le politiche finanziarie - Università degli studi di Bergamo

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA TESSILE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO IN INGEGNERIA GESTIONALE
LE POLITICHE FINANZIARIE
Gestione Aziendale II
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Gestione Aziendale II
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LA FUNZIONE FINANZIARIA
La gestione aziendale è basata su tre “equilibri”
ECONOMICO
DIREZIONE COMMERCIALE
FINANZIARIO
MONETARIO
DIREZIONE FINANZIARIA
ALTRE FUNZIONI
• Programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine
• Gestione del piano finanziario
• Governo della liquidità
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La funzione finanziaria sta assumendo una crescente importanza in ambito aziendale e
ampliando i suoi confini organizzativi.
Ai tradizionali compiti di reperimento dei fondi occorrenti per coprire il fabbisogno
finanziario dell’impresa, si sono aggiunte le responsabilità di impiego dei capitali,
soprattutto le responsabilità di programmazione degli investimenti.
Reperire e impiegare i fondi aziendali significa indubbiamente occupare una posizione
centrale nella definizione della strategia aziendale.
E’ infatti nei piani a lunga scadenza che si affrontano i problemi relativi all’elaborazione
di un programma di investimento e di finanziamento.
Oltre che sul piano strategico, la gestione finanziaria è inquadrabile anche sotto il profilo
tattico ed operativo. Se da una parte si fa riferimento a decisioni finanziarie di lungo
periodo per ottimizzare l’impiego e la raccolta dei fondi, dall’altra si evidenziano i compiti
di attuazione e controllo delle decisioni prese.
La gestione del piano finanziario richiede, infatti, la creazione e il mantenimento
dell’equilibrio fra fonti e impieghi nel lungo, nel breve e nel brevissimo termine. Basti
ricordare la particolare importanza del governo della liquidità, ovvero la cosidetta
“gestione di tesoreria”.
Tre sono gli equilibri che deve rispettare la gestione aziendale:
• Equilibrio economico tra ricavi e costi;
• Equiibrio finanziario tra impieghi di capitale e fonti di provvista dello stesso;
• Equilibrio monetario tra entrate e uscite di cassa, preservando la liquidità.
I tre equilibri, pur diversi, sono interdipendenti tra loro in quanto il ciclo di formazione dei
costi e dei ricavi incide sull’altezza del fabbisogno del capitale e sul ciclo dei movimenti
monetari.
Solo nel tempo lungo il totale dei costi corrisponde al totale delle uscite e il totale dei
ricavi a quello delle entrate, perché nella gestione corrente lo sfasamento tra momento
economico e monetario costituisce la norma.
Secondo un processo logico la formazione del preventivo economico deve precedere
quello del preventivo finanziario, anche se poi quest’ultimo finirà per incidere sul primo.
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A sua volta la costruzione del preventivo finanziario dovrà tener conto dei tempi di
verifica delle entrate e delle uscite: l’entità e i tempi in cui queste si combinano
generano un avanzo o un disavanzo finanziario, che richiederà di essere impiegato o
coperto dall’azienda.
Il momento della pianificazione finanziaria è di competenza dell’alta direzione. Quello
dell’attuazione delle scelte di piano può essere delegato a livelli inferiori della struttura
direzionale.
Data la complessità dei compiti che ricadono in quest’area, che richiede un maggior
accentramento organizzativo rispetto alle funzioni di produzione o di vendita, è sempre
più frequente la costituzione di una Direzione finanziaria, collocata in una posizione di
“line” all’interno della struttura direttiva aziendale.
Questa Direzione possiede competenze esclusive e partecipa, insieme con le altre
direzioni di funzione, alla definizione delle politiche generali di gestione.
Oltre ai compiti propri definiti in precedenza, spetta agli uomini di finanza:
• curare, di concerto con la linea commerciale, i rapporti di credito con la clientela;
• fissare, d’accordo con l’ufficio approvvigionamenti, le condizioni di pagamento
con i fornitori;
• gestire, su indicazione della direzione generale, il patrimonio mobiliare ed
immobiliare dell’azienda;
• esprimere pareri in tema di fissazione di prezzi di vendita e dei termini di
pagamento da applicare alla clientela, di operazioni di gestione straordinaria, di
operazioni con l’estero, ecc.
In sintesi, rimanendo nel solo ambito delle decisioni di natura strettamente finanziaria, i
suoi compiti fondamentali sono:
1. La programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine;
2. La gestione del piano finanziario;
3. Il governo della liquidità.
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LA PREVISIONE DEL FABBISOGNO FINANZIARIO
PROCESSO LOGICO DI ASSUNZIONE DELLE DECISIONI FINANZIARIE
1.
Decisioni attinenti alla gestione corrente e agli investimenti
2.
Analisi del tipo di fabbisogno necessario in termini di entità, qualità e
permanenza nel tempo
3.
Determinazione della struttura finanziaria ottimale
(rapporto tra mezzi propri e di terzi; tra mezzi a breve, medio e lungo
termine)
4.
Scelta delle modalità di acquisizione delle risorse nell’ambito della struttura
finanziaria individuata
5.
Riconsiderazione del complesso di scelte via via ipotizzate e definizione del
piano finanziario
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Come visto, le decisioni finanziarie concernono l’impiego di capitali e la raccolta dei
fondi.
L’impiego di capitali può riguardare la gestione operativa (attività tipiche legate al
raggiungimento dell’oggetto sociale), quella patrimoniale o accessoria (operazioni di
carattere patrimoniale, non strumentale rispetto al raggiungimento dell’oggetto sociale).
Restando nell’ambito della sola gestione operativa, l’impiego di capitali può essere
causato da processi d’investimento e dall’attuazione della gestione corrente. Questo
crea l’esigenza, per tutte l aziende, di capitale fisso e di capitale circolante.
Il fabbisogno finanziario può infatti derivare da cause differenti e generare problemi
diversi in rapporto alle condizioni del mercato finanziario e alle situazioni interne
d’impresa.
Qual è dunque il processo logico di assunzione delle decisioni finanziarie? Si può
individuare nelle seguenti cinque fasi:
1. Decisioni attinenti alla gestione corrente e agli investimenti;
2. Analisi del tipo di fabbisogno necessario in termini di entità, qualità e
permanenza nel tempo;
3. Determinazione della struttura finanziaria ottimale (rapporto tra mezzi propri e di
terzi; tra mezzi a breve, medio e lungo termine);
4. Scelta delle modalità di acquisizione delle risorse nell’ambito della struttura
finanziaria individuata (scelta delle fonti di finanziamento);
5. Riconsiderazione del complesso di scelte via via ipotizzate e definizione del
piano finanziario.
Si può notare che, come qualsiasi processo di programmazione, la formulazione delle
decisioni finanziarie avviene gradualmente e con metodo iterativo, che trasforma le
ipotesi in scelte e queste, definite nella loro sequenza, in un piano.
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Nel processo di pianificazione sussistono vincoli molto stretti tra la gestione finanziaria e
l’evoluzione dell’ambiente perché i processi di investimento e di finanziamento risentono
del cambiamento sia delle condizioni economiche generali sia dell’offerta di capitali.
In questo contesto assume un’importanza del tutto rilevante l’esistenza di informazioni
fondamentali per supportare le decisioni, quali la situazione del mercato dei capitali, la
previsione delle del costo del denaro, la comparazione delle alternative di impiego di
mezzi monetari.
L’incidenza degli oneri finanziari sul risultato economico e il continuo mutare delle
regole imposte dall’autorità monetaria (si pensi ad esempio alla variazione del tasso di
sconto) impongono il costante aggiornamento delle conoscenze.
La rapidità dei cambiamenti richiede un controllo assiduo non solo delle scelte di medio
e lungo periodo, ma anche della liquidità.
Si sottolinea al riguardo il ruolo centrale rivestito dalla gestione di tesoreria rispetto alla
stessa gestione strategica, con la conseguenza che spesso l’attenzione maggiore è
rivolta ai problemi della liquidità, che finiscono per condizionare i piani di gestione a
lungo termine.
