Commento alla Sentenza Covaci della CGUE

UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
OSSERVATORIO EUROPA
Le ricadute sugli ordinamenti interni della direttiva in tema di diritto all’interpretazione e
alla traduzione degli atti nel processo penale e all’informazione nei procedimenti penali:
commento a prima lettura della sentenza Covaci della CGUE in data 15.10.2015
Con la decisione in esame, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea affronta per la prima volta le
ricadute sugli ordinamenti interni dei paesi della UE delle Direttive 64/2010/UE in tema di diritto
all’interpretazione ad alla traduzione degli atti nel processo penale e 13/2012/UE in tema di diritto
all’informazione nei procedimenti penali.
Le questioni esaminate concernono l’ordinamento tedesco, ma hanno rilievo anche per l’Italia, che
ha attuato la Direttiva 64/2010/UE con il Decreto Legislativo 32/2014 e quella 13/2012/UE con il
Decreto Legislativo 101/2014. Detti testi normativi contengono modifiche ad alcune disposizioni
del codice di rito e, in particolare, per quanto qui interessa, hanno riscritto gli articoli 143 e 369 e
introdotto l’articolo 369 bis c.p.p..
Per migliore comprensione della pronuncia, appare opportuno un cenno alla vicenda sottesa. Un
Giudice tedesco è richiesto dalla Procura di emettere un decreto penale di condanna nei confronti
di un cittadino rumeno che non parla la lingua del processo, che è stato assistito da un interprete
per rapportarsi con la Polizia Giudiziaria e che ha eletto domicilio legale in Germania presso la
cancelleria del Tribunale, “non possedendo né domicilio abituale né residenza nella sfera di
applicazione della legge tedesca” (paragrafo 18 della pronuncia in esame). In tale situazione, il
Giudice si interroga se, alla luce del testo delle citate Direttive, il diritto dell’Unione osti a una
normativa nazionale che, da un lato, imponga la possibilità di emanare un provvedimento di
condanna in idioma non compreso dall’imputato e non consenta l’impugnazione in lingua diversa
da quella del processo; dall’altro se, in tale ipotesi, sia legittimo che sia imposta una elezione di
domicilio legale da cui inizia a decorrere il termine per impugnare a prescindere dalla effettiva
conoscenza dell’accusa e del provvedimento da parte dell’interessato.
Dopo aver svolto la consueta ricognizione dei testi normativi dell’Unione e dello Stato interessato
con particolare riferimento agli scopi delle Direttive emanate, la Corte ha risposto ai quesiti
assumendo una posizione di ragionevole contemperamento degli interessi contrapposti. In
particolare (paragrafi da 33 a 38) la Corte ha osservato come la finalità della Direttiva 64/2010/UE
sia quella di consentire agli alloglotti di comprendere l’accusa e difendersi adeguatamente per non
compromettere l’equità del procedimento e quella della Direttiva 13/2012/UE di permettere – nella
stessa ottica – la comprensione dell’accusa e dei principali diritti procedurali (paragrafi da 53 a
58).
Da tali premesse, la CGUE ha in primo luogo ritenuto che non osta al diritto dell’Unione una
normativa nazionale che non permetta di impugnare un decreto penale in lingua diversa da quella
del processo, ma alla condizione che sia garantito un interprete gratuito in cancelleria oppure
l’assistenza di un difensore e che non sia ritenuto un atto fondamentale, per quanto non compreso
nell’elenco di cui all’articolo 3 della Direttiva 64/2010/UE (paragrafi 42 e 51).
Circa la seconda questione, il Giudice dell’Unione ha ritenuto che non osta al diritto dell’Unione
una normativa interna che consenta la notifica in un domicilio legale di un decreto penale di
condanna e che il termine per opporsi sia contenuto in due settimane, a condizione che il
destinatario sia posto possa fruire interamente ed effettivamente di detto termine per esercitare i
propri diritti, a prescindere dalla decorrenza formale dello stesso (paragrafi 65 e 68).
Come ovvio, esula dallo scopo delle presenti brevissime note un esame approfondito delle
questioni sul tappeto. Sul punto, può essere utile rinviare alla dottrina che si è occupata del tema
(circa il diritto alla traduzione ed interpretazione, ex multis, cfr. Gialuz, D. Lgs. 4.3.2014, n. 32.
Attuazione della Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione ed alla traduzione nei
procedimenti penali, in La Legislazione penale, 2014, p. 185 e ss.; Recchione, L’impatto della
direttiva 2010/64/UE sulla giurisdizione penale: problemi, percorsi interpretativi, prospettive, in
Diritto penale contemporaneo, 15.7.2014; circa il diritto all’informazione nei procedimenti penali,
vedi in generale Introdotte modifiche al codice di procedura penale (ed alla disciplina del mae)
per garantire il diritto all’informazione, in Diritto penale contemporaneo, 22.7.2014; Ciampi, La
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto all’informazione nei procedimenti
penali, in Diritto penale contemporaneo, 27.6.2012).
A prima lettura, la decisione però appare meritevole di brevi notazioni sotto (almeno) un triplice
ordine di profili.
In primo luogo, lo Stato italiano si è costituito nel giudizio, evidentemente cogliendo le ricadute
interne della decisione, posto che il procedimento per decreto e l’elezione di domicilio sono
disciplinate in Italia in modo sostanzialmente sovrapponibile all’ordinamento tedesco, come fatto
palese dalla lettura dei paragrafi da 12 a 15 della pronuncia. Del resto, l’avvicinamento degli
ordinamenti degli Stati membri in vista dell’accrescimento della fiducia reciproca e del
conseguente mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziali è uno degli scopi primari della
legislazione eurounitaria approvata in esecuzione della Road Map di Stoccolma del 2009.
