Ricerca e confronti 2010
ATTI
Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte a 20 anni
dall’istituzione del Dipartimento di Scienze Archeologiche
e Storico-artistiche dell’Università degli Studi di Cagliari
(Cagliari, 1-5 marzo 2010)
Daniele Corda
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi
topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
ArcheoArte. Rivista elettronica di Archeologia e Arte
Supplemento 2012 al numero 1
Registrazione Tribunale di Cagliari n. 7 del 28.4.2010
ISSN 2039-4543. http://archeoarte.unica.it/
ArcheoArte. Rivista elettronica di Archeologia e Arte (ISSN 2039-4543)
Supplemento 2012 al numero 1
a cura di Maria Grazia Arru, Simona Campus, Riccardo Cicilloni, Rita Ladogana
Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università degli Studi di Cagliari
Sezione di Archeologia e Storia dell’Arte
Cittadella dei Musei - Piazza Arsenale 1
09124 CAGLIARI
Comitato scientifico internazionale
Alberto Cazzella (Università di Roma La Sapienza); Pierluigi Leone De Castris (Istituto Universitario Suor Orsola
Benincasa, Napoli); Attilio Mastino (Università degli Studi di Sassari); Giulia Orofino (Università degli Studi di
Cassino); Philippe Pergola (CNRS - Université de Provence. Laboratoire d’archéologie médiévale méditerranéenne);
Michel-Yves Perrin (École Pratique des Hautes Études); Antonella Sbrilli (Università di Roma La Sapienza); Mario
Torelli (Accademia dei Lincei)
Direzione
Simonetta Angiolillo, Riccardo Cicilloni, Annamaria Comella, Antonio M. Corda, Carla Del Vais, Maria Luisa
Frongia, Marco Giuman, Carlo Lugliè, Rossana Martorelli, Alessandra Pasolini, Fabio Pinna, Maria Grazia Scano,
Giuseppa Tanda
Direttore scientifico
Simonetta Angiolillo
Direttore responsabile
Fabio Pinna
Impaginazione
Nuove Grafiche Puddu s.r.l.
in copertina: Il Castello di Cagliari nel 1358
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a
Cagliari in età catalano-aragonese
Daniele Corda
Cagliari
e-mail: [email protected]
Riassunto: Nella prima metà del XIV secolo i Catalano-Aragonesi conquistarono Castel di Cagliari e si aprirono un varco verso
l’occupazione dell’intera isola di Sardegna. Nello svolgersi di tali cruciali eventi si inserisce il destino di Castel di Bonaria, che nacque
come accampamento militare di Alfonso il Magnanimo, crebbe tanto da diventare la prima capitale del Regnum Sardiniae et Corsicae
e rapidamente declinò fino a sparire del tutto nel corso di circa un decennio. Se della sua vita giuridica abbiamo ampia testimonianza
documentaria, al contrario i dati archeologici e le notizie topografiche risultano molto scarsi e consentono di delinearne solo vagamente i confini e gli elementi caratteristici.
Parole chiave: Bonaria, Topografia medievale, Castel di Cagliari, Catalano-Aragonesi, Archeologia urbana
Abstract: During the first half of the XIV Century the Catalan-Aragoneses conquered Castel di Cagliari and started the conquest
of the entire island of Sardinia. In these crucial events it appears the destiny of Castel di Bonaria, born as military encampment of
Alfonso the Magnanimous, and growned up so much to become the first capital of the Regnum Sardiniae et Corsicae and quickly
declined, till to disappear completely in approximately a decade. If of its legal life we have many documentary testimoniances, on
the contrary, the archaeological data and the topographical news are too insufficient and concur to only vaguely delineate its borders
and its characteristic elements.
Keywords: Bonaria, Medieval topography, Castel di Cagliari, Catalan-Aragoneses, Urban archaeology
La storia e lo sviluppo di Cagliari nei secoli XIV e
XV1 sono strettamente collegati alla conquista della città da parte delle truppe del Levante Spagnolo,
guidate dall’Infante Alfonso il Magnanimo per
conto del padre e sovrano della Corona d’Aragona
Questo lavoro nasce da una serie di riflessioni sorte durante alcune
fasi di sviluppo della mia tesi per il corso di laurea triennale in Beni
Culturali, discussa nell’a.a. 2008/2009 con la guida della prof.ssa
Rossana Martorelli, dal titolo “Castel di Cagliari in età catalano aragonese attraverso le testimonianze storiche ed archeologiche”, nella quale
passavo in rassegna i quartieri storici di Cagliari e cercavo di ricostruirne
la fisionomia, attraverso i dati documentari e le evidenze archeologiche
ed architettoniche, nei due secoli di storia compresi tra la conquista della
città, nel 1326, da parte delle truppe catalano-aragonesi, fino al 1479,
anno del matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia e
data canonica a cui si fa risalire la fine dell’indipendenza della Corona
d’Aragona e la fusione tra i due Regni a formare la nuova entità politica della Corona di Spagna. Fondamentale, nel corso dello sviluppo di
tale lavoro, è stato il tirocinio svolto all’Istituto di Storia dell’Europa
Mediterranea–Consiglio Nazionale delle Ricerche di Cagliari, grazie al
quale ho potuto giovarmi dei consigli dei ricercatori dell’ISEM-CNR,
che mi hanno messo a disposizione anche una gran mole di materiale
prezioso per lo svolgimento della mia ricerca. Successivamente, in occasione dell’incontro di studi Ricerche e Confronti, su saggio consiglio
del professor Fabio Pinna, ho deciso di circoscrivere l’ambito della mia
ricerca alle vicende relative al centro di Castel di Bonaria, rivelatosi particolarmente stimolante ed aperto a vari interventi d’analisi.
1
ArcheoArte 1 Supplemento 2012: 517-541
http://archeoarte.unica.it/
ISSN 2039-4543.
Giacomo II il Giusto. In quegli anni decisivi il centro sardo assistette a mutamenti radicali che ne cambiarono profondamente i connotati e lo trasformarono in qualcosa di nuovo, del tutto differente da ciò
che era stato per tutto il secolo precedente. In questo quadro dinamico di sviluppo e trasformazione
urbana ha catturato la mia attenzione la particolare
evoluzione dell’area del colle di Bonaria, al giorno
d’oggi interessata quasi completamente dall’edilizia
civile di età contemporanea, ma che, a seguito dei
primi interventi catalano-aragonesi in Sardegna si
presentava come una vera e propria città fortificata, in contrapposizione al vicino centro di Castel di
Cagliari, tanto da competere con questo per il titolo
di Caput Regni Sardiniae et Corsicae2.
Tra le numerose opere che trattano le vicende della storia di Sardegna,
si segnalano l’imprescindibile lavoro, seppure ormai datato, di M.
Arribas Palau (1952), che traccia un quadro delle premesse storiche e
degli sviluppi delle vicende che caratterizzarono questo momento della
storia della Sardegna, e di F. C. Casula (1990, I-II), che studia specificatamente il periodo medievale e la dominazione dell’isola da parte della
Corona d’Aragona .
2
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D. Corda
Sbarcati a Palma di Sulcis, sulle coste sud-occidentali
dell’isola, dopo un lungo assedio durato sette mesi,
e la conquista di Villa di Chiesa (l’odierna città di
Iglesias, al centro della valle che dal Sulcis conduce verso il Campidano di Cagliari) il 7 febbraio
13243, Alfonso e le sue truppe si diressero verso
il Cagliaritano. Si fermarono circa una settimana
nell’area pianeggiante presso la villa di Cerargio
(corrispondente all’odierna Selargius, comune distante pochi chilometri dal capoluogo sardo e oggi
parte del più prossimo hinterland cagliaritano), ma
presto fu preferito ad essa il colle di Bonaria, a circa
un chilometro a sud-est rispetto a Castel di Cagliari,
strategicamente più vantaggioso e difendibile con
maggiore efficacia data la sua posizione sopraelevata4. Qui si stabilì un vasto accampamento da cui fu
presa d’assedio quella che dal 1217 era la più importante fortezza della Repubblica pisana in Sardegna5.
Arribas Palau, 1952 pp. 194-227; Casula, 1990 I pp. 138-158. A.
Ingegno (1987 p. 61), riferendosi ad un documento del 1308, verosimilmente un’informativa al re d’Aragona sullo stato delle fortificazioni delle
città pisane in Sardegna durante la fase organizzativa della conquista
dell’isola, afferma che le mura della città “erano ancora sufficientemente
solide ma bisognose di riparazioni”. Lo stesso autore riferisce il contenuto di altri documenti secondo i quali “le mura erano in rovina per il
lungo abbandono”, tanto da giustificare i repentini interventi di restauro
a cui i Pisani le sottoposero durante gli ultimi anni precedenti allo sbarco
dell’Infante Alfonso, i quali, se non impedirono alla città di capitolare,
quanto meno le permisero di resistere all’assedio per ben sette mesi, affaticando notevolmente le truppe catalano-aragonesi. Purtroppo, però,
non riferisce l’ubicazione di tali testimonianze documentarie, se non affermando genericamente che “le fonti storiche più antiche sono conservate presso l’Archivio della Corona d’Aragona in Barcellona; quelle più
recenti sono conservate presso l’Archivio Comunale di Iglesias e l’Archivio di Stato di Cagliari” (Ingegno, 1987 p. 61, nota 3). Al contrario
un documento, sempre datato 1308, edito da V. Salavert y Roca (1956,
II, doc. 275, pp. 334-337), riportante il resoconto degli ambasciatori
al re riguardo i risultati delle loro missioni a Lucca e Firenze, affermava
che “[el]s no.n uolen trer gens,cor esperan la guerra axi com la mort, si que
han feyt derro[car en (?)] Sardenya forces algunes e specialment I castel, que
hauia nom Sangantino, qui era sobre Uila d.E,[sgleya] e an fets enderrocar
los murs e.ls uals reblir de la dita Uila d.Esgleya (…)”. È pur vero che
in un altro scritto, datato 12 giugno 1323 (Baudi di Vesme, 1877, secolo XIV, doc. XXII, pp. 370-372), Guiccio da Fabriano, portatore di
una lettera dei Capitani di guerra di Villa di Chiesa a Pisa, catturato da
Pietro di Serra, Capitano del Giudice d’Arborea, e da questi interrogato
sullo stato delle difese di Villa di Chiesa, gli confessava che “Villa est
fossata tota circum circa, et astechata tota circum circa, et murata media”;
poi continuava affermando che “sunt ibi viginti turres muratae; et (…)
Castrum Sancti Guat dictae Villae est astechatum et fossatum circum circa,
et una turris est ibi murata , et una alia fundata”. Ciò sarebbe una conferma riguardo al buono stato delle fortificazioni del centro iglesiente
nell’anno precedente lo sbarco in Sardegna dei Catalano-Aragonesi.