Come si è accennato, il processo di programmazione finanziaria comporta una
sequenza circolare di decisioni di investimento e di finanziamento, che andremo ad
indagare, puntando soprattutto all’analisi dei problemi di finanziamento.
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LE DECISIONI FINANZIARIE
La dinamica finanziaria abbraccia gli aspetti economici e finanziari della gestione.
La sua analisi serve a stimare il fabbisogno sia in termini di capitale circolante che di
liquidità, raggiungendo i seguenti risultati:
•
•
•
•
•
Valutare il fabbisogno finanziario per capitale circolante e capitale fisso
Stimare l’ammontare delle fonti di gestione
Misurare l’ammontare delle risorse finanziarie residue da reperire o da impiegare
Individuare le soluzioni per assicurare un soddisfacente equilibrio finanziario di lungo
periodo
Garantire, nel brevissimo, lo stesso equilibrio tra entrate e uscite monetarie
1.
2.
analisi dei flussi di capitale circolante
analisi dei flussi monetari (o di cassa)
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Ogni impresa necessita di capitali per finanziare i processi di investimento e per far
fronte alla gestione corrente.
Il fabbisogno finanziario aziendale è infatti uguale alla somma del capitale fisso,
necessario per acquisire le immobilizzazioni materiali e immateriali, e del capitale
circolante, occorrente per alimentare il ciclo acquisti-produzione-vendita.
L’ammontare del fabbisogno varia, nella sua entità e nella sua genesi, a seconda che ci
si trovi in fase di costituzione o di funzionamento dell’impresa.
Nel primo caso si tratta di determinare il fondo di capitali necessario per creare la
struttura aziendale e per coprire le esigenze di finanziamento dell’esercizio. Nel
secondo, invece, il problema si concreta nell’individuazione del fabbisogno differenziale
necessario per alimentare il processo di investimento nelle immobilizzazioni aziendali e
per soddisfare le ulteriori esigenze finanziarie poste dall’eercizio.
Non solo, ma nell’ipotesi di azienda in funzionamento non si può escludere l’incidenza
delle operazioni di gestione accessoria (o patrimoniale, cioè non legate
strumentalmente alla gestione ordinaria) e straordinaria sul fabbisogno globale
dell’impresa.
Ogni azienda presenta un differente rapporto di composizione tra capitale fisso e
circolante, in relazione alle caratteristiche della sua gestione.
Il fabbisogno di capitale fisso è legato, infatti, al grado di capitalizzazione dei processi
operativi, cioè alle esigenze di disporre di maggiori immobilizzazioni per lo svolgimento
delle funzioni di produzione, di commercializzazione, di amministrazione, ecc.
Più cresce la presenza degli impianti e delle attrezzature più aumenta il fabbisogno di
capitale fisso, vincolato all’impresa per l’intera vita utile delle immobilizzazioni con esso
acquisite.
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Il fabbisogno di capitale circolante, ossia di mezzi finanziari che si rigenerano al
massimo nei 12 mesi dell’esercizio gestionale, è correlato, invece, al ciclo di reintegro
dei ricavi, detto anche ciclo di reintegro del circolante.
A parità di volume di attività, esso sarà tanto minore quanto più breve è questo ciclo,
vale a dire quanto più rapido è il processo acquisto-produzione-vendita e,soprattutto,
quanto più veloce è il corrispondente ciclo monetario che intercorre tra il sostenimento
dei costi e il correlativo incasso dei ricavi.
Quest’ultimo dipende dalle condizioni di riscossione dai clienti e di pagamento ai
fornitori: condizioni più favorevoli per l’impresa (ovvero incassi più veloci rispetto ai
pagamenti) contribuiscono a limitare il fabbisogno di circolante correlato al processo di
gestione
Il capitale circolante è formato dalla differenza tra attività correnti e passività correnti,
rappresentate dai seguenti componenti:
a) Scorte necessarie per alimentare i processi di produzione e di vendita (scorte di
materie prime, ausiliarie, semilavorati, parti, componenti e prodotti finiti);
b) Crediti commerciali verso i clienti;
c) Debiti commerciali verso i fornitori;
d) Altri crediti e debiti a breve termine, accantonamenti per imposte, quote correnti
di debiti a lungo termine, ecc.
e) Attività finanziarie (cassa, banche e altri mezzi monetari) necessarie per
assicurare, in ogni istante, la liquidità aziendale.
Nell’impresa bisogna stimare il fabbisogno finanziario netto, in modo da prevedere
tempestivamente l’esigenza di reperire nuove fonti di copertura, nell’ipotesi di un
disavanzo finanziario, oppure di individuare le migliori opportunità di impiego di fondi
esuberanti.
La previsione di questo fabbisogno deve discendere dall’analisi della dinamica
finanziaria, all’interno della quale si legano gli aspetti economici e finanziari della
gestione.
Gli strumenti per conoscere tale dinamica sono:
• L’analisi dei flussi di capitale circolante;
• l’analisi dei flussi monetari (o di cassa).
L’utilizzo di queste analisi conduce ai seguenti risultati:
a) Valutare il fabbisogno finanziario (per capitale circolante e capitale fisso),
collegato ai programmi di gestione dell’azienda;
b) Stimare l’ammontare delle fonti di gestione, intese come risorse finanziarie
producibili dalla gestione e disponibili per la copertura del fabbisogno finanziario;
c) Misurare l’ammontare delle risorse finanziarie residue da reperire o da impiegare
(a seconda del saldo tra fabbisogno e fonti individuati in precedenza);
d) Individuare le soluzioni per assicurare un soddisfacente equilibrio finanziario di
lungo periodo;
e) Garantire, nel tempo brevissimo lo stesso equilibrio tra entrate e uscite
monetarie.
In sostanza possiamo ripetere che la gestione finanziaria deve preservare la solvibilità
(equilibrio finanziario) dell’impresa e la sua liquidità (equilibrio monetario). Da qui
l’esigenza di compiere le due già accennate analisi.
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L’analisi dei flussi di circolante considera anche i processi di investimento e
disinvestimento, oltre a quelli della gestione corrente e, ponendo a raffronto i movimenti
patrimoniali con quelli economici, esprime in sintesi il risultato finanziario della gestione
(surplus o deficit di fondi).
L’analisi dei flussi monetari ricostruisce il ciclo delle entrate e delle uscite di cassa, con
l’intento di far emergere la situazione di liquidità dell’azienda.
L’analisi dei flussi di circolante si diffonde per periodi più lunghi e consente di
provvedere al reperimento di fonti residue, allorchè il fabbisogno eccede le capacità
finanziarie create dalla gestione corrente. Va notato che si comprendono anche le
operazioni patrimoniali estranee alla gestione corrente, di modo che il saldo finale
rappresenti l’aumento o la diminuzione del capitale circolante netto impegnato
nell’azienda.
L’analisi dei flussi monetari si riferisce, nel tempo brevissimo (giorno, settimana o al
massimo mese) ai saldi di cassa e permette di prevedere e controllare in modo continuo
la situazione di liquidità dell’azienda.
L’analisi dei flussi di circolante consente di determinare (o di valutare in via preventiva)
l’incremento o il decremento del capitale circolante netto tra l’inizio e la fine
dell’esercizio considerato.
Nell’ipotesi di incremento del circolante netto, il flusso di cassa si contrae perché il
flusso monetario prodotto dalla gestione non è in grado di coprire il fabbisogno
finanziario. L’inverso accade nell’ipotesi di decremento, che, liberando risorse
finanziarie, dilata il flusso di cassa.
La differenza e, allo stesso tempo, la complementarietà tra le due analisi risiede nel
fatto che la prima consente di correlare gli andamenti economici e finanziari della
gestione, mentre la seconda permette di programmare e tenere sotto controllo la
liquidità aziendale.
