pazienti con CGD [13-15]. Negli altri casi il rapporto tra il beneficio atteso (riduzione delle infezioni) e i rischi (selezione di ceppi resistenti, inefficacia) non è mai stato correttamente valutato e la sua efficacia a lun- Vol. 41 - N. 1 go termine potrebbe essere discutibile, come per esempio nei soggetti aspelnici 11. Infine molto importante può risultare la prevenzione della colonizzazione da parte di patogeni ambientali. Il malato ricoverato in ospedale viene rapidamente colonizzato da flora batterica di origine ospedaliera, spesso resistente a molti antibiotici. I mezzi idonei a prevenire almeno in parte tale fenomeno possono essere molto semplici (lavaggio delle mani e uso di cappa e mascherina da parte del personale di assistenza con ricovero in camere non protette) o molto sofisticati (camere a flusso laminare, ove il paziente vive in un flusso d’aria sterile e filtrata, assume antibiotici per via orale che distruggono quasi totalmente la flora endogena intestinale, è nutrito con cibi a bassa o nulla carica batterica e non ha alcun contatto diretto con il personale di assistenza). Il problema è molto controverso, ma è probabile che dal punto di vista del rapporto costo-beneficio (intendendosi per costo non solo quello economico, ma anche quello psicologico per il paziente) le normali cautele igienico-sanitarie (lavaggio delle mani, cappa e mascherina, cibi cotti) diano i risultati più soddisfacenti. Ovviamente alcune di queste precauzioni, e soprattutto il lavaggio delle mani e l’evitare il contatto con persone malate o con particolari condizoni ambientali (per esempio muri con muffa, lavori di ristrutturazione edile), sono importantissime anche quando il pzaiente è a domicilio. Inoltre varrebbe la pena di considerare la possibilità di vaccinare i contatti dei pazienti immunocompromessi (familiari, personale di assistenza in ospedale), allo scopo di ridurre il rischio di contagio del paziente. La corretta terapia di una infezione prevede l’identificazione del patogeno e l’esecuzione di test di sensibilità ai farmaci per poter eseguire la terapia più appropriata, considerando anche la sede dell’infezione e la cinetica dei farmaci. Tuttavia, in un paziente immunocompromesso non è sempre possibile attendere i risultati di questi esami, in quanto la gravità dell’immunosoppressione determina la possibilità di comparsa di quadri clinici gravi che non consentono di attendere i risultati degli esami. Nel paziente neutropenico per chemioterapia antineoplastica questo genere di considerazioni ha portato alla formulazione di protocolli di terapia empirica, vale a dire diretta contro i patogeni che più frequentemente causano non solo febbre, ma anche infezioni che possono mettere rapidamente a rischio la vita del paziente in corso di neutropenia, in cui una terapia antibiotica GASLINI 25 CASTAGNOLA LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO decisa “a tavolino” e basata sul quadro clinico eventualmente presente e sulla statistica microbiologica locale (patogeni più frequentemente isolati e loro pattern si sensibilità ai farmaci) viene iniziata immediatamente dopo l’aver prelevato campioni per gli esami ematochimici e colturali. Questa terapia potrà poi essere modificata, se necessario, nei giorni seguenti, in base all’andamento clinico e ai risultati degli esami colturali e/o di diagnostica strumentale. Questo tipo di atteggiamento può essere esteso alla gestione del- le infezioni in tutti i pazienti immunocompromessi: il tipo di deficit immunitario e il quadro clinico potranno indicare i patogeni più frequentemente in causa e suggerire la terapia iniziale dell’episodio, che potrà poi essere modificata in base ai risultati ottenuti dagli esami, ricordando però che in caso di deficit immunitario lieve e/o di quadro clinico non a rischio di vita potrebbe essere più utile per il paziente attendere la risposta degli esami per poter ricevere un trattamento ottimale fin dall’inizio. Bibliografia 1. ImmunoDeficinecy Resource (2008) Classification of Immunodeficiencies.: http://bioinf.uta.fi/xml/idr/classification.xml 2. Ochs HD, Eduard-Smith CI, Puck JM, Primary Immunodeficiency Diseases: a Molecular and Genetic Approach. Oxford: Oxford University Press; 2006. p. 725. 3. Christenson JC, Hill HR. Primary Immunodeficiency Syndromes. In: Armstrong D, Cohen J, editors. Infectious Diseases. 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Il primo è che i polmoni, pur essendo situati all’interno del corpo, sono continuamente esposti agli agenti patogeni presenti nell’ambiente, in quanto ad ogni inspirazione viene inalata anche la parte corpuscolata presente nell’aria, che porta invariabilmente con se una carica batterica anche in ambienti apparentemente salubri. Il secondo motivo è che i polmoni, fungendo da filtro della circolazione, sono facilmente coinvolti nei processi infettivi che possono colpire ogni parte del corpo. Nel paziente immunocompromesso le complicanze infettive a carico dei polmoni sono poi molto più frequenti rispetto ai pazienti immunocompetenti, presentano spesso evoluzione molto rapida e sono potenzialmente fatali, se non diagnosticate in tempo e trattate adeguatamente. Lo stato di immunodeficienza può essere sia congenito che acquisito. Gli stati di immunodeficienza congenita possono essere dovuti, schematicamente a: 1) difetti del settore anticorpale (X-linked a/ipo-gammaglobulinemia, vari deficit selettivi di classi di immunoglobuline); 2) difetti del settore anticorpale e cellulare (immunodeficienza comune variabile: CVID o immunodeficienza severa combinata: SCID; 3) immunodeficienze collegate ad altre sindromi (sindrome di Wiskott-Aldrich, atassia-teleangectasia, sindrome di DiGeorge); 4) difetti del complemento; 5) difetti della funzione dei fagociti, tra cui la più comune è la malattia granulomatosa cronica. Nel loro insieme queste malattie congeni- te sono per fortuna rare e colpiscono così pochi pazienti che, a seconda del diverso difetto immunitario congenito in gioco, presentano quadri clinici differenti e non possono essere considerati in maniera univoca. Gli stati di immunodeficienza acquisita si rinvengono essenzialmente: 1) nel paziente HIV positivo, in cui però ormai da più di un decennio l’impiego della highly active antiretroviral therapy (HAART) riesce a contrastare per un lunghissimo periodo la replicazione dell’HIV, ritardando così per un tempo al momento non ancora definito la comparsa dell’AIDS, e 2) nel paziente emato-oncologico o nel paziente sottoposto a trapianto d’organo. Attualmente la stragrande maggioranza dei pazienti con immunodeficienza sono quindi pazienti o emato-oncologici, che presentano uno stato di immunodeficienza più o meno prolungato dopo i vari cicli di chemioterapici, oppure pazienti che hanno subito un trapianto d’organo e che devono assumere farmaci immunosoppressivi antirigetto. All’interno di questo gruppo di pazienti, quelli più problematici sono poi i pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE), che possono andare incontro a complicanze polmonari sia infettive che non infettive, le cui caratteristiche cliniche e radiologiche d’esordio spesso presentano aspetti similari o confondenti. Ci limiteremo pertanto a trattare in questa sede solo delle complicanze polmonari, sia su base infettiva che non infettiva, dei pazienti sottoposti a TCSE, in quanto in questi pazienti si possono ritrovare praticamente tutte le complicanze polmonari che possono colpire il paziente immunodeficiente, con quadri clinici che per la loro complessità e differente eziologia Autore di contatto: S. Panigada, Unità Operativa di Pneumologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147, Genova, Italia. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 27 PANIGADA TCSE (spesso però associata ad una apparente similitudine all’esordio) rappresentano nel loro insieme una vera sfida clinica sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Complicanze polmonari del paziente TCSE Uno dei problemi principali che il medico deve affrontare nel trattamento di questi pazienti riguarda la diagnosi e la terapia di infiltrati polmonari, il cui sviluppo può essere un processo insidioso o presentarsi in modo acuto e con rapida progressione. Molta letteratura che riguarda le complicanze polmonari nel paziente TCSE è così principalmente rivolta ai molteplici problemi che insorgono nell’esecuzione di una diagnosi corretta delle probabili complicanze infettive e non infettive, primo ed essenziale passo nel porre in atto una efficace terapia. Talvolta, inoltre, ci può essere, a partire dal momento del TCSE, una sequenza temporale abbastanza prevedibile, di cui si deve tenere conto per tentare di anticipare le complicanze polmonari, infettive e non infettive, indotte sia dalla profonda immunodepressione, sia dall’attecchimento del midollo trapiantato. Le infezioni polmonari nei pazienti profondamenti neutropenici, come nei primi giorni dopo il TCSE, possono essere causate sia da batteri che da funghi che da virus 1. Batteri Gram-, Staphilococco aureo e Streptococchi viridans sono cause comuni degli infiltrati polmonari durante il primo periodo neutropenico, mentre i funghi, e specialmente l’Aspergillo, sono più comuni durante le fasi più tardive, o anche dopo la ricostituzione del patrimonio emopoietico 2. Durante il periodo di neutropenia, un quadro di sindrome da di stress respiratorio (acute respiratory distress syndrome, ARDS) o di shock settico può essere tipico della batteremia da Streptococco viridans 3, mentre infiltrati polmonari sfumati sono comunemente associati con infezioni batteriche in generale. Infiltrati di tipo alveolo-interstiziale con spiccata diminuzione della saturazione del sangue in un paziente non neutropenico deve far pensare a una polmonite da Pneumocistis carinii o a una polmonite virale da citomegalovirus (CMV) 4. Se il paziente è ambulatoriale ed è neutropenico, vi è anche la possibilità che possa contrarre una polmonite da comunità, e in questo caso i patogeni che 28 Figura 1. — Iniziale infiltrato interessante i segmenti posteriori del lobo inferiore destro in paziente gravemente immunodepresso dopo TCSE eseguito per anemia anaplastica. Figura 2. — Quadro TAC del paziente precedente a distanza di soli tre giorni, in cui si assisteva a rapido peggioramento clinico con comparsa di insufficienza respiratoria. CT: evoluzione rapidamente peggiorantiva, per comparsa di estesi infiltrati, di cui uno massivo interessante il lobo inferiore sinistro. Esami colturali: associazione tra P. aeruginosa e Aspergillus suppurans. si incontrano più frequentemente sono quelli che comunemente causano le polmoniti da comunità nelle persone immunocompetenti, come lo Streptococco pneumoniae e il Mycoplasma pneumoniae, ma con una prognosi sicuramente più severa. Dalle caratteristiche radiologiche dell’infiltrato polmonare si possono spesso dedurre indizi sulla natu- GASLINI Aprile 2009 TCSE PANIGADA Figura 3. — Ife di aspergillo nel lavaggio broncoaveolare (BAL) di un