Convertitore DC/AC per la connessione alla rete

"Convertitore CC/CA per sistemi fotovoltaici connessi alla rete: progetto e realizzazione"
Ing. Pierangelo Sandri
settembre 2007
[email protected]
Capitolo 3
Convertitore DC/AC per la connessione alla rete
Si può osservare in tutti i tipi di convertitore presi in esame nel capitolo precedente che
la trasformazione da corrente continua in corrente alternata di caratteristiche tali per
poter essere immessa nella rete elettrica avviene tramite l’utilizzo di un’inverter a
“ponte”.
Una prima grande classificazione degli inverter può avvenire in base al tipo di accumulo
esistente nel lato continua. Sono denominati Inverter a tensione impressa o VSI (Voltage
Source Inverter), quando nel lato DC vi è una sorgente di tensione, normalmente
realizzata con un condensatore di elevata capacità; in questo caso l'inverter è in grado di
generare una tensione di uscita controllabile.
Sono invece denominati Inverter a Corrente Impressa o CSI (Current Source Inverter),
quando nel lato continua vi è una sorgente di corrente, normalmente realizzata con un
sistema di accumulo induttivo; in questo caso l'inverter è in grado di generare una
corrente di uscita controllabile.
L'applicazione degli inverter a corrente impressa nelle applicazioni fotovoltaiche è
attualmente molto rara, solitamente limitata alle applicazioni in cui gli interruttori
commutano a frequenza di rete, per questo motivo l'analisi dei convertitori CSI non è
qui approfondita.
DC
DC
PV
FILTRO
Array
DC
AC
AC
Grid
Figura 3.1 schema a blocchi convertitore grid-connect
In fig. 3.1 è riportato lo schema di base della struttura, l'attenzione sarà d’ora in poi
concentrata nel trattare approfonditamente e nell’effettuare la progettazione hardware
dei blocchi contenuti nel riquadro di figura.
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3.1
Inverter monofase a tensione impressa
Considerando un generico carico resistivo-induttivo si osserva che le combinazioni
possibili di tensione-corrente fanno si che a seconda dell'istante considerato la potenza
fluisca dal generatore al carico o viceversa. Questo fatto impone la necessità di
utilizzare un inverter funzionante sui quattro quadranti del piano tensione corrente.
3.1.1 Inverter Half-Bridge (mezzo ponte)
Figura 3.2: inverter Half-Bridge
La struttura elementare dell’inverter a mezzo ponte capace di operare su tutti e quattro i
quadranti è mostrata in fig. 3.2-a. Essa è formata da due interruttori connessi in serie
ciascuno dei quali munito di un diodo in antiparallelo in modo da rendere l’interruttore
unidirezionale in tensione e bidirezionale in corrente.
La serie degli interruttori è connessa in parallelo alla serie di due condensatori uguali, la
cui capacità deve essere elevata cosicché è ragionevole ritenere che la tensione nel punto
centrale rimanga pressoché costante, pari ad ½E, rispetto al bus in continua (facendo ciò
è stata realizzata una doppia alimentazione). Il carico è connesso tra i punti intermedi
dei due rami di componenti. Tale struttura, usualmente denominata a mezzo ponte “halfbridge”, permette la generazione di solo due livelli di tensione in uscita, che, grazie alla
presenza dei diodi in antiparallelo sugli interruttori, sono indipendenti dal verso della
corrente di uscita.
Con il primo livello, ottenibile con S1 chiuso e S2 aperto, la tensione di uscita applicata
al carico Vo(t) è positiva e pari ad ½E, mentre con il secondo livello, ottenibile con S1
aperto ed S2 chiuso, la tensione di uscita Vo(t) è negativa e di valore pari a -½E;
ovviamente i due interruttori non possono essere mai chiusi contemporaneamente in
quanto si creerebbe un cortocircuito quasi sempre distruttivo tra l’alimentazione in
continua.
