Cap. 19 - Ateneonline

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Biologia molecolare 2/ed
Robert F. Weaver
Copyright © 2009 – The McGraw-Hill Companies srl
Capitolo 19 Meccanismo dettagliato della replicazione del DNA
PER IL RIPASSO
1. La lunghezza minima di un’origine di replicazione batterica può essere definita clonando il
sito di inizio della replicazione in un plasmide privo della propria origine di replicazione, dotato
di un gene di resistenza ad un antibiotico. Quindi, il DNA intorno al sito di inizio della
replicazione può essere accorciato, ed i plasmidi che ne derivano trasformati in cellule coltivate
in presenza dell’antibiotico. Fin quando l’origine non è intaccata dalle delezioni, il plasmide si
replicherà e le cellule saranno resistenti all’antibiotico. Tuttavia, quando si intaccheranno regioni
di DNA essenziali per la funzione dell’origine, le cellule non cresceranno in presenza
dell’antibiotico. In questo modo si delimiteranno le estremità dell’origine di replicazione.
2. Fai riferimento alla Figura 19.1. DnaA si lega ad oriC, e favorisce il legame di DnaB.
Quest’ultima è una DNA elicasi che srotola il DNA in corrispondenza di oriC per formare un
complesso aperto. Il processo è favorito dall’RNA polimerasi, che probabilmente sintetizza un
breve tratto di RNA che forma un’ansa R, all’interno di oriC, o nelle sue adiacenze. Lo
srotolamento del DNA in corrispondenza di oriC è anche favorito dal ripiegamento del DNA,
favorito da una piccola proteina basica nota come HU. Infine, DnaB facilita il reclutamento di
DnaG, la primasi che sintetizza l’effettivo primer di innesco della replicazione.
3. Fai riferimento alle Figure 19.2 e 19.3. I DNA di SV40 in corso di replicazione possono essere
tagliati con EcoRI, e la localizzazione della bolla di replicazione rispetto alla posizione nota del
sito di EcoRI ci indica che l’origine è a circa 1/3 della lunghezza del genoma, rispetto al sito
EcoRI. Ma in quale direzione? Il taglio con un altro enzima di restrizione, HindII, anch’esso con
un unico sito nel genoma di SV40, mostra che l’origine si localizza all’interno della regione di
controllo della trascrizione, sovrapposta alla TATA box, ed adiacente alle box GC del promotore
virale precoce.
4. La strategia è molto simile a quella suggerita per rispondere alla domanda n. 1, ma questa
volta la presunta origine di replicazione è clonata in un plasmide che contiene un gene necessario
alla sintesi di un amminoacido (ad esempio, il gene ARG4). Il plasmide viene quindi utilizzato
per trasformare cellule mutanti di lievito arg4-, che cresceranno in terreno privo di arginina fin
quando l’origine di replicazione risulterà intatta. Quindi, il DNA intorno all’origine può essere
accorciato ad entrambe le estremità, per delimitare le estremità dell’origine, fin quando le cellule
non saranno più in grado di crescere in terreno privo di arginina.
5. Fai riferimento ai contenuti online 19.1. Per dimostrare che effettivamente la replicazione
inizia alivello dell’ARS1 in un plasmide, scegli due enzimi di restrizione di cui uno (ad esempio,
BglII) taglia in prossimità della presunta origine di replicazione, e l’altro (ad esmpio, PvuI), che
taglia nella posizione diametralmente opposta del DNA circolare. Quindi, isola gli intermedi
replicativi a vari stadi di completamento, tagliali con l’uno, o l’altro, dei due enzimi di
restrizione, e sottoponili ad elettroforesi bi-dimensionale. Quindi, effettua un Southern blot, con
una sonda di DNA che ibridizzi al plasmide. Se la replicazione effettivamente inizia dall’ARS1,
il taglio con il primo enzima produrrà un pattern tipico di una doppia Y (la mobilità dovrebbe
diminuire in maniera pressoché lineare man mano che le Y si estendono). Inoltre, il taglio con il
secondo enzima produrrà un pattern caratteristico di una bolla, che infine si converte in una Y
pressoché lineare, quando una delle forcelle di replicazione supera il sito di restrizione.
