brevi cenni sui profili fiscali delle aziende sanitarie

Ordine dei Dottori Commercialisti per le circoscrizioni di Ivrea Pinerolo Torino
- Gruppo di Lavoro Enti Locali -
PROFILI TRIBUTARI DELLE AZIENDE SANITARIE
LOCALI E DELLE AZIENDE OSPEDALIERE
L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
A cura di:
Tealdo dott. Franco
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1.
La soggettività fiscale delle A.S.L. e delle A.O. ai fini dell’I.V.A.
Nell’affrontare la disciplina fiscale e la loro conseguente rilevanza ai fini dell’I.V.A. delle
operazioni poste in essere da questi enti pubblici non si può fare a meno di rilevare come
il legislatore non abbia provveduto – o voluto provvedere – a coordinare con l’imponibilità
ai fini dell’IRPEG, le fattispecie rilevanti in campo I.V.A.
A conferma di ciò soccorre la risoluzione ministeriale n.461463 del 19 dicembre 1987 con
la quale viene confermato la soggettività passiva delle U.S.L. ai fini dell’I.V.A.
Precisa infatti la circolare citata che :”non vi è dubbio che le Unità sanitarie locali da un
punto di vista soggettivo, pur essendo prive di personalità giuridica e pur non svolgendo
attività economiche in via principale, sono da considerarsi soggetti passivi per l’attività da
esse svolte, in quanto la medesima non può ricondursi tra quegli atti posti in essere in
qualità di pubblica utilità (vale a dire gli atti e i provvedimenti formali tipici delle Autorità
localmente preposte alla cura di funzioni pubbliche)”.
Dalla risoluzione citata si possono trarre le seguenti indicazioni:
-
il Servizio Sanitario Nazionale non è svolto in veste di pubblica autorità come
dimostrato dal fatto che non viene esercitato in via esclusiva dagli organismi pubblici,
né da altri su loro delega;
-
ai fini della soggettività le operazioni svolte dalle Unità Sanitarie Locali non possono
configurarsi in un diverso centro di imputazione giuridica (comuni, associazioni di
comuni o comunità montane) in quanto le medesime non fanno parte della
organizzazione amministrativa dei predetti enti territoriali;
-
da un punto di vista oggettivo le prestazioni svolte dalle Unità Sanitarie Locali sono
disciplinate dall’art.13 A-1-b) della VI Direttiva comunitaria del 17 maggio 1977,
n.388, che prevede, per le medesime l’esenzione, come in atto disciplinata
dall’art.10, punto 19), del D.P.R. n.633/1972.
Le conclusioni cui perviene la predetta circolare sono quindi nel senso di considerare:
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-
le prestazioni sanitarie rese dalle Unità Sanitarie Locali rilevanti agli effetti
dell’imposta sul valore aggiunto, sempre che le stesse vengano rese dietro
corrispettivo, ai sensi dell’art.3, primo comma, del D.P.R. n.633/1972;
-
le prestazioni sanitarie erogate dalle U.S.L. senza corrispettivo agli aventi diritto
nell’ambito della propria attività istituzionale fuori dal campo di applicazione
dell’I.V.A. per carenza del presupposto oggettivo previsto dal richiamato art.3, primo
comma, del D.P.R. n.633/1972.
Quanto sopra esposto non risulta peraltro più attuale, in quanto le prestazioni sanitarie
rese dalle A.S.L. e soggette al pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria
– ticket – non sono considerate attività commerciali ai sensi dell’art.4 del D.P.R.
n.633/1972 e, pertanto la loro effettuazione deve considerarsi fuori del campo di
applicazione dell’I.V.A. per mancanza del presupposto soggettivo, con conseguente
esclusione per queste operazioni di tutti gli obblighi contabili e certificativi. Detta
esclusione è operante solamente dal 1° gennaio 1996, essendo stato modificato in tal
senso l’art. 4 del D.P.R. n.633/1972 dall’art.3, comma 121, della legge 28 dicembre 1995,
n.549.