L’analisi dei flussi monetari considera in effetti soltanto le operazioni di gestione che si
traducono in un materiale esborso o introito di denaro.
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LE POLITICHE FINANZIARIE
VARIABILI DI INCIDENZA SUL FABBISOGNO FINANZIARIO
•
•
•
•
livello delle scorte di magazzino
condizioni di pagamento applicate ai clienti
condizioni di pagamento stabilite con i fornitori
livello di liquidità
COPERTURA DEL FABBISOGNO FINANZIARIO
•
•
•
•
dotazione di mezzi propri;
risultato economico della gestione (autofinanziamento);
finanziamento interno dei soci;
finanziamento esterno ( risparmiatori, banche, clienti, fornitori e dipendenti)
ATTRIBUTI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA
•
•
•
•
omogeneità
flessibilità
elasticità
economicità
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Le variabili più direttamente incidenti sul fabbisogno finanziario dell’impresa sono:
a. le operazioni di investimento e di cessione nei beni impiegati nella gestione
corrente o patrimoniale;
b. il livello delle scorte di magazzino;
c. le condizioni i pagamento applicate ai clienti;
d. le condizioni di pagamento stabilite con i fornitori;
e. il livello di liquidità.
La prima di queste voci incide sul fabbisogno di capitale fisso, mentre le altre sono
correlate al fabbisogno di capitale circolante in senso stretto.
Il fabbisogno finanziario globale può essere coperto:
a) dalla dotazione di mezzi propri;
b) dal risultato economico della gestione (autofinanziamento);
c) dal finanziamento interno dei soci;
d) dal finanziamento esterno presso i risparmiatori, le banche, i clienti, i fornitori e i
dipendenti.
La gestione finanziaria in sostanza si attua attraverso decisioni e scelte che incidono sul
fabbisogno e sulle vie di copertura.
La struttura finanziaria aziendale deve tendenzialmente possedere quattro qualità
basilari: omogeneità, flessibilità, elasticità, economicità.
Omogeneità
Una regola fondamentale e speso disattesa della gestione finanziaria suggerisce di
impiegare capitali omogenei rispetto al tipo di fabbisogno da coprire. Ciò significa, ad
esempio, che nell’ipotesi di finanziamento di immobilizzazioni dovrebbero essere attinti
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mezzi finanziari a lungo termine, mentre nel caso di fabbisogno d’esercizio sarebbe
opportuno farvi fronte con mezzi a breve.
Questo allo scopo di assicurare una maggiore corrispondenza tra i due fenomeni
(bisogno e copertura), evitando di finanziare i processi di investimento con risorse
destinate, per la loro natura, a permanere nell’azienda solo per la durata di un esercizio
oppure, ma il fatto è più raro, evitando di finanziare il circolante con fondi a lungo
termine.
Flessibilità
La caratteristica dell’omogeneità si lega a quella della flessibilità, cioè alla possibilità di
modificare la struttura finanziaria in rapporto all’evoluzione del fabbisogno. Ciò vale sia
per il livello globale sia per la composizione delle risorse finanziarie aziendali, che
dovrebbero poter variare a seconda dei programmi e della redditività della gestione.
La possibilità di modificare la struttura finanziaria si traduce nell’opportunità di migliorare
il risultato finanziario della gestione, liberando o attraendo fondi in funzione delle
prospettive di ritorno economico.
Elasticità
Anche l’attributo dell’elasticità si lega ai primi due e in particolare a quello della
flessibilità, concretandosi nell’opportunità di dilatare l’area di manovra nelle scelte
finanziarie. Una struttura finanziaria è infatti tanto più elestica quanto maggiori sono le
possibilità quali-quantitative di espanderla.
Ciò significa che i responsabili della gestione finanziaria avranno più scelte disponibili
per incrementare i fondi aziendali e potranno ottimizzare il processo di copertura del
fabbisogno.
L’incremento dell’elasticità finanziaria fa crescere la cosidetta “riserva finanziaria” ossia
la capacità di poter accedere rapidamente al finanziamento qualora si presentassero
buone opportunità di investimento.
Flessibilità ed elasticità non sono simili, come potrebbe apparire, perché la prima
definisce la capacità di riprodurre un costante equilibrio tra le fonti e gli impieghi di
capitale, mentre la seconda si riferisce all’ampiezza del processo di scelta delle fonti di
finanziamento.
Una struttura finanziaria insomma è tanto più flessibile quanto più è in grado di
modellarsi in rapporto alle esigenze della gestione ed è tanto più elastica quanto più
facilmente può essere espansa.
Due esempi per chiarire meglio i concetti.
Se all’interno della struttura finanziaria cresce il peso dei mezzi propri, la struttura
diventa più rigida ce, allo steso tempo, più elastica.
Più rigida perché i mezzi propri si consolidano nella dotazione finanziaria dell’impresa.
Più elastica perché un’azienda più capitalizzata ha maggiori possibilità di espandere la
sua struttura finanziaria ricorrendo all’indebitamento.
Al contrario, se tra le fonti di finanziamento cresce il peso dell’indebitamento bancario a
breve, la struttura nel suo compleso non si irrigidisce mentre sicuramente diviene meno
elastica perché, essendo aumentato il peso dei mezzi di terzi, sarà più difficile reperire
ulteriori risorse finanziarie.
Economicità
L’ottimizzazione delle scelte finanziarie è basata sulla massimizzazione dei differenziali
tra rendimenti dell’investimento e costo del capitale.
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Naturalmente gli attributi di flessibilità e di elasticità possono comportare un maggior
costo che andrà valutato alla luce dei vantaggi assicurabili da una gestione finanziaria
più flessibile ed elastica. Questi tenderanno ad essere più elevati in funzione di un più
intenso dinamismo delle condizioni del micro-ambiente in cui opera l’impresa.
In particolare, la variabilità delle condizioni dei mercati (di approvvigionamento e di
vendita) e il ritmo del progresso tecnologico influenzano il fabbisogno finanziario e
possono far trarre un vantaggio più o meno consistente dalla flessibilità della struttura
finanziaria.
Per quanto attiene invece all’elasticità, si ricorda che essa è fondamentalmente legata
alla dotazione di mezzi propri e che questi ultimi comunque comportano un onere
figurativo per l’impresa.
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LE FONTI DI FINANZIAMENTO
Quattro tipologie di fabbisogno di capitali:
1.
2.
3.
4.
Strutturale
Corrente
Straordinario
Occasionale
Il livello di indebitamento è legato alle prospettive di redditività degli
investimenti e dipende da fattori qualitativi concernenti la rischiosità e la
rigidità, oltre che dall’effetto del fattore leva finanziaria, cioè dalla capacità
dell’indebitamento di ampliare la redditività aziendale.
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La scelta delle fonti di finanziamento si basa sull’analisi del fabbisogno di capitali e sulla
conoscenza del mercato dell’offerta dei capitali stessi.
Ogni impresa ha bisogno di un fondo di capitale che le serve a coprire le esigenze di
costituzione della struttura e di alimentazione della gestione corrente.
Questo fondo è destinato a crescere di livello in funzione dell’aumento delle dimensioni
aziendali ed è soggetto a variazioni periodiche in rapporto a necessità mutabili della
gestione.
Classificando il fabbisogno di capitali in base alla natura e alla permanenza nel tempo,
possiamo individuare quattro tipi differenti di esigenze:
a) un fabbisogno strutturale, permanente nel tempo perché legato alle dimensioni
della struttura dell’impresa;
b) un fabbisogno corrente, permanente nel tempo perché correlato al volume di
attività della gestione corrente;
c) un fabbisogno straordinario, legato ad esigenze di più lungo periodo, ma
presente solo nell’arco di questo periodo;
d) un fabbisogno occasionale, collegato a fenomeni congiunturali ed imprevedibili, i
cui effetti si producono solamente nel breve periodo.
A seconda delle esigenze del fabbisogno l’azienda dovrà reperire capitali a diversa
scadenza e con differenti modalità di vincolo.
