Publisched on the Space Sciences e-Journal Vol. 1 No. 1 (2002). Edited by C.O.S.M.O.-SpaceLand Italy Reversibilità e Tempo Soggettivo: un’interpretazione bergsoniana del tempo. Massimo Auci Dipartimento di Scienze dello Spazio C.O.S.M.O. - SpaceLand Via Rombò 35, 10098 Rivoli Italy Abstract Space travels and isolation put humanity in a new individual time dimension. In this paper a Bergsonian subjective interpretation of time is proposed. The time as microscopic variable, physically obeying to quantum laws, biologically following the perception rules due to brain neural net, in both cases defined by a same set of postulates. "L'eterno ritorno e il teorema della ricorrenza" La natura del tempo e il suo inarrestabile incedere hanno coinvolto e affascinato non solo artisti, filosofi e scienziati, ma chiunque in questo mondo abbia rimpianto un solo attimo del proprio passato; “That Time will came and take my love away.” [1]. Non certo si affievolisce il dolore per un tempo irrimediabilmente trascorso nel pessimismo di Proust [2], sicuramente ben lontano dalla stoica speranza dell’eterno ritorno, ancora oggi radicata nel mito e nelle religioni di molti popoli [3]. Nella scienza, "l'eterno ritorno” è tradotto in termini di ciclicità temporale, non d’inversione della direzione d’avanzamento del tempo, bensì di "ricorrenza", e acquista forma e sostanza in letteratura scientifica col teorema della ricorrenza di Poincaré. Esaminandolo dal punto di vista fisico, il teorema dimostra come un sistema isolato, di dimensione finita, ritorna ciclicamente allo stato dinamico iniziale dopo un periodo caratteristico T funzione sia delle condizioni iniziali sia delle caratteristiche del sistema. In effetti, questo è quanto capiterebbe, se si trascurassero le dispersioni d’energia, ad una palla da biliardo ideale lanciata in una qualunque direzione di un tavolo perfetto d’estensione finita. Per effetto dei rimbalzi contro le sponde, il percorso sarebbe ripetuto ciclicamente, trascorso dall'istante iniziale un tempo maggiore di un multiplo arbitrario di T, la palla dopo essere transitata per la posizione iniziale n volte, ripercorrerebbe nuovamente il tragitto originario assumendo in ogni istante le posizioni e gli stati dinamici assunti durante il percorso iniziale. Il ciclo si ripeterebbe uguale a se stesso per infinite volte. In questo caso, a parità d’energia iniziale e direzione impressa alla palla, pur essendo infinite le posizioni e i possibili stati dinamici che la palla può assumere durante il percorso, lo spazio degli stati dinamici possibili detto spazio delle fasi, è limitato, come limitata è l'estensione del piano del biliardo. 1 Non trascurando la dissipazione1 d’energia a carico dell’attrito e della ridotta, seppur ottima elasticità delle sponde, l’energia impressa alla palla è dissipata per effetto del rotolamento sul piano e degli urti subiti. In questo caso se la palla ha acquistato sufficiente energia iniziale potrà percorrere il ciclo almeno una volta prima di fermarsi, altrimenti il moto si arresterà prima di averlo terminato. "Inosservabilità globale dell''Universo" In natura il concetto di sistema isolato è puramente ideale, qualunque sistema è in grado di interagire in qualche modo con il resto dell'Universo che lo circonda, ma per quanto oggi la scienza ci permette di sapere, è sicuramente proprio l'Universo nella sua globalità il più perfetto dei sistemi isolati esistenti. Il suo isolamento è realmente ideale, infatti se volessimo osservarlo pensando di poterlo considerare come un sistema meccanico qualunque, di cui sono determinabili sempre e assolutamente posizione e impulso o energia e tempo, compiremmo un errore. Osservare un sistema significa interagire con esso in uno spazio in cui il campo di forza deputato all’interazione può propagarsi. Per l'Universo, l’osservazione “al di fuori” della frontiera spazio-temporale non ha alcun senso. Oltre alla definizione del tempo, anche quella di spazio “esterno” perde Figura 1: “L’Universo è perciò un sistema osservabile solo per osservatori posti al suo interno …” Camille Flammarion. “La scoperta dell’universo”, per la cortesia dell’HSC, Università dell’Oklahoma. Archivio NASA. 1 L’interazione tre sistemi meccanici dissipa energia mediante attriti meccanici e deformazioni elastiche. In nessun caso reale la dissipazione è eliminabile. 2 Didascalia. Ogni tentativo di osservare, quindi di misurare lo stato dinamico dell’universo nella sua globalità è vano, perché essendo l’osservatore parte dell’universo, questi potrà fare osservazioni soltanto dal suo interno. significato e con essi crolla il presupposto per l'osservabilità. L’Universo è perciò un sistema osservabile solo per osservatori posti al suo interno, per i quali spazio e tempo hanno significato ma un'ulteriore difficoltà, dal punto di vista dell'osservazione strumentale, nasce anche dalla finitezza delle velocità di propagazione dei segnali di campo che non può superare la velocità della luce. Tale limite rende impossibile l'osservazione istantanea dello stato dinamico globale dell'Universo, infatti solo porzioni infinitesime di spazio-tempo prossime all'osservatore possono godere del privilegio dell’assoluta osservabilità. "Condannati per l'eterno al ritorno." Ragionando in accordo con i modelli cosmologici più accreditati, assumiamo che l’Universo abbia avuto un’origine espansiva da una singolarità spazio-temporale, vale a dire abbia avuto origine dal Big Bang. L’origine è