Arte Terapia nel rapporto individuale
Elizabeth Stone
"Tutta la nostra formazione è volta a individuare il percorso del paziente e
a seguirlo, senza peraltro imporre le nostre idee su dove si stia dirigendo."
Diana Siskind, The Child Patient and the Therapeutic Process, p.84
Con questo capitolo intendo offrire al lettore alcune indicazioni di ordine concettuale per il
lavoro in arte terapia con soggetti che vengono trattati in sedute individuali. L’argomento è
così vasto che difficilmente un singolo capitolo potrebbe renderne giustizia, ho deciso
dunque di individuarne i connotati essenziali inserendoli in un discorso che comprende il
mio personale orientamento teorico. Prendendo le mosse dalla combinazione della teoria
evolutiva delle relazioni d’oggetto e dell’arte terapia, porrò l’accento su come la teoria
plasma le modalità della pratica terapeutica.
Il Setting
Molti arte terapeuti lavorano in setting istituzionali all’interno di un’équipe, sebbene alcuni
di noi abbiano anche una formazione in psicoterapia e svolgano inoltre un’attività privata.
In questo capitolo prenderò in esame il ruolo dell’arte terapeuta inserito in un’équipe,
normalmente composta da un primario, solitamente uno psichiatra, uno psicologo, un
assistente sociale, degli educatori, degli infermieri e alcuni operatori che conducono
attività di arti terapie creative. Il ruolo del terapeuta delle arti espressive varia secondo il
tipo di istituzione in cui opera e dei bisogni dell’utenza specifica.
Poiché la maggior parte degli arte terapeuti lavora su mandato, occorre tenere presente gli
obiettivi clinici stabiliti dall’équipe, affinché l’apporto dell’arte terapia si accordi con
l’obiettivo psicoterapeutico, che si tratti di una psicoterapia orientata all’insight, di una
terapia comportamentale o di una terapia volta all’alleviamento dei sintomi. Pur
coordinando lo sforzo verso un obiettivo comune, i metodi seguiti dagli arte terapeuti
possono ampiamente variare. Per esempio, l’immersione necessaria da parte del paziente
nei materiali espressivi implica un approccio orientato al processo maggiore rispetto a
quello che gli altri membri dell’équipe utilizzerebbero, e ciò può rappresentare ed essere
considerato un arricchimento volto al raggiungimento dello scopo prefissato. Assistere al
caos che viene a crearsi, alla lentezza e agli sforzi brancolanti di alcuni pazienti, senza
comprendere l’intero processo creativo indispensabile nell’arte terapia, può creare degli
equivoci e suscitare sospetto tra gli altri operatori non informati su quanto accade. Il lavoro
è più efficace se si potenzia o si migliora la comprensione interdisciplinare tra i membri
dell’équipe instaurando modalità di comunicazione sia orale sia scritta. A tal fine l’arte
terapeuta partecipa alle riunioni in cui vengono presentati dei casi e fornisce anche dei
resoconti scritti sull’andamento del paziente e sul trattamento terapeutico, in modo da
contribuire, con le sue osservazioni cliniche, allo sforzo attuato dall’équipe per pianificare
la continua evoluzione del progetto terapeutico.
Nelle istituzioni la maggior parte dei pazienti viene inserita più spesso in gruppi di arte
terapia che in sedute individuali, poiché la modalità gruppale tende ad essere
complementare alla psicoterapia individuale, offre uno spazio per lo sviluppo delle
capacità di socializzazione dell’individuo e rappresenta la modalità di trattamento
terapeutico economicamente più efficiente. Tuttavia, in determinate circostanze i bisogni di
alcuni pazienti non possono essere soddisfatti adeguatamente dalla modalità di gruppo e
si preferisce proporre sedute individuali di arte terapia. Capire quando, in che modo e in
quali condizioni sia opportuno inviare determinati pazienti in arte terapia individuale è il
prossimo argomento che vorrei affrontare.
Arte Terapia individuale: per chi?
Le utenze che ricevono beneficio dall’arte terapia individuale rientrano tra quelle cui giova
anche l’arte terapia di gruppo. E’ mia intenzione esaminare le esigenze specifiche che
suggeriscono di inviare un paziente in arte terapia individuale, e le modalità con cui
dovrebbe svolgersi questo lavoro. Per una rapida rassegna delle diverse utenze
ricordiamo qui: i pazienti psichiatrici adulti e bambini ricoverati, gli utenti dei centri diurni o
dei servizi ambulatoriali, i portatori di handicap mentale e fisico sottoposti a programmi di
riabilitazione o ricoverati in reparti di lungo degenza, gli scolari segnalati dal corpo docente
per problemi di carattere psicologico o cognitivo, i bambini che non sono stati ‘segnalati’
ma i cui insegnanti e psicologi di riferimento concordano sull’opportunità di un intervento di
prevenzione (con il consenso genitoriale), i bambini e gli adulti malati o convalescenti
ricoverati in fase di riabilitazione o in fase acuta, le vittime di traumi e i rifugiati, i residenti
in comunità terapeutiche inseriti in programmi di disintossicazione e recupero, gli anziani,
le famiglie in difficoltà o in crisi ecc.
In termini generali le sedute di arte terapia individuale possono essere positive per i
pazienti che presentano bisogni intrapsichici tali da richiedere un clima terapeutico più
facilmente realizzabile in una relazione uno a uno. Il termine ‘intrapsichico’ fa riferimento al
tipo di conflitti, affetti, relazioni d’oggetto interno, bisogni e così via che si manifestano
all’interno della mente, e non tra il soggetto e il mondo esterno. Perciò, nel valutare i
bisogni intrapsichici, si tenta di comprendere cosa succede all’interno della mente
dell’individuo e non si osserva semplicemente ciò che avviene apertamente tra costui e le
persone con le quali interagisce.
Sebbene molti pazienti non siano in grado di esprimere i propri bisogni a livello verbale, o
addirittura di riconoscerli, parte del nostro lavoro consiste nel ricercare indizi che
evidenzino tali bisogni terapeutici, prestando attenzione alle manifestazioni di ansia e alla
sfera dei legami oggettuali interni. L’osservazione di questi elementi può aiutarci a
determinare i bisogni terapeutici per quanto riguarda l’opportunità di lavorare con un
paziente in sedute di arte terapia individuale o di gruppo. Talvolta impariamo seguendo un
vero e proprio processo di prova ed errore, per esempio quando le nostre osservazioni ci
confermano che siamo incorsi in un errore terapeutico inserendo un paziente in un gruppo.
Talvolta ce ne rendiamo conto quando un paziente si rifiuta categoricamente di venire alle
sedute di gruppo di arte terapia. Ovviamente non tutti i pazienti che esprimono un rifiuto
del genere sono idonei per un lavoro individuale, ma tale rifiuto ci suggerisce
dell’esistenza di una difficoltà. Nella mia esperienza la maggior parte dei pazienti può
effettivamente trarre un giovamento, almeno di breve periodo, se le sedute di arte terapia
sono organizzate in modo da soddisfarne i bisogni, anche se non tutti sono dei candidati
idonei per l’arte terapia.
