rivista di pediatria e specialità pediatriche

GASLINI
RIVISTA DI PEDIATRIA E SPECIALITÀ PEDIATRICHE
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GASLINI
RIVISTA DI PEDIATRIA E SPECIALITÀ PEDIATRICHE
Vol. 41
Aprile 2009
N. 1
INDICE
1
35
RICERCA CLINICA APPLICATA
CASO CLINICO
La genomica funzionale ha portato all’identificazione
della proteina-canale TMEM16A: nuove opportunità
per la fibrosi cistica e altre patologie
Un caso di ematuria e proteinuria
Caputo A., Caci E., Ferrera L., Pedemonte N., Sondo E.,
Pfeffer U., Ravazzolo R., Zegarra-Moran O., Galietta L. J. V.
Barbano G.
39
DIAGNOSTICA
I test allergici di terzo livello
5
Un approccio evidence-based alla diagnostica molecolare delle febbri periodiche ereditarie
Gattorno M., Federici S., Caroli F., Caorsi R., Pelagatti M. A.,
Solari N., Baldi M., Ceccherini I., Martini A.
Melioli G.
43
Acne volgare: le 10 domande più frequenti
Montinari M., Viglizzo G., Occella C.
13
FORUM:
ASPETTI CLINICI DEL BAMBINO IMMUNODEPRESSO
Diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze
primitive
Melioli G., Pistoia V.
49
QUIZ DERMATOLOGICO
Una sindrome “indimenticabile”
Montinari M., Viglizzo G., Nemelka O., Bleidl D., Occella C.
51
QUIZ RADIOLOGICO
Una lesione osteolitica diafisaria
19
Damasio M. B., Gambini C.
Castagnola E., Sala I., Mularoni A., Moroni C.
55
Le infezioni nel bambino immunocompromesso
CORSI, SEMINARI, CONVEGNI
27
Patologia polmonare nel bambino emato-oncologico
sottoposto a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE)
Panigada S., Gardella C., Ullmann N., Faraci M., Castagnola
E., Fioredda F., Sacco O.
Vol. 41 - N. 1
Il bambino maltrattato: dal dire al fare
Eventi organizzati dalla Scuola Internazionale di
Scienze Pediatriche
Translational Research in Paediatric RheumatologyTRiPR
Piano di formazione aziendale
GASLINI
III
RICERCA CLINICA APPLICATA
GASLINI 2009;41:1-4
La genomica funzionale ha portato all’identificazione
della proteina-canale
TMEM16A: nuove opportunità per la fibrosi cistica
e altre patologie
A. CAPUTO 1, E. CACI 1, L. FERRERA 1, N. PEDEMONTE 1, E. SONDO 1, U. PFEFFER 2
R. RAVAZZOLO 1, O. ZEGARRA-MORAN 1, L. J. V. GALIETTA 1
1Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto Giannina Gaslini, Genova
2S. S. Genomica Funzionale, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova
N
el periodo 2001-2003 è stato raggiunto un obiettivo impensabile fino a pochi anni prima: il
sequenziamento di tutto il genoma umano. In poco
tempo, l’enorme mole di informazioni relativa alla
sequenza di basi nucleotidiche, che costituiscono il
DNA in ogni nucleo di una cellula veniva resa disponibile a tutti i ricercatori con un semplice clic di un
mouse. Quasi da un momento all’altro, progetti di
ricerca che in precedenza avrebbero richiesto mesi
o anni di lavoro, ad esempio la sequenza di un gene,
la sua struttura in esoni e introni, la sua posizione su
un determinato cromosoma, potevano essere sostituiti da una semplice sessione al computer in cui le
stesse informazioni erano ottenute attraverso Internet
da banche dati pubbliche.
Il sequenziamento del genoma umano ha anche
permesso lo sviluppo di una serie di tecnologie e
strumenti molto utili per comprendere il ruolo di ciascun gene 1. In effetti, uno dei principali argomenti della ricerca biomedica attuale è lo studio della funzione dei diversi geni che compongono il genoma umano e il modo in cui questi interagiscono tra loro, la
cosiddetta genomica funzionale 2, 3.
A questo riguardo, uno strumento molto importante a disposizione dei ricercatori è rappresentato
dai cosiddetti “microarray” di DNA 1-3. I microarray
sono costituiti da lastrine su cui sono depositate in
maniera ordinata decine di migliaia di piccoli frammenti di DNA. In una delle applicazioni più frequenti, i microarray sono utilizzati per valutare l’espressione di migliaia di geni contemporaneamente. In
questo caso i microarray sono messi a contatto con
RNA, estratto da cellule in coltura, tessuti od organi,
e reso fluorescente mediante marcatura con opportune
molecole. Dopo la reazione di ibridazione, ogni molecola di RNA, corrispondente a un gene, lega il frammento complementare presente in una posizione ben
precisa del microarray. Il risultato viene letto con uno
strumento specifico chiamato scanner che misura l’intensità della luce emessa e quindi il livello di espressione di ciascun gene.
Un altro strumento molto importante è rappresentato dal silenziamento genico mediante siRNA (small
interfering RNA) 4. I siRNA sono corti frammenti di
RNA a doppio filamento che possono essere sintetizzati in maniera da essere complementari ad un determinato gene bersaglio. Una volta introdotto in una
cellula mediante transfezione, un siRNA va ad appaiarsi all’RNA messaggero complementare determinandone la degradazione. La tecnica di silenziamento
mediante siRNA permette quindi di ottenere lo spegnimento selettivo di un gene in mezzo a migliaia di
altri geni espressi in una cellula.
L’analisi dell’espressione genica con microarray e il
silenziamento mediante siRNA sono stati alla base di
uno studio da noi recentemente pubblicato sull’identificazione di TMEM16A quale proteina costitutiva dei canali del cloruro attivati da calcio 5.
Canali del cloruro
Ogni cellula possiede nella propria membrana plasmatica una serie di proteine che hanno la funzione
Autore di contatto: Luis J. V. Galietta, Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
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1
CAPUTO
GENOMICA FUNZIONALE
di canali ionici. Tra queste ci sono i canali del cloruro (o canali anionici) che assicurano il trasporto di
cloruro e di altri piccoli anioni quali il bicarbonato, il
tiocianato e lo ioduro 6. Esistono diversi tipi di canali del cloruro che si distinguono per struttura, per le
proprietà biofisiche e farmacologiche e per il meccanismo di regolazione. Uno dei primi canali del cloruro
ad essere stato identificato è CFTR, la proteina mutata nei pazienti con fibrosi cistica (FC) 7. Infatti, la
fibrosi cistica è causata da un difetto di trasporto di
elettroliti e di acqua a livello di diversi organi tra i
quali i polmoni, il pancreas, il fegato, le ghiandole
sudoripare e l’apparato riproduttivo maschile. Il deficit di secrezione nei pazienti FC provoca la disidratazione della superficie di molti epiteli. Nelle vie aere
questo problema causa l’arresto della funzione mucociliare creando un ambiente favorevole per la colonizzazione da parte di batteri.
Il gene CFTR fu identificato nel 1989 mediante la
strategia di “positional cloning” 7. La scoperta del gene
mutato nella FC ha permesso ai ricercatori di studiare la funzione della proteina corrispondente. Infatti,
diversi studi hanno dimostrato che la proteina CFTR
è un canale del cloruro regolato dai livelli intracellulari di cAMP. Negli ultimi anni è stato possibile anche
comprendere il meccanismo con il quale le mutazioni che colpiscono i pazienti FC provocano la perdita
di funzione della proteina CFTR. Queste informazioni sono state utilizzate per la ricerca di farmaci in grado di ripristinare la funzione della proteina mutata 6.
Oltre a CFTR, esistono altri tipi di canali anionici, tra
i quali i canali del cloruro attivati da calcio (CaCC).
Questo tipo di canali ionici è stato descritto per più di
venti anni in diversi studi effettuati su cellule epiteliali,
muscolari, endoteliali e neuronali 8. Tecniche elettrofisiologiche quali il patch-clamp hanno rivelato la presenza, in tutte queste cellule, di canali anionici accomunati dal fatto di essere regolati dal potenziale di
membrana e dal calcio intracellulare. Seppure noti
dal punto di vista funzionale, i canali CaCC sono rimasti sconosciuti dal punto di vista molecolare per molti anni. In effetti, l’identificazione delle proteine che
costituiscono i canali CaCC è stato un filone di ricerca piuttosto controverso costellato da studi con risultati contrastanti 9.
L’interesse verso i canali CaCC ha diverse motivazioni. Nelle cellule epiteliali la secrezione di cloruro
dipendente dal calcio rappresenta una via alternativa
al trasporto di cloruro mediato da CFTR. Quindi, nei
2
pazienti FC la stimolazione dei CaCC con opportuni
farmaci potrebbe essere una strategia per aggirare
l’ostacolo rappresentato dalla proteina CFTR mutata.
Questi stessi farmaci potrebbero essere utili anche in
pazienti con altre patologie dell’apparato respiratorio
quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva. I canali CaCC sono anche espressi nelle cellule muscolari
lisce dove il trasporto di cloruro attivato da calcio è
parte essenziale del meccanismo di accoppiamento tra
eccitazione e contrazione. Pertanto, l’inibizione farmacologica di CaCC potrebbe essere utile per il trattamento dell’ipertensione.
Identificazione di TMEM16A
Il nostro gruppo di ricerca è coinvolto già da molti anni nello studio del trasporto di cloruro nelle cellule epiteliali e delle proteine-canale corrispondenti.
Da un lato siamo interessati alla scoperta di molecole con attività farmacologica sulla proteina CFTR nativa e mutata. Dall’altro cerchiamo di scoprire i meccanismi con i quali le cellule regolano il trasporto di
anioni. Nel 2002 avevamo effettuato un’osservazione interessante che riguardava l’effetto dell’interleuchina-4 (IL-4) sulle cellule epiteliali bronchiali in coltura 10. In pratica avevamo scoperto che il trattamento per 24 ore delle cellule bronchiali con IL-4 provocava un aumento della secrezione di cloruro mediata dai canali CaCC. Diverse evidenze indicavano che
l’effetto di IL-4 fosse causato da un aumento di espressione del gene o dei geni che codificano per i canali
CaCC. Abbiamo quindi deciso di sfruttare questo meccanismo per identificare le proteine che costituiscono
tali canali. A questo scopo abbiamo effettuato un’analisi globale dell’espressione genica mediante
microarray confrontando l’RNA estratto da cellule trattate con IL-4 con quello estratto da cellule non stimolate. L’obiettivo era l’identificazione di geni per
proteine di membrana a funzione sconosciuta la cui
espressione fosse aumentata da IL-4 (Figura 1).
L’analisi con microarray ha dimostrato che IL-4 ha
un impatto notevole sull’espressione genica nelle cellule bronchiali. Infatti, l’espressione di centinaia di
geni risultava aumentata anche di decine o centinaia
di volte. Abbiamo ipotizzato che tra questi geni potesse trovarsi il gene corrispondente ai canali CaCC. Il
lavoro successivo è stato facilitato da programmi
disponibili su internet che calcolano la probabilità
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Aprile 2009
GENOMICA FUNZIONALE
CAPUTO
Microarray
Cellule epiteliali
bronchiali
Estrazione di RNA
(+/- IL-4)
UTP
Controllo
20
µA
siRNA
Anti-TMEM 16A
Linee cellulari
Silenziamento
genico con siRNA
Proteine di membrana
a funzione scinosciuta
indotte da IL-4
Figura 1. — Strategia per l’identificazione della proteina-canale
TMEM16A. Cellule bronchiali polarizzate sono state stimolate per 24
ore con IL-4 (10 ng/ml) oppure con terreno di coltura di controllo.
Dopo il trattamento, l’RNA è stato estratto dalle cellule, reso fluorescente per marcatura e ibridato su microarray Affymetrix contenenti
57.000 sonde. L’espressione di ciascun gene è proporzionale all’intensità della luce emessa in corrispondenza di ciascuna sonda. I geni
stimolati da IL-4 e codificanti per proteine di membrana a funzione
sconosciuta sono stati ulteriormente valutati mediante silenziamento
genico. A questo scopo, cellule con attività endogena di canali del
cloruro attivati da calcio sono state transfettate con “small interfering
RNA” (siRNA). Le cellule sono state poi stimolate con UTP, un agonista che attiva i canali del cloruro attraverso un aumento intracellulare di calcio. Solo i siRNA contro la proteina TMEM16A hanno determinato una significativa riduzione delle correnti di cloruro indotte
da UTP.
che una determinata proteina sia in effetti localizzata nelle membrane cellulari. Questo tipo di analisi ha
ristretto a sei il numero di geni interessanti, cioè geni
che codificano per proteine di membrana a funzione
sconosciuta (TMEM16A, TMTC3, TSPAN8, CDH26,
KIAA1126, SIDT1).
La fase successiva del progetto doveva servire per
capire se tra le proteine sopra citate ci fosse quella che
costituisce i canali CaCC. Per questo obiettivo abbiamo adoperato il silenziamento genico con siRNA,
effettuato su cellule epiteliali che hanno attività endogena di tali canali. L’ipotesi di lavoro era che il silenziamento di uno dei geni rivelati dai microarray avrebbe dovuto portare alla scomparsa dei canali CaCC.
Abbiamo quindi introdotto per transfezione, in cellule CFBE41o- (bronchiali) e cellule CFPAC-1 (pancreatiche), molecole di siRNA silenzianti. Il risultato è
stato che i canali CaCC scomparivano solo quando
veniva silenziata la proteina TMEM16A. Questo risultato, confermato più volte anche su cellule epiteliali
Vol. 41 - N. 1
bronchiali in coltura primaria, ha indicato TMEM16A
come un possibile canale del cloruro.
Per confermare questa conclusione abbiamo indotto l’espressione di TMEM16A in cellule che normalmente non hanno attività di canali CaCC. In questo
caso l’ipotesi era che l’espressione (eterologa) di
TMEM16A dovesse causare la comparsa di canali del
cloruro. Abbiamo quindi transfettato cellule HEK-293,
COS-7 e FRT con plasmidi contenenti la sequenza
codificante del gene TMEM16A. Il risultato di questi
esperimenti, effettuati con tre saggi funzionali diversi (fluorimetria, camera di Ussing, patch-clamp), è
stato sempre lo stesso: l’espressione di TMEM16A provocava la comparsa di flussi e correnti di cloruro regolate da calcio. In particolare, la tecnica del patchclamp rivelava che i canali del cloruro associati ad
espressione di TMEM16A avevano le caratteristiche
biofisiche e farmacologiche tipiche dei canali CaCC.
In conclusione, i nostri studi hanno dimostrato che
i canali CaCC, a lungo studiati per diversi anni, sono
costituiti dalla proteina TMEM16A 5. I nostri risultati
sono stati confermati da altri due gruppi di ricerca
che sono arrivati alla stessa conclusione attraverso
strategie diverse 11, 12.
Prospettive
La proteina TMEM16A fa parte di una famiglia composta da altri nove membri (da TMEM16B a
TMEM16K). Rimane ora da verificare se anche le altre
proteine TMEM16 siano dei canali anionici. Questo
interrogativo è particolarmente interessante perchè
rimangono dei tipi di canali del cloruro ancora da
scoprire. In particolare TMEM16C è una proteina
espressa principalmente nel sistema nervoso centrale dove potrebbe rappresentare un canale del cloruro di particolari tipi di neuroni. TMEM16F, TMEM16H
e TMEM16K hanno invece un’espressione ubiquitaria
e potrebbero quindi funzionare da canali ionici con
una funzione essenziale per la vita e il funzionamento delle cellule.
L’identificazione della proteina TMEM16A permette l’avvio di una serie di filoni di ricerca rivolti alla comprensione del suo ruolo fisiologico e all’identificazione di modulatori farmacologici. In particolare rimane da capire se i canali CaCC, che ora possiamo chiamare TMEM16A, abbiano un ruolo nel determinare la
gravità della malattia polmonare nei pazienti FC. Infatti,
GASLINI
3
CAPUTO
GENOMICA FUNZIONALE
si può ipotizzare che una maggiore attività di
TMEM16A in pazienti FC, dovuta a fattori genetici,
possa compensare il deficit di trasporto di cloruro e
quindi rendere il fenotipo meno grave.
In conclusione, la strategia che è stata seguita per
identificare la proteina TMEM16A dimostra le poten-
zialità della genomica funzionale. L’applicazione dei
nuovi strumenti e informazioni a disposizione dei
ricercatori, sviluppati soprattutto dopo il sequenziamento del genoma umano, saranno sempre più utili
per comprendere il ruolo fisiologico di geni a funzione sconosciuta.
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GASLINI
Aprile 2009
GASLINI 2009;41:5-11
Un approccio evidence-based
alla diagnostica molecolare delle febbri periodiche ereditarie
M. GATTORNO 1, S. FEDERICI 1, F. CAROLI 2, R. CAORSI 2, M. A. PELAGATTI 2,
N. SOLARI 2, M. BALDI 3, I. CECCHERINI 2, A. MARTINI 1
1Unità Operativa di Pediatria II (Unità di Reumatologia), Istituto G. Gaslini, Genova
e Dipartimento di Pediatra Università di Genova, Genova
2Laboratorio di Genetica Molecolare, Istituto G. Gaslini, Genova
3Laboratorio di Genetica, Ospedale Galliera, Genova
L
e malattie autoinfiammatorie sono un gruppo di
malattie ereditarie, ad esordio generalmente precoce, causate da mutazioni di geni coinvolti nella
regolazione della risposta infiammatoria, identificate
con il termine di malattie autoinfiammatorie (Tabella
I) 1. Alcune di queste malattie assumono un andamento periodico o ricorrente (Febbri periodiche),
caratterizzato da accessi febbrili spesso accompagnati
da sintomatologia muco-cutanea, gastrointestinale e
articolare. Si tratta della Febbre Familiare Mediterranea,
la sindrome TRAPS e la sindrome da difetto incompleto di mevalonato-chinasi (già nota come Sindrome
da IperIgD).
In un secondo insieme di patologie l’infiammazione sistemica è dominata da un caratteristico rash urticarioide, che si accompagna a varie altre manifestazioni cliniche (Tabella I). A questo gruppo appartengono la sindrome autoinfiammatoria familiare da freddo, la sindrome di Muckle-Wells e la sindrome cronica infantile neurologica, cutanea e articolare (CINCA) 2, 3. Queste tre malattie rappresentano in realtà un
ampio spettro fenotipico legato a differenti mutazioni di un unico gene, denominato cold-induced autoinfammatory syndrome 1 (CIAS-1) che appartiene alla
famiglia dei recettori intracellulari NALP (ed è pertanto denominato anche NALP3) 4. Recentemente è
stata individuata anche una sindrome infiammatoria
associata all’esposizione al freddo anche in alcuni
soggetti portatori di mutazioni di un altro membro
della famiglia NALP, il gene NALP12 5.
Altre condizioni sono connotate dalla formazione di
tipiche lesioni granulomatose (malattie granulomato-
se). Nella sindrome di Blau (o granulomatosi giovanile
sistemica familiare) i granulomi si localizzano a livello della cute, delle articolazioni o dell’uvea oculare (da
cui deriva, rispettivamente, la triade clinica di dermatite, artrite e uveite). Queste malattie sono associate
a mutazioni del dominio NACHT del gene CARD15 (o
NOD2) 6, 7.
L’elemento distintivo dell’ultimo gruppo di patologie, assai rare, è rappresentato dallo sviluppo di ascessi piogenici sterili prevalentemente a carico della cute,
delle articolazioni e delle ossa (malattie piogeniche).
Di questo gruppo fanno parte la sindrome artrite sterile piogenica, pioderma gangrenoso e acne (PAPA),
legata a mutazioni del gene per la proteina 1 legante
il CD-2 (CD2BP1, denominato anche PSTPIP1) 8, e la
sindrome di Majeed, causata da mutazioni del gene
LPIN2, nella quale si osservano osteomielite cronica
multifocale ricorrente associata ad anemia congenita
diseritropoietica e dermatosi neutrofilica 9.
Caratteristiche cliniche delle febbri periodiche
I pazienti con FP presentano episodi febbrili ricorrenti associati ad un vario corteo sintomatologico
(rash cutaneo, dolori toracici e addominali, artro-mialgie ecc.). L’esordio degli accessi febbrili avviene in
pieno benessere, senza alcun prodromo infettivo e
può essere spesso associato a brivido. La durata degli
episodi è variabile a secondo della malattia. Gli episodi sono intervallati da periodi di completo benes-
Autore di contatto: M. Gattorno, Unità Operativa di Pediatria II, Unità di Reumatologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
E-mail: [email protected]
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
5
GATTORNO
FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED
TABELLA I. — Basi genetiche e caratteristiche cliniche delle sindromi autoinfiammatorie ereditarie.
Malattia
Febbri periodiche
Febbre familiare mediterranea
Sindrome da Iper IgD
TRAPS
Gene
Ereditarietà
Caratteristiche cliniche
MEVF
AR
Breve durata degli episodi febbrili associati a dolori addominali e toracici
Rash simil-erisipela al dorso del piede, artrite
Risposta alla Colchicina
MVK
AR
Esordio precoce
Durata episodi febbrile di 3-5 giorni
Rash cutaneo e interessamento addominale
TNFRSF1A
AD
Lunga durata degli episodi febbrili (>10 giorni)
Edema periorbitale, mialgie, dolore scrotale
AD
Orticaria e febbre scatenata dall’esposizione al
freddo
Sindromi associate alla famiglia NALP
FCAS
S. di Muckle-Wells
NALP3 (CIAS1)
Orticaria cronica, sordità neurosensoriale, amiloidosi
CINCA
Sindrome periodica associata a NALP12
Malattie piogeniche
PAPA
S. di Majeed
Malattie granulomatose
Sindrome di Blau
Come sopra e displasie ossee, ritardo intellettivo,
meningite cronica
NALP12
AD
Lesioni orticarioidi, artro-mialgie e febbre
scatenati dall’ esposizione al freddo, sordità neurosensoriale
CD2BP1(PSTPIP1)
AD
Episodi ricorrenti di artrite asettica responsiva a
FANS/steroide, pioderma gangrenoso, acne
LPIN2
AR
Osteomielite cronica multifocale ricorrente associata
ad anemia congenita diseritropoietica e dermatosi neutrofilica
CARD15 (NOD2)
AD
Artrite poliarticolare granulomatosa ad esordio precoce Rash cutaneo, panuveite
TRAPS: tumor necrosis factor (TNF) receptor-associated periodic syndrome; TNFRI: recettore per TNF tipo I; FCAS: familial cold autoinflammatory syndrome;
CINCA: chronic infantile neurological cutaneous articular syndrome; PFAPA: periodic fever, aphthous stomatitis, pharingitis, adenitis; PAPA: pyogenic sterile arthritis, pyoderma gangrenosum, acne.
sere, durante i quali il paziente può svolgere senza
problemi le normali attività quotidiane con un normale
accrescimento.