In secondo luogo, deve essere rimarcato che la presa di posizione del Tribunale tedesco è avvenuta
in vista dell’emissione del decreto penale, e quindi in un momento in cui il contrasto tra la
normativa eurounitaria e quella interna era solo potenziale. Si tratta di osservazione forse banale,
ma che è utile a rimarcare le profonde differenze tra le questioni pregiudiziali e quelle interne di
legittimità costituzionale, sotto un duplice angolo visuale. Da un lato, avanti alla Corte di Giustizia
è in gioco la sola interpretazione del Diritto dell’Unione, che si riverbera a cascata sui singoli
ordinamenti nazionali (oggetto eventuale di giudizio di costituzionalità ove non sia possibile
l’interpretazione conforme alle decisioni della Corte di Giustizia oppure non sia ritenuta
praticabile la disapplicazione delle disposizioni interne ritenute antinomiche rispetto al diritto
eirounitario); dall’altro, la nozione di “rilevanza” della questione è ben più lata di quella
conosciuta in Italia nella giustizia costituzionale. Secondo la costante giurisprudenza di
Lussemburgo, la valutazione di rilevanza compete al Giudice nazionale: allorché le questioni
sollevate concernano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta
a statuire, con la conseguenza che dette problematiche godono di una presunzione di rilevanza (sul
punto, sia consentito il richiamo alla nota sentenza della Grande Sezione 8.9.2015, causa 105/14
Taricco, in tema di prescrizione dei reati tributari che offendono il Diritto dell’Unione: vedi in
particolare i paragrafi da 28 a 32).
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Infine, nel merito la decisione si segnala perché consente una prima verifica della compatibilità
con il diritto eurounitario del rito speciale del decreto penale di condanna e, più in generale, del
grado di tutela interna dei diritti garantiti dalle citate Direttive.
In estrema sintesi, può osservarsi quanto segue.
L’articolo 143 c.p.p. (commi 1 e 2) vigente prevede il diritto all’interpretazione ed alla traduzione
degli atti fondamentali del processo penale a favore dello straniero che non conosce la lingua
italiana. Secondo la CGUE (paragrafo 31 della pronuncia in commento), “possono beneficare del
diritto alla interpretazione soltanto gli indagati e gli imputati che non siano in grado esprimersi
da soli nella lingua del procedimento, che ciò avvenga perché non parlino o non comprendano
tale lingua (…)”.
Manifesta è la differente ottica: il legislatore italiano ha attuato la Direttiva 64/2010/UE in modo
minimale, e ciò ha già avuto rilevanti effetti nella pratica. Nei numerosissimi procedimenti penali
aperti a carico di alloglotti fioriscono formulari in cui la Polizia Giudiziaria dà atto che la persona
“parla sufficientemente la lingua italiana” (o espressioni similari). Ciò è in genere bastevole per
ritenere che il diritto alla traduzione degli atti fondamentali (ed all’interprete, in caso di
comparizione avanti alla A.G. oppure alla Polizia Giudiziaria) non sia esercitabile, quando è
intuitiva la differenza tra il sapersi esprimere in modo basico in una lingua non nativa e il
comprendere le dinamiche, spesso complesse, di un procedimento penale (e il contenuto degli atti
e delle eventuali facoltà da esercitare).
Più nello specifico con riferimento al rito alternativo del decreto penale di condanna, il codice di
procedura penale dispone in generale che la lingua del processo sia l’italiano (articolo 109 comma
1 c.p.p.) e che il temine per opporre un decreto penale di condanna sia di quindici giorni (articolo
461 c.p.p.). Sotto diverso, ma connesso profilo, è imposta una elezione di domicilio nello Stato
anche se non si hanno legami stabili con lo stesso (articolo 161 c.p.p.); il termine per proporre
opposizione decorre dalla notifica al domicilio dichiarato oppure eletto. Va rimarcato che
l’ordinamento italiano impone già la traduzione del decreto penale agli imputati alloglotti (articolo
143 comma 2 c.p.p.) e la notifica dello stesso al difensore, d’ufficio oppure di fiducia (articolo 460
comma 3 c.p.p.), e ciò appare certamente conforme allo spirito del diritto dell’Unione.
Possibili punti di frizione con i principi sanciti dalla Corte possono però essere, a prima lettura,
individuati nella rigidità del termine per impugnare (l’articolo 462 c.p.p. rimanda alla disciplina
della restituzione nel termine di cui all’articolo 175 comma 2 c.p.p., che però è soggetta a sua volta
a brevi termini decadenziali) e nella non prevista assistenza di un interprete per la proposizione
personale dell’opposizione in cancelleria. Come ovvio, si tratta di criticità superabili nella prassi,
purché non si assista a chiusure di stampo prettamente burocratico da parte degli organi
giurisdizionali (ma la poco meditata attuazione della Direttiva 64/2010/UE non pare di aiuto). In
altri termini, deve essere agevolato l’esercizio del diritto all’opposizione a prescindere dalla
stretta lettera della legge, in conformità all’effetto utile delle Direttive come sviscerato dalla
Corte di Giustizia (e in questo senso è auspicabile un definitivo superamento di orientamenti
giurisprudenziali quali quello espresso da Cass. Pen., Sez. Un., sentenza 36541/08, ric,. Akimenko,
in Cass. Pen., 2009, p. 2016 ss., con nota di Bargis, Inammissibile l’impugnazione redatta in
lingua straniera: punti fermi e lacune di sistema dopo la pronuncia delle Sezioni Unite).
