Una papera e la Brianza mi hanno portato fortuna

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LA PROVINCIA
CULTURA
LUNEDÌ 17 MAGGIO 2010
«Una papera e la Brianza
mi hanno portato fortuna»
Maddalena Crippa in scena per 12 ore con «I Demoni» a Milano
racconta come, dalla provincia, ha debuttato con il grande Strehler
di Ylenia Spinelli
Una passione nata in famiglia e che
dalla Brianza l’ha portata ad esibirsi sui
palcoscenici di mezza Europa, recitando persino in tedesco. Quella per il Teatro, quello vero con la T maiuscola, imparato da maestri come Strehler, Ronconi e Stein, il grande regista berlinese,
classe 1937, divenuto in seguito suo marito, per Maddalena Crippa - considerata la migliore e più internazionale attrice italiana di prosa - è davvero la passione di una vita. Originaria di Montesiro, una frazione di Besana Brianza, negli anni ha alternato ruoli da popolana
a ruoli da aristocratica o spregiudicata
sciantosa, ma sono stati soprattutto i personaggi femminili tragici e classici a consacrarla come attrice.
Dal 22 maggio sarà la Generalessa potente e furba ne I Demoni, kolossal di
dodici ore di Peter Stein, tratto dall’omonimo capolavoro di Dostoevskij, che
debutterà a Milano e dopo aver toccato
Vienna, Amsterdam, Napoli, Ravenna e
Atene, arriverà a New York in luglio.
L’ennesima prova di teatro, questa volta corale, con un cast di ben 26 attori,
«una rarità», tiene a sottolineare, nelle
produzioni di oggi, dove, per ragioni di
costi, «si finisce spesso per fare dei monologhi».
Signora Crippa, la sua passione per
la recitazione ha qualche radice in
Brianza?
Certo, me l’ha trasmessa papà, che non
faceva l’attore, era un commerciante, ma
ha sempre amato il teatro e la lirica. E
l’ha trasmessa anche a mio fratello Giovanni, che lavora con Ronconi. Anche
papà a livello dilettantistico ha fatto l’attore. Alla mensa dei Vismara, la fabbrica dei salumi di Casatenovo (in provincia di Lecco), negli anni Sessanta, c’era
il «Centro culturale brianteo», con una
scuola e una compagnia che produceva
spettacoli teatrali, cui anche mio papà
ha partecipato. Inoltre questo centro culturale ospitava anche tanti spettacoli,
fatti da grandi professionisti e lui mi portava spesso a vederli.
A che età ha iniziato a recitare?
Avevo 12 anni quando mio papà riuscì
a unire i ragazzi dell’oratorio maschile
e femminile di Montesiro curando la regia di uno spettacolo cui partecipai anche io. Per l’emozione presi una papera
e quando il sipario si chiuse piansi tanto che ebbi la certezza che quella era la
mia strada. Avrei voluto iscrivermi subito alla scuola del Piccolo, ma non avevo l’età. Un giorno però mi capitò una
grande occasione.
Che intende dire?
Il caso ha voluto che Strehler facesse un
provino, aperto eccezionalmente alle
17enni, per il ruolo di Ania ne Il giardino dei ciliegi. Io partecipai, ma pur avendo superato le due prove, non venni scelta. Il maestro però mi notò e l’anno dopo mi prese per il ruolo di Lucietta ne Il
Campiello di Goldoni.
Quale è il più grande insegnamento
che le ha lasciato Strehler?
Il ritmo: Il Campiello è tutto in dialetto
veneziano del ’700, in rima, quasi una
partitura musicale. Inoltre mi ha trasmesso grande rigore e serietà.
C’è qualche somiglianza con il modo
di lavorare di suo marito?
Sì, nella dedizione, nella serietà e nel
coraggio di misurarsi con
l’arte e le opere d’arte senza compromessi, né con
il botteghino, né con lo
star system. Anche per
Peter il teatro ha un valore alto, che deve essere rispettato. Sono fiera di
avere avuto due maestri
come Strehler e Stein.