per definizione lo stato iniziale, collocabile nell'istante immediatamente successivo allo zero dello spaziotempo. Per quanto grande sia l'estensione temporale attuale dell'Universo, stimata 10 come ordine di grandezza in ≈10 anni, questa è attualmente finita. Applicando il teorema della ricorrenza al sistema “Universo”, dovrebbe allora essere definibile un periodo oltre al quale, dopo aver raggiunto il limite estremo del suo processo evolutivo espansivo e aver invertito il processo iniziando a contrarsi, raggiunto lo stato di singolarità, prende nuovamente avvio un nuovo ciclo evolutivo identico al precedente. Questo per un numero infinito di volte. Il ciclo “vitale” del nostro Universo potrebbe allora essersi già riprodotto infinite volte e noi stessi aver vissuto infinite vite, senza mai aver avuto la possibilità di mutare un solo attimo della nostra esistenza. Condannati per l’eterno al ritorno. "Per l'Universo non può esserci ritorno" Affrontando il problema su base cosmologica, il teorema di Poincaré potrebbe sembrare a prima vista un’ottima dimostrazione della fondatezza del principio dell’eterno ritorno, invece no! Il teorema di Poincarè in questo caso non è applicabile. In termini formali, le equazioni del campo gravitazionale della relatività generale di Einstein non lo consentono, perché non soddisfano le condizioni di applicabilità del teorema della ricorrenza, infatti nonostante lo spazio sia finito, perché finita è la sua età2, non è altrettanto finito lo spazio delle fasi corrispondente all’insieme di tutti gli stati dinamici che l’Universo può assumere durante il suo ciclo evolutivo. Proviamo a supporre che l'evoluzione dell'Universo sia ciclica. In questo caso si dovrà assumere che raggiunta la massima espansione, l'Universo torni per effetto 2 Secondo i modelli cosmologici standard, l’Universo ha avuto un inizio dal quale hanno preso origine spazio e tempo. 3 della gravità prodotta dalla materia presente al suo interno a contrarsi per dar poi origine ad un nuovo ciclo. La velocità di contrazione è però crescente a causa della gravità e aumenta man mano che l'Universo collassa per effetto della crescente densità di materia. La velocità di collasso tenderà perciò ad infinito in un tempo ugualmente Figura 2: “ … assumiamo che l’Universo abbia avuto un’origine espansiva da una singolarità spazio-temporale, vale a dire abbia avuto origine dal Big Bang.” F. Summers (Princeton University) et al. “Simulazione di Big Bang”. Archivio NASA. Didascalia. Il Big Bang che ha dato origine all’universo, ha disseminato la materia in modo uniforme, col passare del tempo la gravità ha condensato materia e luce in agglomerati e filamenti più densi. infinito. In questo caso l'Universo sarebbe ridotto ad una singolarità spaziotemporale e non potrebbe esistere alcun fenomeno fisico, salvo ipotizzare la presenza di un’immensa quantità di antimateria, in grado di ostacolare o addirittura invertire il processo trasformandolo in un nuovo Big Bang. Simmetricamente alla formazione della singolarità finale, consideriamo l'Universo un istante prima del Big Bang dal quale ha avuto origine. In quella fase lo spazio-tempo era anch'esso ugualmente contratto ad una singolarità identica a quella finale, perciò poiché all'inizio e alla fine dell'evoluzione non ha alcun senso parlare di tempo, nel senso di cosa viene prima e dopo, non avrà nemmeno senso parlare di inizio e fine perché il tempo, come lo spazio non esistono ancora, o non esistono più. Considerando lo zero del tempo coincidente con il Big Bang, la vita dell'Universo 4 pensata disposta su un asse ideale del tempo si estenderà allora da meno infinito (prima dell'origine) a più infinito (dopo la formazione della singolarità finale), vale a dire, la durata del ciclo vitale dell'Universo è complessivamente infinita. In questa prospettiva anche lo spazio delle fasi dovrà essere infinito perché infiniti dovranno essere gli stati che definiscono la sua evoluzione, di conseguenza il teorema della ricorrenza non può essere applicato e l’evoluzione dell’Universo non può essere ciclica. Indipendentemente da quale modello cosmologico sia il più adatto per descrivere l'evoluzione dell'Universo in base al rapporto tra materia e antimateria presente, cioè indipendentemente dal fatto che l’Universo sia chiuso, quindi rallenti la sua espansione iniziando a contrarsi, o sia aperto e continui all'infinito la sua espansione, se l'origine è una singolarità spazio-temporale com’è teorizzata oggi, per l'Universo non può esserci alcun ritorno. "L'Universo è globalmente inosservabile ma localmente osservabile." L’Universo non è come un biliardo. Un biliardo contrariamente all'Universo è osservabile sempre globalmente. Ad ogni istante noto lo stato iniziale è sempre possibile determinare quantità di moto e posizione della palla, vale a dire lo stato complessivo del sistema nello spazio delle fasi. L’Universo invece è osservabile solo localmente, quindi nell’immediato intorno dell’osservatore. Più un osservatore guarda “lontano”, più osserva porzioni sferiche concentriche di spazio sempre più vaste, i cui strati a cominciare dai più lontani, appartenevano al momento in cui la luce li ha abbandonati a tempi evolutivi antecedenti a quello di osservazione, ciascuno dei quali con un diverso stato dinamico che caratterizza un differente momento evolutivo. Di conseguenza, lo stato globale dell'Universo attuale non può essere determinato, perché occorrerebbe conoscere