n. 40 - gennaio-aprile 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
ERIC WHITACRE
TRA LUCE E ORO
STABAT MATER
DI GIOVANNI PIERLUIGI
DA PALESTRINA
CANTARE
A SCUOLA
NUOVE INIZIATIVE A FAVORE
DELL’EDUCAZIONE MUSICALE
PASSATO
E FUTURO
DELLA CORALITÀ ITALIANA
LA VOCE
NELLO SPAZIO
DALLO SPAZIO DEL CORO
AL CORO SPAZIALIZZATO
Anno XIV n. 40 - gennaio-aprile 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
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Hanno collaborato: Bernardino Streito,
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In copertina: Festival Europa Cantat XVIII
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Editoriale
Visto dal Festival di Primavera di Montecatini, il
mondo ha un altro aspetto: più gioioso, meno
ripiegato su se stesso, più fiducioso nel futuro. È
uno scambio reciproco tra generazioni: gli adulti
offrono a questi ragazzi strumenti per crescere e
affrontare meglio la vita, i ragazzi ricambiano
donando agli adulti entusiasmo e stimoli sempre
nuovi. Davvero il canto corale è qualcosa di
inclusivo, dove tutti, a tutte le età, trovano modo di
esprimersi e da cui tutti possono ricavare emozioni.
Il coro è una grande palestra di formazione e
sempre più italiani ne sono convinti. Lo dimostra il
fiorire di cori scolastici e, fuori della scuola, di cori
di bambini e ragazzi. Il mondo corale si impegna a fondo, a partire da Feniarco con
le sue iniziative editoriali e con le manifestazioni che promuove. Si inizia, in
questo, a incontrare anche il sostegno delle istituzioni, con qualche primo risultato,
tra cui il protocollo che Feniarco, insieme ad altre 22 associazioni, ha firmato con il
Ministero dell’Istruzione, in merito alla formazione musicale dei giovani.
Ancora molta strada resta da fare per sensibilizzare tutti gli amministratori pubblici
a sostenere questo programma. Verrebbe da dire: meno arredi urbani e più cori. E
provate a pensare quanti cori e per quanti anni potrebbero vivere col costo di
qualche metro di marciapiede, con pochi metri quadrati di pavè?
Quando tra cinquant’anni i ragazzi che oggi frequentano il Festival di Primavera
entreranno nella terza età, conserveranno un ricordo profondo di questa
esperienza, anche se fosse durata solo lo spazio di pochi anni, mentre quegli
arredi urbani saranno stati rifatti tre volte. Qual è l’investimento più duraturo, per
una politica che voglia costruire il domani di questo paese su solide basi?
***
A proposito di investimenti sul futuro: un
anno importante come il 2012 – dopo i
grandi risultati del Festival Europa Cantat
XVIII Torino 2012 – non poteva non lasciare
il segno nella vita di Feniarco. Naturalmente
parliamo di un segno positivo, una vera e propria svolta che ci fa guardare in
avanti con rinnovate prospettive.
In quest’ottica, un passo significativo è stato il rinnovamento grafico dei principali
eventi della federazione, ma la vera sintesi di questo processo sta nel nuovo logo
Feniarco, discusso all’assemblea riunitasi a Bolzano nel mese di ottobre scorso e
approvato nel corso dell’ultima assemblea di Verbania.
Ma che cosa vuol dire un logo? Esso esprime la missione e il senso di
appartenenza: il logo ci identifica pubblicamente, trasmettendo un messaggio
anche a chi non ci conosce. Anche il nuovo motto “la voce dei cori”, condiviso
all’unanimità dalla stessa assemblea, vuole sottolineare proprio questo: Feniarco
parla per i cori rivolgendosi al mondo, alle istituzioni, a ogni interlocutore verso il
quale la coralità italiana, nel suo fare rete e sistema, si rivolge. Con questo nuovo
logo, nella sua semplicità e riconoscibilità, vogliamo partire dai successi e dalle
soddisfazioni dell’anno appena trascorso per gettare uno sguardo in avanti al
2014, quando la federazione nazionale dei cori compirà i suoi primi 30 anni!
Sandro Bergamo
direttore responsabile
n. 40 - gennaio-aprile 2013
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DOSSIER
La voce nello spazio
2
VOCE, MUSICA E SPAZIO
NELL’ESPERIENZA CORALE
Bernardino Streito
10
PORTRAIT
LA DISPOSIZIONE DEL CORO
Domenico Innominato
17
NOVECENTO
IL CORO TORNA NELLO SPAZIO
47 IL COLORE DELLE VOCI MASCHILI
INTERVISTA A MARIA DAL BIANCO
Efisio Blanc
Lorenzo Donati
23 IL MIO RAPPORTO
CON LA SPAZIALIZZAZIONE MUSICALE
ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE
Giovanni Bonato
DOSSIER COMPOSITORE
Eric Whitacre
52
DUE UNIVERSI SI INCONTRANO
IL CORO GIOVANILE ITALIANO
E L’ORCHESTRA FILARMONICA DI TORINO
Gabriele Montanaro
54 PASSATO E FUTURO DELLA CORALITÀ ITALIANA
L’ASSEMBLEA FENIARCO DI VERBANIA
26 TRA LUCE E ORO
Sandro Bergamo
RITRATTO DI ERIC WHITACRE
Mauro Marchetti
32
ET CANUNT ANGELI
INTRODUZIONE A LUX AURUMQUE
CRONACA
Ilaria Rosa
57
IL PROTOCOLLO D’INTESA TRA MIUR
E FORUM PER L’EDUCAZIONE MUSICALE
Alvaro Vatri
35
NOVA ET VETERA
60 FEDERAZIONE ITALIANA PUERI CANTORES
STABAT MATER
DI GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA
61
Walter Marzilli
3º CONCORSO
Walter Marzilli
DI COMPOSIZIONE
L’UMANITÀ DEL MAESTRO…
IN RICORDO DI VIC NEES
Efisio Blanc
RUBRICHE
INDICE
CANTO POPOLARE
43 NEVE DI ANGELO MAZZA
Sergio Bianchi
62 Discografia&Scaffale
64 La vita cantata
68 Mondocoro
2
VOCE, MUSICA
E SPAZIO
NELL’ESPERIENZA CORALE
di Bernardino Streito
FISICO, MATEMATICO E MUSICISTA
La voce umana e lo spazio sono due realtà complesse, polimorfe e strettamente collegate in
molte maniere nella pratica corale, sia questa compositiva, esecutiva, astratta o simbolica;
cerchiamo dunque di identificarle, dapprima separatamente, inquadrandole, sia pure
approssimativamente, nel nostro tema.
La voce offre alla persona la possibilità di produrre e di modulare un suono, grazie all’impiego
dell’organo fonatorio, dispositivo anatomico e fisiologico di cui la specie umana è generalmente
provvista.
Lo spazio, materialmente inteso, definisce comprensivamente i concetti di estensione visibile,
includendovi, all’occorrenza, le nozioni di forma, di dimensione e di struttura.
Occorre comunque ricordare che il suono, con tutti i suoi colori timbrici, i suoi codici di
comunicazione e le sue valenze affettive, non esiste come realtà fisica propria al di fuori di noi;
questi sensi li costruisce e li organizza il nostro cervello.
Nel mondo esterno, supposto che siamo tuffati in un mare di aria, agiscono delle onde elastiche
longitudinali di compressione e decompressione del mezzo generate da un input (prodotto da
un corpo elastico messo in vibrazione) che costituisce la sorgente del disturbo, cioè l’origine
dell’onda. Nell’aria, intorno e al di fuori di noi, il cosiddetto universo sonoro consiste nella
presenza di onde elastiche che avanzano con la velocità approssimativamente uguale a 340
metri al secondo.
Le stesse considerazioni, sul piano tecnico, possiamo ripeterle per la musica, fisicamente intesa
come miscuglio organizzato di onde “sonore” che avanzano e che interferiscono fra loro.
Abbiamo inquadrato la parola sonore fra virgolette per ricordare che sarebbe più opportuno
scrivere: onde elastiche di compressione e decompressione dell’aria capaci di indurre
un’esperienza acustica qualora ci sia un orecchio, un sistema uditivo e un cervello abilitati a
convertirle in suono.
A conclusione di queste precisazioni, spesso trascurate anche in molti testi ufficiali, giova forse
rileggere una definizione scientifica di suono. Eccola.
«Suono: termine indicante sia il fenomeno fisico-acustico consistente nelle vibrazioni di un corpo
elastico trasmesse nell’ambiente, sia il suo effetto-soggettivo consistente nella sensazione
VOCE, M
DOSSIER
prodotta dalla sollecitazione dell’apparato uditivo e dalla
percezione cosciente dell’impulso sensoriale. La percezione
consiste nell’insieme dei processi fisiologici e psicologici
attraverso i quali gli impulsi nervosi trasmessi dall’orecchio si
trasformano in sensazioni coscienti».
L’incontro più immediato e, al tempo stesso, necessariamente
banale, che un coro affronta, è ovviamente con il luogo del
concerto. L’ambiente en plein air è, nella maggior parte dei
casi, il più problematico, sia per i cori sia per gli strumenti e
per le formazioni strumentali tradizionali, eccezion fatta per la
banda.
Negli ambienti chiusi entrano in gioco le dimensioni e la
mappa del locale, i vari effetti di risonanza, riverbero, eco,
assorbimento, determinati in larga misura dalla natura delle
superfici e dal rivestimento delle pareti, del soffitto e del
pavimento, senza contare l’altezza di un eventuale palco su
cui il coro deve disporsi e la misura della distanza dei cantori
dalla parete di fondo, grandezza che può essere all’occorrenza
sfruttata come elemento capace di produrre un effetto di
bass-reflex. Cantare sotto la cupola di certe chiese comporta
talvolta un’importante variazione di sonorità, pure sotto
l’aspetto timbrico, in conseguenza dello spostamento del
gruppo anche soltanto di un solo passo avanti o indietro. Sul
palcoscenico di certi teatri può verificarsi un effetto-camino
capace di inghiottire i suoni
del coro, risucchiati verso
l’alto da una colonna d’aria
ascendente, mentre la
presenza di tendaggi può
“stoppare” le onde sonore e
creare nel gruppo uno
spiacevole senso di
solitudine e di smarrimento
acustico. Tante sono le
caratteristiche ambientali che influiscono sugli esiti della
vocalità di un gruppo, compreso l’assorbimento acustico
dovuto alla presenza e alla densità del pubblico. Come
Vladimir Horowitz e Arturo Benedetti Michelangeli erano
scrupolosissimi, fino all’ossessione, nel cercare la collocazione
ottimale del proprio pianoforte sul palcoscenico, onde
ottenerne la resa fonica più adeguata, così il direttore di coro
è chiamato a risolvere sperimentalmente il problema della
disposizione del coro, procedendo per tentativi.
Naturalmente non è detto che lo spazio, in relazione con la
musica, sia soltanto quello architettonico.
La nozione di spazio è molto generale. Innanzi tutto vogliamo
dividere il concetto in due categorie primarie: spazio reale
(fisico, con estensione volumetrica ed eventuale mappa
locale) e spazio psicologico. Queste categorie comprendono
poi una sterminata quantità di esperienze che si intersecano e
che si autodeterminano reciprocamente per dare luogo a
quella disciplina che potremmo chiamare fenomenologia della
produzione del suono e dell’ascolto.
Inoltre non dobbiamo dimenticare un aspetto importante, e
qualche volta decisivo, per la qualità dell’emissione vocale da
3
parte del coro, che è il rapporto affettivo che misteriosamente
si instaura fra i cantori e le pareti del contenitore che
abbraccia la loro prestazione; si tratta, per così dire, di una
forma di empatia fra la voce e la sua stessa immagine riflessa
e restituita da uno specchio riverberante. Abbiamo usato
l’avverbio “misteriosamente” perché a stabilire questo
rapporto intervengono non soltanto risultanze acustiche, ma
anche ottico-visive e talvolta (non sembri uno scherzo)
addirittura olfattive. La prossemica, in rapporto con
l’ambiente, è argomento di indagine complessa e controversa
fra aspetti della realtà e sensazioni soggettive che ne
derivano in seguito all’operazione percettiva.
Lo spazio psicologico, fra l’altro, non è propriamente un
luogo, ma uno stato psichico a cui non sono naturalmente
estranee le pulsioni dell’inconscio individuale insieme con il
ribollire dell’inconscio collettivo. L’immagine dell’oggetto che
ascoltiamo, prima di essere percepita, ha attraversato un
certo spazio fisico, con le modalità tecniche di cui abbiamo
parlato all’inizio, per generare in noi un turbamento e per
collocarsi infine nello spazio delle emozioni.
Ma ritorniamo a una più oggettiva realtà dei rapporti fra
musica e spazio.
Consideriamo uno degli esempi più famosi di associazione fra
uno spazio geometricamente strutturato e un progetto
La voce umana e lo spazio sono due
realtà complesse, polimorfe e
strettamente collegate nella pratica corale.
MUSICA
musicale: questa volta lo spazio è quello fisicotridimensionale normalmente inteso, il progetto musicale è
realizzato con suoni vocali e strumentali organizzati con un
evidente scopo evocativo.
Come l’azione dell’architettura consiste nel prendere possesso
dello spazio, interpretandolo come “luogo” in cui disporre le
masse, così la musica può essere intesa come conquista del
tempo, come “luogo” ove disporre i suoni. Brevemente:
l’architettura rende intelligente lo spazio così come la musica
rende intelligente il tempo. L’analogia, o meglio il parallelismo,
fra masse e suoni ci suggerisce un possibile isomorfismo
metaforico fra strutture spaziali e strutture musicali. Vediamo
qualche esempio.
La storia del mottetto Nuper rosarum flores
Il 25 marzo 1436 il papa Eugenio IV consacra solennemente
Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze con la straordinaria
cupola realizzata dal Brunelleschi; una settimana prima della
cerimonia il pontefice stesso aveva benedetto e deposto
sull’altare una rosa d’oro. È l’occasione colta da Guillaume
Dufay per comporre e dedicare alla solennità del grande
4
evento un capolavoro immortale: il mottetto isoritmico Nuper rosarum
flores. La cronaca di Giannozzo Manetti ci descrive lo spazio sonoro:
«si sentirono cantare voci così numerose e così varie, e tali sinfonie
s’elevarono verso il cielo, che si sarebbe creduto di sentire un concerto
d’angeli […]. Quando il canto cessava si sentivano suonare gli strumenti in
maniera allegra e soave […]. Al momento dell’elevazione la basilica tutta
intera risuonò di sinfonie così armoniose, accompagnate dal suono di
diversi strumenti, che si sarebbe detto che il suono e il canto del paradiso
fossero scesi dal cielo sulla terra».