Adottando la tecnica di controllo PWM con portante sinusoidale si osserva che i due
condensatori vengono visti dalla corrente di uscita come se fossero in parallelo, quindi
poiché I0 deve circolare attraverso il parallelo di C1 e C2, durante il regime permanente
la corrente di uscita non può avere una componente continua.
A causa dell’accumulo capacitivo nel lato DC, il carico di un’inverter a tensione
impressa deve necessariamente presentare una componente induttiva-serie, in grado di
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impedire il verificarsi di impulsi con corrente di valore elevato durante le commutazioni
che avvengono con cambio repentino del valore della tensione applicata al carico. Nei
convertitori per l’immissione dell’energia nella rete elettrica o, più in generale in tutti
quei convertitori destinati ad alimentare carichi di natura generica, la componente
induttiva viene già fornita dal filtro inserito in uscita, che svolge anche la funzione di
estrarre la componente fondamentale del segnale evitando la propagazione al carico di
tutte le armoniche ad alta frequenza causate dalla modulazione PWM.
Nell’inverter half-bridge oltre al problema di generare la doppia alimentazione e di
doverne controllare eventuali sbilanciamenti, un’ulteriore svantaggio è che la tensione a
cui sono sottoposti gli interruttori quando questi sono aperti è pari ad E, risulta quindi
doppia rispetto alla massima tensione applicabile al carico, ciò rende necessaria la scelta
di interruttori elettronici con maggior tensione di blocco, che molto spesso presentano
anche più elevata caduta di tensione in conduzione.
3.1.2 L'inverter Full-Bridge (ponte intero)
Figura 3.2: inverter Full-Bridge
Dalla figura 3.3 si evince che questo tipo di convertitore è derivato dalla configurazione
precedente con la connessione in serie di due inverter half-bridge. La tensione di uscita
totale Vo(t) può essere scritta
Vo(t ) = VA (t ) − VB (t )
ove VA(t) è VB(t) sono le tensioni d'uscita di ciascuno dei due rami, in questo caso la
doppia alimentazione CC non è più necessaria essendo il punto centrale nella serie delle
capacità puramente fittizio infatti il carico in questo schema risulta flottante.
L'inverter Full-Bridge è anche più versatile per quel che concerne le modalità di
controllo, infatti permette una modulazione a due livelli se gli interruttori del ramo A
vengono comandati in modo complementare a quelli del ramo B. Con S1 e S4 accesi (S2,
S3 spenti) la tensione di uscita sul carico è pari ad E, mentre con S2 e S3 accesi la
tensione di uscita è di segno opposto -E. Se si rendono indipendenti i controlli dei due
“rami”, l'inverter a ponte intero, permette anche la generazione di una tensione di uscita
istantaneamente nulla, realizzando quindi una modulazione a tre livelli (Vo(t)=E,
Vo(t)=0, Vo(t)=-E) infatti con entrambi gli interruttori superiori chiusi (S1,S3=ON) o
entrambi quelli inferiori chiusi, il carico è cortocircuitato quindi la tensione ai suoi capi
è nulla, indipendentemente dalla corrente che vi sta circolando.
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A parità di tensione del lato DC, la massima escursione dell’uscita di un'inverter a ponte
intero è il doppio di quella di un'inverter a mezzo ponte. Quindi a parità di potenza
trasferita al carico, la corrente di uscita e sugli interruttori è la metà rispetto a quella
della configurazione a mezzo-ponte, così, nonostante il raddoppio del numero degli
interruttori tale soluzione può offrire dei vantaggi soprattutto per medio-alte potenze in
quanto la minor corrente sostenuta dagli interruttori può richiedere un minor numero di
componenti in parallelo. Inoltre tale configurazione permette il funzionamento con
modulazione a tre livelli (PWM Unipolare). Tale modulazione genera un minor
contenuto armonico rispetto alla modulazione bipolare (necessaria per la configurazione
a mezzo ponte) permettendo quindi una notevole riduzione delle dimensioni del filtro
d'uscita.
