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MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA
Anno Accademico 2016/2017
Docente Patrizia Gioia
[email protected]
− Il Mondo Romano: patrimonio pubblico e patrimonio privato, i luoghi del passato
− Il Medioevo: il patrimonio ecclesiastico ed gli archetipi delle collezioni umanistiche, i
luoghi del passato
IL MONDO ROMANO
Giovanni Paolo Pannini, "Roma Antica" (1755)
L’amore per gli oggetti senza un’immediata funzione pratica non sia
assolutamente un tratto tipico della cultura della nascente civiltà romana.
Uomini duri, violenti e tenaci, abituati alla fatica e al
comando assoluto nella cerchia familiare, [...] tutti volti al
pratico e all’immediato interesse, al vantaggio da
raggiungere con lo sforzo personale [...]. Ma anche con
l’astuzia, unica Musa. Una mentalità dominata da un
senso oscuro di incombenza di forze inafferrabili, che li
spinge non tanto a una religiosità di rivelazione e fiducia,
quanto a una superstizione diffidente [...]. A una società
di uomini siffatti, è logico che tutto dovesse sembrare
superfluo e anche un poco incomprensibile, quello che
non recasse un’utilità immediata e pratica. “Greci pazzi”
si legge in scrittori romani quando si tratta di questioni
artistiche o filosofiche [...]. Ci vorranno diverse
generazioni, prima che un’assicurata potenza e una
grande ricchezza ammassata renda consapevoli i
Romani che non si può far parte del mondo civile senza
mostrarsi intenditori e amatori d’arte (Bianchi Bandinelli,
2004, pp. 23-24).
IL PATRIMONIO PUBBLICO
Per la formazione delle prime raccolte d’arte
pubbliche e private a Roma fu di
fondamentale importanza la conquista della
Magna Grecia, ovvero di quella parte dell’Italia
meridionale da tempo colonizzata dai Greci,
famosa per le sue ricchezze e la sua cultura.
Nel III secolo a.C. da città come Siracusa, i
comandanti romani portarono in patria una
notevole quantità di quadri e sculture. Questo
bottino di guerra, dopo essere stato condotto
in trionfo dall’esercito per le vie di Roma, in
parte veniva dedicato nei templi alle divinità,
in parte trovava una stabile collocazione in
luoghi pubblici a ricordo della vittoria
conseguita e come ornamento della città, in
parte, infine, andava ad arricchire le case dei
condottieri.
Andrea Mantegna, Trionfi di Cesare, Hampton
Court, Royal Collection, 1490-1500, tempera su
tela, cm. 274 x 274.
Decisiva, per il contatto di Roma
con l’arte, è dunque la presa e il
saccheggio di Siracusa nel 212
a.C. Sappiamo infatti da Plutarco
(Marcello, 21) che il generale
Marcello porta via da questa città
molte splendide opere e che,
prima d’allora, Roma non aveva
mai conosciuto artefatti simili.
Alcuni romani rimproverano
addirittura Marcello per questo
gesto, poiché gli oggetti d’arte
portavano il popolo a discutere
tutto il giorno di questioni
artistiche.
« I Siracusani, quando videro i Romani investire la città
dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e
ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe
potuto contrastare l'impeto di un attacco in forze di tali
proporzioni. » (da Vite parallele di Plutarco)
Dopo il 146 a.C., anno in cui
Scipione Emiliano conquista
definitivamente Cartagine e Lucio
Mummio la Grecia continentale
compresa Atene, un vero e proprio
“fiume” di opere d’arte inonda Roma.
Via via quest’ultima si rende sempre
più conto che l’arte è fondamentale –
tanto allora quanto oggi – per
propagandare ed affermare nel
mondo il proprio potere.
Roma Arco di Tito
L’imperatore Augusto, come
possiamo confermare osservando le
opere create sotto il suo impero (31
a.C. – 14 d.C.), ne era
profondamente convinto.
