Ricerca e confronti 2010 ATTI Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte a 20 anni dall’istituzione del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche dell’Università degli Studi di Cagliari (Cagliari, 1-5 marzo 2010) Daniele Corda Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese ArcheoArte. Rivista elettronica di Archeologia e Arte Supplemento 2012 al numero 1 Registrazione Tribunale di Cagliari n. 7 del 28.4.2010 ISSN 2039-4543. http://archeoarte.unica.it/ ArcheoArte. Rivista elettronica di Archeologia e Arte (ISSN 2039-4543) Supplemento 2012 al numero 1 a cura di Maria Grazia Arru, Simona Campus, Riccardo Cicilloni, Rita Ladogana Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università degli Studi di Cagliari Sezione di Archeologia e Storia dell’Arte Cittadella dei Musei - Piazza Arsenale 1 09124 CAGLIARI Comitato scientifico internazionale Alberto Cazzella (Università di Roma La Sapienza); Pierluigi Leone De Castris (Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Napoli); Attilio Mastino (Università degli Studi di Sassari); Giulia Orofino (Università degli Studi di Cassino); Philippe Pergola (CNRS - Université de Provence. Laboratoire d’archéologie médiévale méditerranéenne); Michel-Yves Perrin (École Pratique des Hautes Études); Antonella Sbrilli (Università di Roma La Sapienza); Mario Torelli (Accademia dei Lincei) Direzione Simonetta Angiolillo, Riccardo Cicilloni, Annamaria Comella, Antonio M. Corda, Carla Del Vais, Maria Luisa Frongia, Marco Giuman, Carlo Lugliè, Rossana Martorelli, Alessandra Pasolini, Fabio Pinna, Maria Grazia Scano, Giuseppa Tanda Direttore scientifico Simonetta Angiolillo Direttore responsabile Fabio Pinna Impaginazione Nuove Grafiche Puddu s.r.l. in copertina: Il Castello di Cagliari nel 1358 Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Daniele Corda Cagliari e-mail: [email protected] Riassunto: Nella prima metà del XIV secolo i Catalano-Aragonesi conquistarono Castel di Cagliari e si aprirono un varco verso l’occupazione dell’intera isola di Sardegna. Nello svolgersi di tali cruciali eventi si inserisce il destino di Castel di Bonaria, che nacque come accampamento militare di Alfonso il Magnanimo, crebbe tanto da diventare la prima capitale del Regnum Sardiniae et Corsicae e rapidamente declinò fino a sparire del tutto nel corso di circa un decennio. Se della sua vita giuridica abbiamo ampia testimonianza documentaria, al contrario i dati archeologici e le notizie topografiche risultano molto scarsi e consentono di delinearne solo vagamente i confini e gli elementi caratteristici. Parole chiave: Bonaria, Topografia medievale, Castel di Cagliari, Catalano-Aragonesi, Archeologia urbana Abstract: During the first half of the XIV Century the Catalan-Aragoneses conquered Castel di Cagliari and started the conquest of the entire island of Sardinia. In these crucial events it appears the destiny of Castel di Bonaria, born as military encampment of Alfonso the Magnanimous, and growned up so much to become the first capital of the Regnum Sardiniae et Corsicae and quickly declined, till to disappear completely in approximately a decade. If of its legal life we have many documentary testimoniances, on the contrary, the archaeological data and the topographical news are too insufficient and concur to only vaguely delineate its borders and its characteristic elements. Keywords: Bonaria, Medieval topography, Castel di Cagliari, Catalan-Aragoneses, Urban archaeology La storia e lo sviluppo di Cagliari nei secoli XIV e XV1 sono strettamente collegati alla conquista della città da parte delle truppe del Levante Spagnolo, guidate dall’Infante Alfonso il Magnanimo per conto del padre e sovrano della Corona d’Aragona Questo lavoro nasce da una serie di riflessioni sorte durante alcune fasi di sviluppo della mia tesi per il corso di laurea triennale in Beni Culturali, discussa nell’a.a. 2008/2009 con la guida della prof.ssa Rossana Martorelli, dal titolo “Castel di Cagliari in età catalano aragonese attraverso le testimonianze storiche ed archeologiche”, nella quale passavo in rassegna i quartieri storici di Cagliari e cercavo di ricostruirne la fisionomia, attraverso i dati documentari e le evidenze archeologiche ed architettoniche, nei due secoli di storia compresi tra la conquista della città, nel 1326, da parte delle truppe catalano-aragonesi, fino al 1479, anno del matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia e data canonica a cui si fa risalire la fine dell’indipendenza della Corona d’Aragona e la fusione tra i due Regni a formare la nuova entità politica della Corona di Spagna. Fondamentale, nel corso dello sviluppo di tale lavoro, è stato il tirocinio svolto all’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea–Consiglio Nazionale delle Ricerche di Cagliari, grazie al quale ho potuto giovarmi dei consigli dei ricercatori dell’ISEM-CNR, che mi hanno messo a disposizione anche una gran mole di materiale prezioso per lo svolgimento della mia ricerca. Successivamente, in occasione dell’incontro di studi Ricerche e Confronti, su saggio consiglio del professor Fabio Pinna, ho deciso di circoscrivere l’ambito della mia ricerca alle vicende relative al centro di Castel di Bonaria, rivelatosi particolarmente stimolante ed aperto a vari interventi d’analisi. 1 ArcheoArte 1 Supplemento 2012: 517-541 http://archeoarte.unica.it/ ISSN 2039-4543. Giacomo II il Giusto. In quegli anni decisivi il centro sardo assistette a mutamenti radicali che ne cambiarono profondamente i connotati e lo trasformarono in qualcosa di nuovo, del tutto differente da ciò che era stato per tutto il secolo precedente. In questo quadro dinamico di sviluppo e trasformazione urbana ha catturato la mia attenzione la particolare evoluzione dell’area del colle di Bonaria, al giorno d’oggi interessata quasi completamente dall’edilizia civile di età contemporanea, ma che, a seguito dei primi interventi catalano-aragonesi in Sardegna si presentava come una vera e propria città fortificata, in contrapposizione al vicino centro di Castel di Cagliari, tanto da competere con questo per il titolo di Caput Regni Sardiniae et Corsicae2. Tra le numerose opere che trattano le vicende della storia di Sardegna, si segnalano l’imprescindibile lavoro, seppure ormai datato, di M. Arribas Palau (1952), che traccia un quadro delle premesse storiche e degli sviluppi delle vicende che caratterizzarono questo momento della storia della Sardegna, e di F. C. Casula (1990, I-II), che studia specificatamente il periodo medievale e la dominazione dell’isola da parte della Corona d’Aragona . 2 - 517 - D. Corda Sbarcati a Palma di Sulcis, sulle coste sud-occidentali dell’isola, dopo un lungo assedio durato sette mesi, e la conquista di Villa di Chiesa (l’odierna città di Iglesias, al centro della valle che dal Sulcis conduce verso il Campidano di Cagliari) il 7 febbraio 13243, Alfonso e le sue truppe si diressero verso il Cagliaritano. Si fermarono circa una settimana nell’area pianeggiante presso la villa di Cerargio (corrispondente all’odierna Selargius, comune distante pochi chilometri dal capoluogo sardo e oggi parte del più prossimo hinterland cagliaritano), ma presto fu preferito ad essa il colle di Bonaria, a circa un chilometro a sud-est rispetto a Castel di Cagliari, strategicamente più vantaggioso e difendibile con maggiore efficacia data la sua posizione sopraelevata4. Qui si stabilì un vasto accampamento da cui fu presa d’assedio quella che dal 1217 era la più importante fortezza della Repubblica pisana in Sardegna5. Arribas Palau, 1952 pp. 194-227; Casula, 1990 I pp. 138-158. A. Ingegno (1987 p. 61), riferendosi ad un documento del 1308, verosimilmente un’informativa al re d’Aragona sullo stato delle fortificazioni delle città pisane in Sardegna durante la fase organizzativa della conquista dell’isola, afferma che le mura della città “erano ancora sufficientemente solide ma bisognose di riparazioni”. Lo stesso autore riferisce il contenuto di altri documenti secondo i quali “le mura erano in rovina per il lungo abbandono”, tanto da giustificare i repentini interventi di restauro a cui i Pisani le sottoposero durante gli ultimi anni precedenti allo sbarco dell’Infante Alfonso, i quali, se non impedirono alla città di capitolare, quanto meno le permisero di resistere all’assedio per ben sette mesi, affaticando notevolmente le truppe catalano-aragonesi. Purtroppo, però, non riferisce l’ubicazione di tali testimonianze documentarie, se non affermando genericamente che “le fonti storiche più antiche sono conservate presso l’Archivio della Corona d’Aragona in Barcellona; quelle più recenti sono conservate presso l’Archivio Comunale di Iglesias e l’Archivio di Stato di Cagliari” (Ingegno, 1987 p. 61, nota 3). Al contrario un documento, sempre datato 1308, edito da V. Salavert y Roca (1956, II, doc. 275, pp. 334-337), riportante il resoconto degli ambasciatori al re riguardo i risultati delle loro missioni a Lucca e Firenze, affermava che “[el]s no.n uolen trer gens,cor esperan la guerra axi com la mort, si que han feyt derro[car en (?)] Sardenya forces algunes e specialment I castel, que hauia nom Sangantino, qui era sobre Uila d.E,[sgleya] e an fets enderrocar los murs e.ls uals reblir de la dita Uila d.Esgleya (…)”. È pur vero che in un altro scritto, datato 12 giugno 1323 (Baudi di Vesme, 1877, secolo XIV, doc. XXII, pp. 370-372), Guiccio da Fabriano, portatore di una lettera dei Capitani di guerra di Villa di Chiesa a Pisa, catturato da Pietro di Serra, Capitano del Giudice d’Arborea, e da questi interrogato sullo stato delle difese di Villa di Chiesa, gli confessava che “Villa est fossata tota circum circa, et astechata tota circum circa, et murata media”; poi continuava affermando che “sunt ibi viginti turres muratae; et (…) Castrum Sancti Guat dictae Villae est astechatum et fossatum circum circa, et una turris est ibi murata , et una alia fundata”. Ciò sarebbe una conferma riguardo al buono stato delle fortificazioni del centro iglesiente nell’anno precedente lo sbarco in Sardegna dei Catalano-Aragonesi. 