FORUM 497 (3 novembre 2016) http://www.koinonia-online.it Convento S.Domenico – Piazza S.Domenico, 1 – Pistoia Tel. 0573/307769 I – “RIFORMA DELLA COSTITUZIONE” O NEGAZIONISMO COSTITUZIONALE? 1 – Una analisi di Luigi Ferrajoli La riforma Renzi: un’aggressione alle garanzie costituzionali La tesi ripetuta con più insistenza dai sostenitori del SI al referendum costituzionale è che la riforma non tocca la prima parte della Costituzione, cioè i diritti fondamentali e le garanzie, ma solo la seconda parte, dedicata all’ordinamento della Repubblica. Formalmente, questo è vero. Nella sostanza, purtroppo, è vero il contrario. Da questa riforma risultano indebolite tutte le garanzie costituzionali. Al punto che è legittimo il sospetto che proprio questo sia il suo principale obiettivo. Grazie all’azione congiunta della riforma del Parlamento e della legge elettorale maggioritaria verrà infatti sostanzialmente soppresso quello che è il tratto distintivo delle costituzioni antifasciste del secondo dopoguerra: il loro ruolo di limitazione del potere politico e la stessa garanzia della rigidità costituzionale, cioè l’impossibilità di modificare la Costituzione se non con larghissime maggioranze. Domani, se questa riforma passerà, chi vincerà le elezioni entrerà in possesso, di fatto, dell’intero assetto costituzionale. Ma le elezioni saranno vinte dalla maggiore minoranza: verosimilmente, da un partito o da una coalizione votati dal 25 o dal 30% dei votanti, corrispondenti, tenuto conto delle astensioni, al 15 o al 20% degli elettori. Grazie alla legge elettorale maggioritaria, questa infima minoranza otterrà la maggioranza assoluta dei seggi, con la quale potrà fare ciò che vuole, incluse le manomissioni della Carta costituzionale. Questo, del resto, è esattamente ciò che ha fatto la maggiore minoranza presente in questo Parlamento, approvando la sua riforma con la maggioranza fittizia conferitagli dal Porcellum dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e sostanzialmente riprodotto dal cosiddetto Italicum. Non solo. L’artificiosa maggioranza assoluta assegnata automaticamente e rigidamente alla maggiore minoranza consentirà al vincitore delle elezioni di eleggere da solo, a sua immagine e somiglianza, tutte le istituzioni di garanzia: il Presidente della Repubblica, i membri di nomina parlamentare della Corte costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e delle altre autorità cosiddette “indipendenti”. L’intero sistema politico ne risulterà squilibrato per il venir meno di tutti gli checks and balances, cioè dell’intero sistema dei freni e contrappesi. Le istituzioni di garanzia non saranno più tali, cioè in grado di limitare e controllare i poteri di governo, ma saranno ridotte a espressioni della maggioranza e del suo governo e, di fatto, con questo solidali. Ma l’aggressione ai diritti fondamentali, e in particolare ai diritti sociali – alla salute, all’istruzione, alla previdenza, alla sussistenza – potrà avvenire, come l’esperienza insegna ma come avverrà assai più agevolmente con questa nuova costituzione, anche senza alterare la prima parte del testo costituzionale. E’ infatti la “governabilità”, ripetono i sostenitori del SI, la grande conquista realizzata da questa riforma. Riservando la fiducia al governo alla sola Camera, nella quale la maggiore minoranza avrà automaticamente la maggioranza assoluta dei seggi, la sera delle elezioni sapremo non solo chi ha vinto, come ripetono i sostenitori della riforma, ma anche chi sarà il capo che ci governerà per cinque anni, senza limiti, né controlli né compromessi parlamentari. Matteo Renzi ripete che non c’è nessuna norma nella riforma che aumenti i poteri del presidente del Consiglio. Di una simile norma, infatti, non c’è affatto bisogno, essendo l’aumento e la concentrazione dei poteri nel governo e nel suo capo l’ovvio risultato dell’esautorazione del Parlamento, della neutralizzazione delle istituzioni di garanzia e dell’indebolimento delle autonomie regionali. Grazie a questo squilibrio nei rapporti tra i poteri, la nostra democrazia parlamentare si trasformerà in un sistema autocratico, verticalizzato e