Già attraverso queste parole troviamo lo spazio del Duomo trasformato in
luogo acustico, indissolubilmente associato alle voci e agli strumenti, ma vi
è di più: tralasciando i pur interessantissimi particolari tecnici della fattura
compositiva, Charles Warren ha avanzato l’ipotesi che la struttura
architettonica della basilica corrisponda alla struttura musicale del
mottetto. L’ipotesi avanzata da Warren viene contestata da Craig Wright,
che sostiene l’idea secondo la quale le proporzioni del mottetto
corrispondano invece, secondo la tradizione biblica, alle misure del Tempio
di Salomone. L’interpretazione di Warren è stata comunque recentemente
riproposta non senza convincenti argomentazioni sulla base di calcoli.
Ciò che ci sorprende e che ci appassiona è il confronto di due ingegnerie,
Lo spazio psicologico
non è propriamente un luogo,
ma uno stato psichico.
Pianta della basilica di Santa Maria del Fiore
Santa Maria del Fiore
quella della costruzione architettonica e quella della composizione
musicale. Scrive efficacemente Massimo Mila: «…non si può che rimanere
quasi sgomenti di fronte alla leonardesca acutezza intellettuale di queste
costruzioni musicali, dove la gotica complicazione delle formule non
compromette la resa poetica ed espressiva della composizione né il senso
festivo e gratulatorio della lieta solennità religiosa, e tuttavia la fa quasi
passare in sottordine, perché, in fondo, che cosa conta un bel mottetto in
più o in meno, di fronte a una così sbalorditiva esibizione di intelligenza
costruttiva?»
Basilica di San Marco
Pianta della basilica di San Marco
Interno della basilica di San Marco
DOSSIER
La voce, la musica e lo spazio diventano dunque le
componenti inseparabili dello stesso miracolo espressivo.
Negli anni del tardo Rinascimento la prassi corale della scuola
veneziana ha previsto l’alternarsi di due cori dialoganti nello
spazio della basilica di San Marco. I due cori contrapposti e
affacciati, chiamati cori battenti, generano dunque uno
“sdoppiamento” spaziale della sorgente sonora, creando un
vero e proprio spazio stereofonico che ha ispirato l’opera di
Willaert, di Andrea e Giovanni Gabrieli e di tanti altri
compositori. L’attenzione degli ascoltatori è chiamata a un
continuo esercizio di dislocazione e, contemporaneamente,
a un’operazione di sintesi dei due canali.
Lo spazio, questa volta, detta dall’esterno, con autorità
architettonica, la struttura delle composizioni.
Breve aneddoto storico su “spazio e silenzio”
La sera del 29 agosto 1952 il pianista David Tudor si sedette
al pianoforte sul palco della Maverick Concert Hall, non
lontano da Woodstock nello stato di New York, chiuse il
coperchio della tastiera e consultò un cronometro. Senza
toccare i tasti, nei successivi 4 minuti e 33 secondi ripetè
l’operazione per due volte, badando a non far rumore e
voltando le pagine di una partitura su cui non c’era scritta
neppure una nota. Terminata l’operazione (non diciamo
ancora l’esecuzione del brano) Tudor si alzò, raccolse applausi
e fischi, e se ne andò. Fu così che venne eseguito, per la
prima volta, il progetto musicale più “scandaloso” di John
Cage, l’opera più controversa, famigerata e imbarazzante del
secolo.
Lo stesso Cage, a proposito degli ascoltatori affermò:
«Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni
accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare.
Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che
soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia
cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo,
infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni
interessanti, quando alcuni parlavano o se ne andavano».
Una volta Cage confidò a una sua conoscente: «A causa di
questo, persi degli amici ai quali tenevo molto. Pensavano
che chiamare musica qualcosa che non sei stato tu a fare,
equivalesse, in un certo senso, a gettare fumo negli occhi».
E ancora: «Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che
non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent’anni non
l’hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati».
Naturalmente il brano si può “eseguire” con qualunque
strumento o complesso strumentale o vocale (io l’ho fatto con
il coro), purché venga rispettato l’unico parametro sonoromusicale richiesto dall’autore, cioè quello della durata: i tre
movimenti di 4’33” devono durare, secondo le indicazioni del
programma di sala della prima “performance”: 30” - 2’23” 1’40”, la cui somma dà, appunto, 4’33”.
5
A questo punto è
interessante rilevare
che 4’33”, tradotto in
secondi, dà 273”, e che
il numero 273,
associato alla
misurazione in gradi
centigradi sotto lo zero,
indica, secondo la fisica
tradizionale (Lord
Kelvin), il cosiddetto
“zero assoluto”, cioè la
temperatura alla quale
la materia non può
esistere, in quanto le
particelle di un corpo
Copertina della partitura
(allo zero assoluto)
sono al più basso
livello possibile di
energia. Si impone così l’immagine innocente e suggestiva:
niente suono, niente materia.
Quello che è interessante, relativamente alla nozione di spazio
nel pezzo di Cage, è che quest’ultimo si configura come
“luogo”, a portata di udito, che sta tutt’intorno all’ascoltatore,
sia all’interno sia all’esterno del contenitore deputato ufficiale;
da parte dell’ascoltatore si tratta dunque di “comprendere”,
ed eventualmente “apprezzare” un “silenzio attivo”.
Alla domanda, rivolta a un pubblico non informato, se sia
proponibile l’incisione discografica di 4’33”, seguono in genere
sorrisi sarcastici e negativi scuotimenti di testa; e invece si
contano, a tutt’oggi, almeno una trentina di edizioni in CD di
quest’opera così discussa. Lo spazio, il tempo e il silenzio si
sono presi la loro rivincita documentata a livello di mercato.
La musica e lo spazio grafico
Tutti conosciamo l’opera di Maurits Cornelis Escher, celebre
grafico e incisore olandese, artista capace delle più
straordinarie rappresentazioni di spazi illusori in cui si
smarriscono le nostre certezze percettive e prospettiche.
Le implicazioni logiche, matematiche, topologiche, fisiche e,
aggiungiamo pure, musicali anche se non sonore,
suggeriscono universi dove la voce (il suono organizzato) e lo
spazio si configurano secondo relazioni inattese. Pochi
esempi basteranno per farci riflettere. Partiamo dall’Offerta
Musicale di Johann Sebastian Bach, da quella miniera di
poesia e di tecnica contrappuntistica che il Kantor dedicò a
Federico II, noto come Federico il Grande. Il re, durante un
incontro a Potsdam, aveva proposto a Bach un tema, il
cosiddetto Thema Regium, affinché Bach vi improvvisasse
sviluppandolo, seduta stante, per dar prova del suo talento
straordinario. Bach obbedì, ma, rientrato a Lipsia, giunse alla
conclusione «che occorreva rielaborare in modo più compiuto
questo thema veramente reale e farlo conoscere quindi al
mondo». L’opera stampata venne offerta al re.
6
Essa comprende testimonianze di ogni sorta di tecniche imitative, fra le quali un cànone a due
voci, chiamato “cancrizzante”, la cui melodia (il Thema Regium) si combina con se stessa
secondo lettura per moto contrario (moto retrogrado), procedendo a ritroso, come il gambero,
per l’appunto.
Canon a 2 cancrizans
Il cànone, eseguibile coralmente, costituisce un ottimo esercizio per l’acquisizione della
padronanza polifonica; qui a noi interessa comunque per la suggestione spaziale, di cui
troviamo riscontro visivo, per esempio, in tre tavole di Escher.
Nella prima osserviamo un flusso di cavalieri neri che si muove da sinistra a destra, combinato
con lo stesso flusso di cavalieri, bianchi questa volta, che si muove da destra a sinistra; la
silhouette di cavallo e cavaliere è sempre la medesima, infatti illustra sempre lo stesso
processo di successione delle note (il Thema Regium), ma comporta effetti melodico-percettivi
diversi, resi evidenti dalla colorazione bianca e dalla colorazione nera. Quando poi il cànone
venga risolto, siamo invitati ad ascoltare la melodia compresente con la sua forma retrograda,
e a leggere la tavola nella sua complessità ottico-visiva. Attenzione, le due operazioni
DOSSIER
percettive contemporanee, quella uditiva e quella visiva, non
sono facili. Possiamo ripetere lo stesso discorso per le altre
due tavole.
L’opera figurativa di Escher trabocca di suggestioni grafiche
che si possono leggere musicalmente, così come molte
pagine musicali di Bach sono visualizzabili spazialmente.
Certe fughe di Bach (e anche certe composizioni di
Schönberg) si possono apprezzare come dei piccoli trattati
di struttura formale, dove gli elementi tematici vengono
presentati nella loro veste originale, poi per moto
retrogrado, poi per immagine inversa (capovolta secondo
uno specchio orizzontale), poi secondo l’inverso del moto
retrogrado, per aumentazione o per diminuzione quando se
ne alterino le dimensioni temporali, in forma di cànone
quando se ne sfruttino le possibilità imitative, etc. Le
nozioni di spazio e di tempo sono intimamente e
reciprocamente interconnesse. Particolarmente interessanti
sono quelle trattate nel prossimo paragrafo.
La musica e gli spazi impossibili
Nelle due dimensioni del piano sono rappresentabili
strutture spaziali impossibili da costruire nello spazio
tridimensionale. Un esempio è fornito dalla scala di Lionel
Penrose
Salita e discesa
Scala di Lionel Penrose
che, interpretata tridimensionalmente, sale (o scende)
sempre; questa illusione ottica (anamorfòsi) è stata sfruttata
da Escher nella costruzione del castello riportato in figura,
di cui diamo anche un ingrandimento parziale.
Salita e discesa, litografia, 1960 è il titolo di quest’opera
bizzarra, dove due processioni di monaci percorrono una
scala: una processione scende sempre, l’altra sale sempre.
Com’è possibile?
La musica ci propone almeno due esempi acusticamente
affini all’esperienza spaziale della litografia di Escher. Il primo
ci è offerto dal Canon a 2 per tonos dall’Offerta Musicale, che
ci presenta una melodia costruita sul Thema Regium; questa
melodia, partendo dalla nota do, si ripete per sei volte,
Salita e discesa, particolare
7
8
salendo acusticamente di quota un tono alla volta (per tonos),
supportata da un cànone a 2 voci organizzato fra le due mani
del clavicembalista. Parte da do e si ritrova sul do dell’ottava
superiore, cioè, armonicamente parlando, sale sempre ma non
sale mai; dopo sei cicli ci ritroviamo su un do: sempre
armonicamente parlando, siamo al punto di partenza.
La voce, la musica e lo spazio numerico
L’universo dei numeri ci offre una grande quantità di modelli
spaziali governati dal concetto di numero. Numeri illustri quali
π, \, e, solo per citare questi pochissimi esempi, insieme con
tante funzioni e strutture matematiche, concorrono nel
generare degli “spazi” ampiamente sfruttati soprattutto dai
compositori contemporanei, diciamo Ligeti, Xenakis, Cage,
Stockhausen, Nono, Boulez, Berio e quanti altri.
Occupiamoci dunque di una fra le più famose relazioni che
hanno informato di sé, fin dai tempi della Grecia classica, gli
spazi della matematica, della geometria, dell’architettura,
della scultura, della pittura, e – naturalmente – della musica.
La straordinaria diffusione di questo concetto, a livello
universale, ha fatto supporre a molti studiosi di tutti i secoli
una sua misteriosa presenza connaturata con le radici del
pensiero umano. Per poterne adeguatamente parlare
dobbiamo aiutarci con un minimo di calcoli. Eccoli.
Dato un segmento AB, proponiamoci di spezzarlo in un punto
tale che valga la relazione:
C
AC/CB
AB
= AB/AC
: AC = AC : CB
= AC X AC
AB/AC = \
AC/CB = \
AB X CB
Canon a 2 per Tonos
Bach aggiunse al testo musicale un’epigrafe esplicativa di
dedica: Ascendenteque Modulatione ascendat Gloria Regis.
Il meccanismo tecnico dell’ascesa, uno scalino di tono dopo
l’altro, va cercato appunto nella modulazione.
Il secondo esempio sonoro-musicale è fornito da Fall (caduta),
il terzo episodio della Computer Suite da Little Boy di JeanClaude Risset (1938), opera fondamentale nel repertorio della
computer-music. Esso evoca la discesa inarrestabile e
angosciante della bomba atomica sganciata su Hiroshima.
La caduta di Little Boy, pseudonimo macabro dell’ordigno
infernale, è un viaggio inesorabile senza ritorno; il nostro
orecchio percepisce fasce sonore inquietanti, sempre
discendenti verso la voragine. Risset “illude” il nostro orecchio,
la nostra attenzione, i nostri meccanismi percettivi, il nostro
cervello, attivandoli, sul piano della psicoacustica, grazie al
meccanismo fisioacustico dell’udito e all’impiego del computer.
Assumiamo quale unità di misura la lunghezza del segmento
CB:
AC
CB = 1
= x volte CB
Dire che AB è diviso secondo la proporzione aurea significa
dire:
x : 1 = (x + 1) : x
DOSSIER
Il prodotto degli estremi deve essere uguale al prodotto dei
medi, per cui:
x2 = x + 1
2
x –x–1=0
e scartiamo la
Risolviamo, applicando
soluzione negativa.
–
La soluzione positiva, x = (1 + 35) / 2 fornisce il valore del
“rapporto” aureo:
\ = 1,6180339887…
che è un numero irrazionale algebrico, espressione della
sezione aurea, diffuso nella realtà della conoscenza, inatteso e
presente nei luoghi più impensati della ricerca, dal mondo
della natura alle strutture create e costruite dalla mente
dell’uomo.
Lo troviamo, per esempio, nella periodizzazione temporale e/o
formale di tante pagine musicali, talora entrato di soppiatto
all’insaputa del compositore stesso, quasi come se la legge
della sezione aurea fosse sottesa al lavoro creativo dell’uomo,
talora invece cercato intenzionalmente come si vede in questa
pagina di Bartók analizzata da Ernö Lendvai (i numeri indicano
la quantità di battute e sono, come c’era da attendersi, numeri
di Fibonacci).