4 Casula, 1990 pp. 161-171; Urban, 1997 p. 96; Urban, 2000 p. 19. 5 Per una sintesi degli eventi storici che portarono alla fondazione pisana di Castel di Castro de Kallari e alla sua supremazia sulla “capitale” del Giudicato di Cagliari si rimanda a Ortu, 2005 pp. 165-179. I Pisani cominciarono a edificare la fortezza nel 1216, quando Lamberto Visconti, dopo essersi impadronito del Giudicato di Gallura, prima con le armi e poi, tra il 1206 e il 1207, attraverso il matrimonio con l’erede Elena, si presentò ai nuovi sovrani del Giudicato di Cagliari, Benedetta e Barisone de Serra, nelle vesti di console del Comune pisano e li forzò, con la minaccia delle armi, a concedergli il colle che sovrasta la capitale giudicale, Santa Igia, e vi avviò subito la costruzione del Castrum. 3 Sebbene una parte delle truppe fosse stata inviata direttamente verso la fortezza pisana di Castel di Cagliari subito dopo lo sbarco dei catalano-aragonesi in Sardegna, senza dubbio l’accampamento militare degli Aragonesi fu stabilito a Bonaria successivamente allo scioglimento dell’assedio di Villa di Chiesa ed in concomitanza con l’arrivo di Alfonso a Castel di Cagliari, altrimenti non si spiegherebbe perché, ancora nell’agosto del 1323, i rifornimenti provenienti dal Giudicato di Arborea, loro alleato, venissero ammassati nella villa di Cerargio. Questo non avrebbe avuto senso se sul colle fosse già stato allestito un accampamento, che avrebbe certamente avuto bisogno di quei rifornimenti per organizzare l’assedio. Tuttavia, secondo la Crónica di Pietro IV d’Aragona, l’Infante attese volutamente nella villa dell’hinterland, poiché non conosceva le intenzioni del nemico e temeva che i Pisani stessero simulando uno sbarco a Terranova per costringerlo ad accorrere in Gallura, permettendo loro di mettere in sicurezza Castel di Castro6. Alla luce di ciò è difficoltoso attribuire la scelta del sito di Bonaria all’uno o all’altro personaggio, anche se è difficile che una tale decisione sia stata delegata ad altri rispetto ad Alfonso in persona, la maggior carica militare e, quindi, con la più alta voce in capitolo, essendo, egli, presente materialmente in loco, nonostante le fonti siano discordanti sull’attribuzione di questa fondamentale scelta strategica7. La zona fu quasi subito rinforzata e munita di una cinta muraria e di torri difensive, trasformandosi da semplice luogo di raccolta di uomini e mezzi bellici in vero e proprio castrum fortificato. A testimonianza di ciò giunge in soccorso un documento del maggio 1324, conservato all’Archivio della Corona d’Aragona (A.C.A., Canc., Cartas Reales Diplomaticas, Jaime II, n. 4230), citato da A. Arribas Palau, poi trascritto da L. D’Arienzo e un anno dopo, con alcune piccole differenze, da G. Todde, il quale dichiara di averne ricevuto il testo originale da M. M. Costa i Paretas. Questa fonte è l’unica descrizione puntuale dell’insediamento catalano-aragonese durante la fase iniziale della sua storia e fornisce diversi elementi sulle strutture architettoniche che lo costituivano. Nella versione riportata dalla D’Arienzo il testo afferma: Arribas Palau, 1952 pp. 233-234; Casula, 1990, I, p. 161; Segni Pulvirenti & Spiga, 1995 p. 831, nota 2. 7 Meloni, 1980 pp. 44-45; Urban, 1997 p. 98, nota 11; Urban, 2000 p. 21, nota 16. M. B. Urban sottolinea la discordanza tra le fonti riguardo chi fece tale scelta: nella Crònica del Muntaner prima viene nominato Alfonso in persona come esecutore dei lavori a Bonaria, poi, in contraddizione con quanto detto prima, Francesc Carroç. Nella Cronaca di Pietro IV il ruolo di direttore dei lavori viene assegnato a Guerau de Roccabertì. 6 - 518 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese “Les obres ques hic son fetes maraveyla es de veer que tota la ost de part del Castel aven mesa dins val de .XX. palms d.ample e de gran pregonea e mur de tapia ab balesteries en lo qual mur ha .III. forger grans et a saber una esgleya de Sent Sadorn que est tant gran e tant bela com la Seu de Leida e axi feta e estam aqui .L. homens a caval e .D. servens e puys una torre molt bela que avem obrada a avant ves la mar dins nostre mur on estan .XX. servens, puys a aval press de la mar avem obrada una antigor de bayns que solien esser e estan hi .C. servents e en cascuna d.aquestes forges ha .II. balestres de torn ab tots sos aparelaments e puga aquest val e mur parten de la mar entro a l.altra porta de la ost… ”. Quindi il documento parla di mura de tapia larghe venti palmi con feritoie, erette a cingere una vasta area comprendente il santuario di San Saturnino, considerato grande e bello come la cattedrale di Lerida, una torre costruita con celerità verso il mare e le rovine di un complesso termale romano sommariamente ristrutturate. Inoltre un fossato in cui scorreva l’acqua dello stagno che poi si riversava in mare rendeva ancor più sicuro l’accampamento8. Infine, oltre a quest’ampia serie di ristrutturazioni che furono messe in opera, furono anche potenziate le strutture portuali che si trovavano sulla costa di fronte al colle, tradizionalmente usate dai Pisani per il commercio del sale, che vennero dotate di una darsena e di impianti mercantili9. M. Cadinu (2001 p. 37) fa notare che ai Catalano-Aragonesi non era estranea l’organizzazione degli accampamenti militari d’assedio, quindi di lunga durata, come vere e proprie città e afferma che “nella Primera Cronica Generál (fine ‘200) si dice di un accampamento simile realizzato durante l’assedio di Siviglia del 1248, con le strade destinate ai vari artigiani”. Con la battaglia di Lutocisterna (località palustre presso Elmas) e la successiva resa dei Pisani nel 19 giugno 132410 fu finalmente realizzato territorialmente, e non più solo formalmente, il tanto agognato Regnum Sardiniae et Corsicae e il grande accampamento fortificato, che Giacomo II suggerì di chiamare Avant Càller e a cui l’Infante Alfonso preferì la più gradevole denominazione di Bon Ayre, ne fu a tutti gli effetti la prima capitale11. Arribas Palau, 1952 p. 340; D’Arienzo, 1983 p. 52, nota 35; Todde ,1984 p. 336, nota 7. L. D’Arienzo fa notare come, a seguito di un’errata lettura del testo, A. Arribas Palau abbia creduto che il complesso di San Saturno fosse stato edificato proprio dai catalano-aragonesi in questo momento. 9 Arribas Palau, 1952 pp. 247-248; Todde, 1984 p. 336; Urban, 1997 p. 99. 10 Il documento della prima pace tra Pisa e la Corona d’Aragona è trascritto in Arribas Palau, 1952, doc. XLVI, pp. 415-420. 11 Todde, 1984 p. 338; Cadeddu, 1996 p. 287; Urban, 1997 p. 108. 8 Parallelamente agli interventi architettonici di carattere militare prese il via un’intensa attività di edilizia civile; infatti, l’area messa in sicurezza dalle fortificazioni cominciò a infittirsi di edifici che ospitavano il gran seguito dell’esercito catalano-aragonese e la quantità di immigrati che giungevano dalle terre della Corona d’Aragona in cerca di fortuna. Fu ordinato, visti i problemi di approvvigionamento idrico, che sotto ogni casa venisse creata una cisterna, sull’esempio della vicina Castel di Cagliari. La nuova cittadinanza espresse da subito l’esigenza di avere un luogo di culto e fu soddisfatta da Alfonso attraverso la costruzione di una chiesa intitolata alla Santissima Trinità e alla Madonna12. La seconda, decisiva vittoria catalano-aragonese sui Pisani, sancita dal trattato del 10 giugno 132613, ebbe conseguenze catastrofiche per il Comune dell’Arno e stabilì la sua definitiva disfatta in terra sarda14. La fortezza di Castel di Cagliari cadde definitivamente in mano agli assedianti, insieme alle sue appendici di Stampace e Villanova e alle strutture portuali presenti in Lapola15, e ai Pisani fu rinnovato l’onere di pagare tutte le sanzioni che erano già state loro addebitate in occasione del primo trattato del 1324. Anche se, nel testo del documento di pace, le genti pisane furono trattate con poca durezza e i loro interessi economici nell’isola furono tutelati16, G. Todde sottolinea come nella tradizione si sia equivocato sul nome di Bonaria, facendolo derivare dalla vicinanza del centro al porto di Cagliari, detto di Bagnaria. In realtà, come l’Autore fa notare, il porto di Bagnaria era quello principale della città pisana e non quello del sale, effettivamente nelle immediate vicinanze del centro di fondazione catalana. Il Todde, quindi, esclude qualunque legame tra i due termini “Bagnaria” e “Bonaria”. 12 Costa i Paretas, 1973 p. 7; Todde, 1984 p. 339; Urban, 1997 p. 101. 