A.Mantegna: il trionfo di Cesare:
portatori di vasi
A Roma, quindi, le opere d’arte
trafugate come bottino di guerra,
simbolo della potenza politicomilitare e della capacità di
espansione del popolo romano,
costituivano in larga misura un
patrimonio comune. Esse erano
esposte singolarmente o a gruppi
in edifici e spazi pubblici come
piazze e giardini, spesso
trasformati in veri e propri musei
all’aperto, nei quali si cercavano
soluzioni di allestimento sempre
nuove e scenografiche.
In generale si
prediligevano i luoghi
più monumentali e
frequentati della città.
Colle Oppio:
La città dipinta
Foro Romano
Portico d’Ottavia
I luoghi pubblici, soprattutto quelli più frequentati
nella vita di ogni giorno, come le piazze dei fori,
erano letteralmente popolati da una folla
silenziosa di statue.
Immagini onorarie di cittadini benemeriti, di
personaggi famosi delle epoche precedenti, di
membri della casa regnante (naturalmente in età
imperiale) gremivano le aree dove si esercitavano
tutte le attività a dimensione pubblica delle città
antiche.
Gli affari, le transazioni commerciali, gli incontri e
anche il semplice passeggio avevano luogo in
spazi animati da tutte queste presenze immote,
immerse nel viavai dei cittadini in carne e ossa.
Purtroppo, però, di queste sculture è giunto fino a
noi solo un piccolo numero, a causa delle
travagliate vicende attraversate dai manufatti del
passato.
Per la città di Roma siamo comunque abbastanza
bene informati grazie alle fonti scritte, che ci
fanno sapere come, già in età mediorepubblicana
(IV-III sec. a.C.), l’erezione di statue in luoghi
pubblici fosse ormai divenuta un fenomeno
normale. La famosa testa nota come “Bruto
Capitolino” potrebbe, verosimilmente, avere fatto
parte di uno di questi monumenti.
La situazione che, attraverso la documentazione
letteraria, si può delineare per Roma è attestata
per via archeologica anche in altri centri più o
meno importanti. Così, infatti, grazie agli scavi si
è potuto accertare come il foro di Pompei si
fosse progressivamente affollato di statue,
sebbene di esse siano state ritrovate soltanto le
basi, perché queste sculture furono rimosse
probabilmente durante i restauri successivi al
grave terremoto del 62 d.C., precedente la
terribile eruzione del Vesuvio del 79.
Dopo una serie di statue equestri dedicate ai
magistrati più importanti della colonia sillana,
dedotta a Pompei nell’80 a.C., i più significativi
interventi furono effettuati in età augustea. Sul
lato meridionale della piazza forense, in una
zona occupata già in precedenza da sculture, fu
elevato un monumento ad arco che forse
reggeva una quadriga con la statua-ritratto di
Augusto, al quale vennero poi accostati altri due
grandi basamenti, forse destinati anch’essi a
ricevere quadrighe; una grande statua equestre
fu inoltre disposta sull’asse principale della
piazza.
Un’idea dell’effetto esercitato da questi
monumenti, presso i quali circolavano
gli abitanti di Pompei quando
frequentavano il foro, è suggerita da
un affresco, dipinto nell’atrio di un bel
complesso residenziale risalente agli
ultimi anni di vita della città, i Praedia
di Iulia Felix.
Quindi all’interno degli edifici pubblici non mancavano corpi inanimati, i quali tramandavano non solo le fattezze dei
notabili cittadini che erano personalmente intervenuti nella monumentalizzazione dei centri urbani, finanziando la
costruzione e la decorazione di impianti destinati alle esigenze civiche, ma anche, naturalmente, quelle dell’imperatore e
dei suoi familiari, come se in questo modo si fosse voluta sottintendere una loro virtuale partecipazione alle attività che vi
venivano svolte.
Così un ciclo statuario come quello che, in fasi successive, fu offerto alla dinastia giulio-claudia nella basilica di Veleia,
nell’Appennino piacentino, oltre a costituire un atto di lealismo verso la casa imperiale da parte del dedicante, il Lucio
Calpurnio Pisone, cognato di Cesare, che aggiunse la propria immagine al gruppo, finiva anche per simboleggiare l’ideale
presenza dell’imperatore all’attività giudiziaria che si teneva nell’edificio, quasi a garantirne la validità e la conformità alle
leggi.