Com’ è lavorare con
suo marito?
Premetto che il nostro
amore è scattato sulle
persone, tra Maddalena
e Peter, non tra attrice e
regista. Detto questo, lui
è tedesco e molto severo
e non è che siccome sei
la sua donna hai vita
semplice, anzi, non ha
nessuna attenzione o riguardo nel fare critiche e
spesso capita di litigare.
In passato c’è stato un
momento in cui avrei voluto mollarlo, poi come
al solito si resiste e si va
avanti. È un modo per
maturare e per crescere,
con lui è un confronto
continuo, generazionale,
visto che è maggiore
vent’anni di me, ma anche culturale. E
poi siamo insieme da più di vent’anni,
ma con lui ho fatto solo sette spettacoli.
C’è un personaggio che più le è rimasto nel cuore?
La Medea, in cui sono stata diretta da
Peter, ma soprattutto l’Ada Mariglia, personaggio de L’Annaspo di Raffaele Orlando, che ho interpretato con la regia
di Cristina Pezzoli. Orlando è un autore morto giovane, a trent’anni, ha lasciato solo questo testo compiuto, sul lato
nero degli anni Sessanta, ed è un vero
peccato.
Come sarà invece la Generalessa de
«I Demoni»?
Sono la mamma del protagonista, una
donna irreprensibile, capace di influire
sull’intera comunità. I russi, e Dostoevskij in particolare, hanno la capacità
straordinaria di mostrare la complessità
dei sentimenti che ci invadono. È un
personaggio difficile da interpretare perché in lei convivono la durezza esteriore nei confronti dell’uomo che ama follemente e la sofferenza interiore di un
sentimento mai espresso.
Dodici ore di maratona teatrale non
sono pesanti?
Per noi attori no, anche perché siamo in
tanti e c’è una bellissima alternanza. Per
il pubblico nemmeno, perché è catturato dalla storia. È uno spettacolo facile,
per tutti, anche per chi non ha letto il
lungo romanzo. L’esperienza della "giornata teatrale" è come un viaggio interiore, mentale ed emozionale, con la possibilità di riflettere su temi che nella società di oggi sono spesso nascosti.
Ha partecipato al Festival di Salisburgo, recitando in tedesco, cosa le ha
dato questa esperienza?
Ho fatto la parte della Lussuria nello Jedermann di Hofmannsthal e sono diventata una diva, qui in Italia non è immaginabile, ma in Austria sì, perché il
teatro è molto amato e seguito, è popolare.
Cosa l’ha poi fatta appassionare al
canto?
È una strada parallela a quella teatrale,
iniziata con i recital Canzoni italiane del
1919-39 e Canzonette vagabonde degli
anni ’20 e ’40. L’ultima esperienza è stata quella del teatro canzone di Gaber
con E pensare che c’era il pensiero. Se
avessi incontrato la passione del canto
prima, probabilmente sarei diventata
una cantante!
I Demoni Milano, Hangar Bicocca,
viale Sarca 336, 22, 23, 29, 30 maggio, dalle ore 11 alle 22.30.
«Alla mensa dei
Vismara, la
fabbrica dei
salumi di
Casatenovo (in
provincia di
Lecco), negli
anni Sessanta,
c’era il Centro
culturale
brianteo, con
una scuola e una
compagnia che
produceva
spettacoli
teatrali, cui
anche mio papà
ha partecipato»
Maddalena Crippa, 52 anni, star del teatro italiano e tedesco
Storie di streghe lariane
(l.d’i.) «Ma chi erano, in verità, le streghe?».Attorno a questa domanda ruota la conferenza che domani,alla conviviale del Lions Club Lariano,terrà la dottoressa Chiara Milani,direttrice della Bi-
blioteca Comunale.L’area lariana è stata fortemente interessata dal fenomeno dell’inquisizione contro le presunte
"streghe",seguita alla pubblicazione del
«Malleus Maleficarum» (XV-XVII secolo).