personalizzato, ben più di quanto accada in qualunque sistema presidenziale, per esempio gli Stati Uniti, dove è comunque garantita, oltre alla separazione tra Stati federati e governo federale, la totale indipendenza del Congresso dal Presidente e perciò la separazione del potere legislativo in capo al primo dal potere esecutivo in capo al secondo. Domandiamoci allora, cosa vuol dire questa decantata governabilità? Può voler dire capacità di governo. In questo senso, certamente, la massima governabilità si è avuta nei primi 35 anni della Repubblica: allorquando – grazie a questa Costituzione, al sistema elettorale proporzionale, alla centralità e rappresentatività del Parlamento e, insieme, alla più forte opposizione e al conflitto di classe più aspro di tutto l’occidente capitalistico – è stata costruita la democrazia e lo Stato sociale e l’Italia, che era tra i paesi più poveri dell’Europa, è diventata la quinta o sesta potenza economica mondiale. Ma “governabilità”, nel lessico politico odierno, vuol dire soltanto potere di comando, senza limiti dal basso, grazie alla smobilitazione sociale dei partiti, e senza limiti e vincoli dall’alto, grazie al venir meno dei freni e contrappesi e la scomparsa della Costituzione dall’orizzonte della politica. E’ questa la governabilità inseguita da 30 anni – prima da Craxi, poi da Berlusconi e oggi da Renzi – attraverso la semplificazione e la verticalizzazione dell’assetto costituzionale intorno al governo e al suo capo: una governabilità necessaria alla rapida e fedele esecuzione dei dettami dei mercati. E’ questo, e non altro, il senso delle riforme istituzionali di Matteo Renzi. “Ce le chiede l’Europa”, ripetono i nuovi costituenti a proposito delle loro riforme. Ce le chiede l’ambasciatore degli Stati Uniti. Domandiamoci: perché? Perché mai i mercati, l’Unione Europea, gli Usa, le agenzie di rating, il gigante finanziario americano JP Morgan si preoccupano della riforma costituzionale italiana, delle nuove competenze del nostro Senato e della nostra legge elettorale? Sono gli stessi giornali e le stesse forze politiche schierate a sostegno del SI che confessano apertamente le finalità della riforma. L’Europa, e tramite l’Europa i mercati, ci chiedono di sostituire alla centralità del Parlamento la centralità del governo e del suo capo perché solo così può realizzarsi questa agognata governabilità, cioè l’onnipotenza della politica nei confronti dei cittadini e dei loro diritti, necessaria perchè si realizzi la sua impotenza nei confronti dei grandi poteri economici e finanziari. Solo se avrà mani libere nei tagli alle spese sociali, il governo potrà trasformarsi in un fedele esecutore dei dettami di quei nuovi sovrani invisibili, anonimi e irresponsabili nei quali si sono trasformati i cosiddetti “mercati”. Si capisce allora il nesso tra la lunga crisi della democrazia italiana nell’ultimo trentennio e l’aggressione alla Costituzione del 1948. All’aggravarsi di tutti gli aspetti della crisi – il discredito e lo sradicamento sociale dei partiti, la loro subalternità all’economia e alla finanza, l’opzione comune e sempre più esplicita per le controriforme in materia di lavoro e di stato sociale – ha fatto costantemente riscontro il progetto di indebolire il Parlamento e di rafforzare il governo tramite modifiche sempre più gravi delle leggi elettorali e della seconda parte della Costituzione repubblicana: dapprima, negli anni Ottanta, il progetto craxiano della “grande riforma”, poi i tentativi delle Commissioni Bozzi, De Mita-Jotti e D’Alema; poi l’aggressione ben più di fondo alla Costituzione da parte del governo Berlusconi con la riforma del 2005 bocciata dal referendum del giugno 2006 con il 61% dei voti; infine l’ultimo assalto da parte di questo governo. Di nuovo, come sempre, ciò che accomuna tutti questi tentativi, oltre all’argomento della “governabilità”, è l’intento del ceto di governo di far ricadere sulla nostra carta costituzionale la responsabilità della propria inettitudine. Del resto queste riforme costituzionalizzano ciò che di fatto in gran parte è già avvenuto. Già oggi, tra decreti-legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa, la