La scelta delle fonti di finanziamento, partendo dalle previsioni dell’ammontare e della
composizione del fabbisogno, deve poter ottimizzare le possibilità offerte dal mercato
finanziario in funzione degli obiettivi di economicità, omogeneità, flessibilità ed elasticità
posti alla gestione finanziaria nel suo complesso.
Il carattere circolare e iterativo del processo di formulazione delle strategie d’impresa si
sviluppa mediante un affinamento delle ipotesi di partenza e la ricerca del miglior
coordinamento tra opportunità esterne di mercato e risorse disponibili.
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La finanza è una componente da considerare nelle combinazioni produttive poste a
base del piano di gestione, è una variabile interdipendente e pertanto non subordinata
alle scelte di programma.
Il fabbisogno può considerarsi come vincolo fisso nelle scelte di copertura e tradursi nel
reperimento di mezzi propri o di terzi atti a fronteggiarlo, oppure le scelte stesse di
copertura possono incidere nella determinazione del livello di risorse finanziarie da
porre a disposizione della gestione, in funzione di ipotesi alternative e della valutazione
delle opportunità di conveniente reperimento di risorse finanziarie aggiuntive.
In questa seconda ipotesi assume un ruolo centrale la decisione sul livello di
indebitamento da raggiungere in rapporto alle prospettive di redditività degli
investimenti.
Il livello di indebitamento accettabile per l’impresa, oltre che dipendere da fattori
qualitativi concernenti la rischiosità e la rigidità connesse con un appesantimento della
situazione debitoria, deve essere orientato dal presumibile effetto del fattore leva
finanziaria.
La redditività del capitale proprio investito nell’azienda può essere di fatto migliorata o
peggiorata dal “fattore leva”, a seconda che risulti superiore o inferiore al costo
dell’indebitamento.
Si parla di “leva finanziaria” per sottolineare la capacità dell’indebitamento di ampliare la
redditività aziendale.
In tal senso, il ricorso a capitali di terzi funge da moltiplicatore delle opportunità di
investimento e, nel caso di differenziali favorevoli tra ritorno dell’investimento e costo
del capitale preso a prestito, da generatore di reddito addizionale per l’impresa.
La scelta del livello di leva finanziaria s’inquadra nel disegno strategico e può dunque
indurre, sulla base delle previsioni circa gli andamenti della redditività aziendale e del
costo del capitale preso a prestito, a dilatare o restringere le risorse finanziarie globali
da mettere a disposizione della gestione.
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LE FONTI DI FINANZIAMENTO
MEZZI PROPRI O MEZZI DI TERZI ?
Le scelte sono ancorate alle prospettive di variazione dei tassi di redditività
della gestione e dei costi di indebitamento, oltre che da condizioni vincolanti
non modificabili.
Autofinanziamento e finanziamento diretto dei soci assimilabili ai mezzi
propri.
Concetti di rischiosità e di tempo (breve/medio/lungo) del finanziamento.
Tra i mezzi di terzi assume maggior rilievo il credito bancario.
Altre fonti creditizie sono i fornitori, i dipendenti, i risparmiatori e gli
investitori istituzionali (prestiti obbligazionari).
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Il problema dell’indebitamento non si esaurisce solo nel decidere il livello di
indebitamento per ampliare la redditività aziendale, ma interviene anche nella scelta tra
il ricorso a mezzi propri e mezzi di terzi, correlandosi sia a fattori generali, che possono
far propendere a favore dell’una o dell’altra forma, sia a fattori specifici di costosità delle
varie fonti di finanziamento.
La determinazione della struttura di capitale è legata a fattori previsionali e di vincolo.
Le scelte interesseranno, infatti, periodi non brevi di tempo e dovranno essere ancorate
alle prospettive di variazione dei tassi di redditività della gestione e dei costi
dell’indebitamento, oltre che all’esistenza di condizioni vincolanti alla partenza (es.
indisponibilità di capitali propri).
Per quanto concerne l’aspetto della rischiosità, appaiono diverse le conseguenze di
scelte relative a fonti differenti di acquisizione dei capitali, in dipendenza del fatto che il
ricorso a certe fonti, anziché altre, crea impegni più o meno lunghi nel tempo.
L’investimento di capitale proprio rappresenta una fonte di finanziamento a lungo
termine perché i mezzi così immessi nella gestione sono destinati a permanervi
durevolmente.
Assimilabile al capitale di rischio è l’autofinanziamento, cioè il reinvestimento dei profitti
nell’attività aziendale.
In condizioni di normalità, vale a dire in presenza di una gestione economica e
finanziaria equilibrata, parte cospicua dei nuovi investimenti dovrebbe essere coperta
mediante l’autofinanziamento.
Nell’ipotesi, invece, di un fabbisogno occasionale, cioè destinato a permanere per
periodi non lunghi di tempo, i soci possono far affluire i propri fondi sotto forma di
finanziamento diretto.
In tal caso essi concedono anticipazioni all’azienda, oppure sottoscrivono direttamente
un prestito obbligazionario. Il finanziamento dei soci giuridicamente è un finanziamento
esterno, ma di fatto si concreta nell’immissione di ulteriori mezzi propri nell’azienda
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In entrambe le alternative i soci si possono riservare il diritto di richiedere la restituzione
dell’anticipazione o il rimborso delle obbligazioni in qualsiasi momento, anche se la
logica prevalente di queste operazioni finanziarie è quella del medio-termine.
In alternativa al ricorso ai mezzi propri (aumento di capitale, autofinanziamento,
finanziamento diretto), si pongono le fonti esterne, tra cui il maggior rilievo è assunto dal
credito bancario.
Tra le fonti creditizie bisogna inserire anche i risparmiatori o gli investitori istituzionali, i
fornitori e gli stessi dipendenti dell’azienda. Quest’ultima può procurarsi mezzi finanziari
emettendo prestiti obbligazionari, sottoscrivibili da risparmiatori e investitori istituzionali,
chiedendo credito ai fornitori, attingendo a conti di deposito alimentato dai suoi
dipendenti.
La prima via è però accessibile solo per le aziende di grandi dimensioni, in grado di
lanciare con successo prestiti obbligazionari, collocabili nel mercato mobiliare da
consorzi di banche e rimborsabili in tempi lunghi (anche 20-25 anni). Va detto che in un
periodo di inflazione il ricorso a questa fonte di provvista è difficile, a meno che non si
garantisca al risparmiatore l’automatica rivalutazione del rendimento dei titoli collocati
(obbligazioni indicizzate, cioè obbligazioni a reddito variabile, in quanto il capitale e/o
l’interesse possono essere agganciati ad un indice rappresentativo delle variazioni di
valore della moneta) o la possibilità di tramutarli in titoli azionari (obbligazioni
convertibili).
Più frequente il ricorso al credito bancario, che può assumere una differente estensione
temporale e concretarsi in forme tecniche diverse:
• Finanziamento ottenuto per tempi lunghi (operazioni di mutuo)
• Finanziamento ottenuti per tempi brevi (aperture di credito, sconti di effetti,
anticipazioni su titoli e merci, ecc.)
Per la crescente importanza assunta nella struttura finanziaria delle imprese, col tempo
il credito bancario si è andato sempre più specializzando.
In particolare, hanno assunto un peso considerevole i cosidetti crediti di firma, vale a
dire gli avalli, le fidejussioni, i crediti documentari e le accettazioni bancarie.
Queste ultime sono divenute un mezzo ricorrente di regolazione degli scambi, sono in
effetti tratte emesse da un imprenditore all’ordine proprio su una banca e da questa
accettate. Il traente può poi offrire il titolo sul mercato monetario. Il trasferimento
avviene mediante girata con la clausola “senza garanzia”, cioè configura una cessione
del credito “pro-soluto”.
