[46 ] LA PROVINCIA CULTURA LUNEDÌ 17 MAGGIO 2010 «Una papera e la Brianza mi hanno portato fortuna» Maddalena Crippa in scena per 12 ore con «I Demoni» a Milano racconta come, dalla provincia, ha debuttato con il grande Strehler di Ylenia Spinelli Una passione nata in famiglia e che dalla Brianza l’ha portata ad esibirsi sui palcoscenici di mezza Europa, recitando persino in tedesco. Quella per il Teatro, quello vero con la T maiuscola, imparato da maestri come Strehler, Ronconi e Stein, il grande regista berlinese, classe 1937, divenuto in seguito suo marito, per Maddalena Crippa - considerata la migliore e più internazionale attrice italiana di prosa - è davvero la passione di una vita. Originaria di Montesiro, una frazione di Besana Brianza, negli anni ha alternato ruoli da popolana a ruoli da aristocratica o spregiudicata sciantosa, ma sono stati soprattutto i personaggi femminili tragici e classici a consacrarla come attrice. Dal 22 maggio sarà la Generalessa potente e furba ne I Demoni, kolossal di dodici ore di Peter Stein, tratto dall’omonimo capolavoro di Dostoevskij, che debutterà a Milano e dopo aver toccato Vienna, Amsterdam, Napoli, Ravenna e Atene, arriverà a New York in luglio. L’ennesima prova di teatro, questa volta corale, con un cast di ben 26 attori, «una rarità», tiene a sottolineare, nelle produzioni di oggi, dove, per ragioni di costi, «si finisce spesso per fare dei monologhi». Signora Crippa, la sua passione per la recitazione ha qualche radice in Brianza? Certo, me l’ha trasmessa papà, che non faceva l’attore, era un commerciante, ma ha sempre amato il teatro e la lirica. E l’ha trasmessa anche a mio fratello Giovanni, che lavora con Ronconi. Anche papà a livello dilettantistico ha fatto l’attore. Alla mensa dei Vismara, la fabbrica dei salumi di Casatenovo (in provincia di Lecco), negli anni Sessanta, c’era il «Centro culturale brianteo», con una scuola e una compagnia che produceva spettacoli teatrali, cui anche mio papà ha partecipato. Inoltre questo centro culturale ospitava anche tanti spettacoli, fatti da grandi professionisti e lui mi portava spesso a vederli. A che età ha iniziato a recitare? Avevo 12 anni quando mio papà riuscì a unire i ragazzi dell’oratorio maschile e femminile di Montesiro curando la regia di uno spettacolo cui partecipai anche io. Per l’emozione presi una papera e quando il sipario si chiuse piansi tanto che ebbi la certezza che quella era la mia strada. Avrei voluto iscrivermi subito alla scuola del Piccolo, ma non avevo l’età. Un giorno però mi capitò una grande occasione. Che intende dire? Il caso ha voluto che Strehler facesse un provino, aperto eccezionalmente alle 17enni, per il ruolo di Ania ne Il giardino dei ciliegi. Io partecipai, ma pur avendo superato le due prove, non venni scelta. Il maestro però mi notò e l’anno dopo mi prese per il ruolo di Lucietta ne Il Campiello di Goldoni. Quale è il più grande insegnamento che le ha lasciato Strehler? Il ritmo: Il Campiello è tutto in dialetto veneziano del ’700, in rima, quasi una partitura musicale. Inoltre mi ha trasmesso grande rigore e serietà. C’è qualche somiglianza con il modo di lavorare di suo marito? Sì, nella dedizione, nella serietà e nel coraggio di misurarsi con l’arte e le opere d’arte senza compromessi, né con il botteghino, né con lo star system. Anche per Peter il teatro ha un valore alto, che deve essere rispettato. Sono fiera di avere avuto due maestri come Strehler e Stein. Com’ è lavorare con suo marito? Premetto che il nostro amore è scattato sulle persone, tra Maddalena e Peter, non tra attrice e regista. Detto questo, lui è tedesco e molto severo e non è che siccome sei la sua donna hai vita semplice, anzi, non ha nessuna attenzione o riguardo nel fare critiche e spesso capita di litigare. In passato c’è stato un momento in cui avrei voluto mollarlo, poi come al solito si resiste e si va avanti. È un modo per maturare e per crescere, con lui è un confronto continuo, generazionale, visto che è maggiore vent’anni di me, ma anche culturale. E poi siamo insieme da più di vent’anni, ma con lui ho fatto solo sette spettacoli. C’è un personaggio che più le è rimasto nel cuore? La Medea, in cui sono stata diretta da Peter, ma soprattutto l’Ada Mariglia, personaggio de L’Annaspo di Raffaele Orlando, che ho interpretato con la regia di Cristina Pezzoli. Orlando è un autore morto giovane, a trent’anni, ha lasciato solo questo testo compiuto, sul lato nero degli anni Sessanta, ed è un vero peccato. Come sarà invece la Generalessa de «I Demoni»? Sono la mamma del protagonista, una donna irreprensibile, capace di influire sull’intera comunità. I russi, e Dostoevskij in particolare, hanno la capacità straordinaria di mostrare la complessità dei sentimenti che ci invadono. È un personaggio difficile da interpretare perché in lei convivono la durezza esteriore nei confronti dell’uomo che ama follemente e la sofferenza interiore di un sentimento mai espresso. Dodici ore di maratona teatrale non sono pesanti? Per noi attori no, anche perché siamo in tanti e c’è una bellissima alternanza. Per