schiacciante maggioranza delle leggi è di fonte governativa. Già oggi, grazie alle mani libere dei governi, si è prodotto un sostanziale processo decostituente in materia di lavoro e di diritti sociali, con l’abbattimento di quell’ultima garanzia della stabilità dei rapporti di lavoro che era l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, i tagli alla scuola e alla ricerca, il venir meno della gratuità della sanità pubblica e la monetizzazione di farmaci e visite che pesa soprattutto sui poveri, al punto che ben 11 milioni di persone nel 2015 hanno dovuto rinunciare alle cure. Ebbene, l’attuale riforma equivale alla legittimazione popolare e al perfezionamento istituzionale di questo tipo di governabilità, nonché del processo decostituente che ne è seguito, interamente a spese dei soggetti più deboli. Si parla sempre del Pil come della sola misura della crescita e del benessere; mentre si tace sulla crescita delle disuguaglianze e della povertà e sul fatto che, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono diminuite le aspettative di vita delle persone. Dall’esito del referendum dipenderà dunque il futuro della nostra democrazia: la conservazione sul piano normativo e la rivendicazione popolare della restaurazione di fatto del suo carattere parlamentare, oppure la legittimazione e lo sviluppo dell’attuale deriva anti-parlamentare; la riaffermazione della sovranità popolare, oppure la consegna del sistema politico alla sovranità anonima, invisibile e irresponsabile dei mercati; la legittimazione del governo dell’economia e della finanza, oppure la riaffermazione e il rilancio del progetto costituzionale; lo sviluppo degli attuali processi decostituenti, oppure il rafforzamento, contro future aggressioni, della procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 138, rivelatasi debolissima ed esposta a tutti gli strappi e a tutte le incursioni più avventurose nel nostro tessuto istituzionale. Luigi Ferrajoli 2 - Dall’enciclica “Pacem in terris” Segni dei tempi 45. Nell’organizzazione giuridica delle comunità politiche nell’epoca moderna, si riscontra anzitutto la carta dei diritti fondamentali degli esseri umani: carta che viene, non di rado, inserita nelle costituzioni o che forma parte integrante di esse. In secondo luogo si tende pure a fissare in termini giuridici, per mezzo della compilazione di un documento denominato costituzione, le vie attraverso le quali si formano i poteri pubblici; come pure i loro reciproci rapporti, le sfere di loro competenza, i modi o metodi secondo cui sono tenuti a procedere nel porre in essere i loro atti. Si stabiliscono, quindi, in termini di diritti e di doveri i rapporti tra i cittadini e i poteri pubblici; e si ascrive ai poteri pubblici il compito preminente di riconoscere, rispettare, comporre armonicamente, tutelare e promuovere i diritti e i doveri dei cittadini. Certo non può essere accettata come vera la posizione dottrinale di quanti erigono la volontà degli esseri umani, presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima ed unica donde scaturiscono diritti e doveri, donde promana tanto l’obbligatorietà delle costituzioni che l’autorità dei poteri pubblici 46. Però le tendenze, di cui si è fatto cenno, sono pure un segno indubbio che gli esseri umani, nell’epoca moderna, hanno acquistato una coscienza più viva della propria dignità: coscienza che, mentre li sospinge a prendere parte attiva alla vita pubblica, esige pure che i diritti della persona — diritti inalienabili e inviolabili — siano riaffermati negli ordinamenti giuridici positivi; ed esige inoltre che i poteri pubblici siano formati con procedimenti stabiliti da norme costituzionali, ed esercitino le loro specifiche funzioni nell’ambito di quadri giuridici. 