Disegno di legge A.S. n. 1058
DELEGA AL GOVERNO RECANTE DISPOSIZIONI PER UN SISTEMA FISCALE PIU’ EQUO,
TRASPARENTE E ORIENTATO ALLA CRESCITA
INDICE
DISCIPLINA DELL’ABUSO DEL DIRITTO ED ELUSIONE FISCALE
2
SEMPLIFICAZIONE - Art. 7
 Soppressione della riliquidazione dell’imposta sul TFR – Ipotesi 1
 Tassazione del trattamento di fine rapporto – Ipotesi 2
 Modalità di applicazione dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del TFR
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REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO (PENALE) – ART. 8
 Modifiche in materia di dichiarazione infedele i omesso versamento di ritenute
certificate, omesso versamento di IVA, indebita compensazione e sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte
 Raddoppio termini di accertamento
 Sequestro conservativo
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REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO (AMMINISTRATIVO) – ART. 8
 Errori nell’imputazione a periodo dei componenti di reddito
 Sanzioni in caso di costi esposti in fatture oggettivamente inesistenti
 Sanzioni per omissione o inesattezza dei dati statistici degli elenchi intrastat
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RAZIONALIZZAZIONE DELLA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI IMPRESA E DELLA
PRODUZIONE NETTA – ART. 12
20
 Sopravvenienze attive e deducibilità delle perdite su crediti
20
 Rettifica IVA crediti non riscossi
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 Frazionamento periodo di imposta
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 CFC e COLLEGATE - Versione n. 1
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 Rimpatrio dei dividendi da paesi a fiscalità privilegiata – Versione 1
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 CFC e COLLEGATE - Versione n.2
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 CFC e COLLEGATE - Versione n.3
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 Modifiche alla disciplina sui costi verso i paradisi fiscali
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 Ritenute transfrontaliere
43
REVISIONE DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DELLA RISCOSSIONE DEGLI ENTI LOCALI ART.10
45
 Contraddittorio preventivo
45
 Rafforzamento della tutela cautelare in secondo grado
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 Blocco dell’esecuzione forzata nelle more del giudizio di sospensione
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1
DISCIPLINA DELL’ABUSO DEL DIRITTO ED ELUSIONE FISCALE – ART. 5
Art. 10 bis (L. 27 luglio 2000, n. 212)
1. Configurano condotta abusiva o elusiva gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro,
che, sebbene non violino direttamente alcuna specifica norma dell’ordinamento
tributario, aggirano obblighi o divieti previsti da tale ordinamento, al fine di ottenere
riduzioni o rimborsi indebiti, in quanto in contrasto con l’oggetto e lo scopo delle norme
applicate dal contribuente o comunque con i principi generali del sistema in cui tali norme
si inseriscono. La condotta abusiva rileva nel rapporto tributario con l’Amministrazione
finanziaria e comporta la sua inopponibilità all’Amministrazione stessa che ne disconosce i
vantaggi conseguiti, applicando i tributi secondo le disposizioni eluse, al netto di quelli
assolti per effetto del comportamento inopponibile.
2. Non costituisce di per sé condotta abusiva la scelta del contribuente fra diverse
fattispecie dell’ordinamento tributario che, pur producendo effetti economici in tutto o in
parte equivalenti, hanno un diverso regime tributario.
3. Le disposizioni del comma 1 non si applicano se la condotta è giustificata da ragioni
economiche extrafiscali non marginali. Costituiscono ragioni economiche extrafiscali non
marginali anche quelle alla base di operazioni non produttive di una redditività immediata
ma che rispondono ad esigenze di natura organizzativa volte ad un miglioramento
strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente.
4. A pena di nullità dell'avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria deve:
a) fare richiesta scritta di chiarimenti anche per lettera raccomandata o con le modalità di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta
elettronica certificata, all'indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. In
tale ultimo caso non si applica l'articolo 149-bis del codice di procedura civile. La risposta
del contribuente deve essere inviata per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione
della richiesta e deve indicare i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni dei
commi 2 e 3. la risposta può essere inviata con lettera raccomandata o con le modalità di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta
elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge
b) nella motivazione dell'avviso di accertamento: 1) indicare le disposizioni eluse e i motivi
che rendono applicabili le disposizioni del comma 1; 2) replicare ai chiarimenti forniti dal
contribuente ai sensi della lettera a); 3) calcolare le imposte o le maggiori imposte
tenendo conto di quanto previsto al comma 1.
5. Le imposte o le maggiori imposte e tasse accertate in applicazione delle disposizioni di
cui al comma 2, unitamente ai relativi interessi, sono iscritte a ruolo, secondo i criteri di
cui all'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, concernente il
pagamento dei tributi e delle sanzioni pecuniarie in pendenza di giudizio, dopo la sentenza
della commissione tributaria provinciale.
6. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni dei commi precedenti
possono richiedere il rimborso delle imposte e tasse pagate a seguito dei comportamenti
disconosciuti dall'Amministrazione finanziaria; a tal fine detti soggetti propongono, entro
2
un anno dal giorno in cui l'accertamento e' divenuto definitivo o è stato definito mediante
adesione o conciliazione giudiziale, istanza di rimborso all'Amministrazione finanziaria, che
provvede nei limiti delle imposte e degli interessi effettivamente riscossi in applicazione di
tali disposizioni.
7. Le specifiche norme tributarie che hanno lo scopo di contrastare comportamenti elusivi,
e ogni altra norma prevista nell’ordinamento possono essere disapplicate qualora il
contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non si verificano. A
tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate
competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le
disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione. Con decreto del Ministro delle
finanze da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400,
sono disciplinate le modalità per l'applicazione del presente comma.”
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla
data di entrata in vigore il presente decreto e per i tributi non di periodo dalla data di
entrata in vigore del presente decreto.
Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche con riferimento alle ipotesi per le
quali i termini per l’accertamento non sono scaduti alla predetta data e si applicano altresì
per la definizione delle controversie in corso alla medesima data.
3. Le violazioni all’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, non danno luogo a fatti
punibili a norma del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.(fuori delega??)
4. L’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600
è abrogato.
Relazione
Il tema dell’elusione e dell’abuso del diritto è stato al centro di importanti pronunce della
Suprema Corte di Cassazione e indirizza, in misura crescente, l’attività di accertamento
dell’Agenzia delle Entrate nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni. La
presente proposta di legge intende quindi introdurre nell’ordinamento tributario una
disposizione espressa che individui gli elementi caratteristici dell’abuso (i.e elusione) e
disciplini gli aspetti procedimentali e sanzionatori dei relativi accertamenti fiscali.
E’ noto che - come ha osservato la stessa Commissione europea nella propria
Comunicazione sulle misure antiabuso (COM(2007)785) - la sensibilità e l’attenzione sul
tema sono andate crescendo con la internazionalizzazione e l’influenza del diritto
comunitario. In Italia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato, con
alcune recenti sentenze, che è rinvenibile, nell’ordinamento un principio generale, non
scritto, contro l’abuso del diritto, che è operante anche in campi diversi dal diritto
tributario e trova fondamento nella “costituzionalizzazione del canone generale di buona
fede oggettiva e correttezza” e nel “dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della
Costituzione”1. All’interno del sistema tributario, il principio – che per i tributi armonizzati
discende dal diritto comunitario - trova direttamente la sua fonte nella carta
costituzionale e in particolare nei principi di capacità contributiva e progressività dell’art.
53, per quanto riguarda i tributi non armonizzati. Dal “rango comunitario o costituzionale
del principio” derivano, secondo la Cassazione, conseguenze di grande rilievo, tra cui
“l’obbligo di applicazione anche nel giudizio di legittimità”2.
1
Cfr. sentenze n. 30055-6-7 del 23 dicembre 2008 che, sul punto, richiamano la precedente sentenza n.
23726 del 23 ottobre 2007 concernente un’ipotesi di abuso del processo.
2
Cfr. anche sentenza n. 1372 del 2011
3
Indubbiamente i sistemi fiscali che sempre più si confrontano e si misurano richiedono
interventi in grado di limitare la permeabilità degli ordinamenti alla erosione della base
imponibile, che tuttavia finiscono per incidere sul livello di certezza giuridica, necessario
per uno sviluppo ordinato e competitivo dell’operatività delle grandi imprese.
Occorre grande equilibrio e chiarezza per tenere fuori da pregiudizievoli contestazioni
operazioni di legittima pianificazione fiscale, per quanto complesse esse possano essere,
in particolare nei loro profili di rilevanza transfrontaliera. E, a tal proposito, vi è il rischio
concreto che la reazione contro operazioni, in odore di elusività, realizzate in forme
sempre più complesse e con collegamenti transnazionali sia eccessiva, tale da
compromettere i principi di legalità e di predeterminazione della fattispecie impositiva,
connaturati al nostro sistema tributario, quali regole di rilevanza anche costituzionale ed
espressione della natura di civil law del nostro ordinamento giuridico.
E’ di fondamentale importanza, pertanto, individuare con una norma scritta gli elementi
essenziali dell’abuso del diritto in ambito fiscale, in coerenza con i principi affermati dalla
Cassazione e dalla Corte di Giusizia, a tutela della buona fede e della certezza dei rapporti
giuridici. Sia che si verta in tema di elusione, in presenza di una delle fattispecie indicate
nell’art. 37 –bis, o in tema di abuso del diritto, la reazione dell’ordinamento deve
riguardare soltanto operazioni che consentono di conseguire effetti impositivi contrari alla
ratio legis e si sostanziano in uno sviamento rispetto alla ratio e alla funzione proprie di
norme o principi, solo formalmente rispettati. La convenienza fiscale della opzione in
concreto esercitata e le sue ragioni economiche non possono essere oggetto di sindacato,
qualora non sia ravvisabile l’aggiramento dello scopo perseguito dal legislatore,
l’artificiosità della costruzione. In questo senso, l’orientamento della Corte di Giustizia è
stato confermato dalle richiamate sentenze della Cassazione del 23 dicembre 20083, e
con chiarezza ancor maggiore in quelle più recenti della Sezione tributaria4, dove
l’artificiosità abusiva delle operazioni dedotte in causa costituisce il presupposto e
l’oggetto delle conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte. La prova e la ponderazione
delle valide ragioni economiche sono necessarie solo dopo che sia stata verificata la
sussistenza del prerequisito essenziale: l’aggiramento di norme o principi che rende
indebito il risparmio d’imposta. Devono essere contrastati solo 5 gli “indebiti vantaggi
fiscali” che derivano dall’ “utilizzo distorto, pur se non contrastante con una specifica
disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale”.
E’ la stessa Cassazione a sollecitare la massima cautela nell’applicazione del principio
ricordando che, soprattutto in presenza di complesse operazioni di ristrutturazione
societaria, la libertà di stabilimento comporta di per sè “una libertà di scelta delle forme
societarie sia pure dettata da ragioni esclusivamente fiscali”6.
A questo riguardo, si consideri, brevemente, che il nostro sistema è costellato di
fattispecie giuridiche che, per certi aspetti, possono produrre risultati economici
equivalenti, ma che hanno regimi fiscali differenziati, voluti dal legislatore vuoi per tenere
conto della loro natura differente civilistica, vuoi per finalità anche di politica fiscale. E ciò
è vero soprattutto per le operazioni di riorganizzazione aziendale. Una fusione, ad
esempio, non è una liquidazione anche se entrambe provocano la scomparsa della società
e l’attribuzione dei suoi assets alla società socia: coerentemente con le caratteristiche
civilistiche, l’una è stata regolata fiscalmente come atto successorio neutrale che rinvia la
tassazione dei plusvalori latenti di tali assets alle successive vicende realizzative e l’altra
viene invece sottoposta ad imposizione subito con corrispondente riconoscimento, per la
3
Sentenze n. 30055, n. 30056 e n.30057
Cfr.,ad esempio, la sentenza n. 1372 del 2011.
5
Sentenze 30055 -6-7 cit.
6
Sentenza n. 1372 del 2011
4
4
società beneficiaria, dei maggiori valori degli assets stessi. Analogamente, restano
fenomeni negoziali distinti la cessione da parte del socio di maggioranza della
partecipazione di controllo in una società commerciale, suscettibile di beneficiare della
pex, e la vendita diretta dell’azienda da parte di tale società che è tassata invece senza
sconti quale atto realizzativo, anche se entrambe le operazioni consentono la circolazione
e il realizzo dei plusvalori latenti del compendio aziendale. Il legislatore, in altri termini, ha
voluto conservare per fenomeni giuridici diversi regimi differenziati di imponibilità o di
continuità, senza tuttavia rinunciare alla pretesa impositiva, che se non esercitata subito
resta comunque collegata alle vicende reddituali successive dei beni oggetto di
trasferimento.
In un contesto del genere, tenuto conto che il nostro è un ordinamento di civil law,
improntato al principio di certezza del diritto e di predeterminazione delle fattispecie
legali, dovrebbe essere la regola, e non l’eccezione, che sia il contribuente a scegliere, a
buon diritto, i modelli negoziali più confacenti, anche solo sotto il profilo fiscale. Molto
spesso, invece, viene contestato ai contribuenti di avere scelto tra le forme giuridiche
possibili quella che, in quel contesto e magari solo in via temporanea, assicurava il
migliore regime fiscale, assumendo sic et simpliciter l’assenza di valide ragioni
economiche. In questo modo, c’è il rischio che una rete di norme scritte venga
disapplicata in base ad un giudizio ex post dell’organo accertatore o dell’organo giudicante
sulle valide ragioni economiche che, oltretutto, è un concetto non codificato e tale da dar
luogo facilmente a conclusioni soggettive ed arbitrarie.
Da qui, l’urgenza di una iniziativa legislativa rispettosa dei canoni comunitari e
costituzionali di riferimento.
La proposta di norma in esame introduce, al comma 1, le disposizioni di contrasto
all’elusione e all’abuso del diritto nello Statuto del contribuente, con l’inserimento del
nuovo articolo 10 –bis nella legge 27 luglio 2000, n. 212, e conseguentemente abroga l’art.
37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. La scelta di
tecnica legislativa è motivata con la considerazione che le costruzioni abusive possono
riguardare qualsiasi tipo di tributi o tasse, armonizzati o non armonizzati e richiedono
quindi di essere disciplinate da disposizioni di applicazione generale, come lo Statuto che,
oltre ad affermare i diritti dei contribuenti, richiama, nei rapporti inter partes il
fondamentale principio di tutela della buona fede, che deve improntare la dialettica tra
l’amministrazione finanziaria e i contribuenti anche in relazione alle complesse
contestazioni sull’abuso del diritto: principio che, applicandosi ex post in sede di
accertamento, non è suscettibile di deroga e può conservare la sua valenza sovra
ordinata.
Il nuovo articolo 10–bis “Disposizioni antielusive” dello Statuto del contribuente riconduce
ad unità i concetti di elusione e di abuso del diritto, eliminando qualsiasi riferimento alle
specifiche operazioni segnaletiche di possibili comportamenti abusivi tuttora presenti
nell’articolo 37- bis del DPR 600.
Il primo comma dell’art. 10- bis è un’applicazione dei principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità in Italia e in Europa. Le operazioni che derivano da atti
giuridici anche negoziali o meri fatti possono essere censurate come elusive solo in quanto
conseguano vantaggi fiscali “indebiti” , per tali intendendo quelli che derivano
dall’aggiramento di norme o principi. E’ lo sviamento rispetto alla “ratio” delle norme,
rispetto alla loro funzione all’interno del sistema a costituire una anomalia che fa
diventare patologici – indebiti - i benefici fiscali, altrimenti legittimi. Il secondo periodo
enfatizza questo principio, prevedendo in modo esplicito che “conseguentemente, le
disposizioni del periodo precedente non si applicano nei casi in cui il contribuente può
raggiungere analogo risultato economico attraverso una o più operazioni che hanno
5
regime fiscale differente”. Il periodo richiama il testo del secondo paragrafo dell’art. 80
della Comunicazione COM(2011) 121/3, la norma generale antiabuso inserita nella
proposta di direttiva relativa ad una base imponibile consolidata comune per l’imposta
sulle società (CCCTB Commun Consolidated Corporate Tax Base) presentata dalla
Commissione il 16 marzo 2011 ed esprime con chiarezza i concetti più volte affermati dalla
giurisprudenza: che il contribuente può legittimamente scegliere l’opzione meno onerosa,
procedendo, ad esempio, ad incorporare, piuttosto che a liquidare, una società che
intenda far scomparire; o procedendo a trasformare una spa in una srl per fruire del
regime di determinazione fondiaria del reddito agrario.7 L’ufficio deve dimostrare “il
carattere artificioso della complessa operazione”, e non può limitarsi ad affermare
“soltanto che lo stesso risultato poteva essere conseguito attraverso una diversa formula
organizzativa”8.
Diversamente, ne verrebbe completamente travolta la certezza dei rapporti giuridici,
considerata la specificità del nostro sistema fiscale, che è caratterizzato da opzioni e scelte
tra istituti giuridici che sono diversamente disciplinati ai fini fiscali, nonostante
consentano, talora, di conseguire risultati economici equivalenti. Tanto più che esigenze di
comparabilità e competitività con altri ordinamenti hanno indotto il legislatore a
diversificare e ampliare l’offerta di istituti e soluzioni nuove che, prevedono, in via
strutturale, regimi impositivi di favore in relazione alla natura giuridico formale delle
operazioni, pur produttive di effetti similari a quelli di altre operazioni fiscalmente più
onerose.
L’ultimo periodo del primo comma introduce un’ulteriore tutela a favore del contribuente
impegnato in operazioni economiche effettive, prevedendo che non siano comunque
censurabili i vantaggi fiscali che, per quanto contrari alla ratio di una disposizione o di un
principio, e quindi indebiti, “sono principalmente motivati da ragioni diverse dal risparmio
fiscale”. In coerenza con i richiamati principi della giurisprudenza di legittimità, la
ponderazione della validità delle ragioni economiche interviene solo dopo che sia stato
dedotto lo sviamento dallo scopo, l’aggiramento di norme o principi e può condurre a
rendere non censurabili i conseguenti indebiti benefici, in tutti i casi in cui il contribuente
sia in grado di dimostrare che l’operazione o la serie di operazioni erano state poste in
essere per ragioni prevalentemente diverse da quelle fiscali. Rispetto alla prassi attuale, i
tre periodi del primo comma rappresentano una inversione concettuale: è solo dopo che
l’Amministrazione finanziaria avrà esposto e comprovato i motivi per cui si sarebbe
verificato uno sviamento della ratio legis, che il contribuente sarà chiamato a dedurre le
ragioni economiche non fiscali: queste ragioni, se prevalenti, rendono comunque
incontestabili i vantaggi acquisiti.
Il comma 2 dell’art. 10-bis riprende testualmente l’attuale comma 2 dell’art. 37-bis del
DPR n.600 del 1973, secondo cui l’amministrazione finanziaria, qualora contesti ipotesi di
abuso del diritto, è tenuta ad applicare le imposte determinate in base alle disposizioni
eluse, la netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile
all’amministrazione.
I successivi commi da 3 a 5 dell’art. 10-bis disciplinano la procedura di accertamento. Le
diposizioni stabiliscono che le contestazioni relative a comportamenti elusivi o di abuso
del diritto seguano, in modo omogeneo, un percorso procedimentale scandito secondo
7
E’ l’ipotesi della risoluzione n. 177 del 2008 nella quale l’Agenzia delle Entrate – in contrasto con i principi
affermati dalla giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia - ha invece affermato l’elusività
dell’operazione in quanto, pur non configurandosi alcun aggiramento di norme o principi, era motivata da
ragioni prevalentemente fiscali.
8
Sentenza n. 1372 cit.
6
specifiche regole e garanzie che l’amministrazione finanziaria deve seguire a pena di
nullità dell’atto di accertamento.
Il comma 3 dell’art. 10-bis riscrive l’attuale coma 4 dell’art. 37-bis, stabilendo che la
richiesta di chiarimenti che, a pena di decadenza, deve essere comunicata al contribuente
prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento debba avere forma scritta e possa
essere inoltrata anche per posta elettronica certificata. Ciò serve, in particolare, ad evitare
che l’amministrazione finanziaria – anche sulla base di una recente sentenza della Corte di
Cassazione – possa considerare assolti i propri obblighi, provvedendo a richiedere i
chiarimenti al contribuente, per le vie brevi.
Il comma 4 dell’art. 10-bis riscrive il comma 5 dell’art. 37 – bis individuando, con maggiore
precisione, gli elementi essenziali che, a pena di nullità, devono risultare dalla motivazione
dell’avviso di accertamento. In particolare, devono essere indicati in atto a) le disposizioni
eluse; b) gli argomenti con cui l’amministrazione finanziaria replica ai chiarimenti forniti
dal contribuente; c) le imposte dovute calcolate tenendo conto di quanto previsto dal
precedente comma 2.
Il comma 5 dell’art. 10-bis riprende testualmente il comma 6 dell’art. 37 –bis secondo cui
le imposte o maggiori imposte accertate (con i relativi interessi) sono iscritte a ruolo, in
pendenza di giudizio, solo dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.
Il comma 6 dell’art. 10 –bis riprende testualmente il comma 7 dell’art.37-bis, che detta la
procedura per il rimborso delle imposte pagate, a seguito dei comportamenti
disconosciuti, dai soggetti diversi da quelli cui sono applicate le precedenti disposizioni.
Il comma 7 dell’art. 10 – bis ripropone senza modifiche l’attuale comma 8 dell’art. 37 –bis
che disciplina la procedura di interpello che il contribuente deve attivare per ottenere la
disapplicazione delle norme antielusive espresse.
Il comma 2 della bozza di norma stabilisce inoltre che le disposizioni previste dal nuovo
art. 10- bis dello Statuto del contribuente, introdotto con il precedente comma 1, si
applicano anche con riferimento ai periodi d’imposta per i quali non sono ancora scaduti i
termini di accertamento alla data di entrata in vigore della norma in commento; nonché
per la definizione delle controversi in corso alla medesima data.
Il comma 3 della bozza di norma inserisce il nuovo comma 5 all’articolo 7 del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 che reca la disciplina delle sanzioni amministrative
per le violazioni di norme tributarie. Tenuto conto che i comportamenti elusivi non
configurano ipotesi di violazione di norme, si è ritenuto che il mero ‘aggiramento’ di
norme o principi meritasse una riduzione delle sanzioni ordinariamente previste per le
altre ipotesi di infedele dichiarazione. In particolare, si è preso atto che si è in presenza
pur sempre di situazioni che suscitano incertezze interpretative e apprezzamenti
discrezionali. Pertanto, la proposta di norma fissa la sanzione in misura pari al cinquanta
per cento della maggiore imposta accertata.
Il successivo comma 4 della bozza di norma chiarisce che i comportamenti elusivi, proprio
perché non si sostanziano in aperte violazioni di norme positive, non danno luogo a fatti
punibili penalmente ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Infine l’ultimo comma della bozza di norma dispone lì’abrogazione dell’art. 37- bis del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
7
SEMPLIFICAZIONE - Art. 7
Soppressione della riliquidazione dell’imposta sul TFR – Ipotesi 1
“Nell’articolo 19, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l’ultimo periodo è
soppresso.”
Relazione
La norma di cui si propone la soppressione prevede la riliquidazione dell’imposta sul TFR
da parte degli uffici finanziari in base all’aliquota media dei cinque anni precedenti a
quello in cui è maturato il diritto alla percezione del TFR, iscrivendo a ruolo le maggiori
imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti.
Poiché la riliquidazione opera fisiologicamente a distanza di anni, nel caso in cui determina
l’iscrizione a ruolo di maggiori imposte, la richiesta del relativo importo causa
generalmente forte disagio per il contribuente che nella maggior parte dei casi è in
quiescenza.
Si ricorda che detta norma fu introdotta nell’ambito della riforma del regime fiscale della
previdenza complementare disposta dal D.Lgs. n. 47 del 2000, in modo analogo a quanto
si prevedeva per le prestazioni in capitale derivanti dalla partecipazione a forme (collettive
o individuali) di previdenza complementare. In quest’ultimo caso il fine era quello di
evitare ingiustificati risparmi di imposta che si potevano realizzare attraverso la
partecipazione a più forme di previdenza complementare, fermo il limite di contribuzione
di 5.164,57, risparmi di imposta che peraltro non sono perseguibili nella liquidazione del
TFR.
Tenuto conto che il D.Lgs. n. 252 del 2005 ha eliminato la disposizione che disponeva la
riliquidazione della tassazione delle prestazioni pensionistiche in capitale in quanto
divenuta inutile per effetto della prevista tassazione con aliquota del 15 per cento (ridotta
fino al 9 per cento in funzione della durata della partecipazione alle forme di previdenza
complementare), non si giustifica la permanenza della norma che prevede la riliquidazione
della tassazione del TFR.
8
Tassazione del trattamento di fine rapporto – Ipotesi 2
L’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
modificato come segue: “Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo
che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad
imposta sostitutiva. L'imposta è applicata a titolo di acconto con l'aliquota vigente per il
primo scaglione di reddito di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917. Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l'imposta in base
all'aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il
diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando
quelle spettanti.”.
Relazione
Il regime di tassazione del TFR di cui all’art. 19 del TUIR, come riformato con Dlgs. n.
47/2000 e Dlgs. n. 168/2001, prevede un duplice passaggio:
1)
il sostituto d’imposta provvede ad una liquidazione provvisoria dell’imposta
sul trattamento di fine rapporto. L’aliquota è determinata con riferimento
all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo
che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle
forme pensionistiche di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 e al
netto delle rivalutazioni già assoggettate a tassazione con imposta sostitutiva,
per il numero di anni e frazioni di anno preso a base di commisurazione,
moltiplicando il risultato per dodici;
2)
l’Agenzia delle Entrate, sulla base dei dati dichiarati dal sostituto attraverso il
modello 770, provvede alla liquidazione definitiva dell’imposta sul TFR in base
all’aliquota personale del contribuente calcolata come media dell’ultimo
quinquennio precedente a quello in cui è maturato il diritto alla percezione del
TFR.
Posto che esigenze erariali di riscossione richiedono l’intervento del sostituto in sede di
liquidazione provvisoria delle imposte dovute sul TFR, con il presente emendamento si
propone di semplificare il meccanismo di calcolo della liquidazione provvisoria delle
imposte sul TFR, attraverso l’applicazione di un’aliquota fissa da parte del datore di
lavoro.
9
Modalità di applicazione dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del TFR
“Sostituire l’art.11, comma 4 del Dlgs n. 47/2000 come segue:
I soggetti indicati negli articoli 23 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, applicano l'imposta di cui al comma 3 sulle rivalutazioni maturate
in ciascun anno. L'imposta è versata entro il 16 febbraio dell'anno successivo. L'imposta è
imputata a riduzione del fondo (…). Se il trattamento di fine rapporto è corrisposto da
soggetti diversi da quelli indicati nei predetti articoli, l'imposta sostitutiva di cui al comma
3 è complessivamente liquidata dal soggetto percettore nella dichiarazione dei redditi del
periodo d'imposta in cui viene corrisposto, anche a titolo di anticipazione, e versata nei
termini previsti per il versamento a saldo delle imposte derivanti dalla medesima
dichiarazione dei redditi. (…) Si applicano le disposizioni del Capo III del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241.”
Relazione
La rivalutazione del TFR (art. 2120 c.c.) risponde alla finalità di permettere un parziale
recupero dell’inflazione e adeguare nel tempo il valore del TFR accantonato. Con l’art.
11, commi 3 e 4 del DLgs n. 47/2000 la rivalutazione del TFR è stata assimilate ad una
rendita finanziaria, imponendo ai sostituti di imposta di applicare annualmente una
imposta sostitutiva sulla quota finanziaria del TFR da applicare in due tempi.
L’imposta sostitutiva sui redditi derivanti dalla rivalutazione del TFR, commisurata al 90
per cento delle rivalutazioni maturate nell’anno precedente, è versata annualmente per
mezzo del sostituto d’imposta (datore di lavoro) mediante un sistema di acconto (entro
il 16 dicembre) e di saldo (entro il 16 febbraio dell’anno successivo).
Il sistema di liquidazione dell’imposta comporta per le aziende, che operano in veste di
sostituto d’imposta, una serie di adempimenti gravosi, da effettuare in un breve lasso di
tempo.
Inoltre, a decorrere dal 2008, per le aziende obbligate ad effettuare i versamenti di
quote di TFR al Fondo di Tesoreria INPS (art. 1, comma 755 e ss., legge n. 296/2006 e dei
DD.MM. 30.01.2007) si sono aggiunti i seguenti ulteriori adempimenti:
 determinazione e versamento dell’acconto e del saldo dell’imposta sostitutiva
anche con riferimento ai TFR versati al Fondo di Tesoreria INPS;
 recupero nella dichiarazione contributiva DM10 degli importi dell’imposta
sostitutiva pagata per conto del Fondo di Tesoreria INPS.
Tali oneri rappresentano un aggravio di lavoro e di costi di gestione per le aziende,
pertanto si propone di semplificare la disposizione prevedendo un unico versamento
determinato a titolo definitivo.
10
REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO (PENALE) – ART. 8
Modifiche in materia di dichiarazione infedele i omesso versamento di ritenute
certificate, omesso versamento di IVA, indebita compensazione e sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte
Al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 4 è abrogato;
b) all’articolo 6, le parole ”dagli articoli 2, 3 e 4” sono sostituite dalle seguenti: “dagli
articoli 2 e 3”;
c) nell’articolo 7:
1) al comma 1, le parole “degli articoli 3 e 4” sono sostituite dalle seguenti
“dell’articolo 3”;
2) al comma 2, le parole “degli articoli 3 e 4” sono sostituite dalle seguenti
“dell’articolo 3” e le parole “dei medesimi articoli” sono sostituite dalle seguenti
“del medesimo articolo”;
d) all’articolo 10-bis, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole “al fine di
procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”;
e) all’articolo 10-ter, comma 1, dopo le parole “nei limiti” sono inserite le seguenti “”e
alle condizioni”;
f) all’articolo 10-quater, comma 1, dopo le parole “nei limiti” sono inserite le seguenti ”e
alle condizioni”;
g) all’art. 11, comma 2, dopo la parola “indica” è inserita la seguente
“fraudolentemente”.
Relazione
L’articolo reca, nell’ambito della revisione del sistema sanzionatorio, modifiche volte a
dare rilievo penale ai comportamenti fraudolenti.
In tale ambito viene soppresso l’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 in materia di infedele
dichiarazione che considera delitto l’infedele dichiarazione – in qualunque modo e senza
particolari artifici – mentre negli articoli 5 e 6 le modifiche sono formali per tener conto di
tale soppressione.
Come noto, il delitto di infedele dichiarazione è prodotto da elementi “oggettivi”, cioè dal
superamento di predeterminate soglie quantitative (espresse in termini di imposta o di
imponibile evaso) che peraltro sono indifferenziate, nel senso che non tengono conto
delle dimensioni economiche dell’impresa. I comportamenti materiali sottostanti possono
essere ascrivibili a cause diverse, sia quando il contribuente non dichiara elementi positivi
di reddito (per esempio, omesse fatturazioni o mancato rilascio di scontrini fiscali), sia
quando include in dichiarazione elementi negativi di reddito non deducibili (ad esempio
non inerenti o non sufficientemente documentati).
Proprio perché nel corso degli anni è stata ritenuta sufficiente qualunque indicazione di
costi non deducibili tali da far diminuire reddito e imposte dichiarate, le denunce penali
per dichiarazione infedele, senza che venisse dimostrato il carattere fraudolento della
violazione commessa, sono state numerose.
La proposta abrogazione dell’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (e le modifiche dei
successivi articoli 5 e 6 per tener conto di tale abrogazione) si inserisce quindi nella logica
11
di correlare le sanzioni penali all’effettiva gravità dei comportamenti, con l’obiettivo di
evitare inutili aggravi di lavoro per la magistratura inquirente, con ciò rimuovendo una
delle più pesanti cause di inefficienza dell’attuale sistema sanzionatorio penale tributario,
e di consentire una più precisa attenzione sui comportamenti effettivamente rilevanti,
perché fraudolenti, simulatori, finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione
falsa, situazioni che, come detto, non caratterizzano l’attuale reato di dichiarazione
infedele. Il crescente numero di notifiche di reato alle procure della Repubblica “in
automatico” per effetto del superamento delle soglie previste per l’infedele dichiarazione,
si sono concluse nella maggior parte dei casi con l’archiviazione per mancanza del
comportamento fraudolento. Tale situazione ha comportato distorsioni ed inefficienze al
sistema che le modifiche introdotte con il presente articolato potranno quindi rimuovere.
Restano ferme naturalmente le sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997
in quanto la proposta di soppressione dell’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 non interferisce in
alcun modo con l’irrogazione di tali sanzioni.
Inoltre vengono previste modifiche agli articoli 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, del D.Lgs. n.
74 del 2000, in materia, rispettivamente, di omesso versamento di ritenute certificate,
omesso versamento di IVA, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte. Per quanto concerne i primi tre articoli le modifiche sono volte
ad introdurre espressamente il carattere di dolo specifico rappresentato dalla specifica
volontà di trarre un vantaggio a proprio beneficio o a beneficio di altri. Per quanto
concerne, invece, l’art. 11 in materia di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte,
nel secondo comma è inserito il carattere della fraudolenza per meglio individuare e
precisare il dolo nel comportamento evasivo.
12
Raddoppio termini di accertamento
1. Nel terzo comma dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre 1972, n. 633, sono aggiunte le seguenti parole: “, a condizione che tale
denuncia sia inviata (o depositata ?) entro i termini previsti dai precedenti commi.”.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano per gli accertamenti notificati a decprrere
dalla data di entrata in vigore del presente decreto nonché per quelli non definitivi a
tale data.
Relazione
I termini entro i quali deve essere esercitata l’azione accertativa dell’Amministrazione
finanziaria sono fissati dagli articoli 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del
1972, rispettivamente ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva. Gli uffici che non
esercitano i propri poteri accertativi entro i termini indicati nelle dette disposizioni
decadono dalla possibilità di esercitarli.
In particolare, l’art. 43 dispone che “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a
pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e' stata
presentata la dichiarazione.
Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione
nulla ai sensi delle disposizioni del Titolo I, l'avviso di accertamento può essere notificato
fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe
dovuto essere presentata”.
Per l’Iva, i termini per l’azione accertativa degli uffici sono disciplinati, con formulazione
del tutto analoga, dall’art. 57, del d.P.R. 633 del 1972.
L’art. 37, commi da 24 a 26, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ha introdotto, nei
citati artt. 43 e 57, un nuovo comma (e precisamente il comma 3), per disporre il
raddoppio dei termini ordinari di accertamento “in caso di violazione che comporta
obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei
reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”.
Per effetto di tali modifiche, gli artt. 43 del d.P.R. n. 600 e 57 del d.P.R. n. 633 consentono
agli uffici dell’Amministrazione finanziaria di emettere avvisi di accertamento in un tempo
doppio rispetto a quello ordinario nel caso in cui, durante la propria attività di verifica, gli
stessi uffici dovessero riscontrare la rilevanza penale di determinati comportamenti ex
D.Lgs. n. 74 del 2000.
La ratio della norma, come precisato nella relazione governativa al provvedimento, è
quella di “garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio di quello
ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dalla autorità
giudiziaria”.
Sulle citate modifiche ai termini dell’azione accertatrice sono sorti diversi problemi
interpretativi alimentati dalla non chiarezza del dato normativo, dalla difficoltà di dare
attuazione alla sua ratio, in un contesto sistematico in cui il procedimento penale e quello
tributario rimangono pur sempre indipendenti e autonomi, e dalla prassi amministrativa
sviluppatasi in sede di accertamento.
La questione più rilevante che la norma proposta intende chiarire è quella relativa
all’utilizzabilità della norma sul raddoppio dei termini per esercitare l’azione di
accertamento anche in relazione ad annualità già definite per effetto della decadenza
13
degli uffici dal proprio potere accertativo. Tale questione è sorta proprio a causa della
prassi degli organi verificatori di avvalersi delle disposizioni introdotte con il decreto-legge
n. 223 del 2006 per riaprire termini di accertamento già scaduti al momento in cui essi
procedono alla verifica dalla quale scaturisce la notitia criminis. Sempre più
frequentemente si assiste, in particolare, alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria di
dare avvio all’accertamento relativo ad una determinata annualità, i cui termini ordinari
risulterebbero già spirati al momento della verifica, sulla base della documentazione
rinvenuta nel corso di altra verifica fiscale riferita ad un diverso periodo di imposta, e ciò
per il solo fatto che al momento in cui viene acquisita la documentazione relativa al
precedente periodo d’imposta i cui termini ordinari di accertamento sono già spirati,
sarebbero ancora potenzialmente pendenti per tale periodo i termini raddoppiati.
??? La Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, ha ritenuto legittimo
il raddoppio dei termini in presenza di fattispecie suscettibili di denuncia, anche se rilevate
dall’ufficio a termini ordinari già scaduti, in quanto si tratterebbe di distinti termini di
accertamento fissati dalla legge, in modo automatico, in presenza di una condizione
oggettiva (la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale per i reati tributari), con ciò
escludendo ogni discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla loro
applicazione. In questa prospettiva sarebbe indifferente che l’obbligo di denuncia penale
sia stato adempiuto entro il termine “breve” o entro il termine “raddoppiato”, perché per
la fattispecie di illecito tributario cui si riconnette l’applicabilità del termine raddoppiato di
accertamento, ad avviso della Corte, non è necessario che il fumus del reato sia rilevato
dall’ufficio nei termini ordinari di accertamento quindi da attività accertative
concretamente iniziate, ad esempio, nell’ottavo anno (o nel decimo anno, in caso di
omessa dichiarazione). ??? potremmo anche evitare di menzionare la Corte Costituzionale
???
E’ evidente che il regime così interpretato determina un effettivo e generale raddoppio
dei termini di accertamento. Ciò in contrasto con un interesse ordinamentale superiore a
quello delle parti in causa; l’interesse, cioè, a che determinati atti ed effetti giuridici si
collochino in un tempo preciso, con la conseguenza che il decorso dei termini in questione
estingue il diritto non esercitato in tali termini. Nel diritto amministrativo, in particolare, la
decadenza derivante dal decorso del tempo risponde all’opportunità di “limitare la durata
del periodo di incertezza del diritto”, in considerazione della “posizione del soggetto nei
cui confronti può essere esercitata l’azione”. Per quanto riguarda, più specificamente, la
materia fiscale, “tutta l’azione impositiva è regolata e limitata nel tempo e quindi
variamente condizionata da termini” che, in relazione al rilievo, nel procedimento
tributario, di tale attività, sono predeterminati dalla legge: in altre parole, la situazione di
“interesse legittimo alla giusta imposizione” nella quale si trova il contribuente è
variamente tutelata proprio attraverso i condizionamenti temporali, in termini di
decadenza, dell’azione accertativa “in ragione di fondamentali esigenze di certezza e di
stabilizzazione” del rapporto tributario.
Se la disposizione introdotta dall’art. 37 del decreto n. 223 viene letta come una riapertura
dei termini per l’accertamento, essa violerebbe proprio l’esigenza di certezza nei rapporti
tra contribuente e Amministrazione finanziaria, in contrasto con l’art. 24 della
Costituzione, in quanto riaprire esercizi già chiusi comporta il rischio di accertare periodi di
imposta per i quali il contribuente potrebbe avere, legittimamente, già distrutto la
documentazione giustificativa e per i quali, quindi, si troverebbe costretto ad affrontare
un giudizio privo di qualsiasi rilevanza documentale. In effetti, si potrebbe a questa
obiezione replicare che, una volta stabilito che per le fattispecie di notitia criminis il
termine ordinario è raddoppiato, automaticamente il contribuente sarebbe tenuto a
conservare le scritture per tale maggior termine. Ma è proprio questo il punto che denota
14
la debolezza di questo assunto, perché tale obbligo sarebbe posto in via generalizzata e
non a seguito della notitia criminis, emersa nell’esplicazione dell’attività di accertamento
entro i termini ordinari di accertamento.
In conclusione, la norma che si propone non sopprime la disposizione relativa al raddoppio
dei termini di accertamento, ma è volta a stabilire che tale raddoppio dei termini deve
ritenersi operante solo a condizione che la denuncia penale intervenga entro i termini
ordinari, previsti dai commi primo e secondo dei predetti articoli 43 e 57 dei dd.P.R. n. 600
del 1973 e n. 633 del 1972.
15
Sequestro conservativo
Al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dopo l’art. 13 è aggiunto il seguente:
“13-bis. Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del presente
decreto, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del
codice penale, salvo il caso in cui il debito tributario relativo ai fatti costitutivi dei delitti
medesimi sia stato estinto mediante pagamento o sia stato accettato il piano di
pagamento rateizzato, anche a seguito di speciali procedure conciliative o di adesione
all’accertamento previste dalle norme tributarie ovvero se risulta estinto per prescrizione
o per decadenza.”.
Relazione
La confisca per equivalente ha la finalità di impedire che l’impiego economico dei beni di
provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era
oggetto specifico del disegno criminoso. La determinazione del profitto suscettibile di
confisca coincide quindi con l’ammontare dell’imposta evasa.
L’art.13 del Dlgs. n. 74/2000 attribuisce al pagamento delle imposte natura di circostanza
attenuante e non causa di estinzione del reato. Conseguentemente ed in linea teorica, la
confisca, cui il sequestro risulta finalizzato, sarebbe irrogabile, come ritenuto da alcune
Procure, anche in presenza dell’avvenuto pagamento del debito d’imposta, dando vita ad
un indebito arricchimento in danno del contribuente.
La norma proposta mira a sancire il principio secondo cui la sanatoria della posizione
debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale che si
intende perseguire con la confisca e, pertanto, la restituzione all’Erario del profitto
derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la
confisca.
Merita osservare, infatti, che in caso contrario si avrebbe una inammissibile duplicazione
sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo cui l’espropriazione definitiva di un
bene non può essere mai superiore al profitto derivato dal reato.
La norma proposta vuole altresì valorizzare la funzione di speciale prevenzione positiva
insita nell’istituto. E’ evidente infatti che in caso di pagamento del debito erariale non
avrebbe alcun senso applicare la confisca, atteso che tramite il versamento dell’evasore
ravveduto verrebbe soddisfatto il credito erariale, e pertanto, eliminata in radice l’offesa
in precedenza arrecata agli interessi economici dello Stato.
16
REVISIONE DEL SISTEMA SANZIONATORIO (AMMINISTRATIVO) – ART. 8
Errori nell’imputazione a periodo dei componenti di reddito
All’art. 1, comma 2, del D. Lgs.vo n. 471 del 1997 è aggiunto, dopo il comma 2-bis, il
seguente comma:
“2 bis 2. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 2 è ridotta ad un
terzo del minimo qualora il maggior reddito derivi dalla violazione delle norme
sull’imputazione temporale dei componenti di reddito di cui all’art. 109 del d.P.R. n. 917
del 1986. Nel caso di rettifica dell’imputazione temporale dei componenti di reddito
operata dal contribuente in un determinato esercizio, l’ufficio tiene direttamente conto
di tale rettifica e compensa le relative posizioni debitorie e creditorie in capo al
contribuente; si applica la sanzione di cui al periodo precedente.”
Relazione
Per evitare che il recupero del componente erroneamente imputato dal contribuente
generi duplicazioni di imposta, l’Agenzia delle entrate (cfr.: circ. n. 23/E del 2010),
uniformandosi all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, ritiene che tale
recupero debba essere adeguatamente controbilanciato dal riconoscimento del diritto
al rimborso delle maggiori imposte, dal contribuente pagate e non dovute, in altri
periodi di imposta.
Per semplificare questo meccanismo, sarebbe opportuno attribuire rilevanza alle
correzioni degli errori di imputazione temporale, così come rilevate in bilancio, e
stabilire che in presenza di tali correzioni non vengono operate dall’ufficio ulteriori
rettifiche ai fini fiscali. In quest’ottica, il riconoscimento fiscale o l’accertamento
dell’errore dovrebbe dar luogo esclusivamente all’applicazione di una sanzione fissata in
misura ridotta rispetto a quella prevista per il caso di infedele dichiarazione, e stabilita
tenendo conto del solo danno erariale conseguente al differimento dell’imposizione.
In senso favorevole alla previsione di una sanzione ridotta possono essere lette le
“aperture” già contenute nell’art. 6, comma 1, del D. Lgs. n. 472 del 1997, che considera
non punibili “le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e
secondo corretti criteri contabili”; nell’art. 7 della legge n. 74 del 2000 secondo cui non
danno luogo a fatti punibili le rilevazioni eseguite nelle scritture contabili e nel bilancio
“in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di
metodi costanti di impostazione contabile”; e nell’art. 10 della legge n. 212 del 2000
(Statuto del contribuente), il quale contiene il principio di non sanzionabilità delle
“violazioni formali senza alcun debito d’imposta”.
17
Riduzione delle sanzioni in caso di costi esposti in fatture oggettivamente inesistenti
All’art. 8 comma 2, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni
dalla legge 26 aprile 2012, n. 44:
a) le parole “dal 25 al 50 per cento” sono sostituite dalle seguenti “dal 10 al 50 per
cento”;
b) Nell’ultimo periodo, dopo le parole “decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.”
sono aggiunte le seguenti “Qualora intervenga una sentenza definitiva di
assoluzione compete il rimborso delle sanzioni versate per effetto del presente
comma”.
Relazione
Il comma 2 dell’art. 8 del DL n. 16/2012 ha previsto che non concorrano alla formazione
del reddito i componenti positivi direttamente afferenti ai componenti negativi relativi a
beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, nei limiti dell’ammontare non
ammesso in deduzione di tali costi come risultanti da fatture attestanti operazioni
oggettivamente inesistenti. Allo stesso tempo, per tali casi, ha introdotto una sanzione dal
25 al 50 per cento commisurata all’importo dei costi indicati in tali fatture.
L’emendamento proposto mira a riequilibrare l’entità della sanzione amministrativa
minima, riducendola dal 25 al 10 per cento. Infatti, tenuto conto che l’aliquota IRES è pari
al 27,5%, una sanzione minima pari al 25% del costo è sostanzialmente analoga alla
indeducibilità del costo stesso. La riduzione al 10% garantirebbe inoltre agli uffici una
maggiore flessibilità nella determinazione della sanzione in ragione delle circostanze
specifiche di ogni fattispecie, in particolare consentendo l’irrogazione di una sanzione più
lieve ai casi in cui la partecipazione del soggetto passivo al compimento dell’illecito sia
esente da dolo o colpa grave.
L’emendamento precisa, inoltre, che nell’ipotesi in cui intervenga una sentenza definitiva
di assoluzione compete il rimborso della sanzione versata. Tale chiarimento è in linea con
quanto previsto dal comma 1 dell’art. 8 con riguardo al rimborso, in caso di assoluzione,
delle maggior imposte e interessi versati in relazione alla non ammissibilità in deduzione
dei costi sostenuti per l’acquisto di beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per
il compimento di atti o atti qualificabili come delitto non colposo.
18
Sanzioni per omissione o inesattezza dei dati statistici degli elenchi intrastat
Il comma 5 dell’articolo 34 del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla
legge 22 marzo 1995, n. 85 è sostituito dal seguente:
“5. Per l'omissione o l’inesattezza dei dati di cui agli articoli 21 e 23 del regolamento CEE n.
3330/91 del Consiglio del 7 novembre 1991, si applicano le sanzioni amministrative
previste dall'articolo 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322. Le sanzioni non si
applicano se i dati mancanti o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di
richiesta”.
Relazione
Per effetto del rinvio all’articolo 11 del d.lgs. n. 322/1989, l’omissione o inesattezza di
dati statistici negli elenchi Intrastat è punita dall’articolo 34, co. 5, del DL n. 41/1995
con sanzione da 516 a 5.164 €. L’onere appare sproporzionato rispetto alla
contestazione. La sanzione, infatti, è applicata per ogni elenco Intrastat compilato
irregolarmente e gli errori seriali, rilevati a distanza di anni, implicano una
moltiplicazione della sanzione.
Si tratta di errori puramente formali che non comportano nessun rilievo tributario e
nessun danno erariale.
La norma proposta ha l’obiettivo di applicare anche per la comunicazione dei dati
statistici l’esimente di cui all’articolo 11, co. 4, ultimo periodo del D.lgs. n. 471/1997, ai
sensi del quale “la sanzione non si applica se i dati mancanti o inesatti vengono integrati
o corretti, anche a seguito di richiesta”.
La proposta normativa non comporta effetti di gettito.
19
RAZIONALIZZAZIONE DELLA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI IMPRESA E DELLA
PRODUZIONE NETTA – ART. 12
Sopravvenienze attive e deducibilità delle perdite su crediti
1. L’articolo 101, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con Decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è sostituito con il seguente:
“5. Fermi restando i criteri indicati nell’art. 109 del TUIR, le perdite di beni di cui al comma
1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti, diverse da
quelle deducibili ai sensi del comma 3 dell’articolo 106, sono deducibili a partire dal
periodo di imposta nel corso del quale esse risultano da elementi certi e precisi e in ogni
caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha
concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o è assoggettata a procedure estere equivalenti.
Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura
concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento
che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla
procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione dell'accordo di
ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi ovvero, per le procedure estere equivalenti, dalla data di
ammissione. Gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di
modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del
credito stesso. Il credito si considera di modesta entità quando l’importo residuo ancora
dovuto, al momento della risoluzione del rapporto contrattuale, ammonta ad una somma
non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all'articolo
27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre
imprese. Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del
credito è prescritto o il credito è oggetto di altri atti dispositivi. Gli elementi certi e precisi
sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione
dei principi contabili.”
2. L’articolo 88, comma 4, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con Decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è sostituito con il seguente:
“4. Non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a
fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1,
lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, nè gli apporti effettuati dai
possessori di strumenti similari alle azioni, nè la riduzione dei debiti dell'impresa in sede
di concordato fallimentare o preventivo o di procedure estere equivalenti o per effetto
della partecipazione delle perdite da parte dell'associato in partecipazione. In caso di
accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67,
lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese o
di procedure estere equivalenti a queste, la riduzione dei debiti dell'impresa non
costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di
periodo, di cui all'articolo 84.”
20
Relazione
L’art. 33, comma 4, del D.L. n. 83/2012 (c.d. “Decreto Crescita”) ha modificato, tra l’altro,
l’art. 101, comma 5 del TUIR in tema di deducibilità delle perdite su crediti, attribuendo
rilevanza “automatica” alle perdite realizzate nel contesto di accordi di ristrutturazione dei
debiti omologati ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, come già previsto per le
procedure concorsuali.
Le modifiche, tuttavia, non hanno preso in considerazione analoghi accordi previsti da
legislazioni di Stati esteri.
Ad esempio, la procedura fallimentare di ristrutturazione societaria denominata "Chapter
11" prevista dal Federal Bankruptcy Code degli Stati Uniti d'America, risulta del tutto
equivalente agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942.
Infatti, tale procedura prevede la predisposizione di un piano di rimborso dei debiti intero
o parziale per consentire al debitore di continuare la gestione delle attività e di
riorganizzare l'impresa. Il piano di ristrutturazione viene convalidato dal tribunale
fallimentare che ammette l'impresa alla procedura solo quando valuta che l’impresa
stessa abbia la possibilità di superare la fase di illiquidità senza causare un pregiudizio ai
creditori, ottenendo un risultato superiore alla immediata liquidazione dell'impresa.
Il mancato riferimento a procedure estere equivalenti, pertanto, preclude la possibilità per
il creditore italiano di dedurre le perdite su crediti derivanti dallo stralcio parziale o totale
dei debiti disposto nell’ambito di procedure concorsuali estere.
Al fine di eliminare tale anomalia, il comma 1 della presente proposta normativa, inserisce
nell’art. 101, comma 5 del Tuir, il riferimento alle “procedure estere equivalenti” delle
procedure concorsuali (lett. a), prevedendo che la presunzione dei requisiti di certezza e
precisione operi a decorrere dalla data di ammissione alla procedura stessa (lett.b). In tal
modo, si conferma il principio che per poter dedurre le perdite su crediti, già nell'esercizio
di apertura di una procedura concorsuale, è necessario verificare che il debitore estero sia
assoggettato, secondo l'ordinamento del Paese di appartenenza, ad una procedura
concorsuale assimilabile a quelle indicate nell’art. 101, co. 5, Tuir.
Il comma 2, modifica l’art. 88, comma 4, Tuir concernente la non rilevanza delle
sopravvenienze attive relative a riduzioni di debito operate in procedure estere
equivalenti agli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis della legge fallimentare. Ciò per
le stesse motivazioni indicate a commento dell’art. 101, comma 5, Tuir.
21
Rettifica IVA crediti non riscossi
Versione 1
1.
Nell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, i commi secondo, terzo, quarto e quinto sono sostituiti dai seguenti:
“Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla
registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce
l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento,
revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni
o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha
diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla
variazione, registrandola a norma dell’articolo 25. Nel caso di risoluzione contrattuale,
relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento,
la facoltà di cui al precedente periodo si intende applicabile a quelle cessioni e a quelle
prestazioni per cui alternativamente il cedente, il prestatore, il cessionario o il
committente non abbia correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
La disposizione di cui al primo periodo del secondo comma si applica anche in caso di
mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:
a)
a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura
concorsuale o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai
sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il debitore si
considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza
dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta
amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato
preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi o del decreto di omologazione dell'accordo di
ristrutturazione;
b)
quando, avendo il cedente o prestatore avviato una procedura esecutiva, questa
sia risultata infruttuosa;
c)
quando comunque si tratti di fatture relative a corrispettivi di modesta entità per
le quali sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del termine di pagamento
22
del corrispettivo. I corrispettivi si considerano di modesta entità quando l’importo
degli stessi, risultante dalla fattura, sia, al lordo dell’imposta sul valore aggiunto,
non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui
all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro
per gli altri soggetti.
La disposizione di cui al primo periodo del secondo comma non può essere applicata
dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli
eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e
possono essere applicate, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di
inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21,
comma 7.
Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al secondo comma, il
cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo
25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24,
salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo
di rivalsa. L’obbligo di cui al periodo precedente non si applica nel caso di cui alla
lettera a) del terzo comma.
Nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al terzo comma, il corrispettivo sia
pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al primo comma. In tal caso,
il cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di cui al quinto comma,
primo periodo, ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta
corrispondente alla variazione in aumento.
La correzione di errori materiali o di calcolo nelle registrazioni di cui agli articoli 23,
25 e 39 e nelle liquidazioni periodiche di cui agli articoli 1 del decreto del Presidente
della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100, e all’articolo 7 del decreto del Presidente
della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542, deve essere fatta, mediante annotazione delle
variazioni dell’imposta in aumento nel registro di cui all’articolo 23 e delle variazioni
dell’imposta in diminuzione nel registro di cui all’articolo 25. Con le stesse modalità
devono essere corretti, nel registro di cui all’articolo 24, gli errori materiali inerenti
alla trascrizione di dati indicati nelle fatture o nei registri tenuti a norma di legge.
23
Le variazioni di cui al secondo, al terzo, al quarto e al quinto comma e quelle per
errori di registrazione di cui al settimo comma possono essere effettuate dal cedente o
prestatore del servizio e dal cessionario o committente anche mediante apposite
annotazioni in rettifica rispettivamente sui registri di cui agli articoli 23 e 24 e sul
registro di cui all’articolo 25.”.
2.
La disposizione di cui all’articolo 26, terzo comma, lettera a), del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle procedure
concorsuali avviate dal 1°gennaio 2010.
3.
La disposizione di cui all’articolo 26, terzo comma, lettera c), del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle operazioni
effettuate dal 1°gennaio 2010.
4.
La disposizione di cui all’articolo 26, sesto comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle procedure concorsuali di
cui al comma 2 e alle operazioni di cui al comma 3.
24
Versione 1-bis
1.
Nell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, i commi secondo, terzo, quarto e quinto sono sostituiti dai seguenti:
“Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla
registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce
l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento,
revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni
o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha
diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla
variazione, registrandola a norma dell’articolo 25. Nel caso di risoluzione contrattuale,
relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento,
la facoltà di cui al precedente periodo non si estende a quelle cessioni e a quelle
prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano
correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
La disposizione di cui al primo periodo del secondo comma si applica anche in caso di
mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:
a)
a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura
concorsuale o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai
sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il debitore si
considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza
dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta
amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato
preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria
delle grandi imprese in crisi o del decreto di omologazione dell'accordo di
ristrutturazione;
b)
quando, avendo il cedente o prestatore avviato una procedura esecutiva, questa
sia risultata infruttuosa;
c)
quando comunque si tratti di fatture relative a corrispettivi di modesta entità per
cui sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del termine di pagamento del
corrispettivo. I corrispettivi si considerano di modesta entità quando l’importo
degli stessi, risultante dalla fattura, sia, al lordo dell’imposta sul valore aggiunto,
25
non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui
all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro
per gli altri soggetti.
La disposizione di cui al primo periodo del secondo comma non può essere applicata
dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli
eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e
possono essere applicate, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di
inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21,
comma 7.
Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al secondo comma, il
cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo
25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24,
salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo
di rivalsa. L’obbligo di cui al periodo precedente non si applica nel caso di cui alla
lettera a) del terzo comma.
Nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al terzo comma, il corrispettivo sia
pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al primo comma. In tal caso,
il cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di cui al quinto comma,
primo periodo, ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta
corrispondente alla variazione in aumento.
La correzione di errori materiali o di calcolo nelle registrazioni di cui agli articoli 23,
25 e 39 e nelle liquidazioni periodiche di cui agli articoli 1 del decreto del Presidente
della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100, e all’articolo 7 del decreto del Presidente
della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542, deve essere fatta, mediante annotazione delle
variazioni dell’imposta in aumento nel registro di cui all’articolo 23 e delle variazioni
dell’imposta in diminuzione nel registro di cui all’articolo 25. Con le stesse modalità
devono essere corretti, nel registro di cui all’articolo 24, gli errori materiali inerenti
alla trascrizione di dati indicati nelle fatture o nei registri tenuti a norma di legge.
Le variazioni di cui al secondo, al terzo, al quarto e al quinto comma e quelle per
errori di registrazione di cui al settimo comma possono essere effettuate dal cedente o
26
prestatore del servizio e dal cessionario o committente anche mediante apposite
annotazioni in rettifica rispettivamente sui registri di cui agli articoli 23 e 24 e sul
registro di cui all’articolo 25.”.
2.
La disposizione di cui all’articolo 26, terzo comma, lettera a), del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle procedure
concorsuali avviate dal 1°gennaio 2010.
3.
La disposizione di cui all’articolo 26, terzo comma, lettera c), del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle operazioni
effettuate dal 1°gennaio 2010.
4.
La disposizione di cui all’articolo 26, sesto comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dal comma 1 del presente articolo, si applica alle procedure concorsuali di
cui al comma 2 e alle operazioni di cui al comma 3.
Relazione
Si propone un adeguamento dell’attuale testo dell’articolo 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633, per superare le attuali criticità della disciplina. Infatti, in caso di mancato
pagamento dei crediti – specie di importo modesto – le disposizioni vigenti
nell’ordinamento domestico rendono l’IVA addebitata dal cedente o prestatore
sostanzialmente non recuperabile. Tale assetto non appare idoneo a garantire il rispetto di
uno dei principi essenziali che presiedono al funzionamento dell’IVA: il principio di
neutralità.
Nello specifico, la proposta normativa cerca anzitutto di distinguere le variazioni da
risoluzione – che l’articolo 90 della direttiva 2006/112/CE impone agli Stati membri di
concedere – e quelle da mancato pagamento, disciplinandole in due commi diversi
dell'articolo 26.
Per le variazioni da risoluzione, con specifico riferimento ai contratti a esecuzione
continuata e periodica (ultimo periodo del proposto nuovo secondo comma dell’articolo
26), si chiarisce che, in caso di risoluzione relativa a contratti a esecuzione continuata o
periodica, conseguente ad inadempimento alternativamente del cessionario o
committente, la facoltà di emissione della nota di variazione si applica per la “coppia” di
prestazioni per cui l'inadempimento ha generato la risoluzione contrattuale, non
potendosi estendere a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui il cessionario o
committente abbia correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
Le disposizioni più marcatamente innovative sono previste al nuovo terzo comma e
riguardano le procedure concorsuali e i crediti di minore importo. La proposta mira
27
sostanzialmente a replicare (con i dovuti adattamenti) l’impostazione adottata ai fini delle
imposte sui redditi.
In particolare, per le procedure concorsuali (articolo 26, terzo comma, lettera a) si prevede
la possibilità di emettere la nota di variazione da parte del cedente o prestatore a partire
dalla data in cui il cessionario o committente sia “assoggettato” a una procedura
concorsuale, o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi
dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Per l’individuazione del
momento in cui il cessionario o committente si considera assoggettato a una procedura
concorsuale, assume rilievo la data della sentenza dichiarativa del fallimento o del
provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di
ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto di omologazione
dell'accordo di ristrutturazione o del decreto che dispone la procedura di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Con tale disposizione si evita che il cedente o prestatore debba attendere la chiusura
infruttuosa della procedura concorsuale per poter emettere la nota di variazione,
potendo, questa ora essere emessa già dopo l’assoggettamento a procedura del
cessionario o committente.
Con riferimento ai crediti di modesta entità (articolo 26, terzo comma, lettera c), si
stabilisce che il cedente o prestatore possa emettere la nota di variazione in caso di
mancato pagamento, qualora sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del
termine di pagamento del corrispettivo. Il corrispettivo si considera di modesta entità
quando l’importo dello stesso, risultante dalla fattura, sia, al lordo dell’imposta sul valore
aggiunto, non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui
all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre
imprese
La disposizione, a differenza di quanto previsto dalle corrispondenti previsioni in materia
di imposte sui redditi, chiarisce che l’importo di riferimento va considerato per singola
fattura e al lordo dell’IVA.
Nessuna modifica sostanziale è apportata all’attuale disciplina (articolo 26, terzo comma,
lettera b) di emissione delle note di variazione a seguito di procedure esecutive individuali.
Un’ulteriore modifica significativa, rispetto al testo dell’articolo 26 attualmente vigente, è
prevista all’ultimo periodo del quinto comma dell’articolo 26 qui proposto. Tale norma
concerne l’obbligo da parte del cessionario o committente di registrare, ai sensi
dell’articolo 23 o dell’articolo 24 del DPR n. 633 del 1972, la variazione operata dal
cedente o prestatore. In attuazione dell’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva
2006/112/CE, secondo cui la rettifica della detrazione operata dal cessionario o
committente non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate,
si prevede ora che, per le note di variazione emesse a seguito dell’assoggettamento a
procedure concorsuali, il cessionario o committente assoggettato a procedura non sia
obbligato a effettuare la corrispondente variazione, in rettifica della detrazione
originariamente operata. In questa specifica fattispecie, infatti, il cessionario o
committente non è più obbligato alla registrazione della nota di credito emessa dal
cedente o prestatore.
Nel proposto nuovo sesto comma, poi, si stabilisce che – ove il soggetto che si è avvalso
della procedura di variazione in diminuzione per mancato pagamento sia successivamente
28
pagato, in tutto o in parte, dal proprio cessionario o committente – si debba procedere
alla variazione in aumento per riversare l’imposta corrispondente all’importo pagato.
La proposta normativa stabilisce, infine, una specifica decorrenza per le misure di
carattere innovativo. In particolare:
1. con riferimento alle note di variazione emesse a seguito del mancato
pagamento dovuto all’assoggettamento a procedure concorsuali (articolo 26,
terzo comma, lettera a), si dispone che le nuove regole si applichino alle
procedure concorsuali avviate dal 1° gennaio 2010;
2. con riguardo alle note di variazione emesse a seguito del mancato pagamento
relativo a corrispettivi di modesta entità (articolo 26, terzo comma, lettera c), si
prescrive l’applicazione delle nuove disposizione alle operazioni effettuate dal
1° gennaio 2010;
3. con riguardo all’obbligo di riversare l’imposta a seguito del pagamento da parte
del cessionario o committente dopo che il cedente o prestatore si è avvalso
della variazione in diminuzione per mancato pagamento (articolo 26, sesto
comma), si dispone che tale obbligo si applichi alle procedure concorsuali e alle
operazioni di cui ai precedenti numeri 1 e 2.
29
Frazionamento periodo di imposta
1. Nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917
il comma 2 è sostituito dal seguente:
“2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti, oltre alle persone iscritte nelle
anagrafi della popolazione residente, coloro che hanno nel territorio dello Stato il
domicilio ai sensi del codice civile o vi dimorano per la maggior parte del periodo
d’imposta.”
Alternativa comma 1
Per il concetto di residenza delle persone fisiche si interviene anche sul requisito della
iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente trasformandolo – per coerenza con i
criteri civilistici e le nome degli altri ordinamenti – in presunzione relativa.
1. Nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 il
comma 2 è sostituito dal seguente:
“2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che hanno nel
territorio dello Stato il domicilio ai sensi del codice civile o vi dimorano per la maggior
parte del periodo d’imposta. Salvo prova contraria si considerano, altresì residenti, le
persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente.”
2. All’articolo 5, comma 3, lett. d) del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917 le parole “per la maggior parte del periodo d’imposta” sono soppresse.
3. All’articolo 73 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 il
comma 3 è sostituito dal seguente:
“3. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che hanno
la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello
Stato”.
Relazione
La formulazione attuale delle norme che disciplinano la residenza nel territorio dello Stato
nel periodo d’imposta dei soggetti passivi ai fini delle imposte sui redditi attribuisce
rilevanza all’elemento temporale: considera cioè residenti i soggetti (persone fisiche,
società ed enti) per quali si verificano “per la maggior parte del periodo d’imposta” le
condizioni previste (ad esempio, per le persone fisiche, l’iscrizione nelle anagrafi della
popolazione residente o il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile), per cui tali
soggetti non si considerano residenti nell’anno se tali condizioni sono cessate nel corso del
primo semestre (ad esempio il 30 giugno) mentre si considerano residenti per l’intero
anno se le condizioni stesse sono cessate nel corso del secondo semestre (ad esempio il 3
luglio).
Tale criterio determina frequentemente ipotesi di doppia tassazione o doppia esenzione
anche perché gli altri ordinamenti prevedono (anche nelle Convenzioni) che la residenza si
acquisisca o si perda istantaneamente con il trasferimento nel territorio dello Stato o fuori
di esso. Peraltro rilevanti problemi subisce il sostituto che è tenuto ad individuare
istantaneamente quale sia la residenza di un soggetto, al fine della applicazione di imposte
sostitutive o ritenute su fattispecie connesse ad eventi puntuali.
30
Pone, inoltre, problemi di applicazione dell’art. 166 del TUIR (trasferimento all’estero della
residenza, c.d. exit tax). Infatti, quando una società trasferisce all’estero la residenza, ad
esempio, nel corso del secondo semestre, non avendo ancora perso la residenza (perché
la perderà il prossimo periodo d’imposta) non dovrebbe essere assoggettata ad exit tax
ma alla fine dell’anno, quando perde la residenza non è più soggetto passivo d’imposta e
quindi non sarebbe più tenuto ad applicare la exit tax.
Si propone, pertanto, di modificare le norme relative alle condizioni per individuare la
residenza, ripristinando in sostanza i criteri previsti dal D.P.R. n. 597 e del DPR n. 598 del
1973 in tema di residenza.
In tal modo la residenza si perde e si acquisisce in modo istantaneo, al verificarsi delle
condizioni previste dalla norma, indipendentemente dal fatto che esse vi verifichino nel
corso del primo o del secondo semestre del periodo d’imposta.
31
CFC e COLLEGATE - Versione n. 1
1. I commi 5 e 5-bis dell’articolo 167 del Decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917 sono sostituiti dai seguenti:
“5. Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra,
alternativamente, che:
a) la società o altro ente non residente svolge un’effettiva attività industriale o
commerciale, come sua principale attività nello Stato o territorio di insediamento;
b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o
territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
emanato ai sensi dell’articolo 168-bis.
Per i fini di cui al presente comma il contribuente può interpellare
l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.
212, recante lo statuto dei diritti del contribuente.
5-bis. La previsione di cui alla lettera a) del comma 5 non si applica qualora i
proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50 per
cento dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni,
crediti o altre attività finanziarie e dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti
immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica.”.
2. I commi 8-bis e 3-ter 167 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917 sono sostituiti dai seguenti:
“8-bis. La disciplina di cui al comma 1 trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i
soggetti controllati ai sensi dello stesso comma sono localizzati in stati o territori diversi
da quelli ivi richiamati, qualora ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) sono assoggettati a tassazione con un’aliquota nominale inferiore al 50 per
cento dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società applicabile in Italia o sono
soggetti ad un regime speciale che prevede un livello di tassazione sostanzialmente
inferiore a quello del regime generale;
b) oltre il 30 per cento dei proventi conseguiti rientra in una o più delle seguenti
categorie di reddito:
1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attività finanziarie;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e reddito derivanti dalla cessione di azioni;
4) reddito da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie.
Per i fini di cui al presente comma, si assumono solo le categorie di reddito i cui proventi
derivano per oltre il 50 per cento da operazioni con il soggetto controllante o con imprese
che sono controllate dallo stesso soggetto.
8-ter. Le disposizioni del comma 8-bis non si applicano se il soggetto residente dimostra
che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a
conseguire un indebito vantaggio fiscale. Ai fini del presente comma il contribuente può
interpellare l’amministrazione finanziaria secondo le modalità indicate nel precedente
comma 5.”.
3. L’articolo 168 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
abrogato”.
32
Relazione
 Per uscire dal regime CFC l’onere continua a rimanere a carico contribuente, ma
l’interpello diventa facoltativo (sia per comma 5 che per comma 8-ter)
 Rimane il doppio regime CFC di black list e white list
 Viene eliminato al comma 5 il riferimento al “mercato” e al comma 5- bis i
compensi da prestazioni di servizio infragruppo.
 Viene riscritto completamente il comma 8-bis, in base a indicazione Commissione
nella proposta di direttiva CCCTB
33
Rimpatrio dei dividendi da paesi a fiscalita’ privilegiata – Versione 1
1. Il comma 4 dell’articolo 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917 è sostituito dal seguente:
“4. Nonostante quanto previsto dai commi precedenti, concorrono integralmente alla
formazione del reddito imponibile gli utili provenienti dai soggetti di cui all'articolo 73,
comma 1, lettera d), controllati (o collegati ??), direttamente o indirettamente, anche
tramite società fiduciarie o per interposta persona, residenti in Stati o territori diversi
da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi
dell'articolo 168-bis, salvo i casi in cui gli stessi non siano già stati imputati al socio ai
sensi del comma 1 dell’articolo 167 o sia avvenuta dimostrazione di almeno una delle
condizioni di cui al comma 5 dello stesso articolo 167, a seguito dell'esercizio
dell'interpello secondo le modalità della lettera b) di tale comma 5. Le disposizioni del
periodo precedente si applicano anche alle remunerazioni di cui all'articolo 109,
comma 9, lettera b), relative a contratti stipulati con associanti residenti nei predetti
Paesi o territori e in ogni caso agli utili relativi a tali contratti che non soddisfano le
condizioni di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo.”
2. Il comma 3 dell’articolo 89, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917 è sostituito dal seguente:
“3. Qualora si verifichi la condizione di cui all'articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo
periodo, l'esclusione di cui al comma 2 si applica agli utili provenienti dai soggetti di
cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), e alle remunerazioni derivanti da contratti di
cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), stipulati con tali soggetti residenti negli Stati
o territori di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi
dell' articolo 168-bis, o, se tali soggetti non siano ivi residenti e siano controllati (o
collegati ??), direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per
interposta persona, sia avvenuta dimostrazione di almeno una delle condizioni di cui
al comma 5 dell’articolo 167, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le
modalità della lettera b) di tale comma. Concorrono in ogni caso alla formazione del
reddito per il loro intero ammontare gli utili relativi ai contratti di cui all' articolo 109,
comma 9, lettera b), che non soddisfano le condizioni di cui all' articolo 44, comma 2,
lettera a), ultimo periodo.”
3. La lettera c) dell’articolo 87, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917 è sostituita dalla seguente:
“c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio di cui al decreto
del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, o, se
ivi non residenti, l’avvenuta dimostrazione di almeno una delle condizioni di cui al
comma 5 dell’articolo 167, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le modalità
della lettera b) di tale comma;”
Relazione
L’attuale regime fiscale dei dividendi provenienti da Stati a fiscalità privilegiata è
suscettibile di generare fenomeni di doppia imposizione che non trovano rimedio
nell’ordinamento vigente.
34
Come noto, al ricorrere dei presupposti previsti dall'art. 167 del TUIR, l'applicazione
delle previsioni ivi contenute comporta la tassazione per trasparenza in Italia dei redditi
conseguiti dal soggetto estero partecipato residente o localizzato in Stati o territori a
regime fiscale “privilegiato” (si ricorda in proposito che, nelle more dell’emanazione del
decreto ministeriale contenente l’elenco dei Paesi “virtuosi” richiamato dall'art. 168-bis
del DPR n. 917/86 - c.d. “white list” - risulta ad oggi applicabile il D.M. 21 novembre
2001 contenente l’elenco degli Stati a regime fiscale privilegiato, la c.d. “black list”).
La tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalla controllata estera black list viene
meno nel caso in cui il soggetto controllante residente invochi la disapplicazione della
disciplina in esame dimostrando la sussistenza di almeno una delle condizioni previste
dal comma 5 dell'art. 167 del TUIR (c.d. “esimenti”):
 la “prima esimente” si verifica quando il soggetto controllante residente dimostra
che la partecipata estera svolge un'effettiva attività industriale o commerciale, come
sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento (art. 167,
comma 5, lett. a), primo periodo, del TUIR;
 la “seconda esimente” ricorre quando il soggetto controllante residente dimostra
che dal possesso delle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in
Stati o territori black list (art. 167, comma 5, lett. b) del TUIR).
La disapplicazione del regime CFC rileva ai fini della parziale detassazione dei dividendi
provenienti dalle controllate black list e delle plusvalenze realizzate su azioni o quote di
partecipazione nei predetti soggetti, solo ove sussista la seconda esimente,
consentendo, in capo al soggetto controllante residente, di fruire dell’esclusione
parziale da imposizione in Italia dei dividendi (c.d. “dividend exemption”, cfr. artt. 47,
comma 4 e 89, comma 3, del TUIR) e dell’esenzione parziale delle plusvalenze da
realizzo (c.d. “participation exemption”, cfr. art. 87 del TUIR).
Diversamente concorrono per intero alla formazione del reddito imponibile del soggetto
residente i dividendi distribuiti da una partecipata black list, nonché le plusvalenze da
realizzo della partecipazione stessa, in relazione alla quale il medesimo soggetto abbia
ottenuto la disapplicazione della normativa di cui al citato articolo 167 a seguito della
dimostrazione della “prima esimente”.
Alla luce di quanto precede, il soggetto controllante residente, che a seguito di
interpello favorevole basato sull’esercizio effettivo di un’attività economica da parte
della controllata nel Paese o territorio black list (“prima esimente”), è esonerato
dall’obbligo di tassare il reddito estero per trasparenza, ma resta nondimeno tenuto ad
assoggettare a tassazione integrale gli utili distribuiti dalla propria controllata, con
l’effetto di una doppia imposizione, senza il beneficio del credito d’imposta per le
imposte pagate all’estero; parimenti, lo stesso contribuente non potrà usufruire della
participation exemption in sede di realizzo della partecipazione.
Tenuto conto dell’avvenuta dimostrazione, tramite l’istanza di interpello di cui all’art.
167, comma 5, lett. a), del TUIR, delle apprezzabili ragioni economiche che giustificano
la presenza nello Stato estero di un’attività d’impresa svolta dalla controllata, non si
comprende la ragione di penalizzare il soggetto controllante italiano sottoponendo a
tassazione integrale il reddito di fonte estera (dividendi o plusvalenza).
E’ quindi necessaria una soluzione normativa che, valorizzando la genuinità delle ragioni
sottostanti all’insediamento all’estero, come previsto dall’art. 167, comma 5, lett. a),
consenta di evitare un’ingiustificata doppia tassazione economica. Per ragioni di ordine
35
sistematico, tale soluzione dovrà valere sia ai fini della tassazione dei dividendi che ai
fini della tassazione dei capital gain.
La proposta di modifica dell’art. 47, comma 4, e dell’art. 89, comma 3, del TUIR, è tesa a
circoscrivere la penalizzazione derivante dall’assoggettamento integrale a tassazione in
Italia degli utili provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata ai soli casi di rapporto di
controllo (o di collegamento ?), diretto e indiretto, salvo la dimostrazione di almeno una
delle condizioni esimenti previste dall’art. 167, comma 5, del TUIR.
Sono quindi esclusi da tale penalizzazione i casi di partecipazione minoritaria, nei quali per
definizione non può ravvisarsi un intento elusivo del contribuente, non essendo la volontà
di quest’ultimo determinante ai fini della delocalizzazione dell’attività. Sarebbe peraltro,
sproporzionato imporre anche a tali soggetti l’obbligo di dimostrare la sussistenza di una
delle condizioni esimenti;
Analoga modifica riguarda l’art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR, che estende l’applicazione
della participation exemption a tutti i casi in cui, ferme restando le altre condizioni
richieste dal predetto articolo, sia dimostrata almeno una delle due condizioni esimenti
previste dal comma 5 del citato articolo 167 per la disapplicazione delle disposizioni di cui
allo stesso articolo; attualmente, infatti, il regime della participation exemption risulta
accessibile, nel caso di partecipate black list, soltanto se viene ottenuto il riconoscimento
della sussistenza della “seconda esimente” (lett. b) del comma 5 del citato art. 167). Si
vuole pertanto equiparare, ai fini dell’esenzione IRES delle plusvalenze derivanti
dall’alienazione di partecipazioni in società residenti in Stati o territori a regime fiscale
privilegiato, la situazione dei contribuenti che ottengono la disapplicazione delle
disposizioni cui all’art. 167 del TUIR, a nulla rilevando quale delle condizioni esimenti sia
stata con successo invocata dal contribuente.
36
CFC e COLLEGATE - Versione n.2
1. L’articolo 167 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
sostituito dal seguente:
“Art. 167. Disposizioni in materia di imprese, società o altri enti esteri controllati
1. Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche
tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di
una società o di altro ente estero, i redditi conseguiti dal soggetto estero
partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di
gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle
partecipazioni da essi detenute, qualora:
a) l’impresa, la società o altro ente estero sia residente o localizzato in Stati o
territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis o sia residente o localizzato in
altri Stati o territori, nei quali è assoggettato a tassazione con un’aliquota
nominale inferiore al 50 per cento dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle
società applicabile in Italia o sia soggetto ad un regime speciale che prevede un
livello di tassazione sostanzialmente inferiore a quello del regime generale;
b) oltre il 30 per cento dei proventi conseguiti rientra in una o più delle seguenti
categorie di reddito :
1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attività finanziarie;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e reddito derivanti dalla cessione di azioni;
4) reddito da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie. Per i fini
di cui al presente comma, si assumono solo le categorie di reddito i cui proventi
derivano per oltre il 50 per cento da operazioni con il soggetto controllante o
con imprese che sono controllate dallo stesso soggetto.
2. Le disposizioni dei precedenti commi si applicano alle persone fisiche residenti e ai
soggetti di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lett . a), b) e c).
3. Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica
l'articolo 2359 del codice civile, in materia di società controllate e società
collegate
4. I redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono
assoggettati a tassazione separata con l'aliquota media applicata sul reddito
complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento. I
redditi sono determinati in base alle disposizioni del titolo I, capo VI, nonché degli
articoli 96, 96-bis (7), 84, 111 e 112; non si applicano le disposizioni di cui agli
articoli 86, comma 4, e 102, comma 3. Dall'imposta così determinata sono
ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, le imposte pagate all'estero a
titolo definitivo.
37
5. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al
comma 1 non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino
all'ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo
comma 1, anche negli esercizi precedenti. Le imposte pagate all'estero, sugli utili
che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo del
presente comma, sono ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, fino a
concorrenza delle imposte applicate ai sensi del comma 6, diminuite degli importi
ammessi in detrazione per effetto del terzo periodo del predetto comma.
6. Le disposizioni del comma 1 non si applicano, se il soggetto residente dimostra,
alternativamente, che:
a) la società o altro ente non residente svolge un’effettiva attività industriale o
commerciale, come sua principale attività nello Stato o territorio di
insediamento;
b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o
territori in cui sono assoggettati ad un livello complessivo di tassazione
notevolmente più basso di quello applicabile nel territorio dello stato.
Per i fini di cui al presente comma il contribuente può interpellare preventivamente
l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.
212, recante lo statuto dei diritti del contribuente.
7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora l’impresa, la società o
l’ente estero, residente o localizzato negli Stati appartenenti all’Unione europea o
aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato
scambio di informazioni, non rappresenta una costruzione artificiosa volta a
conseguire un indebito vantaggio fiscale.
8. Si applica in quanto compatibile il decreto del Ministro delle finanze 21 novembre
2001, n. 429.”.
2. L’articolo 168 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
abrogato.
Relazione
 CFC unica per tutto il mondo, esclusi i paesi UE e SEE con effettivo scambio di
partecipazioni in cui il regime scatta solo in presenza di costruzioni di puro artificio
 Si entra nel regime CFC solo a determinate condizioni. Questo rovesciamento di
impostazione consente di trasferire sulla Amministrazione finanziaria l’onere di
provare, in sede di controllo, il verificarsi delle condizioni di applicabilità del regime
di trasparenza.
38
CFC e COLLEGATE - Versione n.3
1. L’articolo 167 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
sostituito dal seguente:
“Art. 167. Disposizioni in materia di imprese, società o altri enti esteri controllati
1. La base imponibile del soggetto residente partecipante include il reddito non
distribuito di un’impresa, società o altro ente partecipato residente all’estero,
qualora siano soddisfatte le condizioni seguenti:
a) un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche
tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo dell’entità
estera;
b) nell’ambito del regime generale di tale paese terzo i profitti sono tassabili con
un’aliquota nominale inferiore al 50 per cento dell’aliquota dell’imposta sul
reddito delle società applicabile in Italia o l’entità è soggetta ad un regime
speciale che prevede un livello di tassazione sostanzialmente inferiore a quello
del regime generale;
c) oltre il 30 per cento dei proventi conseguiti dall’entità rientra in una o più
categorie di reddito di cui al comma 3;
d) non si tratta di una società la cui principale categoria di azioni è negoziata in un
mercato regolamentato.
2. Tranne che non sia ravvisabile una costruzione di puro artificio, le disposizioni del
comma 1 non si applicano qualora il paese estero sia un paese membro dell’Unione
europea o un paese aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo, con il
quale l’Italia abbia stipulato un accordo che consenta un effettivo scambio di
informazioni.
3. Le seguenti categorie di reddito sono prese in considerazione, ai fini del comma 1,
lettera c), nella misura in cui oltre il 50 per cento della categoria derivi da
operazioni con il soggetto residente o le sue imprese associate:
a)
b)
c)
d)
interessi o qualsiasi altro reddito generato da attività finanziarie;
canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
dividendi e plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni (solo di trading??);
reddito da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie.
4. Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica
l’articolo 2359 del codice civile.
5. I redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla
chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero compartecipato, ai
soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali
disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti
relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni che presentino i
requisiti di cui alla lettera b) del comma 1.
39
6. I redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono
assoggettati a tassazione separata con l'aliquota media applicata sul reddito
complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento. I
redditi sono determinati in base alle disposizioni del titolo I, capo VI, nonché degli
articoli 96, 96-bis (7), 84, 111 e 112; non si applicano le disposizioni di cui agli
articoli 86, comma 4, e 102, comma 3. Dall'imposta così determinata sono
ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, le imposte pagate all'estero a
titolo definitivo.
7. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma
1 non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino
all'ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo
comma 1, anche negli esercizi precedenti. Le imposte pagate all'estero, sugli utili
che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo del
presente comma, sono ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, fino a
concorrenza delle imposte applicate ai sensi del comma 6, diminuite degli importi
ammessi in detrazione per effetto del terzo periodo del predetto comma.
8. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto 21 novembre 2001, n.
429.”.
2. L’articolo 168 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è
abrogato.”.
Relazione
Versione più conforme al testo della proposta di direttiva CCCTB COM(2011) 121 marzo
2011
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Modifiche alla disciplina sui costi verso i paradisi fiscali
Nell’articolo 110 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 10 è sostituito dal seguente: “10. Non sono ammessi in deduzione le
spese e gli altri componenti negativi derivanti da prestazioni di servizi resi da
imprese residenti o localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella
lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. Tale
deduzione è ammessa per le prestazioni di servizi rese da imprese residenti o
localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi
nella lista di cui al citato decreto.”;
b) al comma 11, primo periodo, sono aggiunte le seguenti parole “o, in alternativa,
che il valore normale dei servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, sia non
inferiore al corrispettivo pattuito”.
Relazione
Il nostro ordinamento tributario conosce severe restrizioni in merito alle operazioni
intercorrenti tra imprese residenti e società localizzate nei paradisi fiscali. In particolare,
ogni costo derivante da operazioni di questo genere è indeducibile a meno che non sia
data una delle seguenti prove: (a) che l’impresa estera svolge una effettiva attività
commerciale, ovvero (b) che l’operazione risponde ad un effettivo interesse economico e
che abbia avuto concreta esecuzione.
In un primo tempo, la norma valeva solo per le operazioni con società localizzate nei
paradisi fiscali appartenenti al gruppo. Successivamente, l’operatività della norma è stata
estesa anche alle operazioni con società indipendenti dall’impresa italiana.
Lo scopo originario della norma – da ritenersi valido anche oggi – è quello di impedire che
siano dirottati verso paradisi fiscali elementi di reddito che riducono la base imponibile di
una impresa italiana senza che quest’ultima ne abbia tratto un vantaggio. In altri termini,
la norma e le relative esimenti sembrano avere riferimento a quelle ipotesi di costi per
operazioni sostanzialmente inesistenti e comunque sottratte alla disciplina dei “prezzi di
trasferimento” perché intercorrenti tra società indipendenti.
La norma incide negativamente ed in modo significativo sull’operatività delle nostre
imprese, soprattutto laddove si tratti di acquisto di beni (materie prime, semilavorati e
prodotti finiti). Accade spesso che i produttori di tali beni siano localizzati in aree
geografiche ove esiste grande disponibilità di mano d’opera a basso costo o abbondanza
di materie prime. Per motivi – spesso di convenienza fiscale - del fornitore o del
distributore, l’attività di esportazione di prodotti da queste aree geografiche è effettuata
tramite società localizzate in Paesi a bassa fiscalità.
La penalizzazione per l’importatore nazionale sarebbe gestibile mediante la dimostrazione
che l’operazione ha avuto effettiva esecuzione e che riguarda beni utilizzati nello
svolgimento della propria attività d’impresa.
Tuttavia in sede di accertamento, si richiedono all’impresa, al fine di dimostrare che
l’operazione risponde ad un effettivo interesse economico dell’impresa italiana, riscontri
documentali che comprovino il fatto che il prezzo pagato dall’impresa italiana al fornitore
estero sia stato il più basso possibile, con riferimento al mercato complessivo di potenziale
approvvigionamento.
41
Laddove tale riscontro non sia possibile, l’intero costo è considerato indeducibile.
La proposta normativa in esame restringe l’ambito di applicazione della norma relativa
all’indeducibilità dei costi ai soli componenti negativi di reddito derivanti da prestazioni di
servizi, cioè a situazioni in cui la verifica dell’effettuazione in concreto della prestazione e
del suo valore di mercato appaiono meno agevoli. A tal fine è stato integrato il comma 11
con la previsione quale ulteriore mezzo di prova, e in alternativa a quelle attuali, che il
valore normale del servizio ricevuto non è inferiore al corrispettivo riconosciuto al
prestatore del servizio residente o localizzato in un paradiso fiscale.
E’ invece eliminata la previsione dell’indeducibilità integrale dei componenti negativi di
reddito derivanti da qualsiasi operazione intercorsa con società localizzate in un paradiso
fiscale nei casi in cui il sottostante sia una cessione di beni. In questi casi, nell’ipotesi in cui
i beni acquistati sono comunque relativi all’attività esercitata dall’impresa italiana
acquirente non sussiste alcuna ragione sistematica per impedire la deduzione del relativo
costo per il solo fatto che il cedente sia localizzato in un paradiso fiscale. Si pensi al caso
(realmente verificabile) di una società italiana nel settore dell’energia che acquista
petrolio da un trader localizzato in Svizzera e lo rivende ad una società che lo trasforma in
combustibile guadagnando un margine. Se l’intero costo di acquisto del petrolio fosse
fiscalmente disconosciuto, l’impresa italiana si troverebbe a dover pagare le imposte sul
ricavo lordo.
La modifica normativa proposta evita evenienze di questo genere.
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Ritenute transfrontaliere
1.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 23 del decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è abrogata.
2.
Il numero 2) della lettera f) del comma 1 dell’articolo 23 del decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 è sostituito con il seguente
“2) delle plusvalenze di cui alla lettera c-ter del medesimo articolo derivanti dalla
cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci
e di certificati di massa, nonché da cessione o da prelievo di valute estere
rivenienti depositi e conti correnti”.
3.
Nei confronti dei soggetti non residenti non si applicano le ritenute e le imposte
sostitutive, ovunque previste, sugli interessi, premi ed ogni altro provento di cui
all’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.
917 nonché sui redditi diversi derivanti alla cessione a titolo oneroso ovvero da
rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa, nonché da
cessione o da prelievo di valute estere rivenienti depositi e conti correnti.
4.
Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano agli interessi corrisposti e ai redditi
diversi realizzati dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge.
Relazione
L’Italia è uno dei pochissimi Paesi dell’Unione Europea a prevedere la tassazione degli
interessi pagati da soggetti residenti a soggetti non residenti.
Per la verità, l’obbligo prevede talune deroghe (ad esempio, quelle concernenti i
pagamenti di interessi tra imprese europee facenti parte dello stesso gruppo, quella
relativa gli interessi su obbligazioni con durata superiore a 18 mesi emesse dallo Stato,
dalle banche e dalle società quotate, ovvero gli interessi derivanti da depositi e conti
correnti).
Talvolta, la misura dell’imposta è ridotta rispetto all’aliquota ordinaria (oggi 20%) per
effetto di quanto disposto dalle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni.
Il quadro che ne risulta è particolarmente frammentato. Le disposizioni speciali attirano i
comportamenti dei contribuenti che, del tutto comprensibilmente, cercano di sfruttarle a
proprio vantaggio. Che è un vantaggio economico ancor prima che fiscale.
Infatti, la ritenuta o l’imposta sostitutiva sono operate sull'interesse lordo e, nonostante la
loro entità apparentemente modesta, si trasformano in un onere fiscale importante per il
creditore estero, che non è in grado di recuperarla. Da qui la storica mancanza di interesse
da parte di banche estere prive di filiali o succursali in Italia a finanziare imprese italiane. Si
faccia il seguente esempio. Una banca straniera finanzia una società residente in Italia al
tasso dell'8%. A sua volta, l'istituto ha un costo del denaro del 6%. La ritenuta applicata in
Italia ammonta a 1,6 (8% per 20%). A fronte di un reddito lordo per la banca di 2, l'aliquota
d'imposta effettiva ammonta all’80%. Nel proprio Stato di residenza la banca dovrà pagare
le imposte sul reddito netto (ad esempio, il 33% di 2; pari a 0,67) e potrà detrarre le
imposte pagate all'estero, ma solo nei limiti della quota d'imposta locale riferita al reddito
estero. Il reddito estero è pari a 2 e la quota d'imposta locale riferita a questo reddito è, al
massimo di 0,67. Quindi, se tutto va bene, la banca non pagherà nulla al proprio fisco
locale ma l'imposizione effettiva rimarrà pari all’80%, un'aliquota ben superiore a quella
prevista localmente. Questo disincentiva il finanziatore a prestare sul mercato italiano.
In considerazione di quanto sopra, la prassi dei finanziamenti prevede che il tasso di
interesse lordo dovuto a una banca estera è aumentato per far sì che, al netto della
43
ritenuta, risulti pari al tasso effettivamente voluto da quell'istituto. Se il finanziamento è
inizialmente concesso da una banca italiana è prassi che il costo della ritenuta che sarebbe
dovuta a seguito della cessione del credito alla banca estera rimanga in capo alla banca
italiana.
Quindi, il costo della ritenuta o dell’imposta sostitutiva si trasforma in un maggior costo
(deducibile) in capo al debitore italiano, che non ha quindi interesse a rivolgersi al mercato
estero dei capitali, se non cercando di sfruttare le ipotesi di esenzione da imposta previsti
dalla legge.
Oltre alle inevitabili complicazioni legali, contrattuali e societarie, ciò sta generando un
rilevante contenzioso tra contribuenti e l’amministrazione finanziaria che spesso considera
questi tentativi come vere e proprie elusioni d’imposta.
Per quanto precede, si propone di abrogare ogni ritenuta ed imposta sostitutiva sui redditi
di capitale versati ai non residenti.
Le eventuali preoccupazioni afferenti la possibilità che una parte (grande o piccola) di
questi redditi possa essere dirottata verso paradisi fiscali senza subire imposizione in Italia,
sono mitigate – se non addirittura risolte – da (a) le norme in tema di indeducibilità di ogni
costo od onere derivante da operazioni con controparti localizzate in paradisi fiscali (art.
110,comma 10, del TUIR) e (b) le norme che limitano, in via generale, la deducibilità degli
interessi passivi per tutte le imprese residenti (art. 96 del TUIR).
Mancano dati precisi sul gettito ritratto da ritenute ed imposte sostitutive sui redditi di
capitali, in quanto queste condividono lo stesso codice di versamento di altre imposte.
Tuttavia, si può ragionevolmente stimare che il gettito relativo sia del tutto modesto.
44
REVISIONE DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO E DELLA RISCOSSIONE DEGLI ENTI LOCALI ART.10
Contraddittorio preventivo
All’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo la lettera h), aggiungere la seguente lettera:
“i). Gli atti di cui alla lettera a) sono emanati, a pena di nullità, previa richiesta scritta
comunicata al contribuente, anche per lettera raccomandata o mediante posta
elettronica certificata di cui al Decreto del Presidente del Repubblica 11 febbraio 2005,
n. 68, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 30 giorni dalla data di ricezione della
richiesta. A pena di nullità, l’Amministrazione finanziaria deve specificamente motivare
l'avviso di accertamento dando conto delle ragioni per le quali sono state disattesi i
chiarimenti o le prove documentali fornite dal contribuente ed indicando le imposte o
le maggiori imposte, gli interessi e le sanzioni dovute.”.
Relazione
Alla luce della nuova disciplina degli avvisi di accertamento esecutivi prevista dal D.L. n.
78/2010, e successive modificazione, si avverte ancor più l’esigenza di scoraggiare
l’adozione di avvisi di accertamento mal fondati, temerari o sbrigativi.
L’emendamento proposto introduce un contraddittorio preventivo obbligatorio tra
Amministrazione finanziaria e contribuente in tutti i casi in cui l'azione accertativa trova
esito in un atto impositivo con valenza esecutiva.
A tal fine, viene previsto che l’adozione dell’avviso di accertamento esecutivo sia
preceduta, a pena di nullità dell’atto, da una richiesta di chiarimenti che deve essere
comunicata al contribuente per iscritto o per posta elettronica certificata. E’ altresì
previsto che l’Agenzia delle entrate indichi nella motivazione dell’avviso di accertamento
esecutivo le ragioni per cui non ha accolto le difese del contribuente ed ha emesso l'avviso
di accertamento.
Infine, la norma specifica che nell’avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate indichi
l’esatto importo delle somme che il contribuente è tenuto a versare. Tale precisazione si
rende necessaria poiché a seguito della novella sulla procedura di riscossione operata dal
L. n. 78/2010, gli interessi di mora sono dovuti dal primo giorno successivo il termine per
la presentazione del ricorso anche se calcolati dal giorno successivo a quello di notifica.
Tuttavia, essendo il termine della presentazione del ricorso un termine mobile (poiché può
essere sospeso sia in casi di presentazione di istanza per l’accertamento con adesione, sia
nelle ipotesi di sospensione feriale dei termini) la corretta quantificazione degli interessi di
mora può recare profili di incertezza. Inoltre, in caso di impugnazione dell’atto,
l’intimazione a pagare è circoscritta ad 1/3 dell’imposta e degli interessi. Anche in questo
caso è opportuno che gli importi dovuti siano puntualmente indicati nell’atto notificato,
onde evitare che il contribuente commetta errori di calcolo.
45
Rafforzamento della tutela cautelare in secondo grado
All’articolo 52 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 dopo il comma 1,
aggiungere il comma seguente:
“ 2. La commissione regionale può sospendere, su istanza del ricorrente, l’esecuzione della
sentenza della commissione provinciale se da essa può derivargli un danno grave ed
irreparabile applicando, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 47.”
Relazione
L’emendamento ha l’obiettivo di prevedere, in modo inequivocabile, che in grado di
appello il ricorrente possa richiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza di
primo grado.
Nel processo tributario, infatti, la tutela cautelare oltre il primo grado risulta ancora
parziale: è certamente possibile sospendere il pagamento delle sanzioni, ma non
altrettanto certa la sospensione del versamento dei tributi e degli interessi.
Nel silenzio della legge, molte Commissioni Tributarie Regionali hanno accolto l’istanza di
sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata presentata dalla parte soccombente
in primo grado (cfr. CTR Puglia, ord. 15 giugno 2005, n. 31; CTR Lazio 14 gennaio 1999),
ma non vi è certezza e la stessa Corte Costituzionale, investita della questione, ha ritenuto
che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle varie fasi di giudizio è rimessa alla
discrezionalità del legislatore.
L’emendamento ripristina un rapporto di equilibrio tra amministrazione finanziaria e
contribuente. Quest’ultimo, infatti, può esperire il giudizio di ottemperanza per la
condanna al rimborso della somma indebitamente versata solo dopo che la sentenza sia
passata in giudicato, ma è chiamato ad anticipare le somme prima che sulla fondatezza
della pretesa impositiva vi sia definitiva certezza.
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Blocco dell’esecuzione forzata nelle more del giudizio di sospensione
All’articolo 47, comma 5-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 dopo le
parole “presentazione della stessa.”, aggiungere le seguenti parole:
“Prima dell’adozione dell’ordinanza di cui al comma 4, ovvero del decreto di cui al comma
3, non può essere avviata l’esecuzione forzata delle somme indicate negli atti di cui alla
lettera a) dell’art. 29, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito dalla legge 30 luglio
2010, n. 122.
Relazione
Con la riforma della riscossione operata con il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazione, gli avvisi di
accertamento concernenti le imposte sul reddito, l’IRAP e l’IVA (ed i connessi
provvedimenti di irrogazione delle sanzioni) emessi a partire dal 1° ottobre 2011, e relativi
ai periodi d’imposta dal 2007 in avanti, saranno immediatamente esecutivi trascorsi 30
giorni dal termine per il pagamento.
La disciplina prevede che l’esecuzione non possa essere avviata prima dei 180 gg
dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione (270gg dalla notifica dell’avviso di
accertamento) – c.d. sospensione legale - e che il giudice deve decidere sull’istanza
cautelare entro 180gg. Quest’ultimo è un termine meramente ordinatorio, il cui mancato
rispetto non è in alcun modo sanzionato.
Al fine di garantire i contribuenti a non anticipare somme che si scoprono poi non dovute,
con l’emendamento proposto si dispone che fino a quando il giudice cautelare non si è
espresso sull’istanza di sospensione presentata da contribuente, non si può procedere
all’esecuzione forzata delle somme indicate negli avvisi di accertamento esecutivi.
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