LA MUSICA POPOLARE IN PUGLIA Nino Blasi In questa sezione introduttiva mi risulta doveroso avanzare alcune considerazioni preliminari. La musica popolare, una volta diffusissima, circolava oralmente e adempiva a funzioni sociali; nella sua trasmissione, sia essa antica che più recente, ha subito adattamenti di varia natura che inducono ad osservare alcune cautele nelle procedure di datazione, classificazione, localizzazione, individuazione dell’area e dei livelli di diffusione, nonché dei bacini di destinazione e fruizione. 1. La difficoltà di stabilire una precisa cronologia per un brano, sia nella configurazione poetica che nella espressione musicale, è imputabile, fondamentalmente, alla trasmissione orale che, se da un lato registra e conserva i modelli, dall’altro, non fissandoli definitivamente, rimane esposta a continui interventi di trasformazione che impediscono una immediata e chiara lettura del prodotto culturale pervenuto. 2. Una singola composizione, pur avendo una ipotizzabile area di provenienza, la si riscontra in diversi contesti spazio-temporali che modificano e, talvolta, compromettono l’originaria struttura poetico-musicale, i contenuti, i linguaggi, gli strumenti utilizzati e la vocalità. Di qui le varianti, anche con modifiche sostanziali, che conducono, ad esempio, a versioni in cui i testi poetici si adattano su diverse melodie, o viceversa. 3. La musica popolare ha sempre avuto canali di diffusione e referenti di ascolto diversi dalla musica colta e ufficiale che, pur tuttavia, in diverse occasioni, non ha mancato di attingere ad essa, studiarne le peculiarità e proporne una rielaborazione. Diverse melodie pervenuteci testimoniano maggiori affinità con la musica antica che non con quella moderna, anche per ciò che concerne gli strumenti musicali utilizzati e le tecniche esecutive. 4. Nell’ampia problematica popolare/dotto si inserisce anche il binomio collettività/individuo: anche nel caso della conoscenza dell’autore di un documento letterario e/o musicale popolare, la maggioranza degli studiosi concorda nella impossibilità di poter fissare una linea di demarcazione tra il singolo e la comunità, 1 considerati entrambi in sempre diversi rapporti di fluide intersecazioni come produttori, fruitori e trasformatori. 5. La musica popolare è parte integrante di un più vasto patrimonio culturale appartenente alla memoria storica di un’etnia, che include fiabe, proverbi, leggende, occasioni sociali, attività lavorative, forme rituali e spettacolari legate al ciclo della vita umana e della natura a cui un tempo era intimamente connessa. Impostazioni etnomusicologiche più avanzate, che all’analisi specialistico-formale dei documenti affiancano la considerazione di studi antropologici, sociologici, storici, filologici, ecc., contribuiscono a dare alla tradizione musicale popolare, nelle sue peculiarità, un profilo quanto più possibile preciso in ordine ai moventi, le occasioni, i significati, i contenuti e le forme, gli autori e i fruitori. 6. La bibliografia critica riguardante la musica popolare ha spesso anteposto un’ideologia precostituita nel cui quadro teorico sistemare i documenti da analizzare, sia essa di impostazione spiritualista o formalista, idealista o marxista, ecc. 7. Diversi canti possono presentare, nelle varianti pervenute, fluttuazioni melodiche, ossia modifiche o abbellimenti di alcuni punti del brano che si richiamano a una flessibilità intonativa tipica più delle tradizioni monodiche che non di quelle polifoniche. Spesso il musicista popolare, condizionato nell’esecuzione dai propri limiti fisiologici, o consapevole delle proprie potenzialità, si ritaglia una sua particolare tessitura del componimento o di parte di esso. 8. La trasmissione orale ha favorito reciproche influenze tra lingua parlata e lingua cantata che confermano il nesso inscindibile tra parola e canto nella musica popolare: ecco, quindi, le melodie parlate, i recitativi melodici, le inflessioni onomatopeiche, gli intercalari privi di significato, che tanto rimandano ai richiami dei venditori ambulanti o ai canti di lavoro. 9. Una fase più avanzata rispetto alla semplice audizione registrata è il contatto diretto con gli informatori popolari, in situazioni da cui il canto trae origine, per cogliere per intero tutti gli aspetti della comunicatività, poiché l’esecutore, trapiantato dal suo ambiente naturale sul palcoscenico, tende, inconsciamente, a modificare l’autenticità del suo modo esecutivo. 