9
Molti compositori, segnatamente quelli contemporanei, hanno
istituito rapporti “spaziali” con l’universo dei numeri e delle
strutture matematiche. Sono stati esplorati il mondo dei gruppi,
della stocastica, del calcolo combinatorio, dei frattali e di tanti
altri repertori più o meno disciplinati, non ultimi quelli del caso e
del caos. Il dominio dell’architettura (vedi Iannis Xenakis e Le
Corbusier) si è esteso dallo spazio fisico tradizionale allo studio
degli edifici astratti costruiti dalla mente umana.
Non dimentichiamo poi lo straordinario contributo, ai fini della
creazione spaziale, che la tecnica elettronica ha offerto ai
compositori con la costruzione degli amplificatori, dei diffusori
acustici, dei sintetizzatori e dei computer.
La voce, la musica e lo spazio-memoria
Tuttavia lo spazio essenziale della musica è, in definitiva, lo
spazio-memoria. La musica non sarebbe comprensibile, e
nemmeno immaginabile e neppure esistente, senza la memoria
dell’individuo. Anzi, potremmo sostenere che la musica è
memoria. La memoria, cioè la possibilità di chiamare alla
mente quello che è avvenuto e che sta avvenendo, è il vero
spazio dell’esperienza musicale. Un processo di percezione il
cui meccanismo mnestico-temporale si azzerasse dopo la
durata, diciamo, di un minuto, ci renderebbe incomprensibile
un’opera della durata di 61 secondi.
Lo spazio del “presente”, del “presente durevole”, lo
sappiamo, è illusorio, ma la facoltà della memoria ci aiuta a
“tener presente”, almeno in certa misura, ciò che nell’ascolto,
istante per istante, viene inesorabilmente consegnato al
passato secondo gli orologi. È l’uso di questa facoltà che ci
permette di dare un senso all’esperienza intelligente
dell’ascolto e quindi di creare in noi la coscienza musicale.
Le varie forme dello spazio, come ci ha insegnato Einstein,
sono indubitabilmente intrecciate con le ragioni del tempo, e
viceversa; trattare la nozione di musica separatamente dal
concetto di spazio è forse un arbitrio, magari comodo per
poter riferire un’aneddotica con le sue varie sistematiche, ma
deviante per l’analisi di un’esperienza che reclama per sé un
atto percettivo globalizzante.
Non siamo lontani dal concepire l’esperienza musicale quale
azione, non soltanto metaforica, del percepire lo spazio come
evento sinfonico.
Bibliografia
La partizione secondo l’impiego della sezione aurea, trova una
quantità di riscontri nella produzione musicale, sia nel senso
della dimensione temporale delle durate sia nella
strutturazione di altri parametri musicali. Resta da distinguere
dove la \ (iniziale, a quanto sembra, del nome di Fidia) sia
stata deliberatamente impiegata dal compositore e dove
invece si presenti come l’esito di una scelta inconscia e
sotterranea, misteriosamente suggerita dalla natura umana.
J. CAGE, Silenzio, Shake Edizioni, Milano, 2010
R. FAVARO, Spazio sonoro, Marsilio Editori, Venezia, 2010
K. GANN, Il silenzio non esiste, Isbn Edizioni, Milano, 2012
J.L. LOCHER (a cura di), Il mondo di Escher, Garzanti, 1978
R. POZZI (a cura di), La musica e il suo spazio, Edizioni
Unicopli, Milano, 1987
10
LA DISPOSIZIONE DEL CORO
di Domenico Innominato
DIRETTORE DI CORO, COMPOSITORE E DOCENTE PRESSO IL CONSERVATORIO DI COMO
Un po’ di storia: Medioevo, Rinascimento, Barocco
Non essendo forniti di parti musicali separate, i cantores delle scholae dell’antichità si disponevano attorno
a un unico, alto leggio sul quale era posto un liber choralis di grandi dimensioni (affinché si potesse leggere
la musica anche a una certa distanza). I pueri cantores – voci superiores – stavano in prossimità del leggio,
quasi sotto allo stesso; le voci adulte di altus, di tenor e di bassus si ponevano dietro ai bambini.
Fig. 1 - Canto in chiesa, dal Tacuinum
Sanitatis Casanatensis, XIV sec.
Fig. 2 - Schola cantorum (Anonimo XI sec.?)
Fig. 3 - Il canto delle antifone (XV sec.)
Fig. 4 - A. Marotte (??-??), Coro e
orchestra medievali (olio su tela, part.)
Fig. 5 - Cappella musicale
DOSSIER
11
Fig. 7 - Il grande
leggio corale della
Cappella Sistina
(Roma, Vaticano)
Fig. 6
Le parti polifoniche della composizione non erano allineate verticalmente e trascritte in un’unica partitura, ma
distribuite orizzontalmente su due pagine contigue. Ecco come appare (fig. 6) il Kyrie della Missa “Ecce ancilla
Domini” di Johannes Ockeghem (1410-1497) in un Ordinarium missae polifonico, il “Codice Chigi” (1498-1503
ca.), conservato presso la Biblioteca Vaticana (Chigiana, C. VIII. 234) a Roma: in alto a sinistra è posta la parte
del Cantus, in basso a sinistra l’Altus o Tenor primus (in chiave di tenore), in alto a destra il Tenor secundus, in
basso a destra il Bassus.
Fig. 8 - Piantina della Cappella Sistina, Roma, Città del
Vaticano: i cantori della celebre Cappella Pontificia (organico
variabile da 12 a 26 e più elementi) si disponevano attorno al
leggio in una piccola cantoria di appena 5 metri per 2,7
Due miniature, rappresentanti le Capellae
dei fiamminghi Ockeghem (il personaggio
più vicino al leggio) e di Lasso (1532-1594,
in vestito giallo/oro, maestro di cappella
alla corte del duca Albrecht V Wittelsbach
di Baviera a Monaco, ritratto di Hans
Mielich, 1565) illustrano con molta
chiarezza come si disponevano i cantori
(fig. 9 e 10).
Fig. 9 e 10
12
Dieci anni dopo Mielich rappresenta
nuovamente la Capella con alcuni strumentisti
(fig. 11). Appare evidente la disposizione
dell’organico strumentale e corale: archi a
sinistra con il primo coro, fiati a destra con il
secondo; i tre strumenti del basso continuo,
violone, viola “da brazzo” e liuto, sono collocati
vicino al cembalo. Di Lasso è raffigurato
all’estrema sinistra, il coro appare inattivo.
La figura 12 rappresenta la cerimonia per
l’accettazione del duca Wilhelm V. di Baviera nel
Goldener Vlies-Orden, l’Ordine del Vello d’Oro
(Landshut, città natale del Duca, 1585):
l’illustrazione della Cappella Ducale di San
Lorenzo diretta da Orlando di Lasso qui non è
del tutto affidabile in quanto la miniatura fu
dipinta a Praga, dove si svolse parte della
complessa cerimonia. Il coro è raffigurato senza
strumenti ed è probabile che rispecchi la prassi
del tempo nel territorio praghese.
Fig. 11
Fig. 12
Fig. 13
Fig. 14
Luca Della Robbia (1400-1481) raffigura i cantori
della schola nel celebre bassorilievo della
cantoria marmorea del Duomo di Firenze (ora
collocata nel Museo del Duomo), scolpito fra il
1431 e il 1438: il libro corale è tenuto da due
pueri cantores (figura 13).
Nella figura 14 vediamo la Cappella Ducale della
Basilica di San Marco in Venezia, da un disegno
(particolare) del 1766 di Antonio Canal detto “il
Canaletto” (1697-1768); nelle cerimonie non
solenni i cantori si disponevano nell’ambone di
destra – guardando l’altare – volgendo le spalle
ai fedeli (cfr. più avanti Spazialità sonore,
l’effetto “stereofonico”).
La figura 15 illustra la disposizione del
Thomanerchor e del Leipziger Collegium
musicum (strumentisti) ai tempi di Bach.
La cappella musicale si collocava: a) nella
Thomaskirche, sull’ampia balconata di sinistra
(guardando l’abside) posta sopra l’ingresso
laterale nord, ove c’era (e c’è tuttora) il secondo
organo (Bach-orgel) per il servizio liturgico; b)
nella Nikolaikirche, sulla cantoria della navata
centrale (lato ovest) sopra l’ingresso principale.
Il coro volge le spalle ai fedeli ed è alla sinistra
del Kantor (Bach); il gruppo orchestrale è alla
destra del direttore. Le voci acute di soprano e
di tenore sono più a destra di quelle gravi
(rispetto al direttore). Lo schema è ricavato
dall’osservazione di due documenti iconografici
raffiguranti esecuzioni di Kirchenmusik presso le
Fig. 15
DOSSIER
13
chiese di Lipsia al tempo di Kuhnau/Bach (cfr.
A. BASSO, Frau Musika, Vol. II, EDT, Torino 1998,
pag. 235) secondo gli studi dei musicologi
Charles Sanford Terry e Arnold Schering.
La cantoria della Nikolaikirche (sopra l’ingresso
principale) com’era prima del restauro del 1785
è raffigurata nella figura 18. Il palco centrale
ospitava il coro, più indietro si ponevano gli
strumentisti del Collegium musicum e la fanfara
municipale; nel palco di sinistra era alloggiato
l’organo principale, mentre quello di destra era
riservato ad accogliere i notabili di Lipsia
durante le funzioni liturgiche.
Fig. 17 - Musikalische
Lexicon (1732) di Johann
Gottfried Walter
Fig. 16 - Frontespizio del Geistliches
Gesang-buch (1710)
Fig. 18
Fig. 19 - Piantina e dimensioni della cantoria della
Nikolaikirche nel Settecento
Le figure 21 e 22 presentano il nuovo organo
liturgico (costruito da Gerald Woehl nel 2000,
replica dello strumento barocco della
Paulinerkirche, suonato da Bach) e la cantoria
della Thomaskirche, nella quale il Kantor
prestava il proprio magistero dirigendo il
Thomanerchor. La balconata è posta al centro
della navata di sinistra sopra la porta Nord
della chiesa. Il primo organo, posto all’inizio
della navata centrale, sopra l’ingresso
principale, fu costruito a fine Ottocento e non è
adatto a esecuzioni bachiane.
Fig. 20 - La cantoria della Nikolaikirche oggi
Fig. 22
Fig. 21
14
Ancora un po’ di storia…
Periodo classico-romantico
Fig. 24 - Thomas Webster (1800-1886), The village
choir (1847), raffigurante il coro della chiesa di Bow
Brickhill nel Buckinghamshire, Inghilterra. Si può
notare l’utilizzo da parte dei cantori di libri corali
personali. Il coro e gli strumentisti non si collocano
più “di schiena” ma, guardando l’altare, sono rivolti
ai fedeli
Fig. 25 - José Gallegos y Arnosa (1857-1917)
raffigura El Coro de Niños de Sevilla con le voci
acute a destra del direttore e le gravi – contralti,
tenori e bassi – a sinistra
Furono adottate, fra fine Settecento e inizi
Ottocento, nuove soluzioni per la disposizione del
coro in ragione delle innovazioni musicali e dei
cambiamenti sociali verificatisi: a) le maggiori
complessità delle partiture e degli organici e
l’esigenza di riordinare in partitura la disposizione
dei pentagrammi, allineando strumenti e voci (fig.
23); b) lo spostamento (dislocazione) delle
Capellae durante lo svolgimento delle funzioni:
non più a metà della navata centrale o fra gli
stalli dei cori presbiterali ma, spesso, nelle
cantorie situate sopra l’ingresso principale
dell’edificio opposto all’abside; c) la fondazione di
Singakademie, complessi corali non più vincolati
ai servizi liturgici della Chiesa.
Fig. 26 - Stampa raffigurante un concerto di
Mendelssohn (alla direzione) al Gewandhaus di
Lipsia (1845)
Fig. 23
Disposizione del “coro moderno”
Fig. 27 - Sessione inaugurale dell’Assemblea
nazionale prussiana presso la sede sociale della
Sing-Akademie di Berlino, 1848. Fondata nel 1791
la Sing-Akademie di Berlino è l’associazione corale
più antica del mondo
La disposizione ideale per il coro attuale è una
semiellisse leggermente aperta, con i cantori
rivolti frontalmente al direttore. I cantori della
seconda (ed eventualmente, della terza) fila si
porranno in modo da non essere coperti dalle
persone che si trovano davanti. Elevare la
seconda fila di 20-25 cm e la terza di 40-50 cm
utilizzando una pedana a gradini o degli elementi
scomponibili a rialzo. In questa posizione ciascun
elemento potrà disciplinare più agevolmente la
propria voce nell’intonazione, nel timbro e
nell’intensità.
DOSSIER
Esclusi casi di ridondanza acustica, si eviti di schierare il coro
in linea retta: i cantori potrebbero trovarsi in difficoltà per la
cattiva ricezione sonora e l’ascoltatore capterebbe
direttamente le singole voci. Si eviterà anche la disposizione a
semicerchio o “a ferro di cavallo”.
Le parti acute di soprano e di tenore saranno a sinistra del
direttore, le gravi, contralto e basso, a destra; nei cori a voci
miste le donne saranno collocate davanti agli uomini.
15
Particolari disposizioni del coro
Diversi autori esplorarono, negli ultimi decenni del Novecento,
percorsi nuovi atti ad arricchire le potenzialità delle proprie
composizioni corali. Attraverso disposizioni non tradizionali
dello schieramento nell’ambiente si ricercò una diversa
spazialità della fonte sonora. Precursori di questa
investigazione furono i maestri di cappella operanti nel
Cinquecento nella Basilica di San Marco a Venezia.
Coro misto a 4 voci
tenori
bassi
soprani
contralti
direttore
Coro misto a 8 voci (non in “doppio coro”)
tenori I
tenori II
bassi I
bassi II
soprani I
soprani II
contralti I
contralti II
direttore
Coro femminile a 3 voci
soprani I
soprani II
Spazialità sonore, l’effetto “stereofonico”
La basilica era (ed è tuttora) dotata di due cantorie e di due
organi, a sinistra e a destra del presbiterio: a cornu (spigolo)
Evangelii (il lato del presbiterio dove si legge il Vangelo),
dietro l’iconostasi, a sinistra, si trova l’organo principale.