Ancora una volta, possiamo ravvisare gli indicatori importanti che motivano un invio in arte
terapia individuale prestando particolare attenzione ai livelli e alle manifestazioni di ansia
delle relazioni d’oggetto. Un tipo di candidato è il paziente che prova un disagio tale da
impedirgli di sopportare la presenza degli altri in un gruppo, e manifesta il proprio
malessere traducendolo in ansia eccessiva o in atteggiamenti di ripiegamento su di sé. Un
altro è rappresentato dal paziente molto timido, in particolare se presenta anche qualche
lieve tratto paranoide, che potrebbe essere sopraffatto dalla presenza del gruppo tanto da
sentirsi incapace di partecipare. Oppure nel caso di pazienti ai quali il gruppo non fornisce
un contenimento comportamentale o psichico adeguato, mentre in seduta individuale
verrebbero maggiormente contenuti. E’ preferibile seguire un paziente in sedute individuali
se versa in uno stato di agitazione tale che richiede gran parte dell’attenzione dell’arte
terapeuta per riuscire a funzionare nel gruppo e l’arte terapeuta si rende conto di ignorare
continuamente gli altri partecipanti. Se alla fine si riesce, in un tempo ragionevole, a
contenere ed integrare alcuni pazienti dirompenti in un setting gruppale, occorre
comunque valutare la propria capacità di seguire in modo adeguato gli altri membri del
gruppo mentre si lavora per raggiungere questo obiettivo di più lungo termine e prendere
anche in considerazione l’alternativa che il paziente in questione venga visto in sedute
individuali per il bene di tutti i pazienti interessati. Un ‘ambiente di holding’ sicuro basato
sulla funzione di holding della madre, per usare la terminologia di Winnicott (1971), è della
massima importanza per tutti i pazienti. I partecipanti a un gruppo non si sentiranno
sufficientemente ‘tenuti’ se uno di loro assurge sempre al ruolo di protagonista. Il paziente
timido e introverso, al quale spesso mancano le parole per esprimere i sentimenti positivi
derivanti dal contenimento terapeutico introiettato dell’ambiente di holding nella relazione
uno a uno, potrebbe essere in grado di utilizzare la comunicazione simbolica intrinseca
all’espressione artistica per rivelarli.
Alcuni pazienti, che hanno forse bisogno di un contatto con l’arte terapeuta più frequente
di quello offerto nella seduta di gruppo, potrebbero trarre giovamento dalle sedute
individuali. Tuttavia occorre qui chiarire che alternare sedute di gruppo a sedute individuali
può costituire un problema di per sé. Infatti per la maggior parte dei pazienti passare
continuamente dalla modalità individuale a quella gruppale può essere un’esperienza
troppo confusiva, poiché si troverebbero a vivere l’arte terapeuta interamente a loro
disposizione e poi soltanto parzialmente disponibile. Se riteniamo che la relazione
terapeutica rappresenti eminentemente la relazione d’oggetto, e concordiamo sul fatto che
essa sia l’agente principale di cura nel processo terapeutico, possiamo sostenere che le
relazioni d’oggetto stabili si sviluppano soltanto se il ruolo dell’arte terapeuta è coerente,
prevedibile e costante. Quando il paziente deve considerare la figura dell’arte terapeuta
oscillante come un pendolo, che passa dalla completa disponibilità ad una disponibilità di
gran lunga inferiore poiché i bisogni degli altri hanno la precedenza, nel transfert può
venirsi a creare una riproduzione dei precoci legami oggettuali inconsci incoerenti, che fa
girare a vuoto gli ingranaggi terapeutici e impedisce qualsiasi accelerazione delle relazioni
d’oggetto. Non soltanto le relazioni oggettuali, ma anche il clima che favorisce lo sviluppo
delle rappresentazioni del Sé ne subisce gli effetti, sebbene molti pazienti non siano
neppure consapevoli che un’organizzazione di questo genere li può influenzare, poiché a
livello intrapsichico la situazione non si distingue da ciò che hanno sempre vissuto.
Qualora non sia possibile trovare un gruppo di arte terapia appropriato per un determinato
paziente, sulla base di considerazioni di ordine diagnostico o di altro genere, è meglio
trattarlo in sedute individuali che non trattarlo per nulla, purché non vi siano evidenti
controindicazioni. Tuttavia si tratta di una decisione che deve essere presa caso per caso.
Una paziente ambulatoriale adulta che incominciai a seguire in sedute individuali era stata
inizialmente inviata in un gruppo di arte terapia rivolto a donne vittime di violenza
domestica che avrei dovuto condurre in un centro di salute mentale dove lavoravo. La
donna fu la prima e unica paziente inviata al gruppo, e per avviare il progetto era
necessario averne altre. Trascorsero alcuni mesi senza altri invii e il responsabile decise
che lavorassi individualmente con la paziente. Quando incominciammo il lavoro mi fu
chiaro che nessun gruppo di arte terapia che conducevo avrebbe risposto adeguatamente
ai suoi bisogni terapeutici e alla fine fu molto contenta di lavorare in sedute individuali.
Inizialmente il suo livello di autostima era così ridotto che non avrebbe osato chiedere di
essere seguita in terapia individuale, qualunque essa fosse. Anche se, in questo caso, fu
presa una decisione fortuita per mancanza di altri invii, il processo terapeutico deve
continuamente essere valutato per garantire che il progetto di trattamento sia il più
consono possibile.
Alcune possibili controindicazioni dell’Arte Terapia individuale
Quando un paziente è seguito in sedute individuali di arte terapia e di psicoterapia è
prudente anticipare quelle circostanze che potrebbero ingenerare difficoltà, in particolare
in ambito transferale. Se per esempio i processi di arte terapia e di psicoterapia sono
troppo simili, i confini che li delimitano possono confondersi nella mente del paziente. In
questi casi occorre tracciare una chiara definizione di ciascuna modalità, per non incorrere
nell’altrimenti inevitabile risultato di scegliere soltanto una delle due terapie. In caso
contrario ne verrebbe compromesso il potenziale terapeutico intrinseco di ciascuna di
esse. Un’altra situazione ipotetica che presenta delle difficoltà si verifica quando il
terapeuta di riferimento e l’arte terapeuta lavorano in modi molto diversi e comunicano un
conflitto di orientamenti. Il paziente, seppur solo a livello inconscio, lo percepisce
facilmente e può sentirlo come elemento ansiogeno. In tal caso si rende necessaria una
nuova valutazione dei bisogni che porterà a introdurre le modifiche terapeutiche
opportune, anche qualora tali modifiche implichino l’esclusione della modalità individuale,
trattandosi della soluzione più appropriata. Poiché in questo contesto l’arte terapia è la
terapia di sostegno, è più probabile che sarà essa a subire la modificazione necessaria.