Il corpo riprodotto in scultura, come si vede, non era perciò finalizzato soltanto alla mera celebrazione delle individualità più
illustri, sia a livello locale sia a quello più elevato del potere centrale (un po’ come avviene ancora ai nostri tempi con le
statue poste su piedistalli nelle piazze), ma fungeva spesso da indispensabile completamento degli spazi nei quali si
collocava, valorizzandone le funzioni.
Parma, Museo Archeologico
Nazionale. Statue del ciclo giulioclaudio di Veleia
In ambito pubblico, il corpo esaltato e moltiplicato dall’arte trovava una sua
importante destinazione anche in ambienti completamente diversi, ad
esempio negli impianti termali. I complessi più grandi e sontuosi, come le
enormi terme realizzate a Roma da Traiano sull’Esquilino, o quelle di
Caracalla e di Diocleziano, erano infatti arricchiti da abbondanti decorazioni
scultoree, all’interno delle sale, in certi casi vastissime, riservate alle attività
balneari. Alcune delle più rinomate sculture giunte fino a noi dall’antichità
facevano parte proprio delle raccolte contenute negli edifici termali: furono
recuperati nelle aree occupate dai suddetti stabilimenti l’ “Ercole” e il “Toro
Farnese”, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La familiarità che tutti avevano con le
immagini mitologiche incarnate da simili
figure scolpite è confermata dal fatto che
evidentemente nessuno, in luoghi deputati al
rilassamento e allo svago, doveva turbarsi
trovando vicino a sé scene anche molto
crude, con membra umane contorte negli
spasimi dell’agonia. I corpi inanimati delle
sculture, negli ambienti termali, si
mescolavano perciò con naturalezza ai corpi
nudi dei bagnanti che vi camminavano
intorno, col risultato che potevano certo
servire anche come modelli ai quali ispirarsi
nella cura e nell’allenamento del fisico,
almeno nel caso delle statue atletiche. Fra
queste va ricordato il celeberrimo
Apoxyomenos di Lisippo, del quale è giunta
a noi una sola copia ma il cui originale
sappiamo che era stato collocato da Agrippa
nelle terme da lui stesso edificate a Roma
nel Campo Marzio.
Ma anche nei grandi monumenti
celebrativi, espressamente innalzati da
Roma per la glorificazione del proprio
potere e delle proprie vittorie sui popoli
nemici, la figura umana occupava sempre
un posto fondamentale, anche se in modi
differenti. Poteva trattarsi, infatti,
dell’immagine colossale del vincitore, come
la statua di Augusto sulla sommità del
Trophée des Alpes a La Turbie, oppure dei
rilievi realizzati per decorare monumenti di
diversa tipologia, come le colonne coclidi di
Traiano e di Marco Aurelio a Roma, dove
una moltitudine di figure esalta ancora oggi
le imprese degli eserciti romani,
riproducendo non solo gli scontri bellici, ma
anche gli altri episodi che caratterizzarono
l’andamento delle campagne di guerra qui
immortalate.
IL PATRIMONIO PRIVATO
In seguito alla trasformazione della
Grecia in provincia controllata da Roma
(146 a.C.), l’afflusso di opere d’arte
greche crebbe notevolmente, e, con
esso, il desiderio dei privati cittadini di
possedere questi oggetti raffinati e
capaci di infondere prestigio al loro
proprietario.
Alle pareti dell’atrium, la sala
principale della casa patrizia, fin
dall’antichità si esponevano i
ritratti degli antenati per
celebrare l’importanza della
famiglia.