Il primo coro si collocava nell’ambone nord, davanti
all’iconostasi (all’inizio del transetto sinistro). A cornu
Epistulae (nello “spigolo” dove si legge l’Epistola) c’era invece
un organo di più modeste dimensioni, deputato, nelle festività
comuni, ad accompagnare un coro ridotto numericamente;
il gruppo si collocava nell’ambone sud (all’inizio del transetto
destro); nelle feste solenni l’ambone di destra ospitava invece
il secondo coro.
contralti
Coro maschile a 4 voci
tenori I
tenori II
bassi I
bassi II
Subordinando lo schieramento alle possibilità vocali
individuali, si stabiliranno le posizioni dei cantori,
distinguendo:
a) le voci dominanti al centro dello schieramento, attigui ai
cantori di altre sezioni con medesime caratteristiche
vocali;
b) le voci più leggere e/o espressive nella fila davanti
(qualora ciascuna sezione sia posta su due file);
c) i nuovi elementi saranno nelle posizioni laterali alla
sezione per non interrompere la continuità sonora. Si
assegnerà in seguito una posizione adeguata alle
caratteristiche vocali. Non è consigliabile affiancare ai
nuovi elementi cantori più esperti;
d) il “primo soprano” si porrà nell’immediata sinistra del
direttore, in prima fila.
Disporre file numericamente omogenee: da 12 (tre persone
per ciascuna sezione) a 16 cantori per ciascuna fila.
Fig. 28 - Pianta della Basilica di
San Marco a Venezia: i due
amboni, nord (a sinistra) e sud
(destra) sono evidenziati in
rosso
Fig. 29 - Francesco Guardi (1712-1793), Il Doge Alvise IV Mocenigo si
presenta al popolo nella Basilica di San Marco, olio su tela, 1763
16
Nella figura 30 vediamo una recente fotografia del presbiterio.
Dietro agli amboni e alla monumentale iconostasi si trovano, a
destra e a sinistra, gli alloggiamenti dei due organi. Si noti
l’ambone doppio all’inizio del transetto sinistro: la parte più
alta, terminante con una cupola dorata, era utilizzata per la
lettura delle Scritture; quella più bassa, con il parapetto ligneo,
era impiegata come cantoria del primo coro nelle feste solenni.
Nell’ambone sud (destra) si disponevano i cantori del secondo
coro o, nelle festività comuni, una cappella a ranghi ridotti.
La distanza fra i due amboni è di circa 14 metri.
Fig. 30
Il maestro della Serenissima Cappella Ducale di San Marco,
Adrian Willaert (1480-1562), adeguandosi alle peculiarità
acustiche della basilica, svilupperà, a partire dal 1550, un
nuovo stile polifonico, il “coro battente” (o spezzato, o doppio).
Si metterà così a profitto l’eccezionale permanenza del suono
(6 secondi) originata sia per la particolare conformazione
architettonica della basilica “a croce greca”, sia per la
riflessione acustica delle pareti, completamente rivestite di
mosaici dorati.
Doppio coro a 8 voci (disposizione speculare, entrambi i cori
sul palcoscenico):
bassi
tenori
tenori
bassi
soprani
contralti
contralti
soprani
primo coro, “coro acuto”
o “concerto”
(a sinistra del direttore)
secondo coro, “coro grave”
o “ripieno”
(a destra del direttore)
È inoltre possibile collocare il primo coro sul palcoscenico, o sul
presbiterio/altare maggiore (se il concerto si svolge in chiesa), il
secondo, in opposizione al primo coro, dietro al pubblico, o in
cantoria. Un’altra possibilità è disporre il secondo coro in un
altare o cappella laterale, a distanza non eccessiva dal primo
coro (fig. 31).
Spazialità sonore ed effetto “surround”
Molte composizioni moderne contengono specifiche indicazioni
sulla disposizione dei cantori. Un interessante effetto sonoro
“avvolgente” si ottiene disponendo i cantori attorno al pubblico.
È consigliabile in tal caso suddividere le diverse voci a coppie
omogenee o a singoli cantori (fig. 32).
Il compositore svedese Jan Sandström (1954) propone la
seguente disposizione per una sua rielaborazione del canto
natalizio Det är en Ros utsprungen (È sbocciata una rosa) di
Michael Praetorius, per doppio coro a 12 voci: il primo coro è
formato da quattro soli SATB; il secondo coro è a otto voci, SI SII
AI AII TI TII BI BII (fig. 33).
Fig. 31
S
A
T
B
S
A
A
T
B
S
A
T
B
S
A
T
S
A
T
B
PUBBLICO
T
B
S
A
T
B
B
S
A
T
B
S
Fig. 32
S solo
SI
AI
TI
BI
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AII T B S
II
II
I
Fig. 33
A solo
T solo
B solo
PUBBLICO
AI
TI
BI
SII AII
TII BII
BII
SII
AI
TI
BI
SI
N
17
NOVECENTO
IL CORO TORNA NELLO SPAZIO
di Lorenzo Donati
COMPOSITORE E DIRETTORE
DEL CORO GIOVANILE ITALIANO
Luigi Nono e la splendida utopia di Prometeo
Si narra nei libri di storia della musica che la
policoralità sia nata a Venezia. Forse non è del
tutto vero, perché “policorale” è un termine così
ampio che deve necessariamente includere anche
tutte le forme di coralità spazializzata esistiti
prima dei Gabrieli. Resta però accertato che in
ambito di musica polifonica, a Venezia si
crearono nel Cinquecento le condizioni per cui la
scrittura e l’esecuzione della musica a più cori
potesse trovare estimatori illustri. La capacità e
la perseveranza dei compositori, degli esecutori
e degli architetti fece così nascere una tradizione
che invase poi tutta l’Europa. Per questo quando
al giorno d’oggi si parla di musica policorale si
pensa alla famiglia Gabrieli, a San Marco e a
Venezia.
Grazie a questa grande tradizione e alla
frequentazione amorevole della città della
laguna, Luigi Nono, uno dei più importanti
compositori del Novecento, coltivò e riscoprì il
percorso creativo della scrittura musicale
spazializzata. Gli appassionati di musica corale
faranno un po’ di fatica a pensare a Nono come
uno dei più grandi compositori del Novecento,
perché la sua musica oltre a essere molto
difficile da eseguire è anche, per questo,
raramente ascoltabile in concerto. Ma come tutti
i grandi visionari (pensiamo a Bach o a Schubert,
che scrisse tutte le sue sinfonie senza poterne
mai ascoltarne una eseguita da un’orchestra),
Nono ha lasciato tracce importanti nel nostro
tempo e tornerà a essere attuale quando noi non
lo saremo più.
Tra le importanti intuizioni musicali di Luigi Nono
quella dello spazio è la visione per me più
innovativa. La divisione della massa corale in
due o più gruppi era già stata rinnovata e
sfruttata in molte possibilità. Il Romanticismo
con i doppi cori di Schumann, Brahms, la Cantus
Missae di Rheinberger, la Missa in Sol di
Vaughan Williams, poi i grandi del Novecento, di
cui torneremo a parlare (Britten, Poulenc),
avevano dato continuità alla scrittura policorale.
Nono partendo dallo spirito del Rinascimento
musicale veneziano riscopre non solo lo spazio
fisico del suono, ma anche quello emotivo e
timbrico. Ne nasce un percorso creativo che,
attraverso composizioni per solo coro come Sarà
dolce tacere su testo di Italo Calvino, brano di
rara difficoltà, lo porta verso un cammino
utopico che riesce, se pur tra mille difficoltà, a
realizzarsi con l’opera Prometeo. Il titolo
dell’opera, scritta nei primi anni Ottanta su testi
di Massimo Cacciari, si completa con una
NOVECE
18
Italia terra dei cori spazializzati
Lorenzo Donati mentre dirige il Coro Giovanile Italiano
seconda parte che ne definisce tutta la sua spinta
rivoluzionaria: Prometeo. Tragedia dell’ascolto. L’opera infatti
tende a portare l’ascoltatore a un tipo di ascolto totalmente
differente rispetto al passato, dove le categorie bello-brutto,
armonioso-disarmonico, triste-allegro non possono più
esistere.
A livello tecnico Nono prevede che le voci e
gli strumenti siano “sparsi” intorno al
pubblico. Si arriverà, nell’edizione proposta
negli stabilimenti milanesi dell’Ansaldo nel
1986, a far progettare e costruire da Renzo
Piano una struttura atta sollevare alcuni
musicisti, in modo che il suono arrivasse
non solo in modo circolare, ma semisferico.
Quindi l’utopia e la visione di Luigi Nono
portano il suono vocale-strumentale verso
un ampliamento percettivo, una richiesta forte del
compositore verso chi ascolta per arrivare a un ascolto nuovo.
La percezione nuova, che si manifesta in modo evidente
attraverso la spazializzazione delle fonti sonore, si sviluppa
anche nell’ambito della scrittura musicale, così lo spazio fisico
si mette in relazione con lo spazio e il tempo del suono e
della vibrazione.
Il coro che realizzò quella storica esecuzione era composto
da giovani musicisti studenti del dipartimento di musica
contemporanea della Hochschule di Friburgo, diretti da
André Richard. Certo l’auspicio è che un tale percorso
creativo non resti eseguito e scritto da e per una ristretta
cerchia di musicisti, ma possa svilupparsi e generare una
ricaduta creativa su molti altri artisti, che ne sappiano
cogliere l’energia vitale e ne sappiano sviluppare la
potenzialità, adattandola alle possibilità tecniche della
coralità “normale”.
Si sa che gli italiani sono sempre divisi su tutto. La nazionale
di calcio ha 56 milioni di allenatori, alle elezioni ci
presentiamo sempre con una cinquantina di partiti, quando si
deve scegliere l’abito del coro qualcuno litiga sempre, e così
via. Nel tardo Medioevo non è che fossimo un popolo più
unito. Ci ha unito la penisola, la lingua, le invasioni degli altri,
i soprusi, ma fosse stato per noi italiani, saremmo sempre
stati divisi e contenti. Forse anche questi motivi socioculturali
o forse più psicologici hanno reso possibile la nascita e lo
sviluppo della policoralità. Magari alla base di tutto c’è un
basso che avendo litigato con l’altro basso della sezione, non
sopportandolo più, chiese ad Andrea Gabrieli di trovargli un
altro posto e questo, trovandosi in difficoltà con una voce in
meno, lo mandò a cantare dalla parte opposta del coro, con
la sua fazione di cantori (c’è sempre nei litigi corali qualche
fazione composta da spezzoni di coro). E se la policoralità
veneziana fosse nata da un litigio per le divise del coro,
sarebbe proprio divertente.
Probabilmente è andata in un altro modo e sono ben più
profonde le ragioni che portarono allo sviluppo della scrittura
policorale, ma l’arte è fatta dagli uomini e a volte dovremmo
chiederci quante insignificanti azioni possono aver generato le
condizioni per un grande cambiamento.
Oltre che a Venezia l’arte dello scrivere a più cori si diffuse in
Italia in modo sempre maggiore, fino ad arrivare a
Quando si parla di musica policorale
si pensa alla famiglia Gabrieli,
a San Marco e a Venezia.
composizioni a quaranta voci divise in cinque cori, come Ecce
beatam lucem di Alessandro Striggio, oppure alle opere
policorali della scuola romana del Seicento, con le messe e i
Magnificat a quattro cori scritti da Orazio Benevoli. Nel
Seicento la produzione a più cori era così sviluppata che
iniziarono a essere teorizzate non solo le caratteristiche
compositive, ma anche quelle esecutive. Il compositore
cremonese Ignazio Donati che lavorò come maestro di
cappella nel Duomo di Milano, definì, nel suo trattato Sacri
concentus, questa pratica di canto spazializzato “cantar
lontano”. Molti furono in questo periodo i musicisti che
composero grandi opere policorali come il monumentale Nisi
Dominus del Vespro della Beata Vergine e molte altre
composizioni della Selva Morale e Spirituale di Claudio
Monteverdi. Ludovico Grossi da Viadana compose uno
straordinario vespro interamente per quattro cori, Giovanni
Paolo Colonna e Giacomo Antonio Perti a Bologna, Ignazio
DOSSIER
Donati a Milano, Orazio Benevoli e Giuseppe Ottavio Pitoni a
Roma, Francesco Cavalli a Venezia. Le tracce dello stile
policorale si distinguono bene fino ai primi del Settecento:
ancora Vivaldi, pur mantenendo prevalente una scrittura corale
a quattro voci, spesso utilizza la divisione a due cori. Lo
stesso famosissimo Magnificat vivaldiano sarebbe da cantare
in formazione a doppio coro, anche se la scrittura musicale in
effetti è a quattro voci. Si suppone che la versione policorale
del Magnificat fosse pensata per un grande Vespro a doppio
coro e doppia orchestra di cui sono rimasti alcuni salmi come
il Domine ad adjuvandum. La tradizione italiana viene, nel
Seicento e Settecento, studiata e sviluppata in altre parti
d’Europa, in particolare in Germania, ma si trovano tracce di
stile policorale veneziano anche nei compositori attivi nelle
Americhe. Dalla fine del Settecento, tranne qualche singola
esperienza, come il Cantemus per doppio coro di Gioacchino
Rossini, la scrittura a più cori in Italia resta una specie di
esercitazione in stile antico e perde il contatto con l’evoluzione
stilistica del Romanticismo. Solo grazie alla riscoperta del
Rinascimento e alla volontà di un rinnovamento dello stile
italiano con un taglio post-operistico, nei primi del Novecento
si tornerà a scrivere musica corale in modo assai originale e si
recupererà anche l’attenzione alla spazializzazione del coro.
Dal coro battente al coro semovente
L’idea della spazializzazione del suono non nasce nel
Cinquecento, ma ha radici più antiche e si realizza in varie
forme sia in Europa che in altre parti del mondo. In modo
schematico la pratica corale può essere suddivisa in quattro
grandi gruppi: forma innodica, in cui tutto il coro canta la
stessa parte; forma responsoriale, in cui a un gruppo vocale o
a un solista si alterna il coro completo; forma antifonale, in cui
il coro si divide in due semicori: a volte anche il coro si può
dividere in più parti; forma processionale, che prende spunto
da una delle forme precedenti, ma con la caratteristica che il
coro si muove da o verso un punto.
Questo schema porterebbe a far pensare che l’unica forma di
spazializzazione del coro è la terza, il coro che si suddivide in
due gruppi che si alternano. In effetti questa è la struttura
utilizzata per la maggior parte delle opere polifoniche
policorali dal Rinascimento fino al Romanticismo. Il Novecento
ha però reinventato e riscoperto lo spazio sonoro e
architettonico, creando le condizioni per uno sviluppo
straordinario delle possibilità offerte ai cori e ai compositori.