4
Casula, 1990 pp. 161-171; Urban, 1997 p. 96; Urban, 2000 p. 19.
5
Per una sintesi degli eventi storici che portarono alla fondazione pisana di Castel di Castro de Kallari e alla sua supremazia sulla “capitale” del Giudicato di Cagliari si rimanda a Ortu, 2005 pp. 165-179. I
Pisani cominciarono a edificare la fortezza nel 1216, quando Lamberto
Visconti, dopo essersi impadronito del Giudicato di Gallura, prima con
le armi e poi, tra il 1206 e il 1207, attraverso il matrimonio con l’erede
Elena, si presentò ai nuovi sovrani del Giudicato di Cagliari, Benedetta
e Barisone de Serra, nelle vesti di console del Comune pisano e li forzò,
con la minaccia delle armi, a concedergli il colle che sovrasta la capitale
giudicale, Santa Igia, e vi avviò subito la costruzione del Castrum.
3
Sebbene una parte delle truppe fosse stata inviata
direttamente verso la fortezza pisana di Castel di
Cagliari subito dopo lo sbarco dei catalano-aragonesi in Sardegna, senza dubbio l’accampamento militare degli Aragonesi fu stabilito a Bonaria successivamente allo scioglimento dell’assedio di Villa di
Chiesa ed in concomitanza con l’arrivo di Alfonso
a Castel di Cagliari, altrimenti non si spiegherebbe
perché, ancora nell’agosto del 1323, i rifornimenti
provenienti dal Giudicato di Arborea, loro alleato,
venissero ammassati nella villa di Cerargio. Questo
non avrebbe avuto senso se sul colle fosse già stato
allestito un accampamento, che avrebbe certamente
avuto bisogno di quei rifornimenti per organizzare
l’assedio. Tuttavia, secondo la Crónica di Pietro IV
d’Aragona, l’Infante attese volutamente nella villa
dell’hinterland, poiché non conosceva le intenzioni
del nemico e temeva che i Pisani stessero simulando
uno sbarco a Terranova per costringerlo ad accorrere
in Gallura, permettendo loro di mettere in sicurezza
Castel di Castro6. Alla luce di ciò è difficoltoso attribuire la scelta del sito di Bonaria all’uno o all’altro
personaggio, anche se è difficile che una tale decisione sia stata delegata ad altri rispetto ad Alfonso
in persona, la maggior carica militare e, quindi, con
la più alta voce in capitolo, essendo, egli, presente
materialmente in loco, nonostante le fonti siano discordanti sull’attribuzione di questa fondamentale
scelta strategica7.
La zona fu quasi subito rinforzata e munita di una
cinta muraria e di torri difensive, trasformandosi da
semplice luogo di raccolta di uomini e mezzi bellici
in vero e proprio castrum fortificato. A testimonianza
di ciò giunge in soccorso un documento del maggio
1324, conservato all’Archivio della Corona d’Aragona (A.C.A., Canc., Cartas Reales Diplomaticas, Jaime
II, n. 4230), citato da A. Arribas Palau, poi trascritto
da L. D’Arienzo e un anno dopo, con alcune piccole
differenze, da G. Todde, il quale dichiara di averne
ricevuto il testo originale da M. M. Costa i Paretas.
Questa fonte è l’unica descrizione puntuale dell’insediamento catalano-aragonese durante la fase iniziale della sua storia e fornisce diversi elementi sulle
strutture architettoniche che lo costituivano. Nella
versione riportata dalla D’Arienzo il testo afferma:
Arribas Palau, 1952 pp. 233-234; Casula, 1990, I, p. 161; Segni
Pulvirenti & Spiga, 1995 p. 831, nota 2.
7
Meloni, 1980 pp. 44-45; Urban, 1997 p. 98, nota 11; Urban, 2000 p.
21, nota 16. M. B. Urban sottolinea la discordanza tra le fonti riguardo
chi fece tale scelta: nella Crònica del Muntaner prima viene nominato
Alfonso in persona come esecutore dei lavori a Bonaria, poi, in contraddizione con quanto detto prima, Francesc Carroç. Nella Cronaca
di Pietro IV il ruolo di direttore dei lavori viene assegnato a Guerau de
Roccabertì.
6
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Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
“Les obres ques hic son fetes maraveyla es de veer que
tota la ost de part del Castel aven mesa dins val de
.XX. palms d.ample e de gran pregonea e mur de tapia
ab balesteries en lo qual mur ha .III. forger grans et a
saber una esgleya de Sent Sadorn que est tant gran e
tant bela com la Seu de Leida e axi feta e estam aqui
.L. homens a caval e .D. servens e puys una torre molt
bela que avem obrada a avant ves la mar dins nostre
mur on estan .XX. servens, puys a aval press de la mar
avem obrada una antigor de bayns que solien esser e
estan hi .C. servents e en cascuna d.aquestes forges ha
.II. balestres de torn ab tots sos aparelaments e puga
aquest val e mur parten de la mar entro a l.altra porta
de la ost… ”. Quindi il documento parla di mura de
tapia larghe venti palmi con feritoie, erette a cingere una vasta area comprendente il santuario di San
Saturnino, considerato grande e bello come la cattedrale di Lerida, una torre costruita con celerità verso
il mare e le rovine di un complesso termale romano
sommariamente ristrutturate. Inoltre un fossato in
cui scorreva l’acqua dello stagno che poi si riversava
in mare rendeva ancor più sicuro l’accampamento8.
Infine, oltre a quest’ampia serie di ristrutturazioni
che furono messe in opera, furono anche potenziate le strutture portuali che si trovavano sulla costa
di fronte al colle, tradizionalmente usate dai Pisani
per il commercio del sale, che vennero dotate di una
darsena e di impianti mercantili9. M. Cadinu (2001
p. 37) fa notare che ai Catalano-Aragonesi non era
estranea l’organizzazione degli accampamenti militari d’assedio, quindi di lunga durata, come vere e
proprie città e afferma che “nella Primera Cronica
Generál (fine ‘200) si dice di un accampamento simile realizzato durante l’assedio di Siviglia del 1248,
con le strade destinate ai vari artigiani”.
Con la battaglia di Lutocisterna (località palustre
presso Elmas) e la successiva resa dei Pisani nel 19
giugno 132410 fu finalmente realizzato territorialmente, e non più solo formalmente, il tanto agognato Regnum Sardiniae et Corsicae e il grande accampamento fortificato, che Giacomo II suggerì di
chiamare Avant Càller e a cui l’Infante Alfonso preferì la più gradevole denominazione di Bon Ayre, ne
fu a tutti gli effetti la prima capitale11.
Arribas Palau, 1952 p. 340; D’Arienzo, 1983 p. 52, nota 35; Todde
,1984 p. 336, nota 7. L. D’Arienzo fa notare come, a seguito di un’errata
lettura del testo, A. Arribas Palau abbia creduto che il complesso di San
Saturno fosse stato edificato proprio dai catalano-aragonesi in questo
momento.
9
Arribas Palau, 1952 pp. 247-248; Todde, 1984 p. 336; Urban, 1997
p. 99.
10
Il documento della prima pace tra Pisa e la Corona d’Aragona è trascritto in Arribas Palau, 1952, doc. XLVI, pp. 415-420.
11
Todde, 1984 p. 338; Cadeddu, 1996 p. 287; Urban, 1997 p. 108.
8
Parallelamente agli interventi architettonici di carattere militare prese il via un’intensa attività di edilizia
civile; infatti, l’area messa in sicurezza dalle fortificazioni cominciò a infittirsi di edifici che ospitavano il gran seguito dell’esercito catalano-aragonese e
la quantità di immigrati che giungevano dalle terre
della Corona d’Aragona in cerca di fortuna. Fu ordinato, visti i problemi di approvvigionamento idrico,
che sotto ogni casa venisse creata una cisterna, sull’esempio della vicina Castel di Cagliari.
La nuova cittadinanza espresse da subito l’esigenza
di avere un luogo di culto e fu soddisfatta da Alfonso
attraverso la costruzione di una chiesa intitolata alla
Santissima Trinità e alla Madonna12.
La seconda, decisiva vittoria catalano-aragonese sui
Pisani, sancita dal trattato del 10 giugno 132613,
ebbe conseguenze catastrofiche per il Comune
dell’Arno e stabilì la sua definitiva disfatta in terra
sarda14. La fortezza di Castel di Cagliari cadde definitivamente in mano agli assedianti, insieme alle sue
appendici di Stampace e Villanova e alle strutture
portuali presenti in Lapola15, e ai Pisani fu rinnovato
l’onere di pagare tutte le sanzioni che erano già state
loro addebitate in occasione del primo trattato del
1324. Anche se, nel testo del documento di pace,
le genti pisane furono trattate con poca durezza e i
loro interessi economici nell’isola furono tutelati16,
G. Todde sottolinea come nella tradizione si sia equivocato sul nome
di Bonaria, facendolo derivare dalla vicinanza del centro al porto di
Cagliari, detto di Bagnaria. In realtà, come l’Autore fa notare, il porto di Bagnaria era quello principale della città pisana e non quello del
sale, effettivamente nelle immediate vicinanze del centro di fondazione
catalana. Il Todde, quindi, esclude qualunque legame tra i due termini
“Bagnaria” e “Bonaria”.