La febbre mediterranea familiare (FMF, OMIM
249100) è trasmessa con una modalità autosomica
recessiva. Il gene responsabile (MEFV) è stato identificato nel 1997 e codifica per una proteina (denominata pirina o marenostrina) che è coinvolta nella risposta infiammatoria e nel controllo dell’apoptosi cellulare 10. In più del 75% dei casi la malattia si manifesta
entro i 10 anni di vita. Gli episodi febbrili hanno breve durata (1-3 giorni) e sono molto spesso accompagnati da dolore addominale intenso (peritonite asettica). Frequente è anche la presenza di artralgia o
6
artrite assai spesso monoarticolare e localizzata a una
delle grandi articolazioni degli arti inferiori. La FMF è
particolarmente frequente negli ebrei non-ashkenazi,
arabi, turchi e armeni (con indice di carrier che può
arrivare a 1 su 3 individui nella popolazione armena).
Nelle popolazioni caucasiche la sua frequenza è decisamente inferiore.
Il deficit parziale di mevalonato-chinasi con febbre periodica (o sindrome da Iper IgD) (OMIM
260960) è trasmessa con una modalità autosomica
recessiva ed è determinata da una alterazione del
gene della mevalonato-kinasi (MVK) (enzima chiave nella via metabolica di sintesi del colesterolo e
degli isoprenoidi) con deficit enzimatico parziale
GASLINI
Aprile 2009
FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED
GATTORNO
11.
La malattia si manifesta assai spesso nel primo
anno di vita e comunque prima dei 10 anni di età.
Gli accessi febbrili hanno esordio improvviso, sono
preceduti da brividi e durano circa 3-6 giorni. Una
sintomatologia gastroenterica è molto comune e si
caratterizza per la presenza di dolore addominale,
diarrea e/o vomito. La comparsa di linfoadenomegalia, specie laterocervicale, è un altro sintomo di frequente osservazione. Le manifestazioni mucocutanee sono molto comuni e comprendono macule eritematose, lesioni simil-orticarioidi e, più raramente,
aftosi orale. Un interessamento articolare sotto forma di artralgie o di artrite oligoarticolare, asimmetrica, è piuttosto comune 12. È opportuno sottolineare che gli elevati livelli circolanti di IgD, sebbene suggestivi, non sono patognomonici, in quanto
un incremento delle IgD può non essere osservato,
specie sotto i due anni di vita, o può essere osservato sebbene più raramente in pazienti con altre
forme di febbre ricorrente.
La Tumor Necrosis Factor (TNF)-Receptor Associated
Periodic Fever Syndrome (TRAPS, OMIM 142680) è
una malattia a trasmissione autosomica dominante
causata da mutazioni nel gene codificante il recettore di tipo I del TNF (TNFRSF1A) 13. Questa affezione,
descritta nel 1982 in una famiglia irlandese e quindi già
nota come “Hibernian fever”, si caratterizza clinicamente per la presenza di accessi febbrili di durata
variabile da un giorno a parecchie settimane e che
ricorrono con frequenza anch’essa variabile, in genere 2-4 volte all’anno. Altri sintomi spesso associati alla
febbre comprendono dolore addominale, pleurite,
artrite o artromialgie, linfoadenomegalia. In alcuni
casi si osservano lesioni eritematose fisse, calde e
dolenti, con infiltrato sottocutaneo tali da assumere un
aspetto di simil-panniculitico.
Approccio diagnostico
alle febbri periodiche nell’infanzia
L’indagine molecolare rappresenta ovviamente un
elemento fondamentale per la diagnosi di queste
malattie. Tuttavia, in considerazione degli alti costi
connessi a tali indagini è necessario razionalizzarne
l’indicazione ai casi veramente meritevoli.
Per arrivare a ciò bisogna partire da alcune importanti considerazioni di fondo, che potremmo così riassumere:
Vol. 41 - N. 1
TABELLA II. — Principali cause di febbre periodica in età pediatrica.
Malattie infettive
— Infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie
— Infezioni delle vie urinarie
— Virali (EBV, Parvovirus B19, HSV 1 e 2)
— Batteriche (infezioni occulte, Borrelia, Brucella)
— Parassitarie (Malaria)
Difetti immunitari congeniti
— Immunodeficienze primitive
— Neutropenia ciclica
Malattie infiammatorie multifattoriali
— Malattia di Behcet
— Lupus eritematoso sistemico
— Malattia di Crohn
Malattie autoinfiammatorie ereditarie
— Febbre Familiare Mediterranea
— Deficit parziale di mevalonato-chinasi (Iper IgD)
— Sindrome TRAPS
— Sindrome di Muckle-Wells
Malattie neoplastiche
— Leucemia linfoblastica acuta
— Leucemia mieloide acuta
— Linfoma (Febbre di Pel Epstein)
Forme idiopatiche
— Sindrome PFAPA
1) la presenza di una febbre periodica o ricorrente
non è esclusiva di una forma su base ereditaria, ma
può caratterizzare anche una serie di patologie di
altra natura (Tabella II);
2) una volta escluse le altre cause di febbre periodica, bisogna considerare che solo una modesta percentuale dei pazienti con caratteristiche compatibili con una febbre periodica ereditaria risulta essere
positivo al test genetico (8-15% a seconda delle casistiche);
3) tale situazione è particolarmente vera in età
pediatrica nella quale esiste una forma di febbre periodica “idiopatica”, non legata cioè ad alcun difetto
genetico noto, denominata con il termine di sindrome
PFAPA (Periodic Fever, Aphthosis, Pharyngitis and
Adenitis) (Tabella III). Le caratteristiche degli accessi
febbrili di questa condizione, la cui eziologia e definizione nosografica è tuttora oggetto di un acceso
dibattito, sono del tutto sovrapponibili a quelli già
descritte per le forme periodiche ereditarie nel paragrafo precedente 14;
4) nell’ambito delle stesse FP ereditarie esiste un
ampio grado di sovrapposizione clinica che rende
difficile la scelta del test genetico da effettuare.
GASLINI
7
GATTORNO
FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED
TABELLA III. — Criteri diagnostici per la sindrome PFAPA.
1. Episodi febbrili ricorrenti con esordio prima dei 5 anni di età
2. Sintomi costituzionali, in assenza di infezioni delle alte vie respiratorie con almeno uno tra:
— Stomatite aftosa
— Linfadenite cervicale
— Faringite
TABELLA IV. — Variabili incluse nel calcolo dello score diagnostico (Vari), la codifica delle variabili che meglio discrimina
i soggetti geneticamente positive da quelli geneticamente
negative e relativi coefficenti (βi).
Vari
Età all’esordio
Dolore addominale
3. Esclusione della neutropenia ciclica mediante controlli seriati dei
globuli bianchi prima, durante e dopo i periodi sintomatici
4. Periodi asintomatici tra gli accessi febbrili
Aftosi
5. Normale crescita staturo-ponderale e normale sviluppo psico-fisico
Dolore toracico
Da Marshall et al. Pediatr Infect Dis J 1989;8:658.
Diarrea
Uno score diagnostico
per le febbri periodiche ereditarie
Familiarità
Fin dal 2002, il nostro Istituto ha avviato uno studio
multicentrico su base nazionale mirato alla caratterizzazione clinica e genetica dei pazienti pediatrici
affetti da una sospetta malattia autoinfiammatoria.
Nell’ambito di tale studio è stato offerta la possibilità
della diagnostica molecolare per i principali geni associati alle malattia autoinfiammatorie, in collaborazione con il Laboratorio di Genetica del Galliera (per il
gene MEFV). Nel corso di questi anni abbiamo ricevuto
informazioni cliniche relative alle manifestazioni associate agli episodi febbrili e alla loro frequenza, nonché il materiale biologico di oltre 900 pazienti con
sospetta malattia autoinfiammatoria.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte abbiamo pensato di prendere spunto da questa esperienza
unica per mettere a punto uno strumento evidencebased di facile utilizzo e basato esclusivamente su aspetti clinici che possa aiutare il pediatra ad orientarsi nel
percorso diagnostico di fronte ad un bambino con febbre periodica o ricorrente, tenendo conto di queste tre
fondamentali domande: quando sospettarla? Quando è
indicato il test genetico? Che gene analizzare ?
Lo studio 15 è stato condotto analizzando i dati clinici di un totale di 244 pazienti con sospetta febbre
periodica di cui sono analizzati tutti e tre i geni (MEFV,
MVK e TNFRSF1A). Per poter entrare nello studio i
pazienti dovevano presentare un febbre periodica o
ricorrente (>38 °C) di natura sconosciuta (esclusione
delle condizioni riportate nella Tabella II) con periodi intercritici liberi da sintomi clinici, incluso la normalità degli indici di flogosi 15.
8
Codifica
Mesi
Mai=0
Talvolta o spesso=2
Sempre=3
Mai=0
Talvolta o spesso=1
Sempre=2
Assente=0
Presente=1
Mai=0
Talvolta
Spesso=1
Sempre=2
Negative=0
Positive=1
βi
-0.067
1.494
-1.504
1.958
0.901
1.503
Score diagnostico
– (0,067 × età) + (1,494 × dol add) – (1,504 × aftosi) + (1,958 × dol torac)
+ (0,901 × diarrea) + (1,503 × familiarità)
Lo studio è stato condotto dividendo la casistica in
due sottogruppi. Un primo sottogruppo di 173 pazienti (Training set) è stato utilizzato per sviluppare l’ipotesi, ovvero per la creazione dello score diagnostico. In questo sottogruppo vi erano 18 pazienti con
IperIgD, 7 pazienti TRAPS e 12 pazienti con FMF
(pazienti geneticamente positivi) e 136 pazienti risultati negativi a tutti i test genetici effettuati (pazienti
geneticamente negativi). Tramite una analisi di regressione logistica univariata sono state identificate le
manifestazioni cliniche in grado di distinguere i soggetti geneticamente positivi da quelli geneticamente
negativi. Le variabili così ottenute, sono state inserite in un modello di analisi multivariata che ha permesso di individuare un insieme di 6 variabili indipendenti in grado di identificare i pazienti a più alto
rischio di essere portatori di una mutazione di uno dei
tre geni. Le sei variabili incluse nel modello multivariato erano le seguenti: età di esordio, storia familiare positiva, presenza di dolore addominale, dolore
toracico e diarrea nel corso dell’episodio, assenza di
stomatite aftosa 15.
È stato creato uno score diagnostico con una combinazione lineare di queste variabili, pesate ciascuna
con il coefficiente stimato dal modello logistico utilizzato (Tabella IV); lo score determina il grado di
probabilità per un determinato paziente di risultare
GASLINI
Aprile 2009
FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED
GATTORNO
Figura 1. — Flow-chart diagnostica per la Febbre periodica di sospetta natura autoinfiammatoria. Per il calcolo dello score diagnostico vai a
www.printo.it/periodicfever.
positivo al test genetico ed è consultabile al sito
www.printo.it/periodicfever 15.
La sensibilità e la specificità di questo score diagnostico sono state quindi verificate sul secondo sottogruppo di 71 pazienti (Validation set). Di questi,
31 erano geneticamente positivi (13 IperIgD, 6 TRAPS, 14 FMF) and 40 negativi. Utilizzando il 15% di
probabilità di risultare positivo al test genetico come
il valore soglia di discriminazione tra individui a basso e ad alto rischio, lo score permetteva di identificare
correttamente 27 su 31 pazienti geneticamente positivi (sensibilità 87%) e 28 su 40 soggetti geneticamente
negativi (specificità 72%) 15.
Ci siamo successivamente chiesti se, una volta identificato un paziente ad alto rischio di essere portatore di mutazioni per i geni associati a febbre periodi-
Vol. 41 - N. 1
ca, esistessero delle variabili cliniche in grado di orientare verso il test genetico da effettuare. Una analisi di
regressione a fasi multiple ha permesso di individuare le manifestazioni cliniche maggiormente correlate
alle diverse malattie nei pazienti con score diagnostico ad alto rischio geneticamente positivi. In particolare, la durata dell’episodio febbrile inferiore a 2 giorni è risultata significativamente associata alla FMF,
mentre una durata superiore ai 7 giorni si associava
alla TRAPS. La maggior parte dei pazienti geneticamente positivi che presentavano una durata degli episodi tra i 3 e i 6 giorni era affetto da IperIgD o FMF.
In questi pazienti, la presenza di vomito e il riscontro
di una splenomegalia al momento dell’accesso febbrile
sono risultati fortemente associati ad una sindrome
da IperIgD (Figura 1) 15.
GASLINI
9
GATTORNO
FEBBRI PERIODICHE EREDITARIE: APPROCCIO EVIDENCE-BASED
Una flow-chart diagnostica per la febbre
periodica in età pediatrica
Sulla base dei risultati sopra riportati abbiamo quindi proposto una flow-chart diagnostica che possa servire come strumento per l’indicazione al test genetico nei bambini con febbre periodica o ricorrente
(Figura 1), una volta escluse le altre possibili cause
elencate nella Tabella II.
Dal punto di vista pratico si suggerisce, per ogni
paziente per il quale si sospetta una febbre periodica,
di calcolare il risultato dello score (facilmente eseguibile al sito www.printo.it/periodicfever) in modo
di individuare il grado di rischio di essere portatore di
una mutazione dei geni noti. I pazienti ad alto rischio
dovrebbero essere sottoposti ad analisi genetica, orientandosi sul gene da studiare con la flow-chart riportata in Figura 1. Nei pazienti a basso rischio si consiglia invece di procrastinare la richiesta di tale
approfondimento diagnostico. In questo caso si propone di seguire il paziente longitudinalmente per
valutare l’eventuale comparsa di nuove manifestazioni cliniche o la tendenza alla risoluzione spontanea
degli episodi febbrile, come spesso si osserva nei
pazienti PFAPA geneticamente negativi.
Anche se la maggior parte dei pazienti pediatrici
portatori di mutazioni del gene NALP3 presenta un
andamento cronico, alcuni di essi possono avere un
andamento ricorrente (sindrome di Muckle- Wells),
rientrando di fatto nella diagnostica differenziale delle febbri periodiche. In questi pazienti, la presenza di
un rash simil-orticarioide, unitamente ad una temperatura solitamente inferiore ai 38 °C dovrebbe aiutare ad orientarsi facilmente verso questa patologia.
Il nostro studio è stato eseguito su una casistica
prevalentemente di origine italiana. Per tale motivo
non ha potuto analizzare l’influenza dell’etnia come
variabile discriminante. Questo dato è indubbiamente molto rilevante per la FMF che, come abbiamo
ricordato è particolarmente frequente nelle etnie turca, araba, armena ed ebraica. In questo caso il suggerimento è quello di iniziare lo screening genetico dal
gene MEFV in tutti i pazienti appartenenti alle etnie
sopra citate che presentano uno score diagnostico ad
alto rischio.
Sulla base di questa nostra esperienza riteniamo
che lo score diagnostico possa rappresentare uno
strumento molto utile per il Pediatra di base ed ospedaliero per la corretta impostazione dell’iter diagnostico nei bambini con febbre periodica. Da circa un
anno abbiamo iniziato ad utilizzare lo score come
strumento di screening per la decisione di sottoporre i pazienti con febbre periodica a test genetico, con
un indubitabile vantaggio dal punto di vista della
razionalizzazione del ricorso a tale procedura diagnostica. In questo momento è in corso la validazione di questo strumento in popolazioni diverse da
quella italiana.
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10
GASLINI
Aprile 2009
LATTANTE CON VOMITO RICORRENTE E ARRESTO DELL’ACCRESCIMENTO
PONGIGLIONE
12. D’Osualdo A, Picco P, Caroli F, Gattorno M, Giacchino R, Fortini P et al. MVK mutations and associated clinical features in Italian patients
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autoinflammatory syndromes with periodic fever in children. Arthritis Rheum 2008;58:1823-32.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
11
FORUM:
ASPETTI CLINICI DEL BAMBINO IMMUNODEPRESSO
GASLINI 2009;41:13-8
INTRODUZIONE AL FORUM
I
n questo numero apriamo una finestra su alcuni aspetti clinici del bambino affetto da immunodeficienza. L’argomento è di grande interesse e comprende patologie congenite e forme secondarie acquisite. Non era nostra intenzione proporre al lettore una revisione di un campo di tale ampiezza e con risvolti fisiopatologici, clinici, terapeutici e di ricerca estremamente interessanti, ma anche
talvolta complessi e non del tutto definiti. Tuttavia, poiché l’argomento è uno di quelli con cui il pediatria si ritrova a confrontarsi, abbiamo ritenuto interessante affrontarlo pur limitando la presentazione ad alcuni aspetti molto pratici quali la diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze, con il
protocollo adottato presso l’Istituto Giannina Gaslini per la diagnostica delle immunodeficienze primitive, che si basa su alcuni test elementari (primo livello), che, in caso positivo, possono essere ulteriormente approfonditi con test di livello superiore (secondo, terzo e quarto livello). Il secondo
aspetto è un inquadramento delle infezioni nel bambino immunocompromesso, tenendo presente che la comparsa di un’infezione opportunistica in un bambino apparentemente sano, il ripetersi
con frequenza di infezioni, o la comparsa di infezioni gravi da patogeni usualmente poco “aggressivi” o di riattivazioni di infezioni endogene o pregresse può rappresentare la prima manifestazione clinica di un deficit immunologico. Infine una revisione sintetica, ma basata su una grande esperienza, delle infezioni polmonari, avendo presente che i polmoni sono gli organi più soggetti alle
infezioni nel bambino immunocompromesso, e che in tali condizioni le complicanze polmonari presentano spesso evoluzioni molto rapide e potenzialmente fatali se non vengono diagnosticate in tempo e adeguatamente trattate.
Diagnostica di laboratorio delle immunodeficienze primitive
G. MELIOLI 1, 2, V. PISTOIA 1, 3
1Dipartimento di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, IRCCS G. Gaslini, Genova
2Laboratorio di Analisi Cliniche, IRCCS G. Gaslini, Genova
3Laboratorio di Oncologia, IRCCS G. Gaslini, Genova
S
ono noti, ad oggi, oltre 150 differenti tipi di immunodeficienza primaria (IP), che riguardano virtualmente tutte le funzioni note del sistema immune
1. Anche se alcune IP sono relativamente frequenti,
(per esempio, un deficit selettivo di IgA è presente in
1:300-1:700), altre, come la X-linked severe combined immunodeficiency, hanno una frequenza tra
1:50 000 e 1:100 000.
Chiaramente non tutti i pazienti con infezioni ricorrenti hanno un’IP. Infatti, nella diagnosi differenziale,
è necessario considerare anche altri fattori (per esempio difetti anatomici, diabete, malnutrizione ecc.) che
possono condizionare la capacità del paziente di
rispondere in maniera immunologicamente adeguata
ai patogeni. Peraltro, una diagnostica di laboratorio
delle IP deve essere messa in atto ogni volta che è
necessaria una diagnosi differenziale accurata.
Da un punto di vista della sintomatologia, i difetti
della produzione di anticorpi non sono apparenti nei
primi mesi di vita, quando la risposta nel piccolo
Autore di contatto: G. Melioli, Clinica Pediatrica, Università di Genova, Centro Regionale di Diabetologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini,
Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
13
MELIOLI
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE
TABELLA I. — Immunodeficienza primaria.
Famiglia
Patologia
Emocromo
Ig seriche
Fenotipo
C’
Fagocitosi
Difetti delle cellule
B e degli anticorpi
X-Linked
Agammaglobulinemia
(XLA)
Linfopenia
Ipogammaglobulinemia
NS
NS
Common Variable
Immunodeficiency
(CVID)
(hypogammaglobulin
emia) e Selective IgA
Deficiency
Hyper-IgM Syndrome
Apparentemente
normale
Ipogammaglobulinemia,
deficit di IgA
Linfociti B
virtualmente assenti,
ricerca proteina BTK
in CMF
B normali ma
funzionalmente
difettose T con vari
difetti
NS
NS
Neutropenia
NS
NS
NS
IgG Subclass
Deficiency
Apparentemente
normale
IgM elevate, assenza
di IgA
IgG totali spesso
normali deficit di
una o più sottoclassi
(IgG1, IgG2, IgG3,
IgG4)
NS
NS
NS
X-linked SCID
Linfopenia T ed NK
(grave)
Ipogammaglobulinemia
NS
NS
ADA Deficiency
Linfopenia grave
NS
NS
Purine nucleoside
phosphorylase (PNP)
Deficiency
Bare Lymphocyte
Syndrome (MHC-II
deficiency)
NS
NS
NS
NS
NS
NS
NS
NS
Omenn’s syndrome
Leucocitosi,
eosinofilia,
linfocitopenia
Iper IgE
Linfociti B
Funzionalmente
danneggiati, pochi
linfociti T
Deplezione T, B ed
NK
Difetto selettivo e
grave della funzione
delle cellule T
Difetto di
espressione di HLA
I e HLA II per deficit
di TAP
Deficit grave T e B
NS
NS
Partial Combined
Immunodeficiencies
Wiskott-Aldrich
Syndrome (WAS)
Ataxia-Telangiectasia
(AT)
Piastrinopenia
IgM basse, IgG e
IgA normali, IgE alte
Ipogammaglobuline
mia (incostante)
NS
NS
NS
Modesto deficit T e
B
NS
NS
T cell deficiencies
DiGeorge
Linfopenia
Difetto T isolato,
cellule B normali
NS
NS
Deficit combinati
TeB
Severe Combined
Immunodeficiency (SCID)
NS
Spesso normali ma
sottoclassi di IgG e
IgA possono essere
modificate
(Continua)
14
GASLINI
Aprile 2009
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE
MELIOLI
TABELLA I.—(Segue).
Famiglia
Patologia
Difetto della
fagocitosi
Cartilage Hair
Hypoplasia
Chronic
Granulomatous
Disease (CGD)
Leukocyte Adhesion
Defect (LAD)
Chediak-Higashi
Syndrome (CHS)
Emocromo
Ig seriche
Fenotipo
C’
Fagocitosi
Difetto T
NS
NS
NBT test patologico
NS
Difetto
Neutrofilia
NS
NS
Difetto
Granuli giganti nei
neutrofili
NS
Ridotta espressione
di CD18/CD15
NBT test patologico
NS
Difetto
Hyper-IgE Syndrome
NS
Forte aumento
delle IgE
NS
NS
Possibile
Chronic
Mucocutaneous
Candidiasis
NS
NS
NS
NS
NS
Difetti del
complemento
Altre
paziente è supportata dagli anticorpi materni passati
attraverso la placenta ed il latte. Successivamente, il
paziente soffre di una patologia infettiva grave, causata prevalentemente da batteri in grado di ricoprirsi
di una capsula mucopolisaccaridica, come lo
Streptococcus pneumoniae. In questi pazienti, la concentrazione di immunoglobuline circolanti è ridotta
nella maggior parte dei casi.
Al contrario, i difetti del numero o della funzione dei
linfociti sono caratterizzati da mughetto, diarrea e
difetto di crescita. Successivamente, vengono diagnosticate infezioni ricorrenti da virus (Varicella zoster
virus, virus di Epstein-Barr EBV, citomegalovirus, adenovirus), da miceti o da parassiti. In questi pazienti,
è evidente una linfopenia dalla nascita. Esempi selezionati di IP con indicazione dei relativi difetti sono
contenuti nella Tabella I.
Diagnostica di primo livello
Il protocollo adottato presso l’Istituto Giannina
Gaslini per la diagnostica delle immunodeficienze
Vol. 41 - N. 1
primitive si basa su alcuni test elementari (primo livello), che, in caso positivo, possono essere ulteriormente approfonditi con test di livello superiore (secondo, terzo e quarto livello).
In genere, i test di primo livello consentono di identificare i pazienti con una reale immunodeficienza.
Questi test consistono nel conteggio delle cellule del
sangue periferico e nel dosaggio degli anticorpi IgG,
IgA ed IgM nel siero.
Il conteggio delle cellule nel sangue periferico viene normalmente effettuato con strumentazioni ad elevata automazione che identificano le popolazioni leucocitarie (in particolare granulociti e linfociti) dopo lisi
dei globuli rossi, sulla base delle loro caratteristiche fisiche: infatti, i linfociti circolanti sono cellule piccole e
caratterizzate da una complessità molto bassa, a differenza, per esempio, dei granulociti che sono più
grandi ma, soprattutto, caratterizzati dalla presenza
di granuli facilmente rilevabili con le moderne strumentazioni basate sugli scatter della luce.
Un conteggio di linfociti inferiore a 1000 cellule/mmc (3000 sotto i due anni) indica che siamo in
presenza di una linfocitopenia. È anche evidente che
una neutropenia ed una trombocitopenia devono
GASLINI
15
MELIOLI
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE
immediatamente suggerire un ulteriore approfondimento diagnostico.
Il dosaggio delle immunoglobuline circolanti è un
test routinario che consente di documentare la funzionalità del sistema immune adattativo. I valori attesi per le IgG sono 700 mg/dl, per le IgM sono 70
mg/dl e per le IgA sono 40 mg/dl. Valori più bassi indicano che potrebbe esistere un’immunodeficienza e
consigliano l’esecuzione di indagini di secondo livello. In qualche caso, può essere utile misurare le IgE
circolanti. E’ peraltro importante ricordare che la concentrazione di immunoglobuline si modifica con l’età
e per questo motivo è determinante utilizzare controlli adeguati per ogni intervallo di età.
La valutazione delle sottoclassi delle immunoglobuline poteva essere considerata un test di secondo
livello ma da quando queste sono disponibili su strumentazioni ad elevata automazione, nulla osta a associare l’indagine delle sottoclassi alla misura delle
immunoglobuline circolanti.
Diagnostica di secondo livello
Le indagini di laboratorio di secondo livello prevedono
un approfondimento mirato allo studio delle popolazioni
e delle sottopopolazioni di linfociti del sangue periferico. In particolare, è essenziale contare la percentuale ed
il numero assoluto dei linfociti T, dei linfociti B e delle
cellule NK. Nell’ambito dei linfociti T, è importante conoscere la percentuale ed il numero assoluto dei linfociti
T con fenotipo CD4+ e con fenotipo CD8+. Questi rappresentano rispettivamente le cellule con funzioni prevalentemente di tipo “helper” e le cellule con funzioni
prevalentemente di tipo “citotossico”.
L’indagine fenotipica deve essere effettuata sempre contemporaneamente ad un test emocromocitometrico, in maniera che i conteggi “assoluti” siano
corretti e standardizzati. In alcuni casi (per esempio,
la ALPS), è necessario che l’indagine fenotipica sia
molto approfondita, consentendo di identificare sottopopolazioni “rare” (per esempio, le cellule CD4CD8- TCR a/b positive) che sono rappresentative di
una data patologia.
Esistono altre indagini di laboratorio che possono
essere effettuate con metodi di routine e quindi rientrano
di fatto nel secondo livello delle indagini per la diagnosi di una IP. Tra queste, la valutazione sierologica della capacità di rispondere ad agenti patogeni (per esempio, anticorpi diretti contro il virus della rosolia, del
16
morbillo, della parotite, della varicella, dell’influenza
ecc.) o rispondere adeguatamente a stimoli di tipo vaccinale (tossoide tetanico, virus polio ecc.).
Infine, visto l’impatto che il sistema del complemento ha con le capacità di fagocitosi e di killing,
un’analisi delle frazioni (C3 e C4) seriche del C’ può
essere effettuata facilmente e a basso costo.
Diagnostica di terzo livello
I test di primo e secondo livello forniscono importanti informazioni sulla presenza o la riduzione numerica fino all’assenza di specifiche popolazioni di cellule immunocompetenti. Al deficit numerico di tali
cellule corrispondono precisi difetti funzionali responsabili della sintomatologia; la combinazione di questi
due ordini di informazioni consente di formulare un
sospetto diagnostico.
Tuttavia le patologie da immunodeficienza primitiva
non sempre dipendono da difetti differenziativi che si
traducono in deficit numerici di cellule immunocompetenti; esistono infatti situazioni patologiche in cui tali
cellule sono normalmente rappresentate nel sangue
periferico ma funzionalmente compromesse.
I test di terzo livello rispondono quindi all’esigenza di “smascherare” immunodeficienze primitive in
cui una mutazione a carico di un gene cruciale per il
funzionamento della cellula colpita provoca aumentata suscettibilità alle infezioni senza alterarne il programma differenziativo.
Presso l’Istituto Giannina Gaslini vengono routinariamente eseguiti di tre tipi di test: 1) test di riduzione del colorante nitro blu di tetrazolio (NBT), 2) test
di citotossicità delle cellule natural killer (NK) e 3)
test di proliferazione linfocitaria.
NBT test
La funzione primaria dei granulociti neutrofili nella resistenza alle infezioni è l’uccisione intracellulare
dei microrganismi. Questa rappresenta l’ultima tappa
di una serie di eventi costituiti dalla migrazione dei
neutrofili nella sede di infezione, il riconoscimento
dei batteri, la loro ingestione e la degranulazione.
NBT è un composto giallo idrosolubile che in seguito a riduzione precipita sotto forma di formazano, un
colorante blu scuro. I neutrofili sono in grado di ridurre NBT dopo ingestione di particelle di lattice o simili;
durante questo processo viene attivato il burst metabolico attraverso la via dello shunt degli esoso-monofo-
GASLINI
Aprile 2009
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE
sfati. Il formazano viene quantizzato mediante lettura
spettrofotometrica dopo estrazione dai neutrofili con il
solvente organico piridina. Poiché la generazione di
attività riducente nei neutrofili vitali va di pari passo
con le attività metaboliche cellulari indotte dall’ingestione, la riduzione di NBT costituisce un utile strumento per determinare complessivamente l’integrità
metabolica dei neutrofili fagocitanti. La mancata riduzione di NBT da parte dei neutrofili che hanno ingerito particelle è un’importante anomalia di laboratorio
che caratterizza la malattia granulomatosa cronica (CGD).
Mutazioni in diverse componenti della NADPH ossidasi provocano l’impossibilità di produrre H2O2 o radicali
superossidi e quindi l’incapacità di uccidere alcuni patogeni intracellulari obbligati.
Test di citotossicità NK
I linfociti NK sono dotati di attività citotossica naturale che si esercita soprattutto contro cellule infettate
da virus (in particolare herpesvirus) e cellule tumorali.
Morfologicamente le cellule NK appaiono come linfociti granulari di dimensioni superiori alla media; le
granulazioni azurofile citoplasmatiche contengono
fattori citotossici (perforina, granzyme B) necessari
per l’uccisione delle cellule bersaglio. Un meccanismo alternativo, anche se meno importante, di killing utilizzato dai linfociti NK è mediato da molecole
di superficie della superfamiglia del tumor necrosis factor (ad esempio Fas ligando) che si legano a recettori complementari sulla membrana delle cellule bersaglio (ad esempio Fas).
Il classico test di attività citotossica NK viene effettuato incubando per 4 ore cellule mononucleate del
sangue periferico (all’interno delle quali i linfociti NK
rappresentano in condizioni fisiologiche il 5-15% circa) con la linea eritroleucemica K562 preventivamente
marcata con l’isotopo 51Cr. L’uccisione delle cellule target marcate da parte delle cellule NK viene quantizzata misurando con uno scintillatore la radioattività
liberata nel sopranatante della co-cultura e rapportando questo valore alla radioattività presente nel
sopranatante di cellule K562 marcate incubate da sole
e sottoposte o no a lisi osmotica (“lisi totale” e “lisi
spontanea”, rispettivamente). Il test di citotossicità
NK viene realizzato cimentando concentrazioni scalari
di cellule effettrici con una concentrazione fissa di
cellule K562 marcate (si parte ad esempio da un rapporto di 100:1 per scendere fino a 3:1); in tal modo si
ottiene una curva che consente di valutare qualitativamente la potenza dell’attività NK.
Vol. 41 - N. 1
MELIOLI
Attualmente il test di citotossicità NK può essere
effettuato usando coloranti che si legano alla superficie delle cellule K562 ed essere analizzato quantitativamente con lettura spettrofotometrica.
L’interpretazione dei risultati dei test di attività NK
non è ovvia. In primo luogo essi vanno ripetuti almeno 2-3 volte nell’arco di un mese prima di concludere che il campione in esame è privo di attività citotossica; un difetto occasionale non fa testo ed il dato
deve essere ricontrollato. E’ necessario accertarsi che
il paziente non sia in trattamento farmacologico al
momento del test ed almeno due settimane prima;
ad esempio, corticosteroidi ed immunosoppressori
possono azzerare l’attività NK. Inoltre i risultati del
test di citotossicità vanno confrontati con quelli dello studio immunofenotipico delle cellule NK nello
stesso campione (test di secondo livello); è plausibile che a bassi numeri di linfociti NK corrisponda un’attività citotossica bassa anche in soggetti non affetti
da sospetta immunodeficienza.
Test di proliferazione linfocitaria
I test di proliferazione linfocitaria vengono effettuati per valutare la funzionalità dei linfociti T in pazienti
affetti da infezioni ricorrenti provocate da virus o patogeni intracellulari. Tali test possono essere realizzati
utilizzando mitogeni policlonali o, alternativamente,
antigeni ubiquitari o di richiamo. I mitogeni policlonali,
i più noti dei quali sono la fitoemoagglutinina (PHA),
il pokeweed miogeno (PWM) e la concanavalina A
(Con-A) sono sostanze di origine vegetale capaci di
attivare tutti i linfociti T in seguito a legame con glicoproteine della superficie cellulare. Gli antigeni sono
molecole che stimolano la proliferazione dei linfociti T
legandosi specificamente al T cell receptor. Gli antigeni ubiquitari sono molecole ampiamente rappresentate nell’ambiente, ad esempio la candidina della
Candida Albicans. Gli antigeni di richiamo sono antigeni
contro i quali il paziente in esame è stato vaccinato e
che pertanto sono per definizione capaci di stimolare
una risposta anamnestica nei linfociti T.
I test di proliferazione linfocitaria vengono solitamente condotti incubando cellule mononucleate del
sangue periferico con PHA, marcando le cellule con
3H-timidina circa 16 ore prima della fine del test e
contando la radioattività con uno scintillatore al termine della coltura (72 ore).
I test di proliferazione linfocitaria in risposta ad
antigeni ubiquitari o di richiamo sono eseguiti per
rispondere a specifici quesiti diagnostici in condizio-
GASLINI
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CASTAGNOLA
LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO
ni sperimentali identiche a quelle sopra descritte, con
l’unica differenza che il tempo di coltura è prolongato a 6-7 giorni.
Come già discusso per il test di citotossicità NK,
prima di emettere un referto, è bene riconfermare il
risultato del test in 1-2 test supplementari nell’arco di
un mese, accertandosi che il paziente non sia o sia stato nelle ultime due settimane in trattamento farmacologico e correlando i risultati a quelli dello studio
immunofenotipico delle cellule T.
di necessario studiare preventivamente una popolazione di controlli normali scelti in base alla fascia di età
ed all’assenza di patologie significative al momento
del test e nei due mesi precedenti. Le condizioni dei test
dovranno essere rigorosamente standardizzate così da
poter essere comparabili anche quando effettuate in
tempi diversi. Questo approccio metodologico permette di generare un range di valori normali ai quali riferirsi per analizzare i risultati dei test condotti con materiale biologico dei pazienti.
Il problema dei controlli normali
Diagnostica di quarto livello
Questo problema che è già stato discusso per i test
di primo e secondo diventa ancora più complesso per
quelli di terzo livello che si basano sul confronto dei
risultati ottenuti dallo studio del paziente con quelli
dei controlli normali. I valori di riferimento non possono
essere tratti dalla letteratura poiché esiste grande variabilità sia nelle condizioni sperimentali adottate in ciascun laboratorio sia nella risposta individuale. È quin-
I test di quarto livello si basano sul sequenziamento del DNA nelle regioni che, sulla base dei dati della letteratura e delle evidenze cliniche e di laboratorio, sono candidate ad essere le portatrici del difetto
genetico. Ad oggi sono note oltre 130 mutazioni 1
che non possono essere esaustivamente analizzate in
questa sede.
Bibliografia
1. Fischer A. Human primary immunodeficiency diseases. Immunity 2007;27:835-45.
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GASLINI
Aprile 2009
GASLINI 2009;41:19-26
Le infezioni nel bambino immunocompromesso
E. CASTAGNOLA, I. SALA, A. MULARONI, C. MORONI
Unità Semplice di Infezioni nel Paziente Immunocompromesso
Dipartimento di Ematologia ed Oncologia, Istituto “G.Gaslini”, Genova, Italia
L
e infezioni rappresentano un frequente problema
in età pediatrica e possono rappresentare il primo
segno di una incapacità a difendersi dalle infezioni. Le
immunodeficienze in generale o comunque le condizioni patologiche che condizionano un aumentato
rischio infettivo possono essere primitive o acquisite.
Le forme primitive, spesso congenite, riguardano principalmente l’età pediatrica anche se casi meno gravi
possono essere diagnosticati anche in età adulta. Le
immunodeficienze sono caratterizzate da infezioni
dovute sia a patogeni comuni, sia a patogeni opportunisti (che cioè “traggono vantaggio” dalle ridotte
capacità di difesa). La comparsa di un’infezione opportunistica in un bambino apparentemente sano, il ripetersi con inusuale frequenza di infezioni, o la comparsa
di infezioni gravi da patogeni usualmente poco
“aggressivi” o di riattivazioni di infezioni endogene o
pregresse può rappresentare la prima manifestazione
clinica di un deficit immunologico congenito fino ad
allora ignoto.
L’immunodeficienza legata ad un’alterazione genetica e dello sviluppo del sistema immunitario è definita come primitiva. La maggior parte dei difetti alla
base di una immunodeficienza interessano linee cellulari linfoidi, mieloidi (macrofagi, granulociti) o
entrambe. La Tabella I riassume i diversi quadri di
deficit immunologico congenito 1, 2. Tuttavia, poiché
le infezioni ricorrenti sono un problema frequente in
età pediatrica, specie nei primi anni di vita, può essere utile possedere indicazioni, ancorché grossolane,
per sospettare o meno la presenza di un deficit immunologico (Tabella II) 3. In linea di massima, il paziente con deficit immunologico, oltre a quadri infettivi gravi e ripetuti, potrà presentare altre alterazioni carat-
teristiche della malattia (ad esempio eczema, diarrea
cronica e deficit di accrescimento) oppure infezioni
causate sempre dagli stessi patogeni e/o a carico degli
stessi apparati (ad esempio polmoniti ed infezioni
cutanee da S.aureus o Aspergillus nei pazienti con
malattia granulomatosa cronica). La ricorrenza di infezioni a carico degli stessi organi o apparati deve far
pensare anche alla presenza di malformazioni (cisti
polmonari o reflusso vescico-ureterale) o altre malattie (fibrosi cistica) che rappresentano condizioni predisponenti alla riduzione delle difese anti-infettive
d’organo, anche se non strettamente di tipo immunologico. Per quanto riguarda le situazioni acquisite,
è indubbio che alcune malattie acquisite e, soprattutto, la loro terapia sono accompagnate da un’aumentata frequenza di infezioni da agenti patogeni
opportunisti o un’aumentata gravità di infezioni da
patogeni comuni. È il caso, per esempio, delle infezioni in soggetti leucemici trattati con chemioterapia
antineoplastica o dei trapianti. In questo caso esistono anche correlazioni tra alcuni farmaci (o la loro
dose somministrata) e il rischio di sviluppare particolari
infezioni. Accanto alle immunodeficienze cosiddette
iatrogene perchè legate a farmaci immunsoppressivi,
non vanno dimenticate le imunodeficienze acquisite
di origine virale, prima fra tutte, ma non unica, l’infezione HIV.
Rapporti tra condizione predisponente e
patogeni associati
Esistono correlazioni abbastanza strette tra il tipo di
difetto del sistema immunitario e le infezioni che si
Autore di contatto: E. Castagnola, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova, Italia.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
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CASTAGNOLA
LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO
TABELLA I. — Classificazione dei deficit immunologici congeniti.
Quadro clinico
Infezioni dovute alla
presenza contemporanea
di deficit dell’immunità
cellulo-mediata e
anticorpale
Pricipali condizioni
Immunodeficienza severa-combinata (SCID)T-B-: disgenesia
reticolare; deficit di RAG-1 e RAG-2, deficit di ARTEMIS, sindrome
di Ommen
SCID T-B+: SCID X-linked, deficit di JAK3, defict recettore IL7,
deficit CD45, deficit CD3D, immunodeficit T con alopecia congenita e distrofia ungueale
Defict del metabolismo delle purine: deficit di ADA e PNP
Note
Nella disgenesia reticolare vi è anche
assenza di granulociti
Nelle SCID T-B+ i linfociti B sono
presenti ma spesso non funzionanti
Nel deficit di ADA vi sono spesso
associate anomalie scheletriche.
Nella linfopenia CD4 idiopatica sono
infezioni opportunistichee neoplasie
Defict dei recettori del compesso maggiore di istocompatibilità:
MHCII: deficit di MHC2TA, deficit di RFX-5, deficit di RFXAP,
defict di RFXANK
MHCI: defiit di TAP-2 e TAP-1, defict di Tapasina)
Defict del CD3: CD3ε, CD3γ, CD3Ζeta
Sindrome con iper IgM: Forma X-linked da deficit di CD40 ligando, deficit di CD40
Altri: Defict di ZAP-70, deficit di CD25 (catena α del recettore
per IL2), defict di CD8α, deficit di p56 Lck, deficit di Cernunnos,
deficit di TMEM142, displasia immuno-ossea di Schimke
Linfopenia CD4 idipoatica: deficit stabile numerico dei linfociti CD4 < 300/mmc, in assenza di infezione da HIV o altro deficit
conosciuto
Infezioni
prevalentemente dovute
alla mancanza della
produzione di anticorpi
o dell’opsonizzazione dei
patogeni
Defict della sintesi di anticorpi
Agammaglobulinemia: agammaglobulinemia congenita X-linked
(XLA, malattia di Bruton), agammaglobulinemia congenita autosomica dominante (non-Bruton)
deficit di BLNK, ipogammaglobulinemia X-linked con deficit di
ormone della crescita, deficit di Igα, deficit di catene pesanti µ,
defict della catena leggera surrogata γ5,
Immunodeficienza comune variabile (CVI): CVI idiopatica,
deficit di ICOS, deficit di TACI
Deficit selettivo di sottoclassi IgG, IgE e/o IgA totali o sottoclassi: deficit di isotipo γ1, γ2, γ4, deficit parziale di isotipo γ3, deficit di isotipo α1 e α2, deficit di isotipo ε, deficit di sottoclassi IgG
con o senza deficit di IgA, deficit di IgA. Deficit di catene leggere: deficit di catene leggere κ
Altri deficit anticorpali: ipogammaglobulinemia transitoria
dell’infanzia deficit di anticorpi con valori normali di immunoglobuline, deficit di CD19, Defict dello switch di classe e sindromi da Iper-IgM che coinvolgono i linfociti B (deficit di AIG, deficit di UNG, defict selettivi di switch di classe)
La CVI è in realtà un gruppo
eterogeneo di malattie, molte ad
eziologia sconosciuta, che colpisce la
funzionalità di linfociti T e B (ma spesso
non il numero. L’età di esordio è in
genere tra 1 e 5 anni, ma anche più
tardiva, con ridotti (ma non assenti)
livelli di IgG e IgA I pazienti presentano
spesso infezioni ricorrenti (specie a
carico delle vie respiratorie e del tratto
gastroenterico), malattie autoimmuni e
neoplasie.
L’ipogammaglobulinemia
transitoria dell’infanzia è data da un
ritardo di maturazione del sistema di
sintesi delle Ig, che si normalizza entro i
3 anni di vita. Riguarda di solito le IgG,
mentre IgM ed IgA sono normali.
Difetti della cascata del complemento: Via classica: deficit di
C1 (1q polipeptide α, β, e γ; 1r e 1s) C2 e C3, C4 (A e B), C5, C6,
C7, C8 (polipeptide α, β, e γ) C9; Via alternativa: deficit di fattore
B, D, H1 properdina fattore C; Proteine regolatrici del complemento: angioedema ereditario, deficit di legante il C4 (proteina
α e β), defict di fattore accelerante il decadimento (CD55), deficit
fattore I, defict di CD59, deficit di Mannose-Binding Lectin (semplice ed associato a deficit di serina proteasi 2
Asplenia
In grassetto sono riportate i gruppi o le singole malattie più frequenti o importanti.
(Continua)
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GASLINI
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LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO
CASTAGNOLA
TABELLA I. — Classificazione dei deficit immunologici congeniti. (Segue).
Quadro clinico
Pricipali condizioni
Note
Altri deficit
immunologici ben
identificati
Sindrome di Wiskott-Aldrich e trombocitopenia X-linked,
Sindrome linfoproliferativa X-leiked (XLP, malattia di
Duncan), Anomalia di Di George, sindrome Iper-IgE e infezioni ricorrenti, Candidosi mucocutanea cronica, Ipoplasia cartilagini-capelli, sindrome di Netherton, defict di Natural Killer,
defict di Transcobalamina II, Osteopetrosi AR, sindrome occlusiva delle vene epatiche con immunodefict, Malattie autoimmuni
(poliendocrinopatia autoimmune con candidosi e displasia ectodermica; defict immunologico X-linked con poliendocrinopatia e
enteropatia (IPEX)) Epidermodisplasia verruciforme (tipo 1 e 2)
Nella XLP il fattore scatenante è spesso
(ma non esclusivamente) la prima
infezione da EBV
Nella anomalia di Di George possono
esservi associate cardiopatie e deficit di
funzione delle paratiroidi.
Nella sindrome con Iper-IgE vi sono
caratteristiche alterazioni cutanee di
tipo dermatitico e vi possono essere
associati deficit di funzione dei
neutrofili.
Nella candidosi mucocutanea
cronica vi possono essere malattie
autoimmuni (incluse endocrinopatie)
Infezioni dovute alla
mancanza (numerico o
funzionale) di neutrofili
Malattia granulomatosa cronica (CGD): forma X-linked, deficit di P22 phox, p47 phox, p67 phox
Nella CGD sono caratteristiche le
infezioni da S.aureus e Aspergillus
La sindrome di Kostmann (su base
genetica) sembra presentare i quadri
infettivi più gravi
Neutropenia: sindrome di Kostmann e altre neutropenie congenite gravi, neutropenia ciclica deficit di GFI1
Deficit di mieloperossidasi, Sindrome di Chediak-Higashi,
Sindrome di Griscelli (tipo 1, 2 e 3), Sindrome di Schwachman,
Deficit di G6PD, Glicogenosi tipo Ib, Difetto dell’adesione dei
leucociti (deficit dell’adesione dei leucociti I e II, defict di LAD3,
deficit di LAD con RAC2)
Deficit dell’immunità
innata, di recettori e di
sistemi di segnale
Linfoistiocitosi emofagocitica familiare (tipo 1, 2, 3, e 4),
Sindrome Hoyeraal-Hreidarsson/discheratosi congenita, Deficit di
CD64, Sindrome di Hermansky-Pudlak 2, Sindrome di Barth, Deficit
di granuli specifici dei neutrofili, Sindrome di Papillon-Lefevre
Nel deficit del recettore di IFNγγ le
infezioni sono dovute principalmente a
mycobatteri, anche non tubercolari
Deficit del recettore dell’interferon gamma (deficit recettore
IFNphox e γ deficit IL12 (recettore 1b, deficit p40), deficit STAT1,
insensibilità all’ormone della crescita con immundeficienza, deficit IRAK4, displasia ectodermica anidrotica autosomica dominante con deficit di linfociti T, sindrome WHIM, displasia ectodermica ipoidrotica con iper-IgM X-linked (deficit di Nemo)
Altre
Sindromi associate a rottura o a modificazioni epigenetiche
del DNA atassia-teleangectasia e disturbi simili, sindrome di
Nijmegen, deficit di DNA ligasi (I e IV), sindrome di Bloom, sindrome con instabilità centromerica, anomalie al volto e immunodeficit (ICF)
Deficit dell’apoptosi dei linfociti: Sindrome autoimmune
linfoproliferativa (ALPS): difetto di tipo I del mediatore dell’apoptosi APO1/Fas, difetto tipo Ib di APO1Ligando/Fas ligando,
ALPS tipo II, deficit di caspasi 8
Febbri periodiche: Febbre familiare mediterranea, sindrome con
iper-IgD e febbre periodica, sindrome periodica associata al recettore del TNF, sindrome auto-infiammatoria da freddo (orticaria
familiare da freddo e sindrome di Muckle-Wells; sindome cronica
infantile neurologica, cutanea e articolare), sinovite granulomatosa con uveite e neuropatie croniche, malattia di Crohn
In grassetto sono riportate i gruppi o le singole malattie più frequenti o importanti.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
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CASTAGNOLA
LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO
TABELLA II. — Elementi indicativi per la presenza o meno di alcuni dei principali deficit immunologici.
Esami di laboratorio
per approfondire la diagnosi
di deficit immunologico
(vedi anche Tabella I)
Condizioni cliniche
non suggestive di
deficit immunologico
Condizioni cliniche
suggestive di
defict immunologico
Tipo di deficit
immunologico
— Episodi isolati e non complicati di faringo-tonsillite o di
infezione delle alte vie respiratorie (specie nei mesi invernali)
Eczema, diarrea cronica, deficit di
accrescimento, polmonite intersitizale cronica, candidiasi mucosa
estesa e persistente, epatosplenomegalia, rash cutanei
Immunodeficinza severa combinata (SCID)
1.
2.
3.
4.
— Episodi isolati e non complicati di otite media (fino 2-3 episodi non complicati, nella stagione invernale nei primi 1-2
anni di frequenza in comunità)
Sinusite ricorrente
Ricorrenti episodi di polmonite,
infezioni cutanee, meningite o
setticemia
Deficit della sintesi di anticorpi
1. Emocromo
2. Dosaggio immunoglobuline,
3. Eventualmente sottopopolazioni linfocitarie
4. Eventualmente analisi genetiche
Ascessi cutanei ricorrenti (specie
da S.aureus), linfoadeniti (specie
laterocervicali), micosi invasive
(specie polmonari) da
Aspergillus, polmoniti
necrotizzanti, ascessi perirettali
Malattia granulomatosa cronica
(CGD)
1. Emocrono
2. Funzionalità granulocitaria
Ascessi perirettali, gengiviti,
ulcere mucose, polmoniti
Neutropenia congenita o difetti di
chemiotassi
1. Emocrono
2. Funzionalità granulocitaria
Infezioni batteriche gravi e ricorrenti (E.coli nei primi 3 mesi,
successivamente da batteri
capsulati)
Asplenia
1. Emocromo (ricerca schistociti)
2. Ecografia addominale (ricerca
della milza)
Infezioni ricorrenti da
N.meningitidis, setticemie da
batteri capsulati, sinusite
ricorrente
Deficit del complemento
1. Dosaggio di C3 e C4
— Episodi ricorrenti di infezioni
delle vie urinarie
— Episodi ricorrenti, non
— Infezioni correlate unicamente con la presenza di dispositivi protesici (valvole cardiache)
— Infezioni ricorrenti nelle stesse
sedi (per es. artrite settica,
osteomielite)
— Infezioni associate con difetti
anatomici
possono osservare. Come conseguenza di ciò è possibile dire che la comparsa di determinati tipi di infezione è suggestiva dell’esistenza di un determinato
tipo di deficit immunologico e che, viceversa, in presenza di un determinato tipo di immunodeficienza
sarà da attendersi una maggior frequenza o probabilità di osservare determinate infezioni e non altre. La
Tabella III riassume le correlazioni più frequenti tra
alterazioni delle “capacità di difesa” e causa di infezione 4-6.
Per quanto riguarda le alterazioni delle difese granulocitarie e linfocitarie esistono evidenze sufficientemente certe che dimostrano una correlazione tra
numero di cellule presenti nel sangue periferico e il
rischio di infezioni. Per quanto riguarda i granulociti
il rischio di infezione, per lo più batterica o fungina,
22
Emocromo
Dosaggio immunoglobuline,
Sottopopolazioni linfocitarie
Analisi genetiche
aumenta in maniera direttamente proporzionale alla
discesa del numero dei neutrofili al di sotto di 1000 e
ancor più sotto 100 cellule/mmc. Il rischio aumenta
anche in relazione alla durata della neutropenia, con
rischio più elevato quando la durata supera le 2 settimane. Oltre alle alterazioni quantitative delle cellule fagocitarie, sono importanti anche quelle qualitative, come dimostrato dai quadri clinici che si osservano,
ad esempio, nella malattia granulomatosa cronica e
nella sindrome di Chediak-Higashi, patologie entrambe caratterizzate da una riduzione non del numero ma
della funzionalità del neutrofilo. Per quanto riguiarda
invece le cellule mononucleate ed in particolare i
linfociti circolanti, esiste evidenza che un valore assoluto di conta linfocitaria stabilmente <1500/mmc in un
neonato o in un bambino di pochi mesi con infezio-
GASLINI
Aprile 2009
LE INFEZIONI NEL BAMBINO IMMUNOCOMPROMESSO
CASTAGNOLA
TABELLA III. — Associazione tra deficit delle capacità di difesa dalle infezioni e patogeni più frequentemente isolati.
Granulocitopenia o difetto di fun- Cocchi Gram-positivi
zionalità dei neutrofili
Staphylococcus aureus
Stafilococchi coagulasi-negativi
Streptococchi viridanti
Enterococchi
Bacilli Gram-negativi
Escherichia coli
Pseudomonas aeruginosa
Gruppo KES (Klebsiella, Enterobacter, Serratia)
Citrobacter
Funghi
Aspergillus species
Candida species (soprattutto infezioni invasive)
Fusarium
Altri miceti meno frequenti (Scedosporium,
Geotrichum, ecc)
Alterazione della cute e delle muco- Stafilococchi coagulasi-negativi
se (barriere)
Staphylococcus aureus
Stenotrophomonas maltophilia
Presenza di accessi venosi
Pseudomonas aeruginosa
Acinetobacter species
Corynebacteria
Candida species
Mycobatteri non-tubercolari
Mucosite del cavo orale
Stomatococcus mucilaginosus (Rothia
mucilaginosa)
Candida species
Herpes simplex virus (riattivazione al cavo
orale)
Gruppo KES (Klebsiella, Enterobacter, Serratia)
Acinetobacter species
Anaerobi Gram-negativi
Candida species
Streptococchi viridanti
Enterococchi
Capnocytophaga
Fusobacterium species
Mucosite intestinale (inclusa l’entero- Clostridium species
colite del neutropenico)
Enterococchi
Staphylococcus aureus
Escherichia coli
Pseudomonas aeruginosa
Alterazione dell’immunità cellulo- Herpesvirus (VZV, HSV, CMV, EBV, HHV-6,
mediata
HHV-7, HHV-8)
Virus respiratori (RSV, influenza, parainfluenza)
Adenovirus, parvovirus, enterovirus, coxsackie
Listeria monocytogenes, Legionella
pneumophila, Salmonella species
Nocardia species
Mycobacterium tuberculosis
Mycobatteri non-tubercolari
Pneumocystis jiroveci
Aspergillus species
Candida species (principalmente infezione a
livello delle mucose)
Cryptococcus neoformans
Histoplasma capsulatum
Coccidioides immitis
Toxoplasma gondii
Cryptosporidium, Microsporidia
Strongiloides stercoralis
Alterazione dell’immunità umora- Streptococcus pneumoniae
le
Haemophilus influenzae
Staphylococcus aureus
Enterovirus
Virus epatitici
Alterazione della funzione di sin- Streptococcus pneumoniae
goli organi
Haemophilus influenzae
Milza
Neisseria meningitidis
Vie urinarie (stasi)
In rapporto i microorganismi colonizzanti, ma
Vie respiratorie (stasi)
molto frequente l’isolamento di Gram-negativi
Intestino (stasi, perforazione)
Sistema nervoso centrale (alterazione dello stato di coscienza:
“polmoniti ab ingestis”)
Sovraccarico di ferro da trasfu- Rhizopus species
sioni multiple
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ni ripetute e/o particolarmente gravi deve far pensare alla presenza di un deficit dell’immunità cellulomediata. Nello stesso modo, un valore percentuale
di linfociti CD4+ < 15%, a prescindere dai valori assoluti normali (che variano secondo l’età), non è normale
ed è correlato ad un dimostrato aumento del rischio
infettivo. Le alterazioni dell’immunità umorale, caratterizzate da incapacità a produrre anticorpi (ipoagammaglobulinemia) o frazioni del complemento,
possono essere legate a cause congenite o acquisite
(terapie corticosteroidee e citotossiche, malattie linfoproliferative, splenectomia e uremia). Il valore di
soglia di IgG sotto il quale aumenta il rischio infettivo è considerato essere pari a 400 mg/dl. Le malattie
caratterizzate da incapacità congenita a produrre anticorpi si manifestano clinicamente dopo i primi 6 mesi
di vita (eccetto che in caso di pazienti nati pretermine), perchè in precedenza il bambino era protetto
dalla presenza di anticorpi materni. Spesso in un singolo paziente più fattori favorenti sono presenti contemporaneamente o in sequenza. Il classico esempio
è quello delle immunodefcienze congenite gravi combinate (SCID) in cui i pazienti presentano sia un deficit della funzione dei linfociti T, con infezioni da virus,
batteri intracellulari e micosi superficiali, sia della funzione dei linfociti B con infezioni da batteri capsulati. Quadri clinici “tipo SCID” sono presenti anche in
condizioni di deficit delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (MHCI e II) per mancanza di
“attivazione dei linfociti”. L’aumento delle infezioni
batteriche, specie da patogeni capsulati, oltre che nei
deficit di immunoglobuline è presente anche nei deficit della cascata del complemento (specie C3) e della milza, per deficit della funzione opsonizzante. La
gestione di questi pazienti può richiedere l’uso di
accessi venosi e interventi chirurgici per drenare raccolte ascessuali o l’intubazione per la comparsa di
gravi infezioni polmonari, accrescendo così i rischi
di altre infezioni opportunistiche, magari da patogeni ospedalieri. Infatti, un ruolo importante è svolto
anche dalle alterazioni della flora microbica endogena. È noto che la flora batterica endogena intestinale è in grado di opporsi alla colonizzazione da parte di agenti patogeni a essa normalmente estranei
(Staphylococcus spp., Klebsiella spp., Pseudomonas
spp.). Questa azione protettiva viene alterata dalla
somministrazione spesso incongrua di antibiotici e
dal prolungato ricovero in ospedali o altri istituti di
cura (residenze protette, ospedali diurni). La pressio-
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ne selettiva determinata dai fattori sopraelencati comporta la sostituzione della normale flora batterica,
composta da microrganismi normalmente sensibili ai
più comuni antibiotici, con una popolazione caratterizzata da germi multiresistenti, con comparsa di infezioni legate a pratiche assistenziali.
Quadri clinici delle infezioni
In generale, la sintomatologia di una infezione in un
paziente immunocompromesso può essere piuttosto
scarsa almeno in fase iniziale, ed è pertanto necessario mantenere un elevato livello di sospetto clinico.
Tuttavia, la presenza di una localizzazione infettiva
scarsamente evidente all’inizio può divenire chiara
con la ripresa delle funzioni immunitarie (tipico del
paziente con neutropenia indotta da chemioterapia
antineoplastica) oppure con l’aggravarsi dell’infezione. Alcune localizzazioni, anche se non patognomoniche, possono essere altamente suggestive di particolari deficit immunitari e/o eziologie. Per esempio gli
ascessi cutanei da S.aureus sono frequenti nel paziente con deficit della funzione granulocitaria come nella CGD o nelle sindromi con iper-IgE, le
polmoniti”focali” da Aspergillus sono anch’esse tipiche
della CGD o della sindrome di Kostman, mentre le forme intersitiziali (CMV, P.jiroveci) sono più caratteristiche delle SCID e, in generale, dei deficit dell’immunità cellulo-mediata. In linea di principio, comunque, le infezioni potranno localizzarsi a livello del
cavo oro-faringeo, delle orecchie e dei seni paranasali,
delle vie aeree superiori ed inferiori (trachea, bronchi,
polmoni), dell’apparato gastroenterico (esofago, stomaco, intestino), delle vie urinarie, dell’apparato genitale esterno, della cute e dei tessuti molli e delle ossa
ed articolazioni. Dai siti sopraddetti l’agente patogeno potrà o meno diffondersi al sangue, causando una
sindrome settica generalizzata, o ad altri organi od
apparati, complicando il quadro clinico.
La febbre e, nel caso delle infezioni localizzate, il
dolore, i segni di flogosi o il deficit funzionale, rappresentano spesso l’unica manifestazione clinica della patologia infettiva. La presenza di febbre andrà
perciò sempre considerata come un potenziale segno
di infezione in atto e i pazienti andranno valutati
attentamente. Data l’aspecificità dei sintomi è di solito raccomandabile un certa aggressività diagnostica,
specie per quanto riguarda l’identificazione micro-
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biologica dell’agente causale (emocolture ripetute e
colture da qualunque sito clinicamente sospetto di
infezione) e la tipizzazione anatomo-istologica di localizzazione d’organo (diagnostica per immagini, accertamenti bioptici).
Prevenzione e terapia
In considerazione della varietà delle condizioni
predisponesti e del polimorfismo eziologico, l’approccio profilattico alle infezioni nell’ospite immunocompromesso è particolarmente problematico.
E’ ovvio che l’intervento “preventivo” ideale deve
tendere ad eliminare la condizione predisponente,
curando la patologia di base. Purtroppo questo
approccio è solo raramente perseguibile e spesso
comunque con il rischio di gravi complicanze (ad
esempio quelle correlate con il trapianto allogenico di
midollo osseo per la cura dei deficit immunitari congeniti). Nell’ottica della eliminazione della condizione predisponente va anche visto l’uso del fattore di
crescita granulocitario (G-CSF) in alcune neutropenie congenite 7, e il gamma-interferon nella CGD, la
cui efficacia profilattica non è del tutto chiara 8, 9. La
periodica reintegrazione degli anticorpi nei soggetti
affetti da agammaglobulinemia congenita (XLA) ha
portato ad un deciso miglioramento della prognosi
10. Tuttavia, questi preparati, che contengono solo
IgG e tracce più o meno significative di IgM, non possono porre rimedio al deficit di IgA sieriche e secretorie. Ne consegue che nei pazienti con XLA, la terapia sostitutiva con infusione mensile di immunoglobuline non riesca a prevenire pneumopatie anche
molto gravi verosimilmente correlate a fenomeni infettivo-infiammatori ripetuti dovuti all’assenza di IgA
secretorie. Per quanto riguarda i soggetti con asplenia
le vaccinazioni contro i batteri capsulati rappresentano la più importante ed efficace misura di profilassi
delle infezioni più gravi 11. Per quanto riguarda la
chemioprofilassi farmacologica, al momento questa
risulta essere sicuramente indicata in alcune specifiche
condizioni quali co-trimossazolo 3 giorni/settimana
per la prevenzione della polmonite da P.jirovecii nei
pazienti con deficit dei linfociti T 12, dell’ itraconazolo per la prevenzione dell’aspergillosi e del co-trimossazolo per la prevenzione delle stafilococcie nei
pazienti con CGD [13-15]. Negli altri casi il rapporto
tra il beneficio atteso (riduzione delle infezioni) e i
rischi (selezione di ceppi resistenti, inefficacia) non è
mai stato correttamente valutato e la sua efficacia a lun-
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go termine potrebbe essere discutibile, come per
esempio nei soggetti aspelnici 11.
Infine molto importante può risultare la prevenzione della colonizzazione da parte di patogeni
ambientali. Il malato ricoverato in ospedale viene
rapidamente colonizzato da flora batterica di origine
ospedaliera, spesso resistente a molti antibiotici. I
mezzi idonei a prevenire almeno in parte tale fenomeno possono essere molto semplici (lavaggio delle
mani e uso di cappa e mascherina da parte del personale di assistenza con ricovero in camere non protette) o molto sofisticati (camere a flusso laminare,
ove il paziente vive in un flusso d’aria sterile e filtrata, assume antibiotici per via orale che distruggono
quasi totalmente la flora endogena intestinale, è nutrito con cibi a bassa o nulla carica batterica e non ha
alcun contatto diretto con il personale di assistenza).
Il problema è molto controverso, ma è probabile che
dal punto di vista del rapporto costo-beneficio (intendendosi per costo non solo quello economico, ma
anche quello psicologico per il paziente) le normali
cautele igienico-sanitarie (lavaggio delle mani, cappa
e mascherina, cibi cotti) diano i risultati più soddisfacenti. Ovviamente alcune di queste precauzioni,
e soprattutto il lavaggio delle mani e l’evitare il contatto con persone malate o con particolari condizoni
ambientali (per esempio muri con muffa, lavori di
ristrutturazione edile), sono importantissime anche
quando il pzaiente è a domicilio. Inoltre varrebbe la
pena di considerare la possibilità di vaccinare i contatti dei pazienti immunocompromessi (familiari, personale di assistenza in ospedale), allo scopo di ridurre il rischio di contagio del paziente.