13 Il documento, fondamentale per la storia della città di Cagliari, è trascritto in Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447. 14 A conferma della condizione politicamente e diplomaticamente inferiore di Pisa rispetto alla Corona d’Aragona nella stesura di questo secondo trattato, è interessante notare che esso fu prodotto in lingua catalana (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447), a differenza di quello della prima pace del 1324, che era, invece, in latino (Arribas Palau, 1952, doc. XLVI, pp. 415-420). 15 Per un inquadramento generale sulla frequentazione di età romana del quartiere di Stampace si veda Mongiu, 1995; sulle sue vicende storiche e urbanistiche Masala, 1995. Riguardo le vicende storiche del quartiere di Villanova si veda Masala, 1991 e sulle preesistenze archeologiche Mureddu, 1991. Alcuni dati sulla frequentazione tardoantica e altomedievale del porto di Lapola si trovano in Artizzu, 1989; Mureddu, 2002b e Pinna, 2002, mentre per uno studio delle vicende legate al popolamento catalano-aragonese del quartiere si vedano Conde y Delgado deMolina e A. R. Aragò Cabañas, 1984 e Deplano, 2005. 16 Tra le varie clausole della pace, ai Pisani, civili ed ecclesiastici, fu concesso di mantenere i propri possessi in Sardegna; fu permesso loro di commerciare liberamente a Castel di Cagliari e nel resto dell’isola; fu loro data la possibilità di avere a disposizione dei consoli che risolvessero i problemi dei sudditi pisani rimasti nell’isola, ma senza una residenza fissa in essa; si assicurò il rispetto dei diritti e dei possessi dell’Opera di Santa Maria Maggiore di Pisa; infine furono destinati al comune dell’Arno i proventi di ville e terre delle curatorìe di Gippi e Trexenta, concesse - 519 - D. Corda in realtà i Catalano-Aragonesi si crearono le armi per allontanarli una volta per tutte dalla fortezza sarda e dall’intera isola. Infatti, tra le varie clausole, una sanciva che “… los sotsmeses del senyor R. e del senyor Inf. e de lurs valadors puxen estar e esser en la ciutat e en lo destrenyment de Pisa e de lurs valadors e la estar, tornar segurament ajustan que si.l senyor R. e.l senyor Inf. ho lurs oficials avien algu o alguns dels dits pisans e burgueses del dit Castell de Caller per suspitos que.ls ne puxen remoure axi que fora lo castell puxen estar en quals se volran viles e locs e si e.ls dat spay covinent que. ls lurs bens puxen vendre e si vendre no.ls podien dins aquel temps per preu covinent que.l senyor R. e.l senyor Inf. ho lurs oficials les sien tenguts a comprar a justa estimacio per estimadors alets per cascunes les parts e que d.eqels bens no sien gitats entro los sia pagat lo preu demuntdit ” (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 446-447). Questa disposizione fu largamente applicata, anche in maniera piuttosto arbitraria, se in pochi anni i Pisani della città furono quasi interamente allontanati17. Probabilmente, più che per effettive ed accertate colpe, tali espulsioni furono messe in atto per evitare future sollevazioni cittadine e facilitare il transito di Castel di Cagliari sotto la nuova entità politica catalano-aragonese18. Subito si accese un’intensa disputa tra la fortezza strappata dalle mani del Comune dell’Arno e il centro catalano di Castel di Bonaria su quale dei due centri dovesse diventare la nuova capitale del Regnum. Infatti da un lato Giacomo II e l’Infante Alfonso, che subito dopo la vittoria era tornato in patria, volevano sfruttare l’antica e maestosa rocca di Castel di Cagliari; dall’altro lato gli abitanti di Bonaria godevano ormai di diritti che temevano venissero loro tolti in favore dell’ex centro pisano. Inoltre ormai la città era tanto cresciuta che, secondo la Crònica di Ramon Muntaner, nel 1326 Bonaria contava “més de sis mìlia hòmens d’armes bons, tots catalans, ab llurs mullers” (Todde, 1984 p. 339; Urban, 1997 p. 98, nota 11). L’edilizia civile aveva pienamente invaso tutta l’area fortificata e, benché in generale si trattasse di edifici abbastanza modesti, non mancavano in feudo (Arribas Palau, 1952, doc. LVII, pp. 445-447). 17 Esplicativi, a tal proposito, i documenti pubblicati da R. Conde y Delgado deMolina e A. R. Aragò Cabañas (1984, doc. I, pp. 43-108; doc. II, pp. 109-129; doc. III, pp. 130-132), nei quali due estimatori, passando sistematicamente in rassegna le vie della città, registrarono le proprietà dei pisani espulsi, la valutazione degli immobili e i nuovi possessori a cui furono assegnati. 18 R. Conde y Delgado deMolina sottolinea come il tempo diede ragione a questo atteggiamento, infatti pochi anni dopo Sassari si sollevò contro i dominatori catalano-aragonesi e, a seguito di quei fatti, la città fu completamente evacuata e ripopolata di genti iberiche (Conde y Delgado & Aragò Cabañas, 1984 p. 12). strutture di un certo rilievo, come un “hospitium”, costruito nel 1327, nel quale Alfonso avrebbe concesso agli Ebrei di vivere e che esisteva ancora nel 1333, dimora dell’Arcivescovo di Cagliari (Todde, 1984 p. 339). Inizialmente si provò a favorire uno sviluppo parallelo dei due centri in modo tale che andassero via via fondendosi. In tale programma, per il centro catalano, dopo una prima fase evolutiva a Nord-Est, verso l’area del colle detto puyg de les forches su cui sarebbe stata costruita una torre detta di Muntfort, si prevedeva la fusione dei due centri urbani in un’unica grande capitale attraverso l’urbanizzazione del settore compreso tra i due centri. Eppure i progetti edilizi tanto sognati dall’Infante naufragarono a causa di esigenze più contingenti, soprattutto la necessità di appropriarsi al più presto di Castel di Cagliari e delle sue strutture difensive poderose e, soprattutto, già edificate e funzionanti. Seppure con molte reticenze, il programma di trasferimento degli abitanti di Castel di Bonaria in Castel di Cagliari e nelle sue appendici fu applicato in modo efficace, se in pochi anni l’intera città catalana fu totalmente cancellata, soprattutto in favore di Lapola, rimasta quasi del tutto disabitata durante la prima metà del Basso Medioevo, eccezion fatta per le strutture relative al porto pisano19, che divenne il nuovo polo attrattivo nel progetto di espansione urbanistica di Alfonso e fu sostanzialmente rifondato secondo le esigenze insediative dei Catalano-Aragonesi, dando origine al nuovo quartiere di Marina20. Nonostante le numerose testimonianze riferite alla grande frequentazione del santuario e, quindi, alla sua indubbia vita e attività21, della città che lo ospitava e che fu la prima capitale del Regnum si riescono ad avere solo tracce molto labili. Per avere dei nuovi dati riguardanti Bonaria e i suoi dintorni, anche se in negativo, bisogna aspettare più di due secoli, con I materiali rinvenuti durante gli scavi sotto la chiesa di Sant’Eulalia dimostrerebbero questa tesi, in quanto non sarebbero attestati, per quanto riguarda il Medioevo, reperti riconducibili ad un periodo posteriore all’VIII secolo. Unica eccezione, una serie di strati sovrapposti localizzati presso una cappella del lato sud della chiesa avrebbero restituito frammenti di manufatti attribuibili a produzioni iberiche del XIV secolo e riferibili al primo impianto della chiesa dopo la conquista catalanoaragonese della città di Cagliari. Per un approfondimento al riguardo si rimanda a Martorelli, Mureddu, Pinna & Sanna (2003, pp. 406-408). 20 Sullo scavo sotto la chiesa di Sant’Eulalia si rimanda a Plaisant, 1989 pp. 27-28; Urban, 2000 pp. 43-53; Martorelli, Mureddu (2002); Mureddu, 2002b; Pinna, 2002; Martorelli, Mureddu, Pinna & Sanna (2003). Inoltre si vedano gli studi di G. Deplano (2005) e di M. Cadinu (2008) sulla nascita e lo sviluppo del quartiere in età medievale. 21 M. M. Costa i Paretas ha pubblicato diversi documenti riguardanti il santuario e le sue vicissitudini a seguito della sua fondazione e durante il Trecento (Costa i Paretas, 1973 pp. 21-92), mentre M. G. Meloni ne ha analizzato approfonditamente gli accadimenti durante il XV e il XVI secolo, soprattutto riguardo al suo legame con l’ordine della Mercede (Meloni, 2006 pp. 339-369). 19 - 520 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese la celeberrima stampa che Sigismondo Arquer disegnò nel 1550 (la prima rappresentazione della città successiva alla conquista catalano-aragonese)22, nella quale il colle e l’area si presentavano occupati solo da campi e dal santuario isolato (Figg. 1-2). Poche decine di anni dopo, nel 1595, Antioco Brondo definiva il colle che era stato tanto importante per la storia della città e dell’intera Sardegna “este monte y lugar desierto y solitario” 23. Se della vita di Castel di Bonaria in età catalanoaragonese abbiamo una considerevole produzione documentaria che ci tramanda le sue vicende, diversamente accade per il riscontro materiale. Infatti non rimane quasi alcuna evidenza che testimoni questa vivacissima fase di frequentazione dell’area; esiste una grave difficoltà ad effettuare interventi archeologici in un settore ormai più che fittamente urbanizzato, se non attraverso scavi d’emergenza necessariamente circoscritti nello spazio e limitati alla minor durata possibile. L’unica struttura, tra quelle citate dalle fonti antiche, giunta fino ai giorni nostri è proprio la chiesa di Nostra Signora di Bonaria (fig. 3), la prima costruita dai Catalano-Aragonesi a Cagliari e la più antica di cui rimanga traccia in Sardegna24. L’edificio, messo in opera nel 1324 e completato nell’aprile dell’anno successivo, in base a quanto attestano i documenti25, ha una sola navata priva di transetto26, che al tempo Scano, 1934; Nocco, 2003 p. 820; Laneri, 2007 p. 48. Meloni, 2006 p. 346; Meloni, 2008 p. 58. Ad avvalorare tale definizione di quest’area dei dintorni di Cagliari giunge, sempre dello stesso anno 1595, un bulino rappresentante la Vergine di Bonaria tra le sante Cecilia ed Eulalia, commissionato dallo stesso Brondo ed incisa da Martin van Valckenborch III sul disegno creato da Ferdinando de Sylva (fig. 4). Sotto le immagini delle sante viene rappresentato, ad una certa distanza dalle mura cagliaritane, il colle di Bonaria con in cima il santuario e il convento, del tutto al di fuori del sistema urbano e isolati, ai piedi del colle la costa del mare e quasi sulla riva la chiesetta di San Bardilio, dai cui pressi parte la scalinata di accesso al santuario, intervallata da tre croci stazionarie e percorsa da una coda di fedeli e pellegrini (Scano, 1993 pp. 125-127). 