3.2
La modulazione PWM negli inverter monofase
Come già accennato l'inverter a ponte intero è comunemente pilotato con tecniche PWM
(Pulse Witch Modulation), indicando con δ il duty-cycle, la tensione media di uscita in
un periodo di commutazione è data da:
(3.1)
Vmed = (2δ − 1) ⋅ E
Si osserva che variando linearmente da 0 a 1 δ, si varia con legge lineare anche la
tensione media di uscita da –E ad E. Per ottenere delle grandezze alternate è quindi
sufficiente far variare δ nel tempo secondo la legge desiderata. Ad esempio per ottenere
un’uscita sinusoidale con ampiezza e frequenza regolabile si opera una modulazione
seno triangolo nella quale la modulante m(t)= Vm·sin (ωn·t) rappresenta, opportunamente
scalata, la tensione di uscita desiderata.
La frequenza fsw dell’onda portante triangolare stabilisce la frequenza di commutazione
degli interruttori ed è di solito tenuta costante assieme alla sua ampiezza Vsw.
Si definisce indice di modulazione d’ampiezza ma il rapporto tra l’ampiezza del segnale
modulante e di quello della portante.
V
(3.2)
ma = s w < 1
Vm
Mentre l’indice di modulazione in frequenza mf è definito come rapporto tra la
frequenza del segnale portante e quella del segnale modulante
f
mf = sw
(3.3)
fm
Si analizzano ora le due differenti tipologie di controllo PWM possibili in un’inverter a
ponte intero.
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3.2.1 PWM con tensione Bipolare
In questo caso gli interruttori S1-S4 e S2-S3 sono comandati a coppie, l’uscita del ramo A
è uguale ed opposta all’uscita del ramo B, si ha quindi VB(t)=-VA(t) pertanto la tensione
di uscita applicata al carico sarà Vo(t)=VB(t)-VA(t)=2·VA(t)=E.
Il massimo valore della componente fondamentale della tensione di uscita è pari a
Vo=ma·E
con
0<ma<1.
Analizzando ora lo spettro armonico della tensione in uscita dal ponte, le armoniche
compaiono come barre verticali centrate attorno alla frequenza di commutazione e ai
suoi multipli, cioè attorno alle frequenze mf, 2mf, 3mf e così via. Questa configurazione
spettrale resta valida per tutta la zona di modulazione lineare 0<ma<1 se il rapporto di
modulazione in frequenza è sufficientemente elevato mf>9 (sempre verificato negli
inverter PV di piccola-media potenza). Cioè le ampiezze delle armoniche sono quasi
indipendenti da mf, sebbene mf definisca le frequenze alle quali esse si manifestano.
Teoricamente, le frequenze alle quali si hanno le armoniche di tensione possono essere
determinate con la seguente equazione:
fh = ( j ⋅ m f ±k ) ⋅ fm
(3.4)
le armoniche di ordine k corrispondono alla k-csima barra verticale di j volte mf
h = j ⋅ mf ± k
(3.5)
La frequenza fondamentale (frequenza della modulante) corrisponde ad h=1, per valori
dispari di j, le armoniche esistono solo per valori pari di k; per valori pari di j, le
armoniche esistono solo per valori dispari di k.
Nella figura 3.4-d è riportato come esempio uno spettro di un segnale modulato con
PWM Bipolare con mf=15 e ma=0.8.
In particolare nella tabella 3.1 sono tabulati i valori delle principali armoniche
normalizzati Vo/E in funzione del rapporto di modulazione d’ampiezza ma assumendo
mf>21.
Tabella 3.1: Ampiezza delle armoniche generate dalla PWM bipolare normalizzate rispetto all’ampiezza
della fondamentale
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(a)
(b)
(c)
(d)
Figura 3.4: PWM a tensione bipolare a)portante (Vtri) e modulante (Vcontrollo) b) segnale di uscita
c) corrente lato continua d) spettro armonico tensione di uscita
3.2.2 PWM a tre livelli
Nella tecnica PWM e tre livelli gli interruttori dei due rami dell’inverter a ponte fig. 3.5b non sono più comandati a copia come nella tecnica PWM precedente; qui i rami A e B
dell’inverter Half-Bridge sono comandati separatamente, confrontando rispettivamente
la portante Vtri con la modulante Vcontr e -Vcontr.