paziente con Aspergillosi polmonare. La tendenza del fungo a proliferare entro i tessuti polmonari fa sì che la possibilità di recuperare le ife con il BAL sia un evento raro. ra dell’agente eziologico. Nell’affermare questo non si deve però dimenticare che spesso, quando il paziente si presenta profondamente neutropenico, come nelle prime 2-3 settimane dopo il TCSE, l’organismo ha difficoltà a reclutare nella sede dell’infezione polmonare un buon numero di GB provenienti dal sangue periferico, così che solo uno studio con tomografia computerizzata (CT) del polmone eseguito in questo periodo, fornendo una buona definizione del parenchima, riesce ad evidenziare un processo broncopneumonico anche là dove una semplice radiografia del torace darebbe esisto sostanzialmente negativo o al massimo dubbio 5. I batteri causano infiltrati polmonari per lo più circoscritti a zone limitate del polmone, di cui seguono i margini anatomici, come i lobi o segmenti, entro i quali generano infiltrati più o meno densi, fino a localizzate aree di consolidazione. In questi casi la polmonite batterica si accompagna generalmente a emocolture positive (Figure 1, 2). Nelle infezioni fungine nel nostro ambiente sono per lo più dovute all’Aspergillo (Figura 3), mentre la Candida, che pure è di gran lunga il più importante fungo opportunistico patogeno nei pazienti immunocompromessi, dà raramente polmoniti, e la candiasi polmonare, quando si presenta, è di solito parte di un quadro di malattia disseminata da candida 6. Le lesioni polmonari da infezione fungina sono invece per lo più focali, con immagini CT, che almeno Vol. 41 - N. 1 Figura 4. — Iniziale aspergillosi in una paziente con LLA, profondamente neutropenica per chemioterapia. Ricerca su sangue periferico per galactomannano positiva; CT: singolo nodulo piccolo, denso e rotondeggiante. Figura 5. — Evoluzione cavitaria del nodulo precedente a distanza di 13 giorni, quando la neutropenia si è ormai risolta. All’interno del nodulo è presente residuo necrotico. all’inizio sono generalmente piccole, dense, rotondeggianti (Figura 4). Queste poi, nel giro di pochi giorni, aumentano notevolmente di volume e tendono a formare una zona di necrosi emorragica centrale, dovuta all’invasione da parte del fungo delle pareti vascolare presenti in loco 7. Come le lesioni aumentano di volume, possono circondarsi di un anello a GASLINI 29 PANIGADA TCSE Figura 7. — Pneumocistis jirovecii (già P. carinii) nel liquido di lavaggio broncoalveolare (BAL) di un paziente con polmonite da Pneumocistis (colorazione di Papanicolau). Figura 6. — Radiografia standard del torace in paziente con rapido sviluppo di grave insufficienza respiratoria: diffuse immagini di infiltrati polmonari diffusi. Il lavaggio broncoalveolare (BAL) dimostrò pneumocistosi polmonare. “vetro smerigliato” 8. Tale aspetto è sufficientemente caratteristico da dover indurre a iniziare subito terapia antifungina, anche se non si ha una ricerca positiva per Galactomannano su sangue 9. Nei giorni seguenti, quando il livello dei neutrofili circolanti tende a ritornare alla norma (generalmente, in caso di trapianto di midollo, dopo il XIV giorno dal trapianto), o in ogni caso quando lo stato immunosoppressivo migliora, il centro necrotico della lesione tende a retrarsi lasciando una cavitazione centrale che contiene aria e residui necrotici (Figura 5). Questo segno è comunque da considerarsi tradivo, e la diagnosi e la terapia adeguata antifungina deve essere già in atto da giorni. In casi di pazienti con aspergillosi polmonare e rapida salita del numero dei neutrofili si è anche assistito ad un improvviso peggioramento delle condizioni polmonari, con comparsa di pneumotorace ed emottisi anche fatale, proprio per l’estendersi delle regioni necrotiche polmonari, dovute ad un’intensa chemiotassi dei neutrofili verso le regioni di infiltrato fungino. Proprio per evitare queste complicazioni, è consigliabile che il numero dei granulociti neutrofili circolanti non superi i 5-7 000/mm3 10. Nei pazienti con lesioni polmonari cavitarie vicine all’ilo ed ai grossi vasi si deve considerare anche la possibilità di un intervento chirurgico d’urgenza. Un altro agente 30 fungino che può indurre infezione polmonare è la Nocardia, la cui occorrenza è molto più rara rispetto all’Aspergillo, rispetto a cui ha più facilmente tendenza a diffondersi anche al di fuori del polmone, formando ascessi cutanei, nel tessuto connettivo, nel sistema nervoso centrale. È comunque da ricordare che anche lo Staphilococco aureus può indurre tipicamente lesioni polmonari con necrosi centrale e cavitazione, ma in questi casi si hanno generalmente emocolture positive per questo batterio. Il Pneumocistis jiroveci (già P. carinii) rappresenta un’altra frequente causa di polmonite nel paziente sottoposto a trapianto di midollo osseo (TMO), soprattutto se riceve terapia steroidea da lungo periodo per contrastare una sindrome da rigetto (GvHD) 11. Il quadro clinico è caratterizzato da febbre, tosse, dispnea e netta diminuzione della saturazione. A ciò corrisponde come radiografia del torace la presenza di infiltrati non ben definiti (Figura 6), che alla CT del torace appaiono come infiltrati alveolari a vetro smerigliato, talvolta nodulari ma anche spesso non ben definiti. Il P. jiroveci è un patogeno che si moltiplica negli spazi alveolari, senza aver tendenza alla diffusione all’interno del parenchima polmonare, e tali caratteristiche di limitata invasività si traducono appunto nei quadri radiologici sopradescritti. Il suo sviluppo endobronchiale/endoalveolare lo rendono particolarmente atto ad essere recuperato con la metodi- GASLINI Aprile 2009 TCSE PANIGADA ca del lavaggio broncoalveolare, come verrà specificato in seguito (Figura 7). Tubercolosi L’infezione da Mycobacterium tuberculosis nei pazienti emato-oncologici spesso si presenta nella sua forma miliare, in considerazione delle scarse difese immunitarie messe in atto dal paziente. Le infezioni da micobatteri atipici sono invece più rare. Si devono poi anche considerare le cause di danno polmonare non dovute a fattori infettivi, ma che egualmente possono rappresentare per il paziente gravi complicanze. Ne elencheremo le principali: 1) ARDS: è scatenata sia da cause infettive, come la sepsi da Streptococco viridans, ma anche da cause non infettive, come la presenza di danno polmonare da altre cause non infettive, come la tossicità gastrointestinale con grave mucosità, pancreatite, neutropenia. Si presenta come una grave insufficienza respiratoria con liquido a elevato contenuto proteico negli alveoli per alterata permeabilità polmonare. Radiologicamente presenta infiltrati multipli bilaterali, per lo più periferici, compatibili con quadro di edema polmonare 12; 2) peri-engraftment respiratory distress syndrome (PERDS): si verifica per lo più nei pazienti con TMO autologo, entro 4-5 giorni dal momento della risalita dei neutrofili. Il quadro clinico è caratterizzato da febbre spesso elevata, discesa marcata della saturazione; alla radiografia del torace presenza di infiltrati polmonari multipli. Può essere associata alla presenza di emorragia alveolare 13; 3) polmonary cytolytic trombi: generalmente si accompagna a GvHD acuta o cronica, è caratterizzata dalla presenza di materiale necrotico-tromboembolico nel parenchima polmonare. Clinicamente il paziente è febbrile, alla radiografia del torace sono presenti noduli polmonari abbastanza definiti; 4) diffuse alveolar hemorrage: è caratterizzata della presenza di abbondante sangue negli alveoli, per grave danneggiamento della barriera alveolo-capillare. Clinicamente il paziente presenta dispnea, tosse, ipossiemia, raramente emottisi. La radiologia dimostra infiltrati sfumati che, a differenza di quelli dell’ARDS, sono più centrali, parailari. Si accompagna a un’alta mortalità (70-100%) 14; 5) idiopatic pneumonia sindrome: si presenta clinicamente, in tutto e per tutto, come una polmonite: dispnea, tosse catarrale, ipossiemia, nonché radiolo- Vol. 41 - N. 1 Figura 8. — Bronchiolite obliterante (BO) a distanza di 11 mesi dal TCSE da matched unrelated donors (MUD) o donatore volontario non correlato. Il quadro CT dimostra in alcuni settori preponderanza di componente infiammatoria peribronchiale, mentre in altri prevalgono i segni di intrappolamento d’aria con estrema rarefazione del disegno sia bronchiale che vascolare. Figura 9. — Evoluzione di BO a distanza di 4 anni da TCSE da MUD. Il quadro di BO è evoluto, con pressochè totale scomparsa della componente infiammatoria. Alla CT del torace il parenchima polmonare appare gravemente impoverito sia del suo tipico disegno bronchiale che vascolare. Il danno è presente in maniera diffusa in tutti i campi polmonari, ove sono presenti segni diffusi di air trapping. gicamente con infiltrati multilobulari, ma non è su base infettiva. Spesso è associata con GvHD, CMV+ del donatore, spesso intercorre un lungo intervallo tra la sua occorrenza ed il trapianto. La mortalità e molto ele- GASLINI 31 PANIGADA TCSE vata, fino a sfiorare il 100% se il paziente deve essere ventilato; 6) bronchiolitis obliterans organizing pneumonia: istologicamente caratterizzata da quadri di bronchiolite obliterante associati a proliferazione intralveolare di gettoni fibrotici (organizing pneumonia), coinvolge il parenchima polmonare per lo più non in maniera diffusa, ma più focale. Clinicamente il paziente presenta tosse catarrale, dispnea e febbre, con alle prove di funzionalità respiratorie un difetto di tipo restrittivo. La CT dimostra diffuse zone di atelettasia distribuite alla periferia polmonare, come opacità nodulari e zone a vetro smerigliato. Si associa invariabilmente alla GvHD, può anche portare il paziente all’exitus 15; 7) bronchiolitis obliterans: lo sviluppo di reazione infiammatoria-fibrotizzante a livello delle vie aeree periferiche, in questi pazienti senza segni di polmonite organizzante intraalveolare, induce air trapping in fase espiratoria, come documentato dalla CT (Figure 8, 9). A ciò corrisponde clinicamente tosse, dispnea, wheezing e alle prove di funzionalità respiratoria un difetto ventilatorio principalmente ostruttivo con diminuzione della capacità di diffusione polmonare (diminuzione della diffusione polmonare [diffusing capacity for carbon monoxide, DLCO]). La patologia per lo più si associa a GvHD cronica e anche al pregresso impiego del metotrexate. La frequenza è tra il 6% e il 20%, la mortalità molto elevata, potendo raggiungere anche il 65% a tre anni dalla diagnosi 16. 