Stabilire una comunicazione aperta e considerare realisticamente i limiti intrinsechi a
qualsiasi sforzo terapeutico ci aiuta a comprendere meglio ciò che accade, evitando alcuni
di questi problemi. Per quanto desiderabile sia una soluzione efficace, non sempre è
possibile raggiungerla, quando sussiste un conflitto tra orientamenti diversi. Quando
invece l’arte terapia individuale e la psicoterapia individuale operano a fianco a fianco con
buoni risultati, l’arte terapeuta, sulla base di una decisione consapevole, mantiene il
processo terapeutico sul piano dell’esplorazione creativa e della metafora verbale,
lasciando allo psicoterapeuta ‘verbale’ gran parte della sfera introspettiva e interpretativa.
A prescindere da quanto egli sia tentato di entrare nell’area ‘orientata all’insight verbale’, è
di massima importanza terapeutica conservare la coerenza delle due terapie distinte.
Aiutare il paziente a sapere con chiarezza ‘chi è chi’ risulterà, in ultima istanza, in un
maggior rafforzamento della coesione delle rappresentazioni oggettuali interne, mentre un
processo di mancata distinzione non può che impoverire tale coesione. Non ritengo che in
questo approccio l’arte terapeuta rivesta un ruolo di secondo piano, anzi in realtà lavora
tacitamente e con attenzione per attenuare la scissione. L’introiezione dell’arte terapeuta
come oggetto buono offre una possibilità di sviluppo terapeutico assai maggiore di quanto
non forniscano interpretazioni ben intenzionate ma fuorvianti, oppure fatte al momento
sbagliato. Incoraggiare il paziente a veicolare nella psicoterapia alcune delle
problematiche, nel momento in cui si manifestano, lo aiuterà a conservare una
differenziazione tra i due ruoli. D’altra parte, in circostanze favorevoli alcuni pazienti
traggono giovamento dall’arte terapia quando essa riveste il ruolo di terapia primaria, in
particolare nel caso di pazienti con difficoltà di comunicazione verbale o con una capacità
di insight seriamente limitata. Il fatto che l’arte terapeuta abbia una lunga esperienza, una
formazione adeguata e sia seguito in supervisione, oltre ad avere contatti frequenti con
l’équipe e incontri regolari con il medico di riferimento, sono tra i requisiti indispensabili per
un compito del genere. Inoltre se viene prescritta una terapia psicofarmacologica, il
paziente viene regolarmente visitato da uno psichiatra che esercita un’altra forma di
monitoraggio terapeutico. Consideriamo ora brevemente il processo di invio per
osservarne più da vicino le caratteristiche.
L’invio
L’invio in arte terapia individuale, e lo stesso vale per l’arte terapia di gruppo, può essere
stabilito da diversi soggetti: direttamente dal medico curante; dall’équipe terapeutica che
prende una decisione collettiva; su richiesta del paziente stesso, in accordo con l’équipe;
in base alla valutazione dell’arte terapeuta che già lavora con il paziente in un gruppo o al
quale è stato chiesto di valutare il paziente come candidato per l’arte terapia e di
determinare la modalità più opportuna, in accordo con il resto dell’équipe.
Talvolta l’invio in arte terapia è accompagnato dalla richiesta clinica che il paziente venga
visto in sedute individuali, o di gruppo, in base alla modalità terapeutica considerata più
utile per i suoi bisogni specifici. Una volta informato dell’invio, l’arte terapeuta compie una
valutazione dei bisogni del soggetto, normalmente offrendogli la possibilità di partecipare a
qualche seduta di prova per vedere come risponde. Alcuni arte terapeuti si avvalgono di
procedimenti di valutazione formalizzati; altri, e includo me stessa tra questi, preferiscono
un approccio strutturato in maniera più flessibile, che si articola in un colloquio iniziale e
una o più sedute di prova. Le sedute dovrebbero tenersi a intervalli regolari, in un giorno e
ad un orario prestabiliti, normalmente una volta, e in alcuni casi due volte, alla settimana.
Se i problemi di orario possono essere fonte di frustrazione sia per il paziente sia per il
terapeuta, sedute meno frequenti di una volta alla settimana rendono l’arte terapia del tutto
inefficace, per quanto riguarda la possibilità di permettere al paziente di entrare
pienamente nel processo creativo e in quello terapeutico e di rappresentare un ambiente
di holding genuino.
Delineare un approccio
Esaminando il modo in cui presentare l’arte terapia individuale, vorrei ora illustrare alcuni
fondamenti teorici a cui si rifà il mio approccio personale, che può prontamente essere
adattato sia al lavoro individuale sia a quello di gruppo. Le tecniche in arte terapia variano
tanto quanto quelle in psicoterapia, a seconda dell’orientamento teorico dell’arte terapeuta
e dell’utenza specifica a cui viene proposta l’attività. Qualsiasi discussione sulla pratica
terapeutica deve necessariamente riflettere il punto di vista specifico dell’arte terapeuta, in
modo che anche le ipotesi più comunemente sostenute assumeranno sfumature che
trovano origine nel particolare approccio a cui si rifanno. In altri termini, ogni singolo tipo di
intervento - dal modo in cui viene preparato l’atelier al tipo di relazione che si crea con il
paziente, dal genere di interventi attuati alle modalità interpretative del lavoro artistico - si
accorda con lo scopo, rimandando così a una prospettiva più generale. Un intervento di un
arte terapeuta può avere una portata assai diversa se viene trasferito nella modalità di
lavoro di un collega. Perciò è importante avere una base teorica solida e coerente,
qualunque sia l’approccio seguito. Non solo è necessaria un’aderenza intellettuale alla
teoria, ma anche una coerenza interna dell’arte terapeuta che si accordi con il suo ruolo
professionale esterno, in modo da raggiungere una congruenza tra l’esperienza personale
e la formazione professionale. Una psicoterapia personale di orientamento conforme con
la teoria di arte terapia appresa nel corso di formazione professionale rappresenta la via
per raggiungere tale coerenza che, in ultima istanza, troverà risonanza nell’interazione con
i pazienti.
