INTRODUZIONE Quale memoria per il noir italiano? Monica JANSEN & Yasmina KHAMAL Universiteit Antwerpen, Université catholique de Louvain Negli anni dopo la guerra fredda in Italia si assiste alla proliferazione di romanzi d’inchiesta rivolti a nodi nevralgici che dividono la memoria storica del paese. Il primo volume pubblicato nella collana “Moving Texts”, Noir de Noir: un’indagine pluridisciplinare, ha esplorato i confini generici tra giallo e noir. Questo secondo volume s’incentra sul legame tra noir e memoria, diventato un campo d’investigazione che oltrepassa i limiti della critica letteraria. A cosa serve la memoria veicolata dal noir italiano e a chi si rivolge? La domanda che ha costituito il filo rosso del convegno internazionale svoltosi a Louvain-laNeuve nel maggio 2008, assume esplicitamente un’ottica pluridisciplinare incentrata sulla transmedialità della memoria nel suo rapporto intrinseco alla cultura italiana in un contesto globalizzato.1 Nelle relazioni presentate al convegno organizzato dalle università di Anversa e di Louvain, si profilano due percorsi principali in cui gli aspetti sociali ed estetici del noir italiano acquistano sia una dimensione antropologico-psicologica che una dimensione politica e etica. Nel primo caso il romanzo d’inchiesta offre una struttura narrativa per rappresentare il “movimento” della memoria, nel tempo e tra diverse culture. Il giallo, nel senso di una macchina narrativa che corrisponde a regole e aspettative precondizionate, è qui uno strumento narratologico per analizzare la costruzione della soggettività individuale e interpersonale. Si può notare che negli ultimi anni le ricerche in psicologia cognitiva tendono a rivolgersi sempre più spesso alla narratologia per studiare l’abilità soggettiva di costruire e raccontare storie. Nel secondo caso il noir assume la connotazione di “romanzo sociale” in quanto il 1 Corrisponde alla seconda tappa di un percorso iniziato a Aix en Provence a marzo 2008 in cui sono stati esplorati i rapporti tra “il romanzo poliziesco, la storia, la memoria”. Si veda Milanesi, 2009. 9 Introduzione genere investigativo sarebbe adatto per raccontare la lotta contro l’ordine prestabilito. La memoria qui appartiene a determinati gruppi sociali che intendono mettere in questione la Storia per aprire spazi alternativi non sempre omologabili a una memoria di tipo collettivo. L’ultimo sviluppo narrativo in Italia con tale proposito è il cosiddetto New Italian Epic (NIE) lanciato dal collettivo Wu Ming, che porta avanti l’esigenza etica del narrare oltre i limiti convenzionalizzati del noir, per raccontare la lotta della “moltitudine” che cambia faccia a seconda dei tempi e delle istituzioni, ma che non cambia il suo impeto indisciplinato.2 L’approccio antropologico-psicologico è stato introdotto da Raffaella Petrilli, semiotica, che si è impegnata a definire il concetto di memoria distinguendo al suo interno una dimensione emotiva – il ricordo del valore delle cose – e una dimensione conoscitiva – l’anamnesi o ricostruzione del senso delle cose. Il giallo presenta un conflitto iniziale di ricordi reso dicibile e consapevole dal detective che ha il ruolo di incarnare la “memoria-anamnesi”. Paradossalmente il detective italiano è spesso troppo intrappolato nella “memoria-ricordo” per poter risolvere l’indagine e, sul piano investigativo, la macchina dell’anamnesi gira quindi spesso a vuoto. Il discorso di Petrilli presenta molte affinità con il contributo di Giovanna Leone, studiosa di psicologia sociale, che si ispira a Frederic Bartlett per analizzare la memoria come processo di “convenzionalizzazione”, illustrato per il convegno con l’adattamento della serie originale di Maigret a una fiction televisiva italiana. Se la memoria equivale alla lotta per il significato, allora le “iper- e iposemantizzazioni” inerenti alla trasposizione interculturale del testo originale di Simenon diventano indizi per determinare il blueprint di una cultura: il malessere sociale di Maigret nella sceneggiatura italiana si trasforma in una resistenza privata e familiare ad una calunnia personale. Sia per Petrilli che per Leone il giallo si presenta dunque come una struttura testuale convenzionale che consente di studiare la peculiarità culturale della gestione del conflitto di ricordi e di interpretazioni all’interno dei “quadri sociali” della memoria delineati da Maurice Halbwachs, citato in proposito dalle due studiose. Mentre in questo primo approccio la memoria viene definita in relazione a un’accezione antropologica del concetto di cultura, nel secondo percorso introdotto dal contributo di Elfriede Müller, autrice con Alexander Ruoff di Le Polar français, crimes et histoire, la memoria acquista una dimensione politica dato che appartiene a gruppi e generazioni che costruiscono la loro identità in opposizione alla Storia. 