3 – Invito di A.B.Simoni a meditare il testo della Pacem in terris SEGNO DEI TEMPI O SEGNO DI CONTRADDIZIONE? Nella primavera del 2006, in vista del referendum di giugno sulla nuova Costituzione proposta dal governo di centrodestra di Silvio Berlusconi, numerose riviste cattoliche e cristiane pubblicarono un appello per il NO al cambiamento costituzionale, affermando che quando “sono in gioco e per un lungo tempo futuro i fondamenti stessi e i valori supremi della convivenza civile, non c’è ragione per cui dei cristiani non debbano assumere a viso aperto le difese della Costituzione, impegnandovi tutta la loro responsabilità”. Si faceva seguire l’invito a “una forte mobilitazione dei cristiani” contro la riforma. Molti degli argomenti avanzati allora contro la nuova Costituzione sottoposta a referendum, sono gli stessi che vengono avanzati oggi contro la riforma-fotocopia - a detta degli esperti - voluta dal Presidente della Repubblica e dal governo, e quindi verticistica. Vi si riaffermava la necessaria unità tra prima e seconda parte della Costituzione, essendo questa attuazione strumento e garanzia della prima. Di conseguenza si denunciavano i rischi di un Parlamento ridotto a cassa di risonanza del governo, con la rappresentanza popolare smembrata in una maggioranza dotata di tutti i poteri e una minoranza senza diritti, con gli istituti di garanzia snaturati e mortificati, con l’introduzione della figura sovrana e incondizionata del capo del governo, vero padrone “determinante” della politica nazionale e del Paese intero. Salvo qualche accorgimento tattico (si sente ripetere che la riforma non parla del presidente del Consiglio!) questi rilievi sono validi anche ora; così come si può ritenere che anche oggi la riforma nasce e viene sostenuta non per fini “costituzionali”, ma per uno specifico interesse politico di consenso e di consacrazione del capo del governo, che non si risparmia per far prevalere la sua fazione, disattendendo completamente il suo compito di “governare” un intero popolo e indifferente al rischio di spaccare il Paese pur di vincere. In effetti, come ha dichiarato e fatto capire, per lui la politica è “vincere”! Nell’appello del 2006 leggiamo: “Se la Costituzione è di tutti, i cristiani hanno delle particolari ragioni per rivendicarne i contenuti e difenderla. Non solo perché vi concorsero nel sacrificio che la precedette e nella elaborazione che ne fissò i principi e le norme nell’Assemblea Costituente, ma perché il patrimonio che vi è rappresentato evoca i più alti valori della vita cristiana: dal fondamento del lavoro su cui è stabilita la Repubblica alla centralità della parola che si esprime nel Parlamento, dal primato della pace alla conversione dei poteri in ‘funzioni’ e servizi per il bene comune, dalla pacificazione con la Chiesa cattolica alla laicità e alla libertà religiosa. Nell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII la Costituzione, come carta dei diritti e regola dei rapporti tra cittadini e poteri pubblici fu celebrata come un ‘segno dei tempi’, cioè come una delle conquiste storiche in cui costruzione umana e ordine voluto da Dio si parlano e si incontrano”. E vi si legge inoltre: “La difesa della Costituzione vigente non vuol dire peraltro che singole sue disposizioni o istituti non possano essere modificati se necessario; ma in ogni caso deve essere salvaguardato il costituzionalismo interno e internazionale nelle sue acquisizioni irrinunciabili”. Detto questo, certamente non ci sono motivi di fede o ragioni teologiche per opporsi alla riforma e decidere per il “No”, ma restano valide tutte le valutazioni storiche e politiche che fanno pensare ad un tradimento dello stesso costituzionalismo e alla negazione di fatto di una Costituzione: nel nostro caso, basti considerare le modalità discutibili del varo parlamentare della riforma e le motivazioni addotte per giustificarla, quelle che poi appaiono propagandisticamente nello stesso quesito referendario (risparmio di tempo e di soldi, durata dei governi), come se queste avessero a che fare con un ordinamento costituzionale: perché non si può modificare gran parte della normativa istituzionale per rispondere ad altri principi e ad altre istanze che non siano quelli posti a fondamento della convivenza ordinata e pacifica di un popolo, anzi forse contraddicendoli. La responsabilità e l’impegno a voler salvare la Costituzione - che si fa passare maliziosamente come un guardare al passato o come voler lasciare le cose come stanno! - è