Per questo, in ambito contemporaneo, dobbiamo ampliare il
concetto di scrittura policorale a un numero maggiore di forme
e non limitarci a quella antifonale in cui un coro è
“contrapposto” all’altro, il cosiddetto coro battente. Questo
ampliamento, concettuale ed effettivo, ha portato i musicisti a
coniare un nuovo termine che esprime non più la suddivisione
del coro in due o più gruppi, ma la distribuzione dei coristi
nello spazio. Sempre più spesso si possono ascoltare nei
nostri concerti partiture per “coro spazializzato”. Spesso sono
19
opere scritte e pensate fin da principio per una certa
disposizione nello spazio architettonico, ma altre volte sono
partiture antiche eseguite con una particolare attenzione al
piazzamento dei coristi.
Se dovessimo ridefinire lo schema precedente, riguardo alle
forme della pratica corale, dovremmo aggiungere una nuova
tipologia e lo schema sarebbe questo:
forma innodica
• posizione frontale al pubblico.
forma responsoriale 1
• l’ensemble all’interno del coro canta anche le parti del coro
grande, se non ha parti proprie.
esempio: Herbert Howells, Psalm 23 dal Requiem
forma responsoriale 2
• con il coro grande e l’ensemble che formano un unico
semicerchio, ma lateralmente si posizionano le voci
dell’ensemble, in modo da renderle maggiormente
distinguibili dagli altri;
• l’ensemble o i solisti cantano insieme al coro grande, se
non hanno una parte assegnata a loro.
esempio: Benjamin Britten, Hymn to the Virgin
20
forma antifonale 1
• i due o più cori, possono essere uguali o differenti in
dimensioni e formano un unico grande semicerchio, diviso
al centro da uno spazio vuoto;
• i cori in questa forma hanno sempre parti differenti tra
loro.
esempio: Frank Martin, Messa per doppio coro
forma processionale 2
• il coro procede tra il pubblico passando ai lati della sala.
esempio: Lorenzo Donati, Novamente
forma antifonale 2
• i due cori hanno uguali dimensioni e si contrappongono
frontalmente;
• il direttore e il pubblico stanno, se possibile, tra i cori;
• i cori in questa forma hanno sempre parti differenti tra
loro.
esempio: John Tavener, Hymn to the Mother of God
forma spazializzata 1
• il coro è disposto intorno al pubblico;
• il direttore, se necessario per l’esecuzione della partitura, si
dispone al centro della sala.
esempio: William Albright, An Alleluia Super-Round
forma processionale 1
• il coro procede tra il pubblico passando al centro della
sala.
esempio: Benjamin Britten, Hodie Christus da Ceremony of
Carols
forma spazializzata 2
• il coro è suddiviso in gruppi attorno al pubblico;
• il direttore si dispone al centro della sala.
esempio: Giovanni Bonato, Veni Sancte Spiritus
DOSSIER
Policoralità nel Novecento
(Britten, Howells, Pärt, Pizzetti, Tavener)
Il Novecento ci lascia in eredità alcuni grandi capolavori
policorali: la Messa dello svizzero Frank Martin, Figure
humaine di Francis Poulenc, la Messa in Sol di Ralph Vaughan
Williams e altri importanti cicli come i mottetti bachiani rivisti
dal compositore svedese Sven-David Sandström.
Queste opere, immense per dimensioni, tecnica della scrittura
musicale e compattezza formale, hanno tutte una forma
policorale antifonale. Anche se poi l’utilizzo delle varie
possibilità tecniche è assai elaborato, il doppio coro di Martin,
Poulenc, Vaugham Williams e Sandström è quello classico:
due cori di uguale organico, uno alla sinistra e l’altro alla
destra del direttore, divisi da un metro o due, ma non troppo
lontani.
Abbiamo visto però che la riscoperta dello spazio sonoro e
architettonico, le novità della scrittura musicale, le esperienze
Grandi capolavori policorali del Novecento
Figure Humaine di Francis Poulenc
Cantata per doppio coro, ogni coro è composto da sei voci,
su testo di Paul Eluard. Si tratta di una vera e propria cantata,
divisa in otto quadri, dedicata a Pablo Picasso e scritta
nell’estate del 1943. L’ultima parte dal titolo Liberté ha
un’ampiezza quasi equivalente alle altre sette che la
precedono. Opera di rarissima esecuzione che richiede al coro
grandi doti vocali e capacità di orientamento tra le armonie
dipinte da Poulenc.
Messa in Sol per doppio coro di Ralph Vaughan Williams
Questa messa segue la struttura formale tipica delle messe
del Settecento, proponendo l’intonazione gregoriana del
Gloria e del Credo e strutturandosi in parti testuali ben
distinguibili. L’autore scrive l’opera negli anni Venti in sol
minore, tonalità interpretata in modo moderno, ma comunque
tonale. Vaughan Williams scrive “per doppio coro”, ma
l’ensemble corale deve spesso suddividersi in tre cori: primo
coro, secondo coro e coro di solisti.
Messa per doppio coro di Frank Martin
La messa di Frank Martin è una delle opere corali più
conosciute e importanti del Novecento. Data la bellezza della
scrittura, la novità di certe scelte melodico-timbriche e la
grande attenzione che Martin alle tessiture vocali, in molti
cori provano, con alterne vicende, l’esecuzione di questa
messa. L’opera propone dei quadri di straordinaria intensità
come il Kyrie e l’Agnus Dei, ma anche parti di grande
leggerezza e di una scrittura vivace e semplice. Martin scrisse
quest’opera tra il 1922 e il 1926, ma decise di tenerla inedita
21
di diffusione del suono attraverso strumenti elettronici hanno
stimolato i compositori a proporre anche altre forme di
scrittura policorale. Chi ascolta il brano Hymn to the Virgin di
Benjamin Britten, potrà notare immediatamente che i due cori
sono di dimensioni assai differenti. Il compositore chiede che
il secondo coro sia più piccolo (semicoro) del primo, propone
addirittura che sia formato da un gruppo solistico. Britten
utilizza nei due cori un percorso melodico-armonico differente,
destinando al coro grande la parte di testo in inglese e al
coro piccolo quella in latino. Ne esce un’opera semplice,
geniale e di grande fascino.
Nell’ambiente culturale inglese, la volontà di lavorare su un
diverso modo di interpretare il doppiocoro era certamente
molto forte nei primi del Novecento. Altri autori, facendo
seguito alle esperienze di Charles Villiers Stanford, si sono
cimentati con un organico policorale, cercando di reinventarlo.
Tra questi un’altra opera mariana, l’Ave Maria di Gustav Holst,
che ha la particolarità di essere uno dei primi brani scritti per
e passarono molti anni prima che la sua Messa fosse
eseguita e divulgata.
L’omaggio ai mottetti di Bach di Sven-David Sandström
Tra le opere policorali più importanti certamente l’omaggio
che il compositore svedese Sven-David Sandström ha fatto ai
mottetti policorali di Johann Sebastian Bach è di particolare
rilievo. Tra il 2002 e il 2008 Sandström ha scritto,
reinterpretandone il testo e alcuni stilemi compositivi, i sei
mottetti di Bach. In questo caso l’uso del doppio coro è in
continuo dialogo con l’originale bachiano, ma proprio per
questo interessante nel suo progetto compositivo. In un’epoca
in cui i compositori vanno a cercare di creare un nuovo
utilizzo dello spazio, Sandström riparte da quello di Bach,
tornando a un doppiocoro antifonale.
Principali opere policorali italiane
Audi, filia di Giovanni Bonato (edizioni Feniarco)
Ecce vidimus eum di Mauro Zuccate (edizioni Feniarco)
Missa Lorca di Corrado Margutti (edizioni Astrum)
Mottetti per due cori di Lorenzo Donati (edizioni Pizzicato)
Mottetti per tre cori di Lorenzo Donati (edizioni Pizzicato)
Requiem di Franco Dominutti (edizioni Pizzicato)
O quam amabilis di Piero Caraba (edizioni Feniarco)
Spiritus Domini di Giuseppe Mignemi (edizioni Feniarco)
Stella nova di Romano Pezzati (edizioni Pro Musica Studium)
Surroundings di Cristian Gentilini
Tenebrae factae sunt di Giovanni Bonato
Tristis est anima mea di Elena Camoletto (edizioni Feniarco)
Veni Sancte Spiritus di Giovanni Bonato
22
doppiocoro femminile. Tra tutti però è importante soffermare l’attenzione sul Requiem di Herbert
Howells che è scritto per un doppio coro molto particolare.
Howells, nei sei brani che compongono il suo Requiem, oltre a utilizzare una scelta di testi
molto particolare, alterna doppiocoro in forma antifonale, doppiocoro in forma responsoriale e
coro in forma innodica. In questo caso sarà il direttore di coro a scegliere qual è la posizione
che dovrà assumere il coro, perché i brani si susseguono uno dopo l’altro ed è impensabile che
il coro si sposti ogni volta. La scelta di Herbert Howells, pur rimanendo in una posizione frontale
al pubblico, propone una massa corale che crea spazi sonori sempre differenti tra loro, cercando
di non far abituare l’ascoltatore a un’unica direzione del suono. La scelta è vincente, perché
coerente con le scelte melodico-armoniche che Howells compie, e il personale Requiem del
compositore inglese ci spinge verso una percezione dello spazio sonoro nuova.
In Italia l’esperienza compositiva corale della prima parte del Novecento deve molto a
Ildebrando Pizzetti, compositore di Parma che ispirandosi alla cultura rinascimentale e alle prime
riscoperte dei grandi polifonisti del Cinquecento, avvia in Italia la rinascita della musica corale a
cappella. Pizzetti nel suo Requiem per
coro a cappella, opera grandiosa e
rivoluzionaria per il panorama corale
dell’epoca, suddivide nel Sanctus il coro
in tre gruppi. Il primo coro solo
femminile, mentre secondo e terzo coro
composti da voci maschili rendono la
partitura di un colore timbrico assai
particolare. All’inizio della partitura il
compositore scrive “chiaro e spazioso” e l’accenno all’idea di spazio non può essere visto solo
come una caratteristica vocale, ma certamente come uno stimolo alla ricerca di un suono che si
fa architettura.
La distribuzione delle voci che diviene architettura sonora dello spazio ritorna anche nelle
opere più recenti. John Tavener nel suo Hymn to the Mother of God crea un canone tra il primo
e secondo coro, questo produce una sovrapposizione di armonie, ma anche un’interessante
esperienza percettiva. Se ci si trova tra i due cori l’orecchio destro sentirà prevalentemente
un’armonia e quello sinistro un’altra. In questo modo l’autore, dividendo e sfalsando un’unità,
crea una partitura che può relazionarsi con l’origine solo attraverso lo spazio e la sua
interpretazione. Distinzione più immediata è invece quella che dello spazio musicale fa Arvo Pärt
nella Passio secundum Joannem. In questo caso il coro piccolo rappresenta l’Evangelista e il
coro grande il Popolo, quindi la spazializzazione del suono va a strutturarsi come una vera e
propria sacra rappresentazione, dove personaggi e ruoli sono ben definiti in base al testo,
all’organico e alla posizione.
Rendere armonioso ciò che è diviso
in fazioni è un compito tutto italiano.
La composizione corale in Italia dopo Luigi Nono
L’eredità sull’utilizzo della spazializzazione delle voci che ci lascia il percorso evolutivo del
Novecento è grande e la produzione italiana, anche grazie a stimoli importanti come quelli dati
da Luigi Nono, è di tutto rispetto. Tra i compositori più attenti all’utilizzo creativo dello spazio
musicale-architettonico c’è Giovanni Bonato, che è ormai la punta di diamante della produzione
corale italiana contemporanea. Grazie a un personale percorso che svolge attraverso un lavoro
politestuale, una precisa ricerca timbrica e una ricercata spazializzazione delle fonti sonore,
Bonato apre le porte alla produzione corale del futuro. Una scrittura semplice e profonda allo
stesso tempo che ha profonde radici con l’esperienza italiana del Novecento, vedi Luigi Nono,
ma anche con la musica del Rinascimento veneziano.
Certamente la buona stella policorale dei nostri avi, dai più vicini come Luigi Nono ai più lontani
come la famiglia Gabrieli, potrà dare a noi compositori italiani un grande slancio per aprire le
nuove strade del suono e dello spazio sonoro. Rendere armonioso ciò che è diviso in fazioni è
un compito tutto italiano, quindi abbiamo nel codice genetico le capacità per fare della
policoralità il nostro vessillo.
DOSSIER
23
IL MIO RAPPORTO CON LA SPAZIALIZZAZIONE MUSICALE
di Giovanni Bonato
COMPOSITORE
Giovanni Bonato al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012
Posso dire con certezza che il mio rapporto con la
spazializzazione musicale ha avuto inizio nel periodo in cui
frequentavo il compimento medio di Composizione al
Conservatorio “G. Verdi” di Milano nella classe di Adriano
Guarnieri. Un rapporto quindi nato in
ambito accademico, tramite lo studio e
l’analisi dei grandi maestri della Scuola
Veneziana del ’500-’600. È stato
proprio Guarnieri a infondermi per
primo la passione per i “cori battenti”,
con tutte le loro varianti tecniche e
storiche. Con lui ho subito amato la
letteratura dei Monteverdi, dei Gabrieli,
dei Cavalli, dei Croce e di tutti quei
musicisti che nel Rinascimento italiano
e nel periodo pre-barocco si sono cimentati con questa
pratica compositiva.
Naturalmente, con il proseguimento dei miei studi di
composizione con Giacomo Manzoni, ho potuto conoscere e
approfondire lo studio della letteratura contemporanea che ha
riscoperto e “rilanciato” dagli anni Sessanta la tecnica della
spazializzazione attraverso i grandi maestri della seconda
metà del ’900, quali Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen,
Luciano Berio, solo per fare alcuni nomi fra i più illustri e fra i
primi a dedicarvi la loro attenzione. Maestri che hanno
indagato a fondo le possibilità della spazializzazione
soprattutto con l’ausilio delle innumerevoli potenzialità che
l’elettronica e la computer music hanno loro offerto. Dalle loro
sperimentazioni ed esperienze ho imparato moltissimo e
spessissimo sono rimasto affascinato e colpito soprattutto
dalla sempre nuova dimensione dell’ascolto. L’applicazione poi
dell’elettronica nella musica acustica, tramite il live
electronics, mi ha convinto da subito a porre una particolare
attenzione all’aspetto “geometrico” e “fisico” del suono nello
spazio. Una “fisicità” dovuta agli spessori dinamici e al
movimento delle frequenze attraverso l’utilizzo e la
programmazione degli altoparlanti, disposti spazialmente
nell’uditorio.
