Matteo Griseri
Liceo scientifico Galileo Ferraris, esame di Stato 2011
Classe VC
Tesina interdisciplinare di fisica e astronomia.
Raggi cosmici e progetto EEE (Extreme Energy Events)
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Particelle dallo spazio: i raggi cosmici e la loro scoperta
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Tipologie di raggi primari e interazione con l’atmosfera
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Metodi di rilevazione
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Progetto EEE (Extreme Energy Events): I telescopi MRPC
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Sull’origine dei raggi cosmici
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Particelle dallo spazio: i raggi cosmici e la loro scoperta
I raggi cosmici sono particelle cariche che viaggiano nello spazio a velocità relativistiche, cioè prossime alla
velocità della luce, nei casi più interessanti (cioè con energie cinetiche elevate) si tratta di nuclei atomici più o
meno massicci carichi positivamente, perché privi della loro nube elettronica, ma la maggioranza delle
particelle cosmiche è costituita da protoni (nuclei H⁺).
Quando una di queste particelle, che costituisce il cosiddetto raggio primario, raggiunge l’atmosfera terrestre,
interagisce con il primo atomo di materia che incontra. Se il primario è un nucleo, questo urto provoca una
collisione nucleare di notevole energia, ben oltre quella tipica delle armi atomiche, ma minore di quella che
avviene negli acceleratori di particelle; la conseguente disgregazione, produce raggi X e γ (effetto Čerenkov)
in modesta quantità e una pioggia di “pezzetti” subparticellari i quali, oltre a produrre una quasi impercettibile
ionizzazione dell’aria, costituiscono l’unico effetto dei raggi cosmici che possiamo rilevare e studiare.
Tuttavia fu proprio grazie alla ionizzazione dell’aria che nel 1912 V.F. Hess poté scoprire l’esistenza di questa
particolare radiazione di provenienza extraterrestre “Hohenstrahlung”, in tedesco “radiazione cosmica”. Il
fisico austriaco-americano effettuò una misura della ionizzazione atmosferica in funzione dell’altitudine fino a
5000 mt, utilizzando una mongolfiera e un semplice elettrometro; concluse che la ionizzazione aumentava più
o meno linearmente a prescindere dalle condizioni atmosferiche, dalla
latitudine e dalla longitudine (la scoperta frutterà a Hess il premio Nobel per
la fisica nel 1936). I risultati di Hess spinsero altri scienziati a studiare il
fenomeno.
Nel 1929 W. Bothe e W. Kolhorster misurarono la coincidenza simultanea di
uno stesso segnale particolarmente intenso su due mongolfiere distanti tra
loro, questo fece pensare ad una presunta natura particellare della radiazione
cosmica, in particolare le particelle dovevano avere origine da un unico
evento primario avvenuto ad alta quota. La prova definitiva venne da J. Clay,
il quale avvalendosi di strumenti più sofisticati di quelli usati da Hess,
mostrò che l’intensità media della radiazione dipendeva in realtà anche dalla
latitudine magnetica dell’osservatore. Questo provò definitivamente che le
particelle primarie dovevano avere una carica elettrica per poter essere
influenzate dalla morfologia del campo magnetico terrestre, tramite la forza
di Lorentz; proprio come le particelle del vento solare (secondo alcune scuole
anch’esse definibili come raggi cosmici, anche se non interagiscono nuclearmente con l’atmosfera), che
provocano l’aurora boreale.
Da allora gli studi sui raggi cosmici si moltiplicarono in tutto il mondo, oggi si è giunti a una buona
comprensione del fenomeno dal punto di vista terrestre, ma resta ancora una domanda senza risposta certa: la
provenienza dei raggi più energetici.
Nell’immagine: Hess con la sua mongolfiera
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Tipologie di raggi primari e interazione con l’atmosfera
La Terra è costantemente bombardata da raggi cosmici, essi sembrano provenire indiscriminatamente da ogni
direzione, con lo studio delle “docce” o “sciami” di particelle secondarie si può risalire all’energia del raggio
primario e anche al tipo di particella primaria.
L’energia si misura in elettronvolt: 1 elettronvolt è uguale all’energia che un elettrone acquista quando viene
accelerato nel vuoto da un campo elettrico con 1 Volt di differenza di potenziale.
Decenni di studi hanno permesso di costruire un grafico della distribuzione di probabilità di un evento in
funzione dell’energia del suo raggio primario.