[L’età dell’eleganza / I protagonisti della mostra]
Dior detestava lo stampato. Ma Como glielo fece amare
Tessuto Costa
con disegno a
baccelli di
piselli, in
mostra a Villa
del Grumello, a
Como.
Il 12 febbraio 1947, in una
Francia ancora prostrata dalla
guerra, Christian Dior firma a Parigi la sua prima collezione, «Corolle»: «donne-fiore, spalle dolci,
busto prosperoso, vitini fini come
liane e gonne larghe come corolle». «Una vera rivoluzione», commenta «Harper’s Bazaar», e la redazione gli scrive entusiasta: «Caro Christian: it’s quite a New
Look!». L’espressione ha fatto storia. Il successo di Dior - protagonista, con alcuni dei suoi abiti,
della mostra «L’età dell’eleganza»,
dedicata alle Filande e tessituro
Costa, a Villa del Grumello di Como - è una storia di talento, coraggio e fortuna. «Le clienti della mo-
da francese del dopoguerra - spiega Alessandra Bosc, del Museo
Galliera di Parigi - sono buone
borghesi: esigenti, ma conservatrici. Corolle, così apprezzata in
America, fu uno choc per la Francia». Dior allunga le gonne del
30% e disegna modelli a girovita di 50-55 cm, almeno 5 cm meno del consueto. Gli abiti Dior sono costosi, innovatori, e tagliati
per un corpo perfetto: così Christian ottiene l’effetto bomba che
desiderava, nel bene e nel male,
il mondo intero parla di lui. I setaioli di Lione si impensieriscono:
troppo caro, troppo poco vendibile. Ma Christian Dior non è un
novizio. Quando nel 1946, grazie
all’aiuto dell’amico Marcel Boussac, riesce a sua volta a mettersi
in proprio e si istalla in Avenue
Montaigne, Christian ha 41 anni
e un’esperienza consolidata nella moda. Conosce il mercato, le
tendenze, i costi. Tenace e sempre
in anticipo sui tempi, Christian ha
anche una sua buona stella e proprio nel ’48 ecco due eventi fatali: l’incontro con la disegnatrice
Andrée Brossin de Meré, e la collaborazione con le Filande e Tessiture Costa di Como. Se gli abiti
di Dior sembrano troppo arditi per
i francesi, Andrée ha lo stesso problema coi suoi disegni, trionfo di
colori e sovrapposizione dirompente dei mille elementi della na-
tura. Il gruppo di Como, da parte
sua, ha adottato per difendere il
mercato artigianale comasco dalle sfide del sintetico e della mondializzazione la linea di un’assoluta originalità. D’altra parte Andrée, vera strega dei colori ed
esperta conoscitrice dei tessuti,
cerca una seta speciale, capace di
rendere la "souplesse" della sua
mano e la brillantezza dei soggetti. Caratteristiche alle quali risponde perfettamente, e unicamente,
la seta di Como.
Prima dalla Svizzera, poi a Parigi dove rientra nel 56 per fondare
una sua casa, Andrée de Brossin
stampa su seta di Como per Dior
e Givenchy, poi per tutti i princi-
pali stilisti dell’epoca. «Basta sfogliare i documenti d’archivio spiegano Caroline Pinon e Veronique Belloir, del Museo des arts
décoratifs di Parigi - a partire dagli anni 50, il trio è onnipresente: Dior - Brossin - Costa Como,
Dior - Brossin - Bernasconi Como, Givenchy - Brossin - Como…». «Dior non amava la seta
stampata, ma adorava quella disegnata da Andrée», scriverà la
rivista «Femme» (3-12-1980), e
Andrée, in un’intervista a «Figaro Magazine» nel ’59: fra tutti i
miei interlocutori, «Dior era quello che sceglieva con più umanità,
discuteva, mi parlava…».
Carla Di Martino