A titolo esemplificativo, traendo spunto dalla risoluzione citata e coordinandone
l’elencazione con successive pronunce dell’Amministrazione Finanziaria, vengono
indicate come da assoggettare al tributo – quindi imponibili – le seguenti prestazioni:
1) il rilascio di cartelle sanitarie. In realtà la successiva circolare n.75 del 2 agosto 2001
dell’Agenzia delle Entrate, ha precisato che il rilascio delle cartelle sanitarie, poiché
viene ritenuto dal Ministero della Sanità “esercizio di attività amministrativa ed
assoggettata
alle
regole
che
disciplinano
l’esercizio
dell’accesso
agli
atti
amministrativi”, ai sensi dell’art.22 della Legge n.241/1990, è ritenuta fuori dal campo
di applicazione del tributo, ancorché vi sia pagamento di corrispettivo da parte del
richiedente;
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2) il servizio mensa ai dipendenti. Si precisa che con risoluzione ministeriale Min. Fin.
Dir. Gen. Tasse e Imposte indirette sugli affari n.460365 del 25 settembre 1987 le
mense organizzate dalle U.S.L. attuate in applicazione dello Statuto dei lavoratori, a
cui possano accedere solamente i dipendenti delle U.S.L. nei giorni di effettiva
presenza al lavoro possono rientrare tra le mense aziendali con conseguente
applicazione dell’aliquota I.V.A. del 4%, come previsto dal punto 37 della Tabella A
del D.P.R. n.633/1972;
3) le cessioni di beni materiali fuori uso. Si precisa che le cessioni di rottami, cascami o
avanzi di metalli ferrosi e non ferrosi e dei relativi lavori o manufatti, di carta da
macero, di stracci e di scarti di ossa, pelli, vetri, gomma o plastica sono effettuate
senza pagamento d’imposta ai sensi dell’art.74, settimo comma, del D.P.R.
n.633/1972;
4) le prestazioni di servizi concernenti analisi di alimenti e di bevande;
5) il servizio di consulenza in materia di prevenzione e di sicurezza;
6) la gestione del bar nel compendio ospedaliero;
7) le cessioni di placente o altri materiali organici a ditte produttrici ad esempio di prodotti
cosmetici;
8) l’attività di consulenza amministrativa resa in adempimento di obblighi convenzionali
da strutture del S.S.N. tramite proprio personale dipendente;
9) prestazioni di assistenza zooiatrica, nelle quali rientrano le prestazioni cliniche e
sanitarie rese a richiesta di privati ed enti nell’ambito dell’assistenza zooiatrica;
10) prestazioni di laboratorio attinenti alle patologie e profilassi veterinarie ed al controllo
degli alimenti di origine animale e degli alimenti per gli animali.
Vengono invece qualificate esenti dal tributo – pur rientrando nella sfera impositiva
dell’I.V.A. – le seguenti prestazioni:
1) le reciproche prestazioni sanitarie rese tra U.S.L. mediante proprie strutture
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2) le prestazioni concernenti le visite fiscali effettuate ai dipendenti di enti ed aziende
private e pubbliche
3) le prestazioni ambulatoriali, le visite specialistiche e le analisi effettuate nei confronti
di dipendenti di enti ed aziende private e pubbliche
4) le cessioni di organi e latte umano, qualificate esenti ai sensi dell’art.10, n.24), del
D.P.R. n.633/1972
5) le prestazioni sanitarie erogate a soggetti non aventi diritto all’assistenza in regime di
SSN. Sul punto è intervenuta la risoluzione ministeriale n.86/E del 13 marzo 2002
l’Agenzia delle Entrate che ha rilevato che nella fattispecie in esame sussiste il nesso
sinallagmatico in quanto viene corrisposto uno specifico corrispettivo a fronte di una
prestazione di servizio, di cui all’articolo 3 del D.P.R. n.633 del 1972. Le prestazioni in
commento sono pertanto riconducibili tra le attività commerciali ed assumono
rilevanza ai fini dell’I.V.A., anche se rese da un ente pubblico, sussistendo i
presupposti soggettivo ed oggettivo, rientrando comunque tra le prestazioni esenti di
cui all’art. 10 del D.P.R. n.633 del 1972
6) i proventi derivanti dall’esercizio dell’attività libero – professionale intramuraria. Sul
punto è intervenuta la risoluzione ministeriale n.86/E del 13 marzo 2002 l’Agenzia
delle Entrate che ha rilevato che nella fattispecie in esame sussiste il nesso
sinallagmatico in quanto viene corrisposto uno specifico corrispettivo a fronte di una
prestazione di servizio, di cui all’articolo 3 del D.P.R. n.633 del 1972. Le prestazioni in
commento assumono rilevanza ai fini dell’I.V.A., anche se rese da un ente pubblico,
sussistendo i presupposti soggettivo ed oggettivo, rientrando comunque tra le
prestazioni esenti di cui all’art. 10 del D.P.R. n.633 del 1972.
