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PARTE PRIMA
LA NORMA GIURIDICA. LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE.
I SOGGETTI DI DIRITTO
CAPITOLO I
LA NORMA GIURIDICA
GUIDA 1. Concetto e caratteri 2. Gli elementi: il precetto e la sanzione 3. Classificazione 4. Le
fonti del diritto 5. L’efficacia temporale 5.1. Entrata in vigore di una norma giuridica 5.2. Abrogazione della norma giuridica 5.3. Irretroattività 5.4. Successione delle norme nel tempo 6.
L’applicazione 7. L’interpretazione 8. L’integrazione: l’analogia
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1. Concetto e caratteri.
La norma giuridica consiste in un comando generale ed astratto, rivolto alla
totalità dei consociati, per mezzo del quale si impone una determinata condotta
finalizzata al perseguimento di particolari interessi. Per questo implica, sempre,
una scelta di valore da parte dell’autorità che la emana (CARBONI).
L’insieme delle regole giuridiche formano il diritto, che secondo una diffusa
dottrina è una necessità (GAZZONI).
La norma giuridica presenta alcuni caratteri essenziali che la contraddistinguono:
la generalità intesa quale indeterminabilità dei soggetti ai quali la norma si
indirizza, essendo essa diretta alla comunità nella sua globalità e, quindi, ad un
ambito indefinito di destinatari;
L’art. 147 prevede determinati obblighi dei coniugi verso i figli, con ciò riferendosi a qualsiasi coniuge ed a qualsiasi figlio.
l’astrattezza intesa quale situazione ideale tipizzata alla quale è possibile
ricondurre ogni ipotetico caso reale da regolamentare. Tale situazione è definita
fattispecie astratta ed è sempre la stessa indipendentemente dalla fattispecie
concreta che si verifica nella realtà fattuale, con modalità ogni volta differenti;
Il contratto di appalto concluso tra Tizio e Caio ha contenuto e condizioni
negoziali diverse dal contratto di appalto stipulato tra Mevio e Sempronio, così
come da tutti gli altri.
Oggi, invero, sono ritenute ammissibili anche leggi formali che non contemplano norme
generali ed astratte (c.d. leggi provvedimento).
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l’obbligatorietà intesa come carattere vincolante della regola, la cui osservanza è assicurata con la coercizione. Per questo si ritiene che la norma giuridica
sia suscettibile di attuazione forzata (TORRENTE).
Non sempre vi è il rispetto delle regole e siccome non è possibile costringere le persone a
tenere un determinato comportamento, la forza del diritto si attua attraverso una particolare
forma di reazione da parte dello Stato, contro il soggetto inosservante, chiamata sanzione. La
tutela dell’ordinamento si persegue, però, non solo con misure repressive, o restaurative di uno
stato preesistente la violazione, ma anche attraverso misure preventive.
2. Gli elementi: il precetto e la sanzione.
La norma consta generalmente di due elementi: il precetto e la sanzione.
Il precetto consiste in un comando diretto alla generalità dei consociati (GAZZONI) che racchiude l’enunciazione della regola comportamentale (ad esempio,
non rubare, non uccidere). A volte, però, la norma si compone non di un precetto, bensì di una definizione (ad esempio, l’art. 1571 da la nozione di contratto di
locazione) o di una classificazione (ad esempio, l’art. 812 distingue tra beni
immobili e mobili) oppure perfino di una affermazione o di una rappresentazione (ipotesi queste ultime ricorrenti nella Costituzione della Repubblica italiana).
In ogni caso la norma giuridica ha sempre quale unico obiettivo quello di stabilire una regola e farla osservare da tutti gli appartenenti alla collettività.
La sanzione rappresenta, invece, la conseguenza negativa che deriva dal
mancato rispetto del precetto. Come detto, quest’ultima costituisce solo una
rivalsa che l’ordinamento giuridico pone in essere nei riguardi di chi non si
uniforma alle regole, previa ammonizione ed ha, quindi, una duplice funzione:
quella preventiva di dissuasione dei consociati dalla violazione della norma e
quella repressiva di punizione dei trasgressori.