In arte terapia il paziente fa uso dell’arte per organizzare sentimenti, pensieri, ricordi e
conflitti, esprimendoli simbolicamente in una forma visiva concreta. I materiali artistici
forniscono il canale di esternalizzazione del contenuto psichico interno, che trova poi una
sua forma nella struttura sicura e non minacciosa della seduta terapeutica. Grazie ai
materiali artistici esso diventa comunicabile. Il lavoro artistico che ne risulta può essere la
rappresentazione intenzionale, spontanea e conscia del mondo interno del paziente,
oppure una rappresentazione assolutamente inconscia della sua vita psichica. Il più delle
volte l’immagine o il prodotto artistico diventano il contenitore di un mascheramento a
molteplici livelli, accessibile alla coscienza soltanto in termini vaghi. Nelle immagini di
questo genere sono contenuti affetti, conflitti, identificazioni, segni del Sé e del mondo
interno delle relazioni d’oggetto. “Plasmare” comporta la trasformazione del contenuto,
mediante il filtro dell’Io, per diventare ciò che possiamo liberamente considerare
"l'
immagine” o espressione artistica. L’immagine nell’espressione artistica ha dunque una
funzione simile a quella dell’immagine nel sogno, che mette in atto i meccanismi dello
spostamento e della condensazione (Freud 1900) e fa appello alla rappresentazione
sensoriale e simbolica e ai messaggi criptici per nascondere il contenuto latente, gravato
da conflitti, traumi e altri affetti altrimenti intollerabili. Il sistema di filtraggio di cui l’Io si
serve costituisce le cosiddette difese dell’Io, descritte da Anna Freud (1936) ed elaborate
da molti altri autori. Esso riveste un ruolo essenziale nella creazione e nella lettura
dell’immagine. Rispondendo secondo modalità terapeutiche all’espressione artistica del
paziente, l’arte terapeuta interviene rimanendo spesso sul piano metaforico, rispettandone
i molteplici significati e conservandone la funzione di contenitore terapeutico. Egli tende a
costruire o ricostruire le difese dell’Io, che a loro volta rafforzano la struttura generale
dell’Io mediante il processo di creazione in arte terapia, equipaggiando così il paziente
affinché possa meglio gestire i conflitti, gli affetti difficili, quali la depressione, o i sentimenti
negativi della sua vita.
La seduta di arte terapia si distingue profondamente dalle sedute di psicoterapia dove
talvolta si lavora anche con i materiali artistici. Non si tratta neppure di una “lezione di
educazione artistica” dove si analizza, per così dire, l’arte. Semmai vogliamo sostenere la
nozione che considera il paziente l’esperto del proprio lavoro, e il nostro ruolo è aiutarlo a
trovare una voce autonoma e un significato personale. Anche se, come arte terapeuti,
sviluppiamo una certa competenza per ciò che concerne la comprensione della
comunicazione simbolica e delle immagini, ritengo sia nostro compito supportare il
paziente affinché rintracci da solo una chiave di lettura e di comprensione propria. Egli può
farlo con il nostro aiuto, ma non possiamo sostituirci a lui. Qualsiasi insight raggiunto
assume significato soltanto se il paziente è pronto, e la capacità di essere pronto potrebbe
risultare da un lungo processo che si articola a tappe, una alla volta. In caso contrario,
creiamo una situazione di dipendenza interminabile, dipendenza che può incoraggiare la
regressione in molti modi, alcuni dei quali potrebbero essere pericolosi invece di
promuovere la crescita. Interpretazioni inopportune e premature in arte terapia vengono
percepite come una sorta di ‘lettura del pensiero’, forma inquietante di assorbimento
psicologico che spesso cancella il già fragile confine necessario tra il Sé e l’altro, tra il
paziente e il terapeuta. La modalità con cui aiutare un paziente, affinché sia
psicologicamente preparato a trovare un significato nel proprio lavoro artistico, funge da
metafora e da preludio per cercare un significato nella sua esistenza e capire come egli
sia diventato quello che è.
La signora R., una donna sulla quarantina divorziata dopo 17 anni di matrimonio, aveva
una diagnosi di schizofrenia che ne aveva motivato il ricovero in due occasioni. Le era
stata prescritta una terapia psicofarmacologica dallo psichiatra di riferimento che la
visitava due volte al mese e le era stata proposta un’attività di arte terapia una volta alla
settimana in cui si impegnò per oltre due anni. Il quadro sintomatologico si era
sufficientemente stabilizzato e la paziente riusciva a funzionare in modo adeguato, se pur
limitato, entrando in relazione con pochissime persone. Viveva sola in una camera
ammobiliata e aveva instaurato una relazione soddisfacente con uno dei due figli, ormai
adulti, e una relazione marginale con l’altro.
Inizialmente in arte terapia la signora R. era rigidamente trattenuta e mostrava un
atteggiamento anaffettivo. Nel corso del trattamento incominciò a sentirsi a proprio agio,
progressivamente stabilì una relazione migliore con l’arte terapeuta e incominciò ad
essere addirittura affettuosa. Per almeno due anni la paziente eseguì delle sculture in
creta traendo ispirazione da riproduzioni artistiche. Anche se generalmente negli ultimi
minuti della seduta raccontava all’arte terapeuta i fatti significativi che le accadevano,
diceva sempre che le sculture che realizzava non avevano alcun significato particolare.
Questa scultura [ fig. 1] non è che un esempio della sua produzione. Malgrado il
disconoscimento di significato, le era però chiaro che l’impegno nel processo settimanale
di creazione artistica era rilevante.
¤
Fig.1
Essendo la sua arte terapeuta, capivo quanto fosse importante far sì che il processo
creativo e terapeutico si dispiegasse secondo i suoi tempi, senza spingerla più
rapidamente di quanto sarebbe stato appropriato in una prospettiva terapeutica. Dopo
oltre due anni, fu finalmente in grado di stabilire un collegamento personale con il proprio
lavoro in questa disegno [fig. 2]. Copiò il ritratto della moglie Saskia eseguito da
Rembrandt e disse che il suo disegno le ricordava di quando dormiva, bambina, nel letto
insieme alla nonna in campagna. Ricordò con tenerezza le visite alla nonna in campagna,
poiché era l’unico famigliare con cui la signora R. aveva avuto una relazione stretta
nell’infanzia.
⁄
Fig. 2
Il tempo nella seduta individuale
In genere un’ora è più che sufficiente per una seduta individuale di arte terapia, anche se
con alcune utenze una durata del genere può essere eccessiva. Persone con disabilità
fisiche o anziani, portatori di handicap mentale o pazienti affetti da patologie mediche
potrebbero non avere l’energia o la concentrazione necessarie per riuscire a lavorare
un’intera ora. E’ importante proporre una quantità sufficiente di tempo, ma diventa
altrettanto importante offrire una quantità ottimale di tempo terapeutico, vale a dire non più
di quello che un paziente è in grado di gestire psichicamente. Se un paziente sembra aver
bisogno di una quantità apparentemente infinita di aiuto nella sua vita, l’esperienza di una
seduta troppo lunga può essere soverchiante. Il tempo terapeutico si trova su un piano
diverso dal tempo ordinario, in parte perché determinato dalla capacità del terapeuta di
stabilire un rapporto empatico, dalle questioni transferali, dalle aspettative terapeutiche (da
parte del paziente) e dagli affetti suscitati, siano essi espressi o inconsci. La seduta
diventa quindi una modalità concentrata di vivere il tempo. Una seduta troppo lunga può
suscitare eccessiva ansia, stimolando troppa intensità o, al contrario, una sensazione di
vuoto nella quale il paziente si sente posto di fronte al compito di riempire il tempo. In
realtà possiamo soltanto approssimare quale sia, a nostro giudizio, una durata terapeutica
ragionevolmente ottimale e il paziente vi adatterà il proprio ritmo. Alcuni pazienti, come
quelli citati, hanno inizialmente difficoltà a sostenere l’intera seduta, ma se il terapeuta
riesce a entrare in sintonia con i loro bisogni, essi gradualmente sviluppano la capacità di
fare uso di tutta la durata, risultato che può rientrare tra gli obiettivi terapeutici stabiliti. Se
normalmente una seduta di psicoterapia dura 45 o 50 minuti, nella seduta di arte terapia è
necessario dedicare parte del tempo per soddisfare le esigenze particolari del processo
specifico, che si declina in una serie di fasi: entrare nel processo creativo ed esplorare i
materiali, sviluppare le immagini personali, dedicare uno spazio sufficiente per condividere
insieme all’arte terapeuta i pensieri e i sentimenti sul processo e/o sul contenuto, riporre i
materiali e pulire l’atelier. Come ho già ricordato, il tempo funge da criterio importante nel
definire l’ambiente di holding e occorre rispettarlo senza apportarvi ulteriori modifiche, una
volta compiuta la valutazione del caso.