24 Questa non fu la prima chiesa edificata dai catalano-aragonesi in tutta la Sardegna, poiché la precedettero la cappella di Sant’Eulalia nel castello di Salvaterra di Villa di Chiesa e quella intitolata a Nostro Signore Gesù Cristo, alla Madonna e a San Giorgio sorta nel luogo in cui si svolse la battaglia di Lutocisterna (Costa i Paretas, 1973 p. 7). Di tali edifici, tuttavia, non sono sopravvissute tracce materiali. 25 Segni Pulvirenti & Sari 1994, p. 15, nota 9. Per la documentazione relativa al completamento della chiesa di Bonaria si vedano Arribas Palau (1952 pp. 415-420), Putzulu (1963 pp. 324-325), Costa i Paretas (1973 pp. 24-25, doc. 5) e Casula (1993 pp. 207-220). 26 R. Serra, riprendendo lo studio sistematico dell’architettura goticocatalana di P. Lavedan (1935), inserisce il Santuario di Nostra Signora di Bonaria nel tipo degli edifici a navata unica “ad ampio vano rettangolare in cui fanno aggetto i contrafforti fra i quali è possibile ricavare cappelle poco profonde; assenza costante di transetto; coro più ristretto della navata, a pianta poligonale, senza deambulatorio né cappelle radiali”, sviluppato in Catalogna parallelamente a quello, più grandioso, a tre navate, e portato a perfezione formale a metà del XIII secolo (Serra 195557, p. 333). È importante tenere a mente questa tipologia, dato che 22 23 della costruzione era probabilmente riparata da una copertura lignea con arconi trasversali di sostegno27, ai cui lati si aprono cappelle poco profonde inserite tra i contrafforti; presenta un’abside poligonale, coperta da una volta a spicchi con costoloni che dalla chiave si irradiano fino al pavimento, sulla copertura della quale si innalza il campanile che ne segue la forma, sostenuto da cinque alti contrafforti esterni su tutti gli spigoli e a cui si accedeva attraverso una torretta esterna addossata alla costruzione, al cui interno girava una scala a chiocciola (Serra, 1955-57 p. 348; Segni Pulvirenti & Sari, 1994 p. 17). Al tempo della costruzione la navata era divisa in cinque campate, nel rispetto delle proporzioni dell’architettura gotico-catalana, secondo cui la suddivisione doveva essere in un numero pari a quello degli angoli dell’abside. Oggi presenta sei campate, la più esterna delle quali è stata creata nel 1895, in occasione dei lavori per la risistemazione della facciata dell’edificio (fig. 5). L’architettura gotico-catalana presenta connotati molto ben codificati che, se furono ampiamente messi in opera già negli edifici del XII secolo, nel successivo divennero un vero e proprio indicatore identitario per gli architetti e le committenze del Levante Spagnolo, tanto da caratterizzare la quasi totalità degli edifici di culto edificati nella Corona d’Aragona durante il XIII e il XIV secolo28. Le sue caratteristiche fondamentali sono: navata unica più o meno ampia e monumentale, spesso senza transetto, con abside poligonale; volte a crociera che reggono il contrappeso con contrafforti esterni che si innalzano fin sotto la cornice e cappelle ricavate tra questi contrafforti; grandi finestre aperte su uno o più livelli (Camps, 2002a p. 164). Alcuni elementi conferivano all’edificio sardo una certa peculiarità rispetto a questi canoni dell’architettura religiosa catalano-aragonese ad esso contemporanea nella Penisola Iberica: innanzitutto l’abside si apriva più ristretta e di copertura più bassa rispetto alla navata, mentre nel Levante Spagnolo la sua ampiezza massima e la larghezza della navata, calcolata dalla soglia della in Sardegna non si riscontrano, durante il periodo catalano-aragonese, edifici di quella a tre navate, mentre è diffuso proprio il tipo con una sola navata e cappelle tra i contrafforti (Manconi Sussarello 1952, p. 199). 27 Questa copertura era molto diffusa in Catalogna tra il XIII e il XIV secolo, per la sua facile realizzazione e perché era molto apprezzata se, come fa notare R. Serra (1955-57 p. 349), fu utilizzato questo sistema anche per coprire la navata della cappella del Palazzo Reale di Barcellona. 28 L’architettura gotica si diffuse in Catalogna, con le caratteristiche tipiche che la contraddistinguono da quella del resto dell’Europa, nel XII e XIII secolo grazie all’opera degli ordini mendicanti francescano e, soprattutto, domenicano, i quali mutuarono alcuni elementi del gotico francese e li fusero con quelli della tradizione ancora romanica dei territori della Corona d’Aragona (Camps, 2002a pp. 167-169). - 521 - D. Corda cappelle di un lato a quella delle cappelle dell’altro lato, coincidevano, formando un continuo spaziale29; inoltre era del tutto bizzarro il posizionamento del campanile proprio sopra l’abside, tanto da originare la tradizione che la struttura fosse, in origine, una torre del castello catalano della Barceloneta, in cui, successivamente, fu ricavato l’altare30. A smentire questa teoria compare al centro dell’abside un oculo ornato con un rosoncino, ben poco funzionale in una costruzione a scopo militare, chiaramente inserito durante la creazione della parete muraria e non successivamente, quindi espressione della tipologia architettonica della prima fase edilizia della struttura. Inoltre la torre è troppo esile per i canoni dell’architettura militare, a giudicare dai suoi muri non più spessi di 60 cm. Accettando quest’ipotesi si potrebbe dare anche spiegazione all’ulteriore variazione dell’edificio sardo rispetto ai modelli catalani rappresentata dalla totale assenza di accessi di luce sui lati della struttura poligonale dell’abside, contrariamente ai canoni iberici, che non solo ne dotavano ogni lato di grandi finestroni, ma spesso tali aperture erano posizionate su più ordini. In quest’ottica si potrebbe leggere l’esigenza di rafforzare l’abside liberandola dalle finestre che ne avrebbero indebolito la capacità di sostenere il peso della costruzione sovrastante (Serra, 1955-57 pp. 333-343). R. Serra rifiuta la considerazione secondo cui i modelli del Levante Spagnolo, dovendo essere applicati in Sardegna su scala ridotta, abbiano portato alla necessità di mettere in atto certe variazioni, considerando che nella stessa Catalogna edifici di ridottissime dimensioni riportano fedelmente le proporzioni dettate dalle regole del gotico catalano (Serra 1955-57, p. 338). Inoltre, a giudicare dal particolare momento in cui la chiesa fu edificata, pare difficile che le maestranze cui fu affidata la realizzazione del progetto, verosimilmente catalane giunte al seguito dell’Infante Alfonso e del suo esercito, fossero tanto influenzabili dalla sensibilità dei sardi da subire il fascino della loro tradizione romanica È pure vero che i campanili delle chiese gotico-catalane sorgevano nei punti Questo accade, per fare alcuni evidenti esempi catalani, nella chiesa del monastero francescano di Santa Maria di Pedralbes (Beseran i Ramon, Cubeles i Bonet & Julià i Capdevila, 2002 pp. 193-200), nella chiesa del convento di San Domenico a Girona (Camps, 2002b pp. 219-223), ma anche nella stessa Cattedrale di Barcellona (Bracons Clapés & Terés i Tomàs, 2002 pp. 274-301). 30 Arce, 1960 p. 266. Lo studioso scriveva: “Y dentro de la nueva centuria, el más antiguo resto lo tenemos en lo que queda de la primitiva construcción de la iglesia de Bonaria, concretamente en el ábside con bóveda de nervaduras y en el desmochado campanario ctogonal - que se alza sobre el actual ábside -, unico resto de la primitiva Barceloneta que allí fundara don Alfonso, el infante conquistador”. 