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In un’ottica più lata, appare meritevole di un cenno il paragrafo 42 della decisione. L’articolo 2
della Direttiva 64/2010/UE garantisce il beneficio della assistenza gratuita di un interprete per
proporre un atto di opposizione orale, ovvero “nel caso in cui la persona medesima proponga
opposizione per iscritto, il beneficio dell’assistenza di un difensore che sarà incaricato di redigere
il documento corrispondente nella lingua del procedimento”. L’assunto sembra indirettamente
responsabilizzare il difensore, designato di fiducia oppure d’ufficio, che dovrà farsi carico di
spiegare correttamente a chi parla un diverso idioma le possibili opzioni difensive, con particolare
riferimento ai riti alternativi previsti dal codice di rito, oppure alla scelta del dibattimento, oppure
ancora alla opportunità di non proporre opposizione, il tutto eventualmente con il tramite di un
assistente linguistico.
Infine, merita un cenno anche il paragrafo 63 della decisione in esame, che potrebbe aprire la
strada ad una decorrenza del termine per proporre opposizione diversa dalla data di formale
effettuazione della notifica del decreto penale. Se la legislazione interna consente di esercitare (o
meno) una facoltà entro un certo termine, questo deve essere fruito interamente ed effettivamente
dal destinatario, che non deve subire ostacoli dalla circostanza di essere alloglotto oppure di non
avere una stabile residenza o domicilio nello Stato che procede. Si tratta evidentemente di concetti
cui il giurista italiano non è avvezzo, abituato da sempre alla legalità formale. La Corte di
Giustizia ha viceversa un approccio pragmatico: se è riconosciuto un diritto, questo deve essere
fruito appieno, anche a prescindere dalle comunicazioni formalmente ineccepibili. Come
ovvio, si tratta di affermazioni da verificare in concreto nelle singole fattispecie, ma che aprono
interessanti scenari in vista di un procedimento penale in cui l’interessato (specie se alloglotto)
possa effettivamente ed efficacemente difendersi, senza essere pregiudicato da meccanismi di
notifica il cui perfezionamento sia legato ad adempimenti meramente formali.
Si può allora affermare che con la sentenza Covaci finalmente è stata superata quella ferita inferta
dalle Sezioni Unite con il caso Akimenko del 2008 ove si era affermata l’inammissibilità
dell’impugnazione non redatta in italiano.
E a questo punto, non resta che impugnare sempre in lingua straniera. Vedremo quali saranno le
reazioni della nostra giurisprudenza.
Roma, 10 novembre 2015
L’Osservatorio Europa
SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA (Prima Sezione)
15 ottobre 2015 (lingua processuale: tedesco)
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2010/64/UE –
Diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali – Lingua del procedimento –
Decreto penale di condanna infliggente una pena pecuniaria – Possibilità di proporre opposizione
in una lingua diversa da quella del procedimento – Direttiva 2012/13/UE – Diritto
all’informazione nei procedimenti penali – Diritto di essere informato dell’accusa – Notifica di un
decreto penale di condanna – Modalità – Nomina obbligatoria di un domiciliatario da parte
dell’imputato – Termine di opposizione decorrente dalla notifica al domiciliatario»
Nella causa C‑ 216/14, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
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Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Amtsgericht Laufen (tribunale distrettuale di Laufen,
Germania), con decisione del 22 aprile 2014, pervenuta in cancelleria il 30 aprile 2014, nel
procedimento penale a carico di Gavril Covaci,
LA CORTE (Prima Sezione), composta da A. Tizzano (relatore), vicepresidente, facente funzione
di presidente della Prima Sezione, F. Biltgen,, A. Borg Barthet, M. Berger e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: K. Malacek, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 marzo 2015,
considerate le osservazioni presentate:
–
per G. Covaci, da U. Krause e S. Ryfisch, Rechtsanwälte;
–
per il governo tedesco, da T. Henze e J. Kemper, in qualità di agenti;
–
per il governo greco, da K. Georgiadis e S. Lekkou, in qualità di agenti;
–
per il governo francese, da D. Colas e F.-X. Bréchot, in qualità di agenti;
–
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da M. Salvatorelli,
avvocato dello Stato;
–
per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente;
–
per la Commissione europea, da W. Bogensberger e R. Troosters, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 maggio 2015,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 1, paragrafo 2, e
2, paragrafi 1 e 8, della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20
ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (GU L 280,
pag. 1), nonché degli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva
2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto
all’informazione nei procedimenti penali (GU L 142, pag. 1).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale nei confronti del
sig. Covaci per infrazioni stradali commesse dall’interessato.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
La direttiva 2010/64
3. I considerando 12, 17 e 27 della direttiva 2010/64 sono così formulati:
«(12) La presente direttiva (…) stabilisce norme minime comuni da applicare nell’ambito
dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali al fine di rafforzare la fiducia
reciproca tra gli Stati membri. (...)
(17) La presente direttiva dovrebbe assicurare un’assistenza linguistica adeguata e gratuita,
consentendo a indagati o imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento
penale di esercitare appieno i loro diritti della difesa e tutelare l’equità del procedimento. (...)
(27) L’obbligo di dedicare un’attenzione particolare a indagati o imputati in posizione di
potenziale debolezza, in particolare a causa di menomazioni fisiche che ne compromettono la
capacità di comunicare efficacemente, costituisce il fondamento di una buona amministrazione
della giustizia. Le autorità preposte all’esercizio dell’azione penale, le autorità di pubblica
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sicurezza e le autorità giudiziarie dovrebbero quindi provvedere affinché tali persone possano
esercitare in modo effettivo i diritti previsti dalla presente direttiva, ad esempio prendendo in
considerazione qualsiasi potenziale vulnerabilità che compromette la loro capacità di seguire il
procedimento e di farsi capire, e intraprendendo le azioni necessarie per garantire i diritti in
questione».
4. L’articolo 1 di tale direttiva, rubricato «Oggetto e ambito di applicazione», prevede, ai paragrafi
1 e 2, quanto segue:
«1. La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’interpretazione e alla traduzione nei
procedimenti penali (…)
2. Il diritto di cui al paragrafo 1 si applica alle persone che siano messe a conoscenza dalle autorità
competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagate o
imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione
definitiva che stabilisce se abbiano commesso il reato, inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena
e l’esaurimento delle istanze in corso».
