RETI D`IMPRESA INNOVATIVE

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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
RETI DI IMPRESA INNOVATIVE, APPALTI
PUBBLICI E COMPETITIVITÀ INTERNAZIONALE
Roberto Di Maria
Professore Associato di Diritto costituzionale nell’Università Kore di Enna
Carmelo Provenzano
Assistant Professor di Economia applicata nell’Università Kore di Enna
ABSTRACT. Il presente articolo spiega come di fronte alla crisi economica e finanziaria
mondiale, la rete di impresa, può costituire una forma organizzativa di successo in grado
dare slancio all’economia nazionale ed europea. Le reti d’impresa innovative si fondano
sulla fiducia reciproca fra i partner. Esse vengono create nel tempo e favoriscono la
circolazione dell’informazione, la diffusione della conoscenza e la generazione
dell’innovazione. La fiducia, inoltre, riduce l’incertezza e i costi di transazione e limita i
comportamenti opportunistici da parte di agenti free-rider. Tuttavia, il successo di tali forme
organizzative dipende non solo da tali processi ma anche dall’interplay tra le imprese e le
istituzioni politiche e dalle loro interazioni con il sistema formativo di ricerca. Con la legge
33/2009 il legislatore italiano ha disciplinato il «contratto di rete» come uno strumento
attraverso il quale due o più imprese possono esercitare in comune una o più attività
economiche allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul
mercato. Tale contratto, affiancandosi ai tradizionali strumenti di promozione della
collaborazione tra imprese, ha permesso di superare la logica dei cd. distretti territoriali, e
senza incidere sull’autonomia delle singole imprese può permettere a quest’ultime di
effettuare una cooperazione più snella e flessibile. Inoltre, la legge 11 novembre 2011, n. 180
disciplina la partecipazione delle reti di impresa nell’ambito delle procedure per
l’aggiudicazione di contratti pubblici. Così facendo si è cercato di abbattere alcune barriere
all’entrata che impedivano l’accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie
imprese. Il presente articolo, inoltre effettua delle considerazioni sull’efficacia dell’intervento
pubblico a favore delle reti di impresa e sottolinea l’importanza di diversi fattori tra i quali le
diversità territoriali e le esigenze di innovazione, flessibilità e di efficienza imposte dalla
competitività internazionale.
KEY WORDS: reti di impresa; innovazione; fiducia; competitività internazionale; appalti
pubblici.

Il presente contributo è frutto del lavoro congiunto dei due Autori; tuttavia, in particolare, a Roberto Di Maria si
deve la redazione del par. 2, mentre a Carmelo Provenzano quella dei par. 1, e 3. Nel par. 4 sono invece
contenute le riflessioni conclusive, ricavate dalla comune riflessione dei Coautori.
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1. Introduzione.
Di fronte alla crisi economica e finanziaria mondiale i paesi membri dell’Europa e, in
particolare, l’Italia devono superare le debolezze strutturali del loro modello di
specializzazione produttivo. I fattori cruciali che hanno caratterizzato il secondo miracolo
italiano degli anni Ottanta come il radicamento territoriale, i legami familiari, il know how e la
creatività delle imprese italiane, sembrano non più in grado di garantire la competitività
internazionale.
In questo scenario, la rete di impresa, può costituire una forma organizzativa di successo
in grado dare slancio all’economia nazionale. Essa, per la prima volta nel 2008, è stata
regolamentata come un nuovo istituto giuridico diretto a promuovere una forma organizzativa
snella e flessibile in grado di supportare forme di collaborazioni anche distanti e rafforzare
l’integrazione della filiera.
Le reti d’impresa innovative si fondano sulla fiducia reciproca fra i partner. Esse
vengono create nel tempo e favoriscono la circolazione dell’informazione, la diffusione della
conoscenza e la generazione dell’innovazione. La fiducia, inoltre, riduce l’incertezza e i costi
di transazione e limita i comportamenti opportunistici da parte di agenti free-rider1. Tuttavia,
il successo di tali forme organizzative dipende non solo da tali processi ma anche
dall’interplay tra le imprese e le istituzioni politiche e dalle loro interazioni con il sistema
formativo di ricerca2.
A partire dagli anni Ottanta, la letteratura economica ha analizzato la natura e il ruolo delle reti d’imprese. Cfr.
GRANDORI, SODA, Inter-firm networks: Antecedents, mechanisms and forms, in “Organization Studies”, 1995,
16, pp. 183-214; MENRD, The economics of hybrid organizations, in Journal of Institutional and Theoretical
Economics, 2004, 160, pp. 345-376. Lo scopo delle reti d’impresa è quello di minimizzare i costi di transazione,
in un ambiente caratterizzato da incertezza, informazione incomplete e comportamenti opportunistici. Cfr.
WILLIAMSON, Markets and hierarchies: Analysis and antitrust implications: A study in the economics of internal
organization, New York, 1975. I costi di transazione sono legati alla ricerca della controparte, , alla valutazione
della qualità dell’oggetto o del servizio proposto dalla controparte, alla contrattazione dei termini dello scambio,
alla determinazione dei termini del contratto, alla acquisizione di informazioni, alla condivisione di economie
esterne. Cfr. KRANTON, Reciprocal exchange: A self-sustaining system, in American Economic Review, 86, pp.
830-851. KALI, 1999 Endogenous business networks, in Journal of Law, Economics & Organizations, 15, 1996,
pp. 615-636. Se da un lato, la rete ottiene i benefici dell’integrazione senza sostenere i costi della gerarchia,
dall’altro lato, può generare effetti negativi sui soggetti interni ed esterni alla rete, favorendo comportamenti
collusivi causano sia inefficienza statica che dinamica dell’allocazione delle risorse.
2
ETZKOWITZ, The triple helix: University-industry-government innovation in action, London, 2008.
1
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La formazione di queste forme organizzative innovative, inoltre, può crearsi
spontaneamente o essere favorita da interventi pubblici specifici. Oltre ai benefici di carattere
fiscale, sul fronte della politica industriale è interessante osservare come di recente diversi
bandi di finanziamento e procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici
promuovono lo sviluppo di logiche di rete.
Nella seconda sezione, verrà messo in evidenza, come di fronte alla difficile crisi
internazionale che stiamo attraversando, con la legge 33/2009 il legislatore ha disciplinato il
«contratto di rete» come uno strumento attraverso il quale due o più imprese possono
esercitare in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la reciproca
capacità innovativa e la competitività sul mercato. Tale contratto, affiancandosi ai tradizionali
strumenti di promozione della collaborazione tra imprese, ha permesso di superare la logica
dei cd. distretti territoriali, e senza incidere sull’autonomia delle singole imprese può
permettere a quest’ultime di effettuare una cooperazione più snella e flessibile. Inoltre, la
legge 11 novembre 2011, n. 180 disciplina la partecipazione delle reti di impresa nell’ambito
delle procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici. Così facendo si è cercato di
abbattere alcune barriere all’entrata che impedivano l’accesso agli appalti pubblici delle
micro, piccole e medie imprese. Sulla base dei benefici che questo strumento può produrre in
termini di competitività del sistema imprenditoriale, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti
Pubblici ha avviato una procedura di consultazione ed ha effettuato la segnalazione n. 2 del 27
settembre 2012, dalla quale sono emersi sia le potenzialità applicative della fattispecie
nell’ambito della contrattualistica pubblica, sia delle criticità da risolvere e delle modifiche da
effettuare. Successivamente, il d.l. 18.ottobre 2012, n. 179, convertito – con modificazioni –
dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha disciplinato alcuni aspetti del Codice dei Contratti
(d.lgs.12 aprile 2006, n. 263). Inoltre, il 23 aprile 2013, la medesima Autorità ha
ulteriormente emesso la determinazione n. 3 su «partecipazione delle reti di impresa alle
procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici ai sensi degli articoli 34 e 37 del
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163».