Lo spazio nella seduta individuale
Lo spazio dovrebbe essere rappresentato da un locale dove poter utilizzare facilmente i
materiali artistici, senza eccessive preoccupazioni per il disordine che si verrà a creare. E’
molto importante che la seduta individuale si svolga in un atelier specificamente adibito
all’arte terapia, poiché ciò consente al paziente molta più libertà di quanto non possa
godere se lavora in una stanza utilizzata anche per altri scopi. La presenza di moquette
costituisce un problema, è infatti difficile immergersi agevolmente nel processo creativo se
si è preoccupati di fare delle macchie indelebili. Tranne nel caso in cui si possa coprire il
pavimento con del linoleum o un foglio di plastica spessa, è più opportuno servirsi di un
locale arredato semplicemente e dotato di una buona fonte di luce potente, preferibilmente
naturale. Un tavolo pulito e molto stabile, sul quale disporre soltanto i materiali artistici,
viene utilizzato come piano di lavoro. Sarebbe inopportuno utilizzare l’angolo di un tavolo
ingombro, che comunicherebbe un senso di costrizione, influenzando la libertà di
autoespressione del paziente. E'auspicabile avere a disposizione un lavandino nella
stanza, in sua mancanza un secchio di acqua pulita può farne le veci, evitando al
terapeuta di dover uscire durante la seduta. In ogni caso la fonte d’acqua non dovrebbe
distare troppo dall’atelier. Come nelle sedute di gruppo, il locale dovrebbe trovarsi in una
zona riservata e avere una porta che può venire chiusa, in modo che la seduta non venga
disturbata da interruzioni esterne.
I materiali
I materiali più appropriati per l’arte terapia individuale sono gli stessi utilizzati per i gruppi e
vengono offerti perché presentano un maggiore potenziale creativo per l’espressione
personale: tempere, acquarelli, creta e tutta la gamma dei materiali grafici compresi
gessetti, matite colorate, pastelli ad olio e pennarelli, fogli di carta di diverse dimensioni,
utensili per lavorare
sia da pazienti con
precedente, sia da
perciò occorre che
la creta, pennelli, spugne ecc. Questi materiali possono essere usati
scarsa preparazione o addirittura senza alcuna esperienza artistica
pazienti che possiedono invece una lunga consuetudine artistica,
la preparazione artistica dell’arte terapeuta sia molto solida, per
consentirgli di comprendere il tipo di difficoltà tecniche e comunicative che possono
insorgere nell’espressione visiva. Sebbene l’arte terapeuta ponga l’accento
sull’acquisizione di autonomia del paziente, in senso generale, e si sforzi di aiutarlo perché
trovi le proprie soluzioni, la sua competenza e le capacità accompagnate da un uso
esperto dei materiali artistici costituiscono la base essenziale del suo armamentario
terapeutico. Senza una conoscenza approfondita dell’arte e della creatività e la capacità di
praticarla con perizia, l’arte terapeuta sarebbe sostanzialmente menomato. Non vi è
psicoterapia che possa sostituire il nucleo artistico, anche se una psicoterapia affiancata
da una formazione appropriata può contribuire a svilupparlo; analogamente un artista di
talento, privo di capacità terapeutiche, sarebbe altrettanto impedito.
L’alleanza terapeutica in arte terapia
Si è appena accennato, senza averlo peraltro chiaramente spiegato, al ruolo dell’alleanza
terapeutica quale caratteristica centrale, se non la caratteristica centrale, dell’arte terapia
individuale. Non se ne può certo sottostimare la rilevanza nell’arte terapia di gruppo, ma la
sua importanza cardinale è ulteriormente pronunciata in quella individuale. L’alleanza
terapeutica o alleanza di lavoro fa riferimento a un concetto di derivazione psicoanalitica,
che bene può adattarsi alla situazione in arte terapia. È stato Greenson (1965a)
a
riconoscere che accanto al transfert, con cui l’analista viene a rappresentare una figura
importante del passato, esiste anche un rapporto reale e si sviluppa la capacità di lavorare
per raggiungere un obiettivo comune, che in questo caso è lo sforzo terapeutico. Egli ha
definito tutto ciò alleanza di lavoro o alleanza terapeutica, la cui portata è stata
successivamente ampliata da altri teorici. Gertrude e Rubin Blanck hanno aggiunto che
“(...) l’alleanza terapeutica diventa lo strumento per eccellenza per lavorare con le
"resistenze" del paziente” (1979, p. 161). Con questa affermazione ci viene proposta una
nozione assai diversa rispetto all’approccio psicoanalitico classico che affrontava più
direttamente le resistenze, laddove con lo scoprire i fenomeni inconsci si intendeva
rimuovere le resistenze. Prendendo le mosse da una prospettiva evolutiva, la terapia (e
non l’analisi) viene orientata essenzialmente all’Io, attribuendo così un significato a questo
diverso approccio analitico. Non si ritiene più che l’abbattimento delle difese contribuisca
al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, mentre occorre concentrare gli sforzi, innanzi
tutto, per instaurare l’alleanza terapeutica, o alleanza operativa, affinché il lavoro stesso
possa procedere. Tale alleanza non si fonda "sull’essere amici" in alcun senso, poiché ciò
non farebbe che aggirare il processo terapeutico.
I Blanck hanno descritto un’ulteriore dimensione dell’alleanza terapeutica che può rivelarsi
utilissima: “La natura dell’alleanza è, dopo tutto, una funzione della capacità di avere
relazioni d’oggetto” (1979, p. 118). Se consideriamo l’alleanza terapeutica lo strumento
principale con cui sviluppare la capacità di formare relazioni d’oggetto, come suggerito dai
Blanck, la relazione terapeutica offre un habitat naturale per questo compito. L’arte
terapia, in realtà, è idealmente adatta per lo sbocciare dell’alleanza terapeutica, che esiste
parallelamente al tranfert, eppure è separata dal conflitto ad esso intrinseco. Il processo
creativo/espressivo fornisce l’opportunità concreta per ciò che può essere considerato il
lavoro ‘metaforico’, che costituisce la cornice dell’alleanza terapeutica, mentre la
comprensione empatica dei bisogni e degli affetti del paziente ne diventa lo sfondo.