8) delayed pulmonary toxicity syndrome: Compare generalmente nel paziente sottoposto a TCSE autologo, preceduto dall’impiego di farmaci chemioterapici ad alte dosi. Si può presentare anche a distanza di anni dal TCSE, clinicamente è caratterizzata da tosse, dispnea, febbre. La DLCO si presenta diminuita, la CT dimostra segni di polmonite interstiziale e fibrosi. È un quadro clinico comunque nel complesso benigno, che non comporta mortalità 17. Percorso diagnostico In un paziente TCSE neutropenico, la comparsa di febbre, tosse generalmente non produttiva, dispnea e talvolta dolore toracico dovrebbe quindi far sospettare una complicanza polmonare, anche se l’esame obiettivo non rileva zone di ottusità o rantoli. Alcuni agenti patogeni o quadri clinici non infettivi possono essere altamente improbabili, e quindi inutili da ricercare, 32 sulla base del tipo di immunodeficienza presentato dal paziente, della presentazione clinica, del quadro radiologico e del tempo trascorso dal TCSE, ma in ogni caso attualmente vi è un discreto consenso sulla procedura diagnostica da seguire in questi pazienti. Si deve comunque sempre eseguire prontamente una radiografia del torace e/o possibilmente una CT toracica. Oltre a questi esami radiografici, vi sono poi accertamenti che, per la loro crescente invasività, sono generalmente stratificati in tre diversi livelli. Sta al medico curante stabilire, in base alle condizioni del paziente, se sia possibile procedere per gradi o se sia più conveniente passare subito ad accertamenti di secondo o terzo livello come nel caso di della comparsa di un’ipossiemia ingravescente. Accertamenti di I livello Emocolture ripetute; 1) ricerca antigeni urinari per Legionella; 2) ricerca di Mycoplasma pneumoniae, mediante anticorpi o polymerase chain reaction (PCR) su tampone faringeo; 3) ricerca antigene Aspergillus (Platelia ELISA) su sangue per tre giorni non consecutivi se ad alto rischio di aspergillosi (LMA, LLA recidivate o in terapia steroidea ad alte dosi, trapianto allogenico, specie se da donatore non consanguineo); 4) raccolta espettorato per esame diretto e colturale per germi vari, micobatteri e miceti, nonché per esame citologico. Non c’è bisogno di sottolineare che un campione di escreato ben eseguito, ottenuto con tosse profonda, rappresenta un materiale di valore diagnostico straordinario, anche se in età pediatrica spesso è difficile ottenere un campione di vero espettorato “profondo”. Accertamenti di II livello Lavaggio broncoalveolare (bronchi alveolar lavage, BAL). La metodica consiste nell’instillare attraverso il broncoscopio nelle vie aeree più periferiche della soluzione salina, quindi aspirarla e recuperare le cellule e gli eventuali patogeni presenti a livello del polmone profondo/alveolare. Si possono così allestire preparati per la ricerca diretta del Pneumocistis jiroveci, micobatteri, funghi, nonché ricerche di biologia molecolare, come la ricerca del DNA dei micobatteri e del CMV con tecnica PCR. Esami colturali per germi vari e miceti 18. Questa metodica è diagnostica soprattutto nel GASLINI Aprile 2009 TCSE PANIGADA caso di infezione da agenti eziologici che tendono a diffondersi all’interno delle vie aeree, come i batteri e/o il Pneumocistis jiroveci, mentre la sua sensibilità è minore nel caso di infezioni fungine come l’Aspergillo, che tende più ad invadere il parenchima polmonare. Ma nel caso dell’infezione fungina già le immagini CT sono abbastanza suggestive per porre sulla giusta strada diagnostica e terapeutica. Il BAL mantiene comunque sempre una sua indicazione diagnostica, sia nel caso di una sua positività nell’isolare l’agente eziologico, sia nel caso di una sua negatività dal punto di vista infettivologico, perché permette così di focalizzare la diagnosi più sulle complicanze di natura non infettiva, come sopra esposto 19. Ad esempio, il recupero di un BAL che nelle sue diverse aliquote appare sempre più con contamina- zione ematica, fa porre diagnosi certe di emorragia alveolare, che per lo più non è una complicanza di natura infettiva, come sopresposto. Accertamenti di III livello Biopsia polmonare eseguita secondo tecniche varie (a cielo aperto, transcutanea in controllo CT), su cui effettuare: esame istologico ed esame colturale. L’impiego tempestivo di questo percorso diagnostico, con la conseguente pronta identificazione della causa infettiva o non infettiva in atto nel singolo paziente dopo TMO, permette di iniziare per tempo la più appropriata terapia e riuscire a vincere queste complicanza polmonari, che se lasciate a sé possono facilmente risultare fatali per il paziente. Bibliografia 1. Castagnola E et al. A prospective study on the epidemiology of febrile episodes during chemotherapy-induced neutropenia in children with cancer or after hemopoietic stem cell transplantation. Clin Infect Dis 2007;45:1296-304. 2. Klastersky J et al. Bacteraemia in febrile neutropenic cancer patients. Int J Antimicrob Agents 2007;30S:S51-S9. 3. Marron A et al. Serious complications of bacteremia caused by Viridans streptococci in neutropenic patients with cancer. Clin Infect Dis 2000;31:1126-30. 4. Castagnola E et al. Cytomegalovirus infection after bone marrow transplantation in children. Hum Immunol 2004;65:416-22. 5. 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Invasive aspergillosis in neutropenic patients: rapid neutrophil recovery is a risk factor for severe pulmonary complications. Eur J Clin Invest 1999;29:453-7. 11. Torres HA et al. Influence of type of cancer and hematopoietic stem cell transplantation on clinical presentation of Pneumocystis jiroveci pneumonia in cancer patients. Eur J Clin Microbiol Infect Dis 2006;25:382-8. 12. Garaventa A, Rondelli R, Castagnola E, Locatelli F, Dallorso S, Porta F et al. Fatal pneumopathy in children after bone marrow transplantation report from the Italian Registry. Italian Association of Pediatric Hematology-Oncology BMT Group. Bone Marrow Transplant 1995;16:669-74. 13. Capizzi SA, Kumar S, Huneke NE, Gertz MA, Inwards DJ, Litzow MR et al. Peri-engraftment respiratory distress syndrome during autologous hematopoietic stem cell transplantation. Bone Marrow Transplant 2001;27:1299-303. 14. Ben-Abraham R, Paret G, Cohen R, Szold O, Cividalli G, Toren A et al. 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Bone Marrow Transplant 2000;25:975-9. 19. Armenian SH, La Via WV, Siegel SE, Mascarenhas L. Evaluation of persistent pulmonary infiltrates in pediatric oncology patients. Pediatr Blood Cancer 2007;48:165-72. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 33 CASO CLINICO GASLINI 2009;41:35-8 Un caso di ematuria e proteinuria G. BARBANO Unità Operativa Complessa di Nefrologia Dialisi e Trapianto di Rene, Istituto Giannina Gaslini, Genova Giorno 1. Ore 08,30 Dirigente medico 1 a specializzanda: Abbiamo ricoverato ieri sera un bambino di 8 anni con macroematuria e proteinuria; in anamnesi non sono stati riferiti episodi infettivi significativi nelle ultime settimane e anche al momento attuale non vi è febbre o altri sintomi di infezione in atto. Non ho rilevato segni di iperidratazione: non è iperteso, non ha edemi evidenti, l’addome è piano trattabile, il margine inferiore del fegato è palpabile all’arcata costale, nulla di patologico all’ascoltazione del torace. Tuttavia, sembra sofferente. Accusa da qualche giorno addominalgie ricorrenti e dolore al fianco sinistro. Puoi fare una accurata anamnesi in modo da preparare un programma diagnostico al più presto? Specializzanda: Sì vado, ma gli esami che avete fatto ieri sera che informazioni ci hanno fornito? La funzione renale è normale? Ha ipodisprotidemia? Avete fatto il dosaggio della PCR e del C3? Siete riusciti a fare una ecografia renale? Dirigente medico 1: Calma, calma. Sì, abbiamo fatto tutto quello che hai chiesto tranne il C3, era tutto nella norma. Solo allo stick urine c’era sangue ++++ proteine +++ negativi i nitriti il glucosio e la esterasi leucocitaria. Specializzanda: Anche l’ecografia renale era normale? Dirigente medico 1: I reni sono risultati nella norma per forma e dimensioni, non sono riportate dilatazioni della trafila urinaria hanno però segnalato un’ecogenicità renale incrementata a livello a livello della midollare e apicomidollare. Specializzanda: Cerco di finire l’anamnesi al più presto per poter discutere quali ulteriori esami fare oggi stesso. Dirigente medico: Accertati che abbia iniziato la raccolta urine 24 ore, ci rivediamo più tardi per decidere quali altre analisi richiedere. Specializzanda: Va bene a dopo. Giorno 1. Ore 10,00 Dirigente medico 1: Allora ci sono nuovi indizi? Specializzanda: Non è certo un caso la cui diagnosi risulti subito evidente!. Andiamo per ordine. In famiglia abbiamo il nonno materno di 78 anni con calcolosi renale e lieve insufficienza renale. Madre e padre stanno bene non hanno patologie significative. C’è un cugino di 38 anni (figlio della sorella della madre) con una importante osteoporosi e calcolosi renale. Il fratellino di tre anni non ha presentato problemi clinici significativi. All’anamnesi fisiologica non sono riportati dati patologici significativi. All’anamnesi patologica remota sono segnalati una frattura dell’ulna durante attività sportiva a 7 anni e asma allergico dai 5 anni. All’anamnesi patologica prossima si segnala la ricorrenza da qualche giorno di dolore addominale riferito centro ombelicale non particolarmente intenso e da ieri dolore sordo al fianco sinistro. In occasione delle prime minzioni macroematuriche avrebbe accusato anche una lieve disuria che è poi scomparsa. Sulla base di questi sintomi avrei pensato ad una infezione delle vie urinarie ma non so come spiegarmi la presenza di proteinuria e la assenza di leucocituria allo stick urine di ieri. Dirigente medico 1: OK non saltiamo alle conclu- Autore di contatto: G. Barbano, Unità Operativa Complessa di Nefrologia Dialisi e Trapianto di Rene, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 35 BARBANO UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA sioni, come proponi di procedere con le indagini? Per prima cosa decidiamo gli esami biochimici. Specializzanda: Sì, va bene, controllerei il C3, la proteinemia ed elettroforesi, colesterolo trigliceridi fibrinogeno, la VSE, il TASL e dnASI, farei un dosaggio Ig (potrebbero essere elevate le IgA in caso di glomerulonefrite a depositi di IgA). Ovviamente è necessario fare un esame urine e urinocoltura. Sulla raccolta urine valuterei proteinuria calciuria uricuria e creatininuria. Dirigente medico 1: Pensi che dobbiamo programmare altri esami strumentali oltre all’ecografia di ieri sera? Specializzanda: No, vediamo i risultati degli esami e come evolvono le condizioni cliniche. Possiamo iniziare a fare una diagnostica differenziale alla riunione di fine mattina d’accordo? Dirigente medico 1: Dal punto di vista terapeutico al momento proseguirei con farmaci analgesici (paracetamolo). Data l’assenza di edemi e ipertensione, manterrei una idratazione pari al fabbisogno più le perdite, come alimentazione prescriverei una dieta normosodica, normoproteica. È necessario un programma di controlli che comprenda la rilevazione della diuresi e peso 2 volte al giorno, pressione arteriosa 3 volte al giorno per cogliere tempestivamente la eventuale comparsa di oliguria, ritenzione di liquidi. Giorno 2. Ore 12,30. Riunione Dirigente medico 2 (responsabile UOC): Chi ha fatto l’anamnesi del bambino alla stanza 7 con macroematuria e proteinuria? Specializzanda: l’ho