La sanzione assume, pertanto, una valenza fondamentale nell’ambito del sistema, in quanto il carattere giuridico della norma discende dal grado di sicurezza comune che l’ordinamento riesce ad attuare. Tanto è vero che, nonostante
l’osservanza di una regola possa dipendere anche soltanto da ragioni riconducibili alla coscienza del destinatario, quali l’accettazione della regola, un profondo convincimento del soggetto della sua utilità sociale, l’abitudine, il senso morale di obbedienza, il timore della punizione, o un bisogno di autorità (TRIMARCHI),
rimane però fondamentale la funzione di garanzia sociale espletata dall’ordinamento, senza la quale non si può parlare di fenomeno giuridico che assicura un
ordine alla società (BIANCA).
Le sanzioni sono di vario tipo e dipendono anche dalla natura della norma di
riferimento. Così esistono sanzioni patrimoniali, che gravano sui beni appartenenti all’autore della violazione della norma, sanzioni personali, che si applicano alla persona che ha posto in essere l’infrazione, sanzioni risarcitorie, che
mirano ad eliminare il danno cagionato ed a ripristinare la situazione antece-
CAPITOLO I – LA NORMA GIURIDICA
dente la trasgressione, sanzioni retributive, che prevedono un castigo come
indennizzo dell’inosservanza.
3. Classificazione.
Le norme giuridiche si suddividono in varie categorie a seconda del loro
contenuto, della tipologia di comando, della previsione o meno della sanzione,
della funzione che svolgono e della portata della loro efficacia.
Abbiamo, perciò, la seguente classificazione.
Dal punto di vista del contenuto:
norme precettive. Si definiscono tali quelle che impongono un obbligo
giuridico;
L’art. 147 impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed
educare la prole.
norme proibitive. Sono tali quelle che al posto di un comando prescrivono
un divieto;
L’art. 1582 impone al locatore di non compiere sulla cosa locata innovazioni
che diminuiscano il godimento da parte del conduttore.
norme permissive. Si definiscono tali quelle che riconoscono al soggetto
determinate facoltà tutelate dall’ordinamento giuridico.
La possibilità di impugnare le sentenze emesse dal giudice di primo grado.
Dal punto di vista della tipologia di comando disposto:
norme cogenti (dette anche imperative o assolute). Sono quelle norme la cui
attuazione è imposta dall’ordinamento giuridico a prescindere dalla volontà del
soggetto destinatario (ad esempio, la norma di natura penale);
norme derogabili (dette anche relative). Si definiscono tali quelle norme
che possono essere disapplicate su accordo dei soggetti interessati. All’interno di
questa categoria troviamo una ulteriore distinzione tra:
norme dispositive, che disciplinano un rapporto lasciando la possibilità alle
parti di modificare detto regolamento;
L’art. 1803 dispone che il contratto di comodato è essenzialmente gratuito; è
però facoltà delle parti pattuire un corrispettivo.
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norme suppletive, che regolano un rapporto in assenza di una volontà manifestata dalle parti (TRABUCCHI);
L’art. 1284 prescrive che qualora non sia stata determinata la misura degli
interessi convenzionali essi si computano al tasso legale.
Dal punto di vista della previsione o meno della sanzione:
norme di condotta (dette anche primarie). Sono quelle che stabiliscono un
comando;
L’art. 1418 sancisce l’illiceità della causa di un negozio giuridico se questa è
contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
norme sanzionatorie (dette anche secondarie). Sono quelle che il legislatore prevede come reazione da porre in essere in caso di inosservanza del comando prescritto e contengono, quindi, la punizione per il trasgressore;
L’art. 1418 dispone la nullità del negozio per illiceità della causa, mentre l’art.
1218 stabilisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta
è tenuto al risarcimento del danno.
norme perfette. Sono tali quelle assistite da una sanzione che consente di
ripristinare l’ordine anteriore alla violazione della norma, eliminandone così gli
effetti;
L’art. 2932, in tema di inadempimento dell’obbligo di concludere un contratto,
prevede l’esecuzione in forma specifica dell’obbligazione inadempiuta.
norme imperfette. Sono quelle che hanno in sé il solo precetto, ma non
contemplano la sanzione in caso di violazione;
L’art. 93, in tema di matrimonio, dispone che la relativa celebrazione deve
essere preceduta dalla pubblicazione fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile.
norme meno che perfette (minus quam perfectae). Sono tali le norme che
contengono una sanzione che, pur prevedendo un trattamento afflittivo, non
permette di ripristinare lo status quo ante alla violazione.
L’art. 2740, riguardo la responsabilità patrimoniale, dispone che il debitore
CAPITOLO I – LA NORMA GIURIDICA
risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e
futuri.