Come abbiamo visto nel caso della signora R., l’arte terapia individuale agevola lo
sviluppo delle relazioni d’oggetto. Ciò era emerso con evidenza sia nel contenuto sempre
più personale delle sue immagini, sia nel collegamento affettivo che la paziente riuscì a
stabilire con l’arte terapeuta, via via che il rapporto si consolidava e veniva gradualmente
introiettato. Quando le relazioni d’oggetto si rafforzarono vi fu un “travaso” verso altre aree
della sua vita, nelle quali ebbe giovamento grazie a un miglior funzionamento generale.
Prendendo in considerazione l’alleanza terapeutica nella psicoterapia infantile, Diana
Siskind scrive: “Poniamo al centro dell’attenzione il rafforzamento dell’alleanza di lavoro,
promuovendo la figura del terapeuta in quanto oggetto affidabile e oggetto transferale, al
fine di facilitare la
graduale capacità (del paziente) di identificazione e quindi di
introiezione di un oggetto attendibile, per far sì che la rappresentazione oggettuale
assuma i caratteri della sicurezza e della prevedibilità” (1992, p. 102). Come mette in luce
così eloquentemente Siskind, in questo caso l’elemento fondamentale è rappresentato dal
processo d’introiezione, con il duplice scopo di sviluppare sane relazioni d’oggetto e
rafforzare l’Io.
Sandra, una bambina di 10 anni, fu inviata in arte terapia individuale in un centro
ambulatoriale di salute mentale. Manifestava qualche segno di lieve depressione, era
sovrappeso, ed era diventata disubbidiente a casa in seguito alle seconde nozze della
madre con un uomo che la bambina mal tollerava. Sandra si sentiva rifiutata dalla madre
che, nel vissuto della bambina, la rimproverava e la criticava in continuazione, mentre non
vedeva il padre naturale da oltre due anni. Lavorò in arte terapia per tutto l’anno
scolastico, periodo durante il quale gradualmente riuscì a comunicare con la madre. L’arte
terapeuta incontrava periodicamente la signora M., che inizialmente aveva manifestato
rabbia nei confronti dell’atteggiamento e del comportamento della figlia. Dopo sei mesi di
arte terapia la signora M. confidò all’arte terapeuta: “Il problema è che Sandra mi ricorda
veramente me stessa”. L’ambivalenza della signora M. faceva sì che Sandra si sentisse
rifiutata e tenuta a una certa distanza.
L’arte terapeuta si dedicò a instaurare un’alleanza di lavoro e si concentrò sul transfert
positivo che Sandra era così desiderosa di vivere. Sentirsi solidamente ‘tenuta’ in una
relazione affidabile di questo genere le consentì di sentirsi più forte e maggiormente in
grado di affrontare i sentimenti suscitati dai rapporti famigliari difficili e mutevoli. Questo
dipinto di una pianta di avocado [fig. 3], scelto tra un’ampia produzione di immagini della
giovane paziente, esprime qualcosa sul processo che ebbe luogo. Sandra si sentiva vicina
all’arte terapeuta e decise di rappresentare una bella e rigogliosa pianta di avocado
nell’atelier. La sua attenzione si concentrò sul vaso, grande e robusto, che conteneva la
pianta, in realtà molto più piccolo di quanto sia stato qui rappresentato. Perciò una
possibile interpretazione è considerare il vaso una forma simbolica di contenimento,
espressione di come Sandra si sentiva ‘tenuta’ nell’alleanza terapeutica grazie alla quale
sentì di poter sbocciare. Ecco perché reputo questa rappresentazione una manifestazione
del processo di introiezione in arte terapia, mediante il quale il paziente interiorizza un
nuovo oggetto buono per mezzo dell’identificazione con l’arte terapeuta.
⁄
Fig. 3
Alcune considerazioni particolari sul ruolo dell’arte terapeuta
Il piacere, intrinseco al processo artistico, distingue in modo fondamentale la seduta di arte
terapia da quella di psicoterapia. Al centro della seduta di arte terapia si ha la presenza
costante dei materiali artistici piacevoli ai sensi -la tempera spessa, la creta materica e
tutta la varietà dei materiali grafici– a cui si aggiunge l’elemento essenziale del gioco che,
a sua volta, offre un certo grado di piacere. Il gioco può essere considerato a due livelli:
quello sensomotorio e quello intellettuale, dove si produce la creazione di illusione,
nell’accezione di Winnicott (1971), nella formazione delle immagini mentali e artistiche.
Non tutti i pazienti però si sentono psicologicamente a proprio agio per poter partecipare
pienamente agli aspetti potenzialmente piacevoli dell’esplorazione e della creazione
artistica. Qualunque sia il grado in cui il paziente può prendervi parte, egli prova una
gratificazione iniziale che sostiene i suoi sforzi continui e scrupolosi, spesso accompagnati
da giudizi severi e autocritica. L’arte terapeuta si concentra sugli interventi terapeutici che
contribuiscono a promuovere lo sviluppo dell’Io, prestando particolare attenzione ai segni
che ne ostacolano la crescita. Al tempo stesso, come alleato dell’Io, egli compie un’opera
di mediazione nei confronti degli attacchi aggressivi di un Super-io intransigente. Servirsi
dei materiali artistici per entrare in un processo esplorativo libera la creatività, attraverso la
metafora del gioco, rendendo la vita affettiva un poco più accessibile e contribuendo in tal
modo allo sviluppo di un senso del Sé coerente. Non si sottolinea mai abbastanza quanto
lungo e spesso arduo sia questo processo.
Molti arte terapeuti esordienti, ma in realtà anche coloro che lavorano ormai da molti anni,
vorrebbero avere maggiori certezze sul grado di coinvolgimento, verbale e artistico, teso a
promuovere il processo terapeutico. Usare i materiali artistici insieme al paziente,
astenersi assolutamente dal farlo, o usarli secondo modalità interattive è una questione
che continuamente si pone e deve essere prima affrontata a livello teorico e poi tradotta
con coerenza nella pratica. Il fatto che un coinvolgimento attivo inibisca il dispiegarsi del
processo creativo del paziente, o interferisca con esso, è un problema centrale nel
processo terapeutico, in particolare nel caso dell’arte terapia individuale. L’arte terapeuta
può affrontare tali questioni secondo modalità leggermente diverse in base ai bisogni del
paziente, ma probabilmente si possono formulare alcuni assunti di base sul processo
d’intervento e il suo esito terapeutico. Certamente il problema si pone perché molti arte
terapeuti provano disagio a ‘non fare niente’ mentre il paziente crea. Alcuni sentono
l’urgenza di riempire il silenzio. Se possiamo interpretare questa reazione come una
risposta di tipo transferale, è comunque opportuno affrontare una serie di domande
attinenti al problema. Quale vicinanza e quale distanza stabilire, quanto sovente
intervenire, in che modo comprendere e promuovere il funzionamento autonomo, come
‘stare insieme’ nel silenzio, quanta verbalizzazione è ottimale. Poiché il nostro può essere
un ruolo che ci sconcerta ma al tempo stesso ci richiede molto, suggerirei di esaminare
meglio la questione.