6. Fai riferimento ai contenuti online 19.2. Parti da un DNA fagico circolare ibridizzato ad un
corto primer marcato associato ad un sito di legame sul primosoma. Quindi, aggiungi tutti i
componenti necessari alla replicazione del DNA e preleva campioni ad intervalli di pochi
secondi. Sottoponi ad elettroforesi i prodotti di DNA marcati per determinarne le lunghezze.
Dovresti ottenere risultati che mostrano che la forcella si sposta ad una velocità di 730 nucleotidi
al secondo.
7. La velocità della replicazione dipende direttamente dalla processività. Quindi, la misura della
velocità nella risposta alla precedente domanda ci dà un’indicazione della processività. Ad
esempio, in assenza della pinza beta, la velocità è di circa 10 nucleotidi al minuto, rispetto ai 730
nucleotidi per secondo in presenza della subunità beta.
8. La subunità beta fornisce la processività. La pinza beta è caricata sul DNA dal caricatore della
pinza, costituito dalle subunità delta, delta’, chi e psi. La pinza beta lega la subunità alfa della
polimerasi.
9. Fai riferimento ai contenuti online 19.3. Innanzitutto, si caricano pinze beta marcate su DNA
circolare. In un esperimento, il DNA circolare è linearizzato con un enzima di restrizione; in un
altro, il DNA è lasciato integro. I complessi DNA-pinze beta sono sottoposti a cromatografia per
gel filtrazione, per separare i complessi DNA-proteina dalle proteine libere, che usciranno dalla
colonna più tardi, rispetto ai complessi. Quando il DNA è linearizzato, le pinze beta si separano
dal DNA, suggerendo che esse si associano sul DNA come enelli su un dito, e possono
semplicemente scivolare via quando il DNA è linearizzato.
10. La cristallografia a raggi X mostra che il dimero beta forma un anello, suggerendo che esso si
assembli intorno al DNA.
11. La cristallografia a raggi X mostra che PCNA è un trimero, con i tre monomeri che si
associano come a formare un anello, a suggerire che il trimero si assembli intorno al DNA.
12. Fai riferimento ai contenuti online 19.4. O’Donnell e colleghi aggiunsero quantità crescenti
di complesso gamma ad uno stampo di DNA innescato del fago M13, ricoperto di proteine SSB,
in presenza di un complesso core polimerasi, del complesso betae di deossinucleosidi trifosfato,
uno dei quali marcato. Essi misurarono il numero di circoli replicati in funzione del numero di
complessi gamma, e trovarono che una fmol di complesso gamma era in grado di generare circa
10 fmol di circoli di DNA, nel tempo richiesto per replicare un solo circolo completo.
L’elettroforesi su gel confermò che si trattava di circoli completi. Siccome una fmol di
complesso gamma genera più fmol di prodotti, il complesso gamma funziona in maniera
catalitica.
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13. L’ipotesi, basata su studi cristallografici ai raggi X, è in parte mostrata in Figura 19.10.
L’ATP cambia la conformazione del caricatore della pinza per esporre la subunità delta, che
quindi si lega ad un monomero della pinza beta. Il legame di delta ad una delle subunità beta
cambia la conformazione di una delle interfacce tra le subunità beta, in modo da indebolirne
l’associazione. Il legame della subunità delta riduce anche la curvatura della subunità beta con
cui interagisce, cosicché quest’ultima non si adatta più nella struttura ad anello con l’altra
subunità beta. Insieme, questi due effetti aprono la pinza beta.
14. Fai riferimento alla Figura 19.13. L’oloenzima della DNA polimerasi III contiene due nuclei
enzimatici associati. Uno di questi è responsabile per la replicazione del filamento veloce, e
l’altro per la replicazione del filamento lento. Quindi, il nucleo enzimatico che replica il
filamento lento non si dissocia mai effettivamente dallo stampo, essendo associato alla
polimerasi che sta replicando in maniera continua il filamento veloce. Ciò riduce il tempo
richiesto per un’eventuale riassociazione al termine della sintesi di ciascun frammento di
Okazaki, e consente alla sintesi del filamento ritardato di tenere testa alla sintesi del filamento
veloce.
15. Fai riferimento ai contenuti online 19.5. O’Donnell e colleghi assemblarono un oloenzima
della polimerasi III (Pol III* con una pinza beta) su uno stampo a singolo filamento, innescato,
quindi aggiunsero due ulteriori stampi, uno con la pinza beta, l’altro senza. Essi aggiunsero
anche nucleotidi radioattivi per marcare il DNA replicato, ed attesero un tempo sufficiente al
completamento della replicazione del primo stampo, e anche di quello aggiuntivo, nel caso Pol
III* si dissociasse dal primo stampo e si legasse al secondo. Quindi sottoposero ad elettroforesi
gli RNA marcati per entrambi gli stampi, in presenza di marcatori di peso molecolare. I
ricercatori trovarono che i due diversi stampi potevano essere replicati se l’oloenzima era
assemblato sul primo, e la pinza beta assemblata sul secondo. Quindi, Pol III* poteva dissociarsi
da una pinza beta (sul primo stampo), ed associarsi ad un’altra pinza beta (sul secondo stampo).
16. O’Donnell e colleghi marcarono la pinza beta all’estremità C-terminale con una sequenza
fosforilabile di 6 amminoacidi, fosforilandola con una proteina chinasi ed ATP marcato. Quindi
fecero legare o la polimerasi core, o il caricatore della pinza, e digerirono in maniera blanda il
complesso con una miscela di proteasi. Quindi, sottoposero i prodotti ad elettroforesi. Sia la
polimerasi core (ma anche la sola sbunità alfa) che il caricatore della pinza (o la sua subunità
delta) proteggevano lo stesso sito dalla digestione, cosicché lo stesso peptide C-terminale
mancava da ciascun elettroferogramma. Quindi, la polimerasi core e il caricatore della pinza
sembrano legare lo stesso sito slla pinza beta.
17. Fai riferimento ai contenuti online. O’Donnell e colleghi caricarono pinze beta su uno stampo
circolare di DNA interrotto da nick, quindi aggiunsero il complesso gamma ed ATP. Essi
saggiarono lo scaricamento della pinza mediante cromatografia per gel filtrazione, che può
distinguere facilmente tra pize beta assemblate, che eluiscono legate al DNA, e pinze non
assemblate, che eluiscono senza il DNA legato. I risultati mostrano pinze beta che eluiscono
indipendentemente dal DNA solo quando sono presenti il complesso gamma ed ATP.
18. Fai riferimento alla Figura 19.14.
19. Fai riferimento alla Figura 19.16. La replicazione dei DNA circolari non permette la
segregazione le due molecole figlie di DNA, che rimangono attaccate per parecchi giri d’elica
dei filamenti di DNA parentali. Anche quando questi pochi giri d’elica vengono fusi, e le regioni
a singolo filamento sono state riempite e ligate, i due DNA ottenuti sono legati in un catenano.
La decatenazione infine separa i due duplex.
20. Fai riferimento ai contenuti online 19.8. Cozzarelli e colleghi crebbero ceppi selvatici e
temperatura-sensibili di Salmonella typhimurium in presenza di nucleotidi marcati sia alla
tyemperatura permissiva, che a quella non permissiva. Quindi sottoposero ad elettroforesi i DNA
prodotti per separare i catenani dai prodotti decatenati. Solo i ceppi con mutazioni nei geni
codificanti per le subunità della topoisomerasi IV erano deficitari nella decatenazione,
suggerendo che topo IV è l’enzima coinvolto nella decatenazione.
21. Fai riferimento alla Figura 19.17. I Procarioti hanno DNA circolari, cosicché possono
riempire tratti vuoti di DNA, estendendo il DNA a monte dell’interruzione. Gli eucarioti hanno
DNA lineari, cosicché non c’è DNA a monte per riempire tratti vuoti di DNA alle estremità 5’
lasciati dalla rimozione dei primer di RNA.
22. Fai riferimento alla Figura 19.18.
23.Le cellule di Tetrahymena hanno due tipi di nucleo, i micronuclei, con cinque coppie di
cromosomi, ed i macronuclei, con più di 200 frammenti cromosomici. Durante lo sviluppo dei
macronuclei, ciascun frammento cromosomico deve essere dotato di telomeri, per cui è richiesta
un’elevata concentrazione di telomerasi. Ciò rende questo organismo particolarmente
vantaggioso per lo studio di questo enzima.
24. Fai riferimento al contenuto online19.9. Greider e Blackburn prepararono estratti da cellule
di Tetrahymena che stavano sviluppando macronuclei. Essi aggiunsero un primer a questi
estratti, con una sequenza in grado di ibridizzare al telomero di Tetrahymena. Quindi
effettuarono sintesi di DNA con varie combinazioni di nucleotidi marcati e non marcati. Essi
ottennero una serie di telomeri marcati con l’aggiunta di dTTP freddo e dGTP marcato. Questo è
il risultato atteso, in quanto i telomeri contengono solo dT e dG. Si sarebbe ottenuto lo stesso
risultato con dTTP marcato e dGTP non marcato. Quindi, come atteso, il telomero poteva essere
sintetizzato solo in presenza di dGTP e dTTP.
25. Fai riferimento al contenuto online19.10. Blackburn e colleghi introdussero mutazioni nel
gene codificante per l’RNA della telomerasi di Tetrahymena. Se questo RNA effettivamente
funge da stampo per la sintesi dei telomeri, le alterazioni nella sequenza di RNA si dovrebbero
riscontrare nella sequenza dei telomeri. Il cambio nella sequenza telomerica fu scoperto prima
con esperimenti di Southern blot, quindi fu confermato dalla sequenza del DNA telomerico da
uno dei mutanti. In effetti, ci si rese conto che il mutante aveva sia sequenze normali, che mutate.
Tuttavia, la comparsa di sequenze mutanti dimostrò che l’RNA della telomerasi poteva
funzionare da stampo.
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26. Fai riferimento alla Figura 19.21.
27. Fai riferimento alla Figura 19.20. Griffith e colleghi generarono modelli di telomeri,
aggiunsero TRF2, che si lega ai telomeri, ombreggiarono i complessi proteina-DNA con metalli
pesanti, e li visualizzarono per microscopia elettronica. Erano chiaramente visibili le anse-t, con
TRF2 legato alla giunzione ansa-coda. Ancora, Griffith e colleghi riuscirono a stabilizzare
chimicamente, mediante crosslinking, le anse-t, quindi ombreggiarono il DNA ed effettuarono la
microscopia elettronica. Ancora, le anse erano chiaramente visibili e il crosslinking svolgeva la
stessa funzione stabilizzante di TRF2.
28. Fai riferimento alla Figura 19.22. Griffith, de Lange e colleghi purificarono anse-t da cellule
umane (HeLa), le sottoposero a crosslinking, ed aggiunsero SSB di E. coli per visualizzare l’ansa
(D) di spiazzamento, ombreggiarono i complessi proteina-DNA con metalli pesanti, e li
visualizzarono al microscopio elettronico. Le immagini mostrarono un’ansa-t con le SSB legate
laddove si poteva prevedere la presenza dell’ansa D in accordo all’ipotesi di invasione del
filamento.
PER L’APPROFONDIMENTO
1. Ricerca nel genoma di C. elegans una sequenza con similitudini alla sequenza del gene hpot1
(nel Capitolo 22 troverai dettagli su come effettuare queste ricerche). Per saggiare l’attività del
prodotto del gene di C. elegans per il legame ai telomeri, clona il cDNA corrispondente in un
vettore di espressione, che genererà un prodotto con un tag di oligoistidina, che renderà possibile
la purificazione della proteina. Purifica la proteina con cromatografia di affinità su Ni2+, e saggia
il legame ai telomeri mediante saggio EMSA di alterazione della mobilità elettroforetica, o con
un’altra tecnica di analisi di interazioni DNA-proteine.
2. Clona frammenti di restrizione del DNA virale in plasmidi privi della loro origine di
replicazione, ma che possiedono un gene richiesto per la biosintesi di un amminoacido (ad
esempio, triptofano). Trasferisci questi plasmidi in cellule deficitarie del gene per la biosintesi
del triptofano. Se un frammento di restrizione contiene un’origine di replicazione virale, sarà
capace di replicarsi in assenza di triptofano (almeno in cellule infettate dal virus), in virtù del
gene fornito dal plasmide che si replica. Per assicurarti di aver identificato tutte le origini di
replicazione, analizza frammenti di restrizione prodotti da più di un enzima. In questo modo, se
un enzima di restrizione taglia all’interno di un’origine, inattivandola, probabilmente un altro
non lo farà.
3. Da 10 a 70 secondi, la taglia dei DNA in allungamento aumenta da circa 15 a circa 100 kb.
Qindi, in un minuto, il DNA è cresciuto di 85 kb, e la velocità di sintesi del DNA è perciò di 85
kb/60 secondi, vale a dire circa 1,4 kb/sec. Quindi, Rapidus royi stabilisce un nuovo record,
replicando il DNA ad una velocità di circa il 40% più elevata rispetto ad E. coli.
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