contemporaneamente i valori di energia e tempo di una "bolla" di spazio di estensione pari a quella dell'Universo stesso, i cui strati non sono però mai simultaneamente tutti osservabili. "Alterazioni microscopiche nella percezione dello spazio-tempo" l’Universo è un sistema complesso in gran parte sconosciuto. La sua evoluzione è solo localmente e parzialmente prevedibile a causa dell'inosservabilità che limita la possibilità di effettuare misurazioni strumentali sulle grandezze dinamiche che ne descrivono l'evoluzione globale. Molti modelli hanno permesso di comprendere e prevedere gran parte dei fenomeni conosciuti su scala locale, ma nulla di certo è per ora noto su scala cosmologica. Sulla base dei dati strumentali raccolti, l'Universo appare costituito da una trama spazio-temporale non localmente euclidea, la cui curvatura è descritta nella teoria della relatività generale in funzione dell’intensità dei campi gravitazionali presenti. La presenza di energia e la sua distribuzione e localizzazione sotto forma di materia condensata, radiazione elettromagnetica e particelle elementari, determina perciò la struttura “visibile” del nostro Universo locale, quindi soddisfa la percezione umana dello spazio e del tempo. 5 A livello microscopico la materia non è però statica come appare. La materia interagisce caoticamente su scala atomica e subatomica facendo sperimentare ad un osservatore materiale microscopico, fluttuazioni di energia tali da indurre alterazioni nella propria percezione dello spazio-tempo. Figura 3: “… i cui strati a cominciare dai più lontani, appartenevano al momento in cui la luce li ha abbandonati a tempi evolutivi antecedenti a quello di osservazione.” S.Pascarelle (Arizona state University). “Due miliardi di anni dopo il Big Bang. Archivio NASA. Didascalia. In accordo con i modelli, l’universo alle origini conteneva oggetti irregolari formati da stelle e gas come quelli che appaiono in questa immagine ripresa con il telescopio orbitale Hubble. La loro interazione ha dato in seguito origine alle galassie. "Predomina la tendenza naturale al disordine" Per tentare di comprendere la natura fisica del tempo, occorre considerare la complessità delle interazioni elementari che avvengono a livello microscopico fra tutte le parti di cui l’Universo stesso è costituito. Complessità, che proprio per la naturale ciclicità a cui alcuni sistemi meccanici sono soggetti in tempi dipendenti dalla natura stessa del sistema considerato, sfocia in un caos deterministico caratterizzato da ricorrenze tipicamente frattali. In questo caso la struttura topologica della materia appare ripetuta a differenti ordini di grandezza. L’effetto è di riprodurre configurazioni che pur su scale differenti, come differenti sono le scale d’azione delle forze agenti, hanno sempre la stessa struttura a "grappolo": i quark si compongono in adroni, gli adroni in nuclei, i nuclei in materia stellare, le stelle in ammassi, gli ammassi in galassie, le galassie in grandi ammassi. Esiste però un -15 vasto intervallo di ordini di grandezza, da quello del nucleo atomico ≈10 ma 6 9 quello di una stella ≈10 m, in cui le interazioni generano caos non deterministico, caos nel quale le ricorrenze ordinate scompaiono e predomina la tendenza naturale al disordine, quindi l’accrescimento locale dell’entropia prende il sopravvento. "Più un corpo possiede energia interna più è intenso lo scambio d'energia tra le parti che lo formano" Per definire lo stato d’energia interna di un corpo, occorrere innanzi tutto valutare in che modo e quanto, ogni sua parte interagisce con il resto dell’Universo che le contiene. Un corpo materiale è costituito a livello atomico da molecole e atomi e a livello subatomico da elettroni, neutroni e protoni. Neutroni e protoni sono a loro volta costituiti da quark saldamente legati insieme. L'interazione con il mondo esterno è a carico della massa e avviene principalmente attraverso l'azione delle forze gravitazionali prodotte dalle masse dei singoli corpi. Internamente al corpo le interazioni avvengono invece tra atomi e molecole, e sono principalmente a carico delle forze responsabili dei legami atomici e molecolari. L'energia interna di un corpo dipende proprio da queste ultime. Più un corpo possiede energia interna più è intenso lo scambio d’energia tra gli atomi o le molecole che lo formano. "Il tempo è una variabile locale discreta inferiormente limitata, la cui durata è in accordo con il principio di indeterminazione di Heisemberg." In genere gli scambi d’energia nella materia avvengono in modi differenti secondo la fase in cui la materia stessa si trova. Lo scambio è prevalentemente radiativo nei solidi e avviene per “collisione”3 tra atomi o molecole, oltre che per via radiativa, nei liquidi e nei gas. Dato che è sempre possibile scomporre sia lo scambio radiativo sia la collisione tra atomi o molecole in uno o più processi elementari di interazione elettromagnetica tra particelle, che qui chiameremo semplicemente collisioni, è necessario chiarire che gli atomi, le molecole o le particelle coinvolte non vanno realmente a contatto nel senso comune del termine4, infatti sono reciprocamente deviati dalla propria traiettoria rettilinea iniziale a causa della forza coulombiana generata dalla loro carica elettrica efficace superficiale. Durante ogni collisione, la durata minima dell'interazione è limitata al periodo che caratterizza la frequenza del quanto scambiato [4], ed è in accordo con il principio di indeterminazione di Heisemberg5 . Poiché si può affermare che la durata di un’interazione, cioè il tempo durante il quale una coppia di particelle interagenti si scambiano energia è determinata dalle condizioni dinamiche che precedono la collisione e che il tempo complessivo 3 La collisione, detta anche urto, si verifica in corpi materiali fluidi, in cui le molecole, gli atomi o le particelle che li formano hanno libertà di movimento. 