Forse se prendiamo le mosse dalla nozione di cosa realmente significhi ‘non fare niente’
possiamo individuare alcuni degli aspetti problematici sopra ricordati ed esaminare dove
ci conducono. Ho la sensazione che il dilemma terapeutico sia ravvisabile nel conflitto tra
l’obiettivo di promuovere il funzionamento autonomo mediante l’atto creativo e il concetto
di arte terapia fondata sullo scambio, sia esso verbale o di altro genere. Più
semplicemente, se il terapeuta sostiene il funzionamento autonomo, intervenendo soltanto
in risposta alle indicazioni da parte del paziente che suggeriscono una necessità di aiuto,
sul piano tecnico o su quello psicologico, durante la creazione delle immagini, per cui si
trascorre molto tempo in silenzio, il potenziale terapeutico della seduta soffre di una
mancanza di interazione reale? Dal mio punto di vista separare questi due fili crea un
dilemma artificiale, poiché nella realtà essi sono complementari e interrelati all’interno
dello stesso processo.
Se vogliamo rafforzare la struttura dell’Io, far sì che il paziente stabilisca dei confini dell’Io
più solidi e conquisti un senso di funzionamento autonomo, egli deve sentire di aver fatto
un uso di sé e delle sue capacità personali al meglio delle proprie possibilità, per giungere
a padroneggiare i materiali artistici e produrre un’immagine che veramente riflette il suo
stato interiore. Avere la sensazione che: “Questo l’ho fatto io”, “Questo proviene da me”,
“Questa immagine incarna il modo in cui mi sento”, può essere un passo importante per
forgiare il senso del Sé. Ritraendosi e assumendo una posizione “in seconda fila”, il
terapeuta lascia al paziente il ruolo da protagonista, analogamente alla madre che si ritira
con grande delicatezza, rilasciando quasi casualmente la presa, eppure in attenta sintonia
con i movimenti di ogni muscolo del figlio quando le gambe del bambino lo sostengono
saldamente nella posizione eretta per la prima volta. Nella gloria di quel momento a lungo
atteso, il bambino diventa consapevole di dove incominci e finisca il suo corpo e dove
l’aria del resto del mondo lo tocchi. Sua madre non è né troppo lontana, da suscitargli il
timore di cadere e non essere preso, né troppo vicina da impedire la motilità fisica del
bambino nell’atto di equilibrare il proprio peso.
Seppur riconosciamo che paziente e bambino non sono equivalenti e che i terapeuti sono
altro dalle madri, sappiamo che il nutrimento promuove la crescita, e terapeuti e genitori
desiderano fornire il tipo di nutrimento che apporta il massimo beneficio. In senso lato,
poiché in terapia accade a livello simbolico, il nutrimento deve essere bilanciato da vincoli
dettati da ragioni terapeutiche troppo numerose per esser qui esaminate. Occorre tuttavia
riconoscere una duplice forma di nutrimento nell’arte terapia, laddove i materiali artistici
esistono sia simbolicamente sia nella loro realtà fisica. Molti pazienti, quando prendono i
materiali artistici, spesso hanno la sensazione di vivere un’esperienza di nutrimento.
Dobbiamo perciò riconoscere che utilizzare i materiali artistici nel contesto della seduta di
arte terapia costituisce già un’esperienza terapeuticamente interattiva, poiché essi sono
anche simbolicamente rappresentativi dell’arte terapeuta e del processo terapeutico. L’arte
terapeuta non deve interagire continuamente, e neppure sovente, perché la sua presenza
venga profondamente percepita dal paziente. Quando l’interazione verbale e non (in
questo secondo caso includo qualsiasi interazione con i materiali in senso tecnico, oppure
un’interazione in cui l’arte terapeuta s’impegna in prima persona) si realizza sulla base
della sintonia terapeutica, mediante un’attenta individuazione dei bisogni del paziente,
essa troverà una più vera risonanza poiché verrà introdotta nel momento opportuno.
Il lucido commento di Fred Pine, fondato sul precetto di Freud in merito alla necessità di
applicare "un’attenzione uniformemente sospesa” per dipanare i fili e i temi clinici
importanti, fornisce i fondamenti per tradurre il sapere teorico nella pratica. Pine dice: “Non
‘applico’ nulla. Ascolto con un’attenzione uniformemente sospesa finché non sento di aver
capito qualche cosa che abbia senso dire in quella particolare seduta” (1990, p.51). Inutile
aggiungere che, sebbene egli suggerisca di fare un uso libero e creativo di se stesso, pur
sempre in un regime di massima restrizione, il suo commento acquista significato perché
si tratta di un eminente teorico, con un sapere così bene integrato nel pensiero che la
comprensione del processo è frutto della disciplina e non si situa fuori di essa. Se
facciamo nostra la premessa per cui "l’attenzione uniformemente sospesa” di Freud ha
un’applicabilità importante in arte terapia, possiamo incominciare a esaminare il ruolo che
rivestiamo durante il processo creativo, assumendo una posizione affine alla recettività
passiva. Sebbene possa sembrare che l’arte terapeuta sia semplicemente presente, a
disposizione e in uno stato ricettivo, mentre si dispiega il processo arte terapeutico, la
quantità degli interventi da parte sua viene modulata in base ai bisogni del paziente e varia
moltissimo da caso a caso.
Tollerare il silenzio può risultare difficile per alcuni arte terapeuti che potrebbero essere
tentati di interromperlo, quasi a riaffermare la loro presenza. Un silenzio eccessivo viene
vissuto da parte di molti di noi come elemento ansiogeno. Per numerose ragioni
controtransferali, dal timore di essere superflui alla preoccupazione di non essere
sufficientemente bravi come terapeuti, troppo spesso queste ansie vengono agite, invece
di essere elaborate in termini controtransferali o portate in supervisione. Alcuni terapeuti
considerano eccessivamente alla lettera il concetto di terapia come scambio e hanno
bisogno di tradurlo in termini concreti, senza riuscire a riconoscere che esso avviene a
livello simbolico e fantasmatico. Ovviamente un atteggiamento terapeutico insensibile o
non sufficientemente comprensivo, nel quale il paziente si sente psichicamente
abbandonato dal terapeuta che non mostra alcuna comprensione empatica, è tutt’altra
faccenda.
Alcuni problemi specifici di transfert e controtransfert
E’ innegabile che nel lavoro individuale si abbia probabilmente un maggior coinvolgimento
da parte del paziente e dell’arte terapeuta. Probabilmente il paziente trattato in sedute
individuali sviluppa una relazione transferale in tempi più rapidi e in maniera più intensa.