il pubblico nemmeno, perché è catturato dalla storia. È uno spettacolo facile, per tutti, anche per chi non ha letto il lungo romanzo. L’esperienza della "giornata teatrale" è come un viaggio interiore, mentale ed emozionale, con la possibilità di riflettere su temi che nella società di oggi sono spesso nascosti. Ha partecipato al Festival di Salisburgo, recitando in tedesco, cosa le ha dato questa esperienza? Ho fatto la parte della Lussuria nello Jedermann di Hofmannsthal e sono diventata una diva, qui in Italia non è immaginabile, ma in Austria sì, perché il teatro è molto amato e seguito, è popolare. Cosa l’ha poi fatta appassionare al canto? È una strada parallela a quella teatrale, iniziata con i recital Canzoni italiane del 1919-39 e Canzonette vagabonde degli anni ’20 e ’40. L’ultima esperienza è stata quella del teatro canzone di Gaber con E pensare che c’era il pensiero. Se avessi incontrato la passione del canto prima, probabilmente sarei diventata una cantante! I Demoni Milano, Hangar Bicocca, viale Sarca 336, 22, 23, 29, 30 maggio, dalle ore 11 alle 22.30. «Alla mensa dei Vismara, la fabbrica dei salumi di Casatenovo (in provincia di Lecco), negli anni Sessanta, c’era il Centro culturale brianteo, con una scuola e una compagnia che produceva spettacoli teatrali, cui anche mio papà ha partecipato» Maddalena Crippa, 52 anni, star del teatro italiano e tedesco Storie di streghe lariane (l.d’i.) «Ma chi erano, in verità, le streghe?».Attorno a questa domanda ruota la conferenza che domani,alla conviviale del Lions Club Lariano,terrà la dottoressa Chiara Milani,direttrice della Bi- blioteca Comunale.L’area lariana è stata fortemente interessata dal fenomeno dell’inquisizione contro le presunte "streghe",seguita alla pubblicazione del «Malleus Maleficarum» (XV-XVII secolo). [L’età dell’eleganza / I protagonisti della mostra] Dior detestava lo stampato. Ma Como glielo fece amare Tessuto Costa con disegno a baccelli di piselli, in mostra a Villa del Grumello, a Como. Il 12 febbraio 1947, in una Francia ancora prostrata dalla guerra, Christian Dior firma a Parigi la sua prima collezione, «Corolle»: «donne-fiore, spalle dolci, busto prosperoso, vitini fini come liane e gonne larghe come corolle». «Una vera rivoluzione», commenta «Harper’s Bazaar», e la redazione gli scrive entusiasta: «Caro Christian: it’s quite a New Look!». L’espressione ha fatto storia. Il successo di Dior - protagonista, con alcuni dei suoi abiti, della mostra «L’età dell’eleganza», dedicata alle Filande e tessituro Costa, a Villa del Grumello di Como - è una storia di talento, coraggio e fortuna. «Le clienti della mo- da francese del dopoguerra - spiega Alessandra Bosc, del Museo Galliera di Parigi - sono buone borghesi: esigenti, ma conservatrici. Corolle, così apprezzata in America, fu uno choc per la Francia». Dior allunga le gonne del 30% e disegna modelli a girovita di 50-55 cm, almeno 5 cm meno del consueto. Gli abiti Dior sono costosi, innovatori, e tagliati per un corpo perfetto: così Christian ottiene l’effetto bomba che desiderava, nel bene e nel male, il mondo intero parla di lui. I setaioli di Lione si impensieriscono: troppo caro, troppo poco vendibile. Ma Christian Dior non è un novizio. Quando nel 1946, grazie all’aiuto dell’amico Marcel Boussac, riesce a sua volta a mettersi in proprio e si istalla in Avenue Montaigne, Christian ha 41 anni e un’esperienza consolidata nella moda. Conosce il mercato, le tendenze, i costi. Tenace e sempre in anticipo sui tempi, Christian ha anche una sua buona stella e proprio nel ’48 ecco due eventi fatali: l’incontro con la disegnatrice Andrée Brossin de Meré, e la collaborazione con le Filande e Tessiture Costa di Como. Se gli abiti di Dior sembrano troppo arditi per i francesi, Andrée ha lo stesso problema coi suoi disegni, trionfo di colori e sovrapposizione dirompente dei mille elementi della na- tura. Il gruppo di Como, da parte sua, ha adottato per difendere il mercato artigianale comasco dalle sfide del sintetico e della mondializzazione la linea di un’assoluta originalità. D’altra parte Andrée, vera strega dei colori ed esperta conoscitrice dei tessuti, cerca una seta speciale, capace di rendere la "souplesse" della sua mano e la brillantezza dei soggetti. Caratteristiche alle quali risponde perfettamente, e unicamente, la seta di Como. Prima dalla Svizzera, poi a Parigi dove rientra nel 56 per fondare una sua casa, Andrée de Brossin stampa su seta di Como per Dior e Givenchy, poi per tutti i princi- pali stilisti dell’epoca. «Basta sfogliare i documenti d’archivio spiegano Caroline Pinon e Veronique Belloir, del Museo des arts décoratifs di Parigi - a partire dagli anni 50, il trio è onnipresente: Dior - Brossin - Costa Como, Dior - Brossin - Bernasconi Como, Givenchy - Brossin - Como…». «Dior non amava la seta stampata, ma adorava quella disegnata da Andrée», scriverà la rivista «Femme» (3-12-1980), e Andrée, in un’intervista a «Figaro Magazine» nel ’59: fra tutti i miei interlocutori, «Dior era quello che sceglieva con più umanità, discuteva, mi parlava…». Carla Di Martino