Larario
Taverna di Vetutius Placidus a Pompei
Gli scenari finora rievocati sfruttavano
l’immagine umana in una dimensione
pubblica, fruibile da tutti i cittadini
indifferentemente. Ma anche all’interno
delle case private erano impiegate in
abbondanza raffigurazioni di vario tipo. I
più lussuosi impianti domestici, infatti,
erano analogamente abitati da una folla
muta di figure che tenevano compagnia ai
proprietari e a tutti coloro che
frequentavano la casa, cioè gli amici, i
visitatori e i clientes. Non mancavano
interi cicli scultorei che popolavano le
dimore, un po’ alla maniera di ciò che si è
visto per gli spazi pubblici. L’esempio più
sontuoso in questo senso è offerto dalla
Villa dei Papiri di Ercolano, dove, nel
corso del ’700, è stato riportato alla luce
un cospicuo complesso di sculture, oggi
custodite al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli.
In questo ampio corredo figurativo, in origine
disseminato negli spazi più importanti della villa
(soprattutto nei due peristili e negli ambienti a essi
adiacenti), si possono riconoscere differenti nuclei
tematici, i quali, con varie sfumature e suggestioni
culturali, possono essere sostanzialmente ricondotti alla
contrapposizione tra humanitas e feritas, un’antitesi
cara alla cultura tardorepubblicana (ma non sono
mancate interpretazioni differenti). Così i busti e le
erme di poeti, oratori e filosofi rimandano direttamente
ai paradigmi culturali cui gli esponenti delle classi
elevate volevano ispirarsi, mentre i ritratti dei dinasti
ellenistici, in un simile contesto, possono essere
spiegati, oltre che come modelli più o meno confessati
per i politici del periodo, anche come incarnazione della
necessità, per i governanti, di agire secondo linee di
comportamento guidate dall’intelletto.
Busto di Seleuco I Nicatore,
Napoli, Museo Archeologico
Nazionale
Le numerose figure appartenenti alla sfera dionisiaca,
come i Sileni con otri e pantere, e a maggior ragione il
noto gruppo che raffigura il bestiale accoppiamento tra
Pan e una capra, si configurano invece come simboli
della selvatichezza della natura non disciplinata dalla
civilitas, in voluta contrapposizione con i personaggi,
appena ricordati, che erano chiamati a rappresentare i
valori superiori della cultura greco-romana.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Statua di Sileno con pantera
I luoghi privilegiati per la conservazione e l’esposizione delle collezioni private furono però le ville
suburbane: nei giardini, sotto i portici e sui bordi dei ninfei, lontano da sguardi indiscreti, le
sculture e i dipinti creavano uno sfondo ideale per gli otia dei proprietari, ovvero per il riposo e lo
studio.
Il fenomeno del collezionismo privato suscitò anche aspre critiche. Tra gli uomini politici romani,
ad esempio, Marco Agrippa (63 a.C.-12 a.C.), uno dei più influenti collaboratori dell’imperatore
Augusto, condannò l’esilio nelle ville suburbane di tante opere, sottratte alla fruizione di molti per
il piacere di pochi. Pur senza giungere a conseguenze sul piano pratico, si affermava in questo
modo per la prima volta il principio della pubblica utilità del patrimonio artistico.
pars rustica
pars
urbana
Ricostruzione grafica e pianta di una VILLA ROMANA
VILLA
cd. AD DUAS LAUROS A CENTOCELLE (Roma)
Ricostruzione della villa cd ad duas lauros (Centocelle-Roma):
ricostruzione di Livia Riga 2013, tesi magistrale in Museologia
POMPEI, Casa del Bracciale d’Oro. Affresco con giardino (paradeisos).
L’EROS DI
CENTOCELLE
Che i corredi scultorei disposti all’interno
delle dimore private seguissero spesso
programmi pianificati con cura, anche in
rapporto alla funzione degli spazi dove
venivano collocati, è testimoniato, ad
esempio, dall’epistolario di Cicerone.
Anche i giardini, che completavano le case
e le ville più ricche, erano cosparsi di
statue, di norma appartenenti alla cerchia
delle divinità più vicine al mondo naturale
e alla passionalità umana, cioè Bacco e
Venere.