12
Costa i Paretas, 1973 p. 7; Todde, 1984 p. 339; Urban, 1997 p. 101.
13
Il documento, fondamentale per la storia della città di Cagliari, è
trascritto in Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447.
14
A conferma della condizione politicamente e diplomaticamente inferiore di Pisa rispetto alla Corona d’Aragona nella stesura di questo
secondo trattato, è interessante notare che esso fu prodotto in lingua
catalana (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447), a differenza
di quello della prima pace del 1324, che era, invece, in latino (Arribas
Palau, 1952, doc. XLVI, pp. 415-420).
15
Per un inquadramento generale sulla frequentazione di età romana del quartiere di Stampace si veda Mongiu, 1995; sulle sue vicende
storiche e urbanistiche Masala, 1995. Riguardo le vicende storiche del
quartiere di Villanova si veda Masala, 1991 e sulle preesistenze archeologiche Mureddu, 1991. Alcuni dati sulla frequentazione tardoantica e
altomedievale del porto di Lapola si trovano in Artizzu, 1989; Mureddu,
2002b e Pinna, 2002, mentre per uno studio delle vicende legate al popolamento catalano-aragonese del quartiere si vedano Conde y Delgado
deMolina e A. R. Aragò Cabañas, 1984 e Deplano, 2005.
16
Tra le varie clausole della pace, ai Pisani, civili ed ecclesiastici, fu concesso di mantenere i propri possessi in Sardegna; fu permesso loro di
commerciare liberamente a Castel di Cagliari e nel resto dell’isola; fu
loro data la possibilità di avere a disposizione dei consoli che risolvessero
i problemi dei sudditi pisani rimasti nell’isola, ma senza una residenza
fissa in essa; si assicurò il rispetto dei diritti e dei possessi dell’Opera di
Santa Maria Maggiore di Pisa; infine furono destinati al comune dell’Arno i proventi di ville e terre delle curatorìe di Gippi e Trexenta, concesse
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D. Corda
in realtà i Catalano-Aragonesi si crearono le armi per
allontanarli una volta per tutte dalla fortezza sarda
e dall’intera isola. Infatti, tra le varie clausole, una
sanciva che “… los sotsmeses del senyor R. e del senyor
Inf. e de lurs valadors puxen estar e esser en la ciutat e
en lo destrenyment de Pisa e de lurs valadors e la estar,
tornar segurament ajustan que si.l senyor R. e.l senyor
Inf. ho lurs oficials avien algu o alguns dels dits pisans
e burgueses del dit Castell de Caller per suspitos que.ls
ne puxen remoure axi que fora lo castell puxen estar en
quals se volran viles e locs e si e.ls dat spay covinent que.
ls lurs bens puxen vendre e si vendre no.ls podien dins
aquel temps per preu covinent que.l senyor R. e.l senyor
Inf. ho lurs oficials les sien tenguts a comprar a justa
estimacio per estimadors alets per cascunes les parts e
que d.eqels bens no sien gitats entro los sia pagat lo preu
demuntdit ” (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp.
446-447). Questa disposizione fu largamente applicata, anche in maniera piuttosto arbitraria, se in pochi anni i Pisani della città furono quasi interamente
allontanati17. Probabilmente, più che per effettive ed
accertate colpe, tali espulsioni furono messe in atto
per evitare future sollevazioni cittadine e facilitare
il transito di Castel di Cagliari sotto la nuova entità
politica catalano-aragonese18.
Subito si accese un’intensa disputa tra la fortezza
strappata dalle mani del Comune dell’Arno e il centro catalano di Castel di Bonaria su quale dei due centri dovesse diventare la nuova capitale del Regnum.
Infatti da un lato Giacomo II e l’Infante Alfonso,
che subito dopo la vittoria era tornato in patria, volevano sfruttare l’antica e maestosa rocca di Castel
di Cagliari; dall’altro lato gli abitanti di Bonaria godevano ormai di diritti che temevano venissero loro
tolti in favore dell’ex centro pisano. Inoltre ormai la
città era tanto cresciuta che, secondo la Crònica di
Ramon Muntaner, nel 1326 Bonaria contava “més
de sis mìlia hòmens d’armes bons, tots catalans, ab llurs
mullers” (Todde, 1984 p. 339; Urban, 1997 p. 98,
nota 11). L’edilizia civile aveva pienamente invaso
tutta l’area fortificata e, benché in generale si trattasse di edifici abbastanza modesti, non mancavano
in feudo (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447).
17
Esplicativi, a tal proposito, i documenti pubblicati da R. Conde y
Delgado deMolina e A. R. Aragò Cabañas (1984, doc. I, pp. 43-108;
doc. II, pp. 109-129; doc. III, pp. 130-132), nei quali due estimatori,
passando sistematicamente in rassegna le vie della città, registrarono le
proprietà dei pisani espulsi, la valutazione degli immobili e i nuovi possessori a cui furono assegnati.
18
R. Conde y Delgado deMolina sottolinea come il tempo diede ragione a questo atteggiamento, infatti pochi anni dopo Sassari si sollevò
contro i dominatori catalano-aragonesi e, a seguito di quei fatti, la città fu completamente evacuata e ripopolata di genti iberiche (Conde y
Delgado & Aragò Cabañas, 1984 p. 12).
strutture di un certo rilievo, come un “hospitium”,
costruito nel 1327, nel quale Alfonso avrebbe concesso agli Ebrei di vivere e che esisteva ancora nel
1333, dimora dell’Arcivescovo di Cagliari (Todde,
1984 p. 339). Inizialmente si provò a favorire uno
sviluppo parallelo dei due centri in modo tale che
andassero via via fondendosi. In tale programma,
per il centro catalano, dopo una prima fase evolutiva
a Nord-Est, verso l’area del colle detto puyg de les
forches su cui sarebbe stata costruita una torre detta
di Muntfort, si prevedeva la fusione dei due centri
urbani in un’unica grande capitale attraverso l’urbanizzazione del settore compreso tra i due centri.
Eppure i progetti edilizi tanto sognati dall’Infante
naufragarono a causa di esigenze più contingenti,
soprattutto la necessità di appropriarsi al più presto
di Castel di Cagliari e delle sue strutture difensive
poderose e, soprattutto, già edificate e funzionanti.
Seppure con molte reticenze, il programma di trasferimento degli abitanti di Castel di Bonaria in Castel
di Cagliari e nelle sue appendici fu applicato in modo
efficace, se in pochi anni l’intera città catalana fu totalmente cancellata, soprattutto in favore di Lapola,
rimasta quasi del tutto disabitata durante la prima
metà del Basso Medioevo, eccezion fatta per le strutture relative al porto pisano19, che divenne il nuovo
polo attrattivo nel progetto di espansione urbanistica di Alfonso e fu sostanzialmente rifondato secondo le esigenze insediative dei Catalano-Aragonesi,
dando origine al nuovo quartiere di Marina20.
Nonostante le numerose testimonianze riferite alla
grande frequentazione del santuario e, quindi, alla
sua indubbia vita e attività21, della città che lo ospitava e che fu la prima capitale del Regnum si riescono
ad avere solo tracce molto labili. Per avere dei nuovi
dati riguardanti Bonaria e i suoi dintorni, anche se
in negativo, bisogna aspettare più di due secoli, con
I materiali rinvenuti durante gli scavi sotto la chiesa di Sant’Eulalia
dimostrerebbero questa tesi, in quanto non sarebbero attestati, per
quanto riguarda il Medioevo, reperti riconducibili ad un periodo posteriore all’VIII secolo. Unica eccezione, una serie di strati sovrapposti localizzati presso una cappella del lato sud della chiesa avrebbero restituito
frammenti di manufatti attribuibili a produzioni iberiche del XIV secolo
e riferibili al primo impianto della chiesa dopo la conquista catalanoaragonese della città di Cagliari. Per un approfondimento al riguardo si
rimanda a Martorelli, Mureddu, Pinna & Sanna (2003, pp. 406-408).
20
Sullo scavo sotto la chiesa di Sant’Eulalia si rimanda a Plaisant,
1989 pp. 27-28; Urban, 2000 pp. 43-53; Martorelli, Mureddu (2002);
Mureddu, 2002b; Pinna, 2002; Martorelli, Mureddu, Pinna & Sanna
(2003). Inoltre si vedano gli studi di G. Deplano (2005) e di M. Cadinu
(2008) sulla nascita e lo sviluppo del quartiere in età medievale.
21
M. M. Costa i Paretas ha pubblicato diversi documenti riguardanti il
santuario e le sue vicissitudini a seguito della sua fondazione e durante
il Trecento (Costa i Paretas, 1973 pp. 21-92), mentre M. G. Meloni ne
ha analizzato approfonditamente gli accadimenti durante il XV e il XVI
secolo, soprattutto riguardo al suo legame con l’ordine della Mercede
(Meloni, 2006 pp. 339-369).
19
- 520 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
la celeberrima stampa che Sigismondo Arquer disegnò nel 1550 (la prima rappresentazione della città
successiva alla conquista catalano-aragonese)22, nella
quale il colle e l’area si presentavano occupati solo da
campi e dal santuario isolato (Figg. 1-2). Poche decine di anni dopo, nel 1595, Antioco Brondo definiva
il colle che era stato tanto importante per la storia
della città e dell’intera Sardegna “este monte y lugar
desierto y solitario” 23.
Se della vita di Castel di Bonaria in età catalanoaragonese abbiamo una considerevole produzione
documentaria che ci tramanda le sue vicende, diversamente accade per il riscontro materiale. Infatti non
rimane quasi alcuna evidenza che testimoni questa
vivacissima fase di frequentazione dell’area; esiste
una grave difficoltà ad effettuare interventi archeologici in un settore ormai più che fittamente urbanizzato, se non attraverso scavi d’emergenza necessariamente circoscritti nello spazio e limitati alla minor
durata possibile.