E’ noto peraltro che ogni impresa, per poter essere ammessa al credito bancario, deve
ricevere un affidamento in base alle garanzie che è in grado di offrire alla banca. La
valutazione del cosidetto “merito creditizio” è dunque funzione della solidità patrimoniale
e reddituale dell’azienda e dell’imprenditore.
Per agevolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese operano, solitamente a
livello locale, i Consorzi Fidi, che sono delle organizzazioni consortili tra imprenditori,
create per supplire all’eventuale mancanza di garanzie reali degli associati e per
abbassare i saggi di interesse praticati dalle banche.
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CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO
Fonte
Capitali propri
Autofinanziamento
Finanziamento soci
Obbligazioni
Mutuo bancario
Leasing
Credito bancario a breve
Factoring
Forfaiting
Prestiti dipendenti
Scadenza
Lunghissima
Lunghissima
Medio-breve
Lunga
Lunga
Media
Breve
Breve
Breve
Medio-breve
Tipo di fabbisogno coperto
Strutturale
Strutturale
Occasionale
Straordinario
Straordinario
Straordinario e occasionale
Corrente e occasionale
Corrente
Corrente
Corrente
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111
Accanto alle forme tradizionali di finanziamento esterno, bancario e non, da qualche
tempo si sono affiancate forme nuove ed originali, il leasing, il factoring, il forfaiting.
IL LEASING
Il leasing può essere:
• Finanziario: attuato da società finanziarie, che acquistano il bene oggetto di
leasing;
• Operativo: realizzato dalle società produttrici del bene (rappresenta un vero e
proprio finanziamento diretto di tipo commerciale).
Il leasing si è diffuso rapidamente perché presenta dei vantaggi, a volte rilevanti,
rispetto alle forme più note di finanziamento.
L’impresa infatti non è costretta a sopportare immediatamente il peso dell’investimento
perché ottiene il bene di cui abbisogna (un impianto completo, una macchina operatrice,
un computer, un automezzo, ecc.) mediante un contratto di locazione con diritto di
riscatto del bene dopo un certo numero di anni e ad un prezzo prefissato, di solito molto
basso.
In tal modo l’impresa può utilizzare immediatamente il bene, pagando un canone
periodico e riservandosi alla fine del contratto di assumere una decisione circa
l’acquisto dell’oggetto dell’operazione di leasing. Gli oneri finanziari si scaglionano nel
tempo in forma di canone.
Una formula particolare di leasing è il cosìdetto “lease-back”, che consiste nel vendere
a una società di leasing un bene posseduto (ad esempio l ‘immobile in cui sono ubicati
gli uffici dell’azienda), con l’impegno però di richiederlo, successivamente, in leasing
alla stessa società acquirente. In tal modo, l’azienda venditrice riesce ad ottenere due
vantaggi:
1. ottenere un finanziamento a fronte dell’alienazione di un bene di proprietà, di cui
non perde l’uso;
2. sfruttare l’effetto fiscale delle operazioni di leasing (deduzione rapida del costo).
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IL FACTORING
Anche questa forma di finanziamento si è estesa notevolmente perché consente di
rendere liquidi crediti verso la clientela non suffragati da documenti (titoli di credito)
scontabili commercialmente.
Il factoring ha infatti luogo su fatture o titoli di credito imperfetti (tratte non accettate),
solitamente con la cessione del credito al “factor”.
Nel factoring la norma più comune di cessione del credito è “pro solvendo”, cioè con il
rischio di insolvenza condiviso tra il debitore e il cedente del credito stesso.
Nella realtà l’operazione consiste nell’affidare ad istituti specializzati la gestione del
portafoglio crediti, delegando i “factors” ad esperire tutta la procedura per il recupero dei
crediti stessi (invio degli estratti conto, solleciti per l’incasso, incasso delle fatture, azioni
contro i debitori insolventi, ecc.).
Per tale compito al “factor” spetta una commissione di factoring. Nel contratto poi può
essere previsto l’ottenimento di anticipazioni (solitamente fino alla concorrenza dell’80%
del valore del credito) da parte di colui che ricorre al factoring e che, per questa
operazione finanziaria, è tenuto a corrispondere degli interessi, sotto forma di sconto.
Spesso le aziende ricorrono al factoring per l’intero complesso dei loro rapporti di
credito con la clientela e il “factor” espleta direttamente la gestione di tali rapporti.
L’aspetto del servizio, quindi, finisce per assumere un ruolo essenziale nel rapporto di
factoring che, sotto questo profilo, si differenzia nettamente dallo sconto bancario.
IL FORFAITING
Un’altra forma recente e piuttosto sofisticata di finanziamento a breve è il “forfaiting”,
cioè la vendita pro-soluto di effetti cambiari che, in rapporto alla loro scadenza e al
grado di rischio d’incasso, vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato in
ragione di un tasso di sconto “a forfait” (da qui il nome di forfait financing).
Solitamente i titoli di credito sono tratte emesse da esportatori e accettate dagli
imprenditori esteri o pagherò emessi direttamente da quest’ultimi.
I vantaggi per l’esportatore sono rappresentati dalla rapidità d’incasso del credito e
dall’eliminazione di qualsiasi rischio finanziario conseguente all’operazione di vendita
all’estero.
ALTRE FORME DI FINANZIAMENTO
Tra le fonti di finanziamento dovremmo collocare anche il credito mercantile, vale a
dire il credito collegato ad operazioni di scambio (il credito ottenuto dai fornitori o gli
anticipi ricevuti dai clienti), rappresenta spesso una voce importante del bilancio
finanziario.
Il ricorso al credito diretto è una via per comprimere il fabbisogno finanziario che le
imprese più forti sfruttano nei rapporti di scambio con le altre imprese.
Nella pratica però tale tipologia di credito non è catalogabile tra le fonti di finanziamento,
bensì tra le voci del capitale circolante, concorrendo a determinarne la misura.
Un accenno merita anche il cosidetto credito agevolato. Sino a qualche tempo fa era
riservato alle imprese del Mezzogiorno, poi via via è stato esteso, con specifiche leggi,
anche ad imprese ubicate in altre zone d’Italia. Secondo la legislazione vigente, per
quanto riguarda in particolare le imprese che intendono avviare o ampliare iniziative
industriali nel Mezzogiorno, sono previste delle particolari agevolazioni finanziarie, che
si concretano nella concessione di mutui a tasso largamente inferiore a quello correlato
nel mercato e nell’attribuzione di contributi a fondo perduto.
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Considerazioni finali
Dopo aver analizzato le fonti di finanziamento possibili, si può intuire come all’impresa
si offrano strade diverse, in certi casi alternative ed in altri complementari, per
approvvigionarsi dei capitali necessari.
La scelta dovrà aver luogo tenendo presente:
1. gli obiettivi futuri di politica aziendale;
2. la convenienza comparata delle varie vie di acquisizione della provvista finanziaria.
Sotto il primo aspetto peseranno soprattutto l’intenzione di conservare il controllo della
gestione:
Sotto il secondo aspetto assumerà un peso determinante la comparazione della
presunta redditività dell’investimento.
Si è già sottolineato come le scelte finanziarie debbano essere assunte in
corrispondenza delle esigenze di investimento. Ogni progetto di investimento dovrà
essere attentamente valutato in termini economico-finanziari, in modo da stimarne
l’accettabilità (anche sotto il profilo dei rischi di rientro del capitale da investire) e la
sopportabilità , cioè la possibilità di corrispondere gli interessi e la quota di rimborso del
prestito.
Bisogna inoltre , nella comparazione tra le fonti alternative di provvista dei capitali, tener
presente i riflessi fiscali delle scelte finanziarie, in quanto nelle ipotesi di indebitamento il
costo sarà pari al tasso di interesse al netto del risparmio ottenuto per la deducibilità
della voce “interessi” ai fini dell’imposta sul reddito.
In certi casi, dunque, il beneficio fiscale potrà far preferire il ricorso a capitali di terzi
rispetto all’impiego di capitale proprio.
L’indebitamento, inoltre, verrà incentivato in presenza di processi accelerati di
inflazione: è chiaro, infatti, che il costo reale dell’indebitamento spesso risulterà pari al
tasso d’interesse corrisposto al finanziatore al netto del tasso di inflazione avutosi nel
periodo di accensione del debito.
Negli anni di maggiore inflazione, in Italia, gli interessi passivi risultavano alla fine
negativi, vale a dire inferiori al tasso di svalutazione dei capitali. Se infatti si considerava
anche l’effetto fiscale dell’indebitamento, non v’erano dubbi sulla convenienza del
ricorso al capitale di prestito.
Facendo un’ulteriore considerazione sulle scelte finanziarie, abbiamo visto che esse
riguardano sia l’entità sia le fonti di finanziamento a cui fare ricorso. A seconda dei casi,
la dimensione delle risorse finanziarie potrà essere un vincolo o una variabile.
Sarà una variabile allorchè per l’impresa non esisteranno problemi di disponibilità di
capitali, propri ed acquisibili, mentre – come accade soprattutto in epoche di crisi e di
restrizioni creditizie – rappresenterà un ostacolo all’espansione degli investimenti
allorquando non sarà possibile dimensionare liberamente la raccolta dei capitali.
La finanza porrà, in questo caso, dei problemi di scelta degli obiettivi e delle politiche
aziendali, rendendo possibili e convenienti solo determinate scelte di gestione e non
altre. Ciò vale soprattutto per le imprese più piccole e per quelle che si trovano nei primi
anni di vita: il ricorso, specialmente al credito bancario ma anche al credito mercantile
all’acquisto, è infatti meno agevole per le imprese di dimensioni modeste e senza una
storia alle spalle. Gli organismi nascenti sono, peraltro, quelli che hanno bisogno di una
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maggiore proporzione di mezzi finanziari perché è ovvio che non potranno contare
sull’autofinanziamento. E’ stato accertato anche da indagini di mercato che la fonte
principale di finanziamento varia in rapporto allo stadio di sviluppo (ciclo di vita)
dell’impresa.
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PROGETTI DI INVESTIMENTO
I metodi principali di valutazione economico-finanziaria degli investimenti
sono i seguenti:
1.
2.
3.
4.
5.
Metodo della redditività dell’investimento (return on investment)
Metodo del periodo di recupero (payback-period)
Metodo del tasso di redditività attualizzato (discounted cash flow)
Metodo del valore attuale (present value)
Metodo del valore finale (terminal value)
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112
Il processo di scelta dei progetti di investimento rientra tra i compiti strategici della
gestione finanziaria. Si tratta ovviamente di una responsabilità alto-direzionale perché
gli elevati investimenti coinvolgono l’immobilizzo, per periodi non brevi di tempo, di
risorse finanziarie dell’impresa, costituendo momenti di grande impegno per la vita
aziendale, soprattutto nell’ipotesi di un necessario razionamento dei capitali disponibili.
Il problema può porsi con modalità differenti a seconda della natura degli investimenti
da considerare e in funzione dell’area discrezionale entro cui può svilupparsi il processo
valutativo.
In rapporto alla finalità, gli investimenti possono essere richiesti da processi di
sostituzione, espansione, innovazione dei fattori e dell’attività aziendale.
1. Investimenti di sostituzione:
Rispondono all’esigenza di rimpiazzare elementi di capitale (macchine, automezzi,
attrezzi, ecc.) resisi inutilizzabili a causa del degrado fisico o tecnico (obsolescenza)
verificatosi nel tempo.
2. Investimenti di espansione:
Derivano dall’opportunità di ampliare il volume di attività (aumento della capacità
produttiva, organizzativa, distributiva, ecc.) secondo le preesistenti linee di gestione.
3. Investimenti di innovazione:
Gli investimenti sono provocati dalla necessità di innovare i comportamenti
aziendali, puntando su nuovi prodotti, nuove tecnologie, ecc.
In rapporto alla destinazione, gli investimenti possono suddividersi in vari gruppi:
1. Tecnici: destinati al processo di produzione, distinguibili a loro volta in materiali
(beni tangibili) e immateriali (sfruttamento di beni intangibili, quali brevetti, licenze
di fabbricazione, ecc.);
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2. Commerciali: si indirizzano verso l’attività promozionale e distributiva (creazione
di filiali, agenzie o depositi; acquisizione di automezzi, rilevamento di punti di
vendita, ecc.);
3. Amministrativi: rivolti sia all’automazione delle procedure (allestimento di centri
elaborazione dati, sostituzione di macchine elettroniche, ecc.), sia
all’addestramento degli addetti;
4. Strategici: diretti a migliorare l’efficienza interna ed esterna dell’impresa.
L’intensità con cui si presenta il problema degli investimenti varia in relazione alle
diverse epoche di vita dell’impresa e all’impatto del progresso tecnologico sulle vicende
aziendali. Assumerà punte massime al momento della creazione dell’impresa e in
occasione di ampliamenti rilevanti della sua sfera operativa, mentre sarà minore per
esigenze periodiche di rinnovo di macchine, attrezzature, utensili.
Il rinnovo avverrà, poi, con un diverso ritmo a seconda dei fenomeni di obsolescenza,
prodotti dallo sviluppo della tecnologia.
In presenza di un sistema evoluto di programmazione, la determinazione del piano
d’investimento rientra nella formulazione delle strategie aziendali e richiede un’apposita
procedura, denominata capital budgeting.
Il problema che ora si vuole affrontare è quello della valutazione degli investimenti in un
ambito più ristretto, anche se ovviammente collegato ad una visione aziendale più
generale e strategica.
Esistono criteri per valutare se un certo progetto di investimento è accettabile o, ancor
meglio, se è preferibile rispetto a progetti alternativi?
Innanzitutto occorre ricordare che la scelta degli investimenti è guidata dai parametri
fondamentali di qualsiasi iniziativa imprenditoriale: profitto e rischio. A parità delle altre
condizioni sono cioè preferibili progetti che assicurano i margini più elevati di profitto
entro un prestabilito coefficiente di rischio oppure che producono un determinato profitto
con il più basso grado di rischiosità.
Nel processo di scelta a questi elementi potrebbero aggiungersene altri quali lo sviluppo
dimensionale, il prestigio, ecc.
Rimanendo nell’ambito di criteri economico-finanziari, supponiamo che l’impresa abbia
una quantità razionata di capitale e che tenda ad impiegarla, tra i vari progetti, in modo
da massimizzare il profitto e/o minimizzare il rischio ed esaminiamo le tecniche cui può
fare ricorso per ottenere degli elementi quantitativi di valutazione. Questi possono
essere utilizzati per due scopi:
a) stabilire l’accettabilità di un progetto rispetto a valori standard prefissati (per
esempio un tasso minimo di redditività, un periodo massimo di recupero del
capitale);
b) comparare progetti alternativi, cioè determinare una lista di priorità tra più proposte
di investimento.
Le procedure e le tecniche da impiegare variano da impresa a impresa e, anche nella
stessa azienda, da caso a caso, essendo collegate non solo agli obiettivi che ciascuna
azienda pone a base della sua azione (massimo profitto, minimo rischio, massimo
sviluppo degli affari, ecc.), ma anche alla specifica operazione da realizzare.
Differenti potranno essere, infatti, i criteri per valutare la convenienza di un investimento
in un nuovo impianto, in una macchina, in un nuovo prodotto.
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Allorchè certi parametri siano comuni (tasso di profitto o ritorno dell’investimento, tempo
di recupero del capitale, ecc.), nel processo valutativo si inseriscono di volta in volta
fattori particolari, che possono variare pure in rapporto alle modifiche della situazione
aziendale.
I metodi principali di valutazione economico-finanziaria degli investimenti sono i
seguenti:
1)
2)
3)
4)
5)
Metodo della redditività dell’investimento (return on investment);
Metodo del periodo di recupero (payback-period);
Metodo del tasso di redditività attualizzato (discounted cash flow);
Metodo del valore attuale (present value);
Metodo del valore finale (terminal value)
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PROGETTI DI INVESTIMENTO
Metodo della redditività dell’investimento
(return on investment)
PERIODO
CONSIDERATO
Anno 0
INVESTIMENTO “A”
INVESTIMENTO “B”
Esborsi
Esborsi
5.000
Incassi
1.000
5.000
INVESTIMENTO “C”
Incassi
-
Esborsi
5.000
Incassi
-
Anno 1
-
1.000
-
500
-
Anno 2
-
1.000
-
1.000
-
1.000
Anno 3
-
1.000
-
1.000
-
1.750
Anno 4
-
1.000
-
1.500
-
1.750
Anno 5
-
1.000
-
1.500
-
1.750
Totale (1)
5.000
6.000
5.000
5.500
5.000
-
6.250
Reddito complessivo (2)
1.000
500
1.250
Incasso medio annuale (3)
1.200
1.100
1.250
Indice di redditività (2/1)
20%
10%
25%
Asso di reddito annuale medio (3/1)
24%
22%
25%
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L’analisi della redditività
Questo metodo basa la valutazione della convenienza dell’investimento sul tasso
annuale medio di reddito o sulla sua redditività complessiva.
In ogni caso la decisione è legata al presumibile ritorno del capitale impegnato, cioè alla
stima degli incassi ottenibili rispetto agli esborsi da sostenere.
Si tratta del criterio più comune e tradizionale, dato che il profitto è l’elemento
orientatore di qualsiasi atto di gestione.
Esso però può essere applicato in modo differente sia nella determinazione delle
grandezze da considerare (reddito netto o lordo, cash flow, ecc.), sia nella
composizione dell’indice (tasso di redditività globale o medio).
Se si procede alla valutazione in base alla redditività complessiva, occorre
stabilire non solo il criterio per la misurazione, ma anche la proiezione temporale della
misurazione stessa. La stima cioè dovrà essere riferita al periodo entro cui con
maggiore attendibilità potranno formularsi delle previsioni di reddito. Tale periodo dovrà
dunque estendersi al tempo in cui il progetto realizzerà appieno i suoi obiettivi, ma non
potrà andare al di là dell’orizzonte cui sarà possibile confidare su stime attendibili dei
redditi futuri.
Anche nell’ipotesi di una valutazione fondata sul tasso annuale medio di reddito,
sarà comunque necessario stabilire, oltre al criterio di calcolo del tasso, il periodo da
considerare, in modo da rilevare la media degli “inflows” del progetto.
Vi può essere infine il caso della valutazione condotta con il tasso normale di
redditività, che tenga presente il reddito ottenibile allorchè l’investimento raggiungerà
appieno gli obiettivi prestabiliti.
Nella tabella riportata, supponiamo che l’impresa decida di prendere in considerazione i
progetti A e C, e non il B, il cui indice del 10% risulta inferiore al 12% fissato come
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criterio di accettabilità di qualsiasi progetto, oppure che scelga direttamente quello C,
che presenta la redditività più elevata.
Questo metodo di valutazione esclude in ogni caso il fattore tempo, perché considera la
somma degli esborsi e degli incassi a prescindere dall’intensità e dalla successione
temporale secondo cui si verificheranno.
Per l’impresa potrebbe invece risultare preferibile un progetto che, pur generando una
redditività inferiore, consentisse di reintegrare più velocemente l’esborso iniziale, cioè
che presentasse un minor tempo di recupero dell’investimento.
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PROGETTI DI INVESTIMENTO
Metodo del periodo di recupero dell’investimento
(pay-back period)
INVESTIMENTO “A”
Esborsi
Anno 1
3.000
Anno 2
-
Anno 3
-
Totale
Media annuale degli incassi
Periodo di recupero
Incassi
-
1.500
1.500
-
3.000
INVESTIMENTO “B”
Esborsi
Incassi
3.000
-
1.000
3.000
1.500
3.000
-------- = 2 anni
1.500
1.000
1.000
3.000
-
3.000
1.000
3.000
-------- = 3 anni
1.000
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114
Il metodo del periodo di recupero
Questo metodo tende a valutare il grado di rischiosità di un investimento in quanto
misura il lasso di tempo entro cui gli incassi (inflows) ottenibili riescono a reintegrare il
capitale impiegato.
Esso consente di qualificare meglio il concetto di redditività, introducendo nella
valutazione un coefficiente di rischio di ciascun progetto.
L’impresa può infatti stabilire di prendere in considerazione progetti che non vadano al
di là di un certo tempo massimo di recupero monetario, in modo da fissare un criterio di
accettabilità delle singole proposte.
Ma la misurazione del periodo di rientro può essere utilizzata anche per la
comparazione di più progetti, allorchè in base ad esso si determina l’ordine di priorità tra
i vari impieghi del capitale. Ad esempio, tra i due progetti A e B, l’impresa, sulla scorta
di questo criterio, sceglierà il primo che presenta un periodo di rientro di 2 anni, rispetto
ai 3 del secondo.
La determinazione del “payback period” assume un’importanza decisiva specie quando
l’iniziativa è caratterizzata da una rilevante aleatorietà. L’impossibilità di un rapido
reintegro del capitale investito può indurre, anche in presenza di confortanti previsioni
di reddito nel tempo lungo, a desistere dall’attuazione del progetto.
In questo caso l’elemento determinante è il tempo di esposizione al rischio piuttosto che
il rischio in sé: di conseguenza , il fattore principale di comparazione è rappresentato
dalla velocità di recupero dell’investimento da compiere e dal periodo necessario per
ottenere da esso un reddito accettabile.
La valutazione del grado di vantaggio della decisione non potrà, in nessun caso,
prescindere dall’aspetto della rischiosità, dato che i profitti aziendali dovranno essere
considerati in rapporto all’intensità dei rischi che gravano sull’operazione.
In tal senso, mentre l’analisi della redditività offre delle preziose indicazioni circa il primo
elemento, quella del “tempo di recupero” misura non solo la durata di esposizione al
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rischio del capitale investito, ma consente anche di stimare l’onerosità del
finanziamento dell’operazione stessa.
Un più rapido rientro dei fondi impiegati attenua, infatti, il carico finanziario e consente
all’azienda investitrice di moltiplicare le occasioni d’investimento.
Occorre peraltro dire che il “pay-back period” non misura l’altezza del rischio, ma
unicamente la durata di esposizione al rischio del capitale immobilizzato e rappresenta
un concetto abbastanza grossolano, che non tiene presente né la redditività né
l’intensità secondo cui si manifestano nel tempo i ritorni dell’investimento, considerando
il periodo complessivo necessario per ammortizzare l’immobilizzo nella sua totalità.
E’ intuibile che, fra due progetti con identico “tempo di rientro”, è più vantaggioso quello
che origina ritorni comparativamente più elevati nei primi anni.
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PROGETTI DI INVESTIMENTO
Metodo del tasso di redditività attualizzato
(discounted cash flow)
CRITERIO DEL VALORE ATTUALE NETTO
COSTO DEL CAPITALE
16%
INVESTIMENTO “A”
Anno
Esborsi
Incassi
Cashflow netto
INVESTIMENTO “B”
Fattore di
attualizzazione
Cash-flow
attualizzato
Esborsi
0
10.000
0
- 10.000
1,0000
- 10.000
10.000
1
3.500
9.000
5.500
0,8621
4.741
2
3.500
9.000
5.500
0,7432
4.087
3
3.500
9.000
5.500
0,6407
3.524
Valore annuale netto
6.500
Incassi
Cash-flow
netto
Fattore di
attualizzazione
Cash flow
attualizzato
0
- 10.000
1,0000
- 10.000
4.500
8.000
3.500
0,8621
3,017
4.500
10.000
5.500
0,7432
4,087
4.500
12.500
8.000
0,6407
5,125
2.352
7.000
Gestione Aziendale II
2.230
115
Metodo dell’analisi di redditività attualizzata
Questo metodo consente di ovviare agli inconvenienti prima denunciati, inserendo nelle
misurazioni il “valore” del denaro.
Quest’ultimo è stabilito oggettivamente dal mercato, sotto forma del tasso corrente
d’interesse, e soggettivamente dall’investitore in rapporto alla sua preferenza verso
disponibilità liquide.
E’ evidente, del resto, che il valore del denaro è tanto minore quanto più la sua
disponibilità si allontana nel tempo: un euro disponibile oggi vale certo di più di un euro
disponibile tra un anno.
Con questo metodo si attualizzano (cioè si riducono ad un unico momento temporale) i
redditi futuri derivanti dall’investimento, in modo da permettere una migliore
comparazione di progetti alternativi.
Con esso si può valutare anche l’accettabilità di ciascun progetto, cioè stabilire se la
sua redditività attualizzata sia superiore al costo del capitale.
Nella valutazione bisogna tenere presente il ritmo degli esborsi e degli introiti perché il
ritorno dell’investimento si traduce in una serie di entrate monetarie, che si diffondono
nell’ambito del periodo di vita dell’investimento stesso, mentre l’erogazione monetaria
per realizzare il progetto può concentrarsi anche in un solo esborso iniziale o comunque
restringersi in un periodo certamente più breve rispetto a quello di vita del progetto.
Di conseguenza, il processo valutativo economico-finanziario deve fondarsi
sull’attualizzazione dei flussi di cassa in uscita e in entrata.
I metodi a cui si fa generalmente ricorso sono due:
1. il tasso di rendimento interno (internal rate of return);
2. il valore attuale netto (net present value)
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Con il primo metodo si individua il tasso di attualizzazione che rende uguali il flusso di
introiti e di esborsi.
La formula da applicare è:
n
∑ (Ei – Ui) (1 + x) - i = 0
i=0
dove:
Ei = flusso di introiti
Ui = flusso di esborsi
x = tasso di attualizzazione da ricercare
Una volta trovato questo tasso, la convenienza dell’investimento potrà essere valutata
in funzione della differenza fra questo tasso e quello da corrispondere per il reperimento
dei fondi necessari.
Se, ad esempio, il tasso interno di rendimento fosse previsto al 13% e il costo da
sostenere per l’acquisizione delle risorse finanziarie risultasse pari al 9%, sussisterebbe
un divario positivo tale da far valutare la convenienza in assoluto dell’investimento
oppure la sua convenienza relativa rispetto a progetti alternativi.
Con il metodo del valore attuale netto si opera assumendo un tasso di attualizzazione
pari a quello del costo del capitale (c), in modo da determinare il valore attuale del
progetto.
In formula si ha:
n
VAN = ∑ (Ei – Ui) (1 + c) - i
i=0
Il progetto risulterà tanto più conveniente quanto più elevato sarà il suo valore attuale
netto.
Nell’esempio riportato in tabella, il progetto A risulta preferibile a quello B perché
presenta appunto un più ampio VAN. In altri termini, per l’impresa risulterà vantaggioso
intraprendere tutti quegli investimenti in cui il VAN risulterà positivo e che, nel rispetto
del vincolo di capitale, registrino VAN totali più elevati.
Va infine denunciata la difficoltà di ricostruire preventivamente il flusso di introiti
derivanti dall’investimento, soprattutto per quanto attiene alla vita utile dello stesso. I
calcoli si basano, in effetti, su molti elementi previsionali ed i risultati non possono che
essere accolti in termini indicativi.
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO IN INGEGNERIA GESTIONALE
PROGETTI DI INVESTIMENTO
Metodo del valore finale
(terminal value)
E’ il metodo più sofisticato fra quelli sino ad ora considerati, perché tiene conto non solo
della successione e dell’entità degli esborsi e degli incassi, ma anche delle opportunità di
reinvestimento degli inflows.
Prevede che il reinvestimento avvenga a tassi differenti dal costo del capitale o dal TIR e che
detti tassi possano variare da periodo a periodo.
Bisogna prevedere non solo gli inflows e gli outflows di ciascun progetto, ma anche le opportunità
di reinvestimento e l’eventuale variazione dei tassi di rendimento dei capitali reimpiegati e dei costi
di capitale.
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Metodo del valore finale
E’ il metodo più sofisticato fra quelli sino ad ora considerati, perché tiene conto non solo
della successione e dell’entità degli esborsi e degli incassi, ma anche delle opportunità
di reinvestimento degli inflows, via via derivanti dal progetto d’investimento.
In proposito è bene sottolineare che entrambe le tecniche di attualizzazione viste in
precedenza (VAN e TIR) considerano la possibilità di reinvestire i flussi di cassa
intermedi generati dal progetto. Tuttavia, con il VAN si suppone che il reinvestimento
avvenga ad un tasso pari al costo del capitale, mentre con il TIR il reinvestimento è
considerato sulla base del tasso interno di rendimento.
Rispetto a queste due tecniche, dunque, la tecnica del valore finale prevede che il
reinvestimento avvenga a tassi differenti dal costo del capitale o dal TIR e, inoltre, che
detti tassi possano variare da periodo a periodo.
Si tratta, in altri termini, di una valutazione combinata e a tassi variabili di tali grandezze,
per la quale bisognerà prevedere non solo gli inflows e gli outflows di ciascun progetto,
ma anche le opportunità di reinvestimento e l’eventuale variazione dei tassi di
rendimento dei capitali reimpiegati e dei costi di capitale.
Essa comporta, pertanto, numerosi elementi di complicazione, anche se risulta la più
significativa ai fini soprattutto della comparazione tra progetti alternativi.
Uno dei problemi più impegnativi da risolvere, per questo come per gli altri metodi di
valutazione illustrati in precedenza, è la determinazione del costo del capitale.
Le risorse necessarie per gli investimenti possono infatti provenire da varie fonti, per
alcune delle quali (mutui bancari, prestiti obbligazionari) non appare difficile determinare
il relativo costo, mentre per altre (emissioni azionarie, autofinanziamento, ecc.) la
determinazione incontra parecchi ostacoli.
E’ peraltro intuibile che la bontà delle valutazioni economico-finanziarie poggia in modo
sostanziale su tre elementi (previsione degli esborsi, previsione degli incassi, costo del
capitale) e che, solo in presenza di dati attendibili su di essi, appare consigliabile
l’impiego dei metodi più sofisticati esaminati per ultimi.
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E’ il caso di ribadire che le valutazioni sulla base di parametri economico-finanziari non
risolvono il problema della scelta, ma offrono agli organi responsabili solo alcune
indicazioni di priorità.
Abbiamo visto che le tecniche di valutazione accennate presentano limiti estrinseci ed
intrinseci.
I primi sono dovuti alle condizioni di applicabilità delle tecniche matematiche.
I secondi si legano alle peculiarità di svolgimento della gestione aziendale. All’interno di
questa, infatti, non è lecito isolare un problema di investimento perché gli effetti della
sua attuazione si estenderanno inevitabilmente al di fuori dell’area specifica di
riferimento e per tempi variabili da caso a caso.
La presenza di strette interrelazioni nella gestione aziendale e la necessità di
considerare i problemi di scelta a grappoli o in funzione di aree sia dirette che indirette
di riferimento fanno comprendere la difficoltà o comunque i limiti di validità correlati
all’impostazione e risoluzione matematica dei problemi di scelta degli investimenti.
Per quanto concerne l’uso delle tecniche matematiche nella risoluzione dei problemi
aziendali, occorre dire che, pur essendo di grande utilità ai fini dell’indirizzo delle scelte
imprenditoriali, tuttavia non potranno in nessun modo essere considerate delle tecniche
decisionali. Un progetto di investimento va comunque valutato in rapporto alla sua
flessibilità strategica, cioè a possibili cambiamenti o differimenti in fase realizzativa.
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