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I rischi del Lingotto di LUCIANO GALLINO (prima parte)
Da qualche tempo le mosse di Fiat Auto stanno diventando frenetiche. A fine aprile è
arrivato il piano per trasferire a Pomigliano una quota della produzione della Panda che
ora si fa in Polonia. Una settimana fa, l'annuncio che un modello di notevole peso
industriale e commerciale sarebbe stato costruito in Serbia e non a Mirafiori. Poco dopo si
è saputo che è già stata costituita una nuova società per gestire lo stabilimento campano,
nonché per assumere con un nuovo contratto i lavoratori che accetteranno in toto di
lavorare secondo i drastici standard indicati nel piano di aprile. Infine ieri l'Ad di Fiat ha
avanzato come affatto realistica l'ipotesi di uscire dal contratto nazionale dei
metalmeccanici, ed ha ribadito che ciò che vuole sono comportamenti dei lavoratori che
non mettano mai, in nessun modo, a rischio la produzione e l'azienda.
In altre parole, niente scioperi, niente vertenze sindacali, assenteismo meglio se vicino a
zero, massima disciplina in fabbrica. A queste condizioni Fiat auto potrebbe anche restare
in Italia.
letture di fabbrica
La chiave a stella
La chiave a stella, Einaudi, Supercoralli Nuova serie, 1978
Tino Faussone, torinese, fa di mestiere il montatore: «È sui trentacinque anni, alto, secco, quasi
calvo, abbronzato, sempre ben rasato. Ha una faccia seria, poco mobile e poco espressiva. Non è un
gran raccontatore: è anzi piuttosto monotono, e tende alla diminuzione e all’ellissi come se temesse
di apparire esagerato, ma spesso si lascia trascinare, ed allora esagera senza rendersene conto».
Siamo in Russia, in un innominato stabilimento (è la Fiat di Togliattigrad) dove Levi, personaggio
scrivente e ascoltante, si trova in missione di lavoro, incontrando ogni sera Faussone alla mensa e
assorbendo con avidità le sue storie, con avidità e con lo scopo dichiarato di farne un libro. La
chiave a stella nasce così, sotto i nostri occhi, come il libro dell’ascolto, del filtro auditivo e
stilistico attraverso il quale passa e prende forma compiuta la voce dell’esperienza vissuta, della
passione e della curiosità per le vite degli altri, per l’altrui passato e per l’altrui mestiere, per i
costumi, le bizzarrie, le lotte e le sconfitte altrui. Non per nulla il titolo di questo libro rimanda
all’utensile indispensabile di ogni montatore, inseparabile prolungamento della mano, e nello stesso
tempo allude alla stella a sei punte che simboleggia l’identità ebraica di Primo Levi: una chiave per
leggere e interpretare il mondo, un utensile della mente.
La chiave a stella uscì da Einaudi nell’autunno 1978, collana «Supercoralli Nuova serie». L’anno
successivo vinse due premi, il Bergamo e lo Strega. La presentazione del libro è affidata al testo
della quarta di copertina, anonimo ma scritto da Italo Calvino.
«Un gran numero d'italiani in questi anni passa periodi più o meno lunghi in paesi lontani ed esotici
per lavori tecnici condotti da nostre imprese. Un tipo d'esperienza nuovo che entra nella nostra
narrativa.
La chiave a stella racconta le avventure d'un montatore di gru, strutture metalliche, ponti sospesi,
impianti petroliferi: un tecnico di grande perizia, tanto da essere chiamato a realizzare progetti
difficilissimi in tutti i continenti, un operaio superspecializzato che passa !a sua vita tra contratti e
trasferte internazionali come un grande direttore d'orchestra e II cui lavoro si svolge tra fiumi
indiani in piena, ghiacci dell'Alaska, foreste africane, tundre russe. Personaggio che solo Primo Levi
poteva rappresentare fino in fondo nei suoi due aspetti principali: quello dell'appassionata
competenza professionale per cui ogni avventura è anche la storia d'una "performance" tecnica, una
battaglia (vinta o persa) con i materiali e con le condizioni d'ambiente; e quello della vita picaresca
del giramondo, del piglio divertito e ironico nell'affrontare ogni avventura cosmopolita già
pregustando il piacere di raccontarla ai compaesani, di trasformarla in dialetto e in gergo.
Perché è sempre la sua voce che sentiamo in queste pagine; la voce del montatore Faussone, un
piemontese il cui dialetto è fiorito da un repertorio inesauribile d'Invenzioni gergali, di metafore
professionali, che Primo Levi registra e trascrive italianizzandole quei tanto che basta. Una doppia
passione per il lavoro esatto e il linguaggio colorito anima il libro: per cui la tecnologia più ardita e
la disinvoltura a muoversi nel mondo ci arrivano attraverso la voce scanzonata e riduttiva di questo
personaggio dalle radici locali ben tenaci, che non si tira mai indietro di fronte al nuovo e
all'insolito ma filtra ogni esperienza al lume del suo buon senso popolare e tradizionale (dietro di lui
c'è una Torino vecchiotta e cerimoniosa di cui Levi ci dà uno scorcio con la visita alle zie; ma anche
una dinastia d'operai-artigiani scesi dalla campagna in città seguendo le ondate della nostra
rivoluzione Industriale). Eppure questo Faussone chiacchierone e ingegnoso è pure un uomo che
persegue un ideale con un rigore ossessivo, uno stilista d'una morale netta e metallica, un abitante
dell'aria, su per i tralicci che va facendo crescere e controllando con la sua "chiave a stella"; sempre
pronto a godere i piaceri del mondo di quaggiù ma solo dopo essersi assicurato che i cavi reggano la
tensione dei carichi.
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