Tuttavia, se da un lato l’elettronica permette al compositore
infinite possibilità di soluzioni, dall’altro richiede un ingente
impegno (e a tratti dispendio) in termini economici e logistici,
oppure tende a isolare in un suo mondo la figura di chi crea.
Anche per questi motivi, nella mia esperienza, ho voluto
dedicarmi all’aspetto più prettamente acustico e “umano”.
Ossia nel senso di un coinvolgimento diretto dei musicisti “in
carne e ossa”! Per così dire, un ritorno all’antica. Nella mia
produzione non mancano lavori con l’ausilio dell’elettronica,
ma sono pochi e, appunto per le ragioni appena citate, la loro
realizzazione risulta alquanto difficile e problematica. Va da
sé quindi che io mi rivolga preferibilmente a organici vocali
e/o strumentali (spesso anche combinati tra loro), i quali mi
offrono una maggior elasticità e capacità di adattamento al
È per me l’aspetto architettonico uno dei
maggiori motivi di interesse nel concepire
e realizzare una partitura spazializzata.
posizionamento dei vari gruppi (o di singoli esecutori) nella
sala da concerto o, meglio ancora, in quegli ambienti che
“istituzionalmente” non sono nati per performance musicali
(chiese, musei, ecc.), ma che architettonicamente possono
favorire disparate soluzioni acustiche.
E, proprio come già detto e scritto in altre occasioni, è per me
appunto l’aspetto architettonico uno dei maggiori motivi di
interesse nel concepire e realizzare una partitura
spazializzata. Anche la mancanza di veri e propri auditorium
progettati per la sola musica (ahinoi, un deficit tutto italiano!)
mi ha paradossalmente e, per così dire, forzatamente spinto
sempre più a ricercare nella spazializzazione la possibilità di
un ascolto adattabile alle diverse situazioni. Questa necessità,
nel tempo, ha sviluppato in me l’esigenza, attraverso scoperte
24
e curiosità acustiche che via via si presentavano, di indagare in questo senso, favorendo e
utilizzando non poco anche effetti di psico-acustica. Primo fra tutti quello di ricreare una sorta
di riverberazione “artificiale” tramite, per dirla in breve, un suono tenuto e in lento
dissolvimento, attaccato con decisione da un punto diametralmente opposto della sala. Questo
si rivela come un effetto particolarmente facile da realizzare ed efficace per poter ottenere
un’illusione percettiva di riverberazione in quegli ambienti dove questa è scarsa o quasi assente
naturalmente. La combinazione e la sovrapposizione poi di altri interventi analoghi su diverse
altezze possono creare interessantissime formazioni armoniche, assolutamente affascinanti ed
estranianti, facendo sì che l’ascoltatore si smarrisca in un tessuto sonoro fluttuante e sempre
“dinamico”. Incisi melodici o linee più estese riservate a un unico esecutore (o gruppo) verranno
così “naturalmente” a generare situazioni più o meno complesse e sempre intrise di vibrazioni
dai diversi spessori dinamici e
spettrali.
Certo, anche e soprattutto il
fattore “tempo” è determinante
per una buona riuscita della
composizione. La dilatazione di
questo parametro si rende il più
delle volte necessaria onde poter
far percepire con comodo la
“fisicità” di un suono, il suo
movimento attraverso lo spazio, spesso in una ragnatela di tiri incrociati. Da parte mia, onde
poter far cogliere le diverse linee che si intersecano e che “misurano” le geometrie dello spazio
circostante, è necessario concepire il brano considerando le difficoltà cui gli interpreti devono
sottoporsi (la distanza tra loro è sicuramente quella che maggiormente influisce sulla resa
finale). Il più delle volte difficoltà di ordine psicologico e non tecnico! E non è che in questo caso
il professionista differisca di molto dall’amatore-dilettante. Anzi. Mi è capitato spesso con
organici di musicisti professionisti di assistere a scene significative e, per certi aspetti, molto…
istruttive e disarmanti. Come quella – era il 1995 con un’orchestra stabile, di cui per decenza
non farò il nome – in cui nel mio pezzo avevo previsto che un quartetto d’archi (due violini, viola
e violoncello), estratto dall’orchestra stessa, eseguisse un passaggio (a dir poco, elementare:
Il valore spaziale è un parametro essenziale
per un ascolto avvolgente e coinvolgente
anche dal punto di vista emotivo.
DOSSIER
semplici e ripetuti glissando su intervalli di quinta, con
scansione al quarto, in 4/4!), piazzandosi divisi in quattro
diversi punti perimetrali della platea. Di fronte a questa
esigenza della partitura da loro non prevista, i quattro
musicisti si rifiutarono adducendo che in più di 20 anni di
attività orchestrale non avevano mai suonato separati dal
resto della fila (!). Che dire… una simile presa di posizione si
commenta da sé. Sicuramente questo è un caso limite, ma
posso assicurare che nella mia esperienza compositiva
situazioni analoghe si sono verificate più di una volta,
dovendo poi giungere a un compromesso. Tanto per
concludere l’episodio appena ricordato, infatti, i quattro
musicisti accettarono di suonare dietro le quinte…
Fortunatamente però, nella mia attività ho vissuto momenti
professionali indimenticabili. Come non citare esecuzioni di
miei lavori corali spazializzati da parte dell’Ensemble Vocal
Séquence, dei Neue Vocalsolisten-Stuttgart, del Coro
Giovanile Italiano, del Coenobium Vocale, del Coro Nazionale
Maschile Estone, del Torino Vocal
Ensemble, del St. Jacob’s Chamber Choir,
attraverso i quali ho potuto spingere le
risorse del coro o dell’ensemble vocale
verso soluzioni a tratti estreme, pur in
considerazione di compagini amatoriali
(ma non per questo meno professionali).
In ambito strumentale o vocalestrumentale e cameristico, dirigo la mia
attenzione verso parametri e articolazioni
ritmico-dinamiche più accentuate. In
questo caso posso contare su una dislocazione dei musicisti
più allargata e avvolgente per chi ascolta. La varietà di
soluzioni acustico-percettive qui dipende soprattutto dalle
specificità timbriche degli strumenti. Nei lavori per ensemble
di sole percussioni o per ensemble di saxofoni, per fare un
esempio, la potenza di volume e di armonici aggiunge un
valore ulteriore ai parametri già citati, risolvendo quei
problemi di ordine acustico-percettivo che lo spazio sovente
impone.
Altre realtà e occasioni comunque mi hanno dato e mi danno
tuttora l’opportunità di indagare sulle risorse della
spazializzazione. Mi riferisco in particolar modo a una recente
sonorizzazione ambientale, in cui la registrazione e la
diffusione di telai tramite il live-electronics, crea un
particolare ed evocativo sottofondo sonoro ai frequentatori di
uno spazio espositivo ricavato da una antica filatura
industriale. O ancora, a una particolarissima iniziativa che si
svolge da ormai sette edizioni con cadenza annuale nella mia
città. Essa coinvolge sette cori di diverse estrazioni e
caratteristiche e ruota attorno all’associazione Coralità
Scledense, di cui gli stessi cori fanno parte. Questa iniziativa,
denominata “di canto… in canto” (il titolo si riferisce non tanto
all’alternanza dei rispettivi gruppi vocali nell’esibizione,
quanto piuttosto alla partecipazione collettiva in brani
policorali antichi e moderni, dove “canto” sta per “angolo”,
secondo un’altra accezione dello stesso termine), è nata con
25
l’intento di formare una nuova e diversa coscienza e
consapevolezza acustiche sia per gli esecutori sia per gli
ascoltatori, attraverso nuovi e antichi repertori. Repertori,
questi ultimi, spesso mortificati da esecuzioni validissime dal
punto di vista tecnico (eccellenti direttori, bravissimi
strumentisti, cori e voci di grande valore), ma assolutamente
prive di logica estetica e fedeltà nei confronti dell’intento
compositivo originale. Come esimersi dal criticare, a questo
punto, quelle esecuzioni di Monteverdi o dei Gabrieli (per
citare solo i nomi più rappresentativi), in cui i cori e gli
ensemble strumentali vengono disposti pressoché fianco a
fianco, privando così completamente l’uditorio di un ascolto
che riveli la vera essenza di quelle partiture, appiattendolo in
un ascolto meramente frontale? E, come se non bastasse, non
tenendo in considerazione i tempi di riverberazione
dell’ambiente architettonico in cui le performance si
presentano, adottando un tactus eccessivamente rapido e non
consono a quegli ampi spazi (chiese, basiliche, ecc.) per cui
I grandi maestri del Novecento hanno
indagato a fondo le possibilità della
spazializzazione.
queste pagine sono state scritte. Come se, viene quasi da
dire, non si entrasse in sintonia con il “respiro” dell’ambiente,
dello spazio circostante. Ma anche in questo caso a mio
avviso è la componente psicologica a condizionare
pesantemente le scelte artistiche: forse viene semplicemente
a mancare il coraggio di osare. Queste esibizioni di fatto sono
occasioni, ahinoi!, davvero sprecate. Privano l’ascoltatore
della giusta dimensione e non rendono alla composizione
l’autentico valore. Un valore (giusto ricordarlo un’ultima volta),
quello “spaziale”, che a mio avviso tanto il compositore antico
quanto quello contemporaneo ha ricercato e ricerca ancora
come parametro essenziale per un ascolto avvolgente e
coinvolgente anche dal punto di vista emotivo.
26
TRA LUCE E ORO
RITRATTO DI ERIC WHITACRE
di Mauro Marchetti
DIRETTORE DEL CORO
CITTÀ DI ROMA E COMMISSARIO
ARTISTICO DI FENIARCO
Quest’anno, il 2013, si celebra il centenario della
nascita di Benjamin Britten, una delle figure più
rappresentative, artisticamente e culturalmente,
dello scorso secolo, uno dei massimi compositori,
raffinato pianista ed eccellente direttore. Chissà
se il genio del compositore inglese sarebbe stato
ancor più apprezzato e amato se avesse avuto gli
strumenti tecnologici di cui sapientemente si è
servito il giovane Eric Whitacre: siti internet,
copertine di riviste specializzate, social network,
tecnologia mediatica, possibilità di raggiungere il
mondo intero con un semplice “click”. Il giovane
compositore statunitense, talento indiscusso
della coralità internazionale, arriva dove vuole e
colpisce il cuore di migliaia di persone,
attraversando continenti e popoli di lingue
diverse ma che si incontrano parlando una sola
lingua: quella delle composizioni dell’autore
contemporaneo più noto nel mondo corale e che,
più di ogni altro, ha saputo sfruttare gli aspetti
mediatici della musica e del cantare insieme.
La sua idea di formare un grande coro con
cantori appartenenti a diversi continenti, il Virtual
Choir, nasce nel maggio del 2009, dopo che lo
stesso Whitacre riceve un video da una sua fan
che, usando come base l’incisione del brano
Sleep, si esibisce cantando la parte del soprano.
Pare che il compositore ne sia rimasto talmente
ERIC
colpito da immaginare fin da subito la possibilità
di coinvolgere centinaia di persone che potessero
essere legate dalla sua stessa composizione.
Nasce così questa idea (per la verità non
originale, ma solo seconda dopo la nascita
dell’Orchestra Youtube avvenuta nel dicembre del
2008) senza però conoscere quale sarebbe stato
il risultato in termini di adesione da parte dei
suoi numerosi fans distribuiti in tutto il mondo.
Il brano scelto è Lux Aurumque e il risultato è
sbalorditivo: migliaia di cantori si esibiscono
davanti alle loro webcam, circondati da librerie,
lampade, scrivanie e addirittura tavole da stiro,
ognuno cantando la propria parte, a seconda
della sezione vocale di appartenenza. Nonostante
il lavoro di selezione arrivi a escludere centinaia
di cantori, resta comunque in piedi un variopinto
coro composto da circa duecento cantori di dodici
paesi diversi. L’operazione, senza dubbio molto
coinvolgente e di grande impatto emotivo,
racchiude in sé la capacità di organizzare un
evento mediatico enorme che permetta di vedere
e ascoltare un coro così grande, racchiuso in
pochissimo spazio; in rete viaggiano cantori e
sogni, speranze e incertezze, con un solo
obiettivo, quello di potersi rivedere accanto a
decine di altri cantori sconosciuti, diretti proprio
dall’autore, Eric Whitacre. L’operazione ha un
COMPOSITORE
successo tale che sarà poi ripetuta con altri brani,
coinvolgendo altre migliaia di cantori, fino ad arrivare
all’edizione del Virtual Choir 4, quasi una sorta di videogioco
per cantori.
La popolarità oramai raggiunta dal giovane talento americano
nel panorama corale internazionale è notevole e, nel corso di
pochi anni, Eric Whitacre è diventato uno degli autori
contemporanei più noti ed eseguiti a livello mondiale. La sua
opera rock Paradise Lost: Shadows and Wings – quasi una
sorta di musical dove si mescolano vari generi musicali, dal
classico all’elettronico al rock – viene eseguita regolarmente
da anni nei teatri degli Stati Uniti, paese dove non credo
esista un coro, sia professionista che amatoriale, sprovvisto
delle sue partiture. Migliaia di copie dei suoi brani vengono
vendute in tutto il mondo, i suoi concerti sono sempre sold
out e i suoi CD sempre in cima alle classifiche specializzate.
Né, certo, si contano più i suoi numerosi fan sparsi nel mondo
e catalogati come figurine nei vari social network, da Twitter
a Facebook. Ogni post scritto da Whitacre (pare sia proprio lui
stesso a curare questo tipo di rapporto diretto con i suoi
“amici”) viene normalmente commentato da centinaia di
amanti della sua musica, affascinati dalle sue armonie,
coinvolti dai suoi messaggi lampo e dai suoi suoni ormai
divenuti status (il suo urlo Woo Hoo!!! è ben noto nella sua
grande comunità mediatica).
Ma come nasce il “fenomeno Eric Whitacre” e come si forma
come compositore?
La sua passione per la musica corale nasce quando, ancora
studente in un college di Las Vegas, canta il Requiem di
W.A. Mozart. Questa esecuzione pare cambi la sua vita.
Ispirato alla composizione corale, scrive a soli ventuno anni il
suo primo brano, Go, Lovely Rose, a cui poi seguiranno I hide
myself e With a lily in your hand
che formeranno la deliziosa collana
Three Flower Songs. Consegue poi
la laurea specialistica in
composizione alla Julliard School di
New York, dove studia con John
Corigliano, noto compositore
sinfonico e autore di molte celebri
colonne sonore (Premio Oscar per la
colonna sonora del film Il violino
rosso nel 1999 e Grammy Award alla migliore composizione di
musica contemporanea nel 2008).