Come si può osservare in fig. 3.5 dal confronto di Vcontr con la portante triangolare si
ottengono i seguenti segnali logici di comando degli interruttori del ramo A
Vcontr>Vtri
→
S1=ON
S2=OFF
→
VA=E
(3.6)
Vcontr<Vtri
→
S1=OFF
S2=ON
→
VA=0
La tensione del ramo A riferito al morsetto negative del bus DC è mostrata in fig. 3.5-b.
Per controllare gli interruttori del ramo B, la tensione -Vcontr è confrontata con la stessa
onda triangolare ottenendo il grafico di fig. 3.5-c.
-Vcontr<Vtri
→
S3=OFF
S4=ON
→
VB=0
(3.7)
-Vcontr>Vtri
→
S3=ON
S4=OFF
→
VB=E
A causa dei diodi di ricircolo posti in antiparallelo agli interruttori, le tensioni precedenti
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date dalle equazioni 3.6 e 3.7 non dipendono dalla direzione della corrente di uscita (ciò
era prevedibile visto che il convertitore sotto esame è un VSI).
(a)
(b)
(c)
(d)
(e)
(f)
Figura 3.5:PWM a tensione unipolare a) portante e modulanti
b)segnale di uscita ramo A
c) segnale di uscita ramo B
d) corrente lato DC
e) tensione di uscita
f) spettro armonico del segnale di uscita
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Osservando le forme d’onda di figura 3.5-b-c si nota che sono presenti quattro possibili
combinazioni degli interruttori nello stato di chiusura e quando si verificano le
commutazioni le tensione d’uscita varia sempre tra 0 e +E oppure 0 e –E.
Per questo motivo questa tecnica PWM è chiamata anche “PWM con tensione
unipolare”. Rispetto alla modulazione PWM Bipolare, in questo caso, la frequenza di
commutazione vista dal carico è doppia rispetto a quella effettiva degli interruttori
(frequenza della portante) con conseguenti notevoli benefici per il dimensionamento del
sistema di filtraggio e per il rumore acustico.
Questo fatto risulta evidente nello spettro riportato in figura 3.5-f osservando che tutte le
armoniche centrate su valori dispari di mf scompaiono, dando luogo così ad una
notevole riduzione del contenuto armonico.
3.2.3 Effetto tempi morti di comando
Fino ad ora si è ipotizzato che gli interruttori siano ideali e le loro commutazioni
istantanee. In realtà in conseguenza dei tempi non nulli di apertura e di chiusura propri
di ogni tipo di interruttore e degli inevitabili ritardi introdotti dai circuiti di pilotaggio,
l’interruttore è aperto nell’istante di commutazione prestabilito; tuttavia, la chiusura
dell’altro interruttore dello stesso ramo dell’inverter è ritardata di un tempo T∆ (detto
tempo morto), che è scelto con un certo margine di sicurezza per evitare il cortocircuito
(shoot through) del ramo. Il tempo morto può variare dalle poche decine di ns per gli
interruttori molto veloci (MOS di piccola potenza) mentre può essere molto più elevato,
decine di µs, per interruttori molto lenti generalmente di elevatissima potenza.
I segnali di comando in presenza di tempi morti sono mostrati in fig. 3.6-c.
Poiché durante il tempo morto entrambi gli interruttori sono aperti la tensione Va in
questo intervallo dipende dal verso della corrente Ia, (fig. 3.6-d se Ia>0, fig. 3.6-e se
Ia<0).