Diamo infine notizia di alcuni casi particolari di esclusione dalla sfera impositiva del
tributo, stante la ripetitività e frequenza delle relative operazioni:
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I. le cessioni di sangue e suoi derivati ( plasma sanguigno). E’ bene sottolineare che la
legge 4 maggio 1990, n.107, ha disposto che “il sangue umano e i suoi derivati non
sono fonte di profitto, la loro distribuzione al ricevente è comunque gratuita ed esclude
addebiti accessori ed oneri fiscali”. La gratuità della prestazione e l’espressa esclusione
di oneri fiscali aggiuntivi escludono l’imponibilità di tali cessioni sia ai fini del tributo
diretto sia ai fini dell’I.V.A., rimanendo così superata la ricomprensione delle medesime
fra le prestazioni esenti di cui all’art. 10, n.24), del D.P.R. n.633/1972. L’Agenzia delle
Entrate, in risposta ad un successivo interpello, ha emanato la risoluzione ministeriale
n.86/E del 13 marzo 2002, con la quale ha precisato che nel caso in cui l’Azienda
Ospedaliera fornisca sangue e plasma ad altre strutture pubbliche e private in forza
delle disposizioni di cui al Decreto del Ministro della Sanità 1° settembre 1995 verso il
pagamento di un corrispettivo dette cessioni debbono essere considerate rilevanti ai fini
IVA, benché esenti ai sensi dell’articolo 10, punto 24, del D.P.R. n.633 del 1972.
II. la locazione di immobili. Si precisa che la circolare ministeriale Min. Fin. Dir. Gen.
Tasse e Imposte indirette sugli affari n.32/430213 del 21 giugno 1991 ha puntualizzato
che il quarto comma dell’art.4 del D.P.R. n.633/1972 prevede che gli enti pubblici o
privati che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali o agricole sono da considerare soggetti passivi di imposta limitatamente
alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi poste in essere nell’esercizio di attività
commerciali od agricole. L’attività svolta da enti non commerciali concernente la
locazione di beni immobili, comunque acquisiti, nell’ambito delle finalità istituzionali non
è idonea di per sé a far assumere agli enti stessi la soggettività passiva agli effetti del
tributo. Infatti l’utilizzazione di tali beni, finalizzata alla riscossione di canoni, concretizza
lo sfruttamento economico di beni patrimoniali e non l’esercizio di impresa, neppure nei
sensi previsti dal richiamato articolo 4 del D.P.R. n.633/1972, non configurandosi nella
fattispecie svolgimento di attività commerciale. La circolare precisa comunque che
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risultano assoggettabili ad imposta le locazioni di beni immobili poste in essere
nell’esercizio di altre attività qualificabili come attività d’impresa. In questa fattispecie la
prestazione eseguita andrà esente da I.V.A. ai sensi dell’art.10 n.8) del D.P.R.
n.633/1972 qualora si tratti di fabbricati destinati ad uso di civile abitazione, mentre, se
interesserà fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di
diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, i canoni di locazione saranno
soggetti all’aliquota del 20%. Con la risoluzione ministeriale n.86/E del 13 marzo 2002
l’Agenzia delle Entrate ha ribadito il concetto e confermato l’impostazione sopra
riportata.