visto io. Dirigente medico 2: Può impostare una diagnosi differenziale? Specializzanda: Va bene, partiamo dai dati clinici: il quadro di ematuria associata a dolore addominale e modesta disuria potrebbe essere causato da una infezione o da una litiasi delle vie urinarie; potremmo anche pensare ad un quadro di esordio di una glomerulonefrite ma vi sono molti elementi atipici e contrastanti quali la assenza di edemi e la pressione arteriosa normale; il dolore addominale non rientra tra i sintomi delle glomerulopatie salvo nei pochi casi in cui vi sia un importante edema del mesentere o un abbondante versamento addominale. Anche la disuria non rientra nei sintomi tipici delle malattie glomerulari 36 anche se in qualche caso vi può essere a causa di urine molto concentrate per l’oliguria e questo non è il caso in quanto ha urinato 1,5 ml/kg/h nelle ultime 24 h (limite oliguria 0,5 ml/kg/h). Consideriamo ora i dati biochimici e strumentali: la assenza di leucocituria, la normalità dei parametri infiammatori, e la assenza all’ecografia di anomalie della morfologia dei reni e vie urinarie rendono improbabile l’infezione urinaria; è stata riscontrata una calciuria molto alta (6,5 mg/kg di peso al dì con valori normali <a 4 e rapporto con la creatininuria di 0,75 con valori normali <a 0,25). Questo dato potrebbe confermare il sospetto di litiasi urinaria ma alla ecografia renale non sono stati individuati calcoli. Il riscontro di proteinuria attorno ad 1 g/24 ore fa pensare ad una patologia glomerulare all’esordio, tuttavia contro questa ipotesi vi sono alcuni dati (oltre a quelli clinici già citati: assenza di edemi ed ipertensione): il C3 è normale, non vi è un quadro biochimico di sindrome nefrosica (proteinemia albuminemia, calcemia, fibrinogeno normali, non dislipidemia,), la funzione renale escretoria è normale, alla ecografia renale è presente un incremento dell’ecogenicità renale soprattutto a livello della midollare e apicomidollare. Se si trattasse di una patologia glomerulare l’incremento dell’ecogenicità dovrebbe essere soprattutto corticale. Se prendiamo il dato clinico di netto miglioramento della sintomatologia nelle ultime 12 ore (scomparsa del dolore addominale e della macroematuria), unito al dato anamnestico famigliare di calcolosi delle vie urinarie ed al riscontro di ipercalciuria penso che la causa più probabile delle sintomatlogia acuta possa essere stata una problematica urologica acuta quale una microlitiasi delle vie urinarie. Dirigente medico 2: Contro la sua ipotesi c’è il riscontro di proteinuria e la assenza di calcoli all’ecografia renale, c’è qualche esame che si potrebbe fare per cercare di chiarirci le idee? Specializzanda: Proporrei di verificare un RX addome per individuare eventuali calcoli negli ureteri (medio e distale) che talora sfuggono all’ecografia e di rivalutare la proteinuria per distinguere se è di origine glomerulare o tubulare: pertanto doserei la microalbuminuria (glomerulare), la alfa-1 microglobulina e la beta-2 microglobuina (aumentate nella proteinuria tubulare). Questo potrebbe aiutarci a capire se la proteinuria è da inquadrare nell’ambito delle glomerulopatie o del danno renale da nefropatia da reflusso, da nefrite interstiziale o da danno tubulare in genere. GASLINI Aprile 2009 UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA BARBANO Dirigente medico 1: Aggiungerei la valutazione della creatininuria, sodiuria, fosfaturia, glicosuria, aminoaciudria, ossaluria delle 24 h per cercare di spiegare il quadro ecografico renale che potrebbe essere riferibile a nefrocalcinosi a mio parere. In tale prospettiva è meglio riverificare anche il pH ed i bicarbonati venosi per escludere una acidosi tubulare. Verificherei anche il bilancio calcio-fosforico compreso il PTH. Dirigente medico 2: Va bene, ridiscuteremo il caso appena abbiamo i dati nuovi. Giorno 4. Sala riunioni Dirigente medico 2: Come va il bambino della stanza 7? Specializzanda: Dal punto di vista clinico non ci sono novità, non ha più presentato ematuria né dolori addominali, idratazione e diuresi nella norma, è normoteso. Gli ulteriori accertamenti effettuati hanno evidenziato che la proteinuria è di origine tubulare ed in minima parte glomerulare, non vi sono altri segni di danno tubulare (nella norma bilancio idrosalino, acidobase, non perdita tubulare di glucosio, aminoacidi, esclusa una sindrome di De Toni Debrè Fanconi). All’RX addome a vuoto abbiamo individuato una formazione radioopaca di 0,4 cm nella presunta trafila urinaria di sinistra a livello del terzo distale dell’uretere. Abbiamo ripetuto una ecografia delle vie urinarie che sulla scorta del dato radiologico è riuscita ad individuare una formazione iperecogena con cono d’ombra posteriore nell’uretere premurale a sinistra con asse maggiore di 0,4-0,5 cm circa. Dirigente medico 1: A questo punto si potrebbe azzardare una diagnosi. Specializzanda: Si potrebbe ipotizzare un episodio di calcolosi delle vie urinarie in un soggetto affetto da Dent’s Disease (DD). Il quadro clinico dei soggetti affetti da DD comprende ipercalciuria, proteinuria a basso peso molecolare, nefrolitiasi, nefrocalcinosi ed insufficienza renale. Il tipo I (DD1) è più comune è una patologia ereditaria X linked causata da mutazioni del canale del cloro CLCN-5. Recentemente è stato dimostrato che anche mutazioni del gene OCRL1 (responsabile della sindrome di Lowe caratterizzata da tubulopatia di Fanconi, anomalie oculari e ritardo mentale severo con importanti turbe comportamentali) possono associarsi ad un fenotipo simile alla DD (Dent 2 disease DD2). Vol. 41 - N. 1 Dirigente medico 2: I criteri diagnostici sembrano esserci tutti: nefrocalcinosi, ipercalciuria, calcolosi renale, per fortuna al momento non vi è insufficienza renale, per quanto riguarda l’ereditarietà, l’anamnesi famigliare suggerisce una trasmissione X-linked visto che il nonno ed un cugino hanno già presentato calcolosi renale 1-3. Specializzanda: A questo punto qual è il programma terapeutico? Dirigente medico 2: Per quanto riguarda la terapia bisogna scindere il problema acuto del calcolo dalla patologia di base. Il problema della gestione di un calcolo ureterale è molto complesso, al momento limitiamoci ad iniziare una terapia idratante per os ed eventualmente anche endovenosa (avendo escluso una glomerulopatia in atto il bambino non presenta rischi eccessivi di sovraccarico idrico) per favorire l’espulsione spontanea del calcolo. Le dimensioni sono tali che non si può escludere che si renda necessaria una diagnostica urologica più approfondita per verificare che il rene sinistro abbia una funzione adeguata e che non vi siano ostacoli lungo il deflusso ureterale. Su tale base si valuterà se attendere una espulsione spontanea del calcolo verificando la trafila urinaria longitudinalmente con ecografia o procedere a trattamenti urologici invasivi (litotrissia endoscopica o extracorporea, estrazione del calcolo con strumenti endoscopici/chirurgicamente ecc.). Per quanto riguarda la patologia di base è necessario contrastare il rischio di progressione della nefrocalcinosi e della formazione di calcoli. Si deve pertanto agire nelle seguenti direzioni: 1) mantenere un abbondante apporto idrico quotidiano cercando di raggiungere 2 l/m2 di acqua oligominerale al giorno; 2) prescrivere un’alimentazione mirata ad un basso apporto di cloruro di sodio (idealmente a fabbisogno) e mantenere un apporto di proteine non eccessivo; l’apporto di calcio quotidiano deve essere di poco superiore al fabbisogno per l’età (evitare una dieta ipocalcica perché non riduce o addirittura aumenta per taluni autori il rischio di precipitazione di calcoli e aumenta il rischio di demineralizzazione ossea); 3) prescrivere un’assunzione quotidiana di citrati ed in particolare citrato di potassio e magnesio che si è dimostrato il miglior presidio terapeutico per contrastare la precipitazione del calcio urinario; indicativamente la dose iniziale può essere di 0,5 g 2 volte al GASLINI 37 BARBANO UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA giorno incrementabile a 1 g 2 volte al giorno; si deve evitare di superare un pH urine di 7 in quanto in tale caso si perde in parte il benefico della supplementazione con citrati in quanto a pH urine superiore a 7 diminuisce la solubilità del calcio nelle urine 4-6. Specializzanda: E dal punto di vista prognostico cosa possiamo dire alla famiglia? Dirigente medico 1: Nella definizione della malattia di Dent c’è il concetto della progressione del danno renale fino all’insufficienza renale. Tuttavia, nella nostra esperienza che comprende 15 bambini (14 DD1 e 1 DD2 tutti caratterizzati geneticamente), con un follow-up medio di 9±5 anni, in nessuno abbiamo osservato una progressione verso l’insufficienza renale. Anche per la formazione di calcoli, non abbiamo avuto alcun nuovo episodio di nefrolitiasi dopo posta la diagnosi. Per quanto riguarda il rischio di demineralizzazione ossea, al momento le indagini effettuate (osteosonografia ogni 6 mesi associata a densitome- tria ossea ogni 2 anni) non evidenziano importanti problemi di osteoporosi. Siamo convinti che il programma terapeutico che proponiamo possa prevenire o perlomeno molto rallentare la progressione del danno renale. Al tempo stesso la prescrizione di un apporto bilanciato di calcio ha permesso di mantenere un sufficiente tono calcico osseo. Teniamo presente che le prime casistiche descritte di pazienti con Dent’s Disease comprendevano adulti che molto probabilmente non avevano effettuato alcun trattamento preventivo o al contrario non avendo conoscenza di tale patologia potevano aver seguito schemi alimentari del tutto inadeguati. Dirigente medico 2: In conclusione, consiglio di chiedere il consenso per la diagnostica molecolare alla famiglia. Dopo aver spiegato la patologia che riteniamo sia in causa, consiglio di fornire alla famiglia una consulenza dietologica per meglio organizzare l’alimentazione del bambino a domicilio. Bibliografia 1. Thakker RV. Pathogenesis of Dent’s disease and related syndromes of X-linked nephrolithiasis. Kidney Int 2000;57:787-93. 2. Hoopes RR Jr, Shrimpton AE, Knohl SJ, Hueber P, Hoppe B, Matyus J, Simckes A, Tasic V, Toenshoff B, Suchy SF, Nussbaum RL, Scheinman SJ. Dent disease with mutations in OCRL1. Am J Hum Genet 2005;76:260-7. 3. Tosetto E, Ghiggeri GM, Emma F, Barbano G, Carrea A, Vezzoli G, Torregrossa R, Cara M, Ripanti G, Ammenti A, Peruzzi L, Murer L, Ratsch IM, Citron L, Gambaro G, D'angelo A, Anglani F Phenotypic and genetic heterogeneity in Dent’s disease the results of an Italian collaborative study.. Nephrol Dial Transplant 2006;21:2452-63. 4. Straub M, Hautmann RE. Developments in stone prevention. Curr Opin Urol 2005;15:119-26 5. Cebotaru V, Kaul S, Devuyst O, Cai H, Racusen L, Guggino WB, Guggino SE. High citrate diet delays progression of renal insufficiency in the ClC-5 knockout mouse model of Dent's disease. Kidney Int 2005;68:642-52. 