Dal punto di vista della funzione:
norme di diritto materiale. Rientrano in questa categoria quelle norme che
hanno quale fine il regolamento dei rapporti (appartengono a questo tipo gran
parte delle norme di diritto civile);
norme di diritto strumentale. Sono comprese in detta categoria quelle
norme il cui fine è di attuare concretamente il comando giuridico (si pensi, ad
esempio, alle norme di diritto processuale civile).
Dal punto di vista della portata dell’efficacia:
norme generali e norme locali. Appartengono al primo tipo le norme che
hanno pari applicazione nell’ambito dell’intero suolo nazionale; al secondo tipo
quelle la cui efficacia è territorialmente limitata (ad esempio, le norme contenute
dalle leggi regionali);
norme comuni e norme speciali. Vanno annoverate nel primo tipo quelle
norme dettate per ogni rapporto giuridico; sono, invece, riconducibili al secondo
tipo quelle che, in quanto finalizzate al soddisfacimento di esigenze peculiari, si
applicano soltanto a determinate materie (ad esempio, la caccia) o a particolari
circostanze (ad esempio, allorquando vi è uno stato di calamità naturale) o a ben
definite categorie di soggetti (ad esempio, i lavoratori subordinati). In caso di
coesistenza tra norme di diritto comune e norme di diritto speciale, prevalgono
sempre queste ultime;
norme regolari e norme eccezionali. Rientrano nel primo tipo le norme
che, nel dettare una disciplina particolare, si uniformano ai principi generali
dell’ordinamento o della materia; sono inquadrabili nel secondo tipo quelle che,
invece, si discostano da detti principi, attesa l’esistenza di legittime esigenze (ad
esempio, un provvedimento di grazia).
4. Le fonti del diritto.
L’art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale è rubricato “Indicazione delle
fonti”.
Con tale terminologia si fa riferimento sia all’iter di formazione di una norma
giuridica, sia agli strumenti attraverso i quali si addiviene alla sua individuazione
e cognizione.
Si definiscono fonti di produzione quegli atti o fatti che l’ordinamento ritiene
produttivi di regole, che entrano a far parte del sistema normativo di una collettività organizzata.
Sono, invece, fonti di cognizione del diritto quei mezzi che consentono di
conoscere la norma emanata (ad esempio, la Gazzetta Ufficiale).
Nel nostro sistema giuridico le fonti di produzione sono gerarchicamente ordinate in modo da formare categorie caratterizzate da una diversa efficacia nor-
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PARTE PRIMA – NORMA GIURIDICA, SITUAZIONI GIURIDICHE, SOGGETTI DI DIRITTO
mativa. Ne deriva che alcune di queste assumono un grado di importanza superiore e sono definite sopraordinate, rispetto ad altre di rango inferiore, chiamate
sottoordinate.
Un regolamento non potrà mai dettare una disciplina che contrasta con quella
prescritta da una legge.
Una ulteriore distinzione va effettuata tra fonti interne e fonti comunitarie.
Rientrano tra le fonti interne:
la Costituzione e le leggi costituzionali. La Costituzione racchiude i principi fondamentali sui quali si fonda l’ordinamento giuridico nazionale e costituisce la fonte di produzione di riferimento. La Carta costituzionale contempla
alcuni principi ritenuti essenziali e garantisce i primari diritti della persona.
Siffatti principi assumono un valore normativo assoluto, superiore ad ogni altra
fonte normativa ivi compresa quella comunitaria;
le fonti primarie composte da:
– le leggi ordinarie dello Stato (artt. 70 ss. Cost.). Il procedimento di formazione della legge è articolato in varie fasi e prevede l’approvazione da parte di
Camera e Senato, poi la promulgazione che compete al Presidente della Repubblica ed, infine, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dopo la quale, trascorsi
15 giorni, il provvedimento adottato diviene efficace. Talvolta è possibile, in casi
particolari, che la legge acquisti efficacia immediatamente, vale a dire in modo
contestuale alla pubblicazione (c.d. legge catenaccio);
– i provvedimenti aventi forza di legge. In via eccezionale e solo in due
ipotesi la potestà legislativa può essere assunta dal Governo il quale, in casi
straordinari di necessità e urgenza può emanare di propria iniziativa un decreto
legge (art. 77 Cost.), che è provvedimento avente lo stesso valore della legge
formale, che ha una efficacia di 60 (sessanta) giorni dalla sua pubblicazione e
decade se non convertito in legge dal Parlamento, entro tale termine. L’altro
strumento legislativo del Governo è il decreto legislativo (art. 76 Cost.). Su legge
di delega del Parlamento, il Governo può esercitare la funzione legislativa limitatamente ad ambiti determinati e per un arco temporale circoscritto, dietro
specificazione dei principi e delle linee guida. In questo caso il decreto così
adottato è pure denominato legge delegata (ad esempio, il d.lgs. 6 settembre
2005, n. 206 con il quale è stato introdotto il c.d. Codice del consumo);
– i regolamenti parlamentari. Prevedono norme che regolamentano il funzionamento interno della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
– le leggi regionali (art. 117 Cost.). Sono provvedimenti normativi emanati
dalle Regioni cui compete la potestà legislativa nelle materie non espressamente
riservate alla competenza del legislatore Statale;
le fonti secondarie tra le quali vi sono:
– i regolamenti amministrativi. Contengono norme di rango inferiore alla
legge, emanate dallo Stato o da altri enti pubblici. Si suddividono in esterni o
CAPITOLO I – LA NORMA GIURIDICA
interni. Quelli esterni possono essere indipendenti, quando stabiliscono una
disciplina autonoma nell’ambito cui sono destinati (ad esempio, regolamento
edilizio comunale); esecutivi, se si limitano a prescrivere norme di attuazione o di
specificazione di una disciplina generale; delegati, qualora regolano una determinata materia in virtù di una esplicita previsione contenuta nella legge, nel qual
caso sono ad essa parificati in termini di efficacia. Quelli interni poi non vanno
considerati fonti normative, ma semplici regole di organizzazione dell’ente che li
ha promulgati;
le fonti terziarie rappresentate da:
– la consuetudine (o uso). Questa consiste in un comportamento generale,
uniforme e costante nel tempo, assunto dai componenti una collettività (elemento materiale) con il convincimento che esso sia giuridicamente obbligatorio (elemento psicologico, c.d. opinio iuris ac necessitatis). Il nostro sistema giuridico
prevede una consuetudine secondo legge (art. 8 disp. prel.), se è la legge medesima che rimanda alla consuetudine, o in assenza di legge, laddove non
esiste una disposizione che regola la materia. La consuetudine, infine, non può
mai essere contro legge e ciò a pena di inefficacia.
È consuetudine accedere in un fondo altrui non coltivato per passeggiarvi.
Diversi dagli usi normativi sono gli usi contrattuali o negoziali. Si tratta di clausole che
vengono usualmente pattuite dalle parti per la stipulazione di determinate tipologie di contratti
o in determinati settori di affari o in determinate zone e che sono oggetto di disciplina generale
nel codice civile agli artt. 1340 (come fonte di integrazione del regolamento contrattuale) e 1368
(come canoni di interpretazione del contratto).
Rientrano tra le fonti comunitarie:
i trattati comunitari. Le norme dettate dai trattati della Comunità europea
assurgono a fonti di produzione. Tra essi ricordiamo il trattato di Roma istitutivo
della CE - Comunità Europea - del 25 marzo 1957; quello di Maastricht sull’Unione europea del 7 febbraio 1992, che ha segnato una nuova tappa nel processo
di creazione di una aggregazione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa; il
trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, che ha apportato significative modifiche al trattato sull’Unione Europea; quello di Nizza del 26 febbraio 2001, che ha
modificato il Trattato sull’Unione europea e i Trattati che istituiscono le Comunità europee; da ultimo quello di Lisbona del 13 dicembre 2007 entrato in vigore
il 1º dicembre 2009, che ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la C.E. Le norme dei Trattati istitutivi della C.E. sono direttamente applicabili negli Stati membri.