Negli anni successivi, Whitacre si trasferisce a Los Angeles e,
in seguito alla vittoria di un importante concorso di
composizione con il suo scoppiettante Cloudburst, un
temporale di note ed effetti ritmici sostenuti da grancassa e
campane, pianoforte e schiocchi di dita, composto a soli
ventitré anni, diventa a breve uno dei compositori più amati e
noti per coro e per banda. Nel giro di pochi anni, il giovane
compositore brucia ogni tappa, vende migliaia di copie delle
sue partiture, supera in corsa qualsiasi rivale. Collabora con
le più importanti istituzioni e orchestre (London Symphony,
Philharmonia, Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino) e con
27
cori quali King’s Singers, Conspirare, Rundfunkchor Berlin,
Polyphony. Nel 2010 firma un contratto discografico con la
Decca e incide subito un CD di sue composizioni dirigendo un
coro che porta il suo nome, Eric Whitacre Singers. Nel 2011
viene nominato compositore in residence del Sidney Sussex
College (Università di Cambridge) per cinque anni, e si
trasferisce quindi con la famiglia in Inghilterra. Nel 2012 si
aggiudica il Grammy per il CD Light and Gold. Whitacre è
impegnato in un continuo tour per il mondo, dirigendo la sua
musica con decine e decine di cori. Lo si vede in Spagna e
subito dopo in Usa, per poi tornare in Inghilterra, per poi
ripartire per la Germania. È invitato da istituzioni e cori,
associazioni e accademie. Tiene conferenze e il giorno dopo
La popolarità raggiunta dal giovane
talento americano nel panorama corale
internazionale è notevole.
dirige. Insomma, il ragazzo del Nevada, nonostante, per sua
stessa ammissione, non abbia poi delle elevate capacità come
direttore di coro, diventa presto l’instancabile rappresentante
del suo stesso lavoro, delle sue composizioni. Per molti, però,
Eric Whitacre è solo un fenomeno del momento, un
compositore a tempo, una geniale operazione di marketing
che prima o poi scadrà. Noncurante di queste critiche,
Whitacre continua invece a macinare composizioni, a produrre
a suon di note, a pubblicare e stupire sempre più, rafforzando
il suo sempre più forte legame con lo strumento coro.
Aumentano quindi anche in Italia, nel corso degli anni, i cori
che eseguono la sua musica, si moltiplica l’acquisto dei suoi
CD, si raddoppiano le riviste specializzate che dedicano a Eric
28
intere pagine, crescono gli ammiratori (anche non
strettamente legati alla coralità), e girano i contatori dei
contatti su Facebook e Twitter.
Ho avuto il piacere e l’opportunità di conoscere
personalmente Whitacre qui a Roma, nel dicembre 2011, in
occasione del suo primo e unico viaggio in Italia alla guida di
un coro italiano, il Coro Città di Roma. Nel corso del suo
soggiorno romano, Eric Whitacre ha tenuto prove, un incontro
con l’autore e una conferenza stampa e ha diretto il Coro Città
di Roma, con la partecipazione della moglie, la cantante Hila
Plitman, in due affollatissimi concerti in cui è stata eseguita
gran parte della sua produzione corale. Accanto a brani più
noti quali Lux Aurumque, Sleep, Water Night, Leonardo
Dreams of his Flying machine e Nox Aurumque erano in
programma infatti anche brani normalmente meno eseguiti e
sicuramente poco conosciuti dal pubblico italiano, quali Five
Hebrew Love Songs, Little Tree, The Seal Lullaby. Rispetto a
molti altri paesi, Whitacre è infatti ancora relativamente poco
eseguito in Italia e, prima che esplodesse il fenomeno
mediatico, solo pochi cori avevano osato cimentarsi con le
sue composizioni – a eccezione dei brani più celebri quali Lux
Aurumque e Sleep – riconoscendone da subito la raffinatezza
delle note. Tra questi, sicuramente lo stesso Coro Città di
Roma, che aveva partecipato pochi anni prima a una
collaborazione di tre cori per la commissione di Nox
Aurumque, brano di cui aveva poi avuto l’esclusiva della
prima esecuzione europea, nell’ambito del concorso corale
internazionale Guido d’Arezzo del 2009.
La prima impressione nel corso del nostro incontro è stata
sicuramente quella di un ragazzo spontaneo che si sforza di
essere simile ai suoi coetanei, e che risulta un modesto e
simpatico ragazzone americano. Nella realtà, Whitacre è
seguito invece passo passo dalla sua agenzia – la stessa che
cura gli interessi dei King’s Singers – e ogni suo movimento è
studiato nei minimi particolari, dalle fotografie alle interviste
di emittenti televisive e radiofoniche, dagli orari delle prove
fino all’arredamento del camerino. A un esame più attento,
quindi, trapela uno studio accurato di ogni minimo
particolare, tanto da farlo sembrare quasi telecomandato e
programmato per dire e recitare un copione – sempre lo
stesso – adatto a ogni circostanza. Dopo un po’, ci si rende
conto di come racconti la sua storia e quella della nascita dei
suoi brani sempre con gli stessi aggettivi, verbi e sostantivi, e
sempre messi nello stesso ordine!
Il mio coro, affascinato sin dai primissimi minuti di prova dal
compositore più amato nel mondo corale, ha smesso presto
di idolatrarlo rendendosi conto sempre più non solo dei pregi
ma anche dei limiti dello stesso “grande direttore”, come
Whitacre viene spesso dipinto dai media. Indubbiamente Eric
ha un forte carisma e una carica non indifferenti e riesce
spesso a esaltarsi, esaltando allo stesso tempo, in modo
piuttosto emozionante, chi è accanto a lui. Ma chi vive di coro
si rende perfettamente conto dei limiti nella gestualità nel
trasmettere determinate sensazioni; quando poi a giudicare
sono proprio gli stessi cantori… beh, non te ne fanno passare
nessuna facilmente! Abituato a improvvisare anche la
COMPOSITORE
successione dei brani in concerto, Eric mette a dura prova
l’abilità dei cantori nel ricercare le parti nella cartellina in
pochi secondi, in quello stesso tempo che serve a lui per
presentare il brano che andrà a eseguire. Ecco allora che i
cantori si rendono conto dei suoi limiti e lo riportano per
mano sulla terra, riconoscendo sì un grande talento
compositivo e una sapiente conoscenza del coro scritto, ma
meno la capacità di saperlo poi condurre.
Acclamato e osannato comunque come un divo, assediato da
penne e CD da autografare, bloccato da flash e obiettivi senza
pause, Whitacre ritornerà in Italia dopo
qualche mese, ma solo per vacanza, e in
incognita: pare avesse paura dei suoi
fans…
È impensabile che tutto questo sia solo
frutto di una forte operazione costruita a
tavolino, e di una geniale creazione di
marketing corale, come ritenuto dai critici
più fortemente prevenuti nei suoi
confronti. Senza dubbio, nonostante
questi aspetti siano molto presenti ed evidenti, Whitacre è un
vero talento, un compositore che, pur rimanendo ancorato a
una tradizionale intavolatura della sua partitura – e, per certi
versi, più vicino agli autori dell’inizio del ’900 che a quelli del
nostro secolo – riesce comunque a coinvolgere e ad attirare
su di sé l’attenzione di tutta la coralità internazionale. La sua
è una popolarità raggiunta grazie alla sua grande capacità nel
descrivere in suoni i colori dei suoi testi, all’ottima
conoscenza delle potenzialità vocali e degli aspetti sonori di
un coro, alla sua sapienza nell’enfatizzare sempre in maniera
impeccabile le varie linee corali della partitura e alla sua
ottima conoscenza del modo in cui si arriva a toccare le corde
dei nostri sentimenti. La sua produzione artistica è
contraddistinta da un approccio a 360 gradi: Whitacre riesce
infatti a confezionare sempre degli ottimi lavori, alcuni di
29
grande difficoltà, destinati ai più grandi cori istituzionali, altri
più vicini alla fattibilità dei cori più “amatoriali”, ma sempre
caratterizzati dal suo personalissimo modo di intendere le
voci, le voci di un coro, con le sue estensioni regolari, le sue
lunghe frasi musicali, la ricchezza dei raddoppi sulle sezioni,
l’eleganza dell’uso degli strumenti.
Personalmente, noto, non senza stupore, come la conoscenza
di Whitacre sia quasi esclusivamente legata all’ambiente
corale e bandistico. Non a caso la sua più ampia produzione
è rivolta proprio a questi due organici, il coro e la banda.
Molto spesso, le sue composizioni scritte per coro diventano
poi arrangiamenti per banda o anche, più raramente, per
archi. Molte delle sue composizioni sono state adattate da lui
stesso e trascritte per orchestra (ad esempio A Boy and a
Girl, Lux Aurumque, Water Night), o per banda (Sleep,
Cloudburst, The Seal Lullaby). Tra l’altro, si dice che abbia
fatto parte della banda della Douglas High School proprio agli
inizi della sua carriera di musicista. Ma esistono anche
operazioni inverse: il brano October per orchestra, ad
esempio, è stato poi trascritto per coro con il titolo Alleluia.
È inoltre interessante notare come Whitacre non abbia scritto
nessuna composizione sacra, e non abbia usato mai testi
sacri, perché, per sua stessa ammissione, non li senta suoi,
fino alla fine del 2012 quando, a distanza di venti anni dalla
sua prima composizione, ha invece pubblicato un brano, The
Chelsea Carol, per coro misto e organo, su testo sacro
riadattato da Silvestri.
Eric Whitacre ha indubbiamente un personalissimo stile nelle
sue composizioni, ma nell’ascolto delle sue linee melodiche e
nel modo di armonizzarle ci sono spesso delle somiglianze
Eric Whitacre ha indubbiamente
un personalissimo stile nelle sue
composizioni.
con grandi autori e compositori del Novecento o, a volte,
anche del passato. Ad esempio Little Tree, composizione per
coro e pianoforte, è molto vicina a Britten; alcuni passaggi di
Leonardo Dreams of his Flying Machine ricordano invece la
polifonia dei grandi maestri del Rinascimento-Barocco,
citazione probabilmente espressamente voluta a causa del
testo che lega alcuni versi del suo fedele collaboratore
Anthony Charles Silvestri (suoi molti dei testi di altri brani
corali di Whitacre) agli appunti dello stesso Leonardo da Vinci
(è il sogno di Leonardo di costruire il primo mezzo di volo); il
brano Goodnight Moon per voce e orchestra – ora anche
nella versione per coro e pianoforte – ha sonorità mahleriane,
così come Water Night presenta echi di Arvo Pärt. Pur non
avendo mai studiato con Morten Lauridsen, Whitacre stesso
considera l’artista di Colfax (Usa) ma di origine danese una
30
CATALOGO DELLE COMPOSIZIONI CORALI DI ERIC WHITACRE
Titolo
Testo
Organico
Edizione
Go, lovely rose
E. Waller
SATB
1991 (rev.2001)
I hide myself
E. Dickinson
SATB
1992 (rev.2001)
With a lily in your hand
F.G. Lorca (trad. J. Rothenberg)
SATB
1992 (rev.2001)
She weeps over rahoon
J. Joyce
SSA e corno inglese
1993
Water night
O. Paz (trad. M. Rukeyser)
SATB
1994
Little tree
E.E. Cummings
SATB e pianoforte
1996
Cloudburst
O. Paz
SATB, pianoforte e percussioni
1996
Hope, faith, life, love
E.E. Cummings
SATB
1999
I will wade out
E.E. Cummings
SATB
1999
When David heard
King James Bible; II Samuel, 18:33
SSAATTBB
1999
I thank you God for most
this amazing day
E.E. Cummings
SATB
1999
Sleep
C.A. Silvestri
SATB
2000
Little birds
O. Paz
SATB e pianoforte
2000
Lux aurumque
E. Esch (trad. C.A. Silvestri)
SATB (anche nella versione per TTBB)
2000
Five hebrew love songs
H. Pitmann
nella versione SA, con quartetto
d’archi)
2001
Leonardo dreams of his
flying machine
C.A. Silvestri
SSATB e percussioni
2001
A boy and a girl
O. Paz (trad. M. Rukeyser)
SATB
2002
Her sacred spirit soars
C.A. Silvestri
SSATB- SSATB
2002
This marriage
Jalal al-Din Rumi
SATB
2004
Animal crackers vol. I
O. Nash
SATB e pianoforte
2005
Sleep my child
D. Norona & E. Whitacre
SATB
2008
The stolen child
W. Butler Yeats
SATB
2008
The seal lullaby
R. Kipling
SATB e pianoforte (anche versione per
SSA e pianoforte e per TTB e pianoforte)
2008
Nox aurumque
C.A. Silvestri
SATB
2009
Animal crackers vol. II
O. Nash
SATB
2009
SSATB
2011
SATB e pianoforte
2011
SATB
2012
SATB, pianoforte e percussione (anche
Alleluia
The city and the sea
E.E. Cummings
Oculi omnium
Alone
E. Allan Poe
SATB
2012
Higher, faster, stronger
C.A. Silvestri
SATB, SATB, SATB
2012
The Chelsea Carol
(trad. C.A. Silvestri)
SATB e organo
2012
La discografia di Eric Whitacre è disponibile sul sito www.feniarco.it.
COMPOSITORE
31
sorta di suo maestro e un grandissimo punto di riferimento. La considerazione e il rispetto nei
confronti del noto compositore sono sempre molto evidenti non solo nella produzione dello
stesso Whitacre, quanto anche nella scelta dei repertori dei concerti, che comprendono infatti
spesso anche una composizione di Lauridsen, come segno evidente di grande stima e legame
musicale e affettivo tra i due. Penso sia quindi sicuramente sbagliato considerare il giovane
compositore americano solo come una popstar della musica corale, e come una gigantesca
operazione di marketing destinata a sgonfiarsi presto. Allo stesso tempo, mi sembra evidente
come Whitacre rappresenti un modo nuovo di “fare coro”, sicuramente ancora molto distante dal
nostro modus operandi, che mette alla pari il suo modo di scrivere e le sue composizioni con le
magliette e i gadget personali, in una sorta di vero e proprio merchandising della coralità. Non
credo che i nostri compositori
italiani abbiano qualcosa da
imparare dalle sue modalità
di sapersi vendere alla
popolarità. Mi piace infatti
pensare che esistano ancora
figure di spessore, che
nascondano gelosamente il
loro pudore nella propria
intimità, che non si vendano
a rapporti legati tra loro solo attraverso correnti che navigano in internet, che conservino la loro
riservatezza e la loro eleganza senza scendere nel business corale, e che mantengano intatta la
loro sensibilità senza compromessi e senza doversi costruire un virtual shop di gadget.