6. He FJ, Macgregor GA. A comprehensive review on salt and health and current experience of worldwide salt reduction programmes. J Hum Hypertens 2008 [Epub ahead of print]. 38 GASLINI Aprile 2009 DIAGNOSTICA GASLINI 2009;41:39-41 I test allergici di terzo livello G. MELIOLI Area di Aggregazione Dipartimentale di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, Laboratorio Centrale di Analisi, Istituto G. Gaslini, Genova L a diagnostica allergologica di primo livello si basa classicamente su un’anamnesi accurata e su indagini in vivo, quali i test cutanei. Le indagini di secondo e terzo livello, effettuate in vitro sul siero le paziente servono a supportare o meglio definire la diagnosi basata sulle evidenze raccolte nel corso del primo livello. Le indagini di secondo livello sono state sviluppate alla fine degli anni Sessanta, quando, con la scoperta di un mieloma IgE e la produzione di un antisiero anti-IgE, è stato possibile costruire un test denominato radio allergo sorbent test (RAST) che consentiva, con una tecnica relativamente semplice, di dimostrare la presenza di IgE dirette contro un particolare allergene. Nei periodi successivi il test è stato ulteriormente migliorato e oggi abbiamo a disposizione nuove tecnologie altamente automatizzate ed affidabili. Attualmente, la ricerca delle IgE specifiche per uno o più allergeni viene effettuata con tecniche di immunoenzimatica o di chemiluminescenza altamente affidabili e completamente automatizzate. L’introduzione di pannelli concordati con gli allergologi clinici e di miscele di allergeni appartenenti alla stessa famiglia (per esempio, graminacee, alberi ecc.) ha consentito un’indagine completa anche nei casi con scarse notizie cliniche. Il reale salto di qualità in questo settore è avvenuto con l’introduzione degli allergeni ricombinanti e con lo sviluppo delle tecniche di microarray (derivate dalla proteomica). Queste tecnologie costituiscono una parte significativa della diagnostica di terzo livello in allergologia. Gli allergeni ricombinanti sono stati introdotti nella diagnostica allergologica con l’intenzione di identificare la molecola che era realmente responsabile della sensibilizzazione. Malgrado queste tecnologie abbiano ancora portato a un uso di vaccini ricombinanti solo in situazione molto ben definite, i vantaggi dall’introduzione delle molecole ricombinanti in diagnostica in vitro sono stati sostanziali e possono essere riassunti nella metodologia della Component Resolved Diagnosis (CRD). La CDR consente non solo di identificare la reale causa dell’allergia, ma anche, conoscendo la distribuzione e le eventuali cross reattività presenti in natura per quella specifica molecola, di fornire al clinico una serie di indicazioni che consentono di gestire meglio il paziente. Queste indicazioni sono tali da ridurre la carica “allergenica” cui il paziente stesso viene a contatto, favorendo la risoluzione di quadri sintomatologici talora complessi (come la sindrome allergica orale nei suoi vari gradi di gravità). La riduzione della carica allergenica è una delle strategie classiche dell’allergologia, in quanto da sempre si è suggerito al paziente di “stare lontano” dalle sostanze o dagli ambienti nei confronti dei quali era sensibilizzato. La novità legata alla CRD si basa sul fatto che la molecola “allergenica”, identificata con tecniche ricombinanti, può essere presente sia nell’allergene di riferimento, quanto pure in altri allergeni (che, per esempio, non vengono inalati ma vengono ingeriti). Un esempio è l’allergia alla betulla che, se confermata con tecniche di terzo livello, documenta la specifica reattività verso BET-v 1, una molecola presente anche in numerosi altri sistemi (per Ringraziamenti. — Questa esperienza non sarebbe stata possibile senza la collaborazione del personale del Laboratorio Centrale di Analisi e dei colleghi medici del Centro per le Malattie Allergiche dell’Istituto G. Gaslini di Genova. Autore di contatto: G. Melioli, Area di Aggregazione Dipartimentale di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, Laboratorio Centrale di Analisi, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 39 MELIOLI I TEST ALLERGICI DI TERZO LIVELLO esempio, alimenti come albicocca, ciliegia, mela, pesca ecc.). Le tecniche di Microarray (denominate ISAC da Immuno Solid-phase Allergen Chip), in quest’ottica, si integrano estremamente bene con l’utilizzo di molecole ricombinanti (o altrimenti purificate), dal momento che tanto maggiore è il numero di reagenti “spottato” sul microarray, tanto migliori sono le chance di una diagnosi esaustiva e tanto più approfondita è la caratterizzazione dello spettro di reattività IgE mediate del paziente stesso (Figura 1). È interessante notare che le tecniche basate su allergeni ricombinanti sono in genere utilizzate come completamento di un’indagine classica di primo e secondo livello: in altre parole, in presenza di un allergene (per esempio, una graminacea come Phleum p.), vengono studiate altre molecole come le profiline, che rappresentano antigeni “comuni” a molti sistemi e quindi possono giustificare quadri clinici complessi o parziali insuccessi dell’immunoterapia. Al contrario, ISAC ha la caratteristica di analizzare 103 (attualmente) allergeni, in un’unica seduta analitica, consentendo quindi Figura 1. PB 10 5 10 10 10 Q1 Q1 2 10 -144 10 5 Q2 (CD63+) 4 CD63 FITC-A 10 4 Q2 (CD63+) Q4 (CD63+) Q3 0 10 2 10 3 10 4 CCR3 PE-A 10 5 -171 0 10 10 5 10 3 10 4 CCR3 PE-A 5 10 10 3 10 4 CCR3 PE-A -132 0 10 Q4 (CD63+) 10 2 10 2 D farinae 2 Q1 0 0 -135 3 CD63 FITC-A 10 10 10 5 5 10 5 4 3 -131 0 10 10 3 10 4 CCR3 PE-A Q4 (CD63+) Q3 PC2 2 -160 10 4 CD63 FITC-A 10 2 -108 Q2 (CD63+) Q3 Q1 2 Q4 (CD63+) Q3 0 -142 0 10 200 250 (x 1 000) Q2 (CD63+) 3 100 150 SSC-A 10 3 10 5 50 Q1 PC1 CD63 FITC-A D Pteronyssinus Q2 (CD63+) 10 4 -89 0 10 10 3 CD63 FITC-A 2 -108 0 10 10 3 Basofili 2 CCR3 PE-A 10 4 10 5 PB -134 Q4 (CD63+) Q3 0 10 2 10 3 10 4 CCR3 PE-A 10 5 Figura 2. 40 GASLINI Aprile 2009 I TEST ALLERGICI DI TERZO LIVELLO MELIOLI di associare una diagnostica di secondo livello (documentazione delle IgE specifiche per varie categorie di allergeni) con la CRD, dal momento che molti omologhi (Bet-V1, profiline, Lipid Transfer Proteins ecc.) sono ben rappresentati all’interno dell’array. Resta il fatto che non è ancora chiaro se l’analisi di una singola allergene (per esempio, una molecola ricombinante di Paritaria j.) sia rappresentativa di tutte le possibili specificità dirette contro quell’allergene. Nella diagnostica di terzo livello in allergologia vengono inserite anche alcune indagini, quali il dosaggio della triptasi o il dosaggio della proteina cationica degli eosinofili (ECP) che hanno un significato clinico specifico nella diagnostica delle anafilassi (per la triptasi) e nel monitoraggio della sintomatologia allergica e del suo trattamento (per la ECP). Infine, nella diagnostica di terzo livello, da qualche anno, si include anche la documentazione dell’attivazione dei basofili del sangue periferico dopo cocoltivazione con un allergene. In questo caso, la presenza di una sensibilizzazione verso un allergene vie- Vol. 41 - N. 1 ne dimostrata identificando basofili circolanti con l’anticorpo monoclonale anti-CD63 e verificandone l’attivazione sulla base dell’incremento dell’espressione di CCR3, molecola espressa dai basofili a seguito di stimolazione allergene-mediata (Figura 2). Le indicazioni di questo tipo di indagine sono le allergie a veleno di imenotteri, agli antibiotici beta-lattamici, all’aspirina ed altri anti-infiammatori non steroidei, agli anestetici, ai cibi e suoi additivi. È chiaro che una diagnostica moderna dell’allergia deve prevedere un uso integrato di tutti questi strumenti. Infatti, una anamnesi accurata ed un pannello di test cutanei sono sufficienti per diagnosticare una malattia allergica (per esempio, una rinite stagionale) e per iniziare un trattamento farmacologico. Al contrario, quando l’approccio terapeutico è più impegnativo, la sintomatologia è più complessa (a causa di cross-reazioni) o la natura IgE mediata non è stata definita con certezza, tutte le altre indagini possono essere sicuramente indicate, ognuna per il significato che potrà dare con i suoi risultati. GASLINI 41 GASLINI 2009;41:43-7 Acne volgare: le 10 domande più frequenti M. MONTINARI, G. VIGLIZZO, C. OCCELLA Unità Operativa Complessa di Dermatologia, Istituto G. Gaslini, Genova Cos’è l’acne? L’acne volgare è una patologia infiammatoria polimorfa del follicolo pilo-sebaceo caratterizzata dalla comparsa di comedoni, papule, pustole e, più raramente, di noduli o cisti a carico del volto e spesso anche del tronco. È una delle più comuni malattie dell’età adolescenziale, iniziando tipicamente in epoca pre-puberale (10-12 anni) e interessando, secondo alcune stime, addirittura più del 90% della popolazione giovanile. L’acne di solito raggiunge la sua massima espressione clinica tra i 14 e i 17 anni per poi regredire intorno ai 20 anni, anche se tende a persistere nel 10% degli adulti, prevalentemente in soggetti di sesso femminile. L’acne si manifesta quando intervengono modificazioni della funzionalità dell’unità pilo-sebacea, indotte da fattori genetici, ormonali (androgeni) e ambientali, che in tempi successivi determinano lo sviluppo delle lesioni acneiche: — ispessimento dello strato corneo che riveste il canale pilo-sebaceo a livello della sua parte più superficiale (acroinfundibolo), volgarmente definito come “poro”, con formazione di un tappo di cheratina che impedisce il flusso del sebo in superficie; si forma così la lesione iniziale dell’acne definita come microcomedone; da questo derivano poi i comedoni veri e propri, aperti (punti neri) e chiusi (punti bianchi); — aumento della produzione di sebo da parte delle ghiandole sebacee; — proliferazione all’interno del comedone di numerosi batteri (Cocchi Gram positivi, difteroidi anaerobi, lieviti lipofili); in particolare il Propionibacterium acnes (P.Acnes) possiede delle lipasi in grado di idrolizzare i trigliceridi del sebo ad acidi grassi liberi, dotati di attività chemiotattica nei confronti dei neutrofili, che quindi vengono richiamati in sede comedonica, liberando mediatori flogogeni che danneggiano i tessuti. Ciò può determinare la rottura della parete follicolare con liberazione del contenuto comedonico nel derma. Tale evento è responsabile dell’evoluzione infiammatorie dei comedoni in lesioni più importanti, quali papule, pustole, noduli, cisti, seni di drenaggio e infine cicatrici tipiche delle forme più impegnative di acne. L’acne colpisce solo gli adolescenti? Effettivamente no. Pur essendo molto più frequente nell’epoca della pubertà e dell’adolescenza, l’acne può colpire soggetti di differenti fasce d’età fra cui anche neonati e bambini. L’acne neonatale, già presente alla nascita o a esordio nelle prime settimane di vita, si caratterizza per la presenza di comedoni chiusi e, più raramente, di papule e pustole localizzate in corrispondenza di fronte, naso e guance, con incidenza simile in entrambi i sessi. La patologia ha un