La corretta terapia di una infezione prevede l’identificazione del patogeno e l’esecuzione di test di sensibilità ai farmaci per poter eseguire la terapia più
appropriata, considerando anche la sede dell’infezione e la cinetica dei farmaci. Tuttavia, in un paziente immunocompromesso non è sempre possibile attendere i risultati di questi esami, in quanto la gravità
dell’immunosoppressione determina la possibilità di
comparsa di quadri clinici gravi che non consentono
di attendere i risultati degli esami. Nel paziente neutropenico per chemioterapia antineoplastica questo
genere di considerazioni ha portato alla formulazione di protocolli di terapia empirica, vale a dire diretta contro i patogeni che più frequentemente causano
non solo febbre, ma anche infezioni che possono
mettere rapidamente a rischio la vita del paziente in
corso di neutropenia, in cui una terapia antibiotica
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decisa “a tavolino” e basata sul quadro clinico eventualmente presente e sulla statistica microbiologica
locale (patogeni più frequentemente isolati e loro pattern si sensibilità ai farmaci) viene iniziata immediatamente dopo l’aver prelevato campioni per gli esami
ematochimici e colturali. Questa terapia potrà poi
essere modificata, se necessario, nei giorni seguenti,
in base all’andamento clinico e ai risultati degli esami
colturali e/o di diagnostica strumentale. Questo tipo
di atteggiamento può essere esteso alla gestione del-
le infezioni in tutti i pazienti immunocompromessi: il
tipo di deficit immunitario e il quadro clinico potranno indicare i patogeni più frequentemente in causa e
suggerire la terapia iniziale dell’episodio, che potrà poi
essere modificata in base ai risultati ottenuti dagli esami, ricordando però che in caso di deficit immunitario lieve e/o di quadro clinico non a rischio di vita
potrebbe essere più utile per il paziente attendere la
risposta degli esami per poter ricevere un trattamento ottimale fin dall’inizio.
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GASLINI 2009;41:27-33
Patologia polmonare nel bambino emato-oncologico
sottoposto a trapianto di cellule staminali ematopoietiche
(TCSE)
S. PANIGADA 1, C. GARDELLA 1, N. ULLMANN 1, M FARACI 2, E. CASTAGNOLA 3, F. FIOREDDA 4, O. SACCO 1
1Unità Operativa di Pneumologia, Istituto G. Gaslini, Genova
2Unità Operativa Emato-oncologica, Istituto G. Gaslini, Genova
3Unità Operativa Malattie Infettive, Istituto G. Gaslini, Genova
I
polmoni, tra gli organi del corpo umano, sono quelli più soggetti alle malattie infettive, sia nel paziente immunocompetente che ancor più in quello immunocompromesso, fondamentalmente per due motivi.
Il primo è che i polmoni, pur essendo situati all’interno
del corpo, sono continuamente esposti agli agenti
patogeni presenti nell’ambiente, in quanto ad ogni
inspirazione viene inalata anche la parte corpuscolata presente nell’aria, che porta invariabilmente con
se una carica batterica anche in ambienti apparentemente salubri. Il secondo motivo è che i polmoni,
fungendo da filtro della circolazione, sono facilmente coinvolti nei processi infettivi che possono colpire
ogni parte del corpo.
Nel paziente immunocompromesso le complicanze infettive a carico dei polmoni sono poi molto più
frequenti rispetto ai pazienti immunocompetenti, presentano spesso evoluzione molto rapida e sono potenzialmente fatali, se non diagnosticate in tempo e trattate adeguatamente.
Lo stato di immunodeficienza può essere sia congenito che acquisito.
Gli stati di immunodeficienza congenita possono
essere dovuti, schematicamente a: 1) difetti del settore
anticorpale (X-linked a/ipo-gammaglobulinemia, vari
deficit selettivi di classi di immunoglobuline); 2) difetti del settore anticorpale e cellulare (immunodeficienza comune variabile: CVID o immunodeficienza
severa combinata: SCID; 3) immunodeficienze collegate ad altre sindromi (sindrome di Wiskott-Aldrich,
atassia-teleangectasia, sindrome di DiGeorge); 4) difetti del complemento; 5) difetti della funzione dei fagociti, tra cui la più comune è la malattia granulomatosa cronica. Nel loro insieme queste malattie congeni-
te sono per fortuna rare e colpiscono così pochi
pazienti che, a seconda del diverso difetto immunitario
congenito in gioco, presentano quadri clinici differenti e non possono essere considerati in maniera
univoca.
Gli stati di immunodeficienza acquisita si rinvengono essenzialmente: 1) nel paziente HIV positivo, in
cui però ormai da più di un decennio l’impiego della highly active antiretroviral therapy (HAART) riesce
a contrastare per un lunghissimo periodo la replicazione dell’HIV, ritardando così per un tempo al
momento non ancora definito la comparsa dell’AIDS,
e 2) nel paziente emato-oncologico o nel paziente
sottoposto a trapianto d’organo.
Attualmente la stragrande maggioranza dei pazienti con immunodeficienza sono quindi pazienti o emato-oncologici, che presentano uno stato di immunodeficienza più o meno prolungato dopo i vari cicli di
chemioterapici, oppure pazienti che hanno subito un
trapianto d’organo e che devono assumere farmaci
immunosoppressivi antirigetto. All’interno di questo
gruppo di pazienti, quelli più problematici sono poi
i pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali
emopoietiche (TCSE), che possono andare incontro a
complicanze polmonari sia infettive che non infettive,
le cui caratteristiche cliniche e radiologiche d’esordio spesso presentano aspetti similari o confondenti.
Ci limiteremo pertanto a trattare in questa sede solo
delle complicanze polmonari, sia su base infettiva
che non infettiva, dei pazienti sottoposti a TCSE, in
quanto in questi pazienti si possono ritrovare praticamente tutte le complicanze polmonari che possono
colpire il paziente immunodeficiente, con quadri clinici che per la loro complessità e differente eziologia
Autore di contatto: S. Panigada, Unità Operativa di Pneumologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147, Genova, Italia.
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TCSE
(spesso però associata ad una apparente similitudine
all’esordio) rappresentano nel loro insieme una vera
sfida clinica sia dal punto di vista diagnostico che
terapeutico.
Complicanze polmonari del paziente TCSE
Uno dei problemi principali che il medico deve
affrontare nel trattamento di questi pazienti riguarda
la diagnosi e la terapia di infiltrati polmonari, il cui sviluppo può essere un processo insidioso o presentarsi in modo acuto e con rapida progressione. Molta
letteratura che riguarda le complicanze polmonari nel
paziente TCSE è così principalmente rivolta ai molteplici problemi che insorgono nell’esecuzione di una
diagnosi corretta delle probabili complicanze infettive e non infettive, primo ed essenziale passo nel porre in atto una efficace terapia. Talvolta, inoltre, ci può
essere, a partire dal momento del TCSE, una sequenza temporale abbastanza prevedibile, di cui si deve
tenere conto per tentare di anticipare le complicanze
polmonari, infettive e non infettive, indotte sia dalla
profonda immunodepressione, sia dall’attecchimento
del midollo trapiantato.
Le infezioni polmonari nei pazienti profondamenti neutropenici, come nei primi giorni dopo il TCSE,
possono essere causate sia da batteri che da funghi che
da virus 1.
Batteri Gram-, Staphilococco aureo e Streptococchi
viridans sono cause comuni degli infiltrati polmonari durante il primo periodo neutropenico, mentre i
funghi, e specialmente l’Aspergillo, sono più comuni
durante le fasi più tardive, o anche dopo la ricostituzione del patrimonio emopoietico 2.
Durante il periodo di neutropenia, un quadro di
sindrome da di stress respiratorio (acute respiratory
distress syndrome, ARDS) o di shock settico può essere tipico della batteremia da Streptococco viridans 3,
mentre infiltrati polmonari sfumati sono comunemente associati con infezioni batteriche in generale.
Infiltrati di tipo alveolo-interstiziale con spiccata
diminuzione della saturazione del sangue in un
paziente non neutropenico deve far pensare a una
polmonite da Pneumocistis carinii o a una polmonite virale da citomegalovirus (CMV) 4.
Se il paziente è ambulatoriale ed è neutropenico, vi
è anche la possibilità che possa contrarre una polmonite da comunità, e in questo caso i patogeni che
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Figura 1. — Iniziale infiltrato interessante i segmenti posteriori del lobo
inferiore destro in paziente gravemente immunodepresso dopo TCSE
eseguito per anemia anaplastica.
Figura 2. — Quadro TAC del paziente precedente a distanza di soli tre
giorni, in cui si assisteva a rapido peggioramento clinico con comparsa
di insufficienza respiratoria. CT: evoluzione rapidamente peggiorantiva, per comparsa di estesi infiltrati, di cui uno massivo interessante
il lobo inferiore sinistro. Esami colturali: associazione tra P. aeruginosa
e Aspergillus suppurans.
si incontrano più frequentemente sono quelli che
comunemente causano le polmoniti da comunità nelle persone immunocompetenti, come lo Streptococco
pneumoniae e il Mycoplasma pneumoniae, ma con
una prognosi sicuramente più severa.
Dalle caratteristiche radiologiche dell’infiltrato polmonare si possono spesso dedurre indizi sulla natu-
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TCSE
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Figura 3. — Ife di aspergillo nel lavaggio broncoaveolare (BAL) di un
paziente con Aspergillosi polmonare. La tendenza del fungo a proliferare entro i tessuti polmonari fa sì che la possibilità di recuperare
le ife con il BAL sia un evento raro.
ra dell’agente eziologico. Nell’affermare questo non si
deve però dimenticare che spesso, quando il paziente si presenta profondamente neutropenico, come
nelle prime 2-3 settimane dopo il TCSE, l’organismo
ha difficoltà a reclutare nella sede dell’infezione polmonare un buon numero di GB provenienti dal sangue periferico, così che solo uno studio con tomografia
computerizzata (CT) del polmone eseguito in questo
periodo, fornendo una buona definizione del parenchima, riesce ad evidenziare un processo broncopneumonico anche là dove una semplice radiografia
del torace darebbe esisto sostanzialmente negativo o
al massimo dubbio 5.
I batteri causano infiltrati polmonari per lo più circoscritti a zone limitate del polmone, di cui seguono
i margini anatomici, come i lobi o segmenti, entro i
quali generano infiltrati più o meno densi, fino a localizzate aree di consolidazione. In questi casi la polmonite batterica si accompagna generalmente a emocolture positive (Figure 1, 2).
Nelle infezioni fungine nel nostro ambiente sono per
lo più dovute all’Aspergillo (Figura 3), mentre la
Candida, che pure è di gran lunga il più importante
fungo opportunistico patogeno nei pazienti immunocompromessi, dà raramente polmoniti, e la candiasi polmonare, quando si presenta, è di solito parte di un quadro di malattia disseminata da candida 6.
Le lesioni polmonari da infezione fungina sono invece per lo più focali, con immagini CT, che almeno
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Figura 4. — Iniziale aspergillosi in una paziente con LLA, profondamente neutropenica per chemioterapia. Ricerca su sangue periferico
per galactomannano positiva; CT: singolo nodulo piccolo, denso e
rotondeggiante.
Figura 5. — Evoluzione cavitaria del nodulo precedente a distanza di
13 giorni, quando la neutropenia si è ormai risolta. All’interno del
nodulo è presente residuo necrotico.
all’inizio sono generalmente piccole, dense, rotondeggianti (Figura 4). Queste poi, nel giro di pochi
giorni, aumentano notevolmente di volume e tendono a formare una zona di necrosi emorragica centrale, dovuta all’invasione da parte del fungo delle pareti vascolare presenti in loco 7. Come le lesioni aumentano di volume, possono circondarsi di un anello a
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Figura 7. — Pneumocistis jirovecii (già P. carinii) nel liquido di lavaggio broncoalveolare (BAL) di un paziente con polmonite da
Pneumocistis (colorazione di Papanicolau).
Figura 6. — Radiografia standard del torace in paziente con rapido
sviluppo di grave insufficienza respiratoria: diffuse immagini di infiltrati polmonari diffusi. Il lavaggio broncoalveolare (BAL) dimostrò
pneumocistosi polmonare.
“vetro smerigliato” 8. Tale aspetto è sufficientemente
caratteristico da dover indurre a iniziare subito terapia antifungina, anche se non si ha una ricerca positiva per Galactomannano su sangue 9. Nei giorni
seguenti, quando il livello dei neutrofili circolanti tende a ritornare alla norma (generalmente, in caso di trapianto di midollo, dopo il XIV giorno dal trapianto),
o in ogni caso quando lo stato immunosoppressivo
migliora, il centro necrotico della lesione tende a
retrarsi lasciando una cavitazione centrale che contiene
aria e residui necrotici (Figura 5). Questo segno è
comunque da considerarsi tradivo, e la diagnosi e la
terapia adeguata antifungina deve essere già in atto da
giorni. In casi di pazienti con aspergillosi polmonare
e rapida salita del numero dei neutrofili si è anche assistito ad un improvviso peggioramento delle condizioni polmonari, con comparsa di pneumotorace ed
emottisi anche fatale, proprio per l’estendersi delle
regioni necrotiche polmonari, dovute ad un’intensa
chemiotassi dei neutrofili verso le regioni di infiltrato
fungino. Proprio per evitare queste complicazioni, è
consigliabile che il numero dei granulociti neutrofili
circolanti non superi i 5-7 000/mm3 10. Nei pazienti
con lesioni polmonari cavitarie vicine all’ilo ed ai
grossi vasi si deve considerare anche la possibilità di
un intervento chirurgico d’urgenza. Un altro agente
30
fungino che può indurre infezione polmonare è la
Nocardia, la cui occorrenza è molto più rara rispetto
all’Aspergillo, rispetto a cui ha più facilmente tendenza a diffondersi anche al di fuori del polmone,
formando ascessi cutanei, nel tessuto connettivo, nel
sistema nervoso centrale.
È comunque da ricordare che anche lo
Staphilococco aureus può indurre tipicamente lesioni polmonari con necrosi centrale e cavitazione, ma
in questi casi si hanno generalmente emocolture positive per questo batterio.
Il Pneumocistis jiroveci (già P. carinii) rappresenta un’altra frequente causa di polmonite nel paziente
sottoposto a trapianto di midollo osseo (TMO), soprattutto se riceve terapia steroidea da lungo periodo per
contrastare una sindrome da rigetto (GvHD) 11. Il quadro clinico è caratterizzato da febbre, tosse, dispnea
e netta diminuzione della saturazione. A ciò corrisponde come radiografia del torace la presenza di
infiltrati non ben definiti (Figura 6), che alla CT del
torace appaiono come infiltrati alveolari a vetro smerigliato, talvolta nodulari ma anche spesso non ben
definiti. Il P. jiroveci è un patogeno che si moltiplica
negli spazi alveolari, senza aver tendenza alla diffusione all’interno del parenchima polmonare, e tali
caratteristiche di limitata invasività si traducono appunto nei quadri radiologici sopradescritti. Il suo sviluppo endobronchiale/endoalveolare lo rendono particolarmente atto ad essere recuperato con la metodi-
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ca del lavaggio broncoalveolare, come verrà specificato in seguito (Figura 7).
Tubercolosi
L’infezione da Mycobacterium tuberculosis nei
pazienti emato-oncologici spesso si presenta nella
sua forma miliare, in considerazione delle scarse difese immunitarie messe in atto dal paziente. Le infezioni da micobatteri atipici sono invece più rare.
Si devono poi anche considerare le cause di danno
polmonare non dovute a fattori infettivi, ma che egualmente possono rappresentare per il paziente gravi
complicanze. Ne elencheremo le principali:
1) ARDS: è scatenata sia da cause infettive, come la
sepsi da Streptococco viridans, ma anche da cause
non infettive, come la presenza di danno polmonare
da altre cause non infettive, come la tossicità gastrointestinale con grave mucosità, pancreatite, neutropenia. Si presenta come una grave insufficienza respiratoria con liquido a elevato contenuto proteico negli
alveoli per alterata permeabilità polmonare.
Radiologicamente presenta infiltrati multipli bilaterali, per lo più periferici, compatibili con quadro di edema polmonare 12;
2) peri-engraftment respiratory distress syndrome
(PERDS): si verifica per lo più nei pazienti con TMO
autologo, entro 4-5 giorni dal momento della risalita
dei neutrofili. Il quadro clinico è caratterizzato da febbre spesso elevata, discesa marcata della saturazione;
alla radiografia del torace presenza di infiltrati polmonari multipli. Può essere associata alla presenza
di emorragia alveolare 13;
3) polmonary cytolytic trombi: generalmente si
accompagna a GvHD acuta o cronica, è caratterizzata dalla presenza di materiale necrotico-tromboembolico nel parenchima polmonare. Clinicamente il
paziente è febbrile, alla radiografia del torace sono presenti noduli polmonari abbastanza definiti;
4) diffuse alveolar hemorrage: è caratterizzata della presenza di abbondante sangue negli alveoli, per
grave danneggiamento della barriera alveolo-capillare. Clinicamente il paziente presenta dispnea, tosse,
ipossiemia, raramente emottisi. La radiologia dimostra
infiltrati sfumati che, a differenza di quelli dell’ARDS,
sono più centrali, parailari. Si accompagna a un’alta
mortalità (70-100%) 14;
5) idiopatic pneumonia sindrome: si presenta clinicamente, in tutto e per tutto, come una polmonite:
dispnea, tosse catarrale, ipossiemia, nonché radiolo-
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Figura 8. — Bronchiolite obliterante (BO) a distanza di 11 mesi dal
TCSE da matched unrelated donors (MUD) o donatore volontario
non correlato. Il quadro CT dimostra in alcuni settori preponderanza
di componente infiammatoria peribronchiale, mentre in altri prevalgono i segni di intrappolamento d’aria con estrema rarefazione del disegno sia bronchiale che vascolare.
Figura 9. — Evoluzione di BO a distanza di 4 anni da TCSE da MUD.
Il quadro di BO è evoluto, con pressochè totale scomparsa della componente infiammatoria. Alla CT del torace il parenchima polmonare
appare gravemente impoverito sia del suo tipico disegno bronchiale
che vascolare. Il danno è presente in maniera diffusa in tutti i campi
polmonari, ove sono presenti segni diffusi di air trapping.
gicamente con infiltrati multilobulari, ma non è su
base infettiva. Spesso è associata con GvHD, CMV+ del
donatore, spesso intercorre un lungo intervallo tra la
sua occorrenza ed il trapianto. La mortalità e molto ele-
GASLINI
31
PANIGADA
TCSE
vata, fino a sfiorare il 100% se il paziente deve essere ventilato;
6) bronchiolitis obliterans organizing pneumonia:
istologicamente caratterizzata da quadri di bronchiolite obliterante associati a proliferazione intralveolare
di gettoni fibrotici (organizing pneumonia), coinvolge il parenchima polmonare per lo più non in maniera diffusa, ma più focale. Clinicamente il paziente
presenta tosse catarrale, dispnea e febbre, con alle
prove di funzionalità respiratorie un difetto di tipo
restrittivo. La CT dimostra diffuse zone di atelettasia
distribuite alla periferia polmonare, come opacità
nodulari e zone a vetro smerigliato. Si associa invariabilmente alla GvHD, può anche portare il paziente all’exitus 15;
7) bronchiolitis obliterans: lo sviluppo di reazione
infiammatoria-fibrotizzante a livello delle vie aeree
periferiche, in questi pazienti senza segni di polmonite organizzante intraalveolare, induce air trapping in
fase espiratoria, come documentato dalla CT (Figure
8, 9). A ciò corrisponde clinicamente tosse, dispnea,
wheezing e alle prove di funzionalità respiratoria un
difetto ventilatorio principalmente ostruttivo con diminuzione della capacità di diffusione polmonare (diminuzione della diffusione polmonare [diffusing capacity for carbon monoxide, DLCO]). La patologia per lo
più si associa a GvHD cronica e anche al pregresso
impiego del metotrexate. La frequenza è tra il 6% e il
20%, la mortalità molto elevata, potendo raggiungere
anche il 65% a tre anni dalla diagnosi 16.
8) delayed pulmonary toxicity syndrome: Compare
generalmente nel paziente sottoposto a TCSE autologo, preceduto dall’impiego di farmaci chemioterapici ad alte dosi. Si può presentare anche a distanza di
anni dal TCSE, clinicamente è caratterizzata da tosse,
dispnea, febbre. La DLCO si presenta diminuita, la
CT dimostra segni di polmonite interstiziale e fibrosi.
È un quadro clinico comunque nel complesso benigno, che non comporta mortalità 17.
Percorso diagnostico
In un paziente TCSE neutropenico, la comparsa di
febbre, tosse generalmente non produttiva, dispnea e
talvolta dolore toracico dovrebbe quindi far sospettare
una complicanza polmonare, anche se l’esame obiettivo non rileva zone di ottusità o rantoli. Alcuni agenti patogeni o quadri clinici non infettivi possono essere altamente improbabili, e quindi inutili da ricercare,
32
sulla base del tipo di immunodeficienza presentato dal
paziente, della presentazione clinica, del quadro radiologico e del tempo trascorso dal TCSE, ma in ogni
caso attualmente vi è un discreto consenso sulla procedura diagnostica da seguire in questi pazienti.
Si deve comunque sempre eseguire prontamente
una radiografia del torace e/o possibilmente una CT
toracica. Oltre a questi esami radiografici, vi sono poi
accertamenti che, per la loro crescente invasività,
sono generalmente stratificati in tre diversi livelli. Sta
al medico curante stabilire, in base alle condizioni
del paziente, se sia possibile procedere per gradi o se
sia più conveniente passare subito ad accertamenti
di secondo o terzo livello come nel caso di della comparsa di un’ipossiemia ingravescente.