2 Per un dibattito sul NIE riferiamo, oltre a Wu Ming (2009) ai documenti raccolti sui siti http://www.carmillaonline.com/ e http://www.wumingfoundation.com/. 10 Monica Jansen & Yasmina Khamal In questo caso, attraverso la funzione “controrappresentativa” assegnata alla letteratura d’inchiesta, il conflitto di ricordi alla base del giallo delinea “controluoghi” (“contre lieux”) della storia che si distinguono dai luoghi della memoria descritti da Pierre Nora. In Francia, tale procedimento si è concretizzato nel cosiddetto “polar post-soixantehuitard” che è diventato il genere adatto a dar voce ai “vinti”, ovvero prevalentemente a una sinistra extraparlamentare che ha veicolato un’interpretazione positiva del maggio ’68. Müller si chiede se gli autori italiani integrano una memoria di gruppo paragonabile e una prima risposta viene data dal contributo militante di Girolamo De Michele. Rifacendosi alla lezione di Jean-Patrick Manchette, il noir diventa per lui un genere in cui trasgredire i precetti assume i contorni di un dovere etico. Con riferimento ai sociologi Aldo Bonomi e Zygmunt Bauman, ideatori di “identità glocali” operanti all’interno di una condizione “liquida” dell’esperienza della verità, e con riferimento al mito di Proteo che rappresenta l’allegoria della conoscenza, De Michele teorizza un sapere performativo che coniuga raccontare e agire. Il noir funziona quindi in una dimensione critica che richiede piena assunzione di responsabilità da parte dello scrittore, che per prendere sul serio il proprio lavoro deve stare “con il culo in strada”. Un atteggiamento critico estraneo alla dimensione ludica del noir testimoniata invece da Piero Soria, autore torinese presente al convegno e per il quale il giallo non è altro che un “trucco” o una scusa per raccontare i cambiamenti sociali della sua città, senza interrogarsi sull’eventuale legame con una società di classe. Mentre De Michele presuppone un atteggiamento attivo da parte del suo lettore ideale, Soria si rivolge quindi piuttosto ad un lettore che desidera essere intrattenuto. Gioco o racconto-azione, il noir italiano sembra prima di tutto voler mettere “il dito nella piaga dell’oblio”.3 Visto che la persistenza di “misteri italiani” suscita prima di tutto una mancanza di fiducia nei confronti di una democrazia italiana che possa elargire “verità e giustizia” ai suoi cittadini, spetterebbe proprio alla narrativa noir consegnare alla mente dei lettori un immaginario collettivo che possa fungere da memoria. Marco Amici e Gert Sørensen nei loro interventi su Giancarlo De Cataldo, che con Romanzo criminale e Nelle mani giuste ha offerto ai lettori la possibilità di riconnettersi con episodi traumatici dell’Italia degli anni 1970 e 1990, si soffermano sul modo in cui il romanzo riesce a sfidare la mistificazione del reale, a offrire una storia più vera di quella ufficiale. Mentre Amici parte dalla nuova condizione dello scrittore che si vede confrontato con l’ambiguità dell’esperienza mediata dai mezzi 3 Quadruppani, “Il romanzo nero delle edizioni Métailié”. 11 Introduzione della comunicazione di massa, Sørensen, in quanto storico, esplora il punto in cui il genere noir, che non prevede una soluzione del fatto criminale, fa emergere una visione riconducibile al concetto dello storico Franco De Felice di “doppio Stato”, basato sul presupposto che la violazione della legge non è altro che una strategia per ridistribuire il potere. In ambedue i casi la finzione, nelle sue vesti di faction, serve a costruire una linea metaforica che possa elevare la narrazione sul piano della “mitopoiesi” senza perdere però il contatto con il reale. Amici parla così di ritorno al romanzo storico e Sørensen di uno stile verista. Il “come se” della finzione offre quindi la facoltà di fare “esperienza” del vero in un mondo di verità parallelo, ipotesi sostenuta da Alberto Casadei nella sua analisi di Gomorra di Roberto Saviano come esempio di un “naturalismo 2.0” in cui l’autore non scompare ma sostituisce il lettore nell’azione investigativa