L’unica struttura, tra quelle citate dalle fonti antiche, giunta fino ai giorni nostri è proprio la chiesa di
Nostra Signora di Bonaria (fig. 3), la prima costruita
dai Catalano-Aragonesi a Cagliari e la più antica di
cui rimanga traccia in Sardegna24. L’edificio, messo
in opera nel 1324 e completato nell’aprile dell’anno
successivo, in base a quanto attestano i documenti25,
ha una sola navata priva di transetto26, che al tempo
Scano, 1934; Nocco, 2003 p. 820; Laneri, 2007 p. 48.
Meloni, 2006 p. 346; Meloni, 2008 p. 58. Ad avvalorare tale definizione di quest’area dei dintorni di Cagliari giunge, sempre dello stesso anno 1595, un bulino rappresentante la Vergine di Bonaria tra le
sante Cecilia ed Eulalia, commissionato dallo stesso Brondo ed incisa
da Martin van Valckenborch III sul disegno creato da Ferdinando de
Sylva (fig. 4). Sotto le immagini delle sante viene rappresentato, ad una
certa distanza dalle mura cagliaritane, il colle di Bonaria con in cima il
santuario e il convento, del tutto al di fuori del sistema urbano e isolati,
ai piedi del colle la costa del mare e quasi sulla riva la chiesetta di San
Bardilio, dai cui pressi parte la scalinata di accesso al santuario, intervallata da tre croci stazionarie e percorsa da una coda di fedeli e pellegrini
(Scano, 1993 pp. 125-127).
24
Questa non fu la prima chiesa edificata dai catalano-aragonesi in tutta
la Sardegna, poiché la precedettero la cappella di Sant’Eulalia nel castello
di Salvaterra di Villa di Chiesa e quella intitolata a Nostro Signore Gesù
Cristo, alla Madonna e a San Giorgio sorta nel luogo in cui si svolse
la battaglia di Lutocisterna (Costa i Paretas, 1973 p. 7). Di tali edifici,
tuttavia, non sono sopravvissute tracce materiali.
25
Segni Pulvirenti & Sari 1994, p. 15, nota 9. Per la documentazione relativa al completamento della chiesa di Bonaria si vedano Arribas
Palau (1952 pp. 415-420), Putzulu (1963 pp. 324-325), Costa i Paretas
(1973 pp. 24-25, doc. 5) e Casula (1993 pp. 207-220).
26
R. Serra, riprendendo lo studio sistematico dell’architettura goticocatalana di P. Lavedan (1935), inserisce il Santuario di Nostra Signora di
Bonaria nel tipo degli edifici a navata unica “ad ampio vano rettangolare
in cui fanno aggetto i contrafforti fra i quali è possibile ricavare cappelle poco profonde; assenza costante di transetto; coro più ristretto della
navata, a pianta poligonale, senza deambulatorio né cappelle radiali”,
sviluppato in Catalogna parallelamente a quello, più grandioso, a tre navate, e portato a perfezione formale a metà del XIII secolo (Serra 195557, p. 333). È importante tenere a mente questa tipologia, dato che
22
23
della costruzione era probabilmente riparata da una
copertura lignea con arconi trasversali di sostegno27,
ai cui lati si aprono cappelle poco profonde inserite
tra i contrafforti; presenta un’abside poligonale, coperta da una volta a spicchi con costoloni che dalla
chiave si irradiano fino al pavimento, sulla copertura
della quale si innalza il campanile che ne segue la
forma, sostenuto da cinque alti contrafforti esterni
su tutti gli spigoli e a cui si accedeva attraverso una
torretta esterna addossata alla costruzione, al cui interno girava una scala a chiocciola (Serra, 1955-57
p. 348; Segni Pulvirenti & Sari, 1994 p. 17). Al tempo della costruzione la navata era divisa in cinque
campate, nel rispetto delle proporzioni dell’architettura gotico-catalana, secondo cui la suddivisione
doveva essere in un numero pari a quello degli angoli
dell’abside. Oggi presenta sei campate, la più esterna
delle quali è stata creata nel 1895, in occasione dei
lavori per la risistemazione della facciata dell’edificio
(fig. 5).
L’architettura gotico-catalana presenta connotati molto ben codificati che, se furono ampiamente
messi in opera già negli edifici del XII secolo, nel
successivo divennero un vero e proprio indicatore
identitario per gli architetti e le committenze del
Levante Spagnolo, tanto da caratterizzare la quasi
totalità degli edifici di culto edificati nella Corona
d’Aragona durante il XIII e il XIV secolo28. Le sue
caratteristiche fondamentali sono: navata unica più
o meno ampia e monumentale, spesso senza transetto, con abside poligonale; volte a crociera che reggono il contrappeso con contrafforti esterni che si
innalzano fin sotto la cornice e cappelle ricavate tra
questi contrafforti; grandi finestre aperte su uno o
più livelli (Camps, 2002a p. 164). Alcuni elementi
conferivano all’edificio sardo una certa peculiarità rispetto a questi canoni dell’architettura religiosa catalano-aragonese ad esso contemporanea nella Penisola
Iberica: innanzitutto l’abside si apriva più ristretta e
di copertura più bassa rispetto alla navata, mentre
nel Levante Spagnolo la sua ampiezza massima e la
larghezza della navata, calcolata dalla soglia della
in Sardegna non si riscontrano, durante il periodo catalano-aragonese,
edifici di quella a tre navate, mentre è diffuso proprio il tipo con una sola
navata e cappelle tra i contrafforti (Manconi Sussarello 1952, p. 199).
27
Questa copertura era molto diffusa in Catalogna tra il XIII e il XIV
secolo, per la sua facile realizzazione e perché era molto apprezzata se,
come fa notare R. Serra (1955-57 p. 349), fu utilizzato questo sistema
anche per coprire la navata della cappella del Palazzo Reale di Barcellona.
28
L’architettura gotica si diffuse in Catalogna, con le caratteristiche
tipiche che la contraddistinguono da quella del resto dell’Europa, nel
XII e XIII secolo grazie all’opera degli ordini mendicanti francescano e,
soprattutto, domenicano, i quali mutuarono alcuni elementi del gotico
francese e li fusero con quelli della tradizione ancora romanica dei territori della Corona d’Aragona (Camps, 2002a pp. 167-169).
- 521 -
D. Corda
cappelle di un lato a quella delle cappelle dell’altro
lato, coincidevano, formando un continuo spaziale29; inoltre era del tutto bizzarro il posizionamento
del campanile proprio sopra l’abside, tanto da originare la tradizione che la struttura fosse, in origine,
una torre del castello catalano della Barceloneta, in
cui, successivamente, fu ricavato l’altare30. A smentire questa teoria compare al centro dell’abside un
oculo ornato con un rosoncino, ben poco funzionale in una costruzione a scopo militare, chiaramente
inserito durante la creazione della parete muraria e
non successivamente, quindi espressione della tipologia architettonica della prima fase edilizia della
struttura. Inoltre la torre è troppo esile per i canoni
dell’architettura militare, a giudicare dai suoi muri
non più spessi di 60 cm. Accettando quest’ipotesi si
potrebbe dare anche spiegazione all’ulteriore variazione dell’edificio sardo rispetto ai modelli catalani
rappresentata dalla totale assenza di accessi di luce
sui lati della struttura poligonale dell’abside, contrariamente ai canoni iberici, che non solo ne dotavano
ogni lato di grandi finestroni, ma spesso tali aperture erano posizionate su più ordini. In quest’ottica si
potrebbe leggere l’esigenza di rafforzare l’abside liberandola dalle finestre che ne avrebbero indebolito la
capacità di sostenere il peso della costruzione sovrastante (Serra, 1955-57 pp. 333-343). R. Serra rifiuta
la considerazione secondo cui i modelli del Levante
Spagnolo, dovendo essere applicati in Sardegna su
scala ridotta, abbiano portato alla necessità di mettere in atto certe variazioni, considerando che nella
stessa Catalogna edifici di ridottissime dimensioni
riportano fedelmente le proporzioni dettate dalle
regole del gotico catalano (Serra 1955-57, p. 338).
Inoltre, a giudicare dal particolare momento in cui
la chiesa fu edificata, pare difficile che le maestranze cui fu affidata la realizzazione del progetto, verosimilmente catalane giunte al seguito dell’Infante
Alfonso e del suo esercito, fossero tanto influenzabili
dalla sensibilità dei sardi da subire il fascino della
loro tradizione romanica È pure vero che i campanili delle chiese gotico-catalane sorgevano nei punti
Questo accade, per fare alcuni evidenti esempi catalani, nella chiesa del monastero francescano di Santa Maria di Pedralbes (Beseran i
Ramon, Cubeles i Bonet & Julià i Capdevila, 2002 pp. 193-200),
nella chiesa del convento di San Domenico a Girona (Camps, 2002b
pp. 219-223), ma anche nella stessa Cattedrale di Barcellona (Bracons
Clapés & Terés i Tomàs, 2002 pp. 274-301).
30
Arce, 1960 p. 266. Lo studioso scriveva: “Y dentro de la nueva centuria, el más antiguo resto lo tenemos en lo que queda de la primitiva
construcción de la iglesia de Bonaria, concretamente en el ábside con
bóveda de nervaduras y en el desmochado campanario ctogonal - que se
alza sobre el actual ábside -, unico resto de la primitiva Barceloneta que
allí fundara don Alfonso, el infante conquistador”.
29
più disparati (e la posizione di quello di Bonaria non
sarebbe altro che una delle numerose varianti), ma
non si riscontrano modifiche dei canoni costruttivi
e delle proporzioni degli spazi interni delle chiese in
base alla decisione del punto in cui collocarli, mentre nel Santuario di Bonaria la scelta di una posizione tanto inusuale, forse dettata da reali esigenze di
spazio, avrebbe potuto rendere necessarie delle modifiche rispetto al consueto.