decorso benigno, con tendenza alla guarigione spontanea nell’arco di circa tre mesi, senza esiti cicatriziali. La patogenesi sembra essere legata alla stimolazione delle ghiandole sebacee neonatali da parte di androgeni di origine materna e fetale. L’acne infantile si manifesta invece tra il terzo e il sesto mese di vita, con lesioni comedoniche e papulo-pustolose localizzate al viso, specie alle guance. A differenza dell’acne neonatale, la patologia tende ad Autore di contatto: M. Montinari, Unità Operativa Complessa di Dermatologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 43 MONTINARI ACNE VOLGARE TABELLA II. — Terapia per l’acne. Moderata Comedonica Retinoide topico o acido azelaico o BPO Severa Papulo-pustolosa Antibiotico topico e retinoide topico o acido azelaico o BPO Papulo-pustolosa Nodulare Antibiotico orale e retinoide topico +/- BPO Antibiotico orale e retinoide topico e BPO Conglobata Isotretinoina orale Alte dosi di antibiotico orale e retinoide topico e BPO Cosmetici antiacne Cosmetici antiacne Femminile: pillola ± ciproterone acetato assumere decorso cronico, con tendenza alla risoluzione spontanea verso i 4-5 anni; la patogenesi è incerta, anche se, nei casi gravi, il dosaggio degli ormoni androgeni può rivelare la presenza di una disendocrinopatia. Quando e come trattare l’acne? L’acne, come ogni altra patologia, può essere distinta secondo gravità e trattata di conseguenza. Seppur è vero che alcune forme di acne lieve possono andare incontro a risoluzione spontanea, non bisogna sottovalutare l’impatto psicologico che anche un’acne di questo tipo può avere sulla quotidianità di un adolescente; inoltre, talvolta anche un’acne lieve, se trascurata, può, su cuti predisposte, dar luogo a esiti cicatriziali inestetici e spesso di difficile trattamento. Proprio per questo, avendo a disposizione numerosi e validi ausili terapeutici, è bene saper prescrivere al nostro giovane paziente la cura più idonea al suo tipo di acne facendogli ben capire che la terapia va seguita con continuità. La terapia locale specifica (creme, gel, lozioni) può essere sufficiente a controllare un’acne lieve, ma nelle forme più gravi deve essere sempre affiancata da un trattamento sistemico. Definiamo un’acne “lieve” quando il paziente presenta solo lesioni comedoniche o poche lesioni papulo-pustolose (<10). In questo caso gli agenti cheratolitici sono il cardine della terapia, avendo l’effetto di ridurre l’ostruzione follicolare, prevenendo non solo la formazione dei comedoni stessi, ma l’evoluzione infiammatoria successiva. 44 Femminile: pillola ± ciproterone acetato Femminile: pillola ± ciproterone acetato Gli agenti cheratolitici di uso topico più comune sono rappresentati dai retinoidi (derivati della vitamina A), come l’adapalene, l’isotretinoina e la tretinoina. Va sottolineato che tali prodotti sono irritanti per le pelli più delicate e causano frequentemente rossore, bruciore e secchezza cutanea con fine desquamazione; inoltre, essi ed in particolare la tretinoina, rendono la pelle più sensibile all’esposizione solare, per cui è opportuno associare filtri protettivi, evitare forti insolazioni e ridurre il trattamento nel periodo estivo. I possibili effetti collaterali dei retinoidi possono essere prevenuti modulando la frequenza di applicazione in base alla tollerabilità e/o alternando agli stessi topici creme lenitive ed emollienti non grasse. Generalmente tali terapie richiedono una sola applicazione giornaliera, per una durata del trattamento di almeno 12 settimane; si può procedere poi a terapia di mantenimento con creme a base di acido azelaico ben tollerato e dotato di una discreta attività comedonolitica, antibatterica e antinfiammatoria Nelle forme infiammatorie (presenza di pustole) si associano antibiotici topici (generalmente la clindamicina e la eritromicina) per controllare la flora microbica cutanea. Essi riducono la densità del P.Acnes e conseguentemente l’infiammazione correlata al germe, ma non dovrebbero essere utilizzati per più di tre mesi per evitare la selezione di ceppi batterici resistenti. Una valida alternativa agli antibiotici è rappresentata dal benzoil perossido (BPO) battericida nei confronti del P.Acnes, in grado di eliminare il 90% del microrganismo dalle zone trattate in pochi giorni di applicazione. GASLINI Aprile 2009 ACNE VOLGARE MONTINARI Recentemente sono state introdotte in commercio, al fine di migliorare la compliance (cura più semplice) e l’efficacia (azione contemporanea su più fattori casuali) della terapia topica, associazione fisse di principi attivi: 1) adapalene – benzoil perossido; 2) clindamicina benzoil perossido. Validi ausili terapeutici nell’acne lieve, soprattutto nel caso di pazienti di giovanissima età mai precedentemente trattati, o nel caso si voglia potenziare l’attività cheratolitica e favorire l’assorbimento di altri prodotti, sono i cosmetici antiacne, contenenti molecole ad azione blandamente esfoliante come gli 〈-idrossiacidi o l’acido salicilico a bassa concentrazione. Nell’acne moderata e severa, quando siamo cioè di fronte a numerose lesioni papulo-pustolose o nodulari, la terapia sistemica è fondamentale e si avvale in primo luogo degli antibiotici. Raramente in età pediatrica si ricorre alla terapia antibiotica sistemica prima dei 14 anni, limitandone l’impiego ai casi di effettiva necessità: presenza di manifestazioni infiammatorie pustolose, cistico-nodulari suppurative, a forte rischio di gravi esiti cicatriziali. La terapia antibiotica riduce non solo il numero dei batteri, ma interferisce direttamente sui meccanismi infiammatori. Le tetracicline sono i farmaci di prima scelta nell’antibiotico-terapia dell’acne, mentre i macrolidi (azitromicina, josamicina, eritromicina) sono considerati come farmaci alternativi (in età prepuberale). Nell’ambito delle tetracicline, peraltro, sono da preferire le cicline di seconda generazione (doxiciclina, limeciclina, minociclina, metaciclina) rispetto a quelle di prima (tetraciclina cloridrato e oxitetraciclina), in virtù del loro più favorevole profilo farmacocinetico, senza però dimenticare la possibilità di effetti collaterali quali disturbi gastrointestinali, fototossicità, iperpigmentazione cutanea, discromie a carico dei denti. La nostra esperienza ci porta generalmente a prescrivere con più tranquillità la limeciclina e la metaciclina, in considerazione della migliore tollerabilità. La posologia varia a seconda della molecola; per la limeciclina e la metaciclina, ad esempio, la posologia raccomandata è di 300 mg/die per almeno tre mesi, ma non oltre, perché incrementeremmo il rischio di creare delle antibiotico-resistenze. È comunque sempre opportuno associare la terapia topica cheratolitica, precedentemente descritta, al fine di accelerare i miglioramenti, eventualmente da proseguire come terapia di mantenimento e prevenzione per almeno sei mesi. Ottimi risultati nell’acne severa tendente a lasciare Vol. 41 - N. 1 permanenti e deturpanti esiti cicatriziali, si sono raggiunti con l’uso dell’isotretinoina per via sistemica (orale), farmaco da usare sotto strettissimo controllo medico, a causa dei frequenti e non sottovalutabili effetti collaterali (xerosi, cheilite, dolori muscolari, dolori ossei, ipertrigliceridemia, iperostosi vertebrale) nonché del suo marcato effetto teratogeno; il suo uso richiede insomma un’attentissima selezione dei pazienti e si usa raramente in età pediatrica. E la pillola? La terapia ormonale è un’importante opzione per le pazienti acneiche, indipendentemente dal fatto che i loro livelli ematici di androgeni siano elevati o meno. In particolare é necessaria in quei casi di acne che non rispondono alle terapie classiche e che si associano a segni clinici e laboratoristici e/o strumentali ben documentati di iperandrogenismo (ovaio micropolicistico, sindrome dell’ovaio policistico, ecc.) associati o meno alla sindrome metabolica. In casi particolari si potrà quindi inserire una terapia ormonale (estrogeno e clormadinone, estrogeno e ciproterone acetato). Quest’ultimo è efficace nel blocco dei recettori per gli androgeni nella ghiandola sebacea (Tabella I). 5) Che tipo di detergente utilizzare? Nella scelta del detergente da consigliare a un paziente acneico, si deve tener conto di numerose variabili, tra cui tipo di cute e soprattutto tipo di trattamento prescritto. Nelle forme di acne lieve si utilizzano detergenti liquidi addizionati con sostanze seboregolatrici o cheratolitiche (acido salicilico, idrossiacidi, ecc.) in grado di rimuovere i tappi che chiudono gli ostii follicolari. Al contrario, nelle forme importanti di acne, quando l’applicazione di topici quali retinoidi e benzoilperossido può indurre irritazione e intensa xerosi cutanea, sarà bene prescrivere detergenti molto delicati (syndet) associati a sostanze idratanti e ad antisettici (clorexidina). Quando l’acne è sotto controllo e persiste solo un eccesso di sebo (seborrea) è opportuno detergere la pelle mattina e sera con prodotti formulati in latte o gel, a risciacquo, capaci di pulire grazie a sistemi lipoaffini e a tensioattivi innocui. GASLINI 45 MONTINARI ACNE VOLGARE Ci si può truccare con l’acne? Sì, a patto di utilizzare correttori del colore anallergici, privi di fragranze, non fotosensibilizzanti, non comedogenici e possibilmente dotati di uno schermo solare. Bisogna fare degli esami del sangue? I dosaggi ormonali sono indicati in casi di ragazze in cui si sospetti iperandrogenismo (ovarico, surrenalico, ecc.), quando l’acne (spesso associata a obesità, irsutismo, seborrea, perdita di capelli) esordisce rapidamente e in maniera severa, resiste alla terapia convenzionale o peggiora in breve tempo dopo la sospensione della terapia specifica. Gli ormoni da dosare sono il testosterone, libero e totale, il DHEAS, il ∆-4-androstenedione, il rapporto LH/FSH, la prolattina, il 17-OH-progesterone e la SHBG. Ci si può esporre al sole? La maggior parte dei pazienti e ancora tanti medici reputano che l’esposizione al sole apporti benefici alle lesioni acneiche. Diversi fattori contribuiscono a questa opinione, tra cui: la pigmentazione melanica che genera un camouflage naturale, il leggero effetto peeling generato dalle immersioni in acqua salata e la parziale riduzione delle papulo-pustole ascrivibile all’effetto immunomodulante-antinfiammatorio determinato dagli ultravioletti (UV). In realtà gli UV sono in grado di stimolare la comedogenesi, per cui spesso si assiste a un peggioramento della malattia nel periodo immediatamente successivo all’estate. Bisogna poi considerare il ruolo pro-acneico, non trascurabile di cosmetici (emulsioni idratanti, prodotti solari, ecc.) eccessivamente sostantivi o addirittura oleosi, che creano un effetto occlusivo; è quindi importante saper consigliare ai pazienti uno schermo solare adatto al loro tipo di pelle. Inoltre, le condizioni meteorologiche tipiche dell’estate mediterranea, caratterizzate da caldo-umido, comportano talvolta il rigonfiamento dello strato corneo, con effetto occlusivo