Due isole, due imperatori Oggi un Asburgo muore di povertà e Guglielmo II - assicurato all’ultimo castigo [la forca] per divertire i curiosi - vive in una pensione dorata. Nessuno ha impedito ai suoi fedeli di rendergli i suoi beni. La sua persona è salva e la sua fortuna al sicuro. Ma contro Carlo d’Asburgo, tutto era permesso. Il “gentiluomo europeo” ignorò le precauzioni che un Hohenzollern non aveva mancato di prendere. Egli non aveva messo dei soldi da parte in Olanda o in Canada. A lui, non si è lasciato nulla per vivere - letteralmente». Jacques Bainville, Journal, 2 aprile1922 Due isole, due imperatori Capitolo settimo DUE ISOLE, DUE IMPERATORI Il destino di Carlo, l’ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria, è simile, nel suo tragico epilogo, a quello di Napoleone.1 Entrambi gli imperatori, dopo un periodo di guerra che sconvolse l’Europa, finirono prigionieri degli inglesi in un’isola lontana, diventata per loro una prigione perpetua. C’era, tuttavia, una grande differenza tra le responsabilità dei due leader in quelle catastrofi epocali: le guerre che insanguinarono l’inizio dell’Ottocento furono chiamate «Napoleonic Wars» e furono provocate dall’ imperatore dei francesi, la Prima guerra mondiale, invece, fu ereditata da Carlo. La sua è la storia d’una tragedia quasi senza riscontro, una tragedia colma di pathos classico. Nessun sovrano dei tempi moderni salì al trono nutrendo intenzioni più nobili di questo giovane arciduca della dinastia asburgica e nessun altro dovette, indubbiamente, affrontare problemi o antitesi più gravose. Nel primo manifesto ai suoi popoli, l’imperatore evidenziò due temi L’ultimo segretario dell’imperatore, Karl Werkmann, e lo scrittore Paul Morand, hanno proposto un paragone tra i due imperatori. Cfr. Karl Werkmann, Der Tote auf Madeira, München, Verlag für Kulturpolik, 1923; Paul Morand, La dame blance des Habsbourg, Paris, Robert Laffont, 1963. Si tratta, tuttavia, di accenni e nessuno degli autori approfondisce il tema, che a nostro modesto avviso appare assai significativo. Cfr. Karl Werkmann, Der Tote auf Madeira, München, Verlag für Kulturpolik, 1923, p. 295. Paul Morand osserva, ricordando quasi alla lettera ciò che scrisse Werkmann: «Napoléon, partant pour Sainte-Hélène, disposait d’une riche dotation; il emmenait Las Cases, Montholon, Gourgaud, son valet de chambre, une nombreuse domesticité, son médecin. L’empereur Charles, lui, n’avait personne et ne possédait rien. La Conférence des ambassadeur, qui, de Paris, avait ordonné sa déposition et son bannissement, ne s’était pas inquiétées de ses frais d’entretien; c’était à qui ne les payerait pas; on en discutait encore à Paris lorsqu’on apprit la mort de l’empereur». Cfr. Paul Morand, La dame blanche des Habsbourg, Paris, Librairie Académique Perrin, 1980, p. 250. Michel Dugast Rouillé ha scritto: «Charles, en arrivant, se souvient de Napoléon et compare Madère à Sainte-Hélène». Cfr. Michel Dugast Rouillé, Charles de Habsbourg. Le dernier empereur 1887-1922, Paris, Duculot, 1991, p. 231. 1 Due isole, due imperatori fondamentali: la volontà di pace e la necessità della ripresa della vita costituzionale in Austria. Carlo, nonostante avesse ricevuto un’educazione militare, odiava la guerra che fu costretto a condurre a termine. Diffidava dell’alleato tedesco, tendando di assicurare «son salut dans un divorce à l’amiable avec l’Allemagne, sous réserve d’une paix blanche».2 Ammirava i nemici occidentali coi quali tentò di stabilire dei contatti – tramite i canali diplomatici convenzionali e il dispiegamento di un’eccezionale rete privata e segreta – per concludere attraverso la pace la guerra e porre fine all’«inutile strage». Fu l’unico uomo di Stato europeo ad ascoltare le parole di papa Benedetto XV, cercando in maniera ostinata una via per raggiungere la pace, ma era troppo tardi: nel 1917, il governo di Parigi spingeva l’acceleratore della guerra (la Francia al momento delle trattative dell’imperatore Carlo aveva già pagato quasi l’80% delle perdite totali, ma avrebbe potuto risparmiare molte vite umane, almeno quattrocentomila). Anatole France, che giudicava la continuazione del conflitto, la sua prolungazione «démesurée», più criminale della guerra stessa, scrisse delle pagine amarissime sulla volontà di continuare la guerra da parte degli alleati contro gli imperi centrali.3 E nonostante l’impegno di Carlo per la pace, gli errori furono fatti dagli stessi ministri dell’impero, come il ministro Czernin, che fece gioire nel 1918 i francesi, che appoggiavano l’emancipazione degli slavi e la distruzione della casa imperiale d’Austria.4 Ancora nel 1918, il kaiser Guglielmo II non voleva sentire parlare di tregue o di conclusioni del conflitto e sollecitava una rapida conclusione della lotta in Europa attraverso una schiacciante vittoria del Reich. L’imperatore Carlo malauguratamente non era più Cfr. Fernand L’Huillier, De la Sainte-Alliance au Pacte Atlantique. Histoire des relations internationales à l’époque contemporaine, vol. II, Neuchatel, Éditions de la Baconnière, 1955, p. 106. 2 Cfr. Michel Corday (publiées par), Dernières pages inédites d’Anatole France, Paris, Calmann-Lévy, 1925, p. 142. 3 Cfr. Marcel Sembat, Les cahiers noirs. Journal 1905-1922. D’après les manuscrits originaux conservés à l’office universitaire de recherche socialiste (OURS). Texte établi, présenté et annoté par Christian Phéline, Mayenne, Éditions Viviane Hamy, 2007, p. 693. 4 Due isole, due imperatori in grado di fermare la locomotiva tedesca prima che andasse a sbattere contro i finecorsa. La costante ricerca della pace condotta da Carlo negli anni più bui della Grande guerra è stata ricordata e riconosciuta dalla Chiesa cattolica con una celebrazione solenne, la beatificazione dell’imperatore. Il 3 ottobre 2004, infatti, con una cerimonia in San Pietro, l’ultimo imperatore d’Austria e re d’Ungheria è stato proclamato “beato” da Giovanni Paolo II. Con questo atto il papa ha voluto mostrare come un uomo di Stato, e per di più immerso in una catastrofe epocale come fu la Prima guerra mondiale, può essere un esempio all’umanità, dedicando a una causa alta e nobile tutte le sue migliori energie.5 Carlo, a giudizio della Chiesa, è degno di essere ammirato e ricordato per almeno tre motivi: per i suoi tentativi di pace, per le sue misure sociali e per la sua pietà personale. Il lungo processo di beatificazione iniziò il 5 aprile 1949, quando il Vaticano concesse la facoltà di svolgere il processo ordinario informativo a Vienna, sebbene l’imperatore Carlo fosse morto a Madera. L’annuncio fu dato dalla Radio Vaticana il 3 novembre di quell’anno. Dal 1949 al 1954 si svolse nell’Arcidiocesi di Vienna la prima fase a livello diocesano della causa di beatificazione del «Servo di Dio Carlo d’Austria». Nel corso delle indagini vennero ascoltati 84 testimoni de visu ed de audito a videntibus e istituite delle filiali a Lussemburgo, New York, Friburgo, Parigi, Le Mans e Funchal. Il 22 maggio 1954 gli atti del processo – in dodici volumi – furono consegnati alla Sacra Congregazione dei Riti. L’arcivescovo di Vienna, cardinale Theodor Innitzer, dichiarò aperto il Processo ordinario informativo e contemporaneamente il Processo super cultu numquam prestito e il cosiddetto Processiculus diligentiarum super scriptis. Nel 1954 iniziò a Roma la seconda fase del processo. Il 7 maggio 1955, la Congregazione del Sant’Ufficio dichiarò che nihil obstat alla causa di beatificazione. Nel 1994 furono pubblicati gli atti del processo di beatificazione (l’insieme della Positio è di 2800 pagine, una delle più cospicue di sempre, davvero una fonte importante per lo studioso). Il 31 gennaio 1995 la Commissione Storica diede parere positivo al proseguimento della causa. Il 12 aprile 2003 la Cfr. Roberto Coaloa, Beato perché volle la pace, in: “Il Sole-24Ore”, Domenica 3 ottobre 2004. 5 Due isole, due imperatori Congregazione delle cause dei santi, presieduta da Giovanni Paolo II, decretò le virtù eroiche del «Servo di Dio Carlo d’Austria», che è annoverato nell’albo dei Venerabili.6 Per lo storico il processo canonico di beatificazione è particolarmente interessante poiché vengono raccolte e radunate molte informazioni, le quali sarebbero difficilmente rintracciabili da un singolo studioso. È un grandioso lavoro di equipe, molto utile alla ricerca. A conclusione di questa rigorosa indagine, la Chiesa ha riconosciuto nell’imperatore Carlo le doti di uomo di pace e di cristiano. Tuttavia, Carlo era un soldato, come Napoleone, difatti, nei giorni che precedettero la solenne cerimonia in San Pietro, molti dubitarono della opportunità di beatificare un militare e capo di Stato, senza comprendere l’intento della Chiesa cattolica, ovvero quello di individuare, anche nelle contraddizioni della vita moderna, degli esempi di testimonianza cristiana.7 Sul processo di beatificazione dell’imperatore Carlo sono utili i seguenti testi in italiano, che si soffermano principalmente sulla figura religiosa del monarca cattolico. Giuseppe Dalla Torre, Carlo d’Austria. Una testimonianza cristiana, Milano, Scuole Grafiche Pavoniane - Istituti Artigianelli - Editrice Àncora Milano, 1972, riproposto in un’edizione riveduta e aggiornata nel settembre 2004, con una breve cronologia del processo canonico di beatificazione di Andrea Ambrosi, postulatore della Causa di beatificazione e canonizzazione. Cfr. Giuseppe Dalla Torre, Carlo d’Austria. Ritratto spirituale, Milano, Àncora, 2004. Altri importanti testi: David Murgia, Carlo d’Asburgo. Intrighi, complotti segreti dell’ultimo erede del Sacro Romano Impero, Tavagnacco, Edizioni Segno, 2004; Mauro Faverzani, Carlo I d’Asburgo un imperatore santo. Una biografia spirituale, Rimini, Il Cerchio, 2005. 