i regolamenti della Comunità europea. Costituiscono provvedimenti di
immediata precettività ed efficacia nell’ordinamento interno italiano. In tema di
efficacia del diritto comunitario, il fondamento della diretta applicazione e della
prevalenza delle norme comunitarie su quelle statali si rinviene essenzialmente
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PARTE PRIMA – NORMA GIURIDICA, SITUAZIONI GIURIDICHE, SOGGETTI DI DIRITTO
nell’art. 11 cost., laddove si stabilisce che l’Italia consente alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni;
le direttive della Comunità europea. Diversamente dai regolamenti, le
direttive hanno in linea di principio soltanto efficacia “mediata”, per cui vanno
rese operative ai sensi dell’art. 189 del trattato di Roma, mediante i provvedimenti statali di attuazione, costituendo esse soltanto un atto di indirizzo politico
diretto agli Stati membri e per essi agli organi statali, e non alle regioni, siano
queste a statuto speciale ovvero a statuto ordinario. Ove lo Stato membro non
adempia all’attuazione entro un termine prefissato, la norma interna contraria
non deve essere più applicata alla stregua della riconosciuta prevalenza rispetto
ad essa della direttiva stessa. Il contrasto tra norme statali e disciplina comunitaria non dà luogo, infatti, ad invalidità o alla illegittimità delle prime, ma comporta la loro “non applicazione”, che consiste nell’impedire che la norma interna
venga in rilievo per la definizione della controversia davanti al giudice nazionale. Tanto è vero che la declaratoria di inadempimento, da parte di uno Stato
membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti implica il divieto assoluto di
applicare il regime legale ritenuto illegittimo;
Giurisprudenza
Le Direttive Comunitarie sono di immediata e diretta applicazione e possono
ritenersi self executing quando sia scaduto il termine di recepimento ed abbiano un
contenuto precettivo chiaro, preciso e non condizionato e prevedano effetti giuridici
favorevoli per l’individuo nei confronti dello stato. In tale caso il giudice ha l’obbligo
di applicare direttamente la norma comunitaria e disapplicare la norma in contrasto (App. Roma, sez. I, 7 marzo 2011, n. 945; Trib. Torino, sez. V, sent. 11 gennaio
2011).
Non possono considerarsi “self executing” le direttive comunitarie che, ancorché
in modo dettagliato, introducono un nuovo istituto nell’ordinamento degli stati
membri, dovendo questo necessariamente essere recepito e disciplinato dall’ordinamento interno (Cons. Stato, sez. V, sent. 24 gennaio 2013, n. 446).
le sentenze della Corte di Giustizia della Comunità europea. È affidata
alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, formata da magistrati degli stati membri,
l’interpretazione del diritto comunitario, del quale le sentenze della Corte precisano autoritariamente il significato, definendone l’ampiezza e il contenuto
delle possibilità applicative, senza per questo creare ex novo norme comunitarie.
Le decisioni della Corte di Giustizia constatano l’inadempimento degli Stati
membri agli obblighi discendenti dai trattati e, quindi, consistono in un giudizio
di mero accertamento dell’esistenza o meno della violazione degli obblighi comunitari.
Le pronunce della Corte di Giustizia hanno efficacia diretta nell’ordinamento
CAPITOLO I – LA NORMA GIURIDICA
interno italiano, come in quello degli altri Stati membri, vincolando il giudice
nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse confliggenti.
Giurisprudenza
L’interpretazione del diritto comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha
efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia
emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di
ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme
comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con
efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità; data la premessa la conseguenza
è che il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per
incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con
una disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, sia nel caso
in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario,
ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della Corte di
giustizia delle Comunità Europee, nell’esercizio dei compiti ad essa attribuiti dagli
artt. 169 e 177 del Trattato del 25 marzo 1957, reso esecutivo con l. 14 ottobre 1957,
n. 1203 (Cons. Stato, sez. IV, sent. 4 marzo 2014, n. 1020).
Le pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee hanno efficacia
diretta nell’ordinamento interno degli Stati membri, al pari dei regolamenti e delle
direttive e delle decisioni della commissione, vincolando il giudice nazionale alla
disapplicazione delle norme interne con esse configgenti (Cons. giust. amm. Sicilia,
sez. giurisd., 25 maggio 2009 n. 470).
5. L’efficacia temporale.
5.1.
Entrata in vigore di una norma giuridica.
Affinché una norma giuridica entri in vigore e, quindi, esplichi la sua efficacia
erga omnes, è necessario che si compiano alcuni atti propedeutici quali:
la promulgazione della legge contenente la norma. È questo un potere
conferito al Presidente della Repubblica (art. 73 Cost.);
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (art. 73, ultimo
comma Cost. e legge 11 dicembre 1984, n. 839);
il decorso di un certo lasso di tempo dalla pubblicazione definito vacatio
legis, in genere pari a 15 (quindici) giorni (art. 73 Cost., art. 10 disp. prel.) che
però può essere modificato o addirittura eliminato.
Una volta compiuto tale iter la legge si presume conosciuta ed è vincolante nei
confronti di tutti (ignorantia legis non excusat).
Giurisprudenza
La Corte Costituzionale con la sentenza 24 marzo 1988, n. 364, ha sancito l’illegittimità della punizione di fatti che non risultano essere espressione di consape-
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