L’interpolazione dei dati raccolti, porta ad attribuire un andamento quasi lineare alla probabilità degli eventi,
con tre cambi di tendenza : knee, second knee e ankle (ginocchia e caviglia). Si noti la quasi assenza di eventi
dell’ordine di 10¹¹ GeV (cento miliardi di miliardi di elettronvolt). L’occorrenza di uno di questi eventi è
talmente rara (uno ogni due o tre anni) da renderne quasi impossibile lo studio in tempi brevi.
Moltissime sono invece le particelle secondarie a basse energie che piovono in ogni istante su piccole
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superfici, come da grafico, 10-100 protoni da 100 GeV al secondo in un metro quadro di superficie di calotta
sferica.
Il punto di riferimento che permette ai ricercatori di risalire all’energia del raggio primario è l’ampiezza della
superficie coperta dallo sciame di particelle secondarie. Per esempio, un protone con un’energia cinetica di
10⁸ Gev, la cui traiettoria è perfettamente perpendicolare alla superficie terrestre, che interagisce con
l’atmosfera a 15 km di quota,
produce uno sciame che copre
un’area circolare di circa 700 metri
di raggio.
Nell’immagine a destra viene
mostrato la rielaborazione sulla
mappa di un simile evento registrato
dai rilevatori del progetto EEE nel
2009, nel centro di Torino.
L’immagine in basso mostra invece la traccia lasciata su un rilevatore di particelle secondarie prodotte da un
evento a basse energie, la superficie interessata è di 70x90 cm. L’evento fu registrato al CERN.
I ricercatori, con la rilevazione degli sciami a terra, cercano di risalire al tipo di particella primaria. Sappiamo
infatti che un determinato tipo di nucleo, se accelerato e fatto scontrare con un’altra particella, produce tipi e
quantità di particelle subatomiche diverse che costituiscono la sua “firma” quantistica. Gli esperimenti
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effettuati al CERN, hanno permesso di catalogare negli ultimi 50 anni molte particelle: identificando quelle
che giungono a terra e conoscendo l’energia primaria, si può dedurre con una certa precisione quale fosse la
particella originale (il numero Z nel caso in cui essa sia un nucleo atomico).
Nel seguente grafico è riportata la tipica collocazione di alcuni gruppi di elementi primari (protoni singoli,
elio, silicio, ferro e anche il decadimento gamma derivante dal ciclo carbonio-azoto)
Secondo le conoscenze attuali di fisica delle particelle subatomiche, e sapendo come esse si scompongono, si
generano e si ricombinano negli urti a grande energia, si può tracciare una sorta di albero genealogico di
particelle, una storia che dura appena qualche nanosecondo e si colloca lungo tutta l’altezza dell’atmosfera,
dalla collisione del raggio primario (assunto come ione pesante) alla caduta delle particelle sulla superficie.
Le particelle coinvolte in questa “epopea” microscopica sono fondamentalmente:
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Elettroni (e⁻) prodotti in coppia con le loro antiparticelle, con cui si annichilano immediatamente o si
separano.
Positroni (e⁺) cioè le antiparticelle degli elettroni.
Fotoni (γ), prodotti dall’effetto bremsstrahlung o dall’effetto Čerenkov.
L’effetto bremsstrahlung avviene quando una particella carica, ad esempio
un elettrone, viene accelerata o decelerata e così facendo provoca una
variazione del flusso del suo campo elettrico nello spazio ∆φ(E),
rilasciando, per via delle equazioni di Maxwell, un’onda elettromagnetica
(generalmente raggi X).
L’effetto Čerenkov, invece, avviene quando una particella viaggia più
veloce della luce nel mezzo, l’effetto è analogo a quello degli aerei
supersonici, quando essi superano la velocità del suono nello stesso mezzo
(l’aria), viene prodotto il cosiddetto “sonic boom”, per quanto riguarda gli
oggetti che viaggiano a velocità superiori alla velocità della luce nel
mezzo avviene la produzione di onde elettromagnetiche. Nelle vasche dei
reattori a fissione nucleare (immagine a destra) questo fenomeno è ben
visibile tramite la tipica luce azzurrina che viene emanata dal nocciolo, in
questo caso il mezzo è l’acqua di raffreddamento del reattore (a questo
fenomeno è da attribuirsi l’iconografia popolare che etichetta i materiali radioattivi come oggetti
verde-fosforescente). Quando i raggi cosmici colpiscono l'atmosfera, tra le altre cose, si ha la
produzione di coppie di elettroni e positroni ad alta velocità.