L’elemento che rende l’analisi dell’edificio più interessante è costituito da alcuni dettagli del campanile,
che si presenta privo di coronamento e con un tetto
a spiovente su un lato, apparentemente il risultato
di un recupero successivo ad un parziale crollo (figg.
6-7). In realtà è molto probabile che tale sistemazione risalga alle fasi costruttive della chiesa e non ad
una sua ristrutturazione. Infatti la cella campanaria
si apre in due sole monofore, sui lati ovest e nordovest, mentre sugli altri lati il paramento murario
è continuo ed omogeneo, privo di segni di riempimento successivi ad un eventuale crollo che avrebbe
portato via la parte sommitale delle altre monofore
posizionate simmetricamente e di cui dovrebbero rimanere tracce delle parti inferiori. Questo dettaglio,
unito all’assenza quasi totale di elementi decorativi e
rifiniture architettoniche, può far pensare verosimilmente che, per soddisfare con celerità le esigenze di
una comunità in rapido sviluppo, si decise di interrompere i lavori prima del tempo, dopo aver realizzato solo due delle monofore previste dal progetto e
adattando il tetto in modo sbrigativo ma, allo stesso tempo, funzionale allo scolo delle acque piovane
(Serra, 1955-57 pp. 342-343).
Delle altre strutture che caratterizzavano l’area di
Castel di Bonaria, un’interessante testimonianza, anche se non diretta, è data dalla chiesa di San Bardilio
(figg. 8, 10), indicata anche come Sancta Maria de
Portu gruttis, per via della sua vicinanza con un porticciolo presso il quale erano scavate delle “grotticelle”, resti delle sepolture puniche, tardoromane e paleocristiane dell’area funeraria retrostante31, o anche
de Portu salis, in relazione al legame tra il complesso
monastico e tale porto da cui si commerciava il sale
estratto dalle non distanti saline32. Con quest’ultima
Tali grotticelle sono ben visibili in un’incisione su legno conservata a
Bonaria (fig. 10), di cui devo ringraziare la professoressa M. G. Scano
per aver gentilmente messo a mia disposizione l’immagine.
32
Tale scalo commerciale fu il primo insediamento pisano dell’area, un
primo emporio mercantile che precedette la vera e propria fondazione
del Castellum Kastro de Kallari, sul colle di Castello, nel 1217 (Petrucci
1986, pp. 236-237). A. Oliva (1986, p. 265) gli attribuisce origini molto antiche, infatti afferma che i Pisani riuscirono a indebolire economicamente il centro giudicale di S. Igia, prima della sua effettiva distruzione nel 1258, proprio grazie alla sua riattivazione e alla ripopolazione dei
31
- 522 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
denominazione è menzionata nell’XI-XII secolo tra
i possedimenti dei Vittorini33. Aveva un’aula rettangolare mononavata con abside semicircolare orientata e copertura lignea. Nella facciata si apriva un
portale architravato, con stipiti monolitici, capitelli
fitomorfi e arco di scarico sopraccigliato (Coroneo
1993, p. 266). La piccola chiesa romanica fu ceduta
all’Opera di Santa Maria di Pisa nel 1218, che l’affidò ai Francescani nel 122934, i quali la ridecorarono
in stile gotico, aggiungendo nella facciata una finestra bifora ad arco acuto e un frontone timpanato
e archetti trilobati ascendenti con ghiera multipla e
sottili piedritti modanati. Essi l’abbandonarono nel
1508 e l’edificio fu preso in consegna dai Trinitari
tra il 1558 e il 1803. Durante l’Ottocento perse il
suo ruolo di luogo di culto e fu usata come caserma,
magazzino, carcere, polveriera35. Oggi la chiesa non
esiste più, essendo stata demolita nel 1929 a causa
di alcuni crolli che ne avevano reso irrecuperabile
la stabilità strutturale, nonostante Dionigi Scano36,
in due diverse battute, nel 1903 e nel 1909, avesse
inoltrato dei progetti di restauro dell’edificio, mai
realizzati (Ingegno, 1993 p. 247).
Sebbene la sua storia sia di molto precedente all’arrivo dei Catalano-Aragonesi, Santa Maria del Porto risulta di grande interesse ai fini di questa ricerca grazie
ad alcuni documenti emanati su ordine regio. Il primo, del 132537, è la nomina da parte del Consiglio
della villa di Bonaria e di Arnau de Cassà, amministratore del Regno di Sardegna, a Jaume Axado di
direttore dei lavori di fortificazione della cittadella
ctatalano-aragonese. Secondo la fonte fu aperto nelle
mura difensive un portal de pedra in corrispondenza
proprio di Santa Maria del Porto. Il secondo documento, che R. Conde y Delgado deMolina data circa
all’agosto 132638, riporta le istruzioni di Alfonso per
la pianificazione dell’espansione cittadina. L’Infante
ordinava che, una volta esaurito lo sviluppo urbano
quartieri orientali della vecchia Caralis romana “ormai abbandonata da
diverso tempo”.
33
Guérard, 1857, II, doc. 1010. Il documento del 1090 dice: “Ego
Constantinus (…) dono (…) beato Victori Marseiliensi martiri et sancto Saturno et abbati Richardo et monachis Massiliensibus in monasterio
eiusdem sancti Saturni Kalaris habitantibus ecclesiam sancti Luciferi de
Pau (…) et ecclesiam sancti Petri de Piscatore (…) et ecclesiam sancte Marie
de Portu salis”.
34
Pintus, 1991 p. 148. Secondo R. Coroneo (1993 p. 266) e M. B.
Urban (2000 p. 37) l’affidamento della chiesa ai Frati Minori risalirebbe
al 1230.
35
Pintus, 1991 p. 148; Coroneo, 1993 p. 266.
36
Per un approfondimento sulla vita e le opere del famoso architetto
sardo si veda P. Casini (1951).
37
ACA, RP, MR, reg. 2059, f. 4r-v, citato da M. B. Urban (2000 p.
23, nota 21).
38
Conde y Delgado deMolina & Aragò Cabañas, 1984 pp. 197, doc.
III, pp. 211-215; Urban, 2000 pp. 35-38.
verso Muntfort, “sia començada pobla nova de la part
della, axi que sia començat un bell carrer lo pus bell,
e.l pus ample, e.l pus especios e tot dret, qui partescha
de la porta de Santa Maria del Port e son puyg tot dret
entro a castell de Caller e sia primerament començada e
acabada la pobla e el carrer de la part deça vers Santa
Maria del Port, cor si daven a amdosos los caps, tot hom
pendria abans en la part de Caller. E sia fet lo dit carrer
deves la porta de Santa Maria de Port riba de la mar,
axi que cases hage .Ia. tira entre la mar e el dit carrer
a amunt altra tira de cases per tal que depuys acabat
lo dit carrer s.en pogues fer altre e puys altre e altre
amunt en tro a Sent Sedorn segons que.ls pobladors vulrien…”. La documentazione fotografica del primo
Novecento e le piante dei progetti di risistemazione
della chiesetta e dell’area circostante ci permettono
di darne una precisa collocazione là dove oggi sorge
il moderno ingresso del Cimitero Monumentale e ci
offrono la possibilità, con buona approssimazione,
di fare qualche ipotesi sul posizionamento e sull’orientamento delle mura e della porta d’accesso alla
cittadella fortificata, che doveva aprirsi in direzione
dell’odierno viale Bonaria.
Nel 1987 D. Mureddu ha condotto un intervento
proprio a ridosso dell’area di San Bardilio, da cui è
emersa una notevole quantità di materiali risalente alle più varie età storiche. Tra questi materiali,
nell’ambito di un deposito archeologico interpretato come un butto altomedievale, è stata individuata
una serie di anfore globulari che presentavano alcuni
segni incisi, tra cui i simboli ΠΑ, interpretati come
le prime lettere greche della parola ΠΑΤΕRΕΣ e riferibili alla piccola comunità monastica insediata nel
complesso avente come fulcro la chiesetta adiacente
(Mureddu, 2002 pp. 237-241). La studiosa adduce
a conferma dell’attribuzione di tale serie di reperti
al complesso monastico anche un’argomentazione
di tipo cronologico. Tale tipologia ceramica, infatti, comune in area bizantina e costantinopolitana
e nell’Italia meridionale e riferita ad un arco abbastanza ampio, dal VI al IX secolo, negli esemplari
studiati viene ricondotta al tardo VII-VIII secolo
d.C., per associazione con ritrovamenti di similare
tipologia in un deposito all’interno di un ninfeo a
Porto (p. 238). A tale momento storico viene tradizionalmente associato il trasferimento della Carales
tardoantica presso gli stagni occidentali. Il sito del
ritrovamento delle anfore globulari verrebbe, quindi, per il periodo indicato, inserito in un contesto
suburbano e funerario nel quale, oltre a sepolture di
età romana, si riconoscerebbero due tombe a camera
in pietre squadrate, che nell’Ottocento il canonico
- 523 -
D. Corda
Giovanni Spano descriveva come “due sepolcri di
famiglia quasi giganteschi, formati uno a botte con
grandi massi calcarei ben scalpellinati, sotto terra per
circa due metri e l’altro a parallelogrammo, coperto
a massi a guisa di sepolture dei giganti” (Mureddu
et al., 1988, p. 81), riconducibili ad altre similari
della Sardegna meridionale, connesse con edifici di
culto di età bizantina. La presenza nei paraggi della
comunità di San Bardilio nel IX secolo suggerirebbe alla studiosa la possibilità che tale comunità fosse
presente già nell’VIII, “diretta filiazione di un centro religioso della Penisola, le cui risorse derivavano
dall’estrazione del sale”. Il rapporto con la casa madre, da cui avrebbe ricevuto un carico di provviste
trasportate con tale tipologia ceramica, spiegherebbe
la concentrazione di contenitori di cui non si ha alcuna altra testimonianza in Sardegna. Purtroppo la
maggior parte dei materiali dello scavo è ancora in
attesa di studio e, di conseguenza, non è possibile
ricavare da tali reperti le preziose notizie che potrebbero fornire riguardo, specificatamente a questo studio, alla frequentazione catalano-aragonese del colle.