Nella terza sezione, verrà messo in evidenza come la singola impresa di piccole e medie
dimensioni non è in grado da sola di essere competitiva nel processo di globalizzazione ma
deve sfruttare sia la capacità collettiva di un’area territoriale di mettere in moto le energie e le
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risorse localmente disponibili e di attrarre forze produttive, risparmi e consumi dall’esterno;
che i benefici dei differenziali dei costi di produzione (in particolare del costo del lavoro) e
l’economie cognitive di scopo derivanti dall’adesione ad una rete di imprese transnazionali.
Il concetto di territorio non si esaurisce nel luogo fisico che ospita e contribuisce a
creare la rete di legami tra imprese, bensì si estende all’insieme di valori culturali, sociali e
alle relazioni fiduciarie che caratterizzano i suoi attori economici, sociali e istituzionali.
Inoltre, le reti non vanno vincolate e relegate al territorio (anch’esso definito come rete) ma
vanno interpretate come network che favoriscono l’ibridazione delle conoscenze e delle
competenze locali e globali. Infine, verrà sottolineato come per comprendere l’evoluzione
della rete così concepita occorre effettuare delle considerazioni sul mercato del lavoro
italiano, sulle sue rigidità e sugli effetti delle offshoring. L’accezione che noi adottiamo di
“rete di impresa”, non solo tiene conto degli aspetti legali, fiscali e di mercato ma si riferisce
anche a relazioni non di mercato, non necessariamente gerarchiche bensì centrate sul concetto
di fiducia e di cooperazione oltre che di competizione tra i nodi e che collegano gli attori tra
loro.
Infine, nell’ultima sezione verranno effettuate delle conclusioni sull’efficacia
dell’intervento pubblico a favore delle reti di impresa. Verrà messo in evidenza che,
nonostante la crescita interaziendale mediante le reti sia una possibile strategia volta a
superare il sottodimensionamento del nostro tessuto produttivo, essa per essere efficace deve
tenere conto di diversi fattori tra i quali le diversità territoriali e le esigenze di innovazione,
flessibilità e di efficienza imposte dalla competitività internazionale.
2. Reti di impresa e procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti pubblici
L’ordinamento giuridico italiano, attraverso il relativo contratto, ha disciplinato – anche
se in ritardo rispetto agli altri ordinamenti3 – la “rete” come soggetto giuridicamente rilevante,
L’art. 6 bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112 ha individuato la forma giuridica delle reti di imprese, attraverso un
decreto di Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze, della
forma giuridica delle c.d. “reti di imprese”. Questa normativa (dall’art.1, co. 366 e ss., l. 23 dicembre 2005, n.
266) ha esteso i benefici destinati ai distretti industriali alle reti. Il summenzionato art. 6 bis è stato poi abrogato
dall’art. 1, co. 2, l. 23 luglio 2009, n. 99; contestualmente, sono state effettuate modifiche a tale disciplina del
3
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al quale sono collegate alcune agevolazioni fiscali nonché destinati alcuni bandi di
finanziamento4.
In particolare, l’art. 3, co. 4 ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 – prima rivisto dall’art. 42,
co. 2 bis, d.l. 78/2010 e poi integrato dall’art. 45, co. 1, d.l. 83/2012 – afferma che con il
contratto di rete «più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e
collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal
fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in
ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi
informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero
ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria
impresa»5. Dalla lettura del testo emerge come il concetto di rete supera quello dei distretti: la
forma della rete è un mezzo di cooperazione più flessibile che possiede sia elementi di
stabilità, tipici delle forme societarie e consortili, che le caratteristiche di flessibilità proprie
dei contratti riconducibili alla figura della joint venture.
Attraverso il contratto di rete, dunque, gli imprenditori migliorano la propria capacità
innovativa ed incrementano la propria competitività e, per raggiungere questo scopo, si
contratto di rete, estendendo l’ambito di applicazione dalle s.p.a. alle altre forme di organizzazione dell’attività
aziendale.
4
I richiamati vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, sono definiti dall’art. 42, d.l. 31 maggio 2010, n. 78,
come modificato in sede di conversione.
5
Cfr., sul punto, CAFAGGI, IAMICELI (a cura di), Reti di imprese tra crescita e innovazione organizzativa.
Riflessioni da una ricerca sul campo, Bologna, 2007; CAFAGGI, Il contratto di rete nella prassi. Prime
riflessioni, in Contratti, 2011, 5, 504; ID., Il nuovo contratto di rete: “Learning by doing”, in Contratti, 2010,
12, 1143; MACARIO, Relational contracts e Allgemeiner Teil: il problema e il sistema, in NAVARRETTA (a cura
di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, 2008, 123 ss.; VETTORI, Contratto di
rete e sviluppo dell’impresa, in Obbl. e contr., 2009, 390 ss; GRANIERI, Il contratto di rete: una soluzione in
cerca di problema?, in Contratti, 2009, 10, 934; MESSINEO, Contratto plurilaterale e contratto associativo, in
Enc. Dir., X, Milano, 1962, p. 146. L’art. 3, co. 4 ter e ss., del citato d.l. n. 5/2009 individua espressamente nella
figura dell’imprenditore il soggetto attivo della rete; non è chiaro se tale indicazione si riferisce esclusivamente
allo status di imprenditore definito dall’art. 2082 c.c. o, invece, se si estende a qualsiasi “operatore economico”
(i.e. i liberi professionisti). Un’interpretazione più restrittiva attribuisce lo status di imprenditore soltanto ai
soggetti iscritti presso il Registro delle imprese; quest’ultima sarebbe coerente con il co. 4 quater, art. 3, che
impone l’iscrizione del contratto di rete «nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun
partecipante». Gli effetti del contratto decorrono dal momento in cui è stata effettuata l’ultima delle iscrizioni
prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.
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obbligano – sulla base di un programma comune di rete – a collaborare in forme e in ambiti
predeterminati6.
La pubblicità del contratto di rete avviene per atto pubblico o per scrittura privata
autenticata da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese che aderiscono alla
rete; il contratto viene trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese mediante il
modello standard7. Il contratto di rete è un contratto plurilaterale, aperto e di durata8.
I suddetti elementi caratteristici sono il risultato dell’intervento del legislatore con l’art
42, d.l. n. 78/2010, che ha superato l’ambiguità della disciplina passata che stabiliva sia reti
bilaterali che plurilaterali: la frase «con il contratto di rete due o più imprese» è stata
6
Le collaborazioni tra imprese possono essere ricondotte alla fattispecie del contratto di rete solo se presentano
gli elementi indicati nel comma 4 ter, del citato art. 3 (lett. a, b, c, b, f) d.l. n. 5/2009; tra questi assumono
particolare importanza: l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità
competitiva dei partecipanti, nonché le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali
obiettivi; la definizione di un programma di rete che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti
da ciascun partecipante, unitamente alle modalità di realizzazione dello scopo comune.
7
Il contratto di rete deve indicare i seguenti dati: il nome, la ditta, la regione o la denominazione sociale di ogni
partecipante; l’indicazione dello scopo comune, degli obiettivi strategici e le modalità attraverso le quali si
vogliono raggiungere; la definizione di un programma di rete; i criteri di valutazione dei conferimenti nel caso di
istituzione di un fondo comune patrimoniale; la durata del contratto; le modalità di adesione al contratto, le cause
e le condizioni di recesso; i poteri di gestione e rappresentanza conferiti ad un organo comune, nel caso esso sia
nominato; le regole relative all’assunzione delle decisioni e alle modifiche del programma medesimo. L’art. 3,
co 4 quater, d.l. n. 5/2009 ha inizialmente disciplinato l’obbligo di iscrizione del contratto di rete nel registro
delle imprese contraenti. L’art. 42, co. 2 ter, d.l. n. 78/2010 , stabilisce che il contratto di rete dev’essere iscritto
nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, con decorrenza degli effetti.