29 più disparati (e la posizione di quello di Bonaria non sarebbe altro che una delle numerose varianti), ma non si riscontrano modifiche dei canoni costruttivi e delle proporzioni degli spazi interni delle chiese in base alla decisione del punto in cui collocarli, mentre nel Santuario di Bonaria la scelta di una posizione tanto inusuale, forse dettata da reali esigenze di spazio, avrebbe potuto rendere necessarie delle modifiche rispetto al consueto. L’elemento che rende l’analisi dell’edificio più interessante è costituito da alcuni dettagli del campanile, che si presenta privo di coronamento e con un tetto a spiovente su un lato, apparentemente il risultato di un recupero successivo ad un parziale crollo (figg. 6-7). In realtà è molto probabile che tale sistemazione risalga alle fasi costruttive della chiesa e non ad una sua ristrutturazione. Infatti la cella campanaria si apre in due sole monofore, sui lati ovest e nordovest, mentre sugli altri lati il paramento murario è continuo ed omogeneo, privo di segni di riempimento successivi ad un eventuale crollo che avrebbe portato via la parte sommitale delle altre monofore posizionate simmetricamente e di cui dovrebbero rimanere tracce delle parti inferiori. Questo dettaglio, unito all’assenza quasi totale di elementi decorativi e rifiniture architettoniche, può far pensare verosimilmente che, per soddisfare con celerità le esigenze di una comunità in rapido sviluppo, si decise di interrompere i lavori prima del tempo, dopo aver realizzato solo due delle monofore previste dal progetto e adattando il tetto in modo sbrigativo ma, allo stesso tempo, funzionale allo scolo delle acque piovane (Serra, 1955-57 pp. 342-343). Delle altre strutture che caratterizzavano l’area di Castel di Bonaria, un’interessante testimonianza, anche se non diretta, è data dalla chiesa di San Bardilio (figg. 8, 10), indicata anche come Sancta Maria de Portu gruttis, per via della sua vicinanza con un porticciolo presso il quale erano scavate delle “grotticelle”, resti delle sepolture puniche, tardoromane e paleocristiane dell’area funeraria retrostante31, o anche de Portu salis, in relazione al legame tra il complesso monastico e tale porto da cui si commerciava il sale estratto dalle non distanti saline32. Con quest’ultima Tali grotticelle sono ben visibili in un’incisione su legno conservata a Bonaria (fig. 10), di cui devo ringraziare la professoressa M. G. Scano per aver gentilmente messo a mia disposizione l’immagine. 32 Tale scalo commerciale fu il primo insediamento pisano dell’area, un primo emporio mercantile che precedette la vera e propria fondazione del Castellum Kastro de Kallari, sul colle di Castello, nel 1217 (Petrucci 1986, pp. 236-237). A. Oliva (1986, p. 265) gli attribuisce origini molto antiche, infatti afferma che i Pisani riuscirono a indebolire economicamente il centro giudicale di S. Igia, prima della sua effettiva distruzione nel 1258, proprio grazie alla sua riattivazione e alla ripopolazione dei 31 - 522 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese denominazione è menzionata nell’XI-XII secolo tra i possedimenti dei Vittorini33. Aveva un’aula rettangolare mononavata con abside semicircolare orientata e copertura lignea. Nella facciata si apriva un portale architravato, con stipiti monolitici, capitelli fitomorfi e arco di scarico sopraccigliato (Coroneo 1993, p. 266). La piccola chiesa romanica fu ceduta all’Opera di Santa Maria di Pisa nel 1218, che l’affidò ai Francescani nel 122934, i quali la ridecorarono in stile gotico, aggiungendo nella facciata una finestra bifora ad arco acuto e un frontone timpanato e archetti trilobati ascendenti con ghiera multipla e sottili piedritti modanati. Essi l’abbandonarono nel 1508 e l’edificio fu preso in consegna dai Trinitari tra il 1558 e il 1803. Durante l’Ottocento perse il suo ruolo di luogo di culto e fu usata come caserma, magazzino, carcere, polveriera35. Oggi la chiesa non esiste più, essendo stata demolita nel 1929 a causa di alcuni crolli che ne avevano reso irrecuperabile la stabilità strutturale, nonostante Dionigi Scano36, in due diverse battute, nel 1903 e nel 1909, avesse inoltrato dei progetti di restauro dell’edificio, mai realizzati (Ingegno, 1993 p. 247). Sebbene la sua storia sia di molto precedente all’arrivo dei Catalano-Aragonesi, Santa Maria del Porto risulta di grande interesse ai fini di questa ricerca grazie ad alcuni documenti emanati su ordine regio. Il primo, del 132537, è la nomina da parte del Consiglio della villa di Bonaria e di Arnau de Cassà, amministratore del Regno di Sardegna, a Jaume Axado di direttore dei lavori di fortificazione della cittadella ctatalano-aragonese. Secondo la fonte fu aperto nelle mura difensive un portal de pedra in corrispondenza proprio di Santa Maria del Porto. Il secondo documento, che R. Conde y Delgado deMolina data circa all’agosto 132638, riporta le istruzioni di Alfonso per la pianificazione dell’espansione cittadina. L’Infante ordinava che, una volta esaurito lo sviluppo urbano quartieri orientali della vecchia Caralis romana “ormai abbandonata da diverso tempo”. 33 Guérard, 1857, II, doc. 1010. Il documento del 1090 dice: “Ego Constantinus (…) dono (…) beato Victori Marseiliensi martiri et sancto Saturno et abbati Richardo et monachis Massiliensibus in monasterio eiusdem sancti Saturni Kalaris habitantibus ecclesiam sancti Luciferi de Pau (…) et ecclesiam sancti Petri de Piscatore (…) et ecclesiam sancte Marie de Portu salis”. 34 Pintus, 1991 p. 148. Secondo R. Coroneo (1993 p. 266) e M. B. Urban (2000 p. 37) l’affidamento della chiesa ai Frati Minori risalirebbe al 1230. 35 Pintus, 1991 p. 148; Coroneo, 1993 p. 266. 36 Per un approfondimento sulla vita e le opere del famoso architetto sardo si veda P. Casini (1951). 37 ACA, RP, MR, reg. 2059, f. 4r-v, citato da M. B. Urban (2000 p. 23, nota 21). 38 Conde y Delgado deMolina & Aragò Cabañas, 1984 pp. 197, doc. III, pp. 211-215; Urban, 2000 pp. 35-38. verso Muntfort, “sia començada pobla nova de la part della, axi que sia començat un bell carrer lo pus bell, e.l pus ample, e.l pus especios e tot dret, qui partescha de la porta de Santa Maria del Port e son puyg tot dret entro a castell de Caller e sia primerament començada e acabada la pobla e el carrer de la part deça vers Santa Maria del Port, cor si daven a amdosos los caps, tot hom pendria abans en la part de Caller. E sia fet lo dit carrer deves la porta de Santa Maria de Port riba de la mar, axi que cases hage .Ia. tira entre la mar e el dit carrer a amunt altra tira de cases per tal que depuys acabat lo dit carrer s.en pogues fer altre e puys altre e altre amunt en tro a Sent Sedorn segons que.ls pobladors vulrien…”. La documentazione fotografica del primo Novecento e le piante dei progetti di risistemazione della chiesetta e dell’area circostante ci permettono di darne una precisa collocazione là dove oggi sorge il moderno ingresso del Cimitero Monumentale e ci offrono la possibilità, con buona approssimazione, di fare qualche ipotesi sul posizionamento e sull’orientamento delle mura e della porta d’accesso alla cittadella fortificata, che doveva aprirsi in direzione dell’odierno viale Bonaria. Nel 1987 D. Mureddu ha condotto un intervento proprio a ridosso dell’area di San Bardilio, da cui è emersa una notevole quantità di materiali risalente alle più varie età storiche. Tra questi materiali, nell’ambito di un deposito archeologico interpretato come un butto altomedievale, è stata individuata una serie di anfore globulari che presentavano alcuni segni incisi, tra cui i simboli ΠΑ, interpretati come le prime lettere greche della parola ΠΑΤΕRΕΣ e riferibili alla piccola comunità monastica insediata nel complesso avente come fulcro la chiesetta adiacente (Mureddu, 2002 pp. 237-241). La studiosa adduce a conferma dell’attribuzione di tale serie di reperti al complesso monastico anche un’argomentazione di tipo cronologico. Tale tipologia ceramica, infatti, comune in area bizantina e costantinopolitana e nell’Italia meridionale e riferita ad un arco abbastanza ampio, dal VI al IX secolo, negli esemplari studiati viene ricondotta al tardo VII-VIII secolo d.C., per associazione con ritrovamenti di similare tipologia in un deposito all’interno di un ninfeo a Porto (p. 238). A tale momento storico viene tradizionalmente associato il trasferimento della Carales tardoantica presso gli stagni occidentali. Il sito del ritrovamento delle anfore globulari verrebbe, quindi, per il periodo indicato, inserito in un contesto suburbano e funerario nel quale, oltre a sepolture di età romana, si riconoscerebbero due tombe a camera in pietre squadrate, che nell’Ottocento il canonico - 523 - D. Corda Giovanni Spano descriveva come “due sepolcri di famiglia quasi giganteschi, formati uno a botte con grandi massi calcarei ben scalpellinati, sotto terra per circa due metri e l’altro a parallelogrammo, coperto a massi a guisa di sepolture dei giganti” (Mureddu et al., 1988, p. 81), riconducibili ad altre similari della Sardegna meridionale, connesse con edifici di culto di età bizantina. La presenza nei paraggi della comunità di San Bardilio nel IX secolo suggerirebbe alla studiosa la possibilità che tale comunità fosse presente già nell’VIII, “diretta filiazione di un centro religioso della Penisola, le cui risorse derivavano dall’estrazione del sale”. Il rapporto con la casa madre, da cui avrebbe ricevuto un carico di provviste trasportate con tale tipologia ceramica, spiegherebbe la concentrazione di contenitori di cui non si ha alcuna altra testimonianza in Sardegna. Purtroppo la maggior parte dei materiali dello scavo è ancora in attesa di studio e, di conseguenza, non è possibile ricavare da tali reperti le preziose notizie che potrebbero fornire riguardo, specificatamente a questo studio, alla frequentazione catalano-aragonese del colle. Un contributo a questa raccolta di dati topografici su Castel di Bonaria giunge attraverso la verifica di vecchie notizie e scavi archeologici. Interessante la notizia riportata dal Brondo, che “costituisce in merito la fonte descrittiva più antica” (Mureddu et al., 1988 p. 79), secondo cui al suo tempo erano ben visibili in cima al colle e sulle sue pendici fino al mare diverse tombe, in particolar modo alcune, di grandi dimensioni e comunicanti tra loro, che presentavano ingressi sagomati e che avrebbero potuto essere dotate di porte ed abitate. Aggiungeva anche che una in particolare, tra le più spaziose, venne scelta come prima dimora dell’Infante Alfonso, tanto che fu chiamata la «grotta del Re»39. Alcuni scavi furono condotti anche in occasione della costruzione del Cimitero Monumentale e si estende sul versante occidentale del colle (Vivanet, 1892). Come già ricordato, le prime fortificazioni murarie della roccaforte catalano-aragonese racchiudevano alcune strutture, tra le quali una antigor de bayns, un rudere di strutture termali parzialmente ristrutturate (Todde, 1984 p. 336). I dati documentari non danno alcuna notizia utile a collocare questi ambienti, però nel 1909 Antonio Taramelli riportò la notizia di uno scavo archeologico relativo proprio a strutture termali nel terreno di G. B. Ravenna, “… nel podere di sua proprietà, che forma l’ultimo isolato tra la chiesa di san Saturnino o ss. Cosma e Damiano ed il viale di Bonaria, a breve distanza dalla stazione della ferrovia e dalla spiaggia del mare…” (Taramelli, 1909 p. 445). Questo lussuoso ambiente termale, risalente al III sec. d.C., localizzato nell’isolato tra il viale Cimitero e via Nuoro, in corrispondenza del luogo in cui adesso sorgono il palazzo della RAI e gli edifici circostanti40 e di cui al giorno d’oggi rimangono solo alcuni pannelli musivi conservati al Museo Archeologico di Cagliari, era costituito da un ampio ambiente quadrangolare con pavimentazione musiva suddivisa in venticinque riquadri, attorno ad un pozzetto centrale; ai lati si aprivano due vasche, una quadrata, l’altra semicircolare, decorate con nicchie e rivestite di marmi policromi (figg. 11-12). Le decorazioni musive riportavano decorazioni fitomorfe, alternate a scene di tiaso marino con nereidi, eroti su delfini, centauri e tritoni. Lo studioso stesso aveva alcuni dubbi sull’attribuzione dell’edificio ad una struttura pubblica, benché le dimensioni fossero ragguardevoli. D. Mureddu, più recentemente intervenuta sull’argomento, sottolinea l’assenza, nella struttura che il Taramelli mise in luce, di un calidarium e afferma che tale assenza dovrebbe suggerire la pertinenza dell’edificio ad ambienti termali privati (Mureddu, 1991 p. 17-20). Inoltre il Taramelli notò fasi più tarde di vita dell’edificio, caratterizzate da restauri grossolani dei mosaici e ristrutturazioni delle murature. In ultimo riscontrava tracce di una sistematica spoliazione dell’intero complesso dei ruderi, con ogni probabilità corrispondente alla fine della vita dell’edificio. Egli affermava: “Dopo che erano periti, in seguito a violente distruzioni, essi erano stati demoliti, con un’azione lenta e metodica, per la ricerca di materiali da costruzione, utilizzate in modestissime fabbriche, di cui rimanevano i resti incastrati sopra alle fondazioni ed alle murature originali. Questo vandalismo metodico si estese alle lastre marmoree dei rivestimenti, alle grappe in bronzo, ai muri di laterizi e di blocchi di calcare e di tufo: cosicchè solo le fondazioni ed in parte anche queste, ed i pavimenti, sconvolti pure essi dai pozzi e dagli scavi seriori, poterono giungere sino a noi” (Taramelli, 1909 pp. 445-447). Lo studioso notò la presenza di monete di Valentiniano ed Arcadio negli strati di macerie che ricoprivano il rudere, insieme a varie lampade cristiane col simbolo della croce, e Brondo, 1595 pp. 15, 31, 36-37, 103-108. Lo Spano ne dà una collocazione precisa, affermando che si trovava “di rimpetto alla chiesa, sotto la cinta” (Spano 1861, p. 306, citato in Mureddu et al., 1988 p. 79, nota 5). 40 39 Tale edificio viene collocato con precisione solo nella carta che rappresenta le emergenze archeologiche della Caralis romana e punica in allegato al Forma Kalaris di D. Scano (1934, mappa I) con la semplice denominazione di “terme” (fig. 13). - 524 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese le attribuì ad un possibile riutilizzo dell’edificio con funzione cimiteriale nel V secolo d.C. Infine notava, sempre negli strati di riempimento, diverse tracce di incendio, che avrebbero definitivamente segnato la morte dell’edificio (Taramelli, 1909 p. 456, nota 2). Non ci è dato sapere se si trattasse dello stesso rudere citato nei documenti catalani, ma se così fosse ci permetterebbe di delineare, se non un preciso tracciato, quanto meno un’area in cui ipotizzare con maggiore probabilità il passaggio di quella parte della cinta difensiva più avanzata verso Castel di Cagliari, interessata direttamente dagli scontri campali e probabilmente meglio rinforzata, che dalla chiesa di San Saturnino giungeva fino al mare. Inoltre il citato “vandalismo metodico” e le tracce d’incendio potrebbero essere riferite proprio a un qualche momento dell’assedio di Castel di Cagliari del Trecento, durante il quale sarebbe stato necessario riadattare le strutture ad una funzione più propriamente difensiva e renderle capaci di contenere eventuali assalti alla cinta catalano-aragonese. Purtroppo non rimane nulla di tale edificio e, non potendo portare avanti uno studio delle strutture con metodi, modalità e sensibilità moderne, che possano confermare o smentire il ruolo di questa antigor de bayns in tali eventi bellici, ogni ipotesi risulta alquanto aleatoria. Interessante, però, come l’area subito adiacente a quella in cui erano collocati tali ruderi, e che quindi doveva verosimilmente essere il teatro degli scontri più accesi tra Pisani e Catalano-Aragonesi, sia rimasta collegata fino al secolo scorso, nella denominazione di Piazza d’Armi o Campo di Marte a seconda dei casi, ad un ambito militare. L. Pani Ermini (1992b pp. 80-81) collega tale toponomastica proprio alla vicinanza con la cittadella fortificata di Bonaria e avanza la possibilità che sia, però, ad essa precedente e la collega alla possibile presenza di un castrum nei pressi dell’area a difesa della Cagliari tardoantica. Riguardo alla chiesa e al monastero dedicati al martire sardo Saturnino, benché siano stati interessati nel tempo da numerosi scavi sistematici che hanno permesso di mettere in luce un’ampia stratificazione, tuttavia sappiamo davvero poco delle loro vicende in relazione all’assedio di Castel di Cagliari e di quali interventi di adattamento alle nuove esigenze belliche dovettero subire. La prima attestazione del luogo di culto risale al VI secolo, quando Fulgenzio, vescovo di Ruspe, esiliato in Sardegna dal re vandalo Trasamundo, fondò un monastero iuxta basilicam sancti martyris Saturnini. Come per la chiesa di Santa Maria del Porto, l’edificio fu donato nel 1089 ai Vittorini di Marsiglia, che lo ristrutturarono in stile protoromanico e lo riconsacrarono nel 1119. Diversi interventi particolarmente invasivi in vari momenti storici hanno reso la lettura delle strutture particolarmente controversa. Nel Seicento il sito fu interessato da una lunga serie di scavi, durante il corso di un trentennio, promossi dall’arcivescovo D’Esquivel e interessati al recupero dei cuerpos santos, secondo la moda del recupero dei culti martiriali sancita durante il Concilio di Trento e che si diffuse ampiamente in tutti i territori che aderirono alla Controriforma (figg. 14-15), prima fra tutte la Corona di Spagna, di cui la Sardegna faceva parte (Mureddu et al., 1988 pp. 57-62). Nel XX secolo l’edificio fu sottoposto a diversi interventi di restauro, finalizzati al recupero delle parti originarie e al consolidamento degli alzati, ad opera dello Scano (Ingegno, 1993 pp. 267, 270), del Taramelli (p. 294), del Vicario (pp. 318-319) e del Crudeli (pp. 346, 350). Oggi resta integro solo il braccio orientale, concluso con abside, diviso in tre navate da colonne con capitelli di reimpiego. Gli altri bracci sono stati demoliti, ma di quello settentrionale rimane la parte inferiore della facciata (Coroneo, 1993 p. 29). Siamo a conoscenza del fatto che durante l’assedio catalano-aragonese a Castel di Cagliari il complesso faceva parte della linea difensiva più avanzata di Castel di Bonaria, che l’aveva inglobato, essendo tali strutture posizionate in un luogo strategicamente primario e sicuramente centro di aspri scontri armati durante i quali la chiesa e il monastero furono ampiamente danneggiati, se, come sembrano evidenziare i dati documentari, furono poi utilizzati come cave di materiali per i restauri dei possedimenti di Berengario Carroz, tra cui il Castello di San Michele41. È altrettanto vero che gli stessi dati archeologici non offrono alcun riscontro riferibile ad un rinforzo degli alzati o di un qualunque intervento di adattamento dell’edificio alle esigenze belliche dell’Infante Alfonso42. Detto ciò D’Arienzo, 1983 pp. 53-54; Spiga, 1986 p. 268; Mureddu et al., 1988 p. 55. L. D’Arienzo parla di come Berengario Carroz, approfittando del fatto che i Vittorini, a causa del pericolo della guerra, avevano abbandonato chiesa e convento che erano stati occupati dalle forze armate di Alfonso, una volta terminati gli scontri armati entrò indebitamente in possesso del priorato e dei possedimenti ad esso pertinenti, dando inizio all’azione di spoliazione dei materiali lapidei dagli edifici per la ristrutturazione della sua dimora nel castello di San Michele. Secondo la studiosa “a niente valsero le proteste del priore Bertrando Isnard ad Alfonso il Benigno, nel frattempo divenuto re (1327-1336), e senza efficacia rimasero le stesse disposizioni sovrane del giugno 1327, in base alle quali il governatore della Sardegna avrebbe dovuto rendere giustizia al priore, secondo la «carta» locale ed il «costume» sardo…”, citata anche da Spiga (1984 p. 68). 