Questo investimento personale e professionale maggiore viene percepito da molti arte
terapeuti, ma spesso non viene analizzato. Ho fatto prima accenno a un elemento
ansiogeno per l’arte terapeuta, in particolare se è agli esordi della professione, che sorge
in risposta al funzionamento più o meno autonomo del paziente durante il processo
creativo. Alcuni provano un’ansia più intensa, poiché sentono una responsabilità
maggiore, trovandosi in una posizione dove possono influenzare il risultato terapeutico in
senso positivo o negativo. Talvolta, quando il paziente interrompe il suo lavoro, l’arte
terapeuta ha la sensazione che gli venga richiesto qualcosa, forse di dare di più. Invece di
servirsi di questi sentimenti per astenersi dall’agire e riflettere per poter elaborare un
insight migliore su ciò che sta accadendo con il paziente, l’arte terapeuta sente l’urgenza
di intervenire. Da un punto di vista controtransferale si tratta di un problema da tenere
continuamente sotto controllo.
La verbalizzazione
Il “fare” che la creatività comporta richiede un impegno di tipo attivo e addirittura ludico.
Anche nei casi in cui la verbalizzazione è minima, il paziente ha bisogno di sentire che il
suo sforzo creativo viene riconosciuto e visto. Se spesso si ritiene che il processo
creativo/terapeutico poggi su processi essenzialmente non verbali e certamente durante
l’atto di creazione il paziente deve potersi concentrare senza l’intrusione di eccessivi
stimoli verbali, le parole scelte e utilizzate hanno sempre una risonanza rilevante.
Altrettanto importante si rivela la riflessione sulle parole non pronunciate e sulle ragioni
che ci portano a moderare possibili interventi. Quando l’arte terapeuta compie troppi
interventi verbali il centro dell’attenzione terapeutica diventa rarefatto e il paziente ne può
integrare soltanto in piccola parte. Se ricordiamo il commento di Pine sull’intervento
terapeutico e ci concentriamo unicamente su ciò che ci sembra essenziale, le nostre
parole fungeranno da vero e proprio contenitore terapeutico, come è nostra intenzione.
La verbalizzazione costituisce una modalità importantissima per affermare e convalidare
l’esperienza, che si tratti del processo creativo o dell’insight. La relazione, nell’arte terapia
individuale, si sposta inevitabilmente su una modalità in qualche modo non verbale e ciò
comporta una formazione più solida da parte del terapeuta. Anche se egli si astiene dal
tentativo di compiere il lavoro dello psicoterapeuta, è indispensabile una supervisione del
lavoro individuale condotta da un arte terapeuta con una buona esperienza, almeno per
sapere dove e in che modo inserire dei freni terapeutici. L’arte terapeuta deve imparare
quali sono gli interventi verbali che più gioveranno al paziente al fine di agevolare il suo
processo creativo/terapeutico.
Nell’arte terapia individuale si può riscontrare un forte tendenza a compiere un lavoro
interpretativo, poiché alcuni arte terapeuti sperano che, offrendo un insight al paziente, il
trattamento della patologia subirà una svolta verso il miglioramento. Poiché le immagini
sono fortemente evocative della vita affettiva e ricche di significati personali e il paziente
normalmente nutre una grande fiducia nel terapeuta, che gli comunica un atteggiamento
accogliente ed empatico desiderando genuinamente di aiutarlo, spesso può verificarsi un
abuso non intenzionale nell’abitudine interpretativa. Se tale tendenza non viene controllata
può essere psicologicamente pericolosa per il paziente. Nel caso di un paziente
disponibile, facilitare il suo processo di autocomprensione o la valutazione delle sue
circostanze esistenziali mediante la metafora del processo artistico creativo può essere
utile, ma soltanto se un insight del genere deriva dal paziente stesso. L’arte terapeuta
deve continuamente e delicatamente “tastare il terreno” di questo stato di disponibilità,
prima di avventurarsi oltre. L’importanza della cautela non si sottolinea mai abbastanza.
Penetrare l’inconscio per mezzo dell’interpretazione è intrusivo, poiché vengono aggirate
le difese dell’Io del paziente. Interpretazioni mal indirizzate e premature hanno un effetto
destabilizzante e possono generare un’ulteriore regressione in una struttura psichica già
fragile o vulnerabile. Non vogliamo escludere qualsiasi tipo di interpretazione, ma neanche
aggirare l’Io e le sue difese. Ancora una volta è inestimabile il valore della supervisione in
questo ambito.
Consideriamo ora l’acuto commento di Diana Siskind in merito alla psicoterapia individuale
con i bambini, poiché la sua chiarezza offre agli arte terapeuti un’ampia possibilità
applicativa. Così scrive: “La moderazione terapeutica è uno degli aspetti cruciali di un
tempismo avveduto. E’ importante riconoscere alcuni dei temi inconsci, poiché tale
riconoscimento ci offre un’immagine vivace delle forze con le quali (il paziente) combatte a
molti livelli, e questo tipo di esplorazione da parte nostra arricchisce il nostro lavoro. Ma
dobbiamo in parte tacere questo insight, rischiando altrimenti di introdurre
prematuramente del materiale che ingenera ansia nei nostri pazienti o li induce a credere
che abbiamo delle idee molto bizzarre.” (1992, p. 206).
Conclusioni
In questo capitolo ho offerto una visione d’insieme dell’arte terapia condotta in sedute
individuali da una prospettiva evolutiva delle relazioni d’oggetto. Riferendomi al lavoro
clinico ho tentato di individuare alcuni dei requisiti indispensabili e i punti teorici intrinseci
alla relazione terapeutica necessari per agevolare il processo arteterapeutico. Ho
delineato il ruolo dell’arte terapeuta in relazione con gli altri membri dell’équipe e illustrato
le indicazioni a favore dell’introduzione dell’arte terapia individuale e quelle contro tale
modalità. Era mia intenzione fornire una prospettiva fondamentale di questo lavoro
ponendo l’accento su alcune condizioni che trasformano l’atelier in uno spazio terapeutico,
in particolare i concetti di tempo, di spazio, dei materiali artistici e il concetto di ambiente di
holding. Inoltre l’alleanza terapeutica o alleanza di lavoro dà un senso prospettico al ruolo
terapeutico e alla collocazione del transfert. Ho accennato alle questioni di transfert e
controtransfert mettendo anche in luce le differenze che sorgono nel lavoro individuale
rispetto a quello di gruppo. Infine ho esplorato l’ambito degli interventi, verbali e non,
dell’arte terapeuta partendo dalla prospettiva dello sviluppo dell’Io.
In uno spazio contenuto ho cercato di offrire una visione comprensiva, per quanto
possibile, dell’argomento, includendovi un po’ di teoria e presentando alcune delle sfide
che continuamente ci troviamo ad affrontare nel nostro lavoro. Rivolgendomi sia agli arte
terapeuti esordienti sia ai colleghi con maggiore esperienza ho tentato di compiere una
selezione delle questioni che hanno finora presentato delle ambiguità. Tuttavia, continuare
a esaminare le diverse problematiche e cercare di darne spiegazione contribuirà a capire
sempre meglio il tipo di lavoro individuale tanto necessario nel campo della salute
mentale.