prima di tutto quello di salvaguardare la Costituzione in quanto tale nella sua natura e nelle sue finalità, senza impedire che nel loro rispetto si possa modificare il suo assetto e funzionamento istituzionale, che però non può diventare il valore primario di riferimento: vedi governabilità, risparmio, semplificazione ecc. peraltro tutto da verificare. D’altra parte, proprio per questo siamo messi tutti sotto ricatto, proprio quando si vorrebbero salvaguardare i principi della pace sociale e non solo una parvenza di trionfo popolare con una vittoria di Pirro. Ecco perché è utile una meditazione sulla base dei nn.45 e 46 della Pacem in terris. Prima di un sì o un no al referendum del 4 dicembre dovremmo ritrovarci in un sì convinto a queste parole e rispecchiarvisi: quando si dice che al centro dell’organizzazione giuridica delle comunità politiche c’è la carta dei diritti fondamentali degli esseri umani che deve innervare qualunque carta costituzionale dei popoli, in cui peraltro devono trovarsi le vie attraverso le quali si formano i poteri pubblici che hanno “il compito preminente di riconoscere, rispettare, comporre armonicamente, tutelare e promuovere i diritti e i doveri dei cittadini”. Si esclude che “la volontà degli esseri umani, presi individualmente o comunque raggruppati, a fonte prima ed unica donde scaturiscono diritti e doveri, donde promana tanto l’obbligatorietà delle costituzioni che l’autorità dei poteri pubblici”. È quando si vogliono costituzionalizzare situazioni politiche di fatto e rapporti di forza esistenti in nome della pura e semplice durata ed efficienza governativa, dove appunto il potere esecutivo diventa tutto. È da vedere se l’acquisita coscienza più viva della propria dignità spinge le persone a prendere parte attiva alla vita pubblica o le sospinge all’individualismo e alla indifferenza grazie anche a chi si afferma e vince in politica gettando discredito sul “politico”, si tratti di rottamazione, di vecchia repubblica come pure di onestà al potere. In ultima analisi c’è da dire se i poteri pubblici sono formati con procedimenti stabiliti da norme costituzionali, ed esercitano le loro specifiche funzioni nell’ambito di quadri giuridici, o al contrario cercano di manomettere la Costituzione per asservirla alla sicurezza e stabilità dei vertici più che alla tenuta della base. Stando così le cose, una scelta per il sì o per il no a questo punto dipende solo dalla valutazione che si dà della riforma costituzionale in rapporto a principi e valori di costituzionalità o meno, che potrebbero farla scadere a riforma governativa di maggioranza o semplicemente politica sia pure in vesti di Costituzione repubblicana. La domanda banale potrebbe essere questa: se la riforma così come viene presentata ad un referendum non sia quanto di più contrario al senso della Costituzione stessa! Di quali tempi sarebbe ancora segno? (ABS) 3 - Una lettera di Stefano Toppi (Roma) Caro Alberto, ho trovato interessante la ripubblicazione dell'appello delle riviste cristiane del 2006 che prendeva posizione per una mobilitazione dei cristiani per il "No" nel referendum di approvazione dell'allora riforma costituzionale, voluta dal governo Berlusconi. E' sicuramente utile ad un momento di riflessione oggi, quando il fronte dei cattolici democratici è sicuramente diviso difronte al quesito referendario sulla riforma costituzionale realizzata sotto la spinta del governo di più o meno larghe intese attualmente in carica. E' evidente che quel fronte di cristiani, cattolici e protestanti, democratici che Berlusconi aveva unito in una determinazione contraria, la personalità e l'opera di Renzi ha diviso. Così evidentemente avviene anche all'interno della nostra piccola comunità di base di san Paolo a Roma, dove ci sono persone che hanno firmato l'appello dei cattolici per il No, altre che hanno firmato quello contrario alla proposizione di un tale appello, invocando la laicità delle scelte e, naturalmente, la libertà per ciascuno e ciascuna di esprimersi a favore di una opzione o dell'altra. Devo dire però che i più, nella nostra comunità, non hanno aderito né al primo appello, né al