Accertamenti di I livello
Emocolture ripetute;
1) ricerca antigeni urinari per Legionella;
2) ricerca di Mycoplasma pneumoniae, mediante
anticorpi o polymerase chain reaction (PCR) su tampone faringeo;
3) ricerca antigene Aspergillus (Platelia ELISA) su
sangue per tre giorni non consecutivi se ad alto rischio
di aspergillosi (LMA, LLA recidivate o in terapia steroidea ad alte dosi, trapianto allogenico, specie se da
donatore non consanguineo);
4) raccolta espettorato per esame diretto e colturale per germi vari, micobatteri e miceti, nonché per
esame citologico. Non c’è bisogno di sottolineare che
un campione di escreato ben eseguito, ottenuto con
tosse profonda, rappresenta un materiale di valore
diagnostico straordinario, anche se in età pediatrica
spesso è difficile ottenere un campione di vero espettorato “profondo”.
Accertamenti di II livello
Lavaggio broncoalveolare (bronchi alveolar lavage,
BAL).
La metodica consiste nell’instillare attraverso il broncoscopio nelle vie aeree più periferiche della soluzione salina, quindi aspirarla e recuperare le cellule e
gli eventuali patogeni presenti a livello del polmone
profondo/alveolare. Si possono così allestire preparati
per la ricerca diretta del Pneumocistis jiroveci, micobatteri, funghi, nonché ricerche di biologia molecolare,
come la ricerca del DNA dei micobatteri e del CMV
con tecnica PCR. Esami colturali per germi vari e miceti 18. Questa metodica è diagnostica soprattutto nel
GASLINI
Aprile 2009
TCSE
PANIGADA
caso di infezione da agenti eziologici che tendono a
diffondersi all’interno delle vie aeree, come i batteri
e/o il Pneumocistis jiroveci, mentre la sua sensibilità
è minore nel caso di infezioni fungine come
l’Aspergillo, che tende più ad invadere il parenchima
polmonare. Ma nel caso dell’infezione fungina già le
immagini CT sono abbastanza suggestive per porre
sulla giusta strada diagnostica e terapeutica. Il BAL
mantiene comunque sempre una sua indicazione diagnostica, sia nel caso di una sua positività nell’isolare l’agente eziologico, sia nel caso di una sua negatività dal punto di vista infettivologico, perché permette così di focalizzare la diagnosi più sulle complicanze di natura non infettiva, come sopra esposto 19. Ad esempio, il recupero di un BAL che nelle sue
diverse aliquote appare sempre più con contamina-
zione ematica, fa porre diagnosi certe di emorragia
alveolare, che per lo più non è una complicanza di
natura infettiva, come sopresposto.
Accertamenti di III livello
Biopsia polmonare eseguita secondo tecniche varie
(a cielo aperto, transcutanea in controllo CT), su cui
effettuare: esame istologico ed esame colturale.
L’impiego tempestivo di questo percorso diagnostico, con la conseguente pronta identificazione della causa infettiva o non infettiva in atto nel singolo
paziente dopo TMO, permette di iniziare per tempo
la più appropriata terapia e riuscire a vincere queste
complicanza polmonari, che se lasciate a sé possono
facilmente risultare fatali per il paziente.
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Vol. 41 - N. 1
GASLINI
33
CASO CLINICO
GASLINI 2009;41:35-8
Un caso di ematuria e proteinuria
G. BARBANO
Unità Operativa Complessa di Nefrologia Dialisi e Trapianto di Rene, Istituto Giannina Gaslini, Genova
Giorno 1. Ore 08,30
Dirigente medico 1 a specializzanda: Abbiamo ricoverato ieri sera un bambino di 8 anni con macroematuria e proteinuria; in anamnesi non sono stati riferiti episodi infettivi significativi nelle ultime settimane
e anche al momento attuale non vi è febbre o altri sintomi di infezione in atto. Non ho rilevato segni di
iperidratazione: non è iperteso, non ha edemi evidenti, l’addome è piano trattabile, il margine inferiore del fegato è palpabile all’arcata costale, nulla di
patologico all’ascoltazione del torace. Tuttavia, sembra sofferente. Accusa da qualche giorno addominalgie ricorrenti e dolore al fianco sinistro. Puoi fare
una accurata anamnesi in modo da preparare un programma diagnostico al più presto?
Specializzanda: Sì vado, ma gli esami che avete
fatto ieri sera che informazioni ci hanno fornito? La funzione renale è normale? Ha ipodisprotidemia? Avete
fatto il dosaggio della PCR e del C3? Siete riusciti a fare
una ecografia renale?
Dirigente medico 1: Calma, calma. Sì, abbiamo fatto tutto quello che hai chiesto tranne il C3, era tutto
nella norma. Solo allo stick urine c’era sangue ++++
proteine +++ negativi i nitriti il glucosio e la esterasi
leucocitaria.
Specializzanda: Anche l’ecografia renale era normale?
Dirigente medico 1: I reni sono risultati nella norma
per forma e dimensioni, non sono riportate dilatazioni della trafila urinaria hanno però segnalato un’ecogenicità renale incrementata a livello a livello della midollare e apicomidollare.
Specializzanda: Cerco di finire l’anamnesi al più
presto per poter discutere quali ulteriori esami fare
oggi stesso.
Dirigente medico: Accertati che abbia iniziato la
raccolta urine 24 ore, ci rivediamo più tardi per decidere quali altre analisi richiedere.
Specializzanda: Va bene a dopo.
Giorno 1. Ore 10,00
Dirigente medico 1: Allora ci sono nuovi indizi?
Specializzanda: Non è certo un caso la cui diagnosi risulti subito evidente!. Andiamo per ordine. In
famiglia abbiamo il nonno materno di 78 anni con
calcolosi renale e lieve insufficienza renale. Madre e
padre stanno bene non hanno patologie significative.
C’è un cugino di 38 anni (figlio della sorella della
madre) con una importante osteoporosi e calcolosi
renale. Il fratellino di tre anni non ha presentato problemi clinici significativi. All’anamnesi fisiologica non
sono riportati dati patologici significativi. All’anamnesi
patologica remota sono segnalati una frattura dell’ulna durante attività sportiva a 7 anni e asma allergico
dai 5 anni. All’anamnesi patologica prossima si segnala la ricorrenza da qualche giorno di dolore addominale riferito centro ombelicale non particolarmente
intenso e da ieri dolore sordo al fianco sinistro. In
occasione delle prime minzioni macroematuriche
avrebbe accusato anche una lieve disuria che è poi
scomparsa. Sulla base di questi sintomi avrei pensato ad una infezione delle vie urinarie ma non so come
spiegarmi la presenza di proteinuria e la assenza di
leucocituria allo stick urine di ieri.
Dirigente medico 1: OK non saltiamo alle conclu-
Autore di contatto: G. Barbano, Unità Operativa Complessa di Nefrologia Dialisi e Trapianto di Rene, Istituto G. Gaslini, Largo G.
Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
35
BARBANO
UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA
sioni, come proponi di procedere con le indagini?
Per prima cosa decidiamo gli esami biochimici.
Specializzanda: Sì, va bene, controllerei il C3, la proteinemia ed elettroforesi, colesterolo trigliceridi fibrinogeno, la VSE, il TASL e dnASI, farei un dosaggio Ig
(potrebbero essere elevate le IgA in caso di glomerulonefrite a depositi di IgA). Ovviamente è necessario fare un esame urine e urinocoltura. Sulla raccolta
urine valuterei proteinuria calciuria uricuria e creatininuria.
Dirigente medico 1: Pensi che dobbiamo programmare altri esami strumentali oltre all’ecografia di ieri
sera?
Specializzanda: No, vediamo i risultati degli esami
e come evolvono le condizioni cliniche. Possiamo
iniziare a fare una diagnostica differenziale alla riunione di fine mattina d’accordo?
Dirigente medico 1: Dal punto di vista terapeutico
al momento proseguirei con farmaci analgesici (paracetamolo). Data l’assenza di edemi e ipertensione,
manterrei una idratazione pari al fabbisogno più le perdite, come alimentazione prescriverei una dieta normosodica, normoproteica. È necessario un programma di controlli che comprenda la rilevazione della
diuresi e peso 2 volte al giorno, pressione arteriosa 3
volte al giorno per cogliere tempestivamente la eventuale comparsa di oliguria, ritenzione di liquidi.
Giorno 2. Ore 12,30. Riunione
Dirigente medico 2 (responsabile UOC): Chi ha fatto l’anamnesi del bambino alla stanza 7 con macroematuria e proteinuria?
Specializzanda: l’ho visto io.
Dirigente medico 2: Può impostare una diagnosi
differenziale?
Specializzanda: Va bene, partiamo dai dati clinici:
il quadro di ematuria associata a dolore addominale
e modesta disuria potrebbe essere causato da una
infezione o da una litiasi delle vie urinarie; potremmo
anche pensare ad un quadro di esordio di una glomerulonefrite ma vi sono molti elementi atipici e contrastanti quali la assenza di edemi e la pressione arteriosa normale; il dolore addominale non rientra tra i
sintomi delle glomerulopatie salvo nei pochi casi in cui
vi sia un importante edema del mesentere o un abbondante versamento addominale. Anche la disuria non
rientra nei sintomi tipici delle malattie glomerulari
36
anche se in qualche caso vi può essere a causa di
urine molto concentrate per l’oliguria e questo non è
il caso in quanto ha urinato 1,5 ml/kg/h nelle ultime
24 h (limite oliguria 0,5 ml/kg/h).
Consideriamo ora i dati biochimici e strumentali: la
assenza di leucocituria, la normalità dei parametri
infiammatori, e la assenza all’ecografia di anomalie
della morfologia dei reni e vie urinarie rendono improbabile l’infezione urinaria; è stata riscontrata una calciuria molto alta (6,5 mg/kg di peso al dì con valori
normali <a 4 e rapporto con la creatininuria di 0,75 con
valori normali <a 0,25). Questo dato potrebbe confermare il sospetto di litiasi urinaria ma alla ecografia
renale non sono stati individuati calcoli. Il riscontro di
proteinuria attorno ad 1 g/24 ore fa pensare ad una
patologia glomerulare all’esordio, tuttavia contro questa ipotesi vi sono alcuni dati (oltre a quelli clinici già
citati: assenza di edemi ed ipertensione): il C3 è normale, non vi è un quadro biochimico di sindrome
nefrosica (proteinemia albuminemia, calcemia, fibrinogeno normali, non dislipidemia,), la funzione renale escretoria è normale, alla ecografia renale è presente
un incremento dell’ecogenicità renale soprattutto a
livello della midollare e apicomidollare. Se si trattasse di una patologia glomerulare l’incremento dell’ecogenicità dovrebbe essere soprattutto corticale. Se
prendiamo il dato clinico di netto miglioramento della sintomatologia nelle ultime 12 ore (scomparsa del
dolore addominale e della macroematuria), unito al
dato anamnestico famigliare di calcolosi delle vie urinarie ed al riscontro di ipercalciuria penso che la causa più probabile delle sintomatlogia acuta possa essere stata una problematica urologica acuta quale una
microlitiasi delle vie urinarie.
Dirigente medico 2: Contro la sua ipotesi c’è il
riscontro di proteinuria e la assenza di calcoli all’ecografia renale, c’è qualche esame che si potrebbe
fare per cercare di chiarirci le idee?
Specializzanda: Proporrei di verificare un RX addome per individuare eventuali calcoli negli ureteri
(medio e distale) che talora sfuggono all’ecografia e
di rivalutare la proteinuria per distinguere se è di origine glomerulare o tubulare: pertanto doserei la
microalbuminuria (glomerulare), la alfa-1 microglobulina e la beta-2 microglobuina (aumentate nella
proteinuria tubulare). Questo potrebbe aiutarci a capire se la proteinuria è da inquadrare nell’ambito delle
glomerulopatie o del danno renale da nefropatia da
reflusso, da nefrite interstiziale o da danno tubulare in
genere.
GASLINI
Aprile 2009
UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA
BARBANO
Dirigente medico 1: Aggiungerei la valutazione della creatininuria, sodiuria, fosfaturia, glicosuria, aminoaciudria, ossaluria delle 24 h per cercare di spiegare
il quadro ecografico renale che potrebbe essere riferibile a nefrocalcinosi a mio parere. In tale prospettiva è meglio riverificare anche il pH ed i bicarbonati
venosi per escludere una acidosi tubulare. Verificherei
anche il bilancio calcio-fosforico compreso il PTH.
Dirigente medico 2: Va bene, ridiscuteremo il caso
appena abbiamo i dati nuovi.
Giorno 4. Sala riunioni
Dirigente medico 2: Come va il bambino della stanza 7?
Specializzanda: Dal punto di vista clinico non ci
sono novità, non ha più presentato ematuria né dolori addominali, idratazione e diuresi nella norma, è
normoteso.
Gli ulteriori accertamenti effettuati hanno evidenziato che la proteinuria è di origine tubulare ed in
minima parte glomerulare, non vi sono altri segni di
danno tubulare (nella norma bilancio idrosalino, acidobase, non perdita tubulare di glucosio, aminoacidi,
esclusa una sindrome di De Toni Debrè Fanconi).
All’RX addome a vuoto abbiamo individuato una formazione radioopaca di 0,4 cm nella presunta trafila urinaria di sinistra a livello del terzo distale dell’uretere.
Abbiamo ripetuto una ecografia delle vie urinarie che
sulla scorta del dato radiologico è riuscita ad individuare una formazione iperecogena con cono d’ombra
posteriore nell’uretere premurale a sinistra con asse
maggiore di 0,4-0,5 cm circa.
Dirigente medico 1: A questo punto si potrebbe
azzardare una diagnosi.
Specializzanda: Si potrebbe ipotizzare un episodio di calcolosi delle vie urinarie in un soggetto affetto da Dent’s Disease (DD). Il quadro clinico dei soggetti affetti da DD comprende ipercalciuria, proteinuria a basso peso molecolare, nefrolitiasi, nefrocalcinosi ed insufficienza renale. Il tipo I (DD1) è più
comune è una patologia ereditaria X linked causata da
mutazioni del canale del cloro CLCN-5. Recentemente
è stato dimostrato che anche mutazioni del gene
OCRL1 (responsabile della sindrome di Lowe caratterizzata da tubulopatia di Fanconi, anomalie oculari
e ritardo mentale severo con importanti turbe comportamentali) possono associarsi ad un fenotipo simile alla DD (Dent 2 disease DD2).
Vol. 41 - N. 1
Dirigente medico 2: I criteri diagnostici sembrano
esserci tutti: nefrocalcinosi, ipercalciuria, calcolosi
renale, per fortuna al momento non vi è insufficienza renale, per quanto riguarda l’ereditarietà, l’anamnesi famigliare suggerisce una trasmissione X-linked
visto che il nonno ed un cugino hanno già presentato calcolosi renale 1-3.
Specializzanda: A questo punto qual è il programma terapeutico?
Dirigente medico 2: Per quanto riguarda la terapia
bisogna scindere il problema acuto del calcolo dalla
patologia di base.
Il problema della gestione di un calcolo ureterale è
molto complesso, al momento limitiamoci ad iniziare una terapia idratante per os ed eventualmente
anche endovenosa (avendo escluso una glomerulopatia in atto il bambino non presenta rischi eccessivi
di sovraccarico idrico) per favorire l’espulsione spontanea del calcolo.
Le dimensioni sono tali che non si può escludere
che si renda necessaria una diagnostica urologica più
approfondita per verificare che il rene sinistro abbia
una funzione adeguata e che non vi siano ostacoli
lungo il deflusso ureterale. Su tale base si valuterà se
attendere una espulsione spontanea del calcolo verificando la trafila urinaria longitudinalmente con ecografia o procedere a trattamenti urologici invasivi (litotrissia endoscopica o extracorporea, estrazione del
calcolo con strumenti endoscopici/chirurgicamente
ecc.).
Per quanto riguarda la patologia di base è necessario
contrastare il rischio di progressione della nefrocalcinosi e della formazione di calcoli.
Si deve pertanto agire nelle seguenti direzioni:
1) mantenere un abbondante apporto idrico quotidiano cercando di raggiungere 2 l/m2 di acqua oligominerale al giorno;
2) prescrivere un’alimentazione mirata ad un basso apporto di cloruro di sodio (idealmente a fabbisogno) e mantenere un apporto di proteine non eccessivo; l’apporto di calcio quotidiano deve essere di
poco superiore al fabbisogno per l’età (evitare una dieta ipocalcica perché non riduce o addirittura aumenta per taluni autori il rischio di precipitazione di calcoli e aumenta il rischio di demineralizzazione ossea);
3) prescrivere un’assunzione quotidiana di citrati
ed in particolare citrato di potassio e magnesio che si
è dimostrato il miglior presidio terapeutico per contrastare la precipitazione del calcio urinario; indicativamente la dose iniziale può essere di 0,5 g 2 volte al
GASLINI
37
BARBANO
UN CASO DI EMATURIA E PROTEINURIA
giorno incrementabile a 1 g 2 volte al giorno; si deve
evitare di superare un pH urine di 7 in quanto in tale
caso si perde in parte il benefico della supplementazione con citrati in quanto a pH urine superiore a 7
diminuisce la solubilità del calcio nelle urine 4-6.
Specializzanda: E dal punto di vista prognostico
cosa possiamo dire alla famiglia?
Dirigente medico 1: Nella definizione della malattia
di Dent c’è il concetto della progressione del danno
renale fino all’insufficienza renale. Tuttavia, nella
nostra esperienza che comprende 15 bambini (14
DD1 e 1 DD2 tutti caratterizzati geneticamente), con
un follow-up medio di 9±5 anni, in nessuno abbiamo
osservato una progressione verso l’insufficienza renale. Anche per la formazione di calcoli, non abbiamo
avuto alcun nuovo episodio di nefrolitiasi dopo posta
la diagnosi. Per quanto riguarda il rischio di demineralizzazione ossea, al momento le indagini effettuate
(osteosonografia ogni 6 mesi associata a densitome-
tria ossea ogni 2 anni) non evidenziano importanti
problemi di osteoporosi. Siamo convinti che il programma terapeutico che proponiamo possa prevenire o perlomeno molto rallentare la progressione del
danno renale. Al tempo stesso la prescrizione di un
apporto bilanciato di calcio ha permesso di mantenere
un sufficiente tono calcico osseo. Teniamo presente
che le prime casistiche descritte di pazienti con Dent’s
Disease comprendevano adulti che molto probabilmente non avevano effettuato alcun trattamento preventivo o al contrario non avendo conoscenza di tale
patologia potevano aver seguito schemi alimentari
del tutto inadeguati.
Dirigente medico 2: In conclusione, consiglio di
chiedere il consenso per la diagnostica molecolare
alla famiglia. Dopo aver spiegato la patologia che
riteniamo sia in causa, consiglio di fornire alla famiglia una consulenza dietologica per meglio organizzare
l’alimentazione del bambino a domicilio.
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38
GASLINI
Aprile 2009
DIAGNOSTICA
GASLINI 2009;41:39-41
I test allergici di terzo livello
G. MELIOLI
Area di Aggregazione Dipartimentale di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, Laboratorio Centrale di Analisi,
Istituto G. Gaslini, Genova
L
a diagnostica allergologica di primo livello si basa
classicamente su un’anamnesi accurata e su indagini in vivo, quali i test cutanei. Le indagini di secondo e terzo livello, effettuate in vitro sul siero le paziente servono a supportare o meglio definire la diagnosi basata sulle evidenze raccolte nel corso del primo
livello.
Le indagini di secondo livello sono state sviluppate alla fine degli anni Sessanta, quando, con la scoperta
di un mieloma IgE e la produzione di un antisiero
anti-IgE, è stato possibile costruire un test denominato
radio allergo sorbent test (RAST) che consentiva, con
una tecnica relativamente semplice, di dimostrare la
presenza di IgE dirette contro un particolare allergene. Nei periodi successivi il test è stato ulteriormente
migliorato e oggi abbiamo a disposizione nuove tecnologie altamente automatizzate ed affidabili.
Attualmente, la ricerca delle IgE specifiche per uno o
più allergeni viene effettuata con tecniche di immunoenzimatica o di chemiluminescenza altamente affidabili e completamente automatizzate. L’introduzione
di pannelli concordati con gli allergologi clinici e di
miscele di allergeni appartenenti alla stessa famiglia
(per esempio, graminacee, alberi ecc.) ha consentito
un’indagine completa anche nei casi con scarse notizie cliniche.
Il reale salto di qualità in questo settore è avvenuto con l’introduzione degli allergeni ricombinanti e
con lo sviluppo delle tecniche di microarray (derivate dalla proteomica). Queste tecnologie costituiscono
una parte significativa della diagnostica di terzo livello in allergologia.
Gli allergeni ricombinanti sono stati introdotti nella diagnostica allergologica con l’intenzione di identificare la molecola che era realmente responsabile
della sensibilizzazione. Malgrado queste tecnologie
abbiano ancora portato a un uso di vaccini ricombinanti solo in situazione molto ben definite, i vantaggi dall’introduzione delle molecole ricombinanti in
diagnostica in vitro sono stati sostanziali e possono
essere riassunti nella metodologia della Component
Resolved Diagnosis (CRD). La CDR consente non solo
di identificare la reale causa dell’allergia, ma anche,
conoscendo la distribuzione e le eventuali cross reattività presenti in natura per quella specifica molecola, di fornire al clinico una serie di indicazioni che
consentono di gestire meglio il paziente. Queste indicazioni sono tali da ridurre la carica “allergenica” cui
il paziente stesso viene a contatto, favorendo la risoluzione di quadri sintomatologici talora complessi
(come la sindrome allergica orale nei suoi vari gradi
di gravità). La riduzione della carica allergenica è una
delle strategie classiche dell’allergologia, in quanto
da sempre si è suggerito al paziente di “stare lontano”
dalle sostanze o dagli ambienti nei confronti dei quali era sensibilizzato. La novità legata alla CRD si basa
sul fatto che la molecola “allergenica”, identificata
con tecniche ricombinanti, può essere presente sia
nell’allergene di riferimento, quanto pure in altri allergeni (che, per esempio, non vengono inalati ma vengono ingeriti). Un esempio è l’allergia alla betulla che,
se confermata con tecniche di terzo livello, documenta la specifica reattività verso BET-v 1, una molecola presente anche in numerosi altri sistemi (per
Ringraziamenti. — Questa esperienza non sarebbe stata possibile senza la collaborazione del personale del Laboratorio Centrale di Analisi
e dei colleghi medici del Centro per le Malattie Allergiche dell’Istituto G. Gaslini di Genova.