III. la cessione di aree edificabili a soggetti privati. Il tema è stato affrontato dalla
risoluzione ministeriale dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale normativa e
contenzioso, n. 135/E/2001/145822 del 25 settembre 2001. Confermando precedenti
orientamenti è stato ribadito dall’Agenzia delle Entrate che l’operazione sia priva del
presupposto soggettivo dell’IVA in quanto l’area, proveniente da lascito testamentario,
non è da considerarsi strumentale all’esercizio di un’attività commerciale, né la sua
cessione si configura come attività commerciale. E’ interessante notare come la citata
risoluzione ministeriale affronti anche il tema della ripetitività delle operazioni nel tempo.
Nel caso di specie infatti l’Ente aveva effettuato recentemente diversi atti di cessione di
beni immobili e, interpellato dall’Agenzia, aveva dichiarato che i terreni ceduti
provenivano dall’accorpamento dei patrimoni immobiliari degli enti ospedalieri soppressi
all’atto dell’istituzione delle A.S.L., i quali, a loro volta, li avevano ricevuti, anche in
epoche lontane, per testamento o donazione da benefattori locali. A fronte di siffatta
rappresentazione dei fatti l’Agenzia conclude che le cessioni hanno riguardato il mero
smobilizzo di un patrimonio immobiliare in alcun modo utilizzabile dalla A.S.L. per lo
svolgimento delle sue attività sanitarie ed assistenziali, ovvero per l’esercizio delle
attività secondarie di natura commerciale, e che quindi tale attività di vendita non sia
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riconducibile alle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, con
conseguenza assoggettamento dell’operazione ad imposta proporzionale di registro e
non ad I.V.A. Con la risoluzione ministeriale n.86/E del 13 marzo 2002 l’Agenzia delle
Entrate ha ribadito il concetto e confermato l’impostazione sopra riportata.
IV. le prestazioni di igiene pubblica veterinaria, nelle quali rientrano le certificazioni,
attestazioni, accertamenti tecnico – sanitari e altre prestazioni di igiene pubblica
veterinaria espletate d’ufficio a favore di enti e privati, come indicato nella circolare
ministeriale Min. Fin. Dir. Gen. Tasse e Imposte indirette sugli affari n.12/430088 del 19
febbraio 1992
V. il recupero dei costi relativi alle utenze ed al servizio di pulizia correlati all’utlizzo di
spazi all’interno della struttura ospedaliera. Si tratta dei rimborsi spese addebitati
all’Università ed alle associazioni di volontariato che operano all’interno della struttura
sanitaria. Sempre la risoluzione ministeriale n.86/E del 13 marzo 2002 ha avuto modo
di precisare che trattasi di contributo per lo svolgimento di un’attività non commerciale
riconducibile agli scopi istituzionali dell’Azienda ospedaliera. Dette somme, quali
contributi per il perseguimento dei fini istituzionali dell’Azienda non assumono la
configurazione di corrispettivo e non rilevano ai fini I.V.A. ai sensi dell’art. 4, comma 4,
del D.P.R. n.633 del 1972.
2. L’attività di sperimentazione svolta a favore di committente extra UE
L’Agenzia delle Entrate si è pronunciata anche in merito ad una fattispecie non comune,
ma rilevante per certe realtà ospedaliere ad alta specializzazione. Si tratta del
trattamento fiscale delle prestazioni di servizi rese dall’Azienda nei confronti di società
farmaceutiche extra UE. Queste prestazioni sono state inquadrate dall’Agenzia tra le
prestazioni di consulenza tecnica, come definite dall’art. 7, quarto comma, lettera d), del
D.P.R. n.633 del 1972, in quanto sono caratterizzate dalla circostanza di estrinsecarsi in
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“giudizi, precisazioni, chiarimenti e pareri”. L’Agenzia ha ribadito la validità di detta
conclusione anche se la prestazione richiesta all’Azienda istante viene condotta alla luce
di parametri scientifici rigorosi, come si deduce dal tipo di studio richiesto, dall’esistenza
di un protocollo avente lo scopo di disciplinare l’indagine sperimentale, nonché dalla
possibilità di risultati brevettabili.