secondo e il 4 dicembre decideranno in coscienza come votare. Detto questo mi corre l'obbligo di precisare che la rivista Confronti non è, come riportato in calce all'appello del 2006 da voi pubblicato, un "mensile di dialogo interreligioso promosso dalla comunità san Paolo, Roma". Troppo onore! Confronti è una rivista che nacque dalla storica collaborazione ecumenica tra i cattolici critici dell'antico settimanale COM ed i valdo-metodisti del settimanale Nuovi Tempi. Ad oggi il direttore è Metodista, il capo redattore è Musulmano, il presidente della cooperativa editrice è Valdese e solo quattro redattori su quindici appartengono alla CdB di san Paolo. Grazie per l'attenzione e un carissimo saluto, Stefano Toppi (della Cdb di san Paolo di Roma) II – NEL V CENTENARIO DELLA RIFORMA PROTESTANTE Dichiarazione congiunta cattolico-luterana di Lund Riportiamo il testo integrale della dichiarazione congiunta firmata dal vescovo Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale (FLM) e da papa Francesco, al termine della Preghiera ecumenica comune, svoltasi nella cattedrale luterana di Lund (Svezia) il 31 ottobre 2016, in occasione dell’inizio delle celebrazioni per il Cinquecentenario della Riforma protestante. “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (Giovanni 15,4). Con cuore riconoscente Con questa Dichiarazione Congiunta, esprimiamo gioiosa gratitudine a Dio per questo momento di preghiera comune nella Cattedrale di Lund, con cui iniziamo l’anno commemorativo del cinquecentesimo anniversario della Riforma. Cinquant’anni di costante e fruttuoso dialogo ecumenico tra cattolici e luterani ci hanno aiutato a superare molte differenze e hanno approfondito la comprensione e la fiducia tra di noi. Al tempo stesso, ci siamo riavvicinati gli uni agli altri tramite il comune servizio al prossimo, spesso in situazioni di sofferenza e di persecuzione. Attraverso il dialogo e la testimonianza condivisa non siamo più estranei. Anzi, abbiamo imparato che ciò che ci unisce è più grande di ciò che ci divide. Dal conflitto alla comunione Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici. La nostra comune fede in Gesù Cristo e il nostro battesimo esigono da noi una conversione quotidiana, grazie alla quale ripudiamo i dissensi e i conflitti storici che ostacolano il ministero della riconciliazione. Mentre il passato non può essere cambiato, la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati. Preghiamo per la guarigione delle nostre ferite e delle memorie che oscurano la nostra visione gli uni degli altri. Rifiutiamo categoricamente ogni odio e ogni violenza, passati e presenti, specialmente quelli attuati in nome della religione. Oggi ascoltiamo il comando di Dio di mettere da parte ogni conflitto. Riconosciamo che siamo liberati per grazia per camminare verso la comunione a cui Dio continuamente ci chiama. Il nostro impegno per una testimonianza comune Mentre superiamo quegli episodi della storia che pesano su di noi, ci impegniamo a testimoniare insieme la grazia misericordiosa di Dio, rivelata in Cristo crocifisso e risorto. Consapevoli che il modo di relazionarci tra di noi incide sulla nostra testimonianza del Vangelo, ci impegniamo a crescere ulteriormente nella comunione radicata nel battesimo, cercando di rimuovere i rimanenti ostacoli che ci impediscono di raggiungere la piena unità. Cristo desidera che siamo uno, così che il mondo possa credere (cfr Giovanni 17,21). Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Riconosciamo la nostra comune responsabilità pastorale di rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico. Preghiamo Dio che cattolici e luterani sappiano testimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo, invitando l’umanità ad ascoltare e accogliere la buona notizia dell’azione redentrice di Dio. Chiediamo a Dio ispirazione, incoraggiamento e forza affinché possiamo andare avanti insieme nel servizio, difendendo la dignità e i diritti umani, specialmente dei poveri, lavorando per la giustizia e rigettando ogni forma di violenza. Dio ci chiama ad essere vicini a coloro che aspirano alla dignità, alla giustizia, alla pace e alla riconciliazione. Oggi, in particolare, noi alziamo le nostre voci per la fine della violenza e dell’estremismo che colpiscono tanti Paesi e comunità, e innumerevoli sorelle e fratelli in Cristo. Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere chi è straniero, per venire in aiuto di quanti sono costretti a fuggire a causa della guerra e della persecuzione, e a difendere i diritti dei rifugiati e di quanti cercano asilo. Oggi più che mai ci rendiamo conto che il nostro comune servizio nel mondo deve estendersi a tutto il creato, che soffre lo sfruttamento e gli effetti di un’insaziabile avidità. Riconosciamo il diritto delle future generazioni di godere il mondo, opera di Dio, in tutta la sua potenzialità e bellezza. Preghiamo per un cambiamento dei cuori e delle menti che porti ad una amorevole e responsabile cura del creato. Uno in Cristo In questa occasione propizia esprimiamo la nostra gratitudine ai fratelli e alle sorelle delle varie Comunioni e Associazioni cristiane mondiali che sono presenti e si uniscono a noi in preghiera. Nel rinnovare il nostro impegno a progredire dal conflitto alla comunione, lo facciamo come membri dell’unico Corpo di Cristo, al quale siamo incorporati per il Battesimo. Invitiamo i nostri compagni di strada nel cammino ecumenico a ricordarci i nostri impegni e ad incoraggiarci. Chiediamo loro di continuare a pregare per noi, di camminare con noi, di sostenerci nell’osservare i religiosi impegni che oggi abbiamo manifestato. Appello ai cattolici e ai luterani del mondo intero Facciamo appello a tutte le parrocchie e comunità luterane e cattoliche, perché siano coraggiose e creative, gioiose e piene di speranza nel loro impegno a continuare la grande avventura che ci aspetta. Piuttosto che i conflitti del passato, il dono divino dell’unità tra di noi guiderà la collaborazione e approfondirà la nostra solidarietà. Stringendoci nella fede a Cristo, pregando insieme, ascoltandoci a vicenda, vivendo l’amore di Cristo nelle nostre relazioni, noi, cattolici e luterani, ci apriamo alla potenza di Dio Uno e Trino. Radicati in Cristo e rendendo a Lui testimonianza, rinnoviamo la nostra determinazione ad essere fedeli araldi dell’amore infinito di Dio per tutta l’umanità. 1 - Articolo di Massimo Faggioli in “l'Huffington Post” del 1 novembre 2016 I tre ecumenismi di Papa Francesco Il viaggio di papa Francesco in Svezia segna una tappa importante nel cammino ecumenico della chiesa iniziato al Concilio Vaticano II poco più di cinquanta anni fa. Francesco è un figlio del Vaticano II anche e soprattutto per la sua visione ecumenica. La dichiarazione congiunta firmata dal papa e dal vescovo Munib Yunan, Presidente della Lutheran World Federation, cade nel diciassettesimo anniversario della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, fermata ad Augsburg in Germania il 31 ottobre 1999. Solo diciassette anni fa, ma un mondo in parte diverso da oggi: nel mondo post-11 settembre 2001 il cristianesimo è tentato di farsi colonna della civiltà occidentale. Ma era anche una chiesa cattolica in parte diversa da oggi, in cui la questione ecumenica è diventata anche una questione interna e non solo di rapporti con le altre chiese. In questo senso il viaggio di Francesco nella Lund che vide nascere la Federazione Luterana Mondiale nel 1947 vede tre ecumenismi diversi. Il primo ecumenismo è quello dei rapporti bilaterali, delle commissioni dei teologi e dei prelati che discutono documenti che poi le chiese dovranno approvare o rigettare, oppure approvare e mettere in un cassetto. Francesco vede un ruolo in questo ecumenismo delle commissioni e dei documenti, ma senza farsi frenare da questo tipo di rapporti che è tipico dell'ecumenismo del periodo dopo il Vaticano II e che ha portato frutti importanti, specialmente sul versante dei rapporti coi luterani, gli anglicani, e gli ortodossi. Poi c'è un secondo tipo di ecumenismo, di cui Francesco ha parlato spesso: "l'ecumenismo del sangue", la fratellanza dei cristiani di ogni chiesa e tradizione teologica di fronte alle persecuzioni in Medio Oriente, Africa e Asia. Il martirio come fonte teologica sta ridefinendo