Autore di contatto: G. Melioli, Area di Aggregazione Dipartimentale di Medicina Sperimentale e di Laboratorio, Laboratorio Centrale di
Analisi, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
39
MELIOLI
I TEST ALLERGICI DI TERZO LIVELLO
esempio, alimenti come albicocca, ciliegia, mela, pesca
ecc.).
Le tecniche di Microarray (denominate ISAC da
Immuno Solid-phase Allergen Chip), in quest’ottica, si
integrano estremamente bene con l’utilizzo di molecole ricombinanti (o altrimenti purificate), dal momento che tanto maggiore è il numero di reagenti “spottato” sul microarray, tanto migliori sono le chance di
una diagnosi esaustiva e tanto più approfondita è la
caratterizzazione dello spettro di reattività IgE mediate del paziente stesso (Figura 1).
È interessante notare che le tecniche basate su allergeni ricombinanti sono in genere utilizzate come completamento di un’indagine classica di primo e secondo
livello: in altre parole, in presenza di un allergene (per
esempio, una graminacea come Phleum p.), vengono
studiate altre molecole come le profiline, che rappresentano antigeni “comuni” a molti sistemi e quindi possono giustificare quadri clinici complessi o parziali
insuccessi dell’immunoterapia. Al contrario, ISAC ha
la caratteristica di analizzare 103 (attualmente) allergeni, in un’unica seduta analitica, consentendo quindi
Figura 1.
PB
10 5
10
10
10
Q1
Q1
2
10
-144
10 5
Q2 (CD63+)
4
CD63 FITC-A
10
4
Q2 (CD63+)
Q4 (CD63+)
Q3
0
10 2
10 3
10 4
CCR3 PE-A
10 5
-171 0 10
10 5
10 3
10 4
CCR3 PE-A
5
10
10 3
10 4
CCR3 PE-A
-132 0 10
Q4 (CD63+)
10 2
10 2
D farinae
2
Q1
0
0
-135
3
CD63 FITC-A
10
10
10 5
5
10
5
4
3
-131 0 10
10 3
10 4
CCR3 PE-A
Q4 (CD63+)
Q3
PC2
2
-160
10 4
CD63 FITC-A
10 2
-108
Q2 (CD63+)
Q3
Q1
2
Q4 (CD63+)
Q3
0
-142 0 10
200
250
(x 1 000)
Q2 (CD63+)
3
100
150
SSC-A
10 3
10 5
50
Q1
PC1
CD63 FITC-A
D Pteronyssinus
Q2 (CD63+)
10 4
-89 0 10
10 3
CD63 FITC-A
2
-108 0 10
10 3
Basofili
2
CCR3 PE-A
10 4
10 5
PB
-134
Q4 (CD63+)
Q3
0
10 2
10 3
10 4
CCR3 PE-A
10 5
Figura 2.
40
GASLINI
Aprile 2009
I TEST ALLERGICI DI TERZO LIVELLO
MELIOLI
di associare una diagnostica di secondo livello (documentazione delle IgE specifiche per varie categorie di
allergeni) con la CRD, dal momento che molti omologhi (Bet-V1, profiline, Lipid Transfer Proteins ecc.) sono
ben rappresentati all’interno dell’array. Resta il fatto
che non è ancora chiaro se l’analisi di una singola allergene (per esempio, una molecola ricombinante di
Paritaria j.) sia rappresentativa di tutte le possibili specificità dirette contro quell’allergene.
Nella diagnostica di terzo livello in allergologia vengono inserite anche alcune indagini, quali il dosaggio
della triptasi o il dosaggio della proteina cationica
degli eosinofili (ECP) che hanno un significato clinico specifico nella diagnostica delle anafilassi (per la
triptasi) e nel monitoraggio della sintomatologia allergica e del suo trattamento (per la ECP).
Infine, nella diagnostica di terzo livello, da qualche anno, si include anche la documentazione dell’attivazione dei basofili del sangue periferico dopo cocoltivazione con un allergene. In questo caso, la presenza di una sensibilizzazione verso un allergene vie-
Vol. 41 - N. 1
ne dimostrata identificando basofili circolanti con l’anticorpo monoclonale anti-CD63 e verificandone l’attivazione sulla base dell’incremento dell’espressione
di CCR3, molecola espressa dai basofili a seguito di stimolazione allergene-mediata (Figura 2). Le indicazioni di questo tipo di indagine sono le allergie a
veleno di imenotteri, agli antibiotici beta-lattamici,
all’aspirina ed altri anti-infiammatori non steroidei,
agli anestetici, ai cibi e suoi additivi.
È chiaro che una diagnostica moderna dell’allergia
deve prevedere un uso integrato di tutti questi strumenti. Infatti, una anamnesi accurata ed un pannello
di test cutanei sono sufficienti per diagnosticare una
malattia allergica (per esempio, una rinite stagionale)
e per iniziare un trattamento farmacologico. Al contrario, quando l’approccio terapeutico è più impegnativo, la sintomatologia è più complessa (a causa di
cross-reazioni) o la natura IgE mediata non è stata
definita con certezza, tutte le altre indagini possono
essere sicuramente indicate, ognuna per il significato
che potrà dare con i suoi risultati.
GASLINI
41
GASLINI 2009;41:43-7
Acne volgare: le 10 domande più frequenti
M. MONTINARI, G. VIGLIZZO, C. OCCELLA
Unità Operativa Complessa di Dermatologia, Istituto G. Gaslini, Genova
Cos’è l’acne?
L’acne volgare è una patologia infiammatoria polimorfa del follicolo pilo-sebaceo caratterizzata dalla
comparsa di comedoni, papule, pustole e, più raramente, di noduli o cisti a carico del volto e spesso
anche del tronco. È una delle più comuni malattie
dell’età adolescenziale, iniziando tipicamente in epoca pre-puberale (10-12 anni) e interessando, secondo
alcune stime, addirittura più del 90% della popolazione giovanile.
L’acne di solito raggiunge la sua massima espressione clinica tra i 14 e i 17 anni per poi regredire
intorno ai 20 anni, anche se tende a persistere nel
10% degli adulti, prevalentemente in soggetti di sesso femminile.
L’acne si manifesta quando intervengono modificazioni della funzionalità dell’unità pilo-sebacea, indotte da fattori genetici, ormonali (androgeni) e ambientali, che in tempi successivi determinano lo sviluppo
delle lesioni acneiche:
— ispessimento dello strato corneo che riveste il
canale pilo-sebaceo a livello della sua parte più superficiale (acroinfundibolo), volgarmente definito come
“poro”, con formazione di un tappo di cheratina che
impedisce il flusso del sebo in superficie; si forma
così la lesione iniziale dell’acne definita come microcomedone; da questo derivano poi i comedoni veri e
propri, aperti (punti neri) e chiusi (punti bianchi);
— aumento della produzione di sebo da parte delle ghiandole sebacee;
— proliferazione all’interno del comedone di numerosi batteri (Cocchi Gram positivi, difteroidi anaerobi,
lieviti lipofili); in particolare il Propionibacterium
acnes (P.Acnes) possiede delle lipasi in grado di idrolizzare i trigliceridi del sebo ad acidi grassi liberi, dotati di attività chemiotattica nei confronti dei neutrofili,
che quindi vengono richiamati in sede comedonica,
liberando mediatori flogogeni che danneggiano i tessuti. Ciò può determinare la rottura della parete follicolare con liberazione del contenuto comedonico
nel derma. Tale evento è responsabile dell’evoluzione infiammatorie dei comedoni in lesioni più importanti, quali papule, pustole, noduli, cisti, seni di drenaggio e infine cicatrici tipiche delle forme più impegnative di acne.
L’acne colpisce solo gli adolescenti?
Effettivamente no. Pur essendo molto più frequente nell’epoca della pubertà e dell’adolescenza, l’acne
può colpire soggetti di differenti fasce d’età fra cui
anche neonati e bambini. L’acne neonatale, già presente alla nascita o a esordio nelle prime settimane di
vita, si caratterizza per la presenza di comedoni chiusi e, più raramente, di papule e pustole localizzate in
corrispondenza di fronte, naso e guance, con incidenza simile in entrambi i sessi. La patologia ha un
decorso benigno, con tendenza alla guarigione spontanea nell’arco di circa tre mesi, senza esiti cicatriziali. La patogenesi sembra essere legata alla stimolazione delle ghiandole sebacee neonatali da parte di
androgeni di origine materna e fetale.
L’acne infantile si manifesta invece tra il terzo e il
sesto mese di vita, con lesioni comedoniche e papulo-pustolose localizzate al viso, specie alle guance. A
differenza dell’acne neonatale, la patologia tende ad
Autore di contatto: M. Montinari, Unità Operativa Complessa di Dermatologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
43
MONTINARI
ACNE VOLGARE
TABELLA II. — Terapia per l’acne.
Moderata
Comedonica
Retinoide topico o acido
azelaico o BPO
Severa
Papulo-pustolosa
Antibiotico topico e retinoide topico o acido
azelaico o BPO
Papulo-pustolosa
Nodulare
Antibiotico orale e retinoide topico +/- BPO
Antibiotico orale e retinoide topico e BPO
Conglobata
Isotretinoina orale
Alte dosi di antibiotico
orale e retinoide topico e BPO
Cosmetici antiacne
Cosmetici antiacne
Femminile: pillola ±
ciproterone acetato
assumere decorso cronico, con tendenza alla risoluzione spontanea verso i 4-5 anni; la patogenesi è
incerta, anche se, nei casi gravi, il dosaggio degli
ormoni androgeni può rivelare la presenza di una
disendocrinopatia.
Quando e come trattare l’acne?
L’acne, come ogni altra patologia, può essere distinta secondo gravità e trattata di conseguenza. Seppur
è vero che alcune forme di acne lieve possono andare incontro a risoluzione spontanea, non bisogna sottovalutare l’impatto psicologico che anche un’acne
di questo tipo può avere sulla quotidianità di un adolescente; inoltre, talvolta anche un’acne lieve, se trascurata, può, su cuti predisposte, dar luogo a esiti
cicatriziali inestetici e spesso di difficile trattamento.
Proprio per questo, avendo a disposizione numerosi
e validi ausili terapeutici, è bene saper prescrivere al
nostro giovane paziente la cura più idonea al suo tipo
di acne facendogli ben capire che la terapia va seguita con continuità.
La terapia locale specifica (creme, gel, lozioni) può
essere sufficiente a controllare un’acne lieve, ma nelle forme più gravi deve essere sempre affiancata da un
trattamento sistemico.
Definiamo un’acne “lieve” quando il paziente presenta solo lesioni comedoniche o poche lesioni papulo-pustolose (<10). In questo caso gli agenti cheratolitici sono il cardine della terapia, avendo l’effetto di
ridurre l’ostruzione follicolare, prevenendo non solo
la formazione dei comedoni stessi, ma l’evoluzione
infiammatoria successiva.
44
Femminile: pillola ±
ciproterone acetato
Femminile: pillola ±
ciproterone acetato
Gli agenti cheratolitici di uso topico più comune
sono rappresentati dai retinoidi (derivati della vitamina A), come l’adapalene, l’isotretinoina e la tretinoina. Va sottolineato che tali prodotti sono irritanti per
le pelli più delicate e causano frequentemente rossore, bruciore e secchezza cutanea con fine desquamazione; inoltre, essi ed in particolare la tretinoina, rendono la pelle più sensibile all’esposizione solare, per
cui è opportuno associare filtri protettivi, evitare forti insolazioni e ridurre il trattamento nel periodo estivo.
I possibili effetti collaterali dei retinoidi possono
essere prevenuti modulando la frequenza di applicazione in base alla tollerabilità e/o alternando agli stessi topici creme lenitive ed emollienti non grasse.
Generalmente tali terapie richiedono una sola applicazione giornaliera, per una durata del trattamento
di almeno 12 settimane; si può procedere poi a terapia di mantenimento con creme a base di acido azelaico ben tollerato e dotato di una discreta attività
comedonolitica, antibatterica e antinfiammatoria
Nelle forme infiammatorie (presenza di pustole) si
associano antibiotici topici (generalmente la clindamicina e la eritromicina) per controllare la flora
microbica cutanea. Essi riducono la densità del P.Acnes
e conseguentemente l’infiammazione correlata al germe, ma non dovrebbero essere utilizzati per più di tre
mesi per evitare la selezione di ceppi batterici resistenti.
Una valida alternativa agli antibiotici è rappresentata dal benzoil perossido (BPO) battericida nei
confronti del P.Acnes, in grado di eliminare il 90%
del microrganismo dalle zone trattate in pochi giorni
di applicazione.
GASLINI
Aprile 2009
ACNE VOLGARE
MONTINARI
Recentemente sono state introdotte in commercio,
al fine di migliorare la compliance (cura più semplice) e l’efficacia (azione contemporanea su più fattori casuali) della terapia topica, associazione fisse di
principi attivi: 1) adapalene – benzoil perossido; 2)
clindamicina benzoil perossido.
Validi ausili terapeutici nell’acne lieve, soprattutto nel
caso di pazienti di giovanissima età mai precedentemente trattati, o nel caso si voglia potenziare l’attività cheratolitica e favorire l’assorbimento di altri prodotti, sono i cosmetici antiacne, contenenti molecole
ad azione blandamente esfoliante come gli ⟨-idrossiacidi o l’acido salicilico a bassa concentrazione.
Nell’acne moderata e severa, quando siamo cioè
di fronte a numerose lesioni papulo-pustolose o nodulari, la terapia sistemica è fondamentale e si avvale
in primo luogo degli antibiotici. Raramente in età
pediatrica si ricorre alla terapia antibiotica sistemica prima dei 14 anni, limitandone l’impiego ai casi di effettiva necessità: presenza di manifestazioni infiammatorie
pustolose, cistico-nodulari suppurative, a forte rischio
di gravi esiti cicatriziali. La terapia antibiotica riduce
non solo il numero dei batteri, ma interferisce direttamente sui meccanismi infiammatori. Le tetracicline
sono i farmaci di prima scelta nell’antibiotico-terapia
dell’acne, mentre i macrolidi (azitromicina, josamicina, eritromicina) sono considerati come farmaci alternativi (in età prepuberale). Nell’ambito delle tetracicline, peraltro, sono da preferire le cicline di seconda generazione (doxiciclina, limeciclina, minociclina,
metaciclina) rispetto a quelle di prima (tetraciclina
cloridrato e oxitetraciclina), in virtù del loro più favorevole profilo farmacocinetico, senza però dimenticare
la possibilità di effetti collaterali quali disturbi gastrointestinali, fototossicità, iperpigmentazione cutanea,
discromie a carico dei denti. La nostra esperienza ci
porta generalmente a prescrivere con più tranquillità
la limeciclina e la metaciclina, in considerazione della migliore tollerabilità. La posologia varia a seconda
della molecola; per la limeciclina e la metaciclina, ad
esempio, la posologia raccomandata è di 300 mg/die
per almeno tre mesi, ma non oltre, perché incrementeremmo il rischio di creare delle antibiotico-resistenze.
È comunque sempre opportuno associare la terapia
topica cheratolitica, precedentemente descritta, al fine
di accelerare i miglioramenti, eventualmente da proseguire come terapia di mantenimento e prevenzione
per almeno sei mesi.
Ottimi risultati nell’acne severa tendente a lasciare
Vol. 41 - N. 1
permanenti e deturpanti esiti cicatriziali, si sono raggiunti con l’uso dell’isotretinoina per via sistemica
(orale), farmaco da usare sotto strettissimo controllo
medico, a causa dei frequenti e non sottovalutabili
effetti collaterali (xerosi, cheilite, dolori muscolari,
dolori ossei, ipertrigliceridemia, iperostosi vertebrale)
nonché del suo marcato effetto teratogeno; il suo uso
richiede insomma un’attentissima selezione dei pazienti e si usa raramente in età pediatrica.
E la pillola?
La terapia ormonale è un’importante opzione per le
pazienti acneiche, indipendentemente dal fatto che i
loro livelli ematici di androgeni siano elevati o meno.
In particolare é necessaria in quei casi di acne che
non rispondono alle terapie classiche e che si associano
a segni clinici e laboratoristici e/o strumentali ben
documentati di iperandrogenismo (ovaio micropolicistico, sindrome dell’ovaio policistico, ecc.) associati o meno alla sindrome metabolica. In casi particolari si potrà quindi inserire una terapia ormonale (estrogeno e clormadinone, estrogeno e ciproterone acetato). Quest’ultimo è efficace nel blocco dei recettori
per gli androgeni nella ghiandola sebacea (Tabella I).
5) Che tipo di detergente utilizzare?
Nella scelta del detergente da consigliare a un
paziente acneico, si deve tener conto di numerose
variabili, tra cui tipo di cute e soprattutto tipo di trattamento prescritto.
Nelle forme di acne lieve si utilizzano detergenti
liquidi addizionati con sostanze seboregolatrici o cheratolitiche (acido salicilico, idrossiacidi, ecc.) in grado
di rimuovere i tappi che chiudono gli ostii follicolari.
Al contrario, nelle forme importanti di acne, quando l’applicazione di topici quali retinoidi e benzoilperossido può indurre irritazione e intensa xerosi
cutanea, sarà bene prescrivere detergenti molto delicati (syndet) associati a sostanze idratanti e ad antisettici (clorexidina).
Quando l’acne è sotto controllo e persiste solo un
eccesso di sebo (seborrea) è opportuno detergere la
pelle mattina e sera con prodotti formulati in latte o
gel, a risciacquo, capaci di pulire grazie a sistemi
lipoaffini e a tensioattivi innocui.
GASLINI
45
MONTINARI
ACNE VOLGARE
Ci si può truccare con l’acne?
Sì, a patto di utilizzare correttori del colore anallergici, privi di fragranze, non fotosensibilizzanti, non
comedogenici e possibilmente dotati di uno schermo
solare.
Bisogna fare degli esami del sangue?
I dosaggi ormonali sono indicati in casi di ragazze
in cui si sospetti iperandrogenismo (ovarico, surrenalico, ecc.), quando l’acne (spesso associata a obesità, irsutismo, seborrea, perdita di capelli) esordisce
rapidamente e in maniera severa, resiste alla terapia
convenzionale o peggiora in breve tempo dopo la
sospensione della terapia specifica. Gli ormoni da
dosare sono il testosterone, libero e totale, il DHEAS,
il ∆-4-androstenedione, il rapporto LH/FSH, la prolattina, il 17-OH-progesterone e la SHBG.
Ci si può esporre al sole?
La maggior parte dei pazienti e ancora tanti medici reputano che l’esposizione al sole apporti benefici
alle lesioni acneiche. Diversi fattori contribuiscono a
questa opinione, tra cui: la pigmentazione melanica
che genera un camouflage naturale, il leggero effetto peeling generato dalle immersioni in acqua salata
e la parziale riduzione delle papulo-pustole ascrivibile
all’effetto immunomodulante-antinfiammatorio determinato dagli ultravioletti (UV). In realtà gli UV sono
in grado di stimolare la comedogenesi, per cui spesso si assiste a un peggioramento della malattia nel
periodo immediatamente successivo all’estate. Bisogna
poi considerare il ruolo pro-acneico, non trascurabile di cosmetici (emulsioni idratanti, prodotti solari,
ecc.) eccessivamente sostantivi o addirittura oleosi,
che creano un effetto occlusivo; è quindi importante
saper consigliare ai pazienti uno schermo solare adatto al loro tipo di pelle. Inoltre, le condizioni meteorologiche tipiche dell’estate mediterranea, caratterizzate da caldo-umido, comportano talvolta il rigonfiamento dello strato corneo, con effetto occlusivo a
livello dell’ostio follicolare, nonché facile colonizzazione batterica con l’induzioni di follicoliti sovrapposte all’acne.
Infine, vale la pena di ricordare che molti dei farmaci
46
utilizzati per l’acne, sia topici che sistemici, sono fotosensibilizzanti, per cui è prudente sospenderli in caso
di fotoesposizione importante e nel periodo estivo.
La dieta influenza l’acne?
Nella maggior parte dei casi non esiste una relazione
fra dieta e acne. Ciò detto, se un paziente è convinto
(a torto o a ragione) che un alimento possa peggiorargli l’acne, non vale la pena cercare di convincerlo
del contrario! Una causa certa di acne a livello dietetico è costituita dal consumo di iodio; in questa ottica sono da evitare diete a base di alghe o altri insoliti regimi alimentari che possono contenere un eccesso di ioduri. Bisogna anche sottolineare come le diete intensive combinate magari con un forte stress fisico, possano aumentare il rilascio di androgeni e quindi, potenzialmente, peggiorare l’acne. Recenti studi,
inoltre, hanno messo in luce il possibile ruolo patogenetico del latte, probabilmente a causa della presenza di ormoni, ma non si dispone ancora di dati definitivi. Nelle ragazze con PCOS e sindrome metabolica (con resistenza all’insulina) è opportuno suggerire una dieta ricca di fibre, legumi, ortaggi, farinacei
integrali, olio extravergine di oliva, pesce azzurro,
frutta, con supplementazioni di minerali quali rame e
zinco.
Qual è l’impatto dell’acne sulla qualità di vita di
un adolescente?