Un contributo a questa raccolta di dati topografici
su Castel di Bonaria giunge attraverso la verifica di
vecchie notizie e scavi archeologici. Interessante la
notizia riportata dal Brondo, che “costituisce in merito la fonte descrittiva più antica” (Mureddu et al.,
1988 p. 79), secondo cui al suo tempo erano ben visibili in cima al colle e sulle sue pendici fino al mare
diverse tombe, in particolar modo alcune, di grandi
dimensioni e comunicanti tra loro, che presentavano ingressi sagomati e che avrebbero potuto essere
dotate di porte ed abitate. Aggiungeva anche che
una in particolare, tra le più spaziose, venne scelta
come prima dimora dell’Infante Alfonso, tanto che
fu chiamata la «grotta del Re»39.
Alcuni scavi furono condotti anche in occasione della costruzione del Cimitero Monumentale e si estende sul versante occidentale del colle (Vivanet, 1892).
Come già ricordato, le prime fortificazioni murarie
della roccaforte catalano-aragonese racchiudevano
alcune strutture, tra le quali una antigor de bayns, un
rudere di strutture termali parzialmente ristrutturate
(Todde, 1984 p. 336). I dati documentari non danno alcuna notizia utile a collocare questi ambienti,
però nel 1909 Antonio Taramelli riportò la notizia
di uno scavo archeologico relativo proprio a strutture termali nel terreno di G. B. Ravenna, “… nel
podere di sua proprietà, che forma l’ultimo isolato
tra la chiesa di san Saturnino o ss. Cosma e Damiano
ed il viale di Bonaria, a breve distanza dalla stazione
della ferrovia e dalla spiaggia del mare…” (Taramelli,
1909 p. 445). Questo lussuoso ambiente termale, risalente al III sec. d.C., localizzato nell’isolato tra il
viale Cimitero e via Nuoro, in corrispondenza del
luogo in cui adesso sorgono il palazzo della RAI e
gli edifici circostanti40 e di cui al giorno d’oggi rimangono solo alcuni pannelli musivi conservati al
Museo Archeologico di Cagliari, era costituito da un
ampio ambiente quadrangolare con pavimentazione
musiva suddivisa in venticinque riquadri, attorno ad
un pozzetto centrale; ai lati si aprivano due vasche,
una quadrata, l’altra semicircolare, decorate con nicchie e rivestite di marmi policromi (figg. 11-12). Le
decorazioni musive riportavano decorazioni fitomorfe, alternate a scene di tiaso marino con nereidi,
eroti su delfini, centauri e tritoni. Lo studioso stesso
aveva alcuni dubbi sull’attribuzione dell’edificio ad
una struttura pubblica, benché le dimensioni fossero
ragguardevoli. D. Mureddu, più recentemente intervenuta sull’argomento, sottolinea l’assenza, nella
struttura che il Taramelli mise in luce, di un calidarium e afferma che tale assenza dovrebbe suggerire
la pertinenza dell’edificio ad ambienti termali privati (Mureddu, 1991 p. 17-20). Inoltre il Taramelli
notò fasi più tarde di vita dell’edificio, caratterizzate
da restauri grossolani dei mosaici e ristrutturazioni
delle murature. In ultimo riscontrava tracce di una
sistematica spoliazione dell’intero complesso dei ruderi, con ogni probabilità corrispondente alla fine
della vita dell’edificio. Egli affermava: “Dopo che
erano periti, in seguito a violente distruzioni, essi
erano stati demoliti, con un’azione lenta e metodica,
per la ricerca di materiali da costruzione, utilizzate
in modestissime fabbriche, di cui rimanevano i resti incastrati sopra alle fondazioni ed alle murature originali. Questo vandalismo metodico si estese
alle lastre marmoree dei rivestimenti, alle grappe in
bronzo, ai muri di laterizi e di blocchi di calcare e di
tufo: cosicchè solo le fondazioni ed in parte anche
queste, ed i pavimenti, sconvolti pure essi dai pozzi
e dagli scavi seriori, poterono giungere sino a noi”
(Taramelli, 1909 pp. 445-447). Lo studioso notò la
presenza di monete di Valentiniano ed Arcadio negli
strati di macerie che ricoprivano il rudere, insieme
a varie lampade cristiane col simbolo della croce, e
Brondo, 1595 pp. 15, 31, 36-37, 103-108. Lo Spano ne dà una collocazione precisa, affermando che si trovava “di rimpetto alla chiesa, sotto
la cinta” (Spano 1861, p. 306, citato in Mureddu et al., 1988 p. 79,
nota 5).
40
39
Tale edificio viene collocato con precisione solo nella carta che rappresenta le emergenze archeologiche della Caralis romana e punica in
allegato al Forma Kalaris di D. Scano (1934, mappa I) con la semplice
denominazione di “terme” (fig. 13).
- 524 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
le attribuì ad un possibile riutilizzo dell’edificio con
funzione cimiteriale nel V secolo d.C. Infine notava,
sempre negli strati di riempimento, diverse tracce di
incendio, che avrebbero definitivamente segnato la
morte dell’edificio (Taramelli, 1909 p. 456, nota 2).
Non ci è dato sapere se si trattasse dello stesso rudere
citato nei documenti catalani, ma se così fosse ci permetterebbe di delineare, se non un preciso tracciato,
quanto meno un’area in cui ipotizzare con maggiore probabilità il passaggio di quella parte della cinta
difensiva più avanzata verso Castel di Cagliari, interessata direttamente dagli scontri campali e probabilmente meglio rinforzata, che dalla chiesa di
San Saturnino giungeva fino al mare. Inoltre il citato “vandalismo metodico” e le tracce d’incendio
potrebbero essere riferite proprio a un qualche momento dell’assedio di Castel di Cagliari del Trecento,
durante il quale sarebbe stato necessario riadattare le
strutture ad una funzione più propriamente difensiva e renderle capaci di contenere eventuali assalti
alla cinta catalano-aragonese. Purtroppo non rimane
nulla di tale edificio e, non potendo portare avanti uno studio delle strutture con metodi, modalità
e sensibilità moderne, che possano confermare o
smentire il ruolo di questa antigor de bayns in tali
eventi bellici, ogni ipotesi risulta alquanto aleatoria. Interessante, però, come l’area subito adiacente a quella in cui erano collocati tali ruderi, e che
quindi doveva verosimilmente essere il teatro degli
scontri più accesi tra Pisani e Catalano-Aragonesi,
sia rimasta collegata fino al secolo scorso, nella denominazione di Piazza d’Armi o Campo di Marte
a seconda dei casi, ad un ambito militare. L. Pani
Ermini (1992b pp. 80-81) collega tale toponomastica proprio alla vicinanza con la cittadella fortificata
di Bonaria e avanza la possibilità che sia, però, ad
essa precedente e la collega alla possibile presenza di
un castrum nei pressi dell’area a difesa della Cagliari
tardoantica.
Riguardo alla chiesa e al monastero dedicati al martire sardo Saturnino, benché siano stati interessati
nel tempo da numerosi scavi sistematici che hanno
permesso di mettere in luce un’ampia stratificazione, tuttavia sappiamo davvero poco delle loro vicende in relazione all’assedio di Castel di Cagliari e di
quali interventi di adattamento alle nuove esigenze
belliche dovettero subire. La prima attestazione del
luogo di culto risale al VI secolo, quando Fulgenzio,
vescovo di Ruspe, esiliato in Sardegna dal re vandalo
Trasamundo, fondò un monastero iuxta basilicam
sancti martyris Saturnini. Come per la chiesa di Santa
Maria del Porto, l’edificio fu donato nel 1089 ai
Vittorini di Marsiglia, che lo ristrutturarono in stile
protoromanico e lo riconsacrarono nel 1119. Diversi
interventi particolarmente invasivi in vari momenti
storici hanno reso la lettura delle strutture particolarmente controversa. Nel Seicento il sito fu interessato da una lunga serie di scavi, durante il corso di
un trentennio, promossi dall’arcivescovo D’Esquivel
e interessati al recupero dei cuerpos santos, secondo la
moda del recupero dei culti martiriali sancita durante il Concilio di Trento e che si diffuse ampiamente
in tutti i territori che aderirono alla Controriforma
(figg. 14-15), prima fra tutte la Corona di Spagna,
di cui la Sardegna faceva parte (Mureddu et al., 1988
pp. 57-62). Nel XX secolo l’edificio fu sottoposto
a diversi interventi di restauro, finalizzati al recupero delle parti originarie e al consolidamento degli alzati, ad opera dello Scano (Ingegno, 1993 pp.
267, 270), del Taramelli (p. 294), del Vicario (pp.