42 Per uno studio delle fasi archeologiche della chiesa e del complesso monumentale di San Saturnino si vedano Pani Ermini, 1982-84; Mongiu, 1989; Pani Ermini, 1992a; Pani Ermini, 1992b; Mele, 2000; 41 - 525 - D. Corda va segnalato che le indagini archeologiche interessanti l’area di piazza san Cosimo, immediatamente prospicente la chiesa, benchè non abbiano evidenziato fasi costruttive riferibili con certezza ad un adattamento dell’area a esigenze belliche in età medievale, tuttavia hanno restituito una certa quantità di materiali pertinenti ad ambiente iberico (valenzano o barcellonese) delle più comuni tipologie, decorate in verde ramina e bruno manganese, in blu cobalto, blu e lustro metallico o solo lustro, riferibili al XIV secolo. Tali materiali non si presentavano in successione stratigrafica, ma giacevano in uno strato di riempimento delle strutture riferite al pozzo messo in luce durante lo scavo (Spanu, 1992a pp. 103-105; Spanu, 1992b pp. 72-77). Questi elementi emersi presso il complesso di san Saturnino attesterebbero, se non un sicuro passaggio di genti iberiche, quanto meno dei rapporti con la Penisola Iberica in un periodo corrispondente a quello dell’assedio di Castel di Cagliari. Di tutto il sistema murario di Castel di Bonaria non abbiamo alcuna testimonianza archeologica e non possiamo intuirne il percorso con certezza. L’unico settore per cui è possibile azzardare una qualche approssimazione è quello del versante del colle che dà verso il mare. Una foto d’epoca precedente alla risistemazione della linea di costa attuata nel dopoguerra permette di ridisegnare il vecchio limite marino all’incirca tra viale Armando Diaz e viale Cristoforo Colombo, all’altezza del parcheggio che si apre tra il Liceo Tecnico Nautico “Buccari” e l’Hotel Mediterraneo. Verosimilmente in quello spazio dovevano correre le mura che proteggevano le strutture del porto di Castel di Bonaria (figg. 16-17), nato, come già detto, con funzione di scalo destinato al commercio del sale, utilizzato ancora con la stessa destinazione durante il dominio pisano del territorio e ampliato per riadattarlo alle esigenze di un vero e proprio porto urbano dai catalano-aragonesi in aperta politica anti-pisana43. Sempre del settore costiero delle mura faceva parte la torre de l’Esperó, costruita sotto la direzione dell’obrer Guillem Rovira, che operò fino al 28 gennaio 1326 (Costa y Paretas, 1973 pp. 10-13; Urban, 2000 p. 24) e della cui ubicazione esatta non si ha alcun dato esplicito. La sua denominazione (torre dello Sperone) identifica la struttura dal punto di vista delle sue caratteristiche funzionali, infatti il Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, alla voce sperone, riporta: “… nelle Piras, 2000; Spanu, 2000; Salvi, 2002a; Salvi, 2002b. 43 ACA, Canc, reg.424, ff. 31r-33v, citato da Urban (2000 p. 25, nota 30). costruzioni civili e nelle fortificazioni (…) struttura trasversale di rinforzo a murature o fondazioni sottoposte a spinte oblique” (Portoghesi 1969, VI, p. 52), mentre alla voce torre, tra le varianti riscontrabili, cita anche la torre “a becco di sprone” (Portoghesi 1969, VI, p. 229), attestandone la tipologia. La definizione di torre dello Sperone appartiene anche ad una delle strutture difensive della cinta muraria della città di Alghero, città di fondazione genovese, passata sotto il dominio catalano-aragonese nel 135344. S. Rattu (1951 pp. 37-52) riporta un documento catalano, di cui fornisce anche una traduzione italiana, del 19 febbraio 1364. È l’atto del notaio Pietro Fuyani in cui viene riportata la ricognizione compiuta da una Commissione di ispettori istituita dal governatore del capo del Logudoro Pietro Alberti per accertare lo stato delle fortificazioni della cinta muraria di Alghero e preventivare i costi del suo restauro. In tale documento, conservato all’Archivio del Comune di Alghero, si dice: “Primierament vehem e regoneguem la Torra que se appella del esparon de villanova en vert la mar la qual es consentida e socavada e per lo consentiment apuntalada arbitram les obres necessarias a la dita torra a tot flix que hauran a costar sexante libres e mes” (Rattu, 1951 p. 39). Quindi siamo a conoscenza del fatto che la torre dello Sperone, presso il mare, era già presente (e diroccata) nel 1364, undici anni dopo la conquista catalana di Alghero (fig. 18) e perciò doveva già appartenere al circuito murario genovese della città al momento dell’assedio45. La medesima denominazione si ritrova, però, nella stessa Castel di Cagliari, infatti anche nel limite murario dell’appendice di Stampace compare una porta dello Sperone (l’unica sopravvissuta a Cagliari, oltre quelle dell’Elefante e di San Pancrazio di Castello), sovrastata dalla torre che la difendeva. Tale struttura è antecedente a quella di Castel di Bonaria, infatti un’iscrizione murata sulla sua facciata la data al 1293, quando ancora Castel di Cagliari e le sue appendici erano sotto il pieno controllo del Comune dell’Arno46, inoltre non si trova a ridosso del mare, però la sua collocazione è del tutto similare rispetto a Notizie su Alghero precedentemente alla conquista catalano-aragonese si trovano in Rattu, 1951 pp. 5-10 e Brown, 1994 pp. 49-58. 45 Sulle fortificazioni di Alghero si veda anche Castellaccio, 1994 pp. 125-148; riguardo alle opere di ammodernamento delle strutture difensive delle piazzeforti sarde a cavallo del passaggio dalla Corona d’Aragona a quella di Spagna si rimanda a Casu et al., 1995 pp. 217-261 e Milanese, 2008 pp. 588-590. 46 L’epigrafe murata sulla sua facciata recita: IN NOMINE DOMINI AMEN. HOC OPUS / FUIT PERFECTUM TEMPORE / CAPITANI DOMINI GRATIE ALBERTI CAPITANEI COM/UNIS ET POPULI CASTELLI / CASTRI CURREN/TIBUS ANNIS MCC/ LXXXXIII DE / MENSE MARTII (Masala, 1995 p. 30; Urban, 2000 p. 75, nota 31, p. 234; Cossu, 2001 p. 14, nota 9; Rassu, 2003 p. 48). 44 - 526 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese quella di Alghero, a giuntura di due paramenti murari posizionati ad angolo retto (fig. 19). La torre difensiva di Castel di Bonaria, quindi, per associazone con quelle viste, doveva probabilmente rinforzare un punto delle mura in cui esse modificavano la loro direzione, verosimilmente per proseguire lungo la linea della costa. Il riferimento alla costruzione della torre dello Sperone, dal nome così indicativo riguardo alla sua funzione, solo due anni dopo rispetto alla torre creata presso il mare lungo la linea muraria che intercettava anche San Saturnino e i ruderi di terme, citata nel documento del 1324, sembra suggerire la possibilità che si trattasse dei lavori di completamento di quest’ultima, più che la creazione di una nuova struttura, ma non ci sono dati che dimostrino tale suggestiva ipotesi. Dell’altra porta cittadina di cui si ha notizia, detta de Quart, abbiamo pochissime notizie, sappiamo solo che si apriva nel settore settentrionale delle mura, secondo M. B. Urban (2000, p. 35) verso l’attuale snodo di Via Dante-Piazza Repubblica, visto che i primi progetti di espansione edilizia della città riguardavano gli spazi compresi tra questo accesso e il puyg de les forches, prima che si iniziasse a programmare l’espansione della città, come già detto, verso Castel di Cagliari47. Su quel colle era già in fase di costruzione una torre, di cui ufficialmente non si sa nulla a parte il nome, la torra de Muntfort48. Sembra chiaro che la costruzione non appartenesse al circuito delle fortificazioni della città ma fosse un avamposto e una vedetta collocata in un luogo più o meno distante, se tali progetti vedevano quel luogo come un limite verso cui far tendere l’espansione urbana del centro catalano-aragonese. Nel punto più meridionale di Monte Urpinu (fig. 20), tra l’imbocco per viale Europa e il parco dell’ospedale Binaghi, che viene identificato proprio nel detto puyg, son presenti i ruderi di un fortino, ormai distrutto, e alcune carte catastali della fine del Settecento ne dichiarano la collocazione (Fois, 1981 pp. 85-95). Era il forte di S. Urban, 2000 pp. 32-35; Sanjust, 2008 pp. 203-204. ACA, Canc, reg. 378, f. 17v, trascritto in Urban, 2000 p. 30, nota 49. Il documento dice: “… E per ço com ara les gents seran volunteroses de poblar pres la mar al port de Banyarya e si açò era la pobla que s’és començada de la porta de Quart en[trò] al puyg de les forches, lo qual solia aver nom Monte Volpino, no.s poria complir ne metre avant perquè sembla als dits senyors que entre que la pobla desús dita aja compliment que a null hom no sia donada pobla defora e que.l navili faça port là on se sol a Bonayre e que.l sarts venguen, axí com solen, ab los carros e ab lurs robes a Bonayre. (…) E puys, acabada la pobla de Bonayre se deu continuar la pobla de Bonayre a Càller, per tal que tot sia una ciutat, e a la derreria deu-se poblar aquella part qui és al port de Banyarya per ço com és cosa que tost serà poblada, perquè.s deu poblar a la derreria. (…) E volen los dits senyors que sia feta una torra al puyg de les forches e axí com havia nom Monte Vulpino, que haja nom la torra de Muntfort”. 