4 Le particelle neutre non fanno eccezione, infatti l’interazione avviene coinvolgendo i quark di cui sono formate seguendo modalità più complesse che qui non tratteremo. 5 Il principio di indeterminazione di Heisemberg afferma che per un sistema quantistico l’incertezza sul valore dell’azione è data dal prodotto delle incertezze delle grandezze energia e tempo o spazio e impulso ed è sempre maggiore uguale del valore della costante d’azione di Planck. 7 percepito da ciascuna particella durante la propria vita è determinato dalla successione di interazioni complessivamente subite sino al momento considerato, il tempo percepito da un osservatore è una variabile che dipende dalla quantità di energia scambiata localmente con la materia circostante. Perciò osservatori distinti, in condizioni dinamiche differenti, avranno differenti percezioni del tempo vissuto, perché differenti sono le interazioni che ciascuno di essi ha sperimentato. "La sostanza del tempo" Le interazioni sono una "comunicazione" tra le parti che compongono la materia. Ipotizzando di poter isolare completamente un corpo materiale dal resto dell’Universo al quale appartiene, in modo da annullare qualunque "comunicazione esterna", la sua energia interna rimarrebbe complessivamente immutata sino al termine dell’isolamento, mentre le sue parti continuerebbero a "comunicare internamente" tra loro. Dato che la distribuzione di energia all’interno della materia non è mai perfettamente uniforme, cioè non tutti gli atomi e le molecole possiedono la stessa energia, e poiché gli scambi di energia sono quantizzati perché avvengono per multipli di quantità finite, occorre un numero infinitamente grande di scambi per distribuire uniformemente l'energia fra tutte le parti elementari che compongono la materia. Questo processo accresce gradualmente l’entropia complessiva di un corpo materiale isolato, quindi il livello di caos che caratterizza la materia nel suo complesso. Immaginando di poter scattare singoli fotogrammi successivi, ciascuno in grado di registrare scambio dopo scambio "lo stato di caos" interno che caratterizza la distribuzione di energia interna di un corpo, immutabile nella sostanza, ma non nel suo contenuto entropico, questi potrebbero essere considerati una cronologia di ciò che il corpo è stato e mai più sarà. Ogni fotogramma rappresenterebbe la "sostanza del tempo", ciò che fisicamente differenzia il passato dal presente. "Il tempo scandisce mutazioni globali." Considerazioni analoghe estese su scala universale, permettono di definire il tempo cosmico. L'Universo segue nel suo complesso un’evoluzione inarrestabile che coinvolge tutta la materia presente in luoghi diversi dello spazio. L'evoluzione ha l'effetto di mutare localmente l’energia interna della materia dislocata nelle differenti porzioni di spazio, ma non quella complessiva del tutto. Se vaste zone dell'Universo mostrano all'osservazione caratteristiche fisiche e dinamiche macroscopicamente confrontabili, verosimilmente hanno raggiunto lo stesso stato evolutivo, ma non hanno necessariamente subito in termini energetici lo stesso identico percorso evolutivo. A livello microscopico ogni parte elementare della materia segue un percorso evolutivo individuale, quindi percepisce una linea del tempo soggettiva, diversa da luogo a luogo e da osservatore a osservatore. Il tempo cosmico deve essere in questo senso inteso come una proiezione di tutte le linee di tempo soggettive su un asse ideale sul quale la crescita dell'entropia è progressiva. 8 Un tempo rispetto al quale a uguali stati evolutivi della materia posta in diversi luoghi dell'Universo corrispondono stessi istanti. Su quest'asse il tempo cosmico non è scandito dal ritmo locale degli scambi di energia, bensì dal ritmo artificiale e universale di orologi convenzionali con i quali osservatori che misurano la stessa durata in tempo cosmico, non necessariamente percepiscono quella durata allo stesso modo perché il loro tempo soggettivo può essere differente. Il tempo cosmico scandisce perciò mutazioni globali, un passaggio da macrostato a macrostato, da “fotogramma” a “fotogramma”, che coinvolge l'Universo nel suo complesso e non il singolo osservatore, un asse ideale sul quale scorre l’evoluzione del cosmo attraverso una successione di piccoli passi ordinati verso il caos. "Il tempo soggettivo è una variabile bergsoniana reversibile e ripetibile." In questa prospettiva il tempo su scala cosmica non ha senso fisico, perché essendo l'Universo localmente e non globalmente osservabile, solo il tempo "ordinario" che descrive l'evoluzione della porzione di Universo che cade sotto la percezione dei nostri strumenti di osservazione oltre al tempo "soggettivo" dell'osservatore sono definibili. Due osservatori possono misurare la durata temporale di uno stesso evento campione rapportando la loro percezione soggettiva all'unità temporale ordinaria6. Nel caso di osservatori isolati, essi non sono in grado di interagire scambiandosi energia, quindi non sono nemmeno in grado