6 Nel 2004 Carlo fu accusato da alcuni storici austriaci, francesi e italiani di aver commesso crimini di guerra, dimenticando però che l’imperatore fu l’unico uomo di Stato ad aver ascoltato il grido di dolore sull’inutile strage di papa Benedetto XV, cercando di fermare il conflitto mondiale, come abbiamo visto, con i tentativi di pace intrapresi da Carlo con i governi di Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Nel 2004, si è addirittura accusato di cecità il pontefice Giovanni Paolo II, colpevole di aver accelerato e semplificato il processo di beatificazione di Carlo, semplicemente perché suo padre era stato un ufficiale dell’esercito asburgico e lo aveva chiamato Karol in onore dell’ultimo imperatore. Se Carlo è stato onorato dalla Chiesa cattolica, i suoi avversari hanno schierato una prima fila di fucileria senza precedenti. I giornali francesi e italiani sono stati quelli più feroci. Il 30 settembre 2004, Le Monde: «Charles Ier, le dernier des Habsbourg, béatifié à Rome dans la dérision». Il 2 ottobre, Le Figaro : «Polémique à Vienne autour d’un monarque contesté». Il 3 ottobre, La Repubblica : «Da imperatore di guerra a beato. Il miracolo di Carlo I d’Asburgo». 7 Due isole, due imperatori In un pontificato forte e controcorrente come quello di Giovanni Paolo II, non deve stupire la scelta di far ascendere agli onori degli altari un militare di professione.8 D’altro canto, non va dimenticato che recentemente la storiografia ha proposto un recupero religioso di Napoleone, rompendo con la vulgata dell’«anticristo»; un’immagine resa celebre dal memorabile incipit di Guerra e Pace, attraverso le sue conversazioni che testimoniano la sua fede in Dio.9 All’approssimarsi della fine, l’imperatore francese avverte la presenza divina. Già Alessandro Manzoni aveva immaginato questo fatto decisivo nella vita di un uomo nell’ode Il cinque Maggio, meditata il 17 luglio 1821 e composta nei tre giorni successivi: Tu dalle stanche ceneri / Sperdi ogni ria parola: / Il Dio che atterra e suscita, / Che affanna e che consola / Sulla deserta coltrice / Accanto a lui posò. Si tratta, probabilmente, di una intuizione del poeta, il quale aveva notizie sull’imperatore a Sant’Elena, nonostante non avesse ancora letto le sue memorie dell’esilio (pubblicate da Las Cases solo negli anni successivi).10 «Difficoltà soprattutto esterne alla Chiesa, invece, per la glorificazione di Carlo I, ultimo imperatore dell’impero austroungarico. Uomo sul quale si appuntarono gli odi convergenti sia della sinistra repubblicana e del liberalismo massonico sia del nazismo. Progressisti e reazionari marciarono uniti contro questo giovane sovrano e la sua memoria. […] Mentre Cadorna (e, con lui, tutti gli altri Signori della Guerra) invasati dalla mistica dell’assalto in massa, siluravano i generali che non esibissero un alto numero di caduti, Carlo I destituiva i comandanti che registravano perdite troppo altre tra i loro soldati. Mentre i franco-inglesi e i tedeschi cercavano gas sempre più micidiali, il comandante supremo della Duplice Monarchia cedette all’ira, per la prima volta nella sua vita, quando seppe che le divisioni tedesche sfondarono a Caporetto con l’uso massiccio degli asfissianti. Al fronte, dicevano i generali, si mangiava assai meglio che al palazzo di Vienna, dove la famiglia imperiale campava con la tessera alimentare di operai e contadini. All’amore del popolo, faceva contrasto l’odio dei ricchi e dei privilegiati per la sua politica di giustizia sociale secondo gli insegnamenti della Chiesa. Figura poco studiata, questa di Carlo I, perché “politicamente scorretta” per gli ideologi del Novecento». Cfr. Vittorio Messori, E il Papa elegge a modello un re «politicamente scorretto», in: “Il Corriere della Sera”, Domenica 3 ottobre 2004. 9 L’opera di Robert Antoine de Beauterne, Conversations religieuses de Napoléon, edita a Parigi nel 1840, apparsa a Napoli due anni dopo con il titolo Pensieri di Napoleone sulla religione, è stata riproposta da Luigi Mascilli Migliorini. Cfr. Napoleone, Conversazioni religiose, Editori Riuniti, Roma 2004. 10 Cfr. Alessandro Manzoni, Poesie, a cura di Ferruccio Ulivi, Milano, Mondadori, 1985, p. 223. 8 Due isole, due imperatori Oggi, allo storico, appaiono abbastanza sorprendenti alcune caratteristiche comuni nella sorte dei due imperatori, così diversi, ma simili per temperamento e capacità di guida proprie di un grande capo. Entrambi tentarono di riconquistare il potere dopo la caduta: Napoleone con i “cento giorni” nel 1815, prima di essere cacciato definitivamente nel confino di Sant’Elena, dove morirà nel 1821; Carlo con due tentativi di restaurazione monarchica in Ungheria nel 1921 - il primo a Pasqua e il secondo, a ottobre, che superò di gran lunga il primo per forza drammatica e sprezzo del pericolo - prima dell’esilio senza ritorno a Madera, dove morirà nel 1922. L’ultimo capitolo della vicenda umana dell’ultimo imperatore è tragico, ma dev’essere raccontato, poiché gli uomini si vedono nel momento del congedo e Carlo ha saputo morire davvero in maniera esemplare, nello stile degli antichi Asburgo. 1. Dal 1821 al 1921: Carlo in esilio, come Napoleone. Napoleone meditò il suicidio tra la sconfitta di Waterloo e la partenza per l’isola, così come era già successo altre volte, ad esempio nella convulsa e disperata ritirata da Mosca in fiamme, dopo un’impresa smisurata e folle. Nel marzo 1814, assunse del veleno; secondo il resoconto non ebbe alcun effetto: la colpa sembra sia da attribuirsi all’incompetenza o all’ambiguità del medico di corte, Jean Corvisart. Il 18 giugno 1815, dopo la battaglia di Waterloo, era impossibile per Napoleone una qualsiasi possibilità di ripresa: psicologica, da una parte, ma anche militare, poiché l’esercito era ridotto ad una massa di corpi morti. I suoi avversari erano in festa, pregustando una definitiva restaurazione dell’Europa prima della Rivoluzione, nel segno della pace, senza Bonaparte. Furono pochi, però, a presagire dei nuovi pericoli per l’Europa: quegli spiriti acuti temevano, infatti, l’esagerato contraccolpo reazionario derivante dalla scomparsa di Bonaparte. Madame de Staël si dichiarava convinta - lo scrive in una lettera a Wellington del 9 agosto 1815 - che non si potesse umiliare Due isole, due imperatori ventiquattro milioni di uomini se l’intenzione era di donare la pace al mondo.11 La battaglia di Waterloo entrò nella leggenda e per molti fu davvero l’inizio di un’era di pace, di sicurezza, prosperità e progresso. Per altri, meno soddisfatti di vivere in un mondo dominato dal commercio inglese e vigilato dalle cannoniere di Sua Maestà, il nome di Waterloo aveva un rintocco sinistro: era la triste pianura di Victor Hugo, dove l’aquila finì nel fango e s’infranse il sogno generoso del più grande uomo mai vissuto. Gli uni e gli altri, comunque, si sarebbero trovati d’accordo con l’affermazione dello scrittore francese: «Quel giorno fu mutata la prospettiva del genere umano. Waterloo è il cardine del secolo Diciannovesimo».12 Com’è noto, il Novecento si è poi incaricato di spazzar via le illusioni di illibato progresso rinnovate all’indomani di Waterloo, e tra la fine della Prima e l’inizio della Seconda guerra mondiale fu demolita anche l’idea di paix perpétuelle; un’utopia del Settecento: un progetto del celebre Charles Irenée de Saint-Pierre, meglio conosciuto come abbé de Saint-Pierre. Gli inglesi, come osserva Jacques Bainville, esiliando l’imperatore in capo al mondo, «cercavano non tanto di vendicarsi, quanto di sbarazzarsi di un personaggio ingombrante il cui posto non poteva essere in nessun luogo. Erano obbligati a custodirlo. Nessuno lo reclamava, gli altri governi erano felicissimi di lasciare Napoleone all’Inghilterra, ogni altra soluzione presentava inconvenienti o pericoli e il governo di Londra scelse la relegazione rapida, senza rumore, senza scandalo, evitando soprattutto l’errore di un accusa e di un giudizio di alto livello».13 Se l’Inghilterra di Giorgio IV ha, di fronte alla storia, una giustificazione, questa le viene dal fatto innegabile, provato, tra l’altro, da Hudson Lowe nel Contromemoriale, che gli altri Stati europei ritenevano, nel loro folle terrore, che non vi fossero oceani né armi bastanti a difendere il Vecchio Continente dagli artigli dell’aquila che aveva spiccato il volo dall’isola d’Elba. Si voleva a tutti i costi impedire a Napoleone di giocare un’ultima carta. In Cfr. V. de Pange, Madame de Staël et le duc de Wellington. Correspondance inédite 1815-1817, avec une préface de la comtesse J. de Pange, Paris, Gallimard, 1962, pp. 40-41. Si veda anche: Paul Gautier, Madame de Staël et Napoléon, Nouvelle édition. Avec 8 gravures hors texte, Paris, Librairie Plon, 1933. 12 Cfr. Alessandro Barbero, La battaglia. Storia di Waterloo, Bari, Laterza, pp. 351352. 13 Cfr. Jacques Bainville, Napoleone, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006, p. 571. 11 Due isole, due imperatori Europa creava sconcerto e terrorizzava l’idea di un nuovo colpo di mano dell’uomo che l’immaginazione faceva così, se era possibile, ancora più grande. La verità era semplice: fino a che Napoleone restava in vita, i regnanti e i governanti d’Europa non potevano chiudere occhio. Il mal governo che l’imperatore dovette subire a Sant’Elena era consigliato da una paura senza limiti, comunicata facilmente a un uomo come Hudson Lowe, il quale era intimamente impaurito dalle imperscrutabili arti del figlio della Rivoluzione francese.14 La conseguenza di questa vita fu la malattia, la morte più prossima, provocata anche dal clima letale, che s’accorda fatalmente all’aspro destino. Per via del clima tipicamente oceanico, con frequenti piogge e nebbie occasionali, gli abitanti tendevano a soffrire di dissenteria amebica. Tra l’altro, nell’isola sull’oceano, nessun abitante arrivò mai a compiere sessant’anni.15 La triste condizione dell’esilio accentua la lacerazione tra la volontà eroica di Napoleone e la disfatta di fronte ai più possenti meccanismi del processo storico. In questo forte contrasto si sviluppa una delle più felici interpretazioni dello scritto di Las Cases: il passaggio dell’eroe, attraverso l’esperienza del dolore o della sconfitta, alla condizione di vittima. Con un procedimento che si accosta ad alcuni dei modelli più tipici dell’eroismo romantico, le descrizioni delle sofferenze patite da Napoleone a Sant’Elena servono, infatti, a trasportare l’eroe su un piano sacrificale e sovente anche sacrale, che non solo lo rende superiore ai suoi persecutori e alle contingenze storiche, ma dà anche ragione e riscatta la sconfitta subita.16 Napoleone morì a Sant’Elena, sull’altopiano di Longwood, battuto ed arso dai venti africani, il 5 maggio 1821. Alle cinque e quarantanove minuti Napoleone rese a Dio, secondo l’espressione di Chateaubriand, «il più possente alito di vita che giammai animò l’argilla umana». Si dice che le ultime parole da lui pronunciate furono: «Tête d’armée». Il suo servo Marchand depose sul cadavere il Cfr. L’introduzione di Emilio Radius a Il Contromemoriale di Sant’Elena di Sir Hudson Lowe, Milano, Bompiani, 1939, pagg. 10-11. 15 L’isola di Sant’Elena è un «Paysage de désolation et de dénuement, qui s’accorde bien avec l’âpre Destin. Dernier trait : nul homme n’y a jamais atteint soixante ans ! » Cfr. Joseph Delteil, Il était une fois Napoléon, Paris, Hachette, 1929, pag. 184. 16 Cfr. Luigi Mascilli Migliorini, Il mito dell’eroe, Napoli, Guida, 2003, pag. 29. 14 Due isole, due imperatori mantello che aveva indossato il 14 giugno 1800 durante la battaglia di Marengo. Un secolo dopo la morte di Napoleone, sempre gli inglesi, con un altro monarca di nome Giorgio, relegavano un altro imperatore in un’isola, condannandolo ad una rapida morte. Carlo d’Asburgo non era l’odiato Napoleone “Buonaparte”, non era certo l’incubo degli inglesi, il terribile “Boney”, un “Bau-Bau” che impauriva i bambini dell’isola ancora nel Novecento, come testimonia Bruce Chatwin. E tuttavia, il giovane «imperatore della pace» e «imperatore del popolo», per citare soltanto due dei titoli che neppure i suoi avversari gli poterono mai disconoscere, subì una fine tragica, che i vincitori della Prima guerra mondiale risparmiarono all’odiato Guglielmo II. Lord Curzon e Lloyd George, in un momento di stupidaggine demagogica, urlarono al mondo l’atroce «hanging the Kaiser». Guglielmo II, ovviamente, non fu impiccato e morì a ottantadue anni in Olanda, a Doorn, il 4 giugno 1941 – un paio di settimane prima dell’offensiva tedesca contro la Russia e qualche mese prima dell’ingresso in guerra degli USA - non più sotto la protezione degli olandesi, ma come “sorvegliato” del Terzo Reich. A distanza di tempo, come allora, tale disparità di trattamento nei confronti dei due kaiser pare davvero incredibile: è un punto delicatissimo della storia che cercheremo di sviluppare e comprendere. Notiamo, però, che all’indomani della morte dell’ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria, gli americani con l’autorevole The New York Times commentarono la sua morte in prima pagina: «Charles was more democratic».17 Inoltre, alcuni intellettuali francesi si scandalizzarono dell’assurda morte del “gentiluomo europeo” e si domandarono il perché di questa differente condotta nei confronti di Guglielmo e Carlo. Soprattutto, il punto da chiarire è l’atteggiamento inglese. Non è un caso che gli autori che hanno descritto l’esilio di Carlo a Madera, tra gli altri Karl Werkmann e Paul Morand, paragonino il destino dell’imperatore a quello di Napoleone, mettendo sotto accusa la 17 Cfr. The New York Times, 2 april 1922. Due isole, due imperatori posizione britannica. Una delle più autorevoli biografie su Carlo d’Asburgo, quella dell’inglese Gordon Brook-Shepherd, pone in evidenza, invece, l’opera di re Giorgio V, il nonno dell’attuale regina Elisabetta II, che è considerato come “il salvatore” di Carlo. Il punto, lo ripetiamo, è delicatissimo. Non è solo una sfumatura o un capriccio della storia, difficile da comprendere, anche se potremmo avanzare l’ipotesi di una colpevole positura dai tratti sciovinistici o di un’acritica visione della storia da parte degli studiosi. Riteniamo che gli storci che si sono occupati fino ad ora di Carlo abbiano avuto poca attenzione al quadro generale degli avvenimenti, nel contesto dei rapporti internazionali che cambiarono, in maniera drammatica dopo la Grande Guerra. Se da una parte Giorgio V “salvò” Carlo d’Asburgo da una probabile fine ancora più tragica - alla Romanov - per intenderci, fu tuttavia il responsabile del suo atroce esilio a Madera, non meno grave. I “Cento Giorni” di Carlo furono rappresentati da due coraggiosi tentativi di restaurazione della sua corona di re apostolico d’Ungheria, compiuti mettendo in repentaglio la propria vita, e nel secondo tentativo anche quello di sua moglie Zita. In queste operazioni ebbe l’appoggio francese. Carlo ebbe soprattutto il supporto del pontefice, anzi una vera esortazione di Benedetto XV, che attraverso una restaurazione della monarchia degli Asburgo in Ungheria sperava di poter arginare l’avanzata dell’ateismo e del comunismo. Gli episodi della vita di Carlo nei due anni in cui fu imperatore dell’Austria-Ungheria non furono seguiti con così tanta trepidazione dal pubblico che leggeva i giornali in Europa, che ovviamente erano poco utili ad una esatta conoscenza della realtà, talmente erano stretti nelle maglie della censura e della propaganda di guerra. A parte l’affaire dei tentativi di pace separata, fatti conoscere nelle prime pagine di tutta Europa, grazie al clamore dello scontro tra Czernin e Clemenceau, la figura di Carlo non fu considerata à la page. Nel 1921, i due tentativi di restaurazione monarchica erano invece seguiti dalla stampa europea, l’ex imperatore era divenuto una vera curiosità, e i suoi due avventurosi tentativi di restaurazione monarchica in Ungheria appassionavano non solo le cancellerie dei vari Stati, ma il più vasto pubblico, come testimoniano le corrispondenze di Paul Louis, Albert Londres e Henri Béraud in Francia e i numerosi articoli in giornali e riviste in Italia. Due isole, due imperatori Nell’autunno 1921 si ebbe l’impressione che, a dispetto dei rovesci iniziali, la battaglia di Carlo fosse vinta. La seconda marcia su Budapest del re-imperatore era ben organizzata, sebbene avesse qualcosa di pazzamente avventuroso: accanto a Carlo c’era la moglie Zita; essi, per raggiungere l’Ungheria dalla Svizzera, avevano utilizzato l’aeroplano: uno Junker F 13 (costruito nel 1920, con un motore BMW di 6 cilindri e di una potenza di 185 cavalli, capace di una velocità di crociera di 170 chilometri orari), guidato dal pilota ungherese Alexay Andréas. Era il primo volo nella storia di una coppia di regnanti. Dopo il volo ci fu il drammatico epilogo, nel quale per la prima e unica volta nella storia una coppia regale andò verso la battaglia a bordo di una locomotiva. Anche in questo caso possiamo fare un richiamo al destino che unisce Carlo a Napoleone: il tentativo di conquistare la corona a Budapest, analogamente a Waterloo, fu una successione serrata di colpi di scena anche se l’Asburgo, a differenza di Bonaparte, finì con l’essere sconfitto dall’inganno anziché dalle cannonate. Al fallimento di Carlo, il governo francese si distanziò formalmente dal suo protetto segreto, e alla fine di ottobre il destino dell’imperatore-re fu nelle mani delle potenze dell’Intesa. A Londra si tenne una riunione segreta, il 26 ottobre 1921, alla Camera dei Comuni, presieduta dal primo ministro David Lloyd George.18 Nell’incontro privato, il ministro degli Affari Esteri, Lord George Nathaniel Curzon, figlio maggiore del quarto barone Scarsdale e già vicerè delle Indie a 39 anni, aveva comunicato che «il tentativo dell’ex imperatore Carlo per riconquistare il trono d’Ungheria era fallito» e aveva asserito insistentemente l’«assoluta necessità di allontanarlo senza indugio dall’Ungheria, che era un centro d’intrighi». Il problema non era Lloyd George, che già aveva “tradito” Carlo nel 1917. L’ostacolo era il ministro degli Esteri, incarnato da una gloriosa nullità, che strascicava un gran bel nome. Lord Curzon, ad esempio, fu giudicato severamente, nel suo ruolo di ministro degli esteri, dal diplomatico e politico italiano Carlo Sforza, che lo definì come qualcuno che «amava troppo il suo posto», non un «costruttore» della nuova Europa che doveva nascere dalle ceneri della Grande Guerra ma un «distruttore».19 Public Records Office, CAB 23/27 26 ottobre 1921. «Questo antico Vicerè, questo Ministro degli Affari Esteri dell’Impero britannico sembrava un uomo e da molti lati lo era. Ma la sua anima era rimasta quella dello 18 19 Due isole, due imperatori Lord Curzon, un marchese burbanzoso e vero prototipo dell’aristocratico (ma non della sua epoca, ma di quella precedente, quella vittoriana) era davvero la persona sbagliata per affrontare i delicati problemi del dopoguerra. Lo storico inglese David Cannadine ne fa questo ritratto: «Curzon, pur avendo molte doti, era anacronistico e leggermente ridicolo; non era in sintonia con il paese che era emerso dalla guerra; era un oratore solenne, ma inaccessibile; era altezzoso, sprezzante e avventato».20 L’imperatore Carlo ebbe anche questo problema: non trovare del dopoguerra dei validi interlocutori, sia tra gli amici che negli ex nemici nel conflitto mondiale. Nel 1921, il destino di Carlo fu in mano degli inglesi e della loro Royal Navy che presidiava il Danubio e il Mar Nero. La coppia imperiale era prigioniera e la cronistoria delle tre settimane di odissea, che seguirono dal fallito tentativo di restaurazione in Ungheria alla partenza per l’esilio di Madera, furono davvero tra le cose più incredibili di quegli anni. La Conferenza degli Ambasciatori a Parigi e i governi di Francia, Italia e Inghilterra stettero ad osservare la lunga agonia dell’imperatore. Queste potenze, che costituivano la Grande Intesa, non riuscirono ad influenzare le scelte dei paesi nati dalla dissoluzione dell’Austria-Ungheria e che formavano la Piccola Intesa. Il 27 ottobre 1921, Il Sole, mentre Lloyd George era impegnato da un altro problema del dopo guerra, la conferenza anglo-irlandese, informava che la Conferenza degli Ambasciatori «non solo dovrà discutere dell’internamento di Carlo, ma dovrà pure occuparsi del protocollo che è stato firmato a Venezia per regolare la questione del Burgenland fra Austria e Ungheria […]. Per quel che riguarda la futura dimora dell’ex-Re nulla si può precisare pel momento. L’Inghilterra proporrebbe di deportare Carlo in una colonia britannica oppure alle isole Canarie. Nell’attesa egli verrebbe internato a bordo di un monitore inglese della flottiglia danubiana». studente d’Oxford, disperato di non aver vinto il primo premio. Un caso di arresto di crescita interiore: i suoi discorsi magnifici, degli esercizi; le sue maestose note diplomatiche, delle composizioni di primo della classe». Cfr. Carlo Sforza, Costruttori e distruttori, Roma, Donatello de Luigi, 1945, pp. 101-102. Su Carlo Sforza (1872-1952), si veda il saggio di Ennio Di Nolfo, Carlo Sforza, diplomatico e oratore, in: Carlo Sforza, Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2006. 20 Cfr. David Cannadine, Declino e caduta dell’aristocrazia britannica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1991, p. 245. Due isole, due imperatori Il 28 ottobre, lo stesso giornale, avvisava: «La Conferenza degli ambasciatori si è occupata di Carlo d’Absburgo, dopo aver approvato il protocollo di Venezia che regola il conflitto fra l’Austria e l’Ungheria nella questione del Burgenland. La Conferenza ha deciso che l’ex-Sovrano venga imbarcato a bordo di una cannoniera britannica, che si trova ora davanti a Budapest, sulla quale rimarrà provvisoriamente consegnato, e che la trasporterà a Galatz in attesa che venga presa una risoluzione definitiva circa il luogo del suo internamento». Il Sole, in prima pagina, tra gli avvenimenti del giorno di sabato 29 ottobre 1921 osservava: Con la caduta di Carlo d’Absburgo non è da ritenersi liquidata la situazione ungherese; infatti la Piccola Intesa, d’iniziativa dei Governi di Praga e di Belgrado, ha non solo inviato un perentorio «ultimatum» a Budapest per esigere in ultima analisi ciò che l’Ungheria ha di fatto già concesso e riconosciuto verso la Grande Intesa, e cioè la deposizione della dinastia asburgica, la punizione dei cospiratori carlisti, ecc., ma altresì dichiara di non voler riconoscere l’accordo di Venezia e reclama l’integrale applicazione del trattato di Trianon. Dato questo atteggiamento, variamente discusso e apprezzato, sarebbe da attendersi da un momento all’altro l’entrata in Ungheria delle truppe della Piccola Intesa con un obiettivo, in verità, non ancora ben delineato né giustificato. La «politica energica» che a gran voce reclamano i giornali czechi e jugoslavi non farebbe che complicare ancor più la già difficile situazione e render nulla la fortunata azione mediatrice svolta ultimamente dall’Italia per la questione del Burgerland. Senza fragore d’armi, è a ritenere che una volta che Carlo abbia abdicato e venisse relegato in un isola (a Londra si propone Madera), colpendo in pari tempo gli altri responsabili dei complotti carlisti, la situazione ungherese – pur sempre vigilata – potrebbe tornare rassicurante. Il 30 ottobre, Il Sole, spiegava che «sarebbe stata scelta l’isola di Madera come luogo d’esilio dell’ex-Re Carlo, se tuttavia il Portogallo darà il suo consenso. In attesa della decisione finale, Carlo verrà trasportato a Galatz e trattenuto a bordo della nave da guerra inglese “Cardiff”». È interessante notare come i giornali della Grande Intesa, come l’italiano Il Sole, era più informato degli avvenimenti che coinvolgevano la coppia imperiale più degli stessi Carlo e Zita. Carlo e Zita furono imbarcati sulla corazzata «H.M.S. Glowworm» una nave che discese il Danubio fino al Mar Nero, da Budapest a Baja. Il 4 novembre 1921, la coppia lasciò il suolo ungherese; Carlo e Zita salirono sull’incrociatore inglese, il Cardiff. Arrivarono a Istanbul, allora chiamata Costantinopoli, martedì 8 novembre. Il Due isole, due imperatori giorno dopo, partirono per Gibilterra. L’imperatrice Zita annotò sul suo diario: Questa sera ho detto al comandante che secondo me la nostra meta dovrebbe essere quasi certamente Madera, dacché non ci stiamo dirigendo su Malta. “Lo spero per voi” ha risposto. Evidentemente nel telegramma dell’ammiraglio si accennava come nostra possibile destinazione l’isola di Ascensione: un centinaio di abitanti, un ufficiale inglese come governatore, un clima tropicale e neppure una casa decente. Molto peggio che a Sant’Elena! Ma l’ammiraglio aveva disposto senza indugio che il Cardiff puntasse direttamente su Madera “prima che cambino idea”. Il 16 novembre Carlo e Zita arrivano a Gibilterra, dove ebbero la conferma della destinazione a Madera; soprattutto dell’ostilità e della durezza inglese nei loro confronti, nonostante il trattamento affettuoso che l’equipaggio del Cardiff riserva a loro. A Gibilterra, infatti, non ricevono gli omaggi del governatore. A Londra, nel frattempo, si erano svolte delle discussioni ad alto livello sul modo in cui avrebbe dovuto essere trattata la coppia imperiale a Gibilterra. Winston Churchill, allora ministro per le colonie, il 9 novembre aveva trasmesso al ministero degli esteri un telegramma del governatore che chiedeva indicazioni su come regolarsi. Carlo e Zita andavano ignorati oppure bisognava mostrarsi educati nei loro confronti? Il ministro degli esteri Lord Curzon, vecchio inasprito e poco elegante, la cui anima era «sprovvista di vero coraggio e di autentico orgoglio»21 decise che un aiutante di campo del governatore avrebbe dovuto recarsi in visita sul Cardiff «per soddisfare gli eventuali desideri di carattere personale e privato dell’ex imperatore».22 Sabato 19 novembre 1921, dopo tredici giorni di navigazione, il battello di guerra Cardiff arrivò a Madera, allora uno dei luoghi più cari al mondo, un “paradiso”, frequentato dai grandi signori dell’aristocrazia europea, che amavano il vino madeira, da ricchi americani e da lords oziosi.23 Cfr. Carlo Sforza, Cit., p. 97. Questo scambio si trova in Pubblic Record Office C 21430/180/21 e in C 21575/180/21. 23 In Guerra e Pace di Lev Nikolaevič Tolstoj (1828-1910), il conte Rostov, si compiace del sauté au madère di selvaggina che ha pagato mille rubli. Durante l’Ottocento, l’isola di Madera era conosciuta dall’aristocrazia europea per il suo prezioso vino, ma anche per la sua bellezza, come ci testimoniano le pagine di diario dell’imperatrice Sissi. 21 22 Due isole, due imperatori Alla coppia imperiale non fu chiaro il suo destino: saranno trattati come ospiti o come prigionieri? La risposta non sarebbe dovuta apparire un mistero se, nel tourbillon dell’epoca vissuta pericolosamente nell’Europa centrale alla ricerca di una restaurazione monarchica, la coppia imperiale avesse considerato la politica inglese sul Vecchio Continente, non solo quella a loro contemporanea di Lloyd George, ma più in generale quella inaugurata dalla fine dell’avventura napoleonica a Waterloo, nel contesto dell’Europa delle grandi potenze, chiamato con il pomposo termine di concerto europeo, fatto di sublime diplomazia e grande cinismo, che è poi la stessa cosa.24 L’Ottocento era stato soprattutto un periodo di ricerca del potere e del primato in Europa. Prima della guerra “mondiale” si passò nel Vecchio Continente dal sistema delle “alleanze” a quello delle “intese”. Dopo la guerra, al momento che Carlo e Zita venivano relegati in un’isola come era accaduto un secolo prima a Napoleone la storia europea stava prendendo una piega assai differente: il ruolo dell’Europa nel mondo era ridimensionato ed era mutato radicalmente l’ambiente delle relazioni internazionali, che passava dall’equilibrio di potere europeo all’età della politica mondiale. Tuttavia, nel 1921, erano pur sempre gli inglesi a decidere i destini del Vecchio Continente. Il Foreign Office cambiava i confini dei vecchi Stati, tracciandone la linea di nuovi, e decidendo le sorti Alla fine dell’Ottocento, Paolo Mantegazza (1831-1910) pubblicò un curioso romanzo epistolare: Un giorno a Madera. I protagonisti sono due giovani inglesi: Miss Emma e un “bell’inglese”, Sir William. Il libro di Mantegazza, ristampato diverse volte nel corso del Novecento descrive l’isola dell’Atlantico come un paradiso. L’arrivo all’isola è così rappresentato: «Passato il Capo Carajao un profumo di giardino fiorito ci venne incontro colle brezze della terra, e quella terra era un incanto, era un sorriso di orto e di ville, di campi verdeggianti e di boschi bizzarri; era una ghirlanda di tutti i fiori, uno dei quadri di tutti i colori, che rallegrano il cuore dell’uomo e gli fanno tirare profondo e riposato il respiro. Pochi istanti dopo eravamo davanti a Funchal, la capitale dell’Isola, che sembrava mollemente adagiata fra i campi di canne da zucchero e di ignami, fra gli orti più cupi dei nostri alberi europei e i boschetti fantastici della banana dalle foglie gigantesche e vellutate: e intorno intorno si apriva un grande anfiteatro di monti altissimi, vere rupi di giganti: e poi a cornice del quadro, due oceani forse troppo grandi per quel nido d’amori: l’oceano del mare e l’oceano del cielo. E in quel momento non avreste saputo dire quale dei due più s’avvicinasse all’oltre mare o al zaffiro. Son passato tre volte davanti a Madera e sempre sentii prorompere dal petto dei più volgari viaggiatori un grido dell’anima: Perché non ho una casuccia in questo paradiso?». Cfr. Paolo Mantegazza, Un giorno a Madera. Una pagina dell’igiene d’amore, Milano, Casa Editrice Bietti, 1920, pp. 13-14. 24 Cfr. André Castelot, La diplomazia del cinismo, Milano, Rizzoli, 1982. Due isole, due imperatori dei vinti. Infatti, si possono usare le stesse parole di Jacques Bainville, che abbiamo sopra riportato a proposito dell’esilio di Napoleone a Sant’Elena, per spiegare il destino dell’ultimo imperatore d’Austria-Ungheria. Gli inglesi, infatti, esiliando Carlo d’Asburgo - come l’imperatore francese - in una lontana isola, cercavano di sbarazzarsi di un personaggio ingombrante il cui posto non poteva essere in nessun luogo. Erano obbligati a custodirlo. Nessuno lo reclamava, gli altri governi erano felicissimi di lasciare Carlo d’Asburgo all’Inghilterra, ogni altra soluzione presentava inconvenienti o pericoli. Il governo di Londra scelse la relegazione rapida, senza rumore, senza scandalo, evitando soprattutto l’errore di un accusa e di un giudizio di alto livello. Se Napoleone fu lasciato morire su un affreux rocher, Carlo fu condannato in maniera ancora più rapida alla morte: attraverso un’ambigua e colpevole noncuranza. Un giorno, il console d’Inghilterra a Madera disse senza ambagi all’imperatrice Zita che le grandi potenze non solo non avrebbero sostenuto economicamente la coppia imperiale, ma stavano addirittura facendo dei tentativi per impedire l’invio di sussidi da parte dei privati. Questo atteggiamento deplorevole era dettato in realtà dal timore che Carlo, analogamente a quanto aveva fatto il “terribile corso” un secolo prima di lui, riuscisse a escogitare il mezzo di fuggire dall’isola prigione, riportando lo scompiglio sul continente. In questa paura tutta inglese ed europea sulla sorte dei vinti, c’è l’ennesima somiglianza dei tragici destini dei due imperatori. Il 4 maggio 1814, Napoleone veniva esiliato all’isola d’Elba: la fregata Undaunted della Royal Navy gli aveva cortesemente offerto un passaggio, dopo che il 20 aprile 1814 – a Fointanbleau – fu costretto ad abdicare (mentre gli austriaci erano a Versailles, i russi e i prussiani ai confini di Parigi). Attorno all’imperatore anche i più intimi amici gli dissero senza ambagi: “Dovete abdicare maestà, dovete rinunciare al trono!”. Gli alleati rifiutarono la sua richiesta di abdicazione in favore del figlio, re di Roma. Sul trono fu restaurato un Borbone, Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, che arrivò a Parigi lo stesso giorno – 4 maggio – in cui Bonaparte giunse all’Elba. L’artefice di tutto fu Talleyrand, in perfetto accordo con Metternich, con Karl Nesselrode, il ministro russo, e con i tre sovrani. Napoleone considerò l’operato di Talleyrand come un tradimento, ma la vecchia volpe si difese dichiarando di aver posto gli interessi della Francia al di sopra di ogni altra forma di lealtà, a differenza dell’imperatore che Due isole, due imperatori li aveva identificato con i suoi. Ad ogni modo, il tatto e il cinismo di Talleyrand resero un grande servizio alla Francia, assicurandole la possibilità di diventare subito uno dei cinque grandi, insieme a Gran Bretagna, Prussia, Austria e Russia. Carlo d’Asburgo, l’11 novembre 1918, era costretto ad abdicare, ma scelse una forma diversa dall’abdicazione tout court. Entrambi gli imperatori, sebbene sconfitti ed esiliati, trovarono le forze per riconquistare il potere: Napoleone con i Cento Giorni, terminati appunto nella sconfitta di Waterloo; Carlo sviluppò ben due tentativi di riconquistare la corona perduta in due mirabolanti ritorni sul suolo ungherese, che si infransero in una serie di tradimenti ed errori. La differenza tra i “Cento Giorni” dei due imperatori è il prezzo pagato di vite umane: nella riconquista del trono imperiale l’esercito di Napoleone non spara un solo colpo di fucile, ma nella giornata di Waterloo, quasi 200 mila uomini si affrontarono in un fazzoletto di terra di appena quattro chilometri per quattro. I dati più attendibili elencano per l’esercito di Wellington 3500 morti, 3300 dispersi, 10.200 feriti; per i prussiani 1200 morti, 1400 dispersi e 4400 feriti; per l’imperatore francese persero la vita 26.000 soldati. Nei due tentativi di Carlo di riconquistare la corona in Ungheria, benché furono protagonisti due schieramenti armati, ci furono alcuni morti e feriti durante il secondo tentativo. Appena Carlo seppe dei caduti fece immediatamente fermare i suoi uomini, che pur non mancando di coraggio, si dimostrarono incapaci della risolutezza e della capacità d’improvvisazione che sarebbero state essenziali in un’impresa avventurosa come questa. Gli inglesi erano davvero intimoriti da questo coraggioso e giovane imperatore, che avrebbe potuto, analogamente a quanto aveva fatto l’imperatore dei francesi, cambiare le sorti del nuovo assetto dell’Europa voluto dai vincitori; nel 1814 con il Congresso di Vienna; nel 1919 con la Conferenza di Pace a Parigi. Il ministro degli esteri Lord Curzon espresse chiaramente questa preoccupazione nel telegramma personale che inviò il 20 dicembre 1921 a Lord Hardinge, barone di Penshurst, il quale si trovava a Parigi, affinché comunicasse tale allarme agli ambasciatori riuniti nella capitale francese: Sono preoccupato della grave minaccia alla pace nell’Europa centrale, alimentata dal timore che l’ex sovrano abbia la possibilità di scatenare nuovi conflitti. Il pericolo del movimento monarchico in Baviera, ad esempio, pur non Due isole, due imperatori immediato, non è affatto da escludere. Se prendesse corpo, potrebbe essere il segnale per un tentativo di fuga da Madera e le conseguenze sarebbero incalcolabili. 25 Lord Curzon presentava due proposte che la conferenza di Parigi avrebbe dovuto discutere. La prima era di distaccare un ufficiale alleato presso Carlo, «con l’incarico di riferire qualsiasi novità sospetta».26 La seconda era un’eco di Sant’Elena: le potenze dell’Intesa, suggeriva Lord Curzon, avrebbero dovuto annunciare pubblicamente una risoluzione in base alla quale ogni tentativo di Carlo di lasciare Madera «avrebbe imposto automaticamente ai governi alleati l’obbligo di trasferirlo in uno dei loro possedimenti insulari più remoti e di tenervelo definitivamente prigioniero».27 La minaccia contenuta nella seconda proposta fu accettata ufficialmente e resa pubblica parecchie settimane più tardi. Nel frattempo il timore d’una replica dei “Cento Giorni” ebbe l’effetto immediato di privare Carlo del suo più che esiguo seguito e del modestissimo appannaggio. Seguaci fedeli del vecchio tempo, come il conte Revertera e il barone Hye, i quali avevano chiesto di poter raggiungere il loro imperatore a Madera e di condividerne l’esilio, non ottennero i visti necessari per il timore che sull’isola si formasse un movimento monarchico. Il conte e la contessa Hunyady, che accompagnarono a proprie spese l’imperatore a Funchal, non ottennero la proroga del permesso di soggiornare sull’isola, sicché dopo la loro partenza, la “corte” dell’imperatore consistette esclusivamente di Dom João de Almeida, un aristocratico portoghese che in passato aveva prestato servizio militare nell’esercito austroungarico. Perfino lo scarso personale di servizio – un cuoco, una cameriera e una coppia di domestici – dovette attendere fino a Natale l’autorizzazione di trasferirsi a Funchal. A differenza di Napoleone, Carlo non aveva con sé nessuno del vecchio entourage imperiale; l’imperatore era solo con la moglie Zita, incinta di Elisabeth (l’ultima degli otto figli della coppia e l’unica a non essere conosciuta dall’imperatore: nascerà, il 31 maggio 1922, due mesi dopo la morte del padre). In realtà Zita non fu sempre Cfr. Gordon Brook-Shepherd, La tragedia degli ultimi Asburgo, Milano, Rizzoli, 1974, pagg. 402-403. 26 Ivi, pag. 403. 27 Ibid. 25 Due isole, due imperatori vicina a Carlo, suo malgrado: il 12 gennaio 1922 andò in Svizzera per l’operazione del terzogenito Robert. Carlo restò solo a Madera per un lungo mese e solo il 2 febbraio Zita approdò a Funchal, e, con grande gioia del marito, con i bambini (tranne Robert, che guarito, fu riportato a Madera dalla contessa Therese KorffSchmising-Kerssenbrock). Esiste una foto molto commovente di quel momento. Vedendo arrivare sua moglie con i figli, Carlo si precipitò verso i piccoli, li abbracciò, li strinse e li baciò. La foto immortala Carlo che sta portando a terra il piccolo Rodolfo di due anni, tenuto in braccio. Si vede Carlo teso e magro, mentre il figlio lo guarda con stupore e meraviglia. Da quel momento all’imperatore rimarranno solo due mesi di vita… A differenza di Napoleone, Carlo ebbe nella sventura dell’esilio la fortuna d’avere accanto a sé – poco prima di morire - una donna straordinaria, Zita. 2. Carlo a Madera, riecheggiando gli ultimi momenti di Carlo V nel monastero di Yuste. Lo sbarco a Funchal, sulla costa meridionale di Madera (a 32° 37’ 45’’ di latitudine nord e 16° 55’ 20’’ di longitudine ovest) avvenne alle tre del pomeriggio di sabato 19 novembre 1921. Già al mattino gli ufficiali del Cardiff avevano formalmente salutato la coppia in quadrato: «ci avevano offerto lo champagne – scrive Zita nel suo diario – augurandosi di poter ritornare presto, per accoglierci a bordo una seconda volta e ricondurci in patria. Il pomeriggio, al momento dell’addio, erano tutti schierati in coperta e il loro buon comandante appariva assai commosso. Il nostro viaggio è finito». Sul ponte dell’incrociatore, Carlo e Zita contemplano il meraviglioso quadro che l’isola di Madera offre alla loro vista. Sebbene situata a bordo del mare, la città di Funchal è ai piedi di una verde collina, disseminata di case bianche e coronata da una chiesa affiancata da due torri quadrate, la chiesa di Nossa Senhora do Monte. «Guarda là sulla cima - disse Carlo a Zita - una Chiesa! Com’è simile a quelle delle nostre montagne del Tirolo! Ci andremo su quella cima» Due isole, due imperatori Il filmato d’epoca mostra la scena dello sbarco a Madera, alla quale noi possiamo aggiungere dei dettagli che ci sono stati tramandati dai testimoni di quella giornata, arricchendo le immagini in bianco e nero con delle virtuali pennellate di colore. Una piccola imbarcazione, la Corbeia, un battello a vapore, porta il capitano inglese del Cardiff, Maitland-Kirwan, sul molo di Pontinha. Carlo ha un cappello di feltro grigio e indossa un impermeabile giallo. Zita è vestita con un elegante tailleur blu marino e ha il capo coperto da un berretto da viaggio cinto da un nastro rosso. Il console britannico sale a bordo per salutare i sovrani ma non ha con sé alcuna istruzione, può appurare, tuttavia, che l’entourage dell’imperatore è formato solamente dal conte e dalla contessa Hunyady e da due domestici. António Vieira de Castro, finanziere e proprietario del «Reid’s Palace Hotel» (all’epoca, e ancora oggi, il più lussuoso di Madera, allora di proprietà di una società anonima la cui maggioranza degli azionisti è italiana), attende la coppia sul molo, accanto alla sua elegante macchina per portarli a «Vila Vitória», una bella casa situata nell’immenso parco del Reid’s (oggi la casa è difronte al casinò di Funchal e a una piccola statua di Sissi). Joaquim Vieira, che rappresenta il governo portoghese, verifica che le istruzioni siano in accordo con quelle donate dall’ammiragliato inglese. Alla comparsa quasi inaspettata della coppia imperiale a Madera, un piccolo problema si pone: amministrativo, o più correttamente di protocollo, o più semplicemente diplomatico. Alla lettura degli archivi ufficiali portoghesi, si constata che il governatore civile dell’isola non era stato avvisato ufficialmente della venuta dell’imperatore e dell’imperatrice. Il segretario generale del governatore civile di Madera decide di non recarsi all’arrivo della coppia imperiale, trattando gli esiliati come semplici “étrangers de marque”. Nei giornali d’epoca, si dà rilievo, in effetti, all’assenza del governatore.28 Joaquim José de Silva Vieira, amministratore dell’isola e membro del commissariato di polizia, fu inviato come rappresentante del governo per ricevere gli ospiti illustri. D’altro canto, il vecchio governatore di Madera era malato e non era ancora stato sostituito. 28 Cfr. Michel Dugast Rouillé, op. cit., pp. 231-236. Due isole, due imperatori In realtà, la responsabilità dell’esilio dei due sovrani era una prerogativa della Conferenza degli Ambasciatori, che con colpevole noncuranza non ebbe nessuna attenzione verso la coppia, né alcuna preoccupazione, nonostante l’inquietudine sul destino della coppia e l’apprensione per la salute dell’ex imperatore, costantemente giungessero da alcuni ambienti: a Vienna e a Budapest iniziarono a circolare sinistri presagi sulla morte di Carlo. L’unico saluto di benvenuto, come si può osservare nel filmato d’epoca, fu dato dal canonico Homem de Gouveia, rappresentante del vescovo di Madera. Come ricordano i testimoni, egli fu il solo a pronunciare alla coppia, sorridendo, la parola «Willkommen», anziché il portoghese Sede benvindos! Questo piccolo omaggio rassicurò per un momento Carlo e Zita, che salirono immediatamente nell’automobile scoperta di Antonio Vieira de Castro. Il conte e la contessa Hunyady, per quanto ricchi in Ungheria, non potevano permettersi l’aggravio finanziario di un lungo soggiorno in un paese a valuta inglese, e nel dicembre 1921 lasciarono l’isola. Nel gennaio 1922, quando l’imperatrice ritornò in Svizzera per assistere suo figlio Robert malato, Carlo sarebbe rimasto completamente solo se Dom João de Almeida, capo del partito monarchico, non si fosse prestato a fargli compagnia, insieme ad alcuni senhores di Madera, come António Vieira de Castro e Gabriel Lomelino Bianchi. Il 16 novembre, mentre Carlo e Zita erano ancora a bordo del Cardiff a Gibilterra, Lord Curzon attirò l’attenzione della Conferenza degli ambasciatori sull’«importanza di sistemare senza indugio la questione della rendita dell’ex imperatore Carlo».29 Una somma annuale di 500.000 franchi d’oro o di 20.000 sterline (allora una considerevole quantità di denaro) venne giudicata appropriata, e gli inglesi fecero pressione invano per ottenere un anticipo immediato da concordarsi, facendo notare che Carlo sarebbe arrivato a Madera entro pochi giorni. Ma non si vide alcun anticipo né subito né mai. La prima proposta fu che i cosiddetti “Stati eredi” – Polonia, Yugoslavia, Cecoslovacchia e Romania – avrebbero dovuto pagare ciascuno una parte uguale di tale sovvenzione, poiché essi si erano formati in parte o interamente a spese dei territori della vecchia Cfr. Al Public Records Office il volume «Documenti sulla politica estera della Gran Bretagna», Vol. 22, N. 528. 29 Due isole, due imperatori monarchia. Dietro le direttive di Curzon gli inviati britannici in tutte e quattro le capitali fecero una forte pressione affinché questa condizione venisse accettata. A Praga, gli inglesi fecero osservare, ad esempio, che la nuova entità statale, la Cecoslovacchia, aveva beneficiato enormemente della confisca delle proprietà statali austriache e anche di quelle personali degli Asburgo, e che la rendita derivante da una qualsiasi di queste era minore del contributo annuale proposto. Il ministro Beneš, tuttavia, al quale furono esposte queste argomentazioni il 22 novembre, replicò che per una tale richiesta non c’era una base né giuridica né politica.30 Aggiunse che, secondo le sue informazioni, l’ex imperatore era già abbastanza ricco. A uno a uno gli altri tre governi ne seguirono l’esempio, e solo i romeni mostrarono qualche segno di partecipazione. Dalla Conferenza degli Ambasciatori non fu deciso nessun “appannaggio”, che tale non poteva essere, perché come notò Zita nel suo diario, si trattava del «sostentamento obbligatorio del prigioniero da parte di quelli che lo tengono imprigionato». Gli alleati sostennero sempre, atraverso la stampa e anche nei notiziari radio, che a Carlo e Zita era ormai toccato un “appannaggio”, evidentemente per bloccare eventuali gesti di generosità e far sembrare superfluo ogni aiuto in denaro. Sempre nel suo diario, Zita racconta che pochi giorni dopo il loro arrivo a Madera, il console britannico aveva recapitato un messaggio a Carlo. In esso si affermava che se Carlo avesse abdicato, gli sarebbero stati rimborsati i beni confiscati negli Stati dell’ex impero e l’Inghilterra in aggiunta si sarebbe occupata di lui. In caso contrario, sarebbe rimasto senza appannaggio e qualsiasi aiuto sarebbe cessato. La risposta di Carlo fu: «Riferite a quei signori che la mia corona non è in vendita». Il 21 novembre, Lord Curzon tentò di lanciare un disperato programma di emergenza a favore di Carlo, coinvolgendo la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e il Giappone, in quanto maggiori potenze vincitrici della guerra. Queste potenze avrebbero dovuto contribuire con una somma divisa in parti uguali per il mantenimento dell’esule a Madera. Non era una mossa dettata dalla pietà o dalla generosità; il Lord immaginava uno scenario politico concreto e avrebbe voluto allontanare dall’Europa centrale il 30 Ibid., N. 540. Due isole, due imperatori fantasma dell’ex imperatore. In pace come in guerra, era l’elemento germanico che agli occhi di Londra gettava un’ombra su tutto quello che riguardava l’equazione austriaca: in particolare il pericolo paventato da Curzon nel caso di un altro tentativo di restaurazione asburgico. Se a Carlo fosse stato concesso un appannaggio confacente, continuava il ragionamento, era più probabile che l’ex imperatore si sistemasse pacificamente con la sua famiglia piuttosto che imbarcarsi in nuove avventure. Di fatto, il 1° dicembre, il ministro del tesoro, bocciò la proposta di Curzon. I francesi e gli italiani, dal canto loro, fecero orecchie da mercante; e quando la questione venne posta ai giapponesi, questi si limitarono a sorridere.31 Per dirla con Jacques Bainville: «la fraternità delle democrazie si ferma alla borsa».32 D’altro canto, come abbiamo rilevato, Lord Curzon non era la persona giusta per fornire un aiuto concreto alla coppia imperiale. Inoltre, come ricorda Karl Werkmann, le potenze vincitrici avevano promesso agli Stati nati dalla dissoluzione dell’AustriaUngheria tutti i beni degli Asburgo e, quando l’imperatore fu nelle loro mani, presero una vergognosa deliberazione, divulgata dall’Agenzia Havas il 16 novembre 1921: la Conferenza degli Ambasciatori si difendeva dal «probabile rimprovero di aver già deciso l’importo e la suddivisione delle spese di mantenimento dell’imperatore: erano state prese in considerazione soltanto le condizioni nelle quali potrebbe venire assicurata la vita del re Carlo e della sua famiglia. In queste pagine non deve essere pubblicata l’irritante discussione attorno all’obbligo di non pagare». Basta la constatazione che gli Ambasciatori “riflettevano” ancora a Parigi quando colui al quale essi dovevano assicurare il mantenimento era già morto.33 L’imperatore Carlo arrivò a Madera sfinito ed ammalato. Per settimane la coppia imperiale era passata da un treno all’altro, da Cfr. Gordon Brook-Shepherd, L’ultima imperatrice, Milano, Rizzoli, 1992, pag. 248. 32 Il 6 aprile 1922, Jacques Bainville annota nel suo diario: «Le monde est entré dans une phase d’égoïsme qui contraste singulièrement avec la grandiloquence de la période de guerre, où l’on avait besoin les uns des autres. La fraternité des démocraties s’arrête à la bourse». Cfr. Jacques Bainville, Journal (1919-1926), tome deuxième, Paris, Plon, 1949, pag. 128. 33 Cfr. Karl Werkmann, Der Tote auf Madeira, op. cit. pag. 222. 31 Due isole, due imperatori un bastimento all’altro. Era stato loro asilo un vagone sporco, un monitore del Danubio, un guscio di noce, e un piccolo incrociatore che non era stato arredato per accogliere passeggeri. A Funchal le cose andarono meglio, anche per l’intervento del vescovo di Madera, Antonio Emanuele Pereira Ribeiro.34 La popolazione di Funchal fu conquistata dalla semplicità dell’imperatore Carlo, come testimoniano due personalità della città: il Dr Machado dos Santos e il banchiere Luiz da Rocha Machado.35 Ci si commuove a leggere il diario dell’imperatore. Egli commenta ogni giorno i fatti della politica internazionale ed esulta, nella solitudine, in assenza dei figli e della moglie, per piccole gioie, come quando riceve un nuovo volume delle avventure di Sherlock Holmes.36 Uno dei suoi persecutori, «il distruttore dell’Austria-Ungheria», si reca a Madeira, quasi per sincerarsi che l’ultimo imperatore, la sua vittima, sia assicurata all’esilio voluto dalle potenze vincitrici. È Philippe Berthelot, come riporta il giornale di Funchal, Diario da Madeira, il 22 gennaio 1922. Se n’accorge anche Carlo che annota il passaggio del diplomatico francese sul suo diario.37 Il 25 novembre 1921, dal Vaticano, il segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, scriveva al vescovo di Madera: «Mi è grato significare a Vostra Signoria Illustrissima che la Santa Sede ha appreso con piacere la notizia delle premure da Lei usate nel procurare personalmente all’imperatore Carlo e alla sua Augusta consorte i conforti religiosi tanto ad essi necessari nell’esilio. Voglia continuare in seguito ad usar ogni attenzione verso gli ex-sovrani affinché siano a loro disposizione tutti quei mezzi spirituali di cui la nostra santa religione ridonda specialmente a consolazione di coloro che sono nell’avversità. Vedo con piacere che Ella, per esercitare con tutta libertà tale sua missione religiosa, si è astenuta da ogni affermazione politica, e voglio sperare che in tale atteggiamento Ella si manterrà in avvenire anche in vista della difficile situazione interna portoghese.» Cfr. Kovàcs, Elisabeth, Untergang oder Rettung der Donaumonarchie? Band 2: Politische Dokumente aus internationalen Archiven, Bohlau Verlag, Wien, 2004, p. 811. 35 Cfr. Joseph Delabays, Destino trágico dum monarca pacífico. O Imperador-Rei Carlos da Áustria-Hungria (1887-1922), Lisboa, Edições Gama, 1947, pp. 259-260. 36 Tagebuchaufzeichnungen Kaiser und König Karls von 1921/22. 26 Jänner 1922. «Die Gräfin brachte das langersehnte Lysoform mit und, oh Freude, einen neuen Sherlock Holmes und zwei historische Bücher. Ich glaube, nach all der vielen geistigen Arbeit der letzen Zeit habe ich einen Sherlock verdient». 37 Tagebuchaufzeichnungen Kaiser und König Karls von 1921/22. 22 Jänner 1922. 34 Due isole, due imperatori Carlo sapeva che il suo persecutore era il capo del dipartimento politico al Quai d’Orsay? Colui che mantenne la sua carica sotto il governo Briand e dal 1917 sotto quello di Clemenceau? Colui che vide fallire i tentativi di pace di Carlo durante la Prima guerra mondiale e i due tentativi di restaurazione in Ungheria nel 1921? L’ultimo imperatore, che secondo Jacques Bainville, era «nato per la politica»,38 sicuramente era al corrente dell’importanza che Berthelot aveva assunto nella politica francese da Clemenceau a Millerand. Se Carlo commise degli errori durante la Grande guerra e durante i due tentativi di restaurazione fu di affidarsi direttamente agli inetti capi di Stato europei (la stessa cosa fece il cognato Sisto, che discusse con i reali inglesi e altri capi di Stato per il celebre tentativo di pace separata dell’Austria) e non alle eminenze grigie, ai potenti funzionari di Stato alla maniera di Berthelot. Così fu inutile, ad esempio durante l’offerta austriaca di pace, avere una dichiarazione del re spagnolo Alfonso XIII al generale Denvignes, attaché militare francese a Madrid.39 Berthelot disse a Beneš, a proposito della distruzione dell’impero asburgico: «Oggi operano forze mondiali e potenze del destino, che gli uomini non riescono più a dominare!».40 Ed era lo stesso Berthelot a farne parte. E fu proprio il funzionario francese, insieme ai vari Beneš, Masaryk e Balfour, a decidere di far esplodere l’Austria-Ungheria. Aspetto da sottolineare, considerando che ancora nel 1918, il presidente americano Woodrow Wilson e il primo ministro inglese Lloyd George pensavano di salvare l’impero degli Asburgo. Così, al momento del famoso discorso dei 14 punti davanti alle due camere riunite del Congresso, Wilson propose uno «sviluppo autonomo dei popoli dell’Austria-Ungheria» e non una indipendenza dall’impero, che era uno Stato e non una nazione. L’Austria-Ungheria, insomma, era una certezza, come lo era la forza ottomana, ingiustamente considerata un «accampamento sul suolo europeo». «Heute ist der « S. Miguel » angekommen, Mit Berthelot und seiner Frau an Bord, er soll nach Azoren fahren, um auf dem Grabe Gefallener einen Kranz niederzulegen und nach dem « Diario » soll er dann auf einige Tage herkommen». 38 Cfr. Cristophe Dickès, Jacques Bainville. Les lois de la politique étrangère, Clamecy, Bernard Giovanangeli Éditeur, 2008, p. 139. 39 Cfr. Victor Margueritte, Aristide Briand, Paris, Ernest Flammarion, 1932, p.186. 40 Cfr. Glaise Horstenau, Il crollo di un impero, Milano, S.A. Fratelli Treves editori, 1935, p. 264. Due isole, due imperatori La salvezza dell’impero asburgico e di quello ottomano era espressa il 5 gennaio 1918 da un discorso del primo ministro inglese. Ma le eminenze grigie della diplomazia mondiale, le «potenze del destino», avevano già programmato la fine dell’Austria-Ungheria e anche quella dell’impero ottomano. Berthelot, infatti, aveva redatto un testo nel 1917 in questo senso, come si può leggere in documenti d’archivio.41 Berthelot, dopo il governo Clemenceau, diventò «Secrétaire général du Quai d’Orsay», dove non cesserà d’agire in maniera nefasta sui destini d’Europa. A Madera, la povertà dell’ultimo imperatore commuove Luiz da Rocha Machado, che offre all’imperatore e alla sua numerosa famiglia la Quinta do Monte, in alto sulla collina, a due passi dalla chiesa che Carlo ama, Nossa Senhora do Monte. L’ultimo pagamento di Carlo per la sua lunga residenza alla «Vila Vitória» è costituito dal suo prezioso orologio d’oro e diamanti (oggi conservato a Funchal nel Museu da Quinta das Cruzes). L’ultima dimora dell’imperatore, la Quinta do Monte, è una elegante villa per viverci d’estate, ma inadatta per il periodo invernale, mancando di riscaldamento. La situazione era così descritta da una cameriera austriaca arrivata a Funchal alla fine di dicembre: La casa è così umida che tutto sa di muffa e i vetri sono sempre appannati. Gli unici mezzi di comunicazione sono le automobili e i carri tirati dai buoi che noi non ci possiamo permettere, oppure una cremagliera che non fa servizio tutti i giorni. Per andare a piedi a Funchal e tornare quassù ci vuole tutta una giornata […]. Abbiamo fame. Se almeno conoscessimo qualcuno che ha un po’ d’influenza presso l’Intesa in maniera che le Loro Maestà potessero prendere in affitto una casa adatta! Dovrebbero ricevere i mezzi sufficienti per poter condurre una vita decente. Qui mancano tutti i momenti le cose necessarie per vivere.42 L’autore ha potuto consultare sull’ultimo imperatore e l’Austria-Ungheria i seguenti documenti agli «Archives du Quai d’Orsay», ordinati alla perfezione nella vecchia sede degli Archives diplomatique e in quello attuale nel nuovo edificio moderno e funzionale nel quartiere popolare di La Courneuve: Briand, MAE, PA. AP, 335, Vol. 4-7-8. Berthelot Philippe, MAE., PA. AP 10, Vol 10-15. Paleologue Maurice, MAE, PA. AP, 133, Vol 3-5. Poincaré Raymond, MAE, PA. AP, 224, Vol. 1-2. Philippe Berthelot redasse la nota dell’Intesa, pubblicata il 10 gennaio 1917, in risposta ai primi tentativi di pace, dopo una lunga corrispondenza tra la diplomazia britannica e quella italiana e un primo progetto di risposta redatto da Pierre de Margerie. 42 Cfr. Gordon Brook-Shepherd, La tragedia degli ultimi Asburgo, cit., p. 409. 41 Due isole, due imperatori Questa descrizione drammatica corrisponde alla triste verità. Abbiamo provato a Madera a discendere la strada da Monte a Funchal in una calda giornata estiva. Ci vogliono almeno cinque ore. Ora il turista dell’isola si può servire per la discesa di comodi mezzi di trasporto; un secolo fa, pochi si potevano permettere una comoda salita o discesa, costeggiando il Caminho-de-ferro do Monte, con oziosi mezzi di trasporto, tipo: una portantina-amaca o un carretto di vimini trainato, come oggi, da due robusti uomini di Madera. Il 9 marzo 1922, Carlo uscì dalla Quinta do Monte con i figli Otto e Adelaide per scendere a Funchal. Una “gita”, andata e ritorno a piedi, per comperare qualche giocattolo per il piccolo Carlo Ludovico, che il giorno successivo avrebbe compiuto quattro anni. L’imperatore non prese il soprabito poiché a Funchal, come sempre, splendeva il sole. Al ritorno, però, Carlo e i bambini trovarono la solita fitta nebbia fredda che si addensava attorno alla vegetazione di Monte. Tutti si ammalarono, ma Carlo, che diceva di badare al centesimo e di non spendere inutilmente i soldi, non volle essere visitato da un medico. La situazione si aggravò, la polmonite ebbe il sopravvento sull’indebolito corpo dell’imperatore. Il 21 marzo, quando un primo medico visitò Carlo, un polmone era già in cattive condizioni. Fu una lunga e penosa agonia, in quanto nel 1922 non esistevano gli antibiotici che avrebbero consentito al malato di superare la malattia; i medici accorsi per curare l’imperatore utilizzarono metodi dolorosi, come iniezioni di essenza di trementina agli arti inferiori, iniezioni di canfora e caffeina e applicazione di ventose sulla schiena. Tutto fu inutile, Carlo morì il 1° aprile 1922, a mezzogiorno e ventitré minuti.43 Alla mani ha un crocifisso e sul petto il Toson d’oro. Morì riecheggiando gli ultimi momenti di Carlo V e Filippo II, guardando dal letto attraverso una porta aperta la messa che veniva celebrata nella sala adiacente. E come Carlo V, nel monastero di Yuste, egli chiese i sacramenti una seconda volta prima di morire, e forse per lo stesso motivo.44 «Kaiser und König Karl verschied am . April 12 Uhr 23 Minuten mittags in Monte auf Madera». Cfr. Karl Werkmann, Ivi, p. 310. 44 Carlo V morì a Yuste il 21 settembre 1558. Come nota il suo biografo JeanMichel Sallmann «poiché niente può avvenire per caso agli uomini di cui Dio ha segnato il destino, Carlo V moriva il giorno di San Matteo, suo santo protettore» (Cfr. Jean-Michel Sallmann, Carlo V, Milano, Bompiani, 2000, pag. 381). Carlo V, 43 Due isole, due imperatori Otto rammentò in seguito la tragica fine del padre: A Madera, nelle ultime settimane prima della malattia dell’imperatore ho potuto trascorrere molto tempo con mio padre. Era un uomo che amava il movimento e faceva passeggiate di ore assieme a me, spesso ci accompagnava anche mia sorella Adelheid. Il 1° aprile 1922, il giorno della sua morte, mi fece chiamare a sé da mia madre. Mi ricordo molto chiaramente questa immagine: il vestito rosa di lei, i fiori in giardino, la splendida giornata, ricordo come mia madre si avvicinò con quel vestito chiaro e disse che mio padre mi chiamava. Dovevo vedere come muore un cristiano. Ed è così che è morto. 45 A parte l’autorevole The New York Times la stampa internazionale dedicò poco spazio alla notizia della morte di Carlo. In Italia, addirittura si dubitò della sua morte. Il Sole, Domenica 2 aprile 1922, conteneva sulla prima pagina la seguente notizia: L’ex imperatore Carlo d’Absburgo sarebbe morto, secondo una notizia dell’ultima ora da Funchal. Mancano conferme ufficiali, che conviene attendere, poiché a varie riprese, negli scorsi giorni, si diffusero notizie della morte di Carlo I, che poi vennero smentite. Come è noto egli fu colpito, e pure i figli, da un attacco di influenza. In seguito ad un telegramma dell’ex-imperatrice Zita, ieri l’altro si iniziarono a Vienna e a Budapest dei servizi religiosi. Ieri, in quest’ultima città, in seguito a una falsa notizia che annunciava la morte di Carlo, le autorità municipali diedero l’ordine perché le bandiere fossero inalberate a mezz’asta, le scuole fossero chiuse e che per una giornata fosse dichiarato il lutto nazionale. come ricorda l’arcivescovo di Toledo che era presente alla sua morte, si fece donare il crocifisso che aveva l’imperatrice al momento del suo trapasso, lo portò alla sua bocca e lo strinse sul petto, morì pronunciando il nome di Gesù (Cfr. M. Mignet, Charles-Quint son abdication son séjour et sa mort au monastère de Yuste, Paris, Didier, 1857, pp. 440-441). Anche lo storico americano William Hickling Prescott, che volle completare la grandiosa opera dello scozzese William Robertson su Carlo V, dedicò un bellissimo saggio sugli ultimi anni dell’imperatore, ricordando la sua morte in pagine toccanti, riportando il suo desiderio di ricevere l’eucaristia anche dopo aver ricevuto l’estrema unzione (Cfr. William H. Prescott, Gli ultimi anni di Carlo V, Palermo, Sellerio, 1978, p. 173). Anche Karl Brandi si sofferma sulla morte (Cfr. Karl Brandi, Carlo V, Torino, Giulio Einaudi editore, 1960, pp. 638-639). Lo storico italiano Pierpaolo Merlin nota: «il corpo di Carlo venne sepolto a Yuste e restò sotto l’altare della piccola chiesa conventuale fino al 1574, quando fu solennemente trasportato nel palazzo-monastero di San Lorenzo del Escorial, che Filippo II aveva destinato a Pantheon degli Asburgo di Spagna» (Cfr. Pierpaolo Merlin, La forza e la fede. Vita di Carlo V, Bari, Laterza, 2004, pp. 380-81). Otto von Habsburg, il figlio dell’ultimo imperatore Carlo d’Austria, ha dedicato alla figura di Carlo V una importante biografia (Cfr.Karl V. Kaiser für Europa, Wien-München, Amalthea, 1990, tradotta in italiano dall’editore ECIG di Genova nel 1993). 45 Cfr. Erich Feigl, Otto von Habsburg. Profil eines Lebens, Wien-München, 1992, pp. 21-22. Due isole, due imperatori Addirittura nei giorni successivi è raro trovare una conferma della morte di Carlo sui giornali italiani. Il Sole, finalmente, Venerdì 7 aprile 1922, riporta in prima pagina: Il cuore dell’ex-Re Carlo è stato trasportato a bordo di un vapore, che lo porterà in Austria. Si ha da Vienna, che i cristiano-sociali austriaci avevano deciso di esprimere pubblicamente nella seduta del “Bundestrat” il loro cordoglio personale per la morte dell’ex-Imperatore Carlo, ma in seguito all’opposizione dei socialisti e dei pangermanisti la manifestazione non ha avuto luogo. L’ex-generalissimo dell’esercito austriaco, Von Arz, ha partecipato con tutti gli ufficiali alla messa funebre celebrata ieri in memoria del defunto ex-Imperatore nella Cattedrale di S. Stefano. In Francia, L’Humanité, Dimanche 2 avril 1922, titolava una breve nota «Mort de Charles de Habsbourg»: Charles de Habsbourg est mort hier à Funchal (île de Madère). Né en 1887, il avait succédé à François-Joseph sur le trône d’Autriche-Hongrie, en novembre 1916, et avait été renversé par la révolution en novembre 1918. Il avait, comme on le sait, de nombreuses complicité dans le monde conservateur et militaire français. Il 2 aprile, Jacques Bainville osservò amaramente nel suo diario: Oggi un Asburgo muore di povertà e Guglielmo II - assicurato all’ultimo castigo per divertire i curiosi - vive in una pensione dorata. Nessuno ha impedito ai suoi fedeli di rendergli i suoi beni. La sua persona è salva e la sua fortuna al sicuro. Ma contro Carlo d’Asburgo, tutto era permesso. Il “gentiluomo europeo” ignorò le precauzioni che un Hohenzollern non aveva mancato di prendere. Egli non aveva messo dei soldi da parte in Olanda o in Canada. A lui, non si è lasciato nulla per vivere - letteralmente.46 «Au siècle dernier, une génération qui n’est pas tout à fait éteinte illuminait lorsque l’empereur d’Autriche était battu par le roi de Prusse. Aujourd’hui un Habsbourg meurt de pauvreté et Guillaume II – promis au dernier châtiment pour amuser les badauds – vit dans une retraite dorée. Personne n’a empêché ses fideles sujets de lui rendre ses biens. Sa personne est sauve et sa fortune à l’abri. Mais contre Charles de Habsbourg, tout était bon. Le «gentilhomme européen» ignorait les précautions qu’un Hohenzollern n’avait pas manqué de prendre. Il n’avait pas mis d’argent de coté en Hollande ou au Canada. On ne lui a pas laissé de quoi vivre – littéralement. L’épouvantable goujaterie est tout entière dans cette comparaison entre Guillaume II et Charles Ier. Phénomène nouveau chez les Français, presque toujours chevaleresques. Comment l’expliquer ? Par le romantisme austrophobe… Nous avons dit assez ce que nous pensions de la politique de l’empereur Charles, toute intentions et en velléités. Nous avons dit les fautes qu’il avait commises : garder Czernin au moment de tenter une paix séparée avec nous, tomber dans le piège de Bénès en essayant à contre-temps de 46 Due isole, due imperatori Il 5 aprile 1922 Carlo fu sepolto a Funchal, nella Chiesa di Nossa Senhora do Monte, dove ancora riposa. Una lapide di marmo è sulla parete sinistra della Chiesa, prima dell’ingresso alla tomba. In lettere d’oro si trova la seguente iscrizione: Carolus I.D.G. Austriae Imperator, Bohemiae Rex, etc. etc. etc. Apostlicus Rex Ungariae, nomine IV, Natus Persenbeug, XVII – VIII – MDCCCLXXXVII, Mortuus Madeira, I – IV – MDCMXXII, Adorans S.S. Sacramentum praesens Dicens : «Fiat voluntas tua». Il suo cuore, prelevato dal dottor Machado dos Santos, fu riposto in un’urna che Zita porterà con sé, facendo ricordare l’epoca e le peregrinazioni di Giovanna la Pazza. Durante il lungo processo di beatificazione, il corpo di Carlo è stato riesumato. Precisamente il 1° aprile 1972, quando si è effettuata la cosiddetta “ricognizione del corpo”. L’apertura della tomba di Carlo è avvenuta in presenza di Otto, Rodolfo e Carlo Ludovico, che ebbero l’occasione di constatare che il corpo di loro padre era intatto.47 Finalmente, nel 1975, il cuore di Carlo trovò una sua collocazione nella cripta di famiglia nel convento di Muri, in Svizzera, dove sono sepolti i primi Asburgo. rependre son trône de Hongrie. Il n’en est pas moins vrai qu’à coté de lui l’impératrice était à demi française, que deux de ses beaux-frères avaient servi chez nous, qu’il avait conçu, s’il l’a mal exécutée, la manœuvre qui devait le séparer de l’Allemagne. Allez donc en dire autant de la famille de Guillaume ! Inégal peut-être à sa tache et à son destin, Charles Ier restera dans l’Histoire sous le signe : « J’aurais pu être. » Mais que de choses auraient pu être aussi pour nous. Le jour où meurt ce Habsbourg dans une misère indigne de ses ennemis les plus bas, Wirth et Rathenau, plus « ménagés » que ne l’a été l’empereur Charles, nous bravent ouvertement. Et le Temps peut écrire qu’en Allemagne « la guerre de revanche est déjà dans les cœurs ». Telle est l’Europe que nous ont faite un préjugé, celui de l’unité allemande, et un sentiment rétrograde, vieux comme Charles Quint : l’austrophobie». Cfr. Jacques Bainville, Cit., pp. 127-128. 47 Si vedano, a proposito, gli articoli del Jornal da Madeira del 2 aprile 1972: “Comemoraçoes do cinquenteràrio da morte do Imperador Carlo de Austria” e “Cerimònia religiosa apòs a exumação”. Due isole, due imperatori Il 19 maggio 1922, la vedova e i figli dell’Imperatore furono imbarcati sulla nave passeggeri Infanta Isabel de Bourbon destinazione Cadice. Da qui vennero trasferiti in treno a Madrid, dove giunsero il 23 maggio e rimasero fino all’estate. Il 31 maggio 1922, Zita diede alla luce l’ultima figlia, Elisabeth. Otto ha quasi dieci anni. In base alle regole della famiglia Asburgo, secondo la patente di Francesco II, ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, dell’11 agosto 1804, il capofamiglia Asburgo porta il titolo di imperatore, non importa se e dove regni. Per la famiglia, per gli ambienti monarchici e legittimisti, Otto è il nuovo sovrano Asburgo. Zita, soprattutto, è la custode della tradizione: aveva promesso al marito morente di educare Otto come imperatore. Il pomeriggio del giorno del funerale prese da parte il primogenito di nove anni e gli disse: «Adesso la responsabilità è tua. Devi vivere alla sua altezza».48 Il nuovo rapporto tra la madre e il figlio, il desiderio espresso sul letto di morte dal padre, così come il tranquillo impegno di continuità assunto di fronte a quel letto, tutto ciò viene colto in una fotografia in cui i personaggi sono messi accuratamente in posa, scattata subito dopo il suo funerale. Zita, in lutto stretto, fissa lo sguardo sul figlio maggiore, e con il braccio destro gli cinge in modo protettivo il braccio destro. Il volto di lei è girato di lato. Ma il ragazzo, vestito anch’egli di nero, fissa direttamente l’obiettivo della macchina fotografica, lo sguardo è malinconico, ma è come se si fosse già assunto quella responsabilità di cui la madre gli aveva parlato. Infatti fu su istruzioni di Zita che, da quel momento in poi, la famiglia dovette rivolgersi a lui con il titolo di “Vostra Maestà”. 48 Cfr. Karl Werkmann, Der Tote auf Madeira, cit., pag. 310.