Neutrini (v), le particelle elementari note con la massa più piccola, hanno carica neutra e per via di
queste due caratteristiche tendono a interagire pochissimo con la materia che incontrano e di
conseguenza ad essere molto difficili da rilevare.
Mesoni Pi, o Pioni (π⁺)(π⁻), particelle subatomiche instabili formate da due quark top e down.
Muoni (µ⁻), particelle molto importanti per la rilevazione, perché dotate di una vita media relativistica
relativamente lunga (2,2 µs, quanto basta per arrivare a terra), di una massa a riposo relativamente
grande (105,6 MeV/c2, circa 207 volte la massa dell'elettrone) e di una carica negativa pari a quella
dell’elettrone.
I muoni che arrivano a terra conservano ancora una grande energia cinetica, sono quindi molto
propensi, come i neutrini, a penetrare i materiali, per questo motivo è possibile rilevarli anche sotto
terra.
Antimuoni (µ⁺) la cui vita media è brevissima, a causa della immediata annichilazione con la materia
del mezzo in cui viaggiano.
Frammenti di nuclei di vario tipo, a seconda del numero Z del nucleo primario.
Verrebbe da chiedersi: ma tutte queste particelle e radiazioni non saranno dannose? Molto empiricamente la
risposta viene da sé, se siamo sani e salvi vuol dire che l’atmosfera ci garantisce una schermatura adeguata,
infatti a provocare danni non sono le particelle secondarie, ma le primarie.
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Un filamento di DNA umano può danneggiarsi seriamente se colpito da un nucleo di ferro da 10¹¹ GeV, o
comunque da intense radiazioni γ, il danneggiamento può provocare un’anomalia nella mitosi cellulare e
quindi un tumore. Questo è un problema che interessa in particolare gli astronauti che devono stare nello
spazio per periodi prolungati. Si sa infatti che in orbita l'esposizione alle radiazioni è tra le 100 e le 10000
volte maggiore rispetto a Terra, con dei picchi in zone particolari dell'Universo (come ad esempio le fasce di
Van Allen: se l'uomo vi entrasse troverebbe istantaneamente la morte).
Per fare un paragone, al livello del mare in un anno le radiazioni cosmiche assorbite sono pari a due lastre
radiografiche al torace, si tratta quindi di un problema che a Terra non si pone, ma in orbita per lunghi periodi
sì.
Uno dei problemi che la NASA sta cercando di risolvere in vista della missione su Marte è proprio questo:
vista la lunga durata del viaggio e della permanenza sul pianeta rosso (quasi privo di atmosfera), si dovrebbe
trovare un materiale per schermare l’astronave dalle radiazioni. Ciò si potrebbe ottenere, per esempio,
progettando uno scudo schermante contenente acqua, ma il suo peso sarebbe troppo elevato (si stimano 500
tonnellate).
La seconda possibilità sarebbe quella di costruire uno scudo magnetico, in grado di deviare opportunamente le
particelle ionizzate costituenti i raggi cosmici, si avrebbe bisogno però di un campo magnetico elevatissimo, i
cui effetti sul corpo umano non sono totalmente conosciuti.
Si è pensato, in alternativa, ad uno scudo elettrostatico: caricando positivamente il rivestimento esterno
dell’astronave, che diverrebbe una sorta di gabbia di Faraday, lo si renderebbe in grado di respingere o per lo
meno rallentare i raggi cosmici: la copertura sarebbe totale, senza alcun campo magnetico pericoloso, tuttavia
l'energia richiesta sarebbe spropositata.
Solo ultimamente lo studio dei raggi cosmici si sta orientando a capire il loro effetto sugli esseri viventi e sul
clima. Infatti negli ultimi decenni si è notata una certa coincidenza temporale tra i picchi di attività solare e
l’aumento del flusso di particelle a bassa energia, si pensa dunque che i raggi cosmici possano essere dei
buoni indicatori di quello che accade sulla nostra stella che, come è noto, influenza gran parte dei processi che
avvengono sulla Terra: dal clima alla vita stessa.
E’ provato, ad esempio, che delle elevate concentrazioni di raggi, confinati magneticamente nelle zone polari,
possono ionizzare l’aria della troposfera in modo eccezionale, contribuendo a un’eccessiva formazione di nubi
e di nebbie ad alta quota, che possono minare i delicati equilibri del clima. L’ultimo di questi avvenimenti
risale al 2004.
Lo studio dei raggi ad alte energie resta invece riservato alla pura ricerca astrofisica.