instaurando una sorta di compartecipazione portatrice di senso. In altre parole: il naturalismo si traduce in un contatto diretto attraverso la presenza fisica di un narratore testimone che sperimenta la realtà su se stesso. In tal modo si crea un tipo di letteratura-azione che rianima il rapporto con una realtà che sembra già evidente nella sua forma televisiva. Nel suo contributo sui romanzi Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia e Il giorno del lupo di Carlo Lucarelli, Yasmina Khamal mette a fuoco un aspetto di questa narrazione-azione nel suo rapporto alla memoria collettiva e si richiama alla definizione della letteratura come “discorso costituente” che propone Dominique Maingueneau, ossia un discorso che funge da garante per altri discorsi e dà senso agli atti della collettività. La sua enunciazione non può situarsi né all’interno né all’esterno della società e si costituisce attraverso l’impossibilità ad assegnarsi un vero spazio, in una località che Maingueneau definisce “paratopica”. Nel suo confronto tra le rappresentazioni sciasciane e lucarelliane del fenomeno mafioso, Khamal evidenzia questa dimensione “paratopica” degli itinerari conoscitivi messi in scena che assumono in tal modo i contorni della testimonianza. La compartecipazione memorativa al reale non è priva di rischi e non è sempre indolore. Il contributo di Luca Somigli sui gialli storici di Loriano Macchiavelli sottolinea che il ritorno al passato nella narrativa noir non equivale necessariamente ad una sua redenzione e consecutiva mitologizzazione, ma l’esperienza del senso tende invece ad evidenziare i lati più oscuri di un mondo già pervaso dai veleni “che ammorbano il presente”. Bisogna dunque anche chiedersi in base a quale interpretazione storica si “faccia comunità”. In un intreccio continuo tra macro- e microstoria, la memoria nel noir italiano rimane spesso collegata o collegabile ad un determinato gruppo sociale, a volte dimenticato strumentalmente dalla Storia come 12 Monica Jansen & Yasmina Khamal lo evidenzia Marta Forno nel suo intervento su Piero Colaprico e Pietro Valpreda e la loro esperienza del processo di oblio che accompagna i cambiamenti della criminalità milanese tra gli anni 1960 e 1990: può la memoria in questo caso essere motore di qualche forma di giustizia che oltrepassa il livello personale? La questione di sapere fino a che punto sia legittimo che la memoria di un gruppo si assuma l’onere di rappresentare una collettività è particolarmente intricata per quanto riguarda la tradizionale divisione bipolare tra fascismo e resistenza. Qui l’auspicio di Müller di arrivare attraverso il noir a una memoria di gruppo che aspira a essere consensuale, nel contesto italiano sembra impraticabile. Come mette a fuoco Maria Pia De Paulis nella sua analisi di Quella mattina di luglio di Corrado Augias incentrato sul bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo il 19 luglio 1943, la rilettura storica degli eventi può avere una funzione pedagogica memoriale soltanto attraverso il “senno del poi” della letteratura. Combinando la credenza nella mistificazione di Mussolini da parte del personaggio principale del romanzo con la rilettura in chiave antifascista del narratore, il lettore viene collocato al centro della problematica della narrazione che richiede una prospettiva etica. Attraverso l’analisi del romanzo a quattro mani di Loriano Macchiavelli e Francesco Guccini, Tango e gli altri, Paolo Chirumbolo si scaglia contro giornalisti quali Giampaolo Pansa, che ribaltano la storia della guerra partigiana, mettendo in luce la resa dei conti ai fascisti sconfitti. Partendo da una citazione di Linda Hutcheon secondo la quale la narrazione è ciò che traduce il sapere in raccontare (“narrative is what translates knowing into telling”), egli dimostra che Tango e gli altri è una narrazione che risponde a ciò che gli autori considerano la “grande bugia” del revisionismo storico, imperante sia nell’immediato dopoguerra nella politica reazionaria del governo Tambroni sia nell’oblio storico operato dal governo Berlusconi. Una memoria condivisibile è problematica in Italia non soltanto per motivi storici, ma anche per motivi sociali e geografici. Alessia Risi nella sua analisi delle trame secondarie dei romanzi di Grazia Verasani Quo Vadis Baby? e Velocemente da nessuna parte dimostra che la trasposizione stereotipata dei profili femminili al cinema e alla televisione testimonia