Le lesioni acneiche, localizzate prevalentemente al
viso, sono in genere poco accettate e hanno effetti
negativi sulla vita psicologica degli adolescenti (specie nelle ragazze) provocando spesso profonde turbe
emozionali, quali depressione, ansia, rabbia, immagine
alterata del corpo (dismorfofobia) e isolamento dalla
vita sociale, con calo del rendimento scolastico e peggioramento della qualità di vita. Sebbene tali problematiche si associno più comunemente a forme gravi
di acne, la percezione che il paziente ha della gravità
della propria malattia sembra incidere in misura maggiore rispetto alla reale severità delle lesioni. Per questo motivo anche nelle forme lievi e moderate è importante considerare e mai sottovalutare lo stato psicologico dei pazienti curando con determinazione la
malattia.
GASLINI
Aprile 2009
ACNE VOLGARE
MONTINARI
E se non fosse acne?
La diagnosi dell’acne, di solito, non presenta difficoltà per un occhio esperto. Tuttavia ci sono numerose
dermatosi del volto che possono simulare un’acne,
per cui è sempre bene non porre la diagnosi con
troppa superficialità. Tra le più frequenti “simulatrici”
in età adolescenziale ricordiamo: le eruzioni acneiformi da farmaci (corticosteroidi, vitamina B1, B6, B12
alogeni [iodio, cloro, bromo], anticonvulsivanti, litio,
fenobarbital, ciclosporina, ecc.), la dermatite periorale,
le follicoliti, le verruche piane, il mollusco contagioso, i grani di miglio, gli adenomi sebacei della sclerosi
tuberosa.
Bibliografia
1. Dréno B, Bettoli V, Ochsendorf F, Perez-Lopez M, Mobacken H, Degreef H et al. An expert view on the treatment of acne with systemic
antibiotics and/or oral isotretinoin in the light of the new European recommendations. Eur J Dermatol 2006;16:565-71.
2. Adebamowo CA, Spiegelman D, Berkey CS, Danby FW, Rockett HH, Colditz GA et al. Milk consumption and acne in teenaged boys. J
Am Acad Dermatol 2008;58:787-93.
3. Adebamowo CA, Spiegelman D, Danby FW, Frazier AL, Willett WC, Holmes MD. High school dietary dairy intake and teenage acne. J
Am Acad Dermatol 2005;52:207-14.
4. Danby FW. Acne and milk, the diet myth, and beyond. J Am Acad Dermatol 2005;52:360-2.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
47
QUIZ DERMATOLOGICO
GASLINI 2009;41:49-50
Una sindrome “indimenticabile”
M. MONTINARI, G.VIGLIZZO, O.NEMELKA, D.BLEIDL, C.OCCELLA
Unità Operativa di Dermatologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova
S
.L., bambina di 12 anni, giungeva alla nostra osservazione dal Pronto Soccorso presentando da 4
giorni un’eruzione di maculo-papule confluenti eritematose ed intensamente pruriginose disposte in
maniera simmetrica sulla faccia posteriore delle cosce
e sui glutei (Figura 1), sui cavi poplitei (Figura 2), sul
collo, sulla faccia mediale di braccia e avambraccia e
cavi ascellari.
La paziente era in buone condizioni generali, non
presentava febbre, astenia o artralgie. L’esame obiettivo generale era negativo.
La mamma negava l’assunzione di farmaci nei giorni
precedenti la comparsa dell’eruzione.
Vista la peculiare topografia della dermatite, si
approfondiva l’anamnesi riguardo al contatto con
mercurio e derivati.
La mamma, in effetti, riferiva di aver rotto un termometro misurando la temperatura alla figlia circa
10 giorni prima.
Sono stati applicati patch test, serie SIDAPA, integrata con mercuriali.
Figura 1. — Eruzione di maculo-papule confluenti eritematose su
cosce e glutei.
Figura 2.—Maculo-papule sui cavi poplitei.
Qual’ è la diagnosi?
Autore di contatto: M. Montinari, Unità Operativa di Dermatologia, Istituto Giannina Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
49
MONTINARI
UNA SINDROME “INDIMENTICABILE”
Baboon syndrome (sindrome del babbuino)
È stata formulata la diagnosi di Baboon syndrome
causata dal contatto con il mercurio fuoriuscito dopo
la rottura di un termometro.
La Baboon syndrome è così chiamata per la caratteristica disposizione delle lesioni eritematose che spesso interessano simmetricamente i glutei configurando
un quadro che ricorda il posteriore di un babbuino; si
tratta di una dermatite da contatto generalizzata che
insorge dopo ingestione o assorbimento sistemico per
contatto o inalazione dell’allergene in individui precedentemente sensibilizzati dall’esposizione topica allo
stesso allergene. Il fenomeno della sensibilizzazione
al mercurio in età pediatrica non è raro. E' probabilmente dovuto all'uso di antisettici in epoca neonatale
(merbromina) o alla presenza di etilmercurio salicilato
(thimerosal, thiomersal) nei vaccini.
La sindrome è più frequentemente scatenata dalla
assunzione di antibiotici beta lattamici e dal contatto
con mercurio (spesso dopo la rottura di un termometro) 1, 2.
Come nel nostro caso, l’eruzione insorge nell’area
dell’inguine, delle ascelle, del collo e della fossa
poplitea, zone dove sono abbondanti le ghiandole
sudoripare; è stato suggerito che il mercurio entri in
circolo tramite l’inalazione dei vapori (il mercurio è il
più volatile di tutti i metalli ed emette vapori a temperatura ambiente) e venga poi dismesso attraverso le
ghiandole sudoripare producendo la dermatite. Infatti
uno studio istopatologico ha dimostrato come il mercurio si concentri principalmente attorno all’epitelio
delle ghiandole sudoripare 3. Nel caso in questione è
probabile che si sia verificato sia un contatto diretto
sia una manifestazione sistemica da inalazione.
Veniva instaurata una terapia con antistaminici sistemici e corticosteroidi topici, con la risoluzione del
quadro in una settimana. I patch test effettuati, negativi quelli standard, mostravano un’intensa positività
per i derivati del mercurio, confermando la diagnosi
proposta.
È importante riconoscere questa sindrome, in modo
da riuscire ad evitare successive esposizioni al mercurio e ai suoi derivati. Benché il mercurio sia stato col
tempo eliminato dai prodotti per medicazione e dai
termometri, recentemente è stata segnalata una
Baboon syndrome in una bambina in seguito al trattamento sistemico con prodotti omeopatici a base di
mercurio.
Bibliografia
1.
2.
3.
50
Lerch M, Bircher A J. Systemically induced allergic exanthem from mercury. Contact Dermatitis 2004;50:349-53.
Hausermann P, Harr T, Bircher A J. Baboon syndrome resulting from systemic drugs: is there strife between SDRIFE and allergic contact dermatitis syndrome? Contact Dermatitis 2004;51:297-310.
Liping W, Jia Y, Dong-Lai M, Bob L. Baboon syndrome induced by mercury – first case report in China. Contact Dermatitis 2007;56:3567.
GASLINI
Aprile 2009
QUIZ RADIOLOGICO
GASLINI 2009;41:51-3
Una lesione osteolitica diafisaria
M. B. DAMASIO 1, C.GAMBINI 2
1Divisione di Radiologia, Istituto G. Gaslini, Genova
2Divisione di Anatomia Patologica, Istituto G. Gaslini, Genova
Notizie cliniche
U
n bambino (B.G.) di 5 anni si presenta in Pronto
Soccorso per dolore al ginocchio e impotenza
funzionale dell’arto inferiore di recente insorgenza.
Gli esami di laboratorio mostravano una lieve anemia microcitica e ipocromica, TASL 249; ADNasi 249;
tampone nasale: pos per S. Aureus.
Studio per immagini
Nel dubbio di una sintomatologia riflessa a origine
dall’anca eseguiamo in prima istanza ecotomografia e
radiografia dell’articolazione coxofemorale destra con
esito negativo. Successivamente, per il persistere della sintomatologia algica e dell’impotenza funzionale
dell’arto inferiore, effettuiamo uno studio radiografico di ginocchio e femore destro.
La radiografia AP del femore evidenzia, in sede diafisaria e a prevalente sviluppo intraspongioso, una
lesione osteolitica con associata reazione periostale
fusiforme continua (Figura 1A).
A questo punto decidiamo di proseguire con uno
studio con risonanza magnetica (RM) mirato della
regione femorale completato con esame RM whole
body STIR (WB-STIR).
L’esame WB-STIR esclude un coinvolgimento scheletrico multifocale.
L’esame RM della regione femorale (Figure 1B, C)
mostra che la lesione focale diafisaria femorale destra
ha uno spiccato contrast enhancement (CE), associa-
to a una estesa e sfumata alterazione di segnale con
CE della spongiosa e dei tessuti molli adiacenti (Figura
1C); si conferma un marcato ispessimento periostale
fusiforme.
La diagnosi differenziale di una lesione osteolitica
con reazione periostale a livello della diafisi delle
ossa lunghe nel bambino va posta essenzialmente
tra:
— istiocitosi a cellule di Langherans;
— sarcoma di Ewing/linfoma;
— osteomielite.
Quale orientamento diagnostico?
Studio istologico
Il bambino viene quindi sottoposto ad accertamento
bioptico con esame istologico.
La biopsia ossea evidenzia una struttura osteotrabecolare alterata e sostituita da una proliferazione
cellulare stipata polimorfa granulomatosa (Figura 2A).
A più forte ingrandimento la proliferazione risulta
essere costituita da elementi ad habitus istiocitario
commisti a granuloiti eosinofili, neutrofili, linfociti e
plasmacellule (Figure 2B, C). Gli istiociti hanno nuclei
indentati o lobulati, ampio citoplasma esosinofilo e
risultano immunofenotipicamente positivi per la proteina S100 e per il cluster di differenziazione CD1a. Le
caratteristiche microscopiche e immunofenotipiche
sono tipiche delle cellule di Langherans.
Quale è la diagnosi?
Autore di contatto: M. B. Damasio, Divisione di Radiologia, Istituto G. Gaslini, Largo G. Gaslini 5, 16147 Genova.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
51
DAMASIO
UNA LESIONE OSTEOLITICA DIAFISARIA
Figura 1. — A) Radiografia anteroposteriore del femore destro: presenza
di area osteolitica priva di orletto sclerotico a sviluppo centrale, con scalloping del profilo endostale sul versante laterale. Si associa reazione periostale fusiforme di tipo continuo; B)
RM sequenza TSE T1 pesata (TSE, TR,
TE): immagine coronale del femore
destro. Presenza di una lesione ipointensa a sviluppo diafisario associata a
ispessimento periostale fusiforme e a
estesa sfumata alterazione di segnale
della spongiosa adiacente; C) RM
sequenza GRE 3D con saturazione del grasso (GRE, TR, TE, FA) dopo somministrazione di gadolinio: immagine coronale del femore destro.
La nota lesione femorale diafisaria presenta spiccato CE, si associa spiccato CE della spongiosa adiacente. Reazione periostale con CE dei
tessuti molli adiacenti.
Figura 2. — A) e&e 2,5x: sezioni istologiche di biopsia ossea evidenziante una destrutturazione e sostituzione da parte di un processo infiltrativi; B) e&e 20x: proliferazione polimorfa di elementi
ad habitus istiocitario commisti a variabile numero di granulociti
eosinofili, neutrofili,linfociti e plasmacellule; qualche sparsa cellula
gigante multi enucleata; C) e&e 40x particolare della proliferazione
degli elementi istiocitari, si noti la ricca componente di granulociti eosinofili. Gli istiociti presentano nuclei indentati o lobulati con ampio citoplasma eosinofilo; D) IH pS100 40x:Gli elementi istiocitari presentano forte positività citoplasmatica per la proteina S100; E) IHCD1a 40
x: gli elementi istiocitari presentano forte positività citoplasmatica
per il cluster di differenziazione CD1a.
52
Figura 3. — Istiocitosi a cellule di Langherans: sedi scheletriche frequentemente coinvolte, età di incidenza e rapporto F:M. È stata cerchiata la sede femorale, oggetto del caso clinico in studio.
Tratta da Greenspan A et al.1
GASLINI
Aprile 2009
UNA LESIONE OSTEOLITICA DIAFISARIA
DAMASIO
Granuloma eosinofilo
Il granuloma eosinofilo (GE) rientra in una più
ampia famiglia di patologie (anche nominate o istiocitosi a cellule di Langherans [LCH] o istiocitosi X) a
eziologia e fisiopatologia ancora non definite, il cui
comune denominatore è la cellula di Langherans (cellula mononucleare di tipo dendritico di derivazione
midollare con peculiari caratteristiche ultrastrutturali
[granuli di Birbeck] e immunoistochimiche [positività
per pS100 e CD1a]).
Con il termine di granuloma eosinofilo ci si riferisce a una forma di LCH monostotica di tipo benigno,
considerata un disordine dell’immunoregolazione più
che un processo neoplastico.
La LCH colpisce prevalentemente bambini tra 5-10
anni con lieve prevalenza maschile (Figura 3) 1, 2.
La clinica prevede dolore, dolorabilità alla palpazione e tumefazione dei tessuti molli nella sede della lesione scheletrica.
Dal punto di vista radiologico la lesione, a livello
della diafisi delle ossa lunghe, si presenta come lesione distruttiva osteolitica a margini più o meno definiti,
con associata reazione periostale di tipo lamellare.
Tali caratteristiche possono mimare quelle di un tumore maligno quale sarcoma di Ewing e linfoma.
L’aspetto radiologico della lesione può essere variabile
nel tempo a seconda della fase evolutiva con prevalenza di sclerosi e con una reazione periostale più
regolare negli stadi tardivi. Anche l’aspetto in RM della lesione, che solitamente prevede un’estesa alterazione di segnale con contrast enhancement della spongiosa e dei tessuti molli adiacenti, può simulare quello di una lesione aggressiva come il sarcoma di Ewing
e l’osteomielite.
La diagnosi è quindi istologica.
Epicrisi del caso
Il GE (forma monostotica di LCH) nelle ossa lunghe
si presenta solitamente come lesione osteolitica con
reazione periostale di tipo lamellare.
La diagnosi differenziale a tale livello deve essere
fatta con:
— sarcoma di Ewing/linfoma;
— osteomielite.
Dati clinici e di imaging, anche se in molti casi suggestivi spesso non sono specifici né conclusivi ed è
quindi sempre necessario completamento diagnostico istologico.
La nostra piccola paziente è attualmente in terapia
con eritromicina 600 mg/die.
Bibliografia
1.
2.
Greenspan A. Differential diagnosis in orthopaedic oncology. 2nd ed. Philadelphia, PA: Lippincott Williams &Wilkins; 2007.
Mirra JM, Gold RH. Eosinophilic granuloma. In: Mirra JM, Gold RH, Picc P, editors. Bone tumors: clinical radiologic and pathologic
correlations. Philadelphia, PA: Lea &Febiger; 1989.
Vol. 41 - N. 1
GASLINI
53
CORSI, SEMINARI, CONVEGNI
GASLINI 2009;41:55-6
Il bambino maltrattato: dal dire al fare
28/03/2009
Villa Quartara - Badia della Castagna –
Genova
Incontro sul maltrattamento minorile dedicato a
Medici Specializzandi in Pediatria, Pediatri e Personale
infermieristico, organizzato dall’Osservatorio Nazionale
degli specializzandi di Pediatria e dal DEA dell’Istituto
Gaslini.
L'abuso all'infanzia è un problema globale, largamente sottostimato, che coinvolge la salute psichica
e fisica del bambino e della famiglia nel suo complesso. L’esigenza di affrontare questo tema, spesso trascurato nei programmi formativi delle scuole di specializzazione, è stato più volte sottolineato dai giovani pediatri.
Va sempre tenuto presente che oggetto delle nostre
cure e attenzioni è il bambino, ma anche che il bambino è inserito in una famiglia nella quale è cresciuto
e in cui ha tutti i suoi legami affettivi più forti. Essere
pronti a riconoscere ed affrontare queste vere e proprie emergenze pediatriche è di fondamentale importanza per poter essere di aiuto al bambino e alla sua
famiglia che si trovano in una situazione di crisi.
sonale infermieristico e sull’importanza della formazione periodica.
Con l’aiuto degli specializzandi esamineremo quindi alcuni casi clinici esemplificativi e verranno trattate
alcune fra le tipologie di maltrattamento che più di frequente si possono presentare in ambito sanitario.
Nel pomeriggio si svolgeranno due sessioni parallele, una dedicata ai medici specializzandi e ai giovani
pediatri in cui verrà posto un cenno alle patologie che
più frequentemente entrano in diagnosi differenziale
con l’abuso fisico, verrà presentata a titolo esemplificativo una procedura aziendale di comportamento
approvata in ospedale di terzo livello e si presenteranno alcuni ausili diagnostici utili nella pratica clinica.
L’altra sessione è dedicata a chi opera già nel settore
sanitario, in cui verranno presentate le esperienze
realtà operanti in particolare in Liguria, esaminando il
percorso che il bambino maltrattato segue dalla segnalazione alla presa in carico sul territorio. Verrà presentata infine l’esperienza di un centro specialistico di
secondo livello dedicato all’abuso minorile attivo in
Emilia Romagna.
Eventi organizzati dalla Scuola Internazionale
di Scienze Pediatriche
(per maggiori informazioni consultare il sito
www.sispge.com)
Svolgimento del corso.
L’incontro, introdotto dal professor Roberto Burgio,
vuole essere un momento di confronto pratico tra chi
opera in campo pediatrico e le diverse figure professionali coinvolte nei casi di abuso all’infanzia. Largo
spazio sarà lasciato alla discussione e alla presentazione
di esperienze maturate in molteplici realtà nazionali,
con il coinvolgimento diretto degli specializzandi.
Nel corso della giornata verranno inizialmente presi in esame gli aspetti emotivi che possono coinvolgere
chi si trova di fronte ad un bambino maltrattato e
pochi elementi giuridici essenziali che riguardano il
personale sanitario. Con un taglio prettamente clinico, si cercherà di far emergere gli elementi anamnestici e clinici che possono rappresentare una spia di
maltrattamento, si porrà l’accento sul ruolo del per-
Vol. 41 - N. 1
Corsi
GASLINI
08/04/2009 Gestione delle problematiche infettive
in Dermatologia Pediatrica: problema
di grande attualità
24/04/2009 FOCIS - Meeting dei Centri di
Eccellenza Europea
09/05/2009 Il controllo del dolore perioperatorio
in un ospedale pediatrico
22/05/2009 Role of the hypoxic microenvironment
in malignant tumor progression and
in the pathogenesis of inflammatory
diseases
28/05/2009 5th International Course on Genetics
and Renal Diseases
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CORSI, SEMINARI, CONVEGNI
04/06/2009 The 2nd training course for paediatricians and paediatric nurses on HSCT
in children and adolescents
pletamente la partecipazione di più di 200 giovani
ricercatori provenienti dagli Stati appartenenti
all’Unione
Europea.
Per
informazioni:
http://www.tripr.sispge.com.
Convegni
06/05/2009 The Innate Immunity and the
Pathogenesis of Paediatric Rheumatic
Diseases
14/05/2009 Annual Meeting of the SIOP Brain
Tumour Sub-Committe
Isituto Giannina Gaslini
Piano di formazione aziendale
Aula Magna, Istituto Giannina Gaslini
Ore 16.30 - 18.30
Translational Research in Paediatric Rheumatology TRiPR: una serie di conferenze finanziata dal programma formativo comunitario “Marie Curie conferences and training courses” e organizzata dall’Istituto
Gaslini dal 2008 al 2010.
Coordinato dal Professor Alberto Martini, direttore
della Pediatria II e Reumatologia, le quattro conferenze mirano a fornire a giovani ricercatori e medici
europei l’approfondimento ed il perfezionamento delle conoscenze scientifiche necessari per lo sviluppo di
innovative metodologie di ricerca e nuovi approcci
terapeutici per la cura delle principali patologie reumatiche. Lanciata nel 2008 con l’evento Anticipating
Changes in Drug Development for Children: Building
on Paedriatic Rheumatology (29 maggio - 1 giugno,
2008), la serie di conferenze TRiPR proseguirà con
Innate Immunity and the Pathogenesis of Rheumatic
Disease (6-8 maggio, 2009), Adaptive Immunity and
the Pathogenesis of Rheumatic Disease (24-27 settembre, 2009) e The Pathways to Drug Discovery in
Monogenic Inflammatory Disorders (giugno 2010).
Grazie al generoso contributo dell’Unione Europea, gli
organizzatori sono in grado di sovvenzionare com-
26 marzo 2009:
— Trombosi: diagnostica differenziale ed approccio terapeutico (Coordinatore C. Molinari)
— Guida ragionata agli esami di laboratorio
(Coordinatore G. Melioli)
5 maggio 2009:
— Il trauma cranico: definizione dei percorsi
(Coordinatore A. Rossi);
— Infezioni vie urinarie: dalla diagnosi prenatale
alla terapia (Coordinatore G. Ghiggeri)
30 giugno 2009:
— La Gestione dei corpi estranei delle vie aeree e
vie digestive (Coordinatore V. Tarantino)
— Inquadramento diagnostico delle anemie
(Coordinatore C. Dufour)
7 ottobre 2009:
— Approccio terapeutico alle bronchioliti
(Coordinatore G. Rossi)
— Problematiche dermatologiche di più frequente riscontro (Coordinatore C. Occella)
1 dicembre 2009:
— Diagnosi e terapia delle convulsioni
(Coordinatore E. Veneselli)
— Lo stroke (Coordinatore P. Di Pietro)
ERRATA CORRIGE:
Nell’articolo dal titolo “La prevenzione degli eventi traumatici accidentali del minore in ospedale” pubblicato nella rivista n. 2/2008 si segnalano le seguenti correzioni alle note:
Nota *Lo studio retrospettivo è stato condotto da F. Esibiti, Coordinatrice Infermieristica U.O. Ortopedia e A. M. Urbano, Dipartimento dei
Servizi assistenziali.
Nota **Lo studio prospettico è stato condotto da S. Calza, Coordinatrice Infermieristica U.O. T.M.O. e R. Da Rin Della Mora, Coordinatrice
Infermieristica U.O. C.N.R.
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GASLINI
Aprile 2009