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Metodi di rilevazione
Per rilevare le particelle degli sciami secondari ci si può avvalere di diverse tecnologie, a dire il vero non
estremamente avanzate e complesse, ma sicuramente molto sensibili e precise. E’ chiaro che la difficoltà
maggiore consiste nel riconoscere le misurazioni di origine cosmica dalla moltitudine di misurazioni
equivoche
che
dei
simili
strumenti,
non
perfettamente
tarati,
possono
effettuare.
Infatti è noto che la sulla superficie terrestre avvengono normalmente fenomeni elettromagnetici di “origine
umana” (microonde per le telecomunicazioni, onde radio), decadimento radioattivo naturale (con emissione
continua di raggi α β e γ) o artificiale (contaminazione da incidenti nucleari, test di armi nucleari), raggi
catodici e raggi canale di origine artificiale (televisori, tubi al neon, diodi), nonché la normale volta celeste, di
fatto costellata di sorgenti di raggi γ, X, ultravioletti, infrarossi, microonde e radio, in grado, nonostante la
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loro debole intensità, di disturbare le misurazioni. Nei periodi di intensa attività solare inoltre, aumenta la
produzione da parte della nostra stella di microonde e di raggi cosmici a bassa energia, che sovraffollano i
rilevatori
rendendo
più
difficile
la
rilevazione
di
raggi
ad
alta
energia.
Nello schema seguente sono illustrati i principali tipi di rilevatori o telescopi a raggi cosmici.
Scintillatori: uno scintillatore è un materiale capace di emettere impulsi di luce, in genere visibile
o ultravioletta, quando viene attraversato da fotoni di alta energia o da particelle cariche (muoni), la
loro funzione si limita al conteggio delle particelle incidenti, non è in grado di risalire alla traiettoria.
Essendo piuttosto economici, vengono utilizzati in gran numero per coprire vaste aree, nella speranza
di captare sciami di grandi dimensioni. Un esempio è il prototipo Cosmic Box del progetto EEE.
Telescopi Čerenkov: che rilevano la radiazione γ generata dall’effetto Čerenkov e la sfruttano per
determinare la direzione e l'intensità dell'evento primario.
Calorimetri: ad altissima precisione e sensibilità, anch’essi limitati a contatori di particelle.
Rilevatori di traccia: dispositivi in grado di ricostruire la traiettoria del muone incidente tramite la
ionizzazione del gas al loro interno, i telescopi MRPC del progetto EEE appartengono a questa
categoria.
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Progetto EEE (Extreme Energy Events): i telescopi MRPC
Il Progetto EEE (Extreme Energy Events), ideato dal
Professor Zichichi a fine anni ’90, si inserisce in un
quadro mondiale ed europeo di esperimenti su larga
scala per la rivelazione di raggi cosmici di energia
estrema..
L’idea era quella di mettere in atto un esperimento che
avesse le seguenti caratteristiche:
l'uso di rivelatori a ionizzazione, al posto dei
rivelatori a scintillazione privilegiati in tutti gli
altri esperimenti su larga scala, che consentano
di rivelare la componente muonica dei raggi
cosmici secondari.
la buona risoluzione temporale e spaziale offerta
da questo tipo di rilevatore, che permetta
un'accurata ricostruzione della traiettoria con cui
la particella secondaria attraversa il telescopio.
Il coinvolgimento di un grande numero di
Scuole Superiori su un vasto territorio (circa 106
km²) disponendo di circa 100 stazioni
sincronizzate tramite un sistema GPS per la
rivelazione di coincidenze temporali tra sciami
simultanei. Scopi dunque didattici e finalizzati ad avvicinare gli studenti superiori alla scienza e alla
ricerca.
la realizzazione di una fitta rete di telescopi anche su scala locale, coinvolgendo almeno 2-3 scuole
relativamente vicine (appartenenti alla stessa città o comunque distanti pochi chilometri le une dalle
altre), per consentire la rivelazione di singoli sciami che investono piccoli gruppi di telescopi.
Per venire incontro alle esigenze di questo progetto per niente modesto, la scelta ricadde sui telescopi a gas,
formati da camere MRPC; i motivi della scelta costituiscono un compromesso tra precisione, risoluzione dei
dati, longevità degli impianti e costi ridotti al minimo (relativamente parlando, perché il costo di un solo
telescopio di EEE si aggira intorno ai 100.000 €).
Tutti gli apparecchi sono stati costruiti dagli studenti stessi e dai professori dei singoli istituti nei laboratori del
CERN di Ginevra; anche la gestione, la manutenzione e la raccolta dei dati è affidata a loro, con la
supervisione di tecnici, referenti del progetto in ambiente universitario. Tutti i dati vengono infine archiviati
nei server della facoltà di fisica più vicina aderente al progetto.
Attualmente la situazione in Italia è la seguente:
Ogni stelletta corrisponde a una città in cui sono già installati dei telescopi, in rosso le città in cui sono in
costruzione o in progetto nuovi o ulteriori telescopi.
A Torino ad esempio ci sono già tre rilevatori in funzione (dal 2006), al Liceo Galileo Ferraris, al Liceo
Volta e al Liceo D’Azeglio, che forniscono una quasi perfetta triangolazione del settore sud-ovest del centro.
E’ prevista l’aggiunta di altri due telescopi.
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Il rilevatore del liceo Galileo Ferraris
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I telescopi di EEE sono formati da tre camere-rilevatori a gas MRPC: ciascuna di esse è in grado di
misurare il punto esatto di incidenza del muone per cui, avendo dunque tre punti nello spazio, si può
ricostruire la traiettoria della particella con una buona precisione.
Le MRPC (Multigap Resistive Plate Chamber) ideate per il Progetto Extreme Energy Events sono rivelatori a
gas ionizzante.
Ciascuna camera è costituita da un pannello composto da vari strati, nei più interni si trova l’intercapedine del
gas. Ai lati dell'intercapedine sono posti due piani di materiale resistivo collegati l'alta tensione che fungono
da anodo e catodo per creare un campo elettrico, come la piastre di un condensatore.
La zona del gas invece è suddivisa in 6 intervalli (gap) di piccolo spessore (300 µm) da vetri intermedi
separati da fili da pesca di nylon, in essa fluisce costantemente una miscela di Freon (98%) ed esafluoruro di
zolfo (2%).
Per dare stabilità alla struttura la camera è fissata a due piani rigidi di materiale composito (honeycomb) e il
tutto è racchiuso in una scatola di alluminio (box ) a tenuta stagna di 2 m x 1 m.
Al di fuori dei piani resistivi sono poste, intervallate da uno strato di vetronite, 24 strisce di rame (strip).
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Principio di funzionamento:
quando un muone attraversa la camera, cede energia alle molecole di freon, provocando una debole
ionizzazione localizzata del gas; essendo presente un campo elettrico (10.000 V), gli ioni positivi vengono
attratti verso il catodo e gli elettroni liberi generati dalla ionizzazione vengono invece attratti verso l’anodo, il
campo elettrico è sufficientemente forte da accelerare gli elettroni fino a poter innescare l’effetto valanga,
tipico della scarica nei gas. Ecco quindi che il segnale del muone viene amplificato fino ad essere leggibile,
sottoforma di breve picco anomalo di corrente, sulle piastre stesse e sulle strip, che lo trasportano come
segnale fino ai due contatori (montati alle loro estremità) collegati al computer.
Il numero della strip interessata dal segnale fornisce la coordinata x del punto d’impatto, la differenza di
tempo che il segnale impiega per giungere ai due contatori rende invece possibile risalire alla coordinata y.
Questi contatori, per fornire dati precisi, devono tollerare un errore dell’ordine del ps (picosecondo, millimiliardesimo di secondo). Per questo motivo gran parte dei costi di costruzione dei telescopi sono assorbiti
dalla sofisticata elettronica di lettura.
Il computer discrimina gli eventi in cui tutte e tre le camere rilevano una particella, ed esclude tutti gli altri
eventi parziali, considerati anomali a prescindere. Comunque, se si osserva il contatore sullo schermo, si nota
che i passaggi avvengono con una notevole frequenza (2-3 al secondo).
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Schematizzazione dell’effetto di ionizzazione a valanga che avviene nei gap del gas al passaggio del muone.
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Sull’origine dei raggi cosmici
In generale, per quanto riguarda raggi primari a bassa energia (da 10 a 100 GeV), il trend è il seguente:
Mettendo a confronto l’abbondanza di questi componenti cosmici (in blu) con l’abbondanza dei vari elementi
nel Sistema Solare (in rosso), si nota un certo accordo.
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Risulta dunque presumibile che la provenienza dei raggi a bassa energia sia di origine solare o di altre stelle
gialle, rosse o blu, i cui raggi cosmici giungono in piccola quantità, e molto indeboliti, fino a noi.
Per quanto riguarda gli eventi ad elevatissima energia, queste considerazioni portano e escludere certi tipi di
possibili sorgenti nell’universo, per esempio, se la particella primaria fosse un nucleo di ferro da 10¹¹ GeV ,
difficilmente essa proverrebbe da una stella gialla come il Sole, in quanto non sono noti, in tali corpi celesti,
dei meccanismi in grado di accelerare a velocità simili delle particelle così pesanti.
Pertanto viene spontaneo chiedersi: da dove vengono i rari raggi cosmici ad alta energia (>10¹¹ GeV )?
Per rispondere alla domanda occorre innanzitutto ricordarsi che tali raggi devono in qualche modo subire
un’accelerazione e di luoghi nello spazio in cui, per quanto ne sappiamo, possono avvenire simili processi, ne
esistono molti, tutti ancora poco conosciuti.
Questi processi devono poter attingere da una fonte di grandissima energia, conosciamo alcuni oggetti simili,
nessuno dei quali vicino abbastanza per poter trarre prove significative in tempi brevi.
In linea puramente teorica, le accelerazioni di particelle possono avvenire nei getti di plasma che eruttano dai
quasar o dai poli dei buchi neri rotanti dotati di disco di accrescimento e dagli AGN (Active Galactic Nuclei).
Altri candidati sono le radiogalassie, le zone di collisione intergalattica, le pulsar, le ipernovae (supernovae
100 volte più potenti) e altri tipi di oggetti molto rari e pressoché sconosciuti.
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Schematizzando, questa è in teoria la situazione:
il grafico riporta la collocazione delle varie sorgenti in funzione del campo magnetico (sicuramente coinvolto
nella formazione dei raggi, a causa della forza di Lorentz), e delle
dimensioni.
Nel corso degli anni alcuni scienziati si sono dedicati alla raccolta delle informazioni legate alla traiettoria
stimata dei primari, per cercare di ottenere una mappatura del cielo e dei punti in cui la provenienza di raggi
cosmici è più densa.
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La linea tratteggiata blu ricalca la forma della Via Lattea.
Questa mappa risulta particolarmente interessante riguardo alle sorgenti interne alla nostra galassia, infatti se
si segnassero le ipotetiche sorgenti esterne, in questa scala il disegno verrebbe tempestato in ogni suo punto.
E’ peraltro impossibile riuscire a centrare esattamente una sorgente lontana con il suo evento ad alta energia,
perché non conosciamo nemmeno la direzione del moto di molti di questi oggetti, i quali sicuramente si sono
spostati mentre la particella da loro emessa viaggiava verso di noi.
Tuttavia risulta interessante l’addensamento di eventi al centro galattico, in accordo con la teoria secondo la
quale grandi oggetti come i buchi neri supermassicci possano essere delle sorgenti.
Infatti è quasi provato che al centro della Via Lattea ci sia un immenso buco nero, chiamato Sagittarius A*
(foto in basso), il cui disco di accrescimento, oltre a emettere onde radio, potrebbe confinare dei nuclei a
velocità relativistiche nei suoi getti di plasma.
Sgr A* ha una massa di 3,7 milioni di Soli racchiusa in un volume sferico di 6,7 miliardi di km, con un
orizzonte degli eventi di 44 milioni di km di diametro (il Sole ha un diametro di circa 1,3 milioni di km).
Attorno ad esso orbitano varie stelle, che perdono gradualmente materia, destinata a cadere nelle profondità
del buco e collassare in un punto privo di dimensioni e di densità infinita.
Stando alle nostre conoscenze attuali, è proprio durante questo collasso spiraleggiante che le alte
temperature e i campi magnetici possono donarci un minuscolo frammento di quei luoghi così lontani.
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Fonti:
o “Il Progetto EEE – La scienza nelle scuole torinesi” di G. Piragino, estratto da Giornale di Fisica,
Ottobre- Dicembre 2010.
o Cosmic Rays from the Knee to the Highest Energies Johannes Bluumer, Ralph Engel, and Jörg R.
Horandel, Karlsruhe Institute of Technology (KIT), Institut fur Kernphysik, P.O. Box 3640, 76021
Karlsruhe, Germany. Radboud University Nijmegen, Department of Astrophysics, P.O. Box 9010,
6500 GL Nijmegen, The Netherlands. April 4, 2009.
o Google immagini.
o “I raggi cosmici : protezione degli astronauti nelle missioni a lungo termine” di Alessandro Golkar, 22
Luglio 2006.
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