dell’oblio colpevole di un percorso di emancipazione femminile che dovrebbe portare a una ridefinizione dei ruoli sociali anziché a un processo di regenderization. Un vuoto della memoria che ha spinto la giornalista Loredana Lipperini a scrivere il saggio Ancora dalla parte delle bambine sottolineando l’attualità prolungata dell’allarme suonato da Elena Gianini Belotti negli anni 1960. Per quanto riguarda la memoria di un’identità nazionale, il panorama giallistico presentato da Franca Pellegrini rispecchia 13 Introduzione un’identità italiana sfaccettata che rende più lecito parlare di identità “nazional-regionale”. Dell’idea gramsciana di una cultura nazionalpopolare rimane intatta una letteratura che si ispira sì alla cultura popolare ma per mettere in risalto che l’identità si costruisce per “interconnessione”, decostruendo così anche l’opposizione tra Nord e Sud. La tesi viene dimostrata con il paragone tra NordEst di Massimo Carlotto e Marco Videtta e Gomorra di Roberto Saviano, e potrebbe essere ampliata per includere la nuova realtà multiculturale italiana introdotta da Daniele Comberiati con il giallo migrante Scontro di civiltà per un ascensore in piazza Vittorio dell’autore algerino Amara Lakhous. Nello sguardo “obliquo” che lo straniero Lakhous rivolge alla società italiana, la memoria tende addirittura a cancellarsi in una frammentazione di interpretazioni individuali che impediscono di giungere ad una verità storica condivisa. Il doppio finale antitetico rende chiaro che la forma di giustizia creata dal giallo non viene raggiunta, forse proprio per la mancanza di una memoria che potremmo definire “transculturale” in quanto traduce lo “scontro di civiltà” nel modello più pacifico dell’interconnessione delineato da Pellegrini. All’interno del genere noir, un certo straniamento funziona a livello esistenziale per evidenziare come la logica culturale del capitale frammenta e plasma l’individuo alienato da se stesso. William Hope esplora così, nell’analisi del film di Gabriele Salvatores Quo vadis baby?, tratto dal romanzo di Grazia Verasani, i contorni di un noir “stato d’animo” che assale il detective in uno straniamento da sé e dalla società, conseguenza diretta dell’“internalizzazione” delle condizioni socio-economiche e di una criminalità che diventa istituzionalizzata. Giunti alla fine del percorso si potrebbe chiedersi a quali criteri dovrebbe rispondere una verità di tipo consensuale che la finzione investigativa consentirebbe di raggiungere. Minne de Boer nella sua tipologia del giallo storico mette in discussione l’elemento di “antistoria” che associa ai gialli che trattano degli scandali italiani della guerra fredda. Per lui il romanzo d’indagine funziona come un mezzo alternativo e non antitetico alla storiografia professionale: la suspense introdotta in una storia che già appartiene al passato la riapre a nuove interpretazioni. Claudia Canu cerca la sua risposta nella cifra epistemologica del poliziesco che, attraverso la verosimiglianza della narrazione, ridefinisce la bipartizione tra simboli e cose. Con l’esempio del giallista sardo Giorgio Todde ha rilevato come il simbolo possa diventare la traccia intorno a cui si costruisce la memoria collettiva. Costantino Maeder evidenzia invece il carattere sfaccettato di una verità considerata nel Giorno del lupo di Lucarelli attraverso il prisma delle strategie argomentative e dell’effetto parodico generati dall’intertestualità con Il giorno della civetta sciasciano. Il romanzo di 14 Monica Jansen & Yasmina Khamal Lucarelli innesca la memoria culturale del lettore costringendolo ad un lavoro interpretativo complesso sulla base degli elementi intertestuali disseminati e del confronto con il proprio contesto socioculturale. Bisogna quindi reinventare la storia per mettere in scena la mitologia dell’epica lotta tra bene e male? A scapito della gratuità estetica del postmodernismo, tra gli scrittori italiani degli ultimi anni riaffiora quella che Claudio Milanesi, ripercorrendo le tappe del memorandum sul New Italian Epic, chiama la “coscienza dell’eticità del narrare”. Trasporre la lotta per il significato a un livello mitologico comporta però anche il rischio di interpretare il conflitto non tanto in termini razionali ma piuttosto in termini passionali. L’atto memoriale che iscrive gli eventi narrati nella mitologia tracciando segni profondi nell’immaginario collettivo oltre i confini del noir non basta quindi a