L’Agenzia delle Entrate disconosce l’inquadrabilità delle sperimentazioni tra le ricerche di
carattere scientifico di cui alla lettera b) dell’articolo 7 citato in quanto, pr presupponendo
un bagaglio di conoscenze tecnico – scientifiche, non sono finalizzate alla resa di “giudizi,
chiarimenti e pareri”.
La conseguenza di quanto affermato porta ad affermare che le prestazioni rese nei
confronti di un committente di Paese terzo sono fuori campo I.V.A. ai sensi dell’art.7,
quarto comma, lettera f), del D.P.R. n.633 del 1972, salvo che siano utilizzate in Italia.
3. La detrazione dell’I.V.A. corrisposta sugli acquisti
Il mancato coordinamento tra le disposizioni in materia di IRPEG e quelle in materia di
I.V.A. – come sopra rilevato -
provoca notevoli complicazioni nella gestione della
contabilità separata ai fini del tributo indiretto, in quanto rientrano nella sfera impositiva
I.V.A., pur con generale esenzione, anche operazioni che non hanno al contrario alcuna
rilevanza ai fini dell’imposizione diretta.
L’art. 19 ter del D.P.R. n.633/1972 prevede in linea generale che gli enti pubblici possano
accedere alla detrazione dell’I.V.A. relativa agli acquisti ed alle importazioni fatti
nell’esercizio delle attività commerciali o agricole, sia pure con le limitazioni, riduzioni e
rettifiche previste negli articoli precedenti.
Balza subito agli occhi che se si vuole fruire della detrazione dell’I.V.A. pagata sugli
acquisti sarà gioco forza necessario procedere alla tenuta di una contabilità separata ai
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soli fini I.V.A., che peraltro a parere dello scrivente consentirà esclusivamente di
procedere alla detrazione dell’I.V.A. gravante sugli acquisti commerciali.
Ne consegue che, prevedendo la norma I.V.A. di assoggettare al tributo – sia pure in
regime di esenzione – prestazioni che non sono considerate commerciali, i relativi
acquisti, che non si possono considerare eseguiti nell’esercizio di attività commerciali,
non dovranno essere considerati tra quelli che danno diritto alla detrazione dell’I.V.A.
Per giunta trova applicazione anche per questi enti la generale limitazione alla detraibilità
dell’I.V.A. sugli acquisti operata dall’art.19 e seguenti per effetto della contemporanea
presenza tra le operazioni attive effettuate di prestazioni imponibili e prestazioni esenti –
cosiddetto pro – rata -, per cui alla fine , essendo la quasi totalità delle operazioni attive
poste in essere esenti dall’I.V.A. ai sensi dell’art.10 del D.P.R. n.633/1972, la
convenienza alla tenuta di una siffatta contabilità separata può venire meno in relazione
alla modesta quantità di I.V.A. recuperabile in confronto ai costi amministrativi connessi.
Si forniscono comunque le seguenti precisazioni:
-
l’imposta relativa ai beni ed ai servizi
utilizzati promiscuamente nell’esercizio
dell’attività commerciale e dell’attività principale è ammessa in detrazione per la parte
imputabile all’esercizio dell’attività commerciale.
-
la detrazione non è ammessa in caso di omessa tenuta, anche in relazione all’attività
principale, della contabilità obbligatoria a norma di legge o di statuto, né quando la
contabilità stessa presenti irregolarità tali da renderla inattendibile.