Confrontando le forma d’onda reale e quella ideale senza tempi morti, la differenza tra
le due tensioni risulta pari a:
E ⋅ t∆
(3.8)
∆Vmed = ±
= ± ( E ⋅ t∆ ) ⋅ Fsw
Tsw
Si osserva quindi che l’errore di tensione ha ampiezza costante e segno legato al verso
della corrente. Essendo noti la frequenza di commutazione e il tempo morto, l’errore
medio causato dai tempi morti è calcolabile a priori con la (3.8). Con l’impiego di un
sensore di corrente di carico (generalmente già presente nel circuito) si può decidere il
segno dell’errore e quindi effettuarne una correzione in tempo reale aumentando o
diminuendo δ di una quantità predeterminata in modo tale da generare un errore uguale
e contrario sulla tensione di uscita (Tecnica di compensazione Feed-Forward).
L’inevitabile errore di compensazione dei tempi morti ancora presente dopo la
correzione Feed-Forward può essere del tutto eliminato retroazionando il sistema.
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Figura 3.6: effetti del tempo morto a) circuito di riferimento b) commutazioni ideali c) commutazioni
con tempi morti d) errore tensione di uscita con Io>0 e) errore di tensione di uscita con Io<0
3.3
Filtro di uscita
Il filtro passa basso, posto in uscita di un convertitore a tensione impressa, oltre a fornire
la componente induttiva necessaria per il corretto funzionamento del ponte, ha anche la
funzione di attenuare tutte quelle armoniche indesiderate con frequenza superiore alla
fondamentale.
In particolare, negli inverter per applicazioni fotovoltaiche, tale filtro è generalmente
progettato per attenuare tutte quelle armoniche ad alta frequenza generate dalla
commutazione ed esterne alla banda passante del sistema di controllo. Il compito di
attenuare le armoniche a “bassa frequenza” < 2-3 kHz (generate ad esempio dalla
presenza dei tempi morti o da non linearità del modulatore) è invece solitamente
demandato al sistema di controllo in retroazione.
Il filtro di uscita, essendo attraversato dalla corrente di carico, deve essere progettato in
modo tale da diminuire il più possibile le componenti resistive. Esse, infatti, darebbero
luogo ad inaccettabili perdite di potenza per effetto joule; per questa ragione i filtri di
uscita sono realizzati utilizzando solo componenti reattivi (induttori, capacità).
Le principali tipologie di filtro utilizzabili sono: L, LC, LCL. (fig. 3.7)
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Figura 3.7: tipologie di filtro di uscita
a) induttanza singolo L b) induttanza capacità LC
c) filtro a T o LCL
La tipologia a singolo induttore (fig. 3.7-a) pur essendo di facile progettazione, nelle
applicazioni fotovoltaiche è raramente utilizzata. Infatti per ottenere un’adeguata
capacità filtrante l’induttore deve essere di valore molto elevato, il valore elevato di L si
ripercuote con una riduzione della velocità di risposta del sistema di controllo ad
eventuali transitori.
La tipologia “induttanza-capacità” LC (fig. 3.7-b) è ancora una tipologia molto
utilizzata, essa genera un filtro passa basso di secondo ordine la cui frequenza di
risonanza dipende però anche dalle caratteristiche del carico o della linea elettrica a cui
l’inverter andrà collegato, questa possibile variazione della risonanza, dipendente dal
carico, rende più complicata l’ottimizzazione del sistema di controllo.
La tipologia LCL pur necessitando di un maggior numero di componenti è attualmente
la più utilizzata per medie potenze, permettendo di ottenere un elevato potere filtrante
con modesti valori dei componenti.
La presenza dell’induttore L2 di valore molto maggiore dell’induttanza equivalente di
una normale rete di distribuzione elettrica rende la frequenza di risonanza propria del
filtro insensibile alle variazioni delle caratteristiche della rete.
La presenza del filtro LCL in uscita può causare dei problemi di stabilità e quindi rende
più impegnativa la realizzazione del sistema di controllo e più delicata la progettazione
del filtro stesso.
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