5. L’articolo 2 della medesima direttiva, rubricato «Diritto all’interpretazione», così dispone:
«1. Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono
la lingua del procedimento penale in questione siano assistiti senza indugio da un interprete nei
procedimenti penali dinanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia,
e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari.
2. Gli Stati membri assicurano, ove necessario al fine di tutelare l’equità del procedimento, che
l’interpretazione sia disponibile per le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato,
direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla
presentazione di un ricorso o di un’altra istanza procedurale.
3. Il diritto all’interpretazione di cui ai paragrafi 1 e 2 comprende l’appropriata assistenza per
persone con problemi di udito o difficoltà di linguaggio. (...)
8. L’interpretazione fornita ai sensi del presente articolo dev’essere di qualità sufficiente a tutelare
l’equità del procedimento, in particolare garantendo che gli imputati o gli indagati in procedimenti
penali siano a conoscenza delle accuse a loro carico e siano in grado di esercitare i loro diritti della
difesa».
6. Il successivo articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Diritto alla traduzione di documenti
fondamentali», così recita:
«1. Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del
procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di
tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti
della difesa e per tutelare l’equità del procedimento.
2. Tra i documenti fondamentali rientrano le decisioni che privano una persona della propria
libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze.
3. In qualsiasi altro caso le autorità competenti decidono se sono fondamentali altri documenti (...)
(...)».
La direttiva 2012/13
7. Il considerando 27 della direttiva 2012/13 così recita:
«Le persone accusate di aver commesso un reato dovrebbero ricevere tutte le informazioni
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sull’accusa necessarie per consentire loro di preparare la difesa e garantire l’equità del
procedimento».
8. L’articolo 1 di tale direttiva, rubricato «Oggetto», prevede quanto segue:
«La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’informazione, delle persone indagate o
imputate, sui diritti di cui godono nel procedimento penale e dell’accusa elevata a loro carico (...)».
9. L’articolo 2, paragrafo 1, di detta direttiva, delimita la sfera di applicazione di quest’ultima nei
seguenti termini:
«La presente direttiva si applica nei confronti delle persone che siano messe a conoscenza dalle
autorità competenti di uno Stato membro, di essere indagate o imputate per un reato, fino alla
conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se l’indagato
o l’imputato abbia commesso il reato inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena e l’esaurimento
delle procedure d’impugnazione».
10. L’articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Diritto all’informazione sui diritti», stabilisce,
al paragrafo 1, quanto segue:
«Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano tempestivamente fornite
le informazioni concernenti almeno i seguenti diritti processuali, ai sensi del diritto nazionale,
onde consentire l’esercizio effettivo di tali diritti: (…)
c) il diritto di essere informato dell’accusa, a norma dell’articolo 6; (…)».
11. Ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2012/13, rubricato «Diritto all’informazione
sull’accusa»:
«1. Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul
reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni sono fornite
tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire l’equità del procedimento e
l’esercizio effettivo dei diritti della difesa.
2. Gli Stati membri assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute,
siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale
sono indagate o imputate.
3. Gli Stati membri garantiscono che, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è
sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria, siano fornite informazioni dettagliate sull’accusa,
inclusa la natura e la qualificazione giuridica del reato, nonché la natura della partecipazione allo
stesso dell’accusato.
4. Gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate, siano tempestivamente
informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma del presente articolo, ove
ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento».
Il diritto tedesco
12. L’articolo 184 della legge organica sulla giustizia (Gerichtsverfassungsgesetz; in prosieguo: la
«legge organica sulla giustizia») così recita:
«La lingua dei procedimenti giudiziari è il tedesco (...)».
13. L’articolo 187 della medesima legge, come modificato a seguito della trasposizione delle
direttive 2010/64 e 2012/13, prevede quanto segue:
«1) Il giudice chiede, per l’imputato o il condannato che non padroneggi la lingua tedesca ovvero
sia affetto da sordità o incapace di esprimersi, laddove sia necessario ai fini dell’esercizio dei
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diritti riconosciutigli nel procedimento penale, l’intervento di un interprete o di un traduttore. Il
giudice è tenuto a richiamare l’attenzione dell’imputato, in una lingua al medesimo comprensibile,
sul fatto di poter richiedere, per l’intera durata del procedimento penale, l’assistenza a titolo
gratuito di un interprete o di un traduttore.
2) Di norma, l’esercizio dei diritti procedurali dell’imputato che non padroneggi la lingua tedesca
richiede la traduzione scritta dei provvedimenti che comportano misure privative della libertà,
degli atti d’accusa, dei decreti penali di condanna e delle sentenze non passate in giudicato (...)».
14. L’articolo 132 del codice di procedura penale (Strafprozessordnung), relativo alla prestazione
di garanzia e alla nomina di domiciliatari ai fini di notifica, prevede, al paragrafo 1, quanto segue:
«Qualora l’imputato, a fronte di forte sospetto di reato, non disponga di domicilio abituale o di una
residenza nella sfera di applicazione territoriale della presente legge, ma non sussistano i
presupposti per un ordine di carcerazione, può essere disposto, al fine di assicurare lo svolgimento
del procedimento penale, che l’imputato:
1. presti adeguata garanzia a copertura della prevedibile pena pecuniaria e delle spese giudiziali e
2. deleghi al ricevimento delle notifiche una persona residente nel circondario del giudice
competente».