318-319) e del Crudeli (pp. 346, 350). Oggi resta
integro solo il braccio orientale, concluso con abside, diviso in tre navate da colonne con capitelli di
reimpiego. Gli altri bracci sono stati demoliti, ma di
quello settentrionale rimane la parte inferiore della
facciata (Coroneo, 1993 p. 29). Siamo a conoscenza
del fatto che durante l’assedio catalano-aragonese a
Castel di Cagliari il complesso faceva parte della linea difensiva più avanzata di Castel di Bonaria, che
l’aveva inglobato, essendo tali strutture posizionate
in un luogo strategicamente primario e sicuramente
centro di aspri scontri armati durante i quali la chiesa e il monastero furono ampiamente danneggiati,
se, come sembrano evidenziare i dati documentari,
furono poi utilizzati come cave di materiali per i restauri dei possedimenti di Berengario Carroz, tra cui
il Castello di San Michele41. È altrettanto vero che
gli stessi dati archeologici non offrono alcun riscontro riferibile ad un rinforzo degli alzati o di un qualunque intervento di adattamento dell’edificio alle
esigenze belliche dell’Infante Alfonso42. Detto ciò
D’Arienzo, 1983 pp. 53-54; Spiga, 1986 p. 268; Mureddu et al.,
1988 p. 55. L. D’Arienzo parla di come Berengario Carroz, approfittando del fatto che i Vittorini, a causa del pericolo della guerra, avevano abbandonato chiesa e convento che erano stati occupati dalle forze armate
di Alfonso, una volta terminati gli scontri armati entrò indebitamente
in possesso del priorato e dei possedimenti ad esso pertinenti, dando
inizio all’azione di spoliazione dei materiali lapidei dagli edifici per la
ristrutturazione della sua dimora nel castello di San Michele. Secondo
la studiosa “a niente valsero le proteste del priore Bertrando Isnard ad
Alfonso il Benigno, nel frattempo divenuto re (1327-1336), e senza efficacia rimasero le stesse disposizioni sovrane del giugno 1327, in base
alle quali il governatore della Sardegna avrebbe dovuto rendere giustizia
al priore, secondo la «carta» locale ed il «costume» sardo…”, citata anche
da Spiga (1984 p. 68).
42
Per uno studio delle fasi archeologiche della chiesa e del complesso monumentale di San Saturnino si vedano Pani Ermini, 1982-84;
Mongiu, 1989; Pani Ermini, 1992a; Pani Ermini, 1992b; Mele, 2000;
41
- 525 -
D. Corda
va segnalato che le indagini archeologiche interessanti l’area di piazza san Cosimo, immediatamente
prospicente la chiesa, benchè non abbiano evidenziato fasi costruttive riferibili con certezza ad un
adattamento dell’area a esigenze belliche in età medievale, tuttavia hanno restituito una certa quantità
di materiali pertinenti ad ambiente iberico (valenzano o barcellonese) delle più comuni tipologie, decorate in verde ramina e bruno manganese, in blu
cobalto, blu e lustro metallico o solo lustro, riferibili
al XIV secolo. Tali materiali non si presentavano in
successione stratigrafica, ma giacevano in uno strato di riempimento delle strutture riferite al pozzo
messo in luce durante lo scavo (Spanu, 1992a pp.
103-105; Spanu, 1992b pp. 72-77). Questi elementi
emersi presso il complesso di san Saturnino attesterebbero, se non un sicuro passaggio di genti iberiche,
quanto meno dei rapporti con la Penisola Iberica in
un periodo corrispondente a quello dell’assedio di
Castel di Cagliari.
Di tutto il sistema murario di Castel di Bonaria non
abbiamo alcuna testimonianza archeologica e non
possiamo intuirne il percorso con certezza. L’unico
settore per cui è possibile azzardare una qualche approssimazione è quello del versante del colle che dà
verso il mare. Una foto d’epoca precedente alla risistemazione della linea di costa attuata nel dopoguerra permette di ridisegnare il vecchio limite marino
all’incirca tra viale Armando Diaz e viale Cristoforo
Colombo, all’altezza del parcheggio che si apre
tra il Liceo Tecnico Nautico “Buccari” e l’Hotel
Mediterraneo. Verosimilmente in quello spazio dovevano correre le mura che proteggevano le strutture
del porto di Castel di Bonaria (figg. 16-17), nato,
come già detto, con funzione di scalo destinato al
commercio del sale, utilizzato ancora con la stessa
destinazione durante il dominio pisano del territorio
e ampliato per riadattarlo alle esigenze di un vero e
proprio porto urbano dai catalano-aragonesi in aperta politica anti-pisana43. Sempre del settore costiero
delle mura faceva parte la torre de l’Esperó, costruita
sotto la direzione dell’obrer Guillem Rovira, che operò fino al 28 gennaio 1326 (Costa y Paretas, 1973
pp. 10-13; Urban, 2000 p. 24) e della cui ubicazione
esatta non si ha alcun dato esplicito. La sua denominazione (torre dello Sperone) identifica la struttura
dal punto di vista delle sue caratteristiche funzionali,
infatti il Dizionario Enciclopedico di Architettura
e Urbanistica, alla voce sperone, riporta: “… nelle
Piras, 2000; Spanu, 2000; Salvi, 2002a; Salvi, 2002b.
43
ACA, Canc, reg.424, ff. 31r-33v, citato da Urban (2000 p. 25, nota
30).
costruzioni civili e nelle fortificazioni (…) struttura
trasversale di rinforzo a murature o fondazioni sottoposte a spinte oblique” (Portoghesi 1969, VI, p. 52),
mentre alla voce torre, tra le varianti riscontrabili, cita
anche la torre “a becco di sprone” (Portoghesi 1969,
VI, p. 229), attestandone la tipologia. La definizione
di torre dello Sperone appartiene anche ad una delle
strutture difensive della cinta muraria della città di
Alghero, città di fondazione genovese, passata sotto
il dominio catalano-aragonese nel 135344. S. Rattu
(1951 pp. 37-52) riporta un documento catalano,
di cui fornisce anche una traduzione italiana, del 19
febbraio 1364. È l’atto del notaio Pietro Fuyani in
cui viene riportata la ricognizione compiuta da una
Commissione di ispettori istituita dal governatore
del capo del Logudoro Pietro Alberti per accertare
lo stato delle fortificazioni della cinta muraria di
Alghero e preventivare i costi del suo restauro. In tale
documento, conservato all’Archivio del Comune di
Alghero, si dice: “Primierament vehem e regoneguem
la Torra que se appella del esparon de villanova en vert
la mar la qual es consentida e socavada e per lo consentiment apuntalada arbitram les obres necessarias a la
dita torra a tot flix que hauran a costar sexante libres
e mes” (Rattu, 1951 p. 39). Quindi siamo a conoscenza del fatto che la torre dello Sperone, presso il
mare, era già presente (e diroccata) nel 1364, undici
anni dopo la conquista catalana di Alghero (fig. 18)
e perciò doveva già appartenere al circuito murario
genovese della città al momento dell’assedio45. La
medesima denominazione si ritrova, però, nella stessa Castel di Cagliari, infatti anche nel limite murario dell’appendice di Stampace compare una porta
dello Sperone (l’unica sopravvissuta a Cagliari, oltre
quelle dell’Elefante e di San Pancrazio di Castello),
sovrastata dalla torre che la difendeva. Tale struttura
è antecedente a quella di Castel di Bonaria, infatti un’iscrizione murata sulla sua facciata la data al
1293, quando ancora Castel di Cagliari e le sue appendici erano sotto il pieno controllo del Comune
dell’Arno46, inoltre non si trova a ridosso del mare,
però la sua collocazione è del tutto similare rispetto a
Notizie su Alghero precedentemente alla conquista catalano-aragonese si trovano in Rattu, 1951 pp. 5-10 e Brown, 1994 pp. 49-58.
45
Sulle fortificazioni di Alghero si veda anche Castellaccio, 1994 pp.
125-148; riguardo alle opere di ammodernamento delle strutture difensive delle piazzeforti sarde a cavallo del passaggio dalla Corona d’Aragona a quella di Spagna si rimanda a Casu et al., 1995 pp. 217-261 e
Milanese, 2008 pp. 588-590.
46
L’epigrafe murata sulla sua facciata recita: IN NOMINE DOMINI
AMEN. HOC OPUS / FUIT PERFECTUM TEMPORE /
CAPITANI DOMINI GRATIE ALBERTI CAPITANEI COM/UNIS
ET POPULI CASTELLI / CASTRI CURREN/TIBUS ANNIS MCC/
LXXXXIII DE / MENSE MARTII (Masala, 1995 p. 30; Urban, 2000
p. 75, nota 31, p. 234; Cossu, 2001 p. 14, nota 9; Rassu, 2003 p. 48).
44
- 526 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
quella di Alghero, a giuntura di due paramenti murari posizionati ad angolo retto (fig. 19). La torre difensiva di Castel di Bonaria, quindi, per associazone
con quelle viste, doveva probabilmente rinforzare un
punto delle mura in cui esse modificavano la loro
direzione, verosimilmente per proseguire lungo la
linea della costa. Il riferimento alla costruzione della
torre dello Sperone, dal nome così indicativo riguardo alla sua funzione, solo due anni dopo rispetto alla
torre creata presso il mare lungo la linea muraria che
intercettava anche San Saturnino e i ruderi di terme,
citata nel documento del 1324, sembra suggerire la
possibilità che si trattasse dei lavori di completamento di quest’ultima, più che la creazione di una
nuova struttura, ma non ci sono dati che dimostrino
tale suggestiva ipotesi.
Dell’altra porta cittadina di cui si ha notizia, detta de
Quart, abbiamo pochissime notizie, sappiamo solo
che si apriva nel settore settentrionale delle mura,
secondo M. B. Urban (2000, p. 35) verso l’attuale
snodo di Via Dante-Piazza Repubblica, visto che i
primi progetti di espansione edilizia della città riguardavano gli spazi compresi tra questo accesso e il
puyg de les forches, prima che si iniziasse a programmare l’espansione della città, come già detto, verso
Castel di Cagliari47. Su quel colle era già in fase di
costruzione una torre, di cui ufficialmente non si sa
nulla a parte il nome, la torra de Muntfort48. Sembra
chiaro che la costruzione non appartenesse al circuito delle fortificazioni della città ma fosse un avamposto e una vedetta collocata in un luogo più o meno
distante, se tali progetti vedevano quel luogo come
un limite verso cui far tendere l’espansione urbana
del centro catalano-aragonese. Nel punto più meridionale di Monte Urpinu (fig. 20), tra l’imbocco per
viale Europa e il parco dell’ospedale Binaghi, che viene identificato proprio nel detto puyg, son presenti i
ruderi di un fortino, ormai distrutto, e alcune carte
catastali della fine del Settecento ne dichiarano la
collocazione (Fois, 1981 pp. 85-95). Era il forte di S.
Urban, 2000 pp. 32-35; Sanjust, 2008 pp. 203-204.
ACA, Canc, reg. 378, f. 17v, trascritto in Urban, 2000 p. 30, nota 49.
Il documento dice: “… E per ço com ara les gents seran volunteroses de poblar pres la mar al port de Banyarya e si açò era la pobla que s’és començada
de la porta de Quart en[trò] al puyg de les forches, lo qual solia aver nom
Monte Volpino, no.s poria complir ne metre avant perquè sembla als dits
senyors que entre que la pobla desús dita aja compliment que a null hom no
sia donada pobla defora e que.l navili faça port là on se sol a Bonayre e que.l
sarts venguen, axí com solen, ab los carros e ab lurs robes a Bonayre. (…) E
puys, acabada la pobla de Bonayre se deu continuar la pobla de Bonayre a
Càller, per tal que tot sia una ciutat, e a la derreria deu-se poblar aquella
part qui és al port de Banyarya per ço com és cosa que tost serà poblada,
perquè.s deu poblar a la derreria. (…) E volen los dits senyors que sia feta
una torra al puyg de les forches e axí com havia nom Monte Vulpino, que
haja nom la torra de Muntfort”.
47
48
Ignazio, il cui nome fu successivamente attribuito al
forte di Sant’Elia, probabilmente dopo che il primo
cessò la sua attività e fu demolito (fig. 21). La pianta
del forte non sembra suggerire che ci sia stato il riadattamento e l’ampliamento di una struttura militare precedente, ma sarebbe necessario compiere delle
ricerche di tipo archeologico nell’area per verificare
se in suo luogo fosse sorta la suddetta torre catalana
del Trecento. Certamente se in tempi così recenti si
sentì la necessità di fortificare quella propaggine di
monte Urpinu e di metterla a difesa di Villanova e
del passaggio che, costeggiando il colle a Occidente,
si dirigeva da Nord verso il Capo di Sant’Elia, tanto più dovette rendersi necessario proteggere il colle
che sovrastava Castel di Bonaria durante il periodo
della sua breve ma intensa vita. La denominazione
di porta de Quart era dovuta con ogni probabilità al
fatto che il primo centro di rilievo che si incontrava
percorrendo il tracciato viario che si snodava da tale
accesso era proprio Quartu Sant’Elena, insediamento di antiche origini, chiamata così dall’età romana, essendo posta al quarto miglio della via che da
Carales conduceva ad Olbia (Meloni 1990, p. 344).
Non stupisce il riferimento, per identificarla, al più
prossimo luogo di interesse verso cui si apriva, usanza diffusa durante il Medioevo e certamente in ambiente culturale catalano-aragonese, considerato che
a Valencia, capitale del Regno omonimo che faceva
parte della Corona d’Aragona, a metà del XV secolo
fu aperta una porta d’accesso chiamata proprio puerta de Quart verso occidente, e che al quarto miglio
dalla città, seguendo la via che da essa partiva, è tuttora presente la cittadina di Quart de Poblet, nelle
immediate vicinanze del più noto centro di Manises.
Questi pochi, preliminari dati, ben lungi dal voler
fornire soluzioni a problemi di considerevole entità,
permettono, però, di creare una mappa di partenza,
sulla quale poter mettere in atto tutte le riflessioni
che saranno necessarie per portare avanti questo
lavoro. Il primo (e unico) studioso ad aver cercato
di definire sulla carta dei contorni topografici per
la città di Castel di Bonaria è G. Todde (1984, p.
340), il quale, facendo riferimento al sistema viario
tutt’oggi esistente, ipotizza l’estensione del centro
“in un’area che, grosso modo, partendo dall’attuale
via Bottego giungeva, seguendo il viale cimitero, con
un allargamento verso la piazza S. Cosimo, a via De
Gioannis, fino a via Messina chiudendo il cerchio
con via Milano”. Se tutte le riflessioni fatte fin’ora
ricevessero conferma alla luce di più approfondite
ricerche scientifiche, tale tracciato subirebbe alcune
variazioni. La presenza della torre riba la mar farebbe
- 527 -
D. Corda
ipotizzare uno sviluppo della cinta proprio a ridosso della costa, anche a difesa delle strutture portuali,
proprio come sarebbe stato fatto negli anni successivi dai Catalano-Aragonesi nel quartiere di Marina,
e porterebbe ad uno spostamento del fulcro cittadino verso sud-ovest, in direzione del colle di Bonaria.
Questo punto sopraelevato, oltre ad essere il centro
originario dell’accampamento militare delle prime
fasi dell’assedio, dovette essere un elemento centrale
durante tutti gli anni di vita della città, se diede il
nome all’intero abitato pur ricoprendo una piccola
parte della sua estensione e fu scelto per la costruzione della chiesa dedicata alla Santissima Trinità e alla
Madonna. Tale suo ruolo centrale viene in qualche
modo sacrificato nella riproposizione del Todde, che
gli riserva un posto marginale a ridosso delle mura,
per altro piuttosto distanti dal mare. Inoltre, se la
suddetta antigor de bayns corrispondesse ai resti di
edifici termali messi in luce dal Taramelli nei primi
del Novecento, la linea difensiva che univa tale edificio a San Saturnino si presenterebbe perpendicolare
alla linea della costa e un suo prolungamento di essa
verso il mare, giustificabile dalla necessità di costruire
il più in fretta possibile le difese di Castel di Bonaria
e quindi con la minore estensione, avrebbe racchiuso
anche l’area delle vecchie Ferrovie Secondarie, là dove
oggi si estendono il CIS e gli ampi parcheggi ai suoi
lati, che era del tutto esclusa dal tracciato del Todde.
La sua proposta, per ciò che riguarda i confini settentrionali della città, di farli coincidere col percorso
di via De Gioannis sembra facilmente accettabile, in
quanto essi sarebbero sufficientemente distanti dal
luogo identificato col colle su cui sorgeva la torre
di Muntfort da poter immaginare il programma di
espansione della città, da parte dell’Infante Alfonso,
colmando quella distanza. Per quanto riguarda, invece, l’idea che Castel di Bonaria si estendesse fino
all’odierna via Milano sembra poco condivisibile,
escluderebbe una vasta area che da quella linea si
protende fino al mare in pianura e facilmente edificabile, inoltre limiterebbe parecchio l’estensione delle
strutture portuali e, come già detto, sacrificherebbe
la centralità del colle di Bonaria nel tessuto urbano.
In verità, non avendo il benchè minimo riferimento,
nei dati materiali o nelle fonti documentarie, a quel
tratto delle mura, risulta praticamente impossibile
ipotizzarne l’andamento del tracciato (fig. 22).
Questi spunti di ragionamento rappresentano la fase
introduttiva di un lavoro tanto impegnativo, vista
la grande carenza di dati a disposizione, quanto affascinante e coinvolgente, sulle dinamiche di insediamento umano in un’area così problematica per
la ricerca archeologica, a causa dell’insistenza della
città contemporanea su quella antica.
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Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 1. Calaris Sardiniae Caput di
Sigismondo Arquer (da Scano 1934).
Fig. 2. Cagliari, Calaris Sardiniae Caput di Sigismondo
Arquer, particolare di Bonaria (da Scano 1934).
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D. Corda
Fig. 3. Cagliari, Santuario e Basilica di Nostra Signora di Bonaria. Disponibile su: http://www.
bonaria.eu/public/index.php?pid=6 [07-07-2011].
Fig. 4. Nostra Signora di Bonaria con Cecilia e Eulalia, 1595 (da Scano
1993).
- 532 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 5. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria, pianta (da Segni Pulvirenti & Sari 1994).
Fig. 6. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria,
campanile (da Segni Pulvirenti & Sari 1994).
- 533 -
D. Corda
Fig. 7. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria, campanile e abside (da Segni
Pulvirenti & Sari 1994).
Fig. 8. Cagliari, Cimitero di Bonaria e San Bardilio, primo quarto del XX secolo, dettaglio.
Disponibile su: http://mediateca.comune.cagliari.it/archiviostoricocagliari/imagcartogr/serie%20
G/G%2047%20E%20.jpg [07-07-2011].
- 534 -
Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 9. Cagliari, chiesa di San Bardilio, ipotesi ricostruttiva (da Ingegno 1993).
Fig. 10. Cagliari, Lo sbarco della cassa con l’immagine
della Vergine sulle coste di Bonaria (foto Scano).
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D. Corda
Fig. 11. Cagliari, Resti di strutture termali, pianta (da Taramelli 1909).
Fig. 12. Cagliari, Resti di strutture termali, foto (da Taramelli 1909).
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Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 13. Cagliari, resti punici e romani e, in rosso, resti di strutture termali (da Scano 1934).
Fig. 14. San Saturnino in una planimetria seicentesca (da Mureddu, Salvi &
Stefani 1988).
- 537 -
D. Corda
Fig. 15. Cagliari, resti monumentali di San Saturnino. Disponibile su: http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/4/107905.
html [07-07-2011].
Fig. 16. Cagliari, spiaggia di Bonaria, delimitazione della proprietà Demaniale, metà del XIX secolo. Disponibile su: http://mediateca.
comune.cagliari.it/archiviostoricocagliari/imagcartogr/serie%20A/A%2003.jpg [07-07-2011].
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Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 17. Cagliari, spiaggia di Bonaria prima dei lavori di bonifica (da Pecco & Bernardino 1991).
Fig. 18. Alghero, tracciato delle mura (da Cossu, Dessì & Turtas 1995).
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D. Corda
Fig. 19. Cagliari, tracciato delle mura (da Cossu, Dessì & Turtas 1995).
Fig. 20. Cagliari, Monte Urpino con i suoi fortini (da Fais 1981).
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Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese
Fig. 21. Cagliari, fortino di Sant’Ignazio (da Fais 1981).
Fig. 22. Cagliari, Confini di Castel di Bonaria. In rosso la proposta del Todde. In giallo le nuove proposte d’analisi.
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