a livello dell’ostio follicolare, nonché facile colonizzazione batterica con l’induzioni di follicoliti sovrapposte all’acne. Infine, vale la pena di ricordare che molti dei farmaci 46 utilizzati per l’acne, sia topici che sistemici, sono fotosensibilizzanti, per cui è prudente sospenderli in caso di fotoesposizione importante e nel periodo estivo. La dieta influenza l’acne? Nella maggior parte dei casi non esiste una relazione fra dieta e acne. Ciò detto, se un paziente è convinto (a torto o a ragione) che un alimento possa peggiorargli l’acne, non vale la pena cercare di convincerlo del contrario! Una causa certa di acne a livello dietetico è costituita dal consumo di iodio; in questa ottica sono da evitare diete a base di alghe o altri insoliti regimi alimentari che possono contenere un eccesso di ioduri. Bisogna anche sottolineare come le diete intensive combinate magari con un forte stress fisico, possano aumentare il rilascio di androgeni e quindi, potenzialmente, peggiorare l’acne. Recenti studi, inoltre, hanno messo in luce il possibile ruolo patogenetico del latte, probabilmente a causa della presenza di ormoni, ma non si dispone ancora di dati definitivi. Nelle ragazze con PCOS e sindrome metabolica (con resistenza all’insulina) è opportuno suggerire una dieta ricca di fibre, legumi, ortaggi, farinacei integrali, olio extravergine di oliva, pesce azzurro, frutta, con supplementazioni di minerali quali rame e zinco. Qual è l’impatto dell’acne sulla qualità di vita di un adolescente? Le lesioni acneiche, localizzate prevalentemente al viso, sono in genere poco accettate e hanno effetti negativi sulla vita psicologica degli adolescenti (specie nelle ragazze) provocando spesso profonde turbe emozionali, quali depressione, ansia, rabbia, immagine alterata del corpo (dismorfofobia) e isolamento dalla vita sociale, con calo del rendimento scolastico e peggioramento della qualità di vita. Sebbene tali problematiche si associno più comunemente a forme gravi di acne, la percezione che il paziente ha della gravità della propria malattia sembra incidere in misura maggiore rispetto alla reale severità delle lesioni. Per questo motivo anche nelle forme lievi e moderate è importante considerare e mai sottovalutare lo stato psicologico dei pazienti curando con determinazione la malattia. GASLINI Aprile 2009 ACNE VOLGARE MONTINARI E se non fosse acne? La diagnosi dell’acne, di solito, non presenta difficoltà per un occhio esperto. Tuttavia ci sono numerose dermatosi del volto che possono simulare un’acne, per cui è sempre bene non porre la diagnosi con troppa superficialità. Tra le più frequenti “simulatrici” in età adolescenziale ricordiamo: le eruzioni acneiformi da farmaci (corticosteroidi, vitamina B1, B6, B12 alogeni [iodio, cloro, bromo], anticonvulsivanti, litio, fenobarbital, ciclosporina, ecc.), la dermatite periorale, le follicoliti, le verruche piane, il mollusco contagioso, i grani di miglio, gli adenomi sebacei della sclerosi tuberosa. Bibliografia 1. Dréno B, Bettoli V, Ochsendorf F, Perez-Lopez M, Mobacken H, Degreef H et al. An expert view on the treatment of acne with systemic antibiotics and/or oral isotretinoin in the light of the new European recommendations. Eur J Dermatol 2006;16:565-71. 2. Adebamowo CA, Spiegelman D, Berkey CS, Danby FW, Rockett HH, Colditz GA et al. Milk consumption and acne in teenaged boys. J Am Acad Dermatol 2008;58:787-93. 3. Adebamowo CA, Spiegelman D, Danby FW, Frazier AL, Willett WC, Holmes MD. High school dietary dairy intake and teenage acne. J Am Acad Dermatol 2005;52:207-14. 4. Danby FW. Acne and milk, the diet myth, and beyond. J Am Acad Dermatol 2005;52:360-2. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 47 QUIZ DERMATOLOGICO GASLINI 2009;41:49-50 Una sindrome “indimenticabile” M. MONTINARI, G.VIGLIZZO, O.NEMELKA, D.BLEIDL, C.OCCELLA Unità Operativa di Dermatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova S .L., bambina di 12 anni, giungeva alla nostra osservazione dal Pronto Soccorso presentando da 4 giorni un’eruzione di maculo-papule confluenti eritematose ed intensamente pruriginose disposte in maniera simmetrica sulla faccia posteriore delle cosce e sui glutei (Figura 1), sui cavi poplitei (Figura 2), sul collo, sulla faccia mediale di braccia e avambraccia e cavi ascellari. La paziente era in buone condizioni generali, non presentava febbre, astenia o artralgie. L’esame obiettivo generale era negativo. La mamma negava l’assunzione di farmaci nei giorni precedenti la comparsa dell’eruzione. Vista la peculiare topografia della dermatite, si approfondiva l’anamnesi riguardo al contatto con mercurio e derivati. La mamma, in effetti, riferiva di aver rotto un termometro misurando la temperatura alla figlia circa 10 giorni prima. Sono stati applicati patch test, serie SIDAPA, integrata con mercuriali. Figura 1. — Eruzione di maculo-papule confluenti eritematose su cosce e glutei. Figura 2.—Maculo-papule sui cavi poplitei. Qual’ è la diagnosi? Autore di contatto: M. Montinari, Unità Operativa di Dermatologia, Istituto Giannina Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 49 MONTINARI UNA SINDROME “INDIMENTICABILE” Baboon syndrome (sindrome del babbuino) È stata formulata la diagnosi di Baboon syndrome causata dal contatto con il mercurio fuoriuscito dopo la rottura di un termometro. La Baboon syndrome è così chiamata per la caratteristica disposizione delle lesioni eritematose che spesso interessano simmetricamente i glutei configurando un quadro che ricorda il posteriore di un babbuino; si tratta di una dermatite da contatto generalizzata che insorge dopo ingestione o assorbimento sistemico per contatto o inalazione dell’allergene in individui precedentemente sensibilizzati dall’esposizione topica allo stesso allergene. Il fenomeno della sensibilizzazione al mercurio in età pediatrica non è raro. E' probabilmente dovuto all'uso di antisettici in epoca neonatale (merbromina) o alla presenza di etilmercurio salicilato (thimerosal, thiomersal) nei vaccini. La sindrome è più frequentemente scatenata dalla assunzione di antibiotici beta lattamici e dal contatto con mercurio (spesso dopo la rottura di un termometro) 1, 2. Come nel nostro caso, l’eruzione insorge nell’area dell’inguine, delle ascelle, del collo e della fossa poplitea, zone dove sono abbondanti le ghiandole sudoripare; è stato suggerito che il mercurio entri in circolo tramite l’inalazione dei vapori (il mercurio è il più volatile di tutti i metalli ed emette vapori a temperatura ambiente) e venga poi dismesso attraverso le ghiandole sudoripare producendo la dermatite. Infatti uno studio istopatologico ha dimostrato come il mercurio si concentri principalmente attorno all’epitelio delle ghiandole sudoripare 3. Nel caso in questione è probabile che si sia verificato sia un contatto diretto sia una manifestazione sistemica da inalazione. Veniva instaurata una terapia con antistaminici sistemici e corticosteroidi topici, con la risoluzione del quadro in una settimana. I patch test effettuati, negativi quelli standard, mostravano un’intensa positività per i derivati del mercurio, confermando la diagnosi proposta. È importante riconoscere questa sindrome, in modo da riuscire ad evitare successive esposizioni al mercurio e ai suoi derivati. Benché il mercurio sia stato col tempo eliminato dai prodotti per medicazione e dai termometri, recentemente è stata segnalata una Baboon syndrome in una bambina in seguito al trattamento sistemico con prodotti omeopatici a base di mercurio. Bibliografia 1. 2. 3. 50 Lerch M, Bircher A J. Systemically induced allergic exanthem from mercury. Contact Dermatitis 2004;50:349-53. Hausermann P, Harr T, Bircher A J. Baboon syndrome resulting from systemic drugs: is there strife between SDRIFE and allergic contact dermatitis syndrome? Contact Dermatitis 2004;51:297-310. Liping W, Jia Y, Dong-Lai M, Bob L. Baboon syndrome induced by mercury – first case report in China. Contact Dermatitis 2007;56:3567. GASLINI Aprile 2009 QUIZ RADIOLOGICO GASLINI 2009;41:51-3 Una lesione osteolitica diafisaria M. B. DAMASIO 1, C.GAMBINI 2 1Divisione di Radiologia, Istituto G. Gaslini, Genova 2Divisione di Anatomia Patologica, Istituto G. Gaslini, Genova Notizie cliniche U n bambino (B.G.) di 5 anni si presenta in Pronto Soccorso per dolore al ginocchio e impotenza funzionale dell’arto inferiore di recente insorgenza. Gli esami di laboratorio mostravano una lieve anemia microcitica e ipocromica, TASL 249; ADNasi 249; tampone nasale: pos per S. Aureus. Studio per immagini Nel dubbio di una sintomatologia riflessa a origine dall’anca eseguiamo in prima istanza ecotomografia e radiografia dell’articolazione coxofemorale destra con esito negativo. Successivamente, per il persistere della sintomatologia algica e dell’impotenza funzionale dell’arto inferiore, effettuiamo uno studio radiografico di ginocchio e femore destro. La radiografia AP del femore evidenzia, in sede diafisaria e a prevalente sviluppo intraspongioso, una lesione osteolitica con associata reazione periostale fusiforme continua (Figura 1A). A questo punto decidiamo di proseguire con uno studio con risonanza magnetica (RM) mirato della regione femorale completato con esame RM whole body STIR (WB-STIR). L’esame WB-STIR esclude un coinvolgimento scheletrico multifocale. L’esame RM della regione femorale (Figure 1B, C) mostra che la lesione focale diafisaria femorale destra ha uno spiccato contrast enhancement (CE), associa- to a una estesa e sfumata alterazione di segnale con CE della spongiosa e dei tessuti molli adiacenti (Figura 1C); si conferma un marcato ispessimento periostale fusiforme. La diagnosi differenziale di una lesione osteolitica con reazione periostale a livello della diafisi delle ossa lunghe nel bambino va posta essenzialmente tra: — istiocitosi a cellule di Langherans; — sarcoma di Ewing/linfoma; — osteomielite. Quale orientamento diagnostico? Studio istologico Il bambino viene quindi sottoposto ad accertamento bioptico con esame istologico. La biopsia ossea evidenzia una struttura osteotrabecolare alterata e sostituita da una proliferazione cellulare stipata polimorfa granulomatosa (Figura 2A). A più forte ingrandimento la proliferazione risulta essere costituita da elementi ad habitus istiocitario commisti a granuloiti eosinofili, neutrofili, linfociti e plasmacellule (Figure 2B, C). Gli istiociti hanno nuclei indentati o lobulati, ampio citoplasma esosinofilo e risultano immunofenotipicamente positivi per la proteina S100 e per il cluster di differenziazione CD1a. Le caratteristiche microscopiche e immunofenotipiche sono tipiche delle cellule di Langherans. Quale è la diagnosi? Autore di contatto: M. B. Damasio, Divisione di Radiologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 51 DAMASIO UNA LESIONE OSTEOLITICA DIAFISARIA Figura 1. — A) Radiografia anteroposteriore del femore destro: presenza di area osteolitica priva di orletto sclerotico a sviluppo centrale, con scalloping del profilo endostale sul