se stesso e andrebbe comunque accompagnato dal lavoro storiografico. L’esplorazione del ruolo della memoria nella letteratura noir italiana evidenzia cinque interrogativi fondamentali che strutturano questo volume: 1. Modalità di memoria, storia e impegno 2. Scrittura noir e forme di memoria 3. Narrazione e memoria (con)divisa 4. Memoria e identità 5. Memoria, storia e verità Strumento narratologico e romanzo sociale sono le due dimensioni della narrazione noir contemporanea che si intrecciano all’interno del percorso tracciato al convegno di Louvain-la-Neuve come è stato palesato dai contributi riuniti nella prima parte (Petrilli, Leone, Müller, De Michele). Il romanzo poliziesco, impegnandosi a rendere visibile la criminalità, risponde da un lato al desiderio della società civile e di diritto di definire causalità e colpa, di ristabilire l’ordine e di prendere partito, mentre dall’altra dimostra invece una crisi di legittimazione dove forme di giustizia individuali e costituzionali non sembrano sempre corrispondere e fanno emergere l’urgenza di una memoria alternativa di stampo micro- o macrocollettivo. Secondo la studiosa Ann Rigney, il termine “memoria culturale” indica che le memorie condivise del passato sono il prodotto di processi di mediazione e di testualizzazione e di atti di comunicazione. Ciò significa che c’è un’interazione continua tra memoria vissuta e fonti di informazione esterne ad essa che con una parola potremmo chiamare memory transfer.4 Ai media artistici spetta un ruolo particolare nel trasferimento 4 Rigney, “Plenitude, scarcity and the circulation of cultural memory”, p. 25. 15 Introduzione di memorie da una comunità all’altra e nella ridefinizione dei confini fra i vari gruppi interpretativi. In questo la forma del romanzo d’inchiesta e il percorso conoscitivo che attua hanno acquisito una funzione centrale. Mentre nella seconda parte viene indagata la scrittura noir (e oltre) più adatta per dare forma a memoria e storia (Amici, Sørensen, Casadei, Khamal), la terza si pone la domanda della possibilità di una memoria collettiva nel contesto particolare della storia italiana (Somigli, Forno, De Paulis, Chirumbolo). La quarta parte mette in relazione all’interno della narrativa poliziesca diversi modi di fare comunità, di genere, regionale, multiculturale e socio-economico (Risi, Pellegrini, Comberiati, Hope). Si può infine domandarsi se il ricorso alla finzione per congetturare possibili soluzioni oltre la realtà dei fatti, potrebbe segnalare all’interno del genere noir la via di un impegno di tipo “postmoderno”, come ha suggerito Jennifer Burns a proposito del volume Assassinations and Murder in Modern Italy, curato da Lucia Rinaldi e Stephen Gundle e presentato durante il convegno. Anche se, come lo sottolineano i recenti convegni e dibattiti critici,5 la questione dei confini tra fiction e faction e dell’importanza del lavoro storiografico si pone anche, e forse necessariamente, al di fuori dei limiti della scrittura di genere. I contributi che, nella quinta parte, chiudono il volume, intendono esaminare le dimensioni ontologiche ed epistemologiche della verità narratologica del noir (De Boer, Canu, Maeder, Milanesi). Bibliografia De Paulis-Dalembert M.P., a cura di, L’Italie en jaune et noir. La littérature policière de 1990 à nos jours, Paris, Presses Sorbonne Nouvelle, 2010. Milanesi C., a cura di, Il romanzo poliziesco. La storia, la memoria, vol. 1, Bologna, Astrea, 2009. Quadruppani S., “Il romanzo nero delle edizioni Métailié: un punto di vista sul mondo”, Carmilla on line (23.9.2008), http://www.carmillaonline.com/archives/2008/09/002787print.html (6.6.2010). Rigney A., “Plenitude, scarcity and the circulation of cultural memory”, in Journal of European Studies 35/1 (2005), pp. 11-28. 5 L’Italie en jaune et noir, Parigi, 10-11 ottobre 2008; Fiction, faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi, Varsavia, 910 novembre 2009; Flux et reflux de la postmodernité: du postmodernisme à la modernité liquide. Réflexions sur les cas de l’Italie et du Portugal, Grenoble, 67 maggio 2010; Negli archivi e per le strade: il “ritorno al reale” nella narrativa italiana di inizio millennio, Toronto, 7-8 maggio 2010. 16 Monica Jansen & Yasmina Khamal Rinaldi L. & S. Gundle, a cura di, Assassinations and Murder in Modern Italy. Transformations in society, New York, Palgrave Macmillan, 2007. Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009. 17