Dall’esecuzione dell’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori
originari, decorrono gli effetti del contratto. L’art. 45, co. 2, d.l. n. 83/2012 afferma che le modifiche del
contratto di rete devono essere depositate e iscritte presso la propria sezione del registro delle imprese e che nel
caso sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, il contratto di rete può essere iscritto nella
sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è fissata la propria sede, acquisendo cosi
soggettività giuridica. La circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 15/E del 14/4/2011, ritiene che il regime di
pubblicità del contratto di rete sia prescritto «a fini di efficacia del contratto sia tra le parti, sia verso i terzi,
compresa l’Amministrazione finanziaria».
8
Il contratto di rete ha una struttura aperta, ed è quindi suscettibile di adesione da parte di altri imprenditori
successivamente alla data di stipulazione del medesimo con cui si è costituita la rete. La legge lascia ampia
libertà ai contraenti nell’indicare le modalità attraverso le quali si prevede l’allargamento soggettivo degli
aderenti alla rete. Nel caso in cui i successivi adempimenti non vengano stabiliti inizialmente, un’eventuale
richiesta di adesione successiva può essere accolta soltanto con il consenso negoziale di tutti gli aderenti alla
rete; in particolare, la proposta contrattuale di adesione deve inviarsi al soggetto preposto all’attuazione del
contratto se identificato o a tutti gli aderenti alla rete (che sono chiamati ciascuno ad esprimere il proprio
consenso o dissenso per l’accettazione della proposta) e ciò per applicazione analogica di quanto previsto
dall’art.1332 c.c.
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sostituita, infatti, dal riferimento a «più imprenditori», precisando, quindi, che le parti della
rete sono gli imprenditori e non le imprese9.
Il “programma di rete” è essenziale per la validità del contratto: la carenza ne determina
la nullità; l’art. 4 ter, l. 33/2009 stabilisce che devono essere espressamente indicate le
modalità di realizzazione dello scopo comune e lo statuto regolante i diritti e le obbligazioni
che gli imprenditori che aderiscono alla rete si impegnano a rispettare 10 . Il contenuto del
programma di rete può riguardare semplici linee guida o descrizioni più specifiche delle
attività, delle obbligazioni e dei diritti delle imprese aderenti alla rete stessa; con l’art. 42, d.l.
n. 78/2012 si è disciplinata, poi, la facoltà di istituire un fondo patrimoniale ed un organo
comune e successivamente – con l’art. 45, co. 1, d.l. n. 83/2012, modificativo dell’art. 3, co. 4
ter, d.l. n. 5/2009 – si è altresì stabilito che tale organo potesse essere destinato a svolgere
attività, anche commerciale, con i terzi in rappresentanza (o mandato) della rete. Il suddetto
organo, nell’eseguire il mandato, non può svolgere atti non finalizzati alla realizzazione del
programma11.
Il finanziamento delle reti può dipendere dall’apporto iniziale o successivo delle
imprese partecipanti, da contributi a fondo perduto di enti pubblici o da prestiti concessi da
enti pubblici e istituti di credito. Con riferimento a questi ultimi, occorre peraltro specificare
se la rete è dotata di autonomia patrimoniale.
9
Cfr. MARIOTTI, Detassazione degli utili destinati al fondo patrimoniale comune per incentivare le reti di
imprese, in Corriere Tributario, n. 12/2011, p. 951 ss.; MIELE, RUSSO, Investimenti, agevolazione concessa a
termine, in Il Sole 24 Ore, del 7 marzo 2011; MARASÀ, Contratti di rete e consorzi, in Il Corriere del merito, n.
6/10; SCARPA, La responsabilità patrimoniale delle imprese contraenti per le obbligazioni assunte a favore di
una rete tra loro costituita, in Resp. civ., 2010, p. 406; ZANELLI, Reti di imprese: dall’economia al diritto,
dall’istituzione al contratto, in Contr. e impr., 2010, p. 952 ss.; MALTONI, Il contratto di rete. Prime
considerazioni alla luce della novella di cui alla l. 122/2010, in Notariato, 2011, p. 65 ss. L’art. 5, co. 4 ter, d.l.
n. 5/2009 stabilisce che gli imprenditori che vogliono aderire alla rete possono scambiare con altre imprese
partecipanti informazioni, prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica e tecnologica ed esercitare in
comune una o più attività oggetto dell’attività di impresa esercitata da ciascun aderente.
10
Il contratto di rete non indica in modo determinato le prestazioni di ciascun aderente ma definisce un progetto
e un programma con adempimenti abbozzati inizialmente e determinabili successivamente, sulla base dei
risultati intermedi ottenuti e di quelli finali da perseguire attraverso la collaborazione di tutte le imprese.
11
L’organo comune coordina le singole attività e controlla che ciascun membro della rete effettui gli
adempimenti previsti dal contratto di rete; esso stila anche eventuali regolamenti e protocolli che disciplinano il
comportamento delle imprese partecipanti e può anche occuparsi di controllare le nuove adesioni e gestire le
eventuali richieste di recesso. L’organo comune fornisce informazioni utili agli imprenditori aderenti ed assume
un ruolo importante nella governance della rete.
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Per effetto delle previsioni di cui alla l. 134/2012 – riguardo le obbligazioni contratte
dall’organo comune – i terzi possono far valere i propri diritti esclusivamente sul fondo
patrimoniale; tali modifiche permettono dunque agli istituti di credito di valutare le reti come
soggetti giuridici dotati di autonomia patrimoniale: in particolare gli istituti di credito non
valutano soltanto le singole imprese, bensì l’economicità, la sostenibilità ed il reale contributo
del progetto indicato nel contratto di rete12.
Inoltre, con riferimento al contratto di rete di impresa nell’ambito delle procedure di
gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici, occorre sottolineare che – nel rispetto della
normativa U.E. – la l. 11 novembre 2011, n. 180 (cfr. «Norme per la tutela della libertà
d’impresa. Statuto delle imprese») ha previsto che la Pubblica Amministrazione e le Autorità
competenti devono «semplificare l’accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e
medie imprese, privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di
impresa, nell’ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici», purché ciò
non causi un incremento degli oneri finanziar13.
Trattandosi di una forma strategica competitiva, in grado di far fronte alla grave
congiuntura economica, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici ha avviato delle
consultazioni in merito al testo «Misure per la partecipazione delle reti di impresa alle
procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici» ed ha effettuato una segnalazione
(n. 2 del 27 settembre 2012) in accoglimento della quale è stato emanato il d.l. n. 179/2012
(cfr. «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», c.d. “Decreto Sviluppo bis”)
convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, la quale rivede il Codice dei
Contratti, aprendo la strada del mercato degli appalti anche alle reti di impresa.
Al fine di permettere la partecipazione delle reti di impresa alle procedure di gara per
l’aggiudicazione di contratti pubblici, occorreva però un intervento legislativo volto a
modificare gli articoli 34 e 37, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. “Codice dei Contratti”): il
nuovo art. 34, co. 1, lett. e) bis, ammette a partecipare alle procedure di affidamento dei
Gli istituti di credito, valutano l’investimento del progetto è attribuiscono un merito creditizio che migliora il
rating delle singole imprese che partecipano alla rete. Tale miglioramento scaturisce dai benefici positivi che le
imprese ricevono dalla partecipazione alla rete e che si concretizzano in una maggiore credibilità, coerenza
fattibilità e sostenibilità del business plan della rete.
13
Cfr. art. 13, co. 2, lett. b).
12
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contratti pubblici «le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi
dell’articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33»; la stessa norma afferma anche che «si
applicano le disposizioni dell’articolo 37». In particolare l’art. 34, così modificato, include la
possibilità di inserire tra i soggetti a cui possono essere assegnati i contratti le imprese
aderenti ad una rete, ma non qualsiasi operatore economico14.
L’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici ha specificato, inoltre, alcune indicazioni
pratiche per la partecipazione alle gare: essa ritiene opportuno che si chiariscano, attraverso
un atto a carattere generale, le modalità di partecipazione delle reti di impresa alle procedure
di gara15.
Queste modalità di partecipazione devono tener conto, in primis, che la finalità del
contratto di rete non è quella di creare un soggetto giuridico distinto dai sottoscrittori ma di
effettuare una cooperazione organizzata tra diversi operatori economici, attraverso lo scambio
di informazioni e di prestazioni e mediante l’esercizio in comune di una o più attività relative
all’oggetto della propria impresa: i contraenti devono indicare espressamente nel programma
della rete lo scopo di partecipare congiuntamente alle procedure di gara; in secundis, tali
modalità si differenziano sulla base sia dei diversi gradi di strutturazione della rete, sia degli
specifici oggetti previsti dalle gare16.
L’art. 3, co. 4 ter e ss. del citato d.l. n. 5/2009 stabilisce che i possibili sottoscrittori devono rivestire lo status
di imprenditori definito dall’art. 2082 c.c. Il contratto di rete, infatti viene iscritto nella sezione del registro delle
imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante (art. 3, co. 4 quater). Tuttavia la natura e la finalità della rete
richiede il superamento di questa limitazione e la scelta della nozione comunitaria di “operatore economico”.
Quest’ultima definizione permette altre entità economica in grado di offrire beni e servizi sul mercato, di aderire
alla rete anche se non possiedono il sopracitato status giuridico di imprenditore.
15
Secondo l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici l’elenco contenuto nell’art. 34 non è tassativo. A tal
proposito, il legislatore lascia all’interprete la scelta di identificare i limiti di compatibilità tra le ordinarie regole
valevoli per i raggruppamenti temporanei (RTI) e consorzi. Nello specifico il nuovo comma 15 bis, art. 37,
stabilisce che «le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla
partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, di cui
all’articolo 34, comma 1, lettera e-bis». La medesima Autorità ha proposto di effettuare su tale atto una seconda
consultazione di stazioni appaltanti e operatori di mercato al fine di identificare alcune criticità e individuare
soluzioni condivise.
16
Queste differenziazioni assumono maggiore rilevanza se si considera il co. 4 ter, art. 3, d.l. n. 5/2009 che, nel
regolare l’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese, stabilisce che – se è prevista la formazione di
un fondo comune – la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione
è stabilita la sua sede e, con tale iscrizione, «la rete acquista soggettività giuridica» (art. 3, co. 4 quater). Se la
rete vuole acquistare soggettività giuridica «il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura
14
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La flessibilità della rete, è attenuta dall’istituzione di un organo comune che conferisce
una maggiore stabilità del rapporto associativo: esso è il rappresentante della rete e parte della
medesima; ad esso spetta il potere di presentare domande di partecipazione e le offerte, nelle
procedure di gara.
Affinché la rete sia qualificata a partecipare alle procedure di gara, occorre che tutte le
imprese aderenti alla rete possiedano i requisiti generali di cui all’art. 38 del Codice dei
Contratti, e li attestino in conformità alla vigente normativa 17 . A seconda del grado di
strutturazione della rete, è poi possibile distinguere tre fattispecie: la rete dotata di soggettività
giuridica e organo di rappresentanza; la rete dotata di rappresentanza comune, ma senza
soggettività giuridica; e infine la rete priva anche di organo di rappresentanza18.
Nel caso in cui la rete sia dotata sia di soggettività giuridica sia di un organo comune
che agisce in rappresentanza della rete, le domande e le offerte nella partecipazione alle gare
vengono presentate da quest’ultimo: esso stesso è, infatti, parte della rete ed agisce in
rappresentanza della stessa, impegnando tutte le imprese della rete, salvo diversa indicazione
in sede di offerta19. In analogia con quanto disciplinato dall’art. dall’art. 37, co. 7, del Codice
– con riferimento ai consorzi di cui all’art. 34, co. 1, lett. b) – è previsto poi che l’organo
comune debba specificare, in sede di offerta, quali imprese aderiscono alla rete e quali
partecipano alla gara; alle imprese indicate è vietato partecipare in altre forme, diverse dalla
rete, alla medesima gara.
Nel programma della rete deve rientrare la partecipazione congiunta a procedure di gara
e tutte le imprese – compreso l’organo comune – devono possedere i requisiti di
privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’articolo 25 del decreto legislativo 7 marzo
2005, n. 82».
17
Essendo la rete “strutturalmente” assimilata, dal Codice, al raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) i
requisiti speciali di qualificazione e di partecipazione sono individuati dall’art. 37 del Codice e dagli artt. 92 e
275 del Regolamento per gli appalti di lavori, servizi e forniture (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207); dall’art. 90, co.
1, lett. g), del Codice e dall’art. 261, co. 7, del Regolamento, con specifico riferimento ai servizi di ingegneria e
architettura.
18
Occorre inoltre tenere conto delle diverse forme che può assumere il contratto di rete: atto pubblico, scrittura
privata autenticata, o atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82
(Codice della amministrazione digitale, CAD); quest’ultima forma non è ammessa nel caso di acquisto della
soggettività giuridica.
19
Affinché l’organo comune possa stipulare il contratto in nome e per conto dell’aggregazione delle imprese,
occorre che il contratto di rete debba specificare il conferimento del mandato e che siano presenti tutti i requisiti
stabiliti dall’art. 37, a partecipare alle procedure di gara ed a stipulare i relativi contratti.
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qualificazione richiesti per partecipare alle gare20. Nel caso di rete dotata di organo comune
con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività giuridica, la volontà di partecipare alla
gara dovrà essere confermata dalle singole imprese retiste e deve essere confermata all’atto
della partecipazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell’offerta; in questo caso la
forma del contratto di rete deve essere per atto pubblico, scrittura privata autenticata o con
firma digitale autenticata.
In assenza dei requisiti di forma previsti «sarà obbligatorio conferire un nuovo mandato
nella forma della scrittura privata autenticata».
Nel caso di rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o di reti
sprovviste di organo comune, si applicano le regole previste dal Codice per i c.d.
“raggruppamenti di impresa”; in particolare, devono essere rispettate le seguenti formalità:
sottoscrizione dell’offerta o della domanda di partecipazione di tutte le imprese retiste
dell’aggregazione che vogliono partecipare all’appalto; sottoscrizione dell’impegno che, in
caso di aggiudicazione dell’appalto, sarà conferito attraverso un mandato collettivo speciale
con rappresentanza ad una delle imprese retiste partecipanti alla gara, per la stipula del
relativo contratto. Inoltre è ammesso il conferimento del mandato prima della partecipazione
alla gara.
Nel caso di rete invece priva di organo comune, attraverso il mandato collettivo speciale
sarà possibile identificare la mandataria.
Come detto, le imprese retiste partecipano nella forma di RTI e sono disciplinate
dall’art. 37 del Codice che, nel co. 16, stabilisce come al mandatario sia concessa la
rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione
appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche
Con riferimento ai lavori pubblici, la qualificazione in tale settore è regolamentata dall’art. 37, co. 3 e 13, del
Codice, che stabiliscono una corrispondenza effettiva tra le quote di qualificazione da riferirsi all’aggregazione
delle imprese “retiste” che partecipa all’appalto, le quote di partecipazione e quote di esecuzione dei lavori. Tali
quote devono essere specificate nell’offerta, a pena di esclusione, al fine di permettere alla stazione appaltante di
verificarne i requisiti. Nel co. 11 sono stabilite ulteriori regole relative alla ripartizione tra mandataria e
mandanti; nel co. 6 sono considerati i raggruppamenti di tipo verticale; nel co. 11 sono disciplinate le opere di
notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica; nel co. 4 è stabilito che devono essere
specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici retisti.
20
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dopo il collaudo – o atto equivalente – fino alla estinzione di ogni rapporto. Rimane
comunque la possibilità della stazione appaltante di far valere la responsabilità dei mandanti.
Con riferimento alla responsabilità solidale all’interno delle reti d’impresa nei confronti
della stazione appaltante, del subappaltatore e dei fornitori, occorre infine sottolineare che
tale responsabilità – ai sensi del co. 5, art. 37 del Codice – riguarda soltanto i soggetti della
rete che partecipano alla gara, ma non anche i sottoscrittori del contratto di rete che non
abbiano partecipato alla specifica procedure di gara, tramite l’aggregazione. Se in ordine alle
problematiche relative alla esecuzione del contratto, emerge la necessità di assicurare la
stabilità del contratto di rete per un periodo necessario a garantire l’esecuzione del contratto di
appalto, per quanto riguarda invece le modifiche soggettive, occorre precisare che l’eventuale
uscita di un’impresa dal contratto di rete non ha effetto ai fini dell’appalto.
I casi di recesso non espressamente disciplinati sono ammissibili soltanto se i soggetti
rimanenti possiedano i requisiti di qualificazione per le prestazioni oggetto dell’appalto, e se
tale recesso non è effettuato per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei
requisiti in capo al componente che recede; occorre precisare, tuttavia, che il recesso o
l’estromissione dal contrato di rete non implica quella dal contratto con la stazione appaltante:
l’impresa dunque può uscire dalla rete, ma non dall’aggregazione/RTI che ha siglato il
contratto di appalto21.
3. Reti di Imprese Innovative e Competizione Internazionale
La natura della rete d’impresa è quella di un accordo stabile e di lungo periodo che
permette alle imprese di condividere delle risorse materiali e immateriali, di migliorare il
funzionamento delle attività economiche e non economiche e di raggiungere uno scopo
comune. Come sopra affermato, l’art. 42 della Legge 122/2010 regola lo scopo della rete.
Esso afferma che lo scopo deve essere quello di “accrescere, individualmente e
collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. Tale
scopo costituisce il fine ultimo della cooperazione tra le imprese, quindi la rete deve
21
I casi di modifiche soggettive ammissibili sono indicati nei co. 18 e 19 dell’art. 37 del Codice.
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consentire alle imprese che vi aderiscono, di aumentare i propri ricavi, o di diminuire i propri
costi e di conseguenza di raggiungere profitti più elevati. Anche se la legge non specifica le
modalità attraverso le quali vengono perseguiti tali obiettivi, esse devono essere individuate e
successivamente esplicitate nel contratto di rete d’impresa. Tale operazione costituisce un
elemento essenziale per l’inizio e lo svolgimento dell’attività della rete.
L’accordo si basa su un rapporto di fiducia tra gli aderenti alla rete che aiuta a far
diminuire in modo sostanziale i comportamenti opportunistici da parte di altri soggetti e
inoltre agevola la circolazione di risorse essenziali come quello della conoscenza.
Nella norma che disciplina la rete d’impresa non viene indicato un numero minimo
d’imprese per formare la rete, tale numero dipende, infatti, dall’oggetto della rete stessa.
Inoltre, non viene fissato alcun limite di natura territoriale o merceologica, per cui all’accordo
possono far parte agenti economici provenienti da diverse parti del territorio italiano (possono
aderire all’accordo ance filiali di società estere) ed operanti in settori produttivi
completamente diversi.
Le reti di impresa 22 , sulla base della terminologia dei grafi e della Social Network
Analysis, è costituita da un insieme di attori e di relazioni di carattere reciproco o unilaterale
che formano un intreccio di collegamenti diretti e indiretti tra gli attori stessi23. All’interno
della rete si intessono tali collegamenti al fine di scambiare informazioni e know how (cd. reti
del sapere), di scambiare prestazioni e creare rapporti contrattuali stabili (cd. reti del fare) ; di
realizzare progetti di investimento comune di ricerca, di produzione e di commercializzazione
(cd. reti del fare insieme).
Le imprese all’interno della rete sono caratterizzate da link diretti e indiretti. Si ha un link diretto quando, ad
esempio, due o più imprese operano in un processo di R&S, condividendo il loro know-how pregresso, capitale
e/o personale destinato all’attività specifica. Si ha un link indiretto, invece, quando un’impresa è collegata
direttamente ad una o più imprese e riesce a beneficiare dei rapporti di collaborazione che questa o quest’ultime
hanno con altre imprese. In particolare, se l’impresa i è collegata con l’impresa j da un link diretto e l’impresa j e
connessa direttamente con l’impresa k, allora l’impresa i e l’impresa k sono collegate indirettamente. A tal
proposito nel modello di JACKSON e WOLINSKY (1996) è possibile determinare il valore in termini informativi e
il beneficio derivante da ogni link diretto. Tuttavia, tale modello, non tenendo conto dei problemi di
coordinamento e di monitoraggio che possono derivare da comportamenti opportunistici, non aiuta a determinare
la dimensione ottimale della rete. Cfr. JACKSON, WOLINSKY, A strategic model of social and economic networks,
in Journal of Economic Theory, 1996, 71, pp 44-74.
23
Jackson, Social and economic networks, Princeton, 2008.
22
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Mentre il fabbisogno finanziario è limitato nelle reti del sapere e del fare richiedono,
esso, invece, è più rilevante nelle reti del fare insieme 24.
All’interno delle reti di impresa innovative si possono diffondere economie di scala
esterne all’impresa ma interne al network. I costi fissi all’interno della rete non vengono
duplicati, i fattori produttivi e i brevetti vengono condivisi, nonché si ottengono numerosi
vantaggi derivanti dal coordinamento delle linee di ricerca. Tali vantaggi non riguardano solo
una maggiore capacità da parte dell’impresa di controllare il comportamento dei rivali, ma si
riferiscono soprattutto alla maggiore circolazione, all’interno del network di risorse materiali
e immateriali. Tale circolazione si basa non solo su contratti e norme scritte ma viene anche
effettuata sulla base di norme e valori condivisi dalle imprese partner.
Il vincolo di partecipazione al contratto di reti di impresa innovative, non
necessariamente dipende dal confronto del valore attuale dei profitti attesi che si ottengono
dall’attività di ricerca in collaborazione con quello dell’attività di ricerca svolta
singolarmente. Tale confronto, infatti, non sempre è possibile, in quanto in presenza di
radicale incertezza non è possibile effettuare un’analisi preventiva di efficienza. Assume
un’importanza cruciale dunque il ruolo della fiducia personale e istituzionale che con intensità
e livelli diversi si avvantaggiano della complementarietà e/o sostituibilità delle conoscenze,
dei processi e dei prodotti e di altri benefici derivanti da una cooperazione stabile 25 creata
all’interno della rete. Assume, inoltre un’importanza notevole il ruolo dei contesti e del
territorio.
Nelle reti del sapere, l’aspetto finanziario, poco rilevante, riguarda i costi vivi necessari alla costituzione e
all’attività di scambio di informazioni tra associati. In questi casi i contributi da parte di enti pubblici, in parte o
in buona parte a fondo perduto, soddisfano il fabbisogno di finanziamento. Nelle reti del fare, il finanziamento è
di entità maggiore e viene affrontato prevalentemente dalle imprese che aderiscono alla rete. Esso viene
utilizzato prevalentemente per fare magazzino o pubblicità comune. Nelle reti del fare insieme, il finanziamento
assume una rilevanza notevole rispetto alle precedenti e diventa cruciale per la costituzione della rete. Tali
finanziamenti infatti devono coprire investimenti in R&S, investimenti per fini produttivi comuni e investimenti
per fini distributivi comuni. In questa tipologia di rete il rischio di free-rider da parte delle imprese partecipanti
alla rete è molto alto.
25
Secondo, Jackson e Wolinsky, una rete è definita stabile quando per ogni link che la sostituisce, nessun nodo
può aumentare i suoi payoffs mediante la soppressione di un qualsiasi link diretto che lo vede partecipe e nessuna
coppia di nodi può migliorare in senso paretiano mediante la creazione di un link diretto che le unisca. Cfr.
JACKSON, WOLINSKY, op. cit., p. 44-74.
24
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A tal proposito, negli ultimi anni, i contesti economici hanno subito un processo di
trasformazione e si sono sempre più radicati sulla conoscenza e sull’innovazione, dove
ciascuna impresa costituisce il nodo di una rete di relazioni cooperative con altre imprese.
Giacomo Becattini sostiene, infatti, che bisogna studiare l’impresa come un’unità con
una precisa identità collettiva e afferma che «l’ape […] interessa di meno, quello […]
interessa lo sciame», cioè sostiene che occorre porre maggiore attenzione sul sistema26. Il
territorio, attraverso un virtuoso processo di identificazione può essere inteso come uno
spazio relazionale che con il suo DNA culturale e storico, con i suoi vantaggi comparati e con
la sua vocazione economica, costituisce una delle principali chiavi di lettura attraverso cui
vanno letti la complessità produttiva delle aree locali e i loro possibili futuri scenari socioeconomici. La dimensione territoriale è un elemento denso di significati, intrecciato da una
fitta rete di relazioni con una propria dinamica interna. Lo sviluppo, si presenta, così, come il
risultato di diversi agenti economici, privati e locali, competenti ed innovatori che possono
essere immaginati come sopra accennato come i nodi della rete di relazioni e di dotazioni
economiche, sociali e culturali.
L’impresa di piccole dimensioni, dunque, ha un forte radicamento territoriale, e insieme
ad altre imprese forma i cosiddetti distretti industriali27 che rappresentano una delle criticità
del modello italiano di sviluppo.
Giacomo Becattini suggerisce di soffermare l’attenzione sull’impresa come parte di un sistema e non solo
come entità unitaria. L’impresa di piccole dimensioni ha causa di problemi strutturali e finanziari presenta
singolarmente una scarsa propensione all’internazionalizzazione e all’innovazione. Essa se inserita nel circuito
della rete nazionale e internazionale può meglio specializzarsi e sfruttare l’efficiente divisione smithiana del
lavoro. Cfr. BECATTINI, Distretti industriali e Made in Italy. Le basi socio culturali del nostro sviluppo
economico, Torino, 2001.
27
I distretti industriale sono aree produttive caratterizzate da un’elevata concentrazione di imprese che hanno
caratterizzato la competitività del sistema produttivo italiano. Il distretto è stato analizzato per la prima volta da
Alfred Marshall che lo ha definito come «un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti
generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in area circoscritta, tra le quali vi è
collaborazione ma anche concorrenza». Successivamente, altri studi hanno messo in evidenza i vantaggi
derivanti dall’operare in specifiche aree geografiche e dallo sfruttamento di relazioni radicate in un ambiente
socioculturale circoscritto. In tale contesto, le imprese di piccole dimensioni, superano i loro limiti e, attraverso il
sistema di relazioni generate all’interno del distretto, sviluppano le loro competenze e le loro conoscenze.
Giacomo Becattini, a tal proposito, definisce il distretto «un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla
compresenza attiva, in un’area territoriale naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di
persone e di una popolazione di imprese industriali». BECATTINI, Il distretto industriale, 2001, Torino.
26
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La rete d’impresa in questa accezione distrettuale28 ha avuto e può ancora avere un forte
impatto sulla struttura produttiva italiana nonostante alcune problematiche evidenti della
stagnazione economica degli ultimi anni. Per assolvere a questa funzione essa deve
qualificarsi come rete innovativa di l’eccellenza dotata di una forte tradizione ed un solido
rapporto con il territorio ma anche aperta al processo d’internazionalizzazione. Essa, infatti,
sia attraverso relazioni orizzontali territoriali, che mediante relazioni verticali non
necessariamente riferite ad un territorio specifico può favorire economie esterne alle imprese
e interne alla rete e può promuovere un processo produttivo internazionale, tecnologicamente
avanzato ed efficiente29.
Le condizioni ambientali favorite dalla rete favoriscono dunque una diversificazione del
sistema internazionale ed una specializzazione della singola impresa locale. Le nostre imprese
italiane, sono chiamate a mantenere le loro posizioni nel mercato internazionale, da un lato
attraverso progressive riduzioni di costi medi unitari e dall’altro mediante la ricerca di nuovi
mercati. In passato esse sono state in grado di essere leader nella competizione internazionale
attraverso i nostri prodotti tipici. Tuttavia la forza del made in Italy si è dispiegata
prevalentemente in un mercato a dimensione sostanzialmente data, cioè un mercato europeo
che oggi, però, risulta insufficiente e molto piccolo rispetto al “resto del mondo”.
L’integrazione dei mercati ha favorito nuovi paesi emergenti che prima attraverso l’imitazione
e poi mediante l’emulazione hanno condotto delle politiche commerciali molto aggressive. Le
nostre imprese, invece non solo non possono più beneficiare della svalutazione monetaria che
ha caratterizzato gli anni del boom economico, ma sono soprattutto danneggiate dalle mancate
28
La legge n. 317 del 1991 ha disciplinato per la prima volta i distretti industriali come «aree territoriali
caratterizzate da elevata concentrazione di piccole e medie imprese con particolare riferimento al rapporto tra la
presenza delle imprese e la popolazione residente, nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle
imprese». Questa legge inoltre invitava le regioni ad individuare i distretti sulla base dei rigidi parametri definiti
dal decreto Guarino, 21 aprile 1993. In seguito, l’art.3 della legge n.266 del 1997 stanziava 25 miliardi (di lire)
per ciascuno degli anni 1998 e 1999, per cofinanziare i programmi regionali di sviluppo dei servizi e dell’ICT
nei distretti. Infine la legge n.266 del 2005 è stato introdotto un sistema di semplificazione amministrativi che
consentivano un miglioramento dell’efficienza e di accesso al credito. Con questa norma, inoltre si è previsto un
nuovo regime fiscale di promozione dei distretti.
29
L’impresa dello sciame rappresenta il territorio, perché contiene la cultura, rappresenta la sua tradizione ed è
influenzata dalla sua storia. C’è dunque una forte relazione tra l’impresa e i luoghi fisici e sociali di riferimento.
Ogni impresa intesa come ape dello sciame è parte di un tutto ben strutturato, avendo dei ruoli e dei rapporti ben
coordinati. Quando invece l’impresa non appartiene ad uno sciame essa opera individualmente. Questo è
prevalentemente il caso delle imprese del Mezzogiorno che privilegiano una configurazione di integrazione
verticale e non curano relazioni reciproche nel territorio di insediamento. Cfr. BECATTINI, cit.
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riforme strutturali nel mercato del lavoro. La scarsa produttività e una non adeguata
innovazione organizzativa hanno generato uno stato d’inerzia diffuso ed hanno causato la
perdita di posizioni delle nostre imprese nel nuovo scenario competitivo internazionale.
La globalizzazione, utilizzando una metafora darwiniana30, sembra costituire una sorta
di cambiamento ambientale che mette in pericolo la sopravvivenza delle imprese italiane
intese come specie a rischio di estinzione caratterizzate da una fragile struttura produttiva. In
questa nuova prospettiva dinamica occorre ripensare a come le nostre imprese devono
adattarsi al cambiamento. E’ necessario cioè favorire una mutazione organizzativa in grado di
far fronte ai nuovi problemi di inefficienza dinamica.
La forma organizzativa della rete, come sopra accennato, sembra capace di offrire
soluzioni efficaci ed efficienti a molte delle criticità che caratterizzano soprattutto le micro e
piccole imprese 31 , spesso non in grado di superare individualmente le sfide imposte dalla
competizione internazionale. Lo strumento della rete permette ad imprese appartenenti a
territori ed aree diverse di realizzare progetti comuni orientati alla crescita del livello
tecnologico, alla generazionale dell’innovazione e all’accrescimento della competitività. Esso
può dar luogo ad un nuovo modello di capitalismo – noto come Quarto Capitalismo –
costituito da imprese ambiziose di piccole e medie dimensioni che vogliono operare oltre i
confini nazionali e creare reti lunghe differenziandosi notevolmente dall’impresa «classica
distrettuale» ancora arroccata nel territorio di appartenenza32.
30
Cfr. LI DONNI, PROVENZANO, Politica Industriale ed Evoluzione dei Settori Industriali: Alcune Implicazioni di
Evolutionary Economic. Storia e Politica, 2008, p.212-229. Cfr. LI DONNI, PROVENZANO, L’evoluzione
Darwiniana e L’interplay Dinamico tra Routine Procedurali e Prosociali. Nuova Economia e Storia, 2012, n.12; p.17-44.
31
Il regime fiscale, insieme a fattori di ordine culturale ed economico sembrano aver determinato in Italia una
bassa propensione alla crescita dimensionale da parte delle micro e piccole imprese. Esiste, infatti una
percezione diffusa tra gli imprenditori che all’aumentare delle dimensioni, diminuiscono le «opportunità di
evasione».
32
CHIARVESIO, MICELLI, mettono, a tal proposito, in evidenza una serie di vantaggi che contraddistingue queste
imprese. Esse sono più dinamiche rispetto a quelle tradizionali, sono mediamente più grandi, appartengono in
genere ad un gruppo industriale ed ottengono in un terzo dei casi una posizione di leadership di mercato. Esse
sono innovative, investono sulla ricerca, sul design e sulla comunicazione. CHIARVESIO, MICELLI, Oltre il
distretto come sistema: le strategie delle imprese fra locale e globale, 2007.
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Questo processo di internazionalizzazione, che inizia a svilupparsi in Italia a partire
dagli anni Settanta33, è stato affiancato, successivamente, dal processo di deregolamentazione
del mercato del lavoro che ha caratterizzato molti paesi europei. Il dibattito dottrinale e
politico si è dunque concentrato sui costi della manodopera 34 e sugli effetti dell’offshoring
sull’occupazione e sulle dinamiche salariali. Dalla letteratura economica ed empirica35 emerge
come il maggior costo del lavoro in Italia rispetto al livello medio dei paesi europei ha causato
alla delocalizzazione internazionale delle imprese attraverso la forma organizzativa delle reti.
Si noti che l’effetto per cui l’offshoring diventa più facile è conseguente alla durata prefissata
dei contratti e al minore radicamento aziendale dei lavoratori temporanei36.
L’internazionalizzazione produttiva delle imprese si estende sia al trasferimento
all’estero di attività precedentemente realizzate nel territorio nazionale che alla sostituzione di
subfornitori nazionali con quelli esteri. Mentre negli anni Ottanta essa riguardava le grandi
imprese, a parte degli anni Novanta ha coinvolto anche le PMI sotto forma di rete d’impresa
transnazionali 37 . Quest’ultime, mediante relazioni commerciali, accordi tecno-produttivi e
comuni investimenti diretti all’estero hanno ottenuto vantaggi di produttività, una maggiore
propensione all’innovazione e alla R&S e una forza lavoro più qualificata38.
33
A partire dagli anni Settanta, la competizione internazionale ha spinto le imprese dei paesi industrializzati a
delocalizzarsi e a far parte di reti di imprese transazionali che sfruttano differenziali di costo di produzione, del
lavoro e beneficiano dell’avvicinamento ai mercati di sbocco. Cfr. BARBA NAVARETTI, VENABLES, Multinational
Firms in the World Economy, Princeton, 2004; trad. it., Le multinazionali nell’economia mondiale, Bologna,
2006.
34
MANKIW, SWAGEL, The politics and economics of offshore outsoucing, in Journal of Monetary Economics,
2006, 53, 5, p. 1027-1056.
35
Il fenomeno della delocalizzazione internazionale favorisce sia un aumento della produttività – cfr. DAVERI,
JONA-LASINIO, Off-shoring and productivity growth in the Italian manufacturing industries, in CESifo Economic
Studies, 2008, 54, 3, p. 414-450 – che un incremento relativo della domanda di lavoro qualificato, cfr.
ANTONIETTI, ANTIOLI, Production offshoring and skill composition of Italian manufacturing firms: A
counterfactual analysis, in OPENLOC Working Paper, 2009, n. 3.
36
BERTON, RICHIARDI, SACCHI, Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, Bologna,
2009.
37
MARIOTTI, MUTINELLI, Italia multinazionale 2006. Le partecipazioni italiane all’estero e estere in Italia,
2008, Soveria Mannelli.
38
BUGAMELLI, CIPOLLONE, INFANTE, L’internazionalizzazione delle imprese italiane negli anni Novanta, in
Rivista Italiana degli Economisti, 53, p. 349-386. CASTELLANI, ZANFEI, Multinational firms, innovation and
productivity, Cheltenham, 2006. BENFRATELLO, RAZZOLINI, Firms’ productivity and internationalization
choices: Evidence for a large sample of Italian firms, in PISCITELLO, SANTANGELO (a cura di), Multinationals
and local competitiveness, Milano, 2008. FEDERICO, Outsourcing versus integration at home and abroad and
firm heterogeneity, in Empirica, 37, 2010, 1, p. 47-63.
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4. Alcune conclusioni sull’efficacia delle politiche d’intervento pubblico a favore
delle reti d’impresa innovative
Il contratto di rete rappresenta un quid novi nel panorama delle modalità di
aggregazione di imprese permesse dal Codice dei contratti. La Commissione europea nel
201039, ha sottolineato che la “particolarità del contratto di rete è che le imprese partecipanti
mantengono la loro autonomia sotto il profilo giuridico (…), questa nuova figura giuridica
lascia alle imprese la libertà di decidere quale tipo di cooperazione attuare e con quali mezzi,
senza imporre alcuna forma di obbligo strutturato, come l’istituzione di un fondo o altre
forme di fusione”. La Commissione ha inoltre precisato che “mentre altre figure giuridiche di
cooperazione strutturata, come le associazioni temporanee di imprese, raggruppano per un
certo periodo di tempo società che intendono svolgere una determinata operazione, nella rete
di imprese, (…), il contratto definisce un programma comune (come un programma
industriale) con il quale le società partecipanti mirano ad accrescere, individualmente o
collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Il
contratto istituisce quindi la forma più flessibile e generale di associazione tra imprese,
fissando un numero limitato di norme al solo scopo di assicurare la trasparenza e la stabilità
delle relazioni contrattuali”.
Inoltre, l’Unione Europea, ha intrapreso una politica che mira all’ottenimento di una
maggiore trasparenza della regolamentazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e
contraente privato. Quest’approccio si pone l’obiettivo di garantire che l’amministrazione non
«operi favoritismi verso alcuno dei soggetti che partecipano alla selezione per l’affidamento
all’appalto» 40 . Tale obiettivo sarà raggiunto soltanto se aumenta la partecipazione delle
imprese estere alle gare nazionali, e solo se saranno abbattute le barriere all’entrata delle
piccole e medie imprese. Le norme comunitarie tendono ad aprire il mercato a tutti gli
operatori economici a prescindere dalla dimensione.
Bruxelles, 26.01.2011 C(2010)8939; Aiuto di Stato N 343/2010 – Italia – Sostegno a favore della costituzione
di reti di imprese.
40
Cfr. FIDONE, Un’applicazione di analisi economica del diritto: la procedura per la scelta del cessionario ne
c.d. project financing, in corso di pubblicazione negli atti della prima conferenza annuale del SIDE (Italian
Society of Law and Economics), presso la facoltà di Economia di Siena “R.M.Goodwin”, Siena 25-27.11.2005.
39
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La percentuale di appalti aggiudicati alle PMI dipende dallo Stato a cui si fa riferimento,
infatti sono molteplici le difficoltà che le imprese devono superare all’entrata nel mercato e
possono essere più evidenti in alcuni Stati. Gli ostacoli possono essere per esempio: oneri
burocratici eccessivi, grande entità degli appalti, difficoltà nel reperire le informazioni, scarsa
conoscenza delle procedure di appalto, problemi nel reperire partner all’estero con cui
cooperare, pagamenti tardivi delle autorità aggiudicatrici. Dato che le difficoltà incontrate
dalle PMI sono molto numerose, esiste un documento chiamato Codice di buone pratiche che
orienta le autorità aggiudicatrici riguardo le modalità di applicazione delle direttive
comunitarie e circa le norme nazionali che non ostacolano l’accesso alle PMI. Solo pochi
Stati hanno stilato uno specifico programma in favore dell’accessibilità delle PMI agli appalti.
Ci sono però delle soluzioni per far diminuire le difficoltà riscontrate dalle PMI: migliorare la
qualità delle informazioni fornite, superare le difficoltà connesse all’entità degli appalti,
fissare livelli di capacità e requisiti finanziari proporzionati, garantire che i pagamenti siano
effettuati puntualmente. Nelle pagine precedenti, è emerso come con la legge 11 novembre
2011, n. 180, sia stata introdotta la partecipazione delle reti di impresa nell’ambito delle
procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici, nel tentativo di abbattere alcune barriere
all’entrata che impedivano l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie
imprese41.
Con riferimento al mercato del lavoro, è stato, anche, accennato che in Italia, esso è
stato per molto tempo rigido e caratterizzato da costi elevati. L’Italia, dunque, ha cercato di
seguire le raccomandazioni dell’ OCSE che indicavano di rendere più facile il ricorso a
contratti di durata prefissata soprattutto per le piccole e medie imprese. Questo percorso è
stato scandito da due leggi molto importanti: la legge 196/1997 (Pacchetto Treu) e il d.lgs.
276/2003 (legge Biagi). Esso si è tradotto in un processo di riforma, comune ad altri paesi
europei, di ampliamento delle forme contrattuali. Nonostante le resistenze del sindacato e di
altre parti sociali si è avviata in Italia una strategia di riforma del mercato del lavoro.
L’obiettivo principale è stato quello di incrementarne la flessibilità e la produttività.
41
Cfr. DI MARIA, PROVENZANO, Efficienza Competitività ed Innovazione della Pubblica Amministrazione:
Alcune considerazioni Economico-Giuridiche sul modello Consip, in KorEuropa, 1, 137 – 159 (disponibile
all’indirizzo http://www.unikore.it/index.php/roberto-di-maria-e-carmelo-provenzano#.Ua4NTtJU_rw).
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La politica italiana negli ultimi anni ha dunque cercato di favorire meccanismi più
efficienti cercando, da un lato, di supportare il percorso di sviluppo dei distretti e, dall’altro
lato, di stimolare il nuovo modello organizzativo della filiera produttiva che si basa sul
sistema relazionale delle reti d’impresa.
La nuova forma aggregativa della rete permette di supportare la capacità competitiva
soprattutto nei mercati esteri, di raggiungere economie di scala di sistema tipiche delle media
e grande impresa, senza rinunciare ai vantaggi e alla flessibilità della piccola dimensione e di
incrementare la performance economica delle imprese che vi aderiscono.
Ma come questa politica dev’essere condotta per essere efficace? Queste ed altre
domande sono state sollevate dalla teoria economica che cerca di identificare le caratteristiche
necessarie per favorire le reti innovative ed i distretti tecnologici. Comprendere queste
condizioni ci permette di effettuare delle considerazioni anche sull’efficacia delle politiche
attuate e di quelle potenziali da attuare.
Tra le diverse criticità è opportuno, innanzitutto, sottolineare che in Italia non esistono
settori specializzati ed aree ad elevata intensità teconologica. Non esistono distretti
tecnologici (DT) italiani, o meglio, non esistono aree con un numero elevato di imprese che
presentano le caratteristiche qualitative e quantitative richieste per potersi definire DT.
Un’attenzione molto importante va dedicata dalle politiche di intervento pubblico all’aspetto
della promozione e della governance dei distretti tecnologici e delle reti di impresa
innovative. A tal proposito, l’Unione Europea ha previsto aiuti di stato a favore di ricerca,
sviluppo e innovazione (RSI), per il periodo 2007-2013, stimolando, in particolare, la ricerca
effettuata in forma collaborativa.
La politica della Nuova Programmazione in Italia non ha raggiunto gran parte degli
obiettivi prefissati. In particolare il tentativo di promuovere i distretti industriali nel
Mezzogiorno d’Italia, non ha sortito gli effetti desiderati. L’obiettivo di creare delle filiere
sotto forma di reti di imprese che non necessitano di un patrimonio relazionale peculiare dello
sciame delle imprese distrettuali, può costituire un’occasione di svolta per l’economia del Sud
d’Italia. La politica di promozione di reti innovative può essere più appropriata per il Sud,
perché conferisce alle imprese una dimensione più flessibile e soprattutto non si fonda su
un’astratta e messianica mobilitazione generalizzata dal basso dei sistemi locali. Essa cioè ha i
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caratteri di una politica attiva e selettiva basata su logiche di pick up the winner. 42 Tale
politica, inoltre, non si deve fondare su sporadici bandi della legge 488, ma deve basarsi sulla
creazione di nuclei operativi dedicati ad analisi di intervento con ampia capacità operativa.
Una condizione importante per condurre un intervento pubblico efficace ed efficiente è quello
di individuare gli strumenti necessari per la misurazione dell’impatto della politica industriale
sia nel medio che nel lungo periodo.
Le venture capital che assumono una forma a rete costituiscono, a tal proposito, uno
strumento flessibile, autonomo e responsabile. Esse operano sul mercato con un ben definito
budget che va verificato nel medio e nel lungo periodo. Tra gli obiettivi che possono essere
raggiunti attraverso questo mezzo vi sono quelli di una maggiore integrazione produttiva e di
un aumento della solidità della struttura produttiva locale. In tal modo, molte delle cause di
dispersione che accompagnano gli investimenti produttivi nel mezzogiorno possono essere
maggiormente controllate e attenuate. Non solo, questo strumento è in grado di saltare la
dimensione della localizzazione territoriale se accompagnato da una politica di filiera in grado
di aumentare la capacità di attrazione delle risorse finanziarie, materiali e immateriali. Il
Mezzogiorno, infatti è impossibilitato a competere con le altre aree depresse dell’Unione
Europea a causa della sua “fiscalità generale” penalizzante e degli aspetti ambientali e
strutturali svantaggiosi.
Occorre dunque dare maggior rilievo agli assets materiali legati alle grandi opere
infrastrutturali che agli assets immateriali collegati al capitale umano e alla capacità di
arricchimento delle funzioni produttive con attività terziarie a elevato contenuto di
innovazione. Le relazioni e i mix di strategie delle reti devono permettere una mutazione
genetica del territorio da area follower e passiva ad una leader ed innovativa. Per far ciò
occorre una governance razionale delle diverse istituzioni intermedie che favoriscono lo
sviluppo locale, si pensi per esempio, ai centri di servizio, alle agenzie regionali di sviluppo,
alle agenzie per l’innovazione ecc.
PURPURA, PROVENZANO, L’industria Manifatturiera Siciliana tra Eccellenze e Ritardo di Sviluppo: Alcune
considerazioni per la Politica Industriale, in BUSETTA (a cura di), Sicilia 2015. Obiettivo Sviluppo: un traguardo
possibile, 2009, p. 342-366.
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Un’analisi condotta da Cresta43 , sulla base del ruolo e dell’efficacia degli strumenti
intermedi di questa governance, ha classificato le regioni italiane in cinque gruppi: regioni
modello, regioni in corsi, regioni in stand by, regioni in ritardo e regioni borderline.
Da queste considerazioni, nasce la consapevolezza di allargare la filiera produttiva a
settori non industriali e di estendere la collaborazione a soggetti diversi dalle imprese come le
associazioni di categoria, consorzi, università, fondazioni e istituzioni attive nel campo
dell’innovazione e della ricerca, etc.
Il nuovo scenario dello sviluppo dev’essere dunque caratterizzato da nuovi modelli
aggregativi prevalentemente di tipo funzionale e, in misura sempre minore, su quelle di tipo
territoriale. Se da un lato, infatti le politiche di sviluppo locale devono essere finalizzate a
migliorare le condizioni di contesto, dall’altro lato le nuove forme organizzative devono
svincolarsi dalle loro aree geografiche di riferimento per favorire il processo di innovazione e
di competitività internazionale.
CRESTA, Il ruolo della governance nei distretti industriali. Un’ipotesi di ricerca e classificazione, Milano,
2008.
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