di confrontare le loro "misure". Viceversa se gli osservatori non sono isolati, essi interagiscono mutuamente e sono in grado di accordarsi sull'unità temporale da utilizzare nella misura della durata dell'evento campione, entrambi sperimentano lo stesso tempo locale soggettivo. In quest’analisi, il tempo misurato oltre ad essere differente per osservatori dinamicamente differenti, quindi relativo, perde la spazialità tipica della visione einsteiniana per acquistare un carattere soggettivo tipicamente bergsoniano7. Infatti, la durata temporale generata in una transizione tra due stati energetici successivi, non è un intervallo omologo allo spazio, ma una monade indivisibile e inestesa, determinata in base alla quantità di energia scambiata dalla materia con ogni osservatore. Il tempo locale è perciò l’effetto del verificarsi dell'interazione e non la causa. Il cosiddetto "trascorrere" del tempo è generato dal susseguirsi e dal sovrapporsi caotico di interazioni tra osservatore e costituenti elementari della materia, nel trascorrere il tempo di un osservatore è eterogeneo, casuale, soggettivo, ma anche einsteinianamente relativistico perché dipendente dallo stato dinamico dell'osservatore. "Ogni istante possiede una memoria del tempo passato." Le definizioni einsteiniana e newtoniana di tempo, anche se meccanicamente valide per sistemi macroscopici relativistici e non, perdono significato non perché 6 Nel Sistema Internazionale l’unità fondamentale del tempo è il “secondo”. Bergson Henry, filosofo francese. Accademico di Francia nel 1914 e premio Nobel per la letteratura nel 1928. Il suo interesse era rivolto alla dimensione interna dell’esperienza. Bergson può essere considerato un matematico qualitativo. 7 9 modellisticamente inadeguate a descrivere la realtà fisica, ma perché presuppongono che il tempo sia assolutamente e totalmente invertibile, perciò nella realtà della descrizione teorica non esiste differenza tra il percorrerlo in avanti o indietro. Consideriamo un qualunque sistema contenuto nell'Universo, partendo da uno stato dinamico che occupa una precisa posizione iniziale nello spazio delle fasi, un osservatore è in grado di registrarne l'evoluzione interagendo ripetutamente con il sistema. Ciascun’interazione è caratterizzata da una durata, il cui valore minimo misurabile dall'osservatore è pari al tempo di collisione che caratterizza l'evoluzione subita dal complesso sistema-osservatore. Poiché durata dell'interazione e quantità di energia scambiata accordano con il principio di indeterminazione di Heisemberg, la durata temporale del processo di interazione misurata da un osservatore è inversamente proporzionale alla quantità di energia scambiata. Maggiore è l'energia scambiata, più breve è il tempo proprio misurato. Le interazioni che avvengono tra osservatore e sistema consentono perciò ad entrambi di evolvere temporalmente scandendo il trascorrere del tempo. Il tempo di un osservatore è perciò segnato dall'evoluzione di un sistema materiale mediante l'ordine con il quale si producono in successione gli scambi di energia. Presupponendo la sola presenza dell'osservatore e del sistema osservato, poiché è l'ultima interazione a determinare lo stato energetico del presente, l'entità dello scambio energetico successivo, quindi lo stato energetico futuro, dipendono dallo stato che precede, cioè dal presente, allora come in una catena di Markov il futuro di un sistema dipende dal passato tramite il presente e il percorso evolutivo di un sistema, quindi la sua linea temporale, non è indipendente dal passato. Ogni istante trascorso possiede una "memoria" del passato che si affievolisce gradualmente per l’effetto dell’accrescimento dell’entropia nei sistemi con complessità crescente o nei sistemi "disturbati", per i quali l’interazione con il resto dell’Universo non è trascurabile rispetto a quella con il solo osservatore. "Reversibilità e ciclicità soggettiva" Un sistema non isolato che si trova inizialmente nel generico stato si , interagendo con l'esterno subisce delle "transizioni". Possono verificarsi due differenti situazioni: il sistema passa dallo stato in cui si trova allo stato successivo acquistando o perdendo una parte della propria energia; il sistema pur subendo una transizione, permane nello stesso stato in cui si trovava prima dell'interazione mantenendo immutata la propria energia. In ogni caso il sistema evolve nello spazio delle fasi e il tempo soggettivo trascorre. Diversamente, in assenza di transizioni il sistema non subisce alcun’evoluzione e il tempo si arresta. La percezione dello stop temporale è però puramente soggettiva, infatti se un osservatore esterno volesse misurarne la durata, dovrebbe interagire col sistema facendone riprendere istantaneamente l'evoluzione. Da queste considerazioni segue che per un qualunque sistema isolato elementare, il tempo soggettivo è immobile, il sistema non invecchia. Sistemi isolati complessi subiscono invece un'evoluzione interna. Infatti in un sistema isolato solo l'interazione tra le parti che lo compongono è responsabile 10 dell'aumento dell'entropia, quindi più il sistema è complesso, più sarà apparentemente "continua" e "omogenea" la sua evoluzione temporale, perché maggiore sarà il numero delle interazioni tra le parti elementari che lo compongono. Un sistema complesso allora invecchierà anche se isolato e percepirà il tempo con un ritmo determinato dalla propria evoluzione interna. In sistemi complessi si nota perciò una correlazione tra la percezione soggettiva del tempo proprio e la complessità del sistema. Per qualunque sistema o parte di sistema, il motivo per cui il tempo non è invertibile è ben comprensibile considerando l'evoluzione del sistema nello spazio delle fasi. Un sistema che occupa più volte lo stesso luogo nello spazio delle fasi acquista più volte lo stesso stato; esso per così dire "rivive" quella che si può definire un'esperienza del proprio passato, quindi uno o più istanti già trascorsi del proprio tempo. Se ti è la durata di un'interazione, equivalente al tempo di transizione da un generico stato al successivo, τ = t1+ t2+ …+ tn è il tempo totale trascorso dal sistema nel passare dallo stato iniziale s0 allo stato finale sn . Poiché qualunque evoluzione subita dal sistema è sempre rappresentabile mediante una o più collisioni elementari, ciascuna delle quali dà origine ad una sorgente elettromagnetica locale [4], a causa della mancanza di simmetria tra le fasi iniziale di avvicinamento delle particelle e finale di emissione dei prodotti di collisione, il processo energetico che ne deriva è assolutamente non invertibile, ma solo reversibile. Infatti ripercorrere in senso inverso il processo di collisione, quindi le traiettorie delle particelle, non vuol dire invertire la direzione del tempo, ma solo produrre fisicamente una nuova fase iniziale e una nuova fase finale, scambiando di fatto l'ordine temporale con cui le fasi si sono succedute. In questo caso l'esito finale del processo di interazione non corrisponde allo stato di partenza ma solo ad un nuovo stato di arrivo, una specie di “passato parallelo”. Immaginando di poter invece realmente invertire la direzione del tempo di un sistema formato da una particella in collisione con la materia circostante, si violerebbe il principio di causaeffetto per la creazione delle sorgenti elettromagnetiche e, almeno localmente, anche il secondo principio della termodinamica8, comportando così il “raffreddamento” dei bersagli e l’aumento di energia della particella incidente. Per la relatività esistente in ogni collisione tra la particella incidente e bersaglio, lo stesso fenomeno deve accadere contemporaneamente ad ogni particella di cui è composta la materia che circonda il sistema, allora tutta la materia dovrebbe simultaneamente raffreddarsi, ma anche acquistare energia. Poiché tale situazione fisica è del tutto assurda, segue che il tempo non può essere invertibile. Un sistema che evolve reversibilmente nel tempo da uno stato iniziale secondo la sequenza ordinata di stati σ = {s0, s1, s2, …, sn}, non potrà perciò realmente "tornare indietro" vivendo a ritroso il tempo τ già trascorso. Infatti, il sistema potrà tornare allo stato iniziale emulando il viaggio a ritroso, cioè vivendo "in avanti", 8 Il secondo principio della termodinamica afferma che nessuna transizione può avere come unico risultato il passaggio di calore da un corpo a temperatura biù bassa ad uno a temperatura più alta (Postulato di Clausius). 11 lungo la propria linea evolutiva, un tempo τ' = t'n+ t'n-1+ …+ t'1 generato da nuove transizioni che lo ricondurranno allo stato iniziale s0 ripercorrendo in senso inverso non il tempo di ogni singola transizione, ma solo l'esatta sequenza σ degli stati. In ogni caso essendo proprio gli stati del sistema a caratterizzare la memoria, quindi il "ricordo" del "vissuto", quest'esperienza sarebbe percepita dal sistema come reale pur non essendola. Il sistema, potrà invece "rivivere" una o più esperienze del proprio passato, solo nel caso in cui la sua linea evolutiva temporale tornasse a transitare ordinatamente attraverso le esatte sequenze di stati che caratterizzano i segmenti della linea evolutiva passata. In base al modello dato, si possono individuare quattro proposizioni elementari che permettono per la loro complementarità e mutua completezza fenomenologica di essere assunte come definizione assiomatica di tempo soggettivo: (1) (2) (3) (4) ogni istante corrisponde ad uno stato dinamico del complesso sistemaosservatore; il tempo del sistema-osservatore trascorre mentre subisce transizioni di stato; come in una catena di Markov il futuro dell’osservatore dipende dal passato tramite il presente; ogni transizione è irreversibile per la mancanza di simmetria nel processo di collisione. "La soggettività nella percezione dipende dalla conoscenza" A differenza di quanto accade per la materia inanimata, su scala “vivente” ogni intervallo trascorso è marchiato dalla casualità con cui gli eventi si manifestano e si succedono nel corso della vita cosciente di un osservatore. L’assenza di netti confini nell’esercizio delle libertà possedute da ciascun essere genera caos nelle interazioni tra esseri e materia, caos che si manifesta attraverso il verificarsi di eventi complessi e imprevedibili, a volte unici per la loro rilevanza, a volte insignificanti, comunque in grado di diversificare e scandire nella memoria dell’osservatore, il trascorrere del tempo e con esso il bene più prezioso e personale della vita, il ricordo. In un essere vivente la percezione del tempo è un fenomeno complesso, omologo nella forma e nella sostanza alla percezione del tempo soggettivo di un osservatore fisico. Per dimostrare quanto ora affermato, occorre verificare l'applicabilità dello schema assiomatico (1)-(2)-(3)-(4) alla definizione di percezione temporale, a cui qualunque sistema biologico in possesso di una mente, quindi di una rete neurale più o meno evoluta sembra rispondere. Figura 4: “ … essendo proprio gli stati del sistema a caratterizzare la memoria, quindi il "ricordo" del "vissuto", quest'esperienza sarebbe percepita dal sistema come reale pur non essendola.” Vincent van Gogh. “La stanza”, Museo Van Gogh, Amsterdam. 12 Didascalia. Un ricordo, spesso produce emozioni scatenate non solo dall’immagine, ma anche dai suoni e dagli odori ad essa correlati. La percezione, pur non essendo reale, può soggettivamente essere vissuta come un vero e proprio ritorno nel passato. Una rete neurale è formata da un grandissimo numero di neuroni disposti su più strati. Ogni neurone ha un corpo centrale asimmetrico, la cui parte più allungata e sottile nella quale si propagano i segnali elettrici è detta assone. L'assone assottigliandosi si suddivide in filamenti terminali, propaggini che si collegano al corpo e ai dendriti9 di un altro neurone tramite una vera e propria "porta di collegamento": la sinapsi. Ognuna delle sinapsi mette in collegamento i due neuroni ed è formata da due membrane, la prima appartenente al neurone emettente e l'altra al neurone bersaglio. Le membrane sinaptiche non sono poste a diretto contatto, ma sono separate da uno spazio detto sinaptico. Il segnale del neurone emettitore non può perciò transitare direttamente nel neurone bersaglio. La trasmissione può avviene solo per via chimica mediante la produzione di molecole di neurotrasmettitore che dopo aver superato la membrana sinaptica del neurone emettitore e attraversato lo spazio sinaptico, si legano con le molecole di ricettore poste sulla membrana del neurone bersaglio. Quando la quantità di neurotrasmettitore prodotto supera la soglia di attivazione, il neurone si attiva e il grado di inibizione o eccitazione prodotto nel neurone ricevente, come anche la 9 I dendriti, filamenti terminali del corpo centrale del neurone. 13 durata della trasmissione e l'intensità del segnale trasmesso, dipenderanno dalla quantità di neurotrasmettitore che attraversa lo spazio sinaptico. Il segnale elettrico generato nel neurone bersaglio dipende perciò dallo stato del neurone emettitore nell'istante che precede la "trasmissione" chimica. Poiché la sinapsi è funzionalmente asimmetrica, la trasmissione del segnale è unidirezionale e ogni stato mentale raggiunto, caratterizzato da una differente distribuzione e intensità dei segnali stimolati nei neuroni attivati è sempre irreversibile. Quando un essere vivente osserva un evento, questo è trasdotto dai ricettori dagli organi sensori in segnali elettrici che raggiungono la rete neurale del cervello. Un qualunque evento, pur essendo ugualmente codificato dagli organi sensori di organismi viventi della stessa specie, può dare origine a comportamenti differenti dovuti alla varietà di percezione dell’evento, cioè ai differenti percorsi dei segnali nella rete e alla complessità delle connessioni neurali attivate nella mente di ciascun osservatore. In altre parole, a parità di informazione, la risposta delle reti neurali di più osservatori può essere differente, perché differente è la percezione dell’evento. Perciò in esseri della stessa specie un evento inatteso può essere percepito da parte di alcuni come un pericolo, scatenando in questi una reazione di fuga, può invece essere percepito con curiosità da altri che mostreranno quindi interesse. A eventi uguali possono corrispondere comportamenti differenti e a eventi differenti, viceversa, comportamenti uguali. L'esperienza sulle reti neurali artificiali ha confermato che la soggettività nella percezione dell’evento esterno, quindi nella risposta in presenza di uguali sollecitazioni esterne, dipende oltre che dall’istinto, che altro non è che la conoscenza acquisita dalla specie, dalle diverse esperienze vissute da singoli osservatori. Infatti, è l’esperienza di ogni essere che allena la rete neurale a rispondere agli stimoli facendo transitare la rete neurale cerebrale attraverso una precisa sequenza di stati emotivi. Eventi differenti possono perciò scatenare comportamenti uguali solo se le reti sono stimolate con segnali che caratterizzano la medesima percezione della realtà nell’osservatore. "La percezione cosciente del tempo" Nella rete neurale, qualunque sia il suo livello evolutivo, il numero degli stati emotivi possibili è grande, ma finito, perché finito è il numero dei collegamenti sinaptici della rete e delle informazioni neurochimiche trasmettibili ad ogni neurone bersaglio. Una sequenza di n stati, a causa dell'unidirezionalità sinaptica, potrà essere ripetibile producendo nell’osservatore un fenomeno equivalente in termini percettivi al “dejà vu”, ma non potrà mai essere né invertibile né reversibile. Eventi differenti potranno perciò dar origine a uguali percezioni coscienti, purché la sequenza degli stati emotivi, quindi le sinapsi coinvolte e le informazioni neurochimiche trasmesse, siano le stesse. In questo caso a parità di percezione, il comportamento reattivo dell’osservatore è il medesimo. 14 Qualunque osservatore biologico nel corso della propria vita ha conosciuto eventi periodici come l’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, degli anni o nel caso umano, il ritmo artificiale di un orologio. Tutti questi fenomeni inducono nell'osservatore percezioni ricorrenti sempre uguali. Supponiamo di isolare un osservatore dal mondo, in modo che nessuna sollecitazione esterna lo possa raggiungere. Le uniche percezioni ineliminabili saranno l'attività mentale e il battito cardiaco, percepibile come una vibrazione meccanica che si propaga aritmicamente attraverso il corpo sino a raggiungerne l'apparato sensoriale. Per un osservatore biologico isolato, ogni attimo trascorso coscientemente è un "fotogramma" del proprio pensiero, cioè la “materia” del ricordo o dell’immaginazione, separata dal presente da miliardi di mutazioni avvenute nella distribuzione dei neuroni attivi della propria rete neurale cerebrale. Definiamo allora l’unità di tempo dell’osservatore come la durata di uno stato cosciente elementare, cioè il tempo di transizione tra due stati emotivi successivi durante il quale i segnali generati dall’attivazione dei neuroricettori originano consapevolmente nel pensiero dell’osservatore un “fotogramma”. L’unità temporale non è però una costante biologica, perché dipende dalla permanenza di ciascun “fotogramma”, cioè dalla velocità di trasmissione del segnale lungo gli assoni e dalla rapidità di trasmissione neurochimica nelle sinapsi, non necessariamente uguale da osservatore ad osservatore. Ogni stato cosciente è distinguibile dal rumore prodotto dall’attività neuronale inconscia, perché rappresenta, in analogia al tempo soggettivo, la “sostanza del tempo” biologico. Più intenso e complesso è il pensiero consapevole, maggiori sono il numero degli stati coscienti che si susseguono e il tempo totale percepito dell’osservatore. Poiché l’osservatore è più sensibile al mutamento dello stato cosciente che alla durata dello stato alla quale si può attribuire arbitrariamente un valore unitario, il tempo biologico trascorso è percepito più in funzione del numero degli stati coscienti che si sono susseguiti che per la durata temporale complessiva misurata in unità di tempo ordinario. Perciò nel caso in cui l’attività mentale dell'osservatore potesse essere ridotta alla sola attività inconsapevole, priva perciò di stati coscienti, il tempo totale sperimentato sarebbe nullo perché contratto ad un intervallo di durata pari al tempo cosciente. Viceversa, in presenza di un’attività cosciente, il tempo sperimentato cresce col numero degli stati emotivi oltre che con la loro effettiva durata assunta, per semplicità, unitaria. Segue che più osservatori posti in equivalenti condizioni fisiche sono in grado di misurare un intervallo ordinario mediante un segnale periodico di confronto, per esempio quello di un orologio o del proprio battito cardiaco, ma non sono invece in grado di percepire né la reale durata né lo stesso tempo cosciente, poiché l’estensione della linea temporale sperimentabile dipende esclusivamente dall’intensità dell’attività neuronale cosciente di ciascun osservatore. "Le corrispondenze tra modelli" 15 Sulla base delle definizioni date di “tempo cosciente” e di “tempo soggettivo”, si possono individuare un numero minimo di corrispondenze utili a verificare se entrambi i modelli soddisfano lo stesso schema assiomatico. Tempo soggettivo: collisione elettromagnetica informazione dinamica stato dinamico durata della collisione asimmetria nella transizione sequenza di interazioni linea temporale soggettiva → → → → → → → Tempo cosciente: collegamento sinaptico informazione neurochimica stato emotivo durata dello stato cosciente unidirezionalità sinaptica percorso neurale linea temporale cosciente Seguendo i punti (1)-(2)-(3)-(4) e utilizzando le corrispondenze, si verifica che il modello applicato ad entrambe le definizioni di tempo è il medesimo. Infatti anche per il tempo cosciente gli assiomi continuano a mantenere la loro struttura originale: (1’) (2’) (3’) (4’) ogni istante corrisponde ad uno stato emotivo della rete neurale dell’osservatore; il tempo cosciente dell’osservatore trascorre quando il sistema subisce delle mutazioni di stato; come in una catena di Markov il futuro dell’osservatore dipende dal passato tramite il presente; ogni transizione è irreversibile per l’unidirezionalità sinaptica nel processo di trasmissione neurochimica. L’applicabilità del modello soggettivo alla percezione cosciente del tempo, implica l’impossibilità di stabilire l’effettiva durata di un qualunque fenomeno fisico. Infatti, la misura di un intervallo di tempo ordinario è solitamente affidata ad un orologio ed è il risultato di un’operazione di confronto tra grandezze omogenee. Dato che osservatori fisici differenti sono in grado di accordarsi sull’unità di misura da utilizzare nella misurazione di un intervallo di tempo solo se non sono isolati, ma biologicamente percepiranno linee temporali coscienti differenti, ciascuno di loro potrà affermare di aver ottenuto la stessa misura di tempo, ma non potrà affermare nulla sulla durata, cioè sul numero di stati coscienti percepiti per unità di tempo. Infatti, ogni unità può essere sperimentata dagli osservatori come un tempo sensibilmente differente. Poiché il tempo è l’effetto dell’evoluzione di un sistema, in accordo con la definizione di variabile temporale bergsoniana, la durata reale di un evento è quella percepita dall’osservatore e non quella misurata, cioè è il tempo soggettivo dell’osservatore il reale “vissuto”. 16 Bibliografia [1] W. Shakespeare. Sonetto 64, 11-14. [2] M. Proust, « A la recherche du temps perdu » [3] M. Eliade, « The Myth of the Eternal Return », Routledge & Kegan Paul, London, 1955, p. 86. [4] M.Auci et al., « An approach to Unifying Classical and Quantum Electrodynamics », International Journal of Modern Physics B, Vol. 13, No. 12, 1999, p. 1525-1557. 17