Tra le sculture più largamente impiegate
in questo ambito, particolare fortuna
ebbe l’Afrodite di Doidalsas, artista bitinio
del III sec. a.C.; si tratta di un’opera nota
da numerose repliche, che ripetono in
marmo le forme dell’originale bronzeo.
L’immagine della dea, accovacciata
nell’atto di bagnarsi, ben si prestava a
essere collocata tra le piante di un
giardino, magari vicino a una fontana.
Terrazzo romano
Villetta sul lago d’Iseo
Nei contesti privati un posto importantissimo
era occupato anche dalla decorazione pittorica
delle pareti, dove occhieggiavano figure di ogni
genere. Vi erano infatti i protagonisti dei
pinakes, i quadri che si fingevano inseriti nelle
composizioni parietali e che generalmente
rappresentavano scene desunte dalla mitologia
greca. Ma vi erano anche figure introdotte
all’interno dei sistemi ornamentali nelle
maniere più svariate: personaggi fluttuanti, da
soli o a coppie, al centro di campi uniformi di
colore; minuscole cariatidi che sostenevano i
fusti a volte esilissimi delle architetture dipinte;
corpi talora di fantasia che entravano in punti
diversi delle composizioni pittoriche, magari
combinandosi con altri elementi vegetali a
plasmare bizzarre metamorfosi, lontanissime
dalla realtà. La decorazione di certe stanze
domestiche, restituita dagli scavi di Pompei,
ricrea in alcuni casi delle vere e proprie
pinacoteche, come le pareti dei due triclini della
Casa dei Vettii, dipinte in un IV stile
particolarmente sfarzoso (soprattutto quelle del
triclinio p) nel corso degli ultimi decenni vissuti
dalla città.
Pompei, Casa dei Vettii. Particolare del triclinio p
In età romana il termine museum, continua
ad essere ancora legato in linea di massima
alla sua accezione greca, ma assume anche
il significato più tecnico di una grotta in cui
statue e mosaici erano disposti per ottenere
studiati effetti decorativi, come nel caso
della grotta dell’imperatore Tiberio (42 a.C. 37 d.C.) a Sperlonga.
Il legame ideale tra le Muse e il museo,
inteso come luogo in cui lo studioso si
ritirava per leggere, meditare e contemplare
gli oggetti in esso conservati e disposti
ordinatamente, non venne meno nei secoli
successivi, nonostante l’avvento del
Cristianesimo e la caduta delle antiche
divinità. Gli studioli trecenteschi e
quattrocenteschi, infatti, continuarono a
essere designati dai colti umanisti italiani
con l’espressione di "musarum studia",
ovvero studi delle Muse, e per volere dei
principi amanti delle arti furono spesso
decorati con cicli pittorici ispirati a queste
antiche divinità greche.
Grotta di Tiberio, I secolo a.C.- I secolo d.C, Sperlonga
I luoghi
Per quanto concerne i siti ed i monumenti, forse anche per la grande quantità
di opere d’arte presenti, la città di Roma, anche grazie alla sua storia, era
ammirata sia dai suoi abitanti che dai molti che per motivi di necessità o di
svago affluivano numerosi nella capitale.
I luoghi
Nel mondo antico non vi era una
distinzione chiara tra passato storico e
passato leggendario, la storia aveva inizio
in tempi remoti che coincidevano con quelli
del mito. I luoghi che ricordavano
personaggi o eventi di quei tempi
antichissimi, erano molto considerati ed
amati: le tombe degli eroi, le loro dimore, i
luoghi dove si erano svolte grandi battaglie.
Le leggende sulle origini mitiche della città,
a partire dall’arrivo di Enea da Troia, erano
oggetto di culto e di rispetto, come l’
Heroon di Enea presso l’antica città di
Lavinium, non lontana da Roma, che era
essa stessa onorata dai Romani per la
tradizione che la legava all’eroe troiano, per
il suo tempio di Venere, comune a tutti
i Latini, per i suoi culti legati a Vesta ed ai
Penati. Varrone definisce Lavinio la prima
fondazione nel Lazio di stirpe romana e gli
scavi archeologici confermano l’antichità di
questo centro.
Così lo descrive Dionigi di
Alicarnasso: «Si tratta di un
piccolo tumulo, intorno al quale
sono stati posti file regolari di
alberi, che vale la pena di
vedere»
I luoghi
Altro luogo leggendario era ovviamente Alba Longa, la cui distruzione
rappresentò il vero inizio dell’egemonia di Roma sui popoli latini, anche se già
in epoca antica si era persa memoria della reale localizzazione del sito.
I luoghi
Oltre ai luoghi delle più antiche origini, tutti i siti della città legati al mito di
fondazione erano sacri. Il Lupercale, che, come racconta Dionigi da
Alicarnasso, contemporaneo di Augusto, si trovava ai piedi del colle Palatino e
non lontano dal Tevere, era la grotta dove il pastore Faustolo raccolse e
allevò, con la moglie Acca Larenzia, i due gemelli Romolo e Remo, salvati dai
flutti del Tevere; la mitica capanna di Romolo sul Palatino; la sua presunta
tomba sotto il lapis niger, dove all’epoca di Varrone esistevano ancora due
leoni accovacciati, figure tipiche, in Italia come in Grecia, di guardiani dei
sepolcri, restò luogo sacro durante tutta la storia di Roma, infatti l’area venne
sepolta e recinta in tarda età repubblicana e, coperta da un pavimento di
marmo nero (da cui il nome), considerata un “luogo funesto” a causa della
profanazione della sepoltura perpetrata dai Galli durante il saccheggio del 390
a.C.
I luoghi
Ma oltre ai luoghi connessi alla storia della città, con l’ampliarsi dell’influenza
romana all’intero bacino del mediterraneo, si aggiunsero anche i luoghi storici
o relativi al mito di un più vasto mondo: Troia, le città e i monumenti della
Grecia e del Vicino Oriente e l’esotico Egitto. Qui vi erano le origini della civiltà
e questi siti venivano visitati con una logica simile a quella del nostro turismo
culturale.
I luoghi
Pausania, nel II sec. D. C., nel suo
“L’Itinerario della Grecia”, realizza una
prima vera e propria guida turistica
dell’antichità, dove descrive con
accuratezza non solo i monumenti ma
anche le usanze dei luoghi da lui
visitati, creando una sorta di arcaico
diario storico-archeologico. La Grecia
da lui descritta non è più quella del V
sec. A. C., ma proprio per la grande
distanza temporale che lo separa da
quel mondo passato, traspare nel
suo scritto una visione storica e, in
qualche modo, archeologica.
La stessa forte attrazione avevano
per i romani sia il Vicino oriente (Troia
in particolare) e soprattutto l’”antico”
Egitto, dove i monumentali resti
archeologici venivano trattati quasi
alla stessa stregua di oggi.
I luoghi
Nel III sec. d.C. un ignoto studioso elaborò
l’elenco delle sette meraviglie del mondo.
Non c’erano bellezze naturali tra queste e
tutte risalivano ad un passato anche remoto.
La Piramide di Cheope a Giza era il
monumento più antico, datato alla metà del
III millennio a.C., ed è l’unico che oggi
ancora sopravvive; vi erano poi i Giardini
Pensili di Babilonia ed il tempio di Artemide
a Efeso, risalenti al VI sec. a.C., la statua di
Zeus a Olimpia, scolpita da Fidia nel V sec.
A. C., il grande Mausoleo di Alicarnasso
della metà IV sec. a.C.. A queste si
aggiungevano le sole due opere di “recente”
costruzione, risalenti comunque a circa 500
anni prima della redazione dell’elenco: il
Colosso di Rodi ed il Faro di Alessandria
entrambe del III a. C. Come si può notare
nessuna delle “meraviglie” era collocata a
Roma o più in generale nell’Occidente, ma
tutte in quei territori orientali in cui
evidentemente i Romani riconoscevano le
origini della civiltà, compresa la loro.