versante laterale. Si associa reazione periostale fusiforme di tipo continuo; B) RM sequenza TSE T1 pesata (TSE, TR, TE): immagine coronale del femore destro. Presenza di una lesione ipointensa a sviluppo diafisario associata a ispessimento periostale fusiforme e a estesa sfumata alterazione di segnale della spongiosa adiacente; C) RM sequenza GRE 3D con saturazione del grasso (GRE, TR, TE, FA) dopo somministrazione di gadolinio: immagine coronale del femore destro. La nota lesione femorale diafisaria presenta spiccato CE, si associa spiccato CE della spongiosa adiacente. Reazione periostale con CE dei tessuti molli adiacenti. Figura 2. — A) e&e 2,5x: sezioni istologiche di biopsia ossea evidenziante una destrutturazione e sostituzione da parte di un processo infiltrativi; B) e&e 20x: proliferazione polimorfa di elementi ad habitus istiocitario commisti a variabile numero di granulociti eosinofili, neutrofili,linfociti e plasmacellule; qualche sparsa cellula gigante multi enucleata; C) e&e 40x particolare della proliferazione degli elementi istiocitari, si noti la ricca componente di granulociti eosinofili. Gli istiociti presentano nuclei indentati o lobulati con ampio citoplasma eosinofilo; D) IH pS100 40x:Gli elementi istiocitari presentano forte positività citoplasmatica per la proteina S100; E) IHCD1a 40 x: gli elementi istiocitari presentano forte positività citoplasmatica per il cluster di differenziazione CD1a. 52 Figura 3. — Istiocitosi a cellule di Langherans: sedi scheletriche frequentemente coinvolte, età di incidenza e rapporto F:M. È stata cerchiata la sede femorale, oggetto del caso clinico in studio. Tratta da Greenspan A et al.1 GASLINI Aprile 2009 UNA LESIONE OSTEOLITICA DIAFISARIA DAMASIO Granuloma eosinofilo Il granuloma eosinofilo (GE) rientra in una più ampia famiglia di patologie (anche nominate o istiocitosi a cellule di Langherans [LCH] o istiocitosi X) a eziologia e fisiopatologia ancora non definite, il cui comune denominatore è la cellula di Langherans (cellula mononucleare di tipo dendritico di derivazione midollare con peculiari caratteristiche ultrastrutturali [granuli di Birbeck] e immunoistochimiche [positività per pS100 e CD1a]). Con il termine di granuloma eosinofilo ci si riferisce a una forma di LCH monostotica di tipo benigno, considerata un disordine dell’immunoregolazione più che un processo neoplastico. La LCH colpisce prevalentemente bambini tra 5-10 anni con lieve prevalenza maschile (Figura 3) 1, 2. La clinica prevede dolore, dolorabilità alla palpazione e tumefazione dei tessuti molli nella sede della lesione scheletrica. Dal punto di vista radiologico la lesione, a livello della diafisi delle ossa lunghe, si presenta come lesione distruttiva osteolitica a margini più o meno definiti, con associata reazione periostale di tipo lamellare. Tali caratteristiche possono mimare quelle di un tumore maligno quale sarcoma di Ewing e linfoma. L’aspetto radiologico della lesione può essere variabile nel tempo a seconda della fase evolutiva con prevalenza di sclerosi e con una reazione periostale più regolare negli stadi tardivi. Anche l’aspetto in RM della lesione, che solitamente prevede un’estesa alterazione di segnale con contrast enhancement della spongiosa e dei tessuti molli adiacenti, può simulare quello di una lesione aggressiva come il sarcoma di Ewing e l’osteomielite. La diagnosi è quindi istologica. Epicrisi del caso Il GE (forma monostotica di LCH) nelle ossa lunghe si presenta solitamente come lesione osteolitica con reazione periostale di tipo lamellare. La diagnosi differenziale a tale livello deve essere fatta con: — sarcoma di Ewing/linfoma; — osteomielite. Dati clinici e di imaging, anche se in molti casi suggestivi spesso non sono specifici né conclusivi ed è quindi sempre necessario completamento diagnostico istologico. La nostra piccola paziente è attualmente in terapia con eritromicina 600 mg/die. Bibliografia 1. 2. Greenspan A. Differential diagnosis in orthopaedic oncology. 2nd ed. Philadelphia, PA: Lippincott Williams &Wilkins; 2007. Mirra JM, Gold RH. Eosinophilic granuloma. In: Mirra JM, Gold RH, Picc P, editors. Bone tumors: clinical radiologic and pathologic correlations. Philadelphia, PA: Lea &Febiger; 1989. Vol. 41 - N. 1 GASLINI 53 CORSI, SEMINARI, CONVEGNI GASLINI 2009;41:55-6 Il bambino maltrattato: dal dire al fare 28/03/2009 Villa Quartara - Badia della Castagna – Genova Incontro sul maltrattamento minorile dedicato a Medici Specializzandi in Pediatria, Pediatri e Personale infermieristico, organizzato dall’Osservatorio Nazionale degli specializzandi di Pediatria e dal DEA dell’Istituto Gaslini. L'abuso all'infanzia è un problema globale, largamente sottostimato, che coinvolge la salute psichica e fisica del bambino e della famiglia nel suo complesso. L’esigenza di affrontare questo tema, spesso trascurato nei programmi formativi delle scuole di specializzazione, è stato più volte sottolineato dai giovani pediatri. Va sempre tenuto presente che oggetto delle nostre cure e attenzioni è il bambino, ma anche che il bambino è inserito in una famiglia nella quale è cresciuto e in cui ha tutti i suoi legami affettivi più forti. Essere pronti a riconoscere ed affrontare queste vere e proprie emergenze pediatriche è di fondamentale importanza per poter essere di aiuto al bambino e alla sua famiglia che si trovano in una situazione di crisi. sonale infermieristico e sull’importanza della formazione periodica. Con l’aiuto degli specializzandi esamineremo quindi alcuni casi clinici esemplificativi e verranno trattate alcune fra le tipologie di maltrattamento che più di frequente si possono presentare in ambito sanitario. Nel pomeriggio si svolgeranno due sessioni parallele, una dedicata ai medici specializzandi e ai giovani pediatri in cui verrà posto un cenno alle patologie che più frequentemente entrano in diagnosi differenziale con l’abuso fisico, verrà presentata a titolo esemplificativo una procedura aziendale di comportamento approvata in ospedale di terzo livello e si presenteranno alcuni ausili diagnostici utili nella pratica clinica. L’altra sessione è dedicata a chi opera già nel settore sanitario, in cui verranno presentate le esperienze realtà operanti in particolare in Liguria, esaminando il percorso che il bambino maltrattato segue dalla segnalazione alla presa in carico sul territorio. Verrà presentata infine l’esperienza di un centro specialistico di secondo livello dedicato all’abuso minorile attivo in Emilia Romagna. Eventi organizzati dalla Scuola Internazionale di Scienze Pediatriche (per maggiori informazioni consultare il sito www.sispge.com) Svolgimento del corso. L’incontro, introdotto dal professor Roberto Burgio, vuole essere un momento di confronto pratico tra chi opera in campo pediatrico e le diverse figure professionali coinvolte nei casi di abuso all’infanzia. Largo spazio sarà lasciato alla discussione e alla presentazione di esperienze maturate in molteplici realtà nazionali, con il coinvolgimento diretto degli specializzandi. Nel corso della giornata verranno inizialmente presi in esame gli aspetti emotivi che possono coinvolgere chi si trova di fronte ad un bambino maltrattato e pochi elementi giuridici essenziali che riguardano il personale sanitario. Con un taglio prettamente clinico, si cercherà di far emergere gli elementi anamnestici e clinici che possono rappresentare una spia di maltrattamento, si porrà l’accento sul ruolo del per- Vol. 41 - N. 1 Corsi GASLINI 08/04/2009 Gestione delle problematiche infettive in Dermatologia Pediatrica: problema di grande attualità 24/04/2009 FOCIS - Meeting dei Centri di Eccellenza Europea 09/05/2009 Il controllo del dolore perioperatorio in un ospedale pediatrico 22/05/2009 Role of the hypoxic microenvironment in malignant tumor progression and in the pathogenesis of inflammatory diseases 28/05/2009 5th International Course on Genetics and Renal Diseases 55 CORSI, SEMINARI, CONVEGNI 04/06/2009 The 2nd training course for paediatricians and paediatric nurses on HSCT in children and adolescents pletamente la partecipazione di più di 200 giovani ricercatori provenienti dagli Stati appartenenti all’Unione Europea. Per informazioni: http://www.tripr.sispge.com. Convegni 06/05/2009 The Innate Immunity and the Pathogenesis of Paediatric Rheumatic Diseases 14/05/2009 Annual Meeting of the SIOP Brain Tumour Sub-Committe Isituto Giannina Gaslini Piano di formazione aziendale Aula Magna, Istituto Giannina Gaslini Ore 16.30 - 18.30 Translational Research in Paediatric Rheumatology TRiPR: una serie di conferenze finanziata dal programma formativo comunitario “Marie Curie conferences and training courses” e organizzata dall’Istituto Gaslini dal 2008 al 2010. Coordinato dal Professor Alberto Martini, direttore della Pediatria II e Reumatologia, le quattro conferenze mirano a fornire a giovani ricercatori e medici europei l’approfondimento ed il perfezionamento delle conoscenze scientifiche necessari per lo sviluppo di innovative metodologie di ricerca e nuovi approcci terapeutici per la cura delle principali patologie reumatiche. Lanciata nel 2008 con l’evento Anticipating Changes in Drug Development for Children: Building on Paedriatic Rheumatology (29 maggio - 1 giugno, 2008), la serie di conferenze TRiPR proseguirà con Innate Immunity and the Pathogenesis of Rheumatic Disease (6-8 maggio, 2009), Adaptive Immunity and the Pathogenesis of Rheumatic Disease (24-27 settembre, 2009) e The Pathways to Drug Discovery in Monogenic Inflammatory Disorders (giugno 2010). Grazie al generoso contributo dell’Unione Europea, gli organizzatori sono in grado di sovvenzionare com- 26 marzo 2009: — Trombosi: diagnostica differenziale ed approccio terapeutico (Coordinatore C. Molinari) — Guida ragionata agli esami di laboratorio (Coordinatore G. Melioli) 5 maggio 2009: — Il trauma cranico: definizione dei percorsi (Coordinatore A. Rossi); — Infezioni vie urinarie: dalla diagnosi prenatale alla terapia (Coordinatore G. Ghiggeri) 30 giugno 2009: — La Gestione dei corpi estranei delle vie aeree e vie digestive (Coordinatore V. Tarantino) — Inquadramento diagnostico delle anemie (Coordinatore C. Dufour) 7 ottobre 2009: — Approccio terapeutico alle bronchioliti (Coordinatore G. Rossi) — Problematiche dermatologiche di più frequente riscontro (Coordinatore C. Occella) 1 dicembre 2009: — Diagnosi e terapia delle convulsioni (Coordinatore E. Veneselli) — Lo stroke (Coordinatore P. Di Pietro) ERRATA CORRIGE: Nell’articolo dal titolo “La prevenzione degli eventi traumatici accidentali del minore in ospedale” pubblicato nella rivista n. 2/2008 si segnalano le seguenti correzioni alle note: Nota *Lo studio retrospettivo è stato condotto da F. Esibiti, Coordinatrice Infermieristica U.O. Ortopedia e A. M. Urbano, Dipartimento dei Servizi assistenziali. Nota **Lo studio prospettico è stato condotto da S. Calza, Coordinatrice Infermieristica U.O. T.M.O. e R. Da Rin Della Mora, Coordinatrice Infermieristica U.O. C.N.R. 56 GASLINI Aprile 2009