47 48 Ignazio, il cui nome fu successivamente attribuito al forte di Sant’Elia, probabilmente dopo che il primo cessò la sua attività e fu demolito (fig. 21). La pianta del forte non sembra suggerire che ci sia stato il riadattamento e l’ampliamento di una struttura militare precedente, ma sarebbe necessario compiere delle ricerche di tipo archeologico nell’area per verificare se in suo luogo fosse sorta la suddetta torre catalana del Trecento. Certamente se in tempi così recenti si sentì la necessità di fortificare quella propaggine di monte Urpinu e di metterla a difesa di Villanova e del passaggio che, costeggiando il colle a Occidente, si dirigeva da Nord verso il Capo di Sant’Elia, tanto più dovette rendersi necessario proteggere il colle che sovrastava Castel di Bonaria durante il periodo della sua breve ma intensa vita. La denominazione di porta de Quart era dovuta con ogni probabilità al fatto che il primo centro di rilievo che si incontrava percorrendo il tracciato viario che si snodava da tale accesso era proprio Quartu Sant’Elena, insediamento di antiche origini, chiamata così dall’età romana, essendo posta al quarto miglio della via che da Carales conduceva ad Olbia (Meloni 1990, p. 344). Non stupisce il riferimento, per identificarla, al più prossimo luogo di interesse verso cui si apriva, usanza diffusa durante il Medioevo e certamente in ambiente culturale catalano-aragonese, considerato che a Valencia, capitale del Regno omonimo che faceva parte della Corona d’Aragona, a metà del XV secolo fu aperta una porta d’accesso chiamata proprio puerta de Quart verso occidente, e che al quarto miglio dalla città, seguendo la via che da essa partiva, è tuttora presente la cittadina di Quart de Poblet, nelle immediate vicinanze del più noto centro di Manises. Questi pochi, preliminari dati, ben lungi dal voler fornire soluzioni a problemi di considerevole entità, permettono, però, di creare una mappa di partenza, sulla quale poter mettere in atto tutte le riflessioni che saranno necessarie per portare avanti questo lavoro. Il primo (e unico) studioso ad aver cercato di definire sulla carta dei contorni topografici per la città di Castel di Bonaria è G. Todde (1984, p. 340), il quale, facendo riferimento al sistema viario tutt’oggi esistente, ipotizza l’estensione del centro “in un’area che, grosso modo, partendo dall’attuale via Bottego giungeva, seguendo il viale cimitero, con un allargamento verso la piazza S. Cosimo, a via De Gioannis, fino a via Messina chiudendo il cerchio con via Milano”. Se tutte le riflessioni fatte fin’ora ricevessero conferma alla luce di più approfondite ricerche scientifiche, tale tracciato subirebbe alcune variazioni. La presenza della torre riba la mar farebbe - 527 - D. Corda ipotizzare uno sviluppo della cinta proprio a ridosso della costa, anche a difesa delle strutture portuali, proprio come sarebbe stato fatto negli anni successivi dai Catalano-Aragonesi nel quartiere di Marina, e porterebbe ad uno spostamento del fulcro cittadino verso sud-ovest, in direzione del colle di Bonaria. Questo punto sopraelevato, oltre ad essere il centro originario dell’accampamento militare delle prime fasi dell’assedio, dovette essere un elemento centrale durante tutti gli anni di vita della città, se diede il nome all’intero abitato pur ricoprendo una piccola parte della sua estensione e fu scelto per la costruzione della chiesa dedicata alla Santissima Trinità e alla Madonna. Tale suo ruolo centrale viene in qualche modo sacrificato nella riproposizione del Todde, che gli riserva un posto marginale a ridosso delle mura, per altro piuttosto distanti dal mare. Inoltre, se la suddetta antigor de bayns corrispondesse ai resti di edifici termali messi in luce dal Taramelli nei primi del Novecento, la linea difensiva che univa tale edificio a San Saturnino si presenterebbe perpendicolare alla linea della costa e un suo prolungamento di essa verso il mare, giustificabile dalla necessità di costruire il più in fretta possibile le difese di Castel di Bonaria e quindi con la minore estensione, avrebbe racchiuso anche l’area delle vecchie Ferrovie Secondarie, là dove oggi si estendono il CIS e gli ampi parcheggi ai suoi lati, che era del tutto esclusa dal tracciato del Todde. La sua proposta, per ciò che riguarda i confini settentrionali della città, di farli coincidere col percorso di via De Gioannis sembra facilmente accettabile, in quanto essi sarebbero sufficientemente distanti dal luogo identificato col colle su cui sorgeva la torre di Muntfort da poter immaginare il programma di espansione della città, da parte dell’Infante Alfonso, colmando quella distanza. Per quanto riguarda, invece, l’idea che Castel di Bonaria si estendesse fino all’odierna via Milano sembra poco condivisibile, escluderebbe una vasta area che da quella linea si protende fino al mare in pianura e facilmente edificabile, inoltre limiterebbe parecchio l’estensione delle strutture portuali e, come già detto, sacrificherebbe la centralità del colle di Bonaria nel tessuto urbano. In verità, non avendo il benchè minimo riferimento, nei dati materiali o nelle fonti documentarie, a quel tratto delle mura, risulta praticamente impossibile ipotizzarne l’andamento del tracciato (fig. 22). Questi spunti di ragionamento rappresentano la fase introduttiva di un lavoro tanto impegnativo, vista la grande carenza di dati a disposizione, quanto affascinante e coinvolgente, sulle dinamiche di insediamento umano in un’area così problematica per la ricerca archeologica, a causa dell’insistenza della città contemporanea su quella antica. Bibliografia Arce, J. 1960. España en Cerdeña, Madrid: Consejo Superior de Investigaciones Cientificas. Arribas Palau, M. 1952. La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragòn. Barcelona: Horta. Artizzu, F. 1989. Il porto. In Cagliari: Quartieri storici. Marina. Cinisello Balsamo: Silvana, pp. 23-26. Beseran i Ramon, P., Cubeles i Bonet, A. & Julià i Capdevila, J. M. 2002. L’arquitectura dels ordes mendicants. Les fundacions dels segles XIII I XIV. El convent de Santa Maria de Pedralbes. In L’art gòtic a Catalunya. Arquitectura I: Catedrals, monestirs i altres edificis religiosos. Barcelona: Enciclopèdia Catalana, pp. 193-200. 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Cagliari, Calaris Sardiniae Caput di Sigismondo Arquer, particolare di Bonaria (da Scano 1934). - 531 - D. Corda Fig. 3. Cagliari, Santuario e Basilica di Nostra Signora di Bonaria. Disponibile su: http://www. bonaria.eu/public/index.php?pid=6 [07-07-2011]. Fig. 4. Nostra Signora di Bonaria con Cecilia e Eulalia, 1595 (da Scano 1993). - 532 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Fig. 5. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria, pianta (da Segni Pulvirenti & Sari 1994). Fig. 6. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria, campanile (da Segni Pulvirenti & Sari 1994). - 533 - D. Corda Fig. 7. Cagliari, Santuario di Nostra Signora di Bonaria, campanile e abside (da Segni Pulvirenti & Sari 1994). Fig. 8. Cagliari, Cimitero di Bonaria e San Bardilio, primo quarto del XX secolo, dettaglio. Disponibile su: http://mediateca.comune.cagliari.it/archiviostoricocagliari/imagcartogr/serie%20 G/G%2047%20E%20.jpg [07-07-2011]. - 534 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Fig. 9. Cagliari, chiesa di San Bardilio, ipotesi ricostruttiva (da Ingegno 1993). Fig. 10. Cagliari, Lo sbarco della cassa con l’immagine della Vergine sulle coste di Bonaria (foto Scano). - 535 - D. Corda Fig. 11. Cagliari, Resti di strutture termali, pianta (da Taramelli 1909). Fig. 12. Cagliari, Resti di strutture termali, foto (da Taramelli 1909). - 536 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Fig. 13. Cagliari, resti punici e romani e, in rosso, resti di strutture termali (da Scano 1934). Fig. 14. San Saturnino in una planimetria seicentesca (da Mureddu, Salvi & Stefani 1988). - 537 - D. Corda Fig. 15. Cagliari, resti monumentali di San Saturnino. Disponibile su: http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/4/107905. html [07-07-2011]. Fig. 16. Cagliari, spiaggia di Bonaria, delimitazione della proprietà Demaniale, metà del XIX secolo. Disponibile su: http://mediateca. comune.cagliari.it/archiviostoricocagliari/imagcartogr/serie%20A/A%2003.jpg [07-07-2011]. - 538 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Fig. 17. Cagliari, spiaggia di Bonaria prima dei lavori di bonifica (da Pecco & Bernardino 1991). Fig. 18. Alghero, tracciato delle mura (da Cossu, Dessì & Turtas 1995). - 539 - D. Corda Fig. 19. Cagliari, tracciato delle mura (da Cossu, Dessì & Turtas 1995). Fig. 20. Cagliari, Monte Urpino con i suoi fortini (da Fais 1981). - 540 - Castel de Bonayre: riscontri archeologici e problemi topografici a Cagliari in età catalano-aragonese Fig. 21. Cagliari, fortino di Sant’Ignazio (da Fais 1981). Fig. 22. Cagliari, Confini di Castel di Bonaria. In rosso la proposta del Todde. In giallo le nuove proposte d’analisi. - 541 -