l'ecumenismo più di quanto i sistemi teologici ed ecclesiastici in Occidente non si rendano conto. La questione dei rifugiati che sfuggono alle persecuzioni è una questione umanitaria e politica, ma anche interreligiosa ed ecumenica. Dalle discussioni sulla "ospitalità eucaristica" (dare la comunione a cristiani che sono membri di un'altra chiesa, non cattolico-romana) si è passati al problema dell'ospitalità tout court di quanti (tra cui molti cristiani, cattolici e non) fuggono da morte e distruzione: non è una questione teologicamente meno rilevante di quella della comunione eucaristica. Infine c'è il terzo tipo di ecumenismo, quello di cui si esita a parlare nella chiesa cattolica, perché è il più difficile e delicato: l'ecumenismo intra-cattolico, tra cattolici di devozioni e fedeltà diverse, che papa Francesco ha insistentemente chiamato al dialogo e al rigetto del settarismo. Francesco ha fatto appello più volte ai diversi movimenti cattolici a coesistere nelle chiese locali senza tentazioni di occupare spazi o rivendicare diritti di primogenitura. Per la chiesa cattolica in un paese come la Svezia in cui i cattolici sono una piccola minoranza, e molti dei cattolici sono neo-cattolici, convertiti da adulti, plasmati da un cattolicesimo militante, il pontificato di papa Francesco è più problematico che in altre chiese ancora dominate da quello che la sociologia religiosa chiama "cradle Catholics", cattolici fin dalla culla, a proprio agio (a volte troppo) da cattolici nel pluralismo delle società occidentali. Un'altra parte della chiesa svedese è fatta di cattolici svedesi arabofoni che sono "cradle Catholics", riluttanti ad imbracciare un cattolicesimo identitario occidentalista. Questo composto di cattolicesimi diversi all'interno di una stessa chiesa è ormai tipico del cattolicesimo mondiale: da cui l'urgenza di riscoprire un ecumenismo intra-cattolico in un'epoca di tentazioni identitarie usate anche per marcare differenze tra cattolicesimi diversi. Non è soltanto una battuta che per molti cattolici è più facile andare d'accordo con i protestanti o gli ortodossi che con altri cattolici. Francesco ha intrecciato questi tre ecumenismi nel corso del suo pontificato. Non è un caso che le iniziative ecumeniche del pontificato siano particolarmente sgradite agli antipatizzanti di papa Bergoglio, che vorrebbero respingere tutti e tre gli ecumenismi succitati: l'ecumenismo post-conciliare (secondo loro al Vaticano II non sarebbe successo nulla di rilevante o di vincolante), l'ecumenismo del sangue (che secondo loro non deve cambiare in nulla la postura di superiorità del cattolicesimo sulle altre chiese e che non deve spingere ad una interpretazione meno identitaria del cattolicesimo), e l'ecumenismo intra-cattolico (essendo la loro militanza una ragion d'essere che dice poco di cosa sia il cristianesimo). L'ecumenismo di papa Francesco è uno degli aspetti più complessi del pontificato, che stenta a catturare l'attenzione come pronunciamenti del papa su altre questioni più classiche per la definizione degli allineamenti interni al cattolicesimo e per i rapporti tra chiesa e mondo moderno. È bastata la domanda malposta di un giornalista per spingere il papa a ripetere quanto già detto sul sacerdozio femminile, e per far dimenticare al news cycle cattolico globale l'importanza dei gesti e delle parole di Lund e Malmö - gesti e parole su cui la conferenza stampa sul volo papale è stata silente. Per fortuna la memoria della chiesa ha tempi più lunghi. Massimo Faggioli III - AD INFORMAZIONE CENTRO KOINONIA P.PAOLO ANDREOTTI Convento S.Domenico - Pistoia “2016-17: LA RIFORMA NELLE NOSTRE MANI” QUALE RIFORMA PER LA CHIESA ITALIANA DOMENICA 2O NOVEMBRE Ore 9.45 UN VESCOVO SCONFITTO INVITA ALLA RIFORMA Mons.E.Bartoletti vara il Concilio nella Chiesa che è in Italia 11.30 Celebrazione eucaristica Ore 12.45 Agape fraterna “Spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore” Nello spirito di Atti 2,46, condivideremo quello che ciascuno metterà a disposizione degli altri Ore 15.00 Don Severino Dianich ci parlerà su LA CHIESA ITALIANA VERSO LA SUA RIFORMA: COME E PER MANO DI CHI?