15. L’articolo 410 del codice di procedura penale, che disciplina l’opposizione al decreto penale di
condanna e l’autorità di cosa giudicata, così dispone:
«1. L’imputato può proporre opposizione avverso il decreto penale di condanna entro due
settimane dalla notifica, dinanzi al giudice che ha emesso il decreto, per iscritto o con
dichiarazione verbalizzata dal cancelliere (…)
2. L’opposizione può essere limitata a determinati addebiti.
3. Il decreto penale di condanna acquisisce, in assenza di tempestiva opposizione, carattere di
decisione avente autorità di cosa giudicata».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
16. Nel corso di un controllo di polizia effettuato il 25 gennaio 2014 veniva accertato, da un lato,
che il sig. Covaci, cittadino rumeno, era alla guida, sul territorio tedesco, di un veicolo non coperto
da alcun valido contratto di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile e, dall’altro, che
il certificato di assicurazione (carta verde) esibito dal medesimo alle autorità tedesche era stato
falsificato.
17. Il sig. Covaci, successivamente ascoltato su tali fatti dalle forze di polizia, beneficiava
dell’assistenza di un interprete.
18. Inoltre, il sig. Covaci, non possedendo né domicilio abituale né residenza nella sfera di
applicazione territoriale della legge tedesca, rilasciava, ai fini della notifica degli atti giudiziari al
medesimo indirizzati, procura irrevocabile e scritta a favore di tre impiegati dell’Amtsgericht
Laufen (tribunale distrettuale di Laufen). Ai sensi di tale medesima procura, i termini di ricorso
avverso gli atti giudiziari iniziano a decorrere già con la loro notifica ai domiciliatari indicati.
19. Il 18 marzo 2014, a conclusione delle indagini, il pubblico ministero di Traunstein
(Staatsanwaltschaft Traunstein) presentava, dinanzi all’Amtsgericht Laufen (tribunale distrettuale
di Laufen), istanza di emissione di decreto penale di condanna infliggente al sig. Covaci una pena
pecuniaria.
20. Il procedimento previsto per l’emissione di un tale decreto penale è semplificato e non prevede
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né udienza né dibattito in contradditorio. Emesso da un giudice su richiesta del pubblico ministero
per reati minori, tale decreto costituisce una decisione provvisoria. Conformemente all’articolo
410 del codice di procedura penale, il decreto penale di condanna acquisisce autorità di cosa
giudicata alla scadenza del termine di due settimane a decorrere dalla sua notifica, se del caso, ai
domiciliatari del condannato. Quest’ultimo può beneficiare di un dibattito in contradditorio solo
presentando opposizione avverso il decreto stesso prima della scadenza di tale termine.
L’opposizione, che può essere presentata per iscritto o con dichiarazione verbalizzata dal
cancelliere, dà luogo a un’udienza dinanzi al giudice.
21. Nella specie, il pubblico ministero di Traunstein chiedeva che il decreto penale di condanna
venisse notificato al sig. Covaci per il tramite dei suoi domiciliatari e, inoltre, che le eventuali
osservazioni scritte dell’interessato, compresa l’opposizione avverso il decreto, fossero redatte in
lingua tedesca.
22. In primo luogo, l’Amtsgericht Laufen (tribunale distrettuale di Laufen), investito della
richiesta di emissione del decreto penale di condanna oggetto del procedimento principale, si
interroga sulla questione se l’obbligo, derivante dall’articolo 184 della legge organica sulla
giustizia, di utilizzare la lingua tedesca per la redazione di un’opposizione presentata avverso il
decreto stesso sia conforme alle disposizioni della direttiva 2010/64 che prevede un’assistenza
linguistica gratuita per gli indagati o imputati in procedimenti penali.
23. In secondo luogo, il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla compatibilità delle modalità di
notifica di detto decreto penale con la direttiva 2012/13, in particolare con l’articolo 6 di
quest’ultima, che impone a ciascuno Stato membro di garantire che siano fornite informazioni
dettagliate sull’accusa al più tardi al momento in cui il giudice sia chiamato a pronunciarsi sulla
fondatezza dell’accusa.
24. Alla luce delle suesposte considerazioni, l’Amtsgericht Laufen (tribunale distrettuale di
Laufen) ha deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali
seguenti:
«1) Se gli articoli 1, paragrafo 2, e 2, paragrafi 1 e 8, della direttiva 2010/64 debbano essere
interpretati nel senso che ostino all’applicazione di un provvedimento giudiziale che consenta
all’imputato, in applicazione dell’articolo 184 della legge organica sulla giustizia, di presentare
ricorso, a pena di irricevibilità, soltanto nella lingua processuale, nella specie, la lingua tedesca.
2) Se gli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13 debbano
essere interpretati nel senso che ostino a che venga disposta la nomina di un domiciliatario di un
imputato qualora il termine per la presentazione di un ricorso inizi a decorrere già con la notifica al
domiciliatario restando, in definitiva, irrilevante se l’imputato abbia o meno avuto conoscenza
dell’accusa».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
25. Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli da 1 a 3 della
direttiva 2010/64 debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale,
come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale,
non autorizzi la persona nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna a proporre
opposizione per iscritto avverso il decreto stesso in una lingua diversa da quella del procedimento,
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allorché tale persona non padroneggi tale lingua.
26. Al fine di rispondere alla questione, si deve rilevare che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva
2010/64 prevede il diritto all’interpretazione e alla traduzione nello specifico ambito dei
procedimenti penali. Inoltre, l’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva precisa che detto diritto si
applica alle persone dal momento in cui siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno
Stato membro di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento,
vale a dire fino alla decisione definitiva che accerti se abbiano commesso il reato, incluse, se del
caso, l’irrogazione della pena e la decisione sulle impugnazioni.
27. Di conseguenza, la situazione di una persona come il sig. Covaci, che intende proporre
opposizione avverso un decreto penale di condanna non ancora passato in giudicato e di cui è
destinatario, rientra manifestamente nell’ambito di applicazione di tale direttiva, per cui tale
persona deve poter beneficiare del diritto all’interpretazione e alla traduzione garantito da detta
direttiva.