I luoghi
Anche la città di Roma era ovviamente attraente, forse più per la sua
“modernità” che per le sue testimonianze storiche, e molti cittadini, soprattutto
quelli delle province, giungevano per vedere i maestosi monumenti costruiti
dagli imperatori, da cui trapelava la ricchezza e la potenza sia dell’impero che
loro personale. Nella affollata città antica, vi erano appositi uffici nel Foro per
aiutare e dare indicazioni ai cittadini che visitavano la capitale.
I luoghi
Il rispetto per la grandezza di Roma non contemplava però una cultura della
conservazione, almeno per come la intendiamo oggi, infatti era assolutamente
comune distruggere per ricostruire. Se pensiamo all’area centrale della città,
alla successione dei Fori Imperiali oppure alla complessa stratigrafia del Colle
Oppio messa in luce nei recenti scavi al di sotto delle Terme di Traiano, ci
rendiamo conto che i dati storici e archeologici ci raccontano che edifici e
piazze monumentali potevano durare anche solo pochi anni, sostituite da
nuovi edifici e monumenti.
Inoltre era anche assai diffusa la pratica del riuso. Non è infrequente scoprire
che nella costruzione di famosi monumenti siano stai “riciclati” materiali già
precedentemente usati e riadattati a nuovi scopi. ( Portico ottavia). Questo
fenomeno caratterizzerà in seguito e con ben altro spessore tutto il periodo
tardo antico e medioevale.
Reimpiego di elementi architettonici della fase
precedente nel frontone dei propilei del Portico
di Ottavia a Roma (età severiana). La forma
originale degli elementi architettonici riutilizzati
come blocchi nei frontoni, è stata lasciata solo
sul retro del frontone, in origine coperto alla
vista da un controsoffitto che nascondeva il tetto
a capriata lignea, ed oggi invece visibile
all'interno del propileo per la scomparsa del
tetto.
IL MEDIOEVO
La grande organizzazione dell’Impero
Romano si dissolve col Medioevo e con
essa il collezionismo privato subisce una
battuta d’arresto.
In questo periodo la chiesa assume
l’importante funzione di conservazione ed
in parte di divulgazione della cultura.
Nelle chiese e cattedrali soprattutto, oltre
alle preziose suppellettili del culto, si
raccoglievano i doni ex voto dei fedeli,
spesso materiali preziosi (antichi
manoscritti, reliquie, gioielli, statue) che
venivano esposti al pubblico durante le
festività.
Nei cosiddetti secoli bui dunque la
tendenza a collezionare oggetti
continua, nonostante il Cristianesimo
esortasse l’uomo a non possedere
cose superflue.
Queste cose “superflue”, che sono poi
i soliti oggetti belli e/o strani, sono
pertanto destinati alle chiese e ai
monasteri tanto che è stato detto che
“i preti e i monaci nel medioevo
hanno salvato la curiosità così come
hanno salvato l’agricoltura, la scienza,
la letteratura e le arti”.
Come nei templi antichi, sia come
significato propiziatorio sia come
testimonianza di ricchezza e potenza,
chiese ed abbazie raccolsero dei veri
tesori mediante i soliti modi di
acquisizione o come doni di potenti o
come risultati di saccheggi.
I TESORI
Il tesoro di S. Pietro inizia con la
donazione di Costantino (III
secolo)
il tesoro di Monza parte col
dono di Teodolinda (VI secolo)
il tesoro di S. Marco a Venezia si
ingrandisce col saccheggio di
Costantinopoli del 1204.
Analogamente si formano i tesori di famose abbazie, come Montecassino e Pomposa.
L’Abate Suger de Saint-Denis
(1081-1151), consigliere dei re
di Francia, redasse l’inventario
dei preziosi dell’Abbazia di St.
Denis presso Parigi; alcuni
degli oggetti descritti oggi
sono esposti nel Museo del
Louvre
Nonostante le temporanee esposizioni, questi tesori, pur avendo le
caratteristiche di vere raccolte museali, non avevano una destinazione
pubblica.