2 10. Nel corso della storia diversi studiosi hanno nutrito l’esigenza di fissare su pagina scritta il testo poetico dei canti popolari, ma pochissimi di loro hanno goduto dell’accesso al pentagramma. 11. Poiché la musica popolare è di per sé storicamente orale, l’analisi dei suoi documenti deve essere effettuata ascoltando registrazioni “sul campo” o, in mancanza di queste, esecuzioni tratte da operatori impegnati ad analizzare le caratteristiche delle fonti, facendo propri gli autentici modi esecutivi. 12. Recenti e nuove tecniche di produzione hanno permesso la massiccia affermazione del CD, determinando la repentina sparizione dal mercato di una ricca documentazione di materiali originali, frutto di interessantissime ricerche, registrati, negli anni ’60 su vinile, nastri magnetici e audio-cassette. Fortunatamente, un recente revival di interesse compensa tale mancanza con la ripubblicazione di questa produzione in nuovi e sempre più sofisticati formati digitali salvandoli dall’estinzione. 13. Molto spesso il termine “Folklore” (composto dai lemmi di origine sassone Folk = popolo e Lore = sapere) è usato per indicare alcune rievocazioni recenti, non di rado arbitrarie, di antiche feste o esibizioni di gruppi musicali in costume che cantano e danzano svolgendo programmi su testi poetici e musicali inventati e dichiarati tradizionali, o tradizionali e dichiarati propri, o non sempre elaborati con adeguata attenzione (è il caso, questo, anche della canzone popolare d’autore). Per tale motivo il termine “Folklore” ha assunto oggi un’accezione negativa, onde è consigliabile evitare di usarlo in schede e lavori scientifici, sostituendolo con “cultura tradizionale”, “sapere tradizionale”, “cultura orale”, “cultura locale” e, similmente, lo studio di tale materia si indica di norma con “demologia”. 14. Negli ultimi decenni, il processo in atto della globalizzazione culturale sta investendo la musica popolare in commistioni multietniche che aprono nuove scenari, talvolta affascinanti per qualità ed effetto. Ne sono esempio e testimonianza i diversi arrangiamenti di musiche popolari effettuati dai maestri concertatori che si sono alternati, da più di un decennio, nella “Notte della taranta” di Melpignano (Lecce). Generi musicali La musica popolare dell’area italiana presenta una situazione estremamente diversificata, dal momento che coesistono stili e modi fra loro lontani e lontanissimi, 3 spesso più apparentati con aree straniere che fra di loro. Ciò non deve stupire, in quanto non è altro che il riflesso della vicenda storica e sociale del nostro paese, giunto all’unificazione in epoca recente a seguito di un susseguirsi di dominazioni che lo hanno, comunque, arricchito di stimoli e confronti, diversificando aree di ibridazione. Nel Sud Italia risultano predominanti cinque generi musicali. Tarantella Il termine, usato in senso generico, ricopre diverse forme di ballo popolare, con diversi passi per le coppie e/o il gruppo a seconda delle zone di attestazione, testimonianza di sopravvivenze di forme arcaiche legate al ciclo della vita umana e della natura, assai lontane dalle odierne stilizzazioni destinate al largo consumo discografico e cinematografico. La tarantella è eseguita con strumenti diversi. In alcune zone è ancora in uso la zampogna, che ha storicamente rallegrato i danzatori, grazie alla sua capacità di coprire, contemporaneamente, le funzioni di solista e di accompagnamento, al ritmo incessante scandito dal tamburello e da “percussioni povere”. Tale funzione è stata ricoperta, successivamente, dall’organetto e dalla fisarmonica, di più estese possibilità tonali e di più semplice manutenzione; nel Gargano la tarantella è eseguita con chitarra battente, tamburello e castagnette. Quando viene eseguita da sole donne, queste si accompagnano con tamburello e nacchere. Pizzica In dialetto tarantino il morso della tarantola è detto “pizzico” e dal ballo terapeutico che si fa eseguire ai tarantolati è derivato il nome di pizzica-pizzica (genere musicale) e pizzica tarantata (danza terapeutica). La pizzica è un tipico modello di pura tarantella. L’etimologia del termine tarantella, da “taranta”, abbreviazione dialettale di tarantola (dal latino Lycosa tarentula), nome che designa un tipo di ragno frequente soprattutto a Taranto (latino Tarentum), fulcro della Magna Grecia jonica, testimonia il profondo legame del genere musicale con questo ballo terapeutico nato per curare dal morso dell’animale, la pizzica tarantata, e il fenomeno ad esso connesso (tarantismo). La fiducia in questa terapia era priva di riserve. I musici terapeuti del tarantismo salentino usano il violino e la chitarra, oltre all’organetto e al tamburello. A differenza della tarantella, può essere ballata da soli o, 4 se in gruppo, da ciascuno singolarmente, a coppie o in gruppo, mentre la pizzicascherma o danza delle spade (danza improvvisata) è rigorosamente a coppie. Tammurriata La tammurriata, la cui principale funzione è di accompagnare il ballo, si svolge su un tappeto ritmico scandito dalla tammorra, tipo di tamburo a cornice, con un canto essenzialmente sillabico, tratto da un repertorio di natura estremamente eterogenea. Il tamburo, in genere, appoggia e contraddistingue tali divisioni, e la bravura del suonatore consiste proprio nel conoscere esattamente le accentazioni ritmiche e nel seguire il cantore nelle sue costanti variazioni. L’estrema duttilità nell’adattarsi all’improvvisazione e a variazioni di contenuti con prevalenza di satira sociale, a seconda delle zone e dei cantori, hanno indotto gli etnomusicologi ad approfondire le ricerche a tal riguardo per fissarne alcune caratteristiche. Alla fine di ogni distico o di ogni canzone, la conclusione viene accentuata, ancora, dal tamburo con una serie di colpi battuti sull’unità di tempo. Villanella La villanella, genere analogo alla frottola quattrocentesca per lo più a quattro voci, è una composizione anche a tre voci, di carattere omoritmico e su strofe variamente rimate, di argomento per lo più erotico; si è cercato di provare che il luogo di origine delle villanelle sia Napoli: in verità, queste canzoni fiorirono quasi contemporaneamente non solo nelle varie regioni d’Italia, ma anche in Francia, in Germania, in Spagna e in Inghilterra, presentando caratteristiche affini, ed ebbero, come gran parte delle manifestazioni culturali del Meridione sino all’Unità d’Italia, in Napoli il loro centro di raccolta e di diffusione. Nel campo musicale, la differenza che corre fra composizioni di villanelle cosiddette popolari e composizioni aristocratiche è semplicemente nel fatto che le prime mettono in musica brevi strofe, lasciando sovente dominare l’elemento ritmico della danza; le altre mettono in musica testi metricamente più complessi, dando importanza all’elemento espressivo della poesia e avvalendosi di tutti gli elementi contrappuntistici e armonici. Serenata 5 In molti paesi della Puglia, la serenata cantata sotto la finestra della donna prescelta era qualcosa di più che un semplice atto di corteggiamento, assumendo la funzione ufficiale di fidanzamento. A questa richiesta faceva seguito, da parte della donna, un comportamento che convenzionalmente significava accettazione o rifiuto (l’atto di sputare dalla finestra sul capo del giovane corteggiatore, ad esempio, corrispondeva a una piena adesione da parte della ragazza alle profferte di amore rivoltele). Contenuti Canti del ciclo della vita umana Il corso della vita umana si svolge secondo una fitta e progressiva trama di forme ereditate dalla tradizione e in continua trasformazione, alla cui base vi sono i riti di passaggio: cerimoniali e funzioni che si compiono per indicare e sancire le successive fasi che preludono o accompagnano l’ingresso di un individuo nella comunità, secondo i momenti e le età della sua vita. La ninna nanna, sia pur elaborata entro canoni ben precisi, si può prestare per l’autrice ad occasione di libero sfogo, entro certi limiti, in uno stadio di autonomia e specificità culturale, e si rivela oggetto primario d’attenzione per l’analisi della comunicazione popolare, libera da inibizioni. Molto spesso a strofe liete e serene se ne affiancano altre lugubri, intonate a mo’ di lamento con immagini di morte e violenza da esorcizzare. La filastrocca, che cadenza i giochi dei bambini (quando non sono vittime di prodotti ludici programmati dal consumismo per l’infanzia), ha invece il fine di renderli attori in una dimensione di piena creatività in un continuo scambio di ruoli suggerendo, nel contempo, modelli di socializzazione secondo gli schemi del gruppo. Il canto d’amore o di corteggiamento, predominante nel genere liricomonostrofico, si presta a diversi utilizzi, con toni sempre diversi: allegri, tristi, canzonatori in bisticci comico-amorosi, appassionati, maliziosi, ecc. Il canto conviviale, in virtù del suo utilizzo estemporaneo, accanto ad alcune strofe codificate ne presenta altre improvvisate dall’estro degli astanti, che esprimono stati d’animo di diversa natura che, se dominanti, indurrebbero a identificarli in un territorio intermedio con altri tipi di canti (d’amore o sociali, ad esempio). 6 Il canto di lavoro rappresenta una categoria assai ampia: si è soliti far rientrare sotto tale definizione non soltanto quei canti specifici che vengono utilizzati per ritmare i movimenti (soprattutto collettivi) in diretta corrispondenza con le precise necessità funzionali cui sono destinati, ma anche quelli che servono ad alleviare fisiologicamente e psicologicamente la fatica e la noia individuale e collettiva. Il canto sociale e politico si presenta in forme differenti, in diretto rapporto con lo sviluppo economico-sociale delle aree di attestazione. Nei paesi dove la rivoluzione industriale si è verificata con fenomeni migratori, esso ha assunto, fin dall’inizio, caratteristiche urbane, con limitato apporto dal repertorio contadino. Là dove, invece, il capitalismo si è sviluppato con maggiore ritardo e ha cercato il suo sbocco agendo sulla condizione agricola, i canti di ambito rurale costituiscono l’elemento portante del repertorio. Il canto rituale, legato al culto dei morti, rimanda alle radici più remote di una data cultura: affrontare e solennizzare il momento culminante della vita umana all’interno di un preciso ordine di comportamenti e di credenze ha significato, nelle più diverse e antiche culture, ammetterne l’esistenza per affermare il proprio diritto storico alla vita. Canti del ciclo della natura I canti del ciclo della natura sono da classificare in diretta correlazione con le grandi feste tradizionali che si svolgono nel corso dell’anno e accomunano tutti i popoli, essendo queste ultime collegate ai più significativi momenti della vita agricola. La varietà che li contraddistingue da un luogo a un altro è determinata dalle differenti condizioni etniche, climatiche, ambientali e di sviluppo economico che sottendono una lunga serie di credenze e usanze antichissime, forme di cultura e concezioni magicopagane, trasformate e/o sincretizzate in seguito all’introduzione del cristianesimo. L’azione regolatrice della religione cristiana ha convogliato tali feste in cerimonie cicliche che vengono praticate all’inizio di ogni periodo-stagione e che si ispirano ai due principi fondamentali della magia, l’eliminazione del male che si è accumulato nel periodo precedente e la propiziazione per il ciclo che si inaugura. Tra le cerimonie legate alla fine dell’inverno, il Carnevale e i canti carnascialeschi ad esso connessi assumono rilevanza sociologica come sfogo collettivo consacrato all’eversione, allo svago, agli scherzi e alle beffe: un’occasione privilegiata, diffusa 7 nella cultura medievale, per deridere momentaneamente gli schemi della vita quotidiana, i valori ufficiali e gli ideali più alti in una caotica mescolanza di contrari (sacro-profano, saggio-stolto, ricco-povero, maschio-femmina). Nei festeggiamenti religiosi della Pasqua per la morte e risurrezione di Cristo si realizza la celebrazione solenne della natura, pronta al risveglio stagionale per opera dell’intervento umano. In tutti i paesi europei, da epoche antichissime sino agli inizi del secolo scorso, il trionfo della primavera e della natura era accolto da “Calendimaggio”. Allegre canzoni popolari (maggiolate) accompagnavano cortei di giovani che, dopo aver raccolto un ramo fiorito nei boschi e averlo ricoperto di fiori, lo piantavano dinanzi alla porta delle ragazze amate a simbolo di fertilità e auspicio per la procreazione. Il 25 dicembre, giorno di celebrazione del Natale da parte della Chiesa cristiana, riprende la stessa data in cui il calendario romano commemorava il Dies natalis solis invicti (Natale del sole invitto): in occasione del solstizio d’inverno si festeggiava, secondo un’antichissima tradizione indoeuropea diffusasi nei paesi nordici e nel bacino del Mediterraneo, il culto del Sole che progressivamente allunga le ore di luce nella giornata. Innumerevoli sono i canti natalizi che, in particolare, hanno ispirato i compositori nella rielaborazione di antiche melodie che, nella tradizione delle “pastorali”, sono eseguite da suonatori di zampogna e ciaramella presso i presepi, per le vie dei borghi e per le valli. Sempre nell’ambito dei canti religiosi si ricorda il canto narrativo, nel cui novero rientrano le vite dei santi e le leggende sacre cantate in versi. All’interno dei suddetti periodi si inseriscono le sagre paesane, le feste patronali e i pellegrinaggi. Nella scansione rituale del calendario ciascun centro abitato conserva la festa patronale come momento eccezionale di celebrazione della natura nel ciclo del lavoro agricolo (l’aratura, la semina, il raccolto prima del vuoto vegetale), proprio perché dal ripetersi regolare dei cicli stagionali dipende la stabilità economico-sociale e, quindi, la sopravvivenza di una civiltà e della sua cultura. Per questa ragione in tutti i centri legati all’economia agricola la festa si svolge in periodo estivo, con pellegrinaggi in onore del Santo, a cui si chiede di far sì che le messi siano abbondanti, ma anche di propiziare la procreazione umana; la stretta analogia tra fertilità dei campi e fecondità umana può associarsi, nei canti delle città marinare, al motivo ittico, che si presenta in ruolo concomitante e poche volte predominante. 8 Forme letterarie Canti narrativi I canti narrativi, la cui forma più antica è rintracciabile nei canti epico-lirici, largamente diffusi in tutto il territorio neolatino e corrispondenti alle ballate dell’Europa germanica o alle byline russe, hanno una struttura esplicativa e dialogata insieme, con spunti e passi anche lirici: svolgono episodi o fatti storici mitizzati, oppure motivi leggendari storicizzati, ossia attribuiti a qualche personaggio storico. L’invenzione della stampa portò un nuovo contributo alla diffusione di argomenti storici, che prima avveniva solo per via orale, e, quando le antiche narrazioni si fissarono per iscritto sui “fogli volanti” distribuiti dai cantastorie, venne meno, in parte, la libertà di improvvisazione di questo genere poetico, che assunse sempre più caratteri regionali, se non nazionali. Canti lirici La produzione della lirica monostrofica comprende, forse, la maggior parte dei canti popolari e trae origine dai componimenti denominati strambotti di tradizione popolare. Dal francese estribot, il cui tema radicale estrif deriverebbe dal germanico strit, che significa combattimento, lo strambotto ebbe zone geografico-culturali di irradiazione che corrispondono alle attuali Sicilia e Toscana. Si caratterizza sin dall’origine come breve componimento esprimente contesa, ingiuria, satira e include, nel largo senso del termine, anche il contrasto che sottende il “dispetto” e la gioia di alcuni canti d’amore. Lo stornello è una forma metrica di tradizione orale strettamente legata allo strambotto, come testimonia l’etimologia dal provenzale estorn, che significa contesa, combattimento, il cui spirito si conserva nell’esecuzione cantata a botta e risposta, a mo’ di sfida. Le distinzioni operate nella definizione delle forme del canto narrativo e di quello lirico non devono, comunque, essere considerate come categorie fisse per la catalogazione, se si pensa, ad esempio, alla presenza di componimenti in cui a una prima terzina di stornello si aggancia una strofa di strambotto: tale circostanza ci induce a riflettere ulteriormente sulla interscambiabilità delle forme letterarie che, a distanza di 9 secoli di trasmissione orale, possono oggi aver determinato testimonianze poetiche contaminate da figure retoriche di diverso tipo. Ulteriori criteri (sotto-criteri o criteri diversi) di catalogazione hanno elaborato le categorie del canto iterativo ed enumerativo, cumulativo, satirico, a dispetto, a botta e risposta, a contrasto, ecc. Nei canti iterativi ed enumerativi uno stesso motivo viene espresso a regolari intervalli in strofe pressoché identiche, che si differenziano solo per il mutamento di un particolare; tra di esse, sempre nella stessa posizione, si aggiunge una ripresa o un ritornello. I canti cumulativi presentano la medesima struttura e il medesimo procedimento dei canti iterativi, con la differenza che piuttosto che mutare qualcosa nelle diverse strofe che si susseguono, ad ogni strofa si aggiunge una parola nuova, sino a farne una lunga lista che mette a dura prova le qualità mnemoniche di chi canta. I canti satirici criticano con arguzia le debolezze umane, attingendo ad un vasto repertorio di archetipi presenti anche nella letteratura colta antica, con la messa in ridicolo, talvolta spregiudicata, di ambienti, concezioni, modi di vita, personaggi del mondo pubblico. Ugualmente di carattere estemporaneo, sulla base di un canovaccio, sono i canti a dispetto, i canti a botta e risposta e a contrasto, che possono diventare anche gare poetiche cantate, che oppongono come antagonisti due improvvisatori su temi classici quali quelli presentati nei dialoghi fra povero e ricco, padrone e contadino, cittadino e paesano, suocera e nuora, marito e moglie, madre e figlia, abitanti di luoghi diversi, ecc. Aree linguistiche Il dialetto è una lingua che ha un proprio sistema lessicale, sintattico, morfologico e fonetico, nonché una propria letteratura in prosa e in versi. Nel caso dell’Italia si riscontrano molteplici dialetti la cui origine latina è stata contaminata da influenze linguistiche straniere variegate, che hanno determinato idiomi molto diversi tra loro; non è rara la presenza di costrutti linguistici e forme lessicali che nei dialetti conservano quasi integralmente l’etimologia latina, mentre la lingua nazionale forgiata sul volgare colto fiorentino li ha sostituiti con altri. Per quanto riguarda la definizione delle varietà presenti nella Puglia, possiamo riconoscere tre aree geografico-linguistiche principali: settentrionale (Subappennino 10 dauno e Gargano), “barese” (la parte meridionale del Tavoliere, la provincia di Bari e la parte settentrionale della provincia di Brindisi e di quella di Taranto) e salentina (che comprende, oltre alla provincia di Lecce, gran parte della provincia di Brindisi e quella sud-orientale della provincia di Taranto). Particolarmente interessanti risultano alcune “isole” etnico-linguistiche, in cui sopravvive l’uso di idiomi stranieri: franco-provenzale a Faeto e Celle di San Vito, arbëreshë (albanese) a Casalvecchio, Chieuti e San Marzano di San Giuseppe, griko o grecanico (greco parlato nel Salento) a Calimera, Carpignano, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino. Si riscontra inoltre la presenza, talvolta stabile per lunghi periodi, di comunità nomadi di Rom, Sinti e Caminanti. Storicamente rilevante è, infine, il caso di Sannicandro Garganico, dove nella prima metà del Novecento si è verificato un singolare fenomeno di “conversione” all’ebraismo, che ha influenzato la locale tradizione musicale (si veda infra, M. Mascolo, Tracce musicali ebraiche e neo-ebraiche tra la Basilicata e la Puglia). Le tappe della ricerca Il susseguirsi di sempre nuove scoperte geografiche ha suscitato, già alla fine del Cinquecento, in alcuni pensatori (come Montaigne) le prime riflessioni sul “mito del buon selvaggio”, che condurranno, progressivamente, nel XIX secolo, alla nascita dell’etnologia (successivamente diversificatasi nelle grandi scuole antropologica, storico-culturale e sociologica) e della demologia, sorte su basi filosofiche (Lafitau, Vico, Rousseau, Herder, Hegel). Si affermò, in concerto con le prerogative del Romanticismo, nelle singole nazioni europee, l’intento di delineare con documenti certi la propria identità culturale (Walter Scott, Francis James Child, fratelli Grimm), mentre in Italia, la specifica atmosfera risorgimentale fece maturare un crescente entusiasmo per la ricerca dei canti popolari che produsse, nella prima parte dell’Ottocento, le prime raccolte tese a dare testimonianza di un presunto ”popolare nazionale” puro e incontaminato, e, negli immediati anni post-unitari, studi e miscellanee di impostazione più tecnica, con l’intento di contribuire, dalle regioni, alla costruzione della Nazione (cfr. Bibliografia di studi sulla musica popolare 1). 11 A queste opere hanno fatto seguito altre di respiro nazionale o geograficamente più circoscritte (cfr. Bibliografia di studi sulla musica popolare 2). Alla metà del secolo scorso, con l’affermazione della Storia delle tradizioni popolari come disciplina scientifica e la costituzione delle omonime cattedre presso le Università, si sono approfonditi gli studi su basi scientifiche e le analisi comparative dei documenti (cfr. Bibliografia di studi sulla musica popolare 3). La volontà di garantire spessore specialistico alla ricerca sulla musica popolare ha contribuito alla costituzione della etnomusicologia (precedentemente denominata musicologia comparata) come disciplina autonoma, separata dalla musicologia e dalla etnologia. Ponendosi come obiettivo primario la registrazione “sul campo” dei documenti sonori originali dei canti e delle musiche popolari, presso informatori e/o occasioni rituali in via di estinzione o almeno di sostanziale mutamento, grazie all’ausilio di sempre più sofisticate e maneggevoli apparecchiature tecnologiche, si sono potute colmare, almeno in parte, le lacune di molti ricercatori precedenti, poco attenti a fornire, accanto alla sezione poetica dei canti popolari, la relativa trascrizione pentagrammatica. Nel secondo dopoguerra, in Italia, illustri etnomusicologi quali Diego Carpitella, Roberto Leydi, Roberto De Simone, Giuseppe Vettori, hanno concretamente realizzato i principi della nuova scuola metodologica che procede seguendo tappe obbligate: 1) registrazione; 2) trascrizione fedele; 3) analisi del contesto; 3) raffronto delle varianti; 4) riflessioni sull’interezza del brano nella sua composizione melodica, armonica e poetica (cfr. Bibliografia di studi di etnomusicologia). Su tali presupposti è fiorita negli anni ’60 l’incisione in formato LP di una serie di documenti sonori originali a cura di case discografiche specializzate – Albatros, che ha ceduto il catalogo alla Ala Bianca, Dischi del Sole, Zodiaco, Bella Ciao, Ala Bianca, La Comune, CEDI (Compagnia Editrice Discografica Internazionale), che ha ceduto il catalogo alla Vedette (poi Editoriale Sciascia), Cetra Collana Folk, Italia Canta – molti dei quali, se non rieditati, sono pressoché introvabili in commercio (cfr. Discografia documenti sonori originali Italia 1). Dall’attività di ricerca sono scaturite proposte di arrangiamenti musicali sulle melodie tradizionali o nuove composizioni da parte di alcuni gruppi musicali, talvolta diretti dagli stessi ricercatori (Roberto Leydi, Cesare Bermani, per il Nuovo Canzoniere 12 Internazionale, Roberto De Simone per la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Sergio Liberovici, Italo Calvino e Franco Fortini per Cantacronache, con produzioni per lo più d’autore), che hanno curato le diverse collane o i singoli LP, affiancando ai documenti originali l’innovazione (cfr. Discografia documenti sonori originali Italia 2). Successivamente, l’attività di ricerca etnomusicologica è proliferata ramificandosi sempre più capillarmente sul territorio nazionale, producendo attente registrazioni impostate su criteri scientifici e corredate da esaustiva documentazione e, contemporaneamente, sollecitando ulteriori proposte di innovazione (darne un quadro completo occuperebbe troppo spazio ed esulerebbe comunque dallo scopo che si propone questa mia analisi di carattere generale). Grazie anche al patrocinio di Enti pubblici e a all’operato di singoli e di Associazioni, si sono costituiti archivi istituzionali nazionali, decentrati o locali, presso cui sono stati depositati per la consultazione molti documenti cartacei, sonori e video Archivio Etnomusicologico della Discoteca di Stato, Roma; Biblioteca dell’Accademia di Santa Cecilia, Roma; Biblioteca del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma; Istituto “Ernesto De Martino”, Milano; Istituto “Diego Carpitella”, Melpignano, (Lecce); Fondo “Roberto Leydi”, Bellinzona (Svizzera); “The Alan Lomax Collection”, Washington (Stati Uniti); Archivio di Documentazione Etnocoreutica - Associazione Culturale “Taranta”, Firenze; Associazione “Carpino Folk Festival”, Carpino (Foggia); Fondazione “Giorgio Cini” ONLUS, Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati, Venezia. Anche in Puglia l’attività di ricerca è passata attraverso le tappe evolutive riscontrate in territorio nazionale: alle antologie complessive di canti popolari pugliesi o di singole aree e località con il testo poetico privo di partitura musicale (cfr. Bibliografia di studi sulla musica popolare pugliese 1), hanno fatto seguito altre con alcune partiture musicali (cfr. Bibliografia di studi sulla musica popolare pugliese 2), con il testo poetico e la relativa partitura musicale (cfr. Bibliografia di studi sulla 13 musica popolare pugliese 3) e, infine con CD o DVD allegato (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 1, 2, 3, 4, 5). Particolarmente rilevante è risultato, negli anni ’50, lo studio sul fenomeno del tarantismo condotto da Ernesto de Martino e la sua equipe di etnologi, con l’edizione di dettagliate relazioni, coadiuvate da registrazioni audio-video e partiture musicali. Non molto distante negli anni è la ricerca “sul campo” degli etnomusicologi Diego Carpitella e Alan Lomax, per l’occasione trasferitosi dagli Stati Uniti, con l’edizione in formato LP (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 1). L’interesse rinnovato negli ultimi decenni ha prodotto la riedizione in formato CD di alcuni precedenti LP (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 2), la pubblicazione di nuovi libri, CD e DVD accompagnati dai testi dei canti, traduzione, note esplicative e partiture musicali, queste ultime di indubbio interesse scientifico, considerando l’ormai ineluttabile estinzione delle ultime testimonianze (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 3) e l’edizione di documentari in DVD (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 4). Fonte di documentazione, se non si possiedono registrazioni “sul campo”, risultano le interpretazioni di ricercatori-esecutori fedeli alla tradizione (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 5). Recentemente è stato istituito a Bari, presso la Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti”, l’Archivio Sonoro di Puglia, dove sono stati depositati documenti audio tratti dalla ricerca sul campo di privati, distinti per “Fondi”. Documenti originali possono essere consultati, oltre che presso i suddetti archivi nazionali, in quelli dei Musei delle tradizioni popolari (Monte Sant’Angelo, Sammichele di Bari) e dei centri di seguito indicati [eliminerei indirizzi e recapiti]: Archivio di Stato, Bari; Biblioteca Provinciale “De Gemmis”, Bari; Biblioteca del Conservatorio di Bari; Biblioteca del Conservatorio di Monopoli; Biblioteca del Conservatorio di Lecce; Centro Studi di Storia delle Tradizioni Popolari, Gravina di Puglia; Centro Studi sulla Didattica della Musica e le Tradizioni Popolari “Il Giardino dei Suoni”, Andria (Bari) 14 Centro Studi Micaelici e Garganici, Monte Sant’Angelo; Centro Studi Tradizioni Popolari del Gargano e della Capitanata, Rignano Garganico (Foggia); Centro sul Tarantismo e Costumi Salentini, Galatina (Lecce); Circolo Culturale “Ghetonia”, Calimera (Lecce); Associazione “Nuovaracne”, Torre Paduli (Lecce). Archivi museali: Museo della civiltà contadina di Canosa, Museo delle Tradizioni Popolari di Bitonto, Museo dei reperti della civiltà contadina di Alberobello, Museo della civiltà rurale di Altamura, Museo Etnico della Civiltà Salentina "Agrilandia Brindisi, Museum"Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia latiano, Museo etnografico cerignolano, Cerignola, Museo Etnografico del Centro Studi Pugliesi e Siponto, Manfredonia, Museo Arti e Tradizioni Popolari del Gargano "G. Tacredi" Monte Sant'Angelo, Museo Provinciale delle Tradizioni Popolari "Abbazia di Cerrate" Lecce, Museo etnografico Alfredo Majorano Taranto. All’attività di ricerca si è affiancata la riproposta da parte di alcuni gruppi musicali di storica costituzione (Areantica, Radicanto, Terrae a Bari, Uaragniaun ad Altamura, Li sammecalera a Monte Sant’Angelo, Canzoniere Grecanico Salentino, Arakne mediterranea, Ghetonia, Tamburellisti di Torre Paduli, Ensemble di Terra d’Otranto, Aramirè, Mena Menamò, Orchestra Sinfonica Grecìa salentina e Mascarimirì nel Salento), non più operanti (Compagnia dell’arco, Compagnia dei musicanti, Canzoniere Popolare di Bari) e di recente costituzione (altre formazioni si sono esaurite in brevi esperienze o in jam sessions estemporanee di durata effimera, perché correlate a poche esibizioni). Una forma di espressione singolare è rappresentata dal cantautorato, che ha rielaborato testi e melodie della tradizione sino a raggiungere composizioni originali in cui, anche da contemporanei, risulta difficile fissare un confine tra ingegno individuale e memoria storica. Nel Meridione d’Italia, accanto agli illustri capiscuola Ciccio Busacca, Rosa Balistreri, Otello Profazio, Roberto Murolo (cfr. Discografia documenti sonori originali Italia 3), degni di menzione in Puglia sono Matteo Salvatore di Apricena (Foggia), i Cantori di Carpino (Foggia), Enzo Del Re di Mola di Bari (Bari), Uccio Aloisi di Cutrofiano (Lecce), Tonino Zurlo di Ostuni (Brindisi), Mario Salvi, organettista di Cisternino (Brindisi) e tanti altri più giovani (cfr. Discografia documenti sonori originali pugliesi 6). 15 L’abbattimento dei costi economici, fenomeno particolarmente evidente in questi ultimi tempi, grazie all’avvento di nuovi mezzi tecnologici per la produzione editoriale cartacea, audio e video ha permesso la realizzazione di documenti interessanti, ma con diffusione locale, per cui le bibliografie e le discografie qui proposte sono da considerare non esaustive e solo indicative per ulteriori approfondimenti. BIBLIOGRAFIA DI STUDI DI ETNOMUSICOLOGIA AGAMENNONE M. 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Autobiografia raccontata ad Angelo Cavallo, Libro + n. 2 CD, ERETICA speciale, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2002. SALVATORE M., La passione secondo Matteo, TWILIGHTMUSIC, TW CD AS 07 35 SALVATORE M., Le quattro stagioni del Gargano, LP n. 4, SALVATORE M., Matteo Salvatore, CD, suoni dal mondo, ERETICA 03 SALVATORE M., Storie e fatti di Puglia.CD SALVI M., Taranteria, Finis Terre, FTCD24 . 38 VILLANI S. (cura di), I cantori e suonatori di Carpino, CD + libretto con testi traduzioni, partiture, Puglia-Tradizioni popolari del Gargano, 2007.NOTA CD 2.45 GEOS. ZURLO T., Jata viende, CD + testi, traduzione, il manifesto CD-113. ZURLO T., Nuzzole e pparolu (semi e parole), CD + testi, traduzione,Otranto, Anima Mundi Edizioni, 2007. 39