28. Per quanto attiene alla questione se una persona che si trovi in una situazione come quella del
sig. Covaci possa avvalersi di tale diritto al fine di proporre opposizione avverso un tale decreto in
una lingua diversa da quella del procedimento applicabile dinanzi al giudice nazionale competente,
occorre far riferimento al contenuto degli articoli 2 e 3 della direttiva 2010/64. Infatti, detti due
articoli disciplinano, rispettivamente, il diritto all’interpretazione e il diritto alla traduzione di
determinati documenti fondamentali, vale a dire i due aspetti del diritto sancito dall’articolo 1 di
detta direttiva e menzionati nel titolo stesso di quest’ultima.
29. Al riguardo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, ai fini
dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tenere conto non soltanto
del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di
cui essa fa parte (sentenza Rosselle, C‑ 65/14, EU:C:2015:339, punto 43 e la giurisprudenza ivi
citata).
30. Per quanto riguarda l’articolo 2 della direttiva 2010/64 che disciplina il diritto
all’interpretazione, dal suo stesso tenore emerge che esso, a differenza del successivo articolo 3,
riguardante la traduzione scritta di determinati documenti fondamentali, si riferisce
all’interpretazione, orale, di enunciati orali.
31. Pertanto, conformemente all’articolo 2, paragrafi 1 e 3, di detta direttiva, possono beneficiare
del diritto all’interpretazione soltanto gli indagati e gli imputati che non siano in grado di
esprimersi da soli nella lingua del procedimento, che ciò avvenga perché non parlino o non
comprendano tale lingua o perché affetti da disturbi dell’udito o del linguaggio.
32. È del resto per tale motivo che l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2010/64, elencando
le circostanze in cui deve essere fornita l’assistenza di un interprete agli indagati o agli imputati si
riferisce, anche se in modo non esaustivo, soltanto a situazioni che danno luogo a comunicazioni
orali, quali gli interrogatori di polizia, tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari,
nonché le comunicazioni con il rispettivo difensore, direttamente correlate a qualsiasi
interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un’altra
istanza procedurale.
33. In altri termini, tale disposizione garantisce che, affinché sia assicurata l’equità del
procedimento e la persona interessata sia in grado di esercitare i suoi diritti della difesa, la persona
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stessa, qualora sia chiamata a rilasciare essa stessa dichiarazioni orali, segnatamente nell’ambito di
un procedimento penale, direttamente dinanzi all’autorità giudiziaria competente oppure tramite
dichiarazioni rese al suo avvocato, sia legittimata a farlo nella propria lingua.
34. Tale interpretazione è avvalorata dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2010/64.
35. A tal riguardo, occorre rammentare che detta direttiva è stata adottata sul fondamento
dell’articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, lettera b), TFUE, in forza del quale, laddove ciò sia
necessario per agevolare il reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie
nonché la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione
transfrontaliera, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea possono adottare norme
minime relative ai diritti della persona nel procedimento penale.
36. Pertanto, conformemente al considerando 12 della direttiva 2010/64, è per rafforzare la fiducia
reciproca tra gli Stati membri che tale direttiva stabilisce norme minime comuni da applicare
nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali.
37. Dette norme dovrebbero, conformemente al considerando 17 della direttiva medesima,
assicurare un’assistenza linguistica adeguata e gratuita, consentendo a indagati o imputati che non
parlino o non comprendano la lingua del procedimento penale di esercitare appieno i loro diritti
della difesa e tutelare l’equità del procedimento.
38. Orbene, pretendere dagli Stati membri, come suggeriscono segnatamente il sig. Covaci e il
governo tedesco, non solo che essi consentano alle persone interessate di essere informate, appieno
e nella loro lingua, delle accuse formulate a loro carico e di fornire la loro versione di tali fatti, ma
altresì che essi si facciano carico sistematicamente della traduzione di tutti i ricorsi proposti dalle
persone interessate avverso un provvedimento giudiziario emesso nei loro confronti eccederebbe
gli obiettivi perseguiti dalla stessa direttiva 2010/64.
39. Infatti, come emerge anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il
rispetto dei requisiti relativi al processo equo si limita a garantire che l’accusato sia a conoscenza
degli addebiti contestatigli e possa difendersi, senza che sia necessaria la traduzione scritta di tutte
le prove documentali o di tutti i documenti ufficiali contenuti nel fascicolo (Corte eur. D.U.,
Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, serie A n. 168, § 74).
40. Di conseguenza, il diritto all’interpretazione di cui all’articolo 2 della direttiva 2010/64, ha ad
oggetto la traduzione da parte di un interprete delle comunicazioni orali tra gli indagati o gli
imputati e i servizi investigativi, l’autorità giudiziaria ovvero, se del caso, il difensore, fatta salva
la traduzione scritta dei documenti presentati da tali indagati o imputati.
41. Per quanto riguarda la situazione di cui al procedimento principale, dagli atti a disposizione
della Corte risulta che il decreto penale di condanna previsto dal diritto tedesco è emesso sulla
base di un procedimento sui generis. Infatti, tale procedimento prevede che la sola possibilità per
l’imputato di beneficiare di un dibattito in contradditorio, nell’ambito del quale questi possa
esercitare appieno il suo diritto di essere sentito, è data dalla proposizione di opposizione avverso
il decreto stesso. Tale opposizione, che può essere presentata per iscritto o, laddove sia proposta
oralmente, direttamente presso la cancelleria del giudice competente, non è soggetta ad obbligo di
motivazione, deve essere proposta entro un termine particolarmente breve di due settimane dalla
notifica di detto decreto e non richiede l’assistenza obbligatoria di un avvocato, potendo l’imputato
proporla personalmente.
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42. Ciò premesso, l’articolo 2 della direttiva 2010/64 garantisce a una persona che si trovi in una
situazione come quella del sig. Covaci il beneficio dell’assistenza gratuita di un interprete qualora
proponga essa stessa opposizione orale avverso il decreto penale di condanna, emesso nei suoi
confronti, presso la cancelleria del giudice nazionale competente affinché quest’ultima rediga il
processo verbale dell’opposizione, ovvero, nel caso in cui la persona medesima proponga
opposizione per iscritto, il beneficio dell’assistenza di un difensore che sarà incaricato di redigere
il documento corrispondente nella lingua del procedimento.
43. Per quanto riguarda la questione se l’articolo 3 della direttiva 2010/64, che disciplina il diritto
alla traduzione di determinati documenti fondamentali, attribuisca il beneficio dell’assistenza in
materia di traduzione a un soggetto che si trovi in una situazione come quella del sig. Covaci, che
intende presentare opposizione per iscritto avverso un decreto penale di condanna e ciò senza
l’assistenza di un avvocato, occorre rilevare che dal tenore stesso di tale disposizione risulta che
tale diritto è concepito per consentire alle persone interessate di esercitare il loro diritto di difesa e
garantire l’equità del procedimento.
44. Ne consegue che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle conclusioni, tale
articolo 3 riguarda, in linea di principio, solo la traduzione scritta nella lingua compresa dalla
persona interessata di determinati documenti redatti nella lingua del procedimento da parte delle
autorità competenti.
45. Tale interpretazione risulta peraltro confermata, da un lato, dall’elenco dei documenti che
l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2010/64 considera fondamentali e per i quali una
traduzione è pertanto necessaria. Infatti, tale elenco menziona, sebbene in termini non esaustivi, le
decisioni che privano una persona della libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le
sentenze.
46. Dall’altro lato, tale interpretazione è altresì giustificata dal fatto che il diritto alla traduzione
previsto dall’articolo 3 di tale direttiva, come risulta dal paragrafo 4 del medesimo articolo, è volto
a «consentire agli indagati o agli imputati di conoscere le accuse a loro carico».
47. Di conseguenza, il diritto alla traduzione contemplato all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della
direttiva 2010/64, non include, in linea di principio, la traduzione scritta nella lingua del
procedimento di un documento quale l’opposizione proposta avverso un decreto penale di
condanna, redatto dalla persona interessata in una lingua che padroneggi, ma diversa da quella del
procedimento.
48. Ciò detto, la direttiva 2010/64 si limita a stabilire norme minime lasciando gli Stati membri
liberi, così come precisato al considerando 32, di ampliare i diritti previsti da tale direttiva al fine
di assicurare un livello di tutela più elevato anche in fattispecie non espressamente contemplate da
detta direttiva.
49. Si deve inoltre rilevare che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2010/64 consente
espressamente alle autorità competenti di decidere, caso per caso, se un documento diverso da
quelli contemplati dall’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva sia fondamentale, ai sensi di tale
disposizione.
50. Spetta pertanto al giudice del rinvio, alla luce, in particolare, delle caratteristiche del
procedimento applicabile al decreto penale di condanna oggetto del procedimento principale,
richiamate supra al punto 41, nonché della causa di cui è investito, determinare se l’opposizione
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proposta per iscritto avverso un decreto penale di condanna debba essere considerata quale
documento fondamentale del quale sia necessaria la traduzione.
51. Alla luce delle considerazioni suesposte, si deve rispondere alla prima questione dichiarando
che gli articoli da 1 a 3 della direttiva 2010/64 devono essere interpretati nel senso che non ostano
ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale,
nell’ambito di un procedimento penale, non consenta alla persona, nei cui confronti sia stato
emesso decreto penale di condanna, di proporre opposizione per iscritto avverso il decreto stesso
in una lingua diversa da quella del procedimento, sebbene tale persona non padroneggi
quest’ultima lingua, a condizione che le autorità competenti non ritengano, conformemente
all’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva, che, alla luce del procedimento di cui trattasi e delle
circostanze del caso di specie, detta opposizione costituisca un documento fondamentale.
Sulla seconda questione
52. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 2, 3, paragrafo
1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13 debbano essere interpretati nel senso che
ostino ad una normativa di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale,
che, nell’ambito di un procedimento penale, imponga all’imputato non residente nello Stato
membro medesimo di nominare un domiciliatario ai fini della notifica di un decreto penale di
condanna emesso nei suoi confronti, laddove il termine per proporre opposizione avverso il
decreto stesso decorra dalla sua notifica al suddetto domiciliatario.
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Per rispondere a tale questione, si deve rilevare che l’articolo 1 della direttiva 2012/13
prevede il diritto delle persone indagate o imputate di essere informate sui diritti di cui godono nel
procedimento penale e dell’accusa elevata a loro carico.
54. Come emerge dal combinato disposto degli articoli 3 e 6 di tale direttiva, il diritto di cui
all’articolo 1 di quest’ultima riguarda quantomeno due diritti distinti.
55. Da un lato, gli indagati o gli imputati devono, conformemente all’articolo 3 della direttiva
2012/13, essere quantomeno informati di determinati diritti procedurali di cui tale disposizione
stila un elenco comprendente il diritto all’assistenza di un avvocato, il diritto al gratuito patrocinio
e le condizioni per beneficiare del medesimo, il diritto di essere informato dell’accusa, il diritto
all’interpretazione e alla traduzione, nonché il diritto al silenzio.
56. Dall’altro, detta direttiva definisce, all’articolo 6, talune norme relative al diritto
all’informazione sull’accusa.
57. Poiché la questione sollevata dal giudice del rinvio attiene più precisamente alla portata di
quest’ultimo diritto, occorre verificare se l’articolo 6 della direttiva 2012/13, che lo definisce, sia
applicabile nell’ambito di un procedimento particolare, come quello oggetto del procedimento
principale, che conduce all’emissione di un decreto penale di condanna.