Britten festeggia a novembre i cento anni, e avrebbe avuto ancora molto da fare, molto da dire
e da regalarci se avesse potuto, ma probabilmente non sarebbe stato mai “taggato” negli amici
di Eric, non lo avrebbe accettato… senza nulla togliere all’utilità e al divertimento dei social
network! Eric Whitacre è davvero un talento, ricco e intraprendente, legato e ancorato nel
sistema che noi oggi abbiamo scelto di seguire, un sistema che impone determinate regole e
tempi, spesso dettati più da un telecomando che dal cuore. Eric è quindi figlio di un sistema che
noi abbiamo creato e dove vive sicuramente a proprio agio; a sua differenza, mi piace
personalmente pensare che il mio cuore sia capace di comandare più che telecomandare tutto il
sistema della coralità, dalla composizione all’espressione di chi la canta.
Nel corso di pochi anni, Eric Whitacre è
diventato uno degli autori contemporanei
più noti ed eseguiti a livello mondiale.
32
ET CANUNT ANGELI
INTRODUZIONE A LUX AURUMQUE
di Ilaria Rosa
NEOLAUREATA AL DAMS DI PADOVA CON UNA TESI SU ERIC WHITACRE
Lux Aurumque (Luce e Oro), scritto nell’autunno del 2000,
nasce come brano per coro a cappella. È stato commissionato,
nella sua forma originale per coro SATB, dalla Master Chorale
di Tampa Bay,1 e Whitacre lo dedica con amore al grande
amico Dr. Jo-Michael Scheibe.2 Esiste anche una disposizione
TTBB di Lux Aurumque, commissionata dal Gay Men’s Chorus
di Los Angeles,3 dedicata al suo direttore, il dottor Bruce
Mayhall. La trascrizione per orchestra di fiati è stata
commissionata dalla Texas All State band,4 ed è dedicata al
Maestro Gary Green, mentre la trascrizione per orchestra
d’archi è stata commissionata dalla Midwest Band and
Orchestra Clinic.5
Il testo
Light,
warm and heavy as pure gold,
and angels sing softly
to the new-born babe.
(Edward Esch)
Lux,
calida gravisque pura velut aurum,
et canunt angeli
molliter modo natum.
(tradotto in latino da Charles Anthony Silvestri)
Whitacre era stato colpito dal semplice potere delle poche
righe di questa poesia natalizia del poeta Edward Esch, ma,
prima di porla in musica, ha chiesto al suo amico e frequente
collaboratore, il poeta Charles Anthony Silvestri, di tradurre il
testo dall’inglese al latino.
Charles Anthony Silvestri (1965), acclamato paroliere
specializzato nella fornitura di poesie per compositori corali,
gode delle sfide creative e dei benefici del processo
collaborativo. Ha fornito testi per molti compositori in diverse
fasi della loro carriera e per una varietà di commissioni e
occasioni. «La collaborazione tra il compositore e poeta è
magica», afferma Silvestri. Ha collaborato con compositori
celebri come, appunto, Eric Whitacre, Dan Forrest, Ola Gjeilo,
Andrea Ramsey e Tobias Forster. Le sue parole sono state
cantate da migliaia di cori in tutto il mondo, e sono state
ascoltate in televisioni e radio, e negli spazi magnifici come la
Sydney Opera House, Disney Hall, Lincoln Center, la National
Cathedral, Royal Albert Hall, Westminster Abbey, King’s
College e la Basilica di San Pietro. Si è laureato in Storia
antica e medievale e ha ottenuto il master e il dottorato
presso la Loyola Marymount University e la University of
Southern California. Attualmente insegna storia
alla Washburn University. La decisione, apparentemente strana, di Whitacre di far
tradurre un testo da una lingua vivente come l’inglese a una
morta come latino, è giustificata dall’amore che egli prova per
questa lingua, per i suoni delle vocali, delle consonanti, per la
qualità antica che ha in sé il latino.
Alcuni studiosi latini criticano la scelta di Silvestri per quanto
riguarda alcune parole o alcuni casi, ma nessuna è in
contrasto con le regole della grammatica latina. L’obiettivo
era quello di rendere la poesia in latino il più originale e
cantabile possibile dal punto di vista sonoro. Analizzando il
testo si nota come, in apparenza, ci sia un distacco tra i primi
due versi della poesia e gli ultimi due. La mancanza di
proposizioni che colleghino le due sezioni rende la poesia più
naturale, libera dalla morsa scomoda di frasi subordinate.
Però la prima parola, “lux” (luce), si connette direttamente
all’immagine dell’ultima, “natum” (bambino), creando così un
andamento circolare del testo. La luce, soggetto del testo,
viene equiparata con il suono. È calda e rara, bella come l’oro,
e scatena un’immagine sensoriale che, assieme al canto degli
angeli, viene percepita all’ascolto del brano. Suono e luce
sono dunque equiparati, e il risultato è un oro avvolgente,
simbolo di un amore universale. Questo, infatti, è uno dei
pochi brani di Whitacre a essere eseguiti negli ambienti della
chiesa, soprattutto a Natale: l’immagine degli angeli che
cantano al neonato evoca quella della notte silenziosa nella
capanna di Betlemme.
Analisi armonico-melodica di Lux Aurumque
Lux Aurumque è un brano per coro SATB a cappella, composto
nel 2000 su commissione della Master Chorale di Tampa Bay.
Il metro è 4/4 e rimane tale per tutta la durata del brano.
Whitacre specifica in partitura un’indicazione per il
metronomo R = 60-66 da scegliere in base all’acustica del
luogo nel quale il pezzo verrà eseguito.
Il brano inizia nella tonalità di do diesis minore e la prima
battuta è occupata, appunto, da un accordo di do diesis
minore al quale, nella battuta 2, viene sovrapposto un
accordo di sol diesis minore per una durata di 3/4, mentre la H
lascia spazio alla chiusura della “x”. Le voci femminili operano
COMPOSITORE
33
in moto contrario a quelle maschili: soprani primi e contralti
in moto ascendente, tenori secondi e bassi secondi in moto
discendente. La dinamica in queste battute richiede un Q
sull’accordo di do diesis minore, un crescendo al 2 in
corrispondenza della sovrapposizione di accordi, e un
conseguente decrescendo. Il colore è garantito, dunque, dalla
politonalità della battuta 2 e dalla rispettiva apertura delle
voci (vedi fig. 1).
Fig 2
Fig 1
Questo schema si ripete identicamente per quattro volte, fino
a battuta 8.
Le battute 5-8 sono coperte da un soprano solo che svetta
sopra le voci in ( con un arpeggio, rimanendo sempre nelle
note degli accordi di do diesis minore e sol diesis minore,
dando un’immagine visiva della luce evocata dal testo.
A battuta 9 Whitacre modula in la maggiore con un accordo
in stato fondamentale sull’accento forte della parola “calida”
delle voci femminili, ripreso nel terzo movimento di battuta
dalle voci maschili; poi sovrappone nuovamente un accordo,
questa volta di si maggiore, a battuta 10 sull’accento debole
del testo. Anche qui siamo in presenza di moti contrari nelle
voci: soprani secondi e bassi procedono in moto discendente,
contralti secondi e tenori in moto ascendente. La dinamica
prevede un 2 sulla sillaba “cà” che cresce al ( su “da” per
poi decrescere nel resto della battuta. A battuta 11 riprende
l’accordo di la maggiore nel secondo rivolto, come esplicato
nella figura 2, e sovrappone ancora il si maggiore nella
battuta successiva. Poi inizia un cromatismo discendente che
sottolinea con un madrigalismo la parola “gravisque”
(pesante): parte sempre da un accordo di la maggiore,
stavolta nel primo rivolto, nelle battute 14-15 fa procedere
parallelamente a distanza di ottava soprani e tenori con
contralti e bassi, inserendo in queste ultime voci un
interessante si bemolle.
Chiude la battuta 15 in do diesis minore e poi modula in fa
diesis minore sulla cadenza di battuta 17 con un accordo
vuoto di fa diesis, subito confermato dal la dei soprani a
battuta 18. Nelle battute 9-17 siamo dunque in presenza di
una catabasi che dalla tonalità di la maggiore, passando per
il si maggiore e il do diesis minore, arriva alla sua relativa
minore, fa diesis minore.
A questo fa diesis minore Whitacre sovrappone, a battuta 19,
un accordo di si maggiore per poi tornare subito al fa diesis
minore e ripetere la sovrapposizione a distanza di una battuta
in corrispondenza della sillaba “ra” di “pura”. Dal primo
movimento di battuta 22 torna in fa diesis minore in
corrispondenza della parola “velut”, poi inizia un pedale di mi
tenuto dai soprani primi mentre le altre voci chiudono la
parola “aurum” con l’accordo di si maggiore. In seguito
soprani secondi e contralti procedono armonicamente con
accordi paralleli di la maggiore in secondo rivolto e si
maggiore in secondo rivolto, «creando un effetto di spinta
seguita da una trazione immediata, simulando le onde di un
oceano»,6 sulle parole “et canunt”, che dal  di battuta 24
arrivano al G di battuta 28. Nel frattempo i soprani primi
continuano a tenere il pedale di mi e le voci maschili
avanzano con la melodia finché si incontrano in un accordo di
la maggiore con le voci femminili a battuta 28. Segue una
cadenza dei tenori che porta, a battuta 29, al fa diesis
maggiore sulla parola “angeli”.
Qui Whitacre inserisce una cesura in partitura e fa ripartire le
voci maschili a battuta 30 con un accordo di do diesis minore
senza quinta, al quale seguono in  le voci femminili che
crescono al Q a battuta 31 sovrapponendo l’accordo di sol
diesis minore a quello di do diesis minore.
Lo schema della dinamica riprende quello delle prime otto
battute del brano: un crescendo seguito subito da un
decrescendo, come a indicare il movimento di inspirazione ed
espirazione.
34
Fig 3
Questa sequenza viene ripetuta per tre volte e, a battuta 35, i
soprani primi iniziano un pedale di sol diesis (nota comune
agli accordi sovrapposti di do diesis minore e sol diesis
minore) mentre il resto delle voci pronuncia la parola
“molliter” mantenendo gli stessi accordi e alternando le
sillabe a pause di un quarto, facendo percepire l’effetto onda
a ogni sillaba (vedi fig. 3).
Il passaggio finale cita infine il neonato: per evidenziare
questo momento, Whitacre introduce improvvisamente una
sonorità maggiore luminosa, piena e pura. Da battuta 38,
infatti, modula in fa diesis maggiore, la tonalità con la quale
aveva concluso la sezione precedente sulla parola “angeli”
prima della cesura. Inizia con un accordo di do diesis
maggiore al quale sovrappone quello di re diesis minore
(relativa minore di fa diesis maggiore) nella battuta seguente.
Anche qui torna la dinamica delle prime battute, ma con un
crescendo dal Œ al  e viceversa, il tutto mentre continua
il pedale di sol diesis dei soprani primi. La parola “modo”
subisce lo stesso trattamento di “molliter” e l’ultima parola,
“natum”, chiude il brano con un accordo di do diesis
maggiore in Œ.
L’uso del terzo suono
Questo brano fa un vasto uso dei battimenti di frequenze tra
le parti, che provocano una piccola differenza di vibrazioni tra
due suoni della stessa altezza: ne risulta un effetto
vibratorio particolare, caratterizzato da rapide ondulazioni
acustiche. L’esito è un rafforzamento del suono seguito da
un indebolimento. Ma il risultato non è solo la ricchezza
sonora dello scontro di una coppia di note, si ottiene anche
quella misteriosa nota “fantasma” che il battimento di
frequenza comporta: la nota implicita che percepiamo quando
sentiamo una dissonanza. Un’armonia di questo tipo è come
l’equivalente umano del vox coelestis dell’organo: meglio
conosciuto come “vibrato”, il vox coelestis è un registro
accessorio dell’organo che si ottiene accoppiando due registri
con lo stesso timbro stonati di qualche Hertz, sfruttando
quindi il fenomeno dei battimenti per ottenere un’ondulazione
del suono.
Il violinista Giuseppe Tartini fu il primo, nel diciottesimo
secolo, a documentare in senso musicale questa nota
“fantasma”, definendola terzo suono. Suonando un bicordo a
un intervallo di quinta si ottiene contemporaneamente un
terzo suono, più grave. Il terzo suono, nel basso, è una nota
la cui frequenza è la differenza fra quelle dei due suoni
originari. Ad esempio, eseguendo un suono da 512 Hz e
contemporaneamente uno da 640 Hz, si sentirà anche un
suono, più grave, da 128 Hz (un’ottava sotto il suono da 512
Hz). Il terzo suono è ottenibile eseguendo bicordi anche ad
altri intervalli, non solo terze e quinte. Ne abbiamo un
esempio nella già citata figura 1.
L’intervallo di seconda maggiore tra il soprano secondo che
canta un do diesis e il soprano primo che canta un re diesis,
nelle battute 2, 4, ecc. di Lux Aurumque, dà l’implicito do
diesis tre ottave più in basso. Invece l’intervallo di seconda
minore tra i tenori secondi e primi, che cantano un re diesis e
un mi nelle stesse battute, dà pulsazioni troppo basse per
riuscire a percepire un suono in sé. Lo percepiamo, quindi,
come un tremolio pulsante e luccicante che varia il volume dei
suoni sottostanti.
Note
1. Visita il sito www.masterchorale.com/
2. Jo-Michael Scheibe (California, 1950) è preside della
Thornton School of Music’s Department of Choral
and Sacred Music presso la University of Southern
California, dove dirige i Chamber Singers USC,
insegna metodi corali e direzione corale. Nel 2008 è
stato eletto Presidente Nazionale dell’ACDA
(American Choral Directors Association). Ensemble
sotto la sua guida hanno cantato a sei congressi
nazionali ACDA, nonché a due convegni nazionali
della National Music Educators Conference e varie
congressi regionali e statali.
3. Visita il sito www.gmcla.org/
4. Visita il sito www.tmea.org/
5. Visita il sito www.midwestclinic.org/default.aspx
6. Tratto dal video www.youtube.com/
watch?v=uh1c2xWVWiA
S
M
35
STABAT MATER
DI GