Ipotizzare il periodo: sintassi di un pranzo parolibero

Paolo Fabbri
Ipotizzare il periodo: sintassi
di un pranzo parolibero
Andare. Leggerezza. Masticare l’infinito.
Marinetti e Fillia
Pranzo aeropoetico futurista
1. Un futurismo semio-libero
Noti specialisti del Futurismo affermano che, da un punto di vista
teorico, sappiamo ogni cosa della nostra secolare avanguardia.
Tutto quello che possiamo fare è aggiungere informazioni fattuali,
varianti adiafore delle conoscenze accumulate e dei valori sanciti
(Belli 2007). Per un semiologo, questa pretesa è un segno di resa:
termine che denota resoconto e rendiconto, ma anche rinuncia e
ritiro. Una scomoda beatitudine: l’avanguardia futurista è un classico che non finisce di dire quel che ha da dirci e noi rischiamo
sempre di smarrire i segnalibri.
C’è sempre tempo per declinare la ricerca. È il tempo che vuol
prendere questo convegno, per prestare evidenziare e problematizzare le radicali innovazioni futuriste nella substruzione e ricostruzione degli universi vitali e culturali. Quelle che oggi in aero-
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nautica, con un termine che sarebbe piaciuto a Marinetti (FTM) e
Azari, vengono chiamate “turbolenze in aria chiara”, per forza d’
impatto e difficoltà di reperimento.
La semiotica, dal canto suo, non è incline a operare detrazioni
concettuali ideologiche o politiche o restringimenti di campo – il
letterario o il figurativo: vorrebbe collaborare allo “sviluppo sostenibile” di una riflessione generale sul Futurismo. In primo luogo
col difendere le proprie ipotesi nel testo e non dal testo. Contro le
critiche irascibili, i giudizi sommari e i processi per direttissima, il
metodo semiotico si affida al microscopio critico piuttosto che alle
sintesi telescopiche. E vorrebbe, all’occasione, interrogare il proprio ruolo nello sviluppo contemporaneo della linguistica e della
filosofia.
Il suo lungo silenzio è dovuto, oltre al diniego politico, a un problema di rompicapo all’ interno al proprio paradigma. Roman
Jakobson, uno del maggiori linguisti di un secolo a cui appartengono Saussure e FTM , ha vissuto intensamente l’esperienza del
Futurismo e ha dato, del suo fondatore, una valutazione drastica.
Per il giovane Jakobson, con i principi teorici pronunciati da FTM
non si poteva far poesia, ma solo reportage. Un pre-giudizio da attribuire alla valorizzazione comparativa del Futurismo russo e alla
scarsa conoscenza dell’attività letteraria di Marinetti nonchè degli
esperimenti verbo-visivi delle tavole parolibere. Uno sbrigativo
verdetto che ha assecondato il discredito europeo del Futurismo e
inibito le indagini linguistiche e semiotiche. Una situazione paradossale, tenuto conto del risalto dato dai futuristi alla grammatica
e alla semiotica della poesia, che è il contributo saliente di Jakobson alla scuola strutturale.
Vorremmo invece dimostrare che la riflessione di FTM e della corrente futurista pone domande e avanza risposte qualitative nel campo semantico, grammaticale e testuale e in sistemi di segni dalle diverse forme e sostanze espressive. Non si tratta di proposizioni
scientifiche, ma di presentimenti di forma – «intuizioni quasi inafferrabili» (FTM) – che portano sulle parti del discorso, come nomi,
verbi, aggettivi e avverbi. Una linguistica connotativa da esplicitare.
I principi poetici paroliberi intendevano valere anche per tutti gli
altri linguaggi espressivi della forma di vita futurista: per la pittura
e la moda, per la musica e il design, per la danza e il cinema. Un
semio-liberismo che avrebbe incontrato l’assenso di R. Jakobson
per cui ad esempio, «La giustapposizione di concetti grammaticali
può essere paragonata al” montaggio dinamico” in cinematografia»1.
1 — Per il montaggio cinematografico delle frasi v. Jakobson 1985.
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Per i futuristi infatti le lingue naturali e il mondo naturale, sono i
luoghi dove si manifestano «complessi plastici», paradigmi espressivi, consolidati. Compito delle avanguardie è riconfigurare questi
composti astratti, soggiacenti della “pelle” sensibile delle cose e
attraverso schemi percettivi ricombinanti, creare «accordi simultanei» tra elementi. E con effetti inusitati, rallegrare un universo futuristicamente ricostruito. Un contributo semiotico che non si applica, ma si implica nelle sperimentazioni poetiche della cucina
futurista, dove l’analogia tra linguaggio e dimensione sensibile invitano a una deformazione del periodare passatista del gusto, a
una estesia “antigraziosa” e alla anticipazione di una nuova armonia del senso e dei sensi.
2. La formula di un pranzo
Il Pranzo parolibero primaverile (PPP – Fig. 1), che appartiene alla
raccolta di Marinetti e Fillia del 1932, è un testo che esemplifica
queste proprietà. Definito da FTM una «formula», è un racconto
«istruttivo» – o il pastiche – della preparazione, esecuzione e consumo di una colazione primaverile tra giovani futuristi, in preda
ad «ansietà letteraria ed erotica». Una sequenza «sinottico-singustativa» che comprende peperoni all’olio di fegato di merluzzo, aglio
alla rosa, tortellini in brodo e fragole al vino. Il tutto seguito da
bicarbonato di sodio. La preparazione e la degustazione instaura
dapprima rapporti “fantastici” tra un paradigma di ingredienti
“equidistanti”: «peperoni, aglio, petali di rose, bicarbonato di soda,
ba- nane sbucciate e olio di fegato di merluzzo». E prevede successivamente un consumo personalizzato delle fragole al grignolino. La
prima parte del pranzo è destinata a placare l’ansia, la seconda a
ovviare al tedio e alla monotonia.
L’attenzione del semiologo è attratta in primo luogo da un dispositivo retorico. Il paradigma degli ingredienti si attualizza nel parallelismo di due metafore. Un’originale proporzione tra due termini,
con le loro connotazioni simboliche: un «rapporto metaforico inusitato tra i peperoni, simbolo di forza campestre, e l’olio di fegato di
merluzzo, simbolo di mari nordici feroci e necessità curative di polmoni malati». Poi tra l’aglio, simbolo della prosa, e la rosa, simbolo della poesia. «Formeranno subito un rapporto metaforico inusitato tra i peperoni, simbolo di forza campestre, e l’olio di fegato di
merluzzo, simbolo di mari nordici feroci e necessità curative di polmoni malati. Provino allora a intingere il peperone nell’olio di fegato di merluzzo. Ogni spicchio di aglio sarà intanto accuratamente avvolto in petali di rosa dalle dita stesse dei tre convitati, che si distrarranno così ad accoppiare poesia – i petali di rosa – e prosa – l’aglio».
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Fig. 1. Pranzo parolibero futurista, in F. T. Marinetti e Fillia, La cucina futurista,1932.
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l secondo attrattore testuale si trova nell’ ultima frase della prima
parte che ci richiede una diversione grammaticale: «Il bicarbonato
di sodio a disposizione costituirà il verbo all’infinito di tutti i problemi alimentari e digestivi». Il paragrafo conclusivo per contro si
conclude con la pronuncia collettiva di «alte parole in libertà fuori
da ogni logica e direttamente espresse dai nervi», seguite da rumorismi astratti, grida animalesche frammiste ad «aggettivi illuminanti»
e «verbi chiusi tra due punti»:
Alla fine ci sarà una grande bacinella piena di fragole nuotanti in
grignolino zuccherato che i giovani, con alte parole in libertà
fuori da ogni logica e direttamente espresse dai nervi, scodellano
sulle teste, dove si può così mangiare leccare bere smacchiarsi
rissando sulla tavola con aggettivi illuminanti verbi chiusi tra
due punti rumorismi astratti grida animalesche che sedurranno
tutte le bestie della primavera ruminanti russanti borbottanti
fischianti raglianti e cinguettanti in giro.
3.1. Grammatiche futuriste
La riflessione sugli aggettivi e sui verbi, in particolare all’Infinitivo,
è parte del progetto poetico marinettiano della distruzione e ricostruzione della grammatica. Lo stesso gesto con cui Nietsche richiedeva al pensiero di liberarsi dalle superstizioni della sintassi.
Nei Manifesti letterari dal ’12 al ’14, FTM disponeva un piano di
evasione dal periodare classico il quale, per lui, nonostante la testa
previdente, era senz’ali e coi piedi piatti, cioè incapace di correre e
soprattutto di volare.
È noto che i futuristi, in teoria e in pratica avanzavano ricette linguistiche e letterarie per una radicale trasformazione della scrittura poetica, ben oltre il verso libero. Volevano abolire le proporzioni passatiste del racconto spropositando la struttura di frase: un
programma radicale di deformazione che portava sulle parti ultime del discorso e fino ai cambiamenti di punteggiatura. Il progetto poetico futurista è verbivoro: intendeva strappare all’italiano la
maschera classica della sintassi: un gesto energumeno per liberare
il periodo dalla concinnità, elegante e simmetrica, delle parti linguistiche in equilibrio; l’andamento a scalini, drappeggi, festoni di
uno strumento scordato. I futuristi, questi impuristi, pretendono
di cambiarne il montaggio – nel senso cinematografico del termine
– modificando la disposizione temporale delle forme con un inedito diagramma di forze. Dettare nuove regole di traffico delle parole per cambiar l’ordine, le dipendenze e il ritmo delle idee e degli
eventi: contro il monotono dondolio del periodare. Propugnare
una «nuova armonia, indispensabile» alla modernità metropolitana
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quanto al mondo rurale. Rispiegare le forme del vivere la lingua
naturale e il mondo naturale2.
3. 2. Poesia della grammatica
FTM ha una morale del segno e soprattutto un pathos della sintassi, fatto di attrazioni e avversione. Un fastidio, che è un composto
etimologico di orgoglio – fastus – e di noia – taedium «Il sentimento di orrore che provo pel sostantivo che si avanza seguito dal suo
aggettivo come da uno straccio o da un cagnolino. Talvolta quest’ultimo è tenuto al guinzaglio da un avverbio elegante. Talvolta il
sostantivo porta un aggettivo davanti e un avverbio di dietro come i
due cartelloni di un uomo-sandwich».
Le petizioni di principio implicano preterizioni di principio che
riguardano in figure grammaticali come l’aggettivo e l’avverbio,
mentre vengono privilegiate parti del discorso come il nome e il
verbo. Morfologie verbali che sono state sottovalutate negli studi
di poetica futurista, concentrati sull’innovazione neologica, a taglia
lessicale o polirematica, come ad esempio i sostantivi della cucina:
il maître d’hotel era diventato la «guidapalato», il barman era il
«mescitore», il cocktail, la «polibibita» da ordinare al “quisibeve”
e non al bar, il dessert il “peralzarsi”, il picnic il «pranzoalsole», il
sandwich il «traidue» ecc. È noto che per sostituire una terminologia internazionale, il futurismo formava parole di nuovo conio:
imprimeva tipi nuovi nella lingua, con il gesto militare dell’avanguardia: formare un cuneo.
I futuristi, invece, erano acutamente consapevoli che è la sintassi a
dar ritmo al lessico: hanno dato quindi il maggior risalto alla dimensione sintattica, alla jakobsoniana poesia della grammatica.
Nella prassi teorica e nella sua attività poetica, FTM interviene soprattutto sul sistema modellante primario della lingua italiana: ne
usa le proprietà e ne focalizza le possibilità grammaticali e semantiche. Prende una drastica posizione sugli elementi configurativi
dell’enunciato, le parti del discorso, la loro delimitazione e inte2 — Si confronti la métaphore filée marinettiana del periodo come onda con la descrizione
che dà Valery della scrittura di Bossuet :
Marinetti: «E’ appunto mediante l’uso sapiente dell’aggettivo e dell’avverbio che si ottiene
il dondolio melodioso e monotono della frase, il suo sollevarsi interrogativo e commovente
e il suo cadere riposante e graduale di onda sulla spiaggia. Con una emozione sempre identica, l’anima trattiene iI fiato, trema un poco, supplica di essere calmata e respira infine
ampiamente quando l’ondata delle parole ricade, con la sua punteggiatura di ghiaia e la sua
eco finale». (FTM, Risposte alle obiezioni, 11, 8, 1912)
Valéry: «Si stacca con potenza dal silenzio, poco a poco anima, gonfia, inalza, organizza la
frase che a volte sostiene con preposizioni laterali mirabilmente distribuite intorno all’istante, si dichiara e respinge gli incidenti, che sormonta per giungere infine alla propria chiave
di volta e per poi ridiscendere, dopo prodigi di subordinazione e di equilibrio, fino al termine certo e alla risoluzione completa di tutte le sue forze».
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grazione. Col potenziare l’uso dei sostantivi – gli «esistenti»; col
generalizzare l’infinito dei verbi – gli «occorrenti»; col far sparire
o tramutare l’aggettivo e cassare l’avverbio «esistenti/occorrenti».
Intervento radicale nell’ossatura della lingua che ne raggiunge i significati formali costitutivi, le morfologie con cui compone in
schemi la realtà. Un’iconoclastia grammaticale, una logo-clastia.
3.2.1. Sostantivi, Avverbi, Aggettivi
Il Sostantivo per i futuristi non è l’oggetto cognitivo suscettibile di
predicazione delle grammatiche tradizionali. Nudo ed elementare,
isolato o raddoppiato – sintesi-moto o nodo di sostantivi – doveva
ritrovare il suo valore essenziale, «totale e tipico». E trasportare di
un senso nettamente definito, «un colore essenziale», come un vagone ferroviario o una cinghia, messa in moto, come vedremo, dal
verbo all’infinito.
Negli atti di forza contro l’ipotassi grammaticale3, contro le dipendenze tra le parti, il primo bersaglio è l’Avverbio il quale, «esplicativo, decorativo e musicale» (come l’aggettivo), sfuma la nettezza
semantica del sostantivo che tiene sotto tutela. Introduce una sosta
meditativa nel modo in cui il sostantivo si muove nella frase, ne
rallenta il dinamismo; è il bastone o la gruccia che ne ostacola la
corsa e il volo. Dell’avverbio, non sembra spiacere a FTM la flessibilità generativa, l’invariabilità alla declinazione e l’intransitività.
Lo urta la dipendenza formale, per cui le desinenze avverbiali si
aggiungono ai termini, verbi, aggettivi, congiunzioni, proposizioni
e persino agli avverbi. Imperdonabile poi che l’Avverbio si comporti come una «fibbia» di congiunzione del periodo, un fermaglio
di collegamento e chiusura che ne assicura la «fastidiosa unità di
tono» («legamento musicale che unisce i differenti suoni del periodo»). E soprattutto, come un fattore dis-tensivo, che ritarda la simultaneità futurista assicurata dal verbo. Gli avverbi infatti sono
aggettivi del verbo, che ne determinano e modificano la significazione e stanno al verbo come l’aggettivo al nome.
Anche l‘Aggettivo ha ricevuto un primo ostracismo nella sintassi
perentoria del futurismo. Gli epiteti e gli attributi si aggiungono
(etimologicamente), sono facoltativi e portatori, per il loro carattere qualificativo, di relazione e determinazione. Non solo, ma per la
lunghezza variabile e l’ordine di apparizione, introducono un ritardo e un disturbo ritmico rispetto agli elementi determinanti, il
nome e il verbo, di cui diminuiscono il valore qualitativo. Per la
poetica avanguardista, l’aggettivo dà una definizione «troppo
3 — La paratassi è un’ipotassi senza marcatori.
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minuta» del sostantivo, cioè, in termini più attuali, una predicazione limitata al solo segno a cui viene immediatamente apposto. Il
nome va quindi dis-accordato dall’attributo.
È singolare che anche R. Barthes, lontanissimo dalla sensibilità futurista, abbia preso una posizione, per quanto sfumata, contro
l’Aggettivo. Per il semiologo francese, come per FTM, l’epiteto è
un coperchio tombale del senso. «Affirmer est enfermer». Per l’aggressività e arroganza con cui trasporta la sua mercanzia di valore,
l’attributo, positivo o negativo, finisce infatti per anestetizzarla.
Solo i linguaggi limite – scienza, arte di avanguardia – «sovrumani» per passione dell’oggettività o forza di prospettiva, tentano di
mettere in causa ed estenuare la predicazione. Mentre Barthes però si orientava verso la im-predicabilità di un segno neutro, o di
un grado zero4, della metafora o della catacresi, la scrittura visiva
futurista ammetteva l’aggettivo se collocato tra segni diacritici,
perché evitasse la predicazione diretta e sfumasse la tonalità e l’atmosfera del testo.
L’iniziale rifiuto di FTM prende un’interessante inflessione testuale. Poiché il rifiuto dell’aggettivo non si fa a nome dell’oggettività
anonima o della nuda verità, diventa accettabile quando viene isolato come un «sostantivo assoluto» (FTM) attraverso quei segni di
interpunzione che sono le parentesi. Gli aggettivi diventano allora
«illuminanti» – come nel nostro PPP – attraverso il filtro tipografico che ne diluisce l’intensità immediata del contatto al sostantivo,
ma la diffonde alla taglia intera del testo. Anziché arrestare lo slancio analogico dei sostantivi, l’Aggettivo, come un faro diffonde
una luce girevole e semaforica attraverso la gabbia di vetro delle
parentesi. Luce che «si sfrangia e dilaga intorno illuminando, impregnando e avviluppando tutta una zona di parola in libertà». La
moltiplicazione di aggettivi-atmosfera o aggettivi-tono collocati in
sequenza, non sostituibili con sostantivi e isolati dalla parentesi,
assicurano la molteplicità atmosferica del periodo poetico.
Il poeta futurista insomma rinuncia alla predicazione immediata
per creare una concordanza tonale, asimmetrica e ad sensum, a
livello discorsivo.
3.2.2. Il modo infinito
La linguistica di FTM, come i grandi specialisti del suo tempo,
Meillet, Vendryes, riduce le parti del discorso alle due categorie
più fondamentali: il sostantivo, come abbiamo visto, e soprattutto
4 — Il concetto di “grado zero” in Barthes, vale la pena di ricordarlo, proviene dalla glossematica di Brondal.
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il Verbo all’Infinito5. È il suo contributo più originale alla riflessione semio-linguistica di oggi sulla dimensione personale e temporale del verbo. E il luogo d’incontro imprevisto con una corrente
filosofica contemporanea che ha pensato i segni e i linguaggi, il
tempo e la soggettività (Deleuze).
Fin dai manifesti del ’12-’14 per FMT il modo infinito del verbo
era «il moto stesso del nuovo lirismo». Poi, all’inizio degli anni
Trenta, nella prefazione alle Tavole parolibere di P. Masnata ne ha
riesaminato il senso e chiarito l’uso. A differenza degli altri modi il
suo “concetto” esprimerebbe elasticità sintattica nell’adattamento
al sostantivo e continuità, durata, scorrevolezza della vita e dell’intuizione che la coglie. Sarebbe il segno della velocità stessa dello
stile. Neutro riguardo all’aspettualità, che può assumere o no –
l’infinito futurista è rotondo come un’elica o una ruota – è adattabile a tutti i vagoni delle analogie, mentre gli altri tempi modi e finiti sono triangolari, ovali, quadrati e quindi intoppi allo slancio.
È il formante privilegiato dei verbi di movimento, transitivi e intransitivi. «Verbo all’infinito = divinità dell’azione» (FTM). (Non è
sorprendente che gli slogan mussoliniani risuonassero di verbi all’infinito: “Credere, Obbedire, Combattere”).
L’infinito è la base a cui tornare al di qua di ogni coniugazione. E
questo ne permette la flessibilità nell’impiego delle forze discorsive. L’infinito può essere infatti di narrazione - “e giù a dire che”;
deliberativo - “ecco che si può dire che”: esclamativo -“e dire
che!”; imperativo, “circolare, circolare!”. È componibile nelle proposizioni infinitive, quasi sempre sostenute da verbi di percezione
– ad esempio “sentir dire”.
Ci sono anche altri attrattori dell’attenzione futurista volta al sostantivo e all’azione: in primo luogo il verbo all’infinito è un “verboide” che può assumere una funzione nominale: prende articoli,
aggettivi e determinanti, agisce da soggetto e complemento di ogni
tipo. Mentre i participi e i gerundi la fanno da avverbi, l’infinito si
comporta come un sostantivo morfologicamente inflessibile, che
colma le lacune della derivazione, sopratutto nei nomina azionis6.
E, come sostantivo, può collegarsi ad altri secondo una doppia
reggenza, alternandone in modo simultaneo – osserva P. Masnata
– il ruolo ambivalente di nominativo e accusativo.
In secondo luogo il modo infinito non è sottoposto all’Io. Col
5 — All’inizio del secolo, tra i linguisti c’era generale accordo sulle parti del discorso come
il più urgente dei problemi grammaticali. Meillet e Vendryès riconoscevano solo il verbo e
il nome tra le dieci parti del discorso riportate abitualmente dalle grammatiche.
6 — Forse non appartiene al paradigma della flessione, ma a quello di derivazione; un
“quasi derivato” dove il rapporto tra radice e desinenza è di solidarietà e non di coniugazione (Togeby).
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grado zero della flessione personale, si realizzerebbe così la distruzione sintattica «dell’Io letterario perché si sparpagli nella vibrazione universale». Correre, è per FTM, un verbo il cui soggetto è
«Tutti e tutto: cioè irradiamento universale della vita che corre e di
cui siamo la Particella cosciente». Il verbo all’infinito non esprime
quindi una soggettività saturata o mancante, ma una passione impersonale: l’ottimismo, la generosità assoluta per cui ci si abbandona al divenire del tutto , «la continuità eroica, disinteressata dello
sforzo e della gioia di agire: la follia del Divenire». Non stati d’animo del soggetto quindi, ma passioni del processo molecolare della
materia. E dato che il sistema grammaticale include il linguaggio
affettivo, mentre il periodo sintattico classico coniugherebbe sempre un’emozione determinata, la funzione infinitiva conserva una
multiforme prospettiva emozionale7. Qui Marinetti porta all’estreme conseguenze la de-personalizzazione che ha caratterizzato per
un secolo la cultura del 900. Fino ai pronomi, pidocchi del pensiero in Gadda e alle smorfie ininterrotte di Calvino davanti allo
specchio per impedire alla soggettività di consistere. Ma l’Io non è
solo un tessuto di fantasmi: il futurismo vuol mantenere, nell’elasticità dell’individuazione, il carattere positivo, indeterminato, fluttuante, fluente, comunicante della identità.
4.1 Il cronotipo della vita
Sostantivare il periodo, sconiugare la frase. Le intuizioni semantiche e assiologiche “quasi inafferrabili” che attirano FTM verso
l’infinito hanno trovato una esplicitazione nelle ricerche successive
di linguistica e filosofia. In particolare nelle ricerche psico-semiotiche di Gustave Guillaume, un linguista post-saussuriano che ha
inscritto la morfologia dell’infinito nella rappresentazione architettonica dei tempi verbali e nella loro generazione. Una delle dimensioni sintattiche di questa “cronogenesi” è la prospezione: i modi
temporali si dispongono secondo il percorso modale che va dal
virtuale alla realizzazione, attraverso l’attualizzazione: dalla “incidenza” alla “decadenza”. Decadente è il participio passato, «la
forma morta del verbo», la sua realizzazione completa fino all’estinzione (ma può essere riattivato dall’ausiliare!). Il participio presente e l’infinito invece sono la sua forma viva, incidente. Mentre il
primo è però transizionale e accetta di attualizzarsi senza compiersi interamente, l’infinito è il solo radicalmente virtuale e a-prospettico. «Il compiuto, afferma Guillaume, è nullo, inesistente, rifiutari7 — «Il sistema grammaticale comprende in realtà il linguaggio affettivo e si può pensare
alla stilistica come parte della teoria grammaticale o, comunque della sintassi» (Hjelmslev).
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fiutato». In termini quasi futuristi, il cronotipo dell’Infinitivo è il
significante del tempo più virtuale. Presenta una totale apertura
verso l’accadere senza decadere e rappresenta l’opposizione più
vivida al compiuto (participio) «passatista». Il tempo fugge dal
verbo attraverso il segno zero dell’infinitivo. Le avanguardie non
spasimano per il futuro, ma per la virtualità e la simultaneità.
4.2. Il divenire e l’evento
«Il verbo è l’univocità del linguaggio sotto la forma di un infinitivo
non determinato, senza persona senza presente, senza diversità delle
voci. Così è anche la poesia» (Deleuze). Senza il diretto riferimento a Guillaume8 saremmo sorpresi dallo svolgimento che Deleuze
ha consacrato al verbo all’infinito – con i pronomi indefiniti e i
nomi propri – nella sua riflessione sul divenire, la virtualità e l’evento. E nel progetto filosofico di una “semiotica pura” del linguaggio nel suo rapporto alla realtà.
Anche Deleuze vuol risalire lungo la cronogenesi: dal kronos, tempo della misurazione coniugata, all’aion, tempo indefinito degli
eventi singolari. Un concetto articolato alla riflessione bergsoniana
sul Divenire, che nonostante le smentite – FTM rivendicava contro l’influenza bergsoniana il genio di Dante e di E. A. Poe – è un
tratto fondamentale, con la molteplicità e la simultaneità, della
poetica futurista9. Per Deleuze l’infinito è il significante di un divenire, inteso come passaggio d’intensità, una sperimentazione
dell’universo nella sua dimensione molecolare, attraverso un corpo
affettivo e intensivo. Poiché il filosofo non vuol contemplare idee
attraverso concetti, ma la materia attraverso la percezione, il divenire è il sentire reale della materia vibratile del mondo nella propria natura intensiva. Non è una metamorfosi, la quale presuppone qualcosa di già diventato – la forma decadente e morta del
participio passato – ma un processo incidente, presieduto dall’istanza generale che abita il verbo all’infinito e che Deleuze chiama
talvolta la quarta persona del singolare. Di qui gli enunciati futuristi di Deleuze e Guattari quando descrivono il divenire intenso,
impercettibile, molecolare ma anche il divenire bambino, animale
o macchina: «un Hans divenire cavallo», «una vespa incontrare
orchidea», oppure «guardare egli», «un morirsi», dove l’infinito significa la singolarità di un evento impersonale e virtuale. Mentre il
nome, per Deleuze, è equivoco e sempre suscettibile di interpreta8 — A partire da Guillaume, Deleuze rielabora il concetto stoico di aion e successivamente
la definizione di Ecceità: «L’infinitivo è l’Aion».
9 — E’ il Bergson del Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889 e di Materia e memoria, 1906.
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zione, l’infinito è univoco perché esprime linguisticamente tutti gli
eventi in uno: «Il verbo infinitivo esprime l’evento del linguaggio, il
linguaggio stesso come un evento unico, che si confonde allora con
quello che rende possibile». E poiché l’evento viene raccolto nel
linguaggio tramite l’infinitivo, è questo a mettere l’interiorità del
linguaggio in contatto con l’esteriorità dell’essere: le azioni e le
passioni dei corpi con quelle, incorporali, del linguaggio.
Non è quindi sorprendente che Deleuze si serva del mangiare – il
verbo e il nome – per esemplificare come «l’événement survient
aux choses consommables comme l’exprimable du langage». Per il
filosofo pensare – là dove l’istanza del linguaggio viene in contatto
con l’esistenza dell’essere – significa anche mangiare-parlare. Una
linea di frontiera tra le cose mangiate e le proposizioni dette, tra il
parlar di cibo e mangiarsi le parole. A partire da Artaud, Deleuze
mostra come la parola può regredire nel corpo, essere rimangiata
dalla bocca, convergere nello spasmo inarticolato, nell'urlo, nel
sospiro. Proprio come i tre giovani futuristi del P.P.P.
5. Assaporare l’infinito
Dopo la lunga diversione – che non è una divagazione – è tempo
davvero di tornare al testo. Per i futuristi la cucina è la prima
delle arti ed esige originalità creativa. Il PPP quindi è la formula
per costruire un evento immaginario che ha le sue protasi, apodosi
e clausole, di cui FTM vuol cambiare periodo, prosodia e ritmo.
Nel corso della narrazione, che ha un protagonista collettivo, i giovani affamati alternano ricette già pronte – tortellini in brodo e
fragole zuccherate al vino – ad altre realizzate dagli stessi commensali: peperoni all’olio di fegato di merluzzo, e aglio alla rosa.
Queste ultime sono ricette originali, realizzate direttamente con
operazioni somatiche sulla materia: intingere ed avvolgere mettendo in sequenza un paradigma «servito» di elementi «equidistanti»
– peperoni, aglio, petali di rose, bicarbonato di soda, banane sbucciate e olio di fegato di merluzzo. Per realizzare le ricette i futuristi devono prima intuire «i rapporti fantastici» che è possible instaurare tra gli elementi del paradigma. Rapporti metasemiotici
perchè la ricetta consiste nella messa in proporzione metaforica tra
due simboli opposti nel loro significato. Il /peperone/ sta alla
/forza campestre/ come /l’olio di fegato di merluzzo/ ai /mari
nordici feroci e le necessità curative di polmoni malati/. Mentre lo
/spicchio d’aglio/ sta alla /prosa/ come il /petalo di rosa/ alla
/poesia/.
In attesa di diffondere per via radio delle onde nutrienti, il mangiare dell’avanguardia era uno sport lirico, costruito per metafora
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e analogia. I pranzi simultanei e paroliberi erano luoghi d’invenzione per «complessi plastici saporiti, profumati, tattili», la cui armonia fondamentale di forma e colore doveva nutrire gli occhi ed
eccitare la fantasia, prima di tentare le labbra. Una cucina semiolibera, poetica per esplicita equivalenza: «i bocconi avranno nella
cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno nella letteratura»10. E come nella poesia, il piano gastronomico di superficie è il luogo di manifestazione di valori articolati in un discorso “altro” per assiologia e ideologia.
La formula aeropoetica di FTM non è un intreccio di motivi, cioè
di pietanze già esistenti. Non è neppure un ricettario, un programma di costruzione d’oggetti commestibili. È un bildungsroman,
racconto di costruzione di soggetti di cui va appagata l’«ansietà
letterario erotica», poi «il tedio e la malinconia» che provoca l’accoppiamento simultaneo della poesia e della prosa. Su questo piano sensibile e passionale troviamo il bicarbonato di sodio che simbolizza il verbo all’infinito, divenire di intensità. Abrasivo e antiacido scioglie le sostanze grasse sull'epidermide e le ostruzioni digestive: rinfrescante e purificante, è impiegato per la pulizia, la
bellezza e la salute. Il bicarbonato quindi è un operatore di sperimentazione su corpi affettivi e intensivi: leggermente vestiti – senza giacca – e toccati dalle «dita calde del sole»; in contatto diretto
– senza mediazione di posate – con le sostanze dei cibi.
Dopo i tortellini passatisti e pedestri, il palato futurista può spiccare il volo alla ricerca di una «nuova armonia» nel gioco discordante degli organi per suscitare l’emergenza di una nuova sensibilità che non è una qualità, ma un segno, non un essere sensibile ma
l’essere del sensibile (Deleuze ). «Con calma riprendere la materia.
Crocifiggerla sotto chiodi acuti di volontà. Nervi, passione. Gioia
delle labbra. Tutto il cielo nelle nari. Trattenere il respiro per non
guastare un sapore cesellato» (FTM).
Il pranzo primaverile, che privilegia il crudo, è più attento al tatto
che alla sapidità, più tattilista che gustativo. Se mantiene l’ordine
tradizionale dei sapori, che va dal salato al dolce, dai passatelli al
vino zuccherato – ne inverte la fruizione sensibile. Mentre la scodella dei tortellini in brodo va doverosamente mangiata, la bacinella di fragole al vino viene scodellata a volontà direttamente sulle teste e sul supporto cromatico dei vestiti bianchi, provocando
un getto vivido e incidente di verbi all’infinito «mangiare, bere, leccare, smacchiarsi». Evento singolare di una parola in libertà «diret10 — Vedi Le Parole in libertà, ricetta dell’aeropittore futurista Escodamé; Il Bombardamento di Adrianopoli di Pascà d’Angelo o la Tavola parolibera marina,di Marinetti aeropittore. Vengono servite vivande-valigia e vengono mangiate statue aeroplastiche.
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tamente espressa dai nervi»: «aggettivi illuminanti, verbi chiusi tra
due punti». Un parlare-mangiare, blocco di sensazione aperto, impersonale e simultaneo, in cui i verbi, come uomini-sandwich, sono a doppia reggenza, ambivalenti rispetto al nominativo e l’accusativo. Gli aggettivi hanno invece una funzione-faro, una molteplicità atmosferica che rischiara l’intero pranzo consumato all’ombra del pergolato.
Mangiare-parlare: il pranzo, meglio il pranzare, suscita un’onomalingua alla Chlebnikov, pace Jakobson, o alla Depero; un linguaggio rudimentale delle forze naturali, di un brutale umorismo, che
comprende rumorismi astratti e urli animaleschi. Il liberoparlare
futurista, indicibile ma non incomunicabile, comprendeva infatti
suoni di belve e di motori insieme a vecchie parole deformate e
termini dialettali: ressa di suoni e rissa di voci. Nel PPP i futuristi,
metropolitani, nemici delle dannunziane città del silenzio, scendono in lizza contro la tacita campagna impressionista e gli statici
paesaggi cubisti, non per sedurre i motori delle metropoli, ma le
«bestie della primavera», tutte al participio presente, forma ancora
viva del verbo: «ruminanti, russanti, borbottanti, fischianti, raglianti e cinguettanti». Partecipa alla vibrazione universale, che dovrà
esprimersi futuristicamente all’infinito. Follia del divenire.
Invio
Questo, e questo soltanto, è dato di vedere al semiologo in fondo
al pozzo colorato del suo microscopio.
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