58. A tal riguardo, si deve rilevare che, secondo lo stesso tenore letterale dell’articolo 2 della
direttiva 2012/13, quest’ultima si applica dal momento in cui la persona sia posta a conoscenza,
dalle autorità competenti di uno Stato membro, di essere indagata o imputata per un reato, fino alla
conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che accerti se l’indagato o
l’imputato abbia commesso il reato inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena e l’esaurimento
delle procedure d’impugnazione.
59. Orbene, poiché, come osservato supra al punto 27, il decreto penale di condanna nei confronti
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del sig. Covaci di cui è stata chiesta l’emissione al giudice del rinvio non passerà in giudicato
prima della scadenza del termine stabilito per proporre opposizione, una fattispecie come quella
del sig. Covaci rientra manifestamente nella sfera di applicazione della direttiva 2012/13, ragion
per cui l’interessato deve poter godere del diritto di essere informato dell’accusa formulata a suo
carico e ciò durante tutto il procedimento.
60. Se è pur vero che, in considerazione del carattere sommario e semplificato del procedimento in
questione, la notifica di un decreto penale di condanna come quello di cui al procedimento
principale è effettuata soltanto dopo che il giudice si sia pronunciato sulla fondatezza dell’accusa,
ciò non toglie che, in tale decreto, il giudice si pronuncia soltanto in via provvisoria e che la
notifica di quest’ultimo costituisce la prima occasione per l’imputato di essere informato in merito
all’accusa formulata a suo carico. Ciò risulta peraltro confermato dal fatto che tale persona è
legittimata a proporre non un ricorso avverso tale decreto dinanzi ad altro giudice, bensì
un’opposizione che le consente di beneficiare, dinanzi al medesimo giudice, del procedimento in
contraddittorio ordinario, nell’ambito del quale essa potrà esercitare appieno il proprio diritto di
difesa, prima che tale giudice si pronunci nuovamente sulla fondatezza dell’accusa formulata a suo
carico.
61. Di conseguenza, la notifica di un decreto penale di condanna deve essere considerata,
conformemente all’articolo 6 della direttiva 2012/13, una forma di comunicazione dell’accusa a
carico della persona interessata, per cui essa deve rispettare i requisiti stabiliti da tale articolo.
62. È pur vero che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 105 delle proprie
conclusioni, la direttiva 2012/13 non disciplina le modalità con cui l’informazione sull’accusa,
prevista dall’articolo 6, deve essere comunicata a tale persona.
63. Tuttavia, tali modalità non possono recare pregiudizio all’obiettivo perseguito, in particolare,
dallo stesso articolo 6, che consiste, come emerge altresì dal considerando 27 di detta direttiva, nel
consentire alle persone indagate o imputate per aver commesso un reato di predisporre la propria
difesa e garantire l’equità del procedimento.
64. Orbene, dalla decisione di rinvio emerge che la normativa nazionale oggetto del procedimento
principale prevede che il decreto penale di condanna sia notificato al domiciliatario dell’imputato e
che quest’ultimo disponga di un termine di due settimane per proporre opposizione avverso il
decreto stesso, decorrente dalla sua notifica a detto domiciliatario. Alla scadenza di tale termine,
l’ordinanza diventa definitiva.
65. Benché non sia pertinente, ai fini della risposta al quesito sollevato dal giudice del rinvio,
pronunciarsi sull’adeguatezza di un tale termine di decadenza di due settimane, si deve rilevare
che sia la finalità, consistente nel consentire all’imputato di predisporre la propria difesa, sia la
necessità di evitare qualsiasi discriminazione tra, da un lato, gli imputati che possiedano la propria
residenza nella sfera di applicazione territoriale della legge nazionale interessata e, dall’altro,
quelle la cui residenza non rientri nella sfera medesima, che sono le sole a dover nominare un
domiciliatario ai fini della notifica dei provvedimenti giudiziari, esigono che l’imputato disponga
di detto termine in toto.
66. Orbene, se il termine di due settimane di cui al procedimento principale iniziasse a decorrere
dal momento in cui l’imputato abbia avuto effettivamente conoscenza del decreto penale di
condanna, tenuto conto che questo lo informa dell’accusa, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva
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2012/13, risulterebbe garantito che tale persona disponga di detto termine in toto.
67. Per contro, qualora, come nella specie, detto termine inizi a decorrere dal momento della
notifica del decreto penale di condanna al domiciliatario dell’imputato, quest’ultimo non potrà
effettivamente esercitare il proprio diritto di difesa e il processo risulterà equo soltanto se questi
benefici di tale termine in toto, vale a dire senza che la durata di quest’ultimo sia ridotta del tempo
necessario al domiciliatario per far pervenire il decreto penale di condanna al suo destinatario.
68. Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla seconda questione dichiarando
che gli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13 devono
essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale di uno Stato membro, come
quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale,
imponga all’imputato non residente in tale Stato membro di nominare un domiciliatario ai fini
della notifica di un decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti, purché tale persona
benefici effettivamente in toto del termine stabilito per proporre opposizione avverso il decreto
stesso.
Sulle spese
69. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) Gli articoli da 1 a 3 della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali,
devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella
oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, non
consenta alla persona, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna, di
proporre opposizione per iscritto avverso il decreto stesso in una lingua diversa da quella del
procedimento, sebbene tale persona non padroneggi quest’ultima lingua, a condizione che le
autorità competenti non ritengano, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, di tale
direttiva, che, alla luce del procedimento di cui trattasi e delle circostanze del caso di specie,
detta opposizione costituisca un documento fondamentale.
2) Gli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei
procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa
nazionale di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, la quale,
nell’ambito di un procedimento penale, imponga all’imputato non residente in tale Stato
membro di nominare un domiciliatario ai fini della notifica di un decreto penale di condanna
emesso nei suoi confronti, purché tale persona benefici effettivamente in toto del termine
stabilito per proporre opposizione avverso il decreto stesso.
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