Il collezionismo medievale presenta due
novità rispetto al periodo precedente,
entrambe legate alla religione cristiana.
La prima è data dalle reliquie, vere o
falsificate, di santi o addirittura della
vita di Cristo, reliquie spesso decorate e
conservate perciò nelle camere del
tesoro o sotto gli altari.
La seconda novità è collegata a quel vasto
movimento noto col nome di Crociate che
mise in contatto i popoli dell’occidente con la
realtà del vicino oriente, realtà fatta non solo
di possibili reliquie della Terrasanta, ma anche
di animali diversi e quindi strani. Da qui
l’esposizione nelle chiese di coccodrilli, più o
meno ben imbalsamati, uova di struzzo che
possono essere considerati come i primi
esempi dei mirabilia, oggetti che destano
stupore e che presto saranno affiancati da
altro materiale curioso, ad esempio divennero
famose le pietre ceraunie, cioè colpite dal
fulmine. Tutto ciò era definito monstrum, da
cui il nostro mostro, che significava però che
era da mostrare perché interessante, tale da
destare stupore, meraviglia.
La riapertura dei traffici, sviluppata con le
Crociate con le sue reliquie e le curiosità
esotiche, stimolò l’interesse per il
collezionismo che lentamente andò
sviluppandosi anche al di fuori delle chiese,
presso potenti ma anche privati.
Tra le collezioni private furono famose
le collezioni enciclopediche
dell’imperatore Federico II (11841250).
Un collezionismo imperniato su
curiosità e rarità che potevano
destare meraviglia e che poteva dare
al possessore prestigio, un vero
“status symbol”, se non costituire
addirittura un tesoro.
Con la caduta
dell’impero romano il
filo della continuità
storica attestata dai
monumenti antichi, si
interrompe.
Alcuni capi barbari si
sono fermati davanti
allo splendore di Roma.
Ma quel rispetto
attonito nulla ha potuto
contro le guerre,
terribili, e l’abbandono.
Nel medioevo si perde il
legame con il passato
(anche perché pagano).
Si perde la
consapevolezza
dell’importanza della
continuità storica delle
città.
I LUOGHI
La pratica della distruzione
e/o del riuso dei materiali era
corrente
L'interno della chiesa di San
Giovanni a Mare in Gaeta
Talvolta si riusavano gli edifici ed
allora questi sono giunti fino a noi
in condizioni perfette
L’uso, la manutenzione ed
rispetto producono la
salvaguardia
I resti antichi che erano una volta segni della potenza di città e stati
diventano rovine e fanno solo riflettere sulla caducità dell’uomo e delle
sue opere.
I siti antichi, le vecchie città, le ville, i porti, le tombe, elementi di un
paesaggio disgregato e legato alla decadenza e alla morte, diventano luoghi
magici e colmi di mistero.
Case delle streghe, Tombe di Giganti, Ponti del diavolo, etc, etc)
Con la rinascita delle città dopo l’anno 1000, che spesso si
insediano sui resti delle città antiche, ricomincia un legame tra
nuovo e vecchio.
Gli antichi ruderi vengono presi a modello di sapienza
ingegneristica e artistica.
Palazzo Savelli sul Teatro di
Marcello a Roma (1535)
Ma, come abbiamo detto, ciò non implica che l’antico debba essere
conservato, anzi, soprattutto a Roma, questi resti sono ancora considerati
ancora una immensa cava. Vengono concesse licenze per scavare alla
ricerca di oggetti preziosi (statue, iscrizioni, etc) che cominciano affollare i
palazzi dei potenti.
MUSEOLOGIA e ARCHEOLOGIA
Anno Accademico 2016/2017
Docente Patrizia Gioia
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− Il Mondo Romano: patrimonio pubblico e patrimonio privato, i luoghi del passato
− Il Medioevo: il patrimonio ecclesiastico ed gli archetipi delle collezioni umanistiche, i
luoghi del passato
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