Si ribadisce infine che per gli acquisti promiscui non è possibile introdurre criteri di
ripartizione dell’I.V.A. assolta sugli acquisti di beni e di servizi proporzionali, ad esempio,
all’ammontare delle entrate globali afferenti le operazioni imponibili, esenti e non
soggette ad I.V.A., ma all’atto di ogni registrazione sarà necessario procedere alla
ripartizione con metodo oggettivamente analitico e differenziato tra acquisti rilevanti ai fini
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della detraibilità del tributo ed acquisti che rientrano nella sfera istituzionale delle attività
svolte dall’ente.
Soccorrono in merito i seguenti interventi normativi:

con la circolare n.328 del 24 dicembre 1997 si è chiarito che la norma non detta
alcuna regola specifica lasciando al contribuente la scelta del criterio più
appropriato alle diverse situazioni che si possono verificare. La circolare in
esame ha precisato che il contribuente dovrà effettuare una valutazione
prospettica in sede di acquisto del futuro utilizzo dei beni e dei servizi al fine di
determinare in quale misura l’impiego stesso si collegherà ad operazioni
soggette al tributo o ad esse assimilate ai fini della detrazione) e in quale misura,
invece, in operazioni escluse dal campo di applicazione dell’imposta, in modo da
calcolare in definitiva, la quota d’imposta detraibile;

la risoluzione n.137 dell’8 settembre 1998 ha fornito delle indicazioni per
superare le difficoltà di adottare dei criteri specifici d’imputazione degli acquisti
destinati
promiscuamente
all’attività
commerciale
e
non
commerciale,
riconoscendo, in tali circostanze, la possibilità di stabilire la misura dell’I.V.A.
detraibile in base alla percentuale rappresentata dall’attività commerciale
nell’ambito di tutta l’attività, salvo conguaglio finale;

con circolare n.108 del 24 maggio 2000 è stato precisato che la percentuale di in
detraibilità sugli acquisti, determinata in un periodo d’imposta può essere
applicata provvisoriamente alle liquidazioni periodiche del periodo successivo
salvo conguaglio in sede di dichiarazione annuale in relazione all’effettivo
rapporto che si è verificato nell’anno tra operazioni soggette e operazioni escluse
dall’I.V.A.
4. Obbligo di certificazione dei corrispettivi
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Ovviamente l’obbligo di certificazione delle operazioni effettuate mediante l’emissione
della fattura ex art. 21 del D.P.R. n.633/1972 sussiste per tutte le operazioni soggette ad
imposta aventi carattere extra – sanitario.
Per le operazioni a carattere sanitario invece l’A.S.L. non è soggetta ad alcuna
certificazione fiscale, se non per quanto concerne la gestione diretta delle farmacie, come
statuito dall’art.2 del D.P.R. n.696/1996.
Tuttavia se il paziente richiede l’emissione della fattura al momento dell’effettuazione
della prestazione, l’A.S.L. o l’A.O. dovranno necessariamente provvedere alla sua
emissione secondo le correnti previsioni contenute nell’art.21 sopra citato.
5. Imposta di bollo
Ci si chiede talvolta se gli atti e i documenti che l’Azienda Ospedaliera pone in essere nei
confronti di soggetti giuridici pubblici (fatture relative ad operazioni escluse o esenti da
I.V.A.) possano beneficiare dell’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’articolo 16
della tabella, allegato B, al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.642. si osserva in merito che
l’articolo 16 citato esenta i modo assoluto dall’imposta di bollo “Atti e documenti posti in
essere da Amministrazioni dello Stato, regioni, province, comuni e loro consorzi ed
associazioni, nonché comunità montane sempre che vengano tra loro scambiati”.
L’Agenzia delle Entrate ritiene l’elenco tassativo e non concede l’esenzione ad atti posti
in essere da soggetti diversi da quelli elencati espressamente dalla norma. Ne consegue
pertanto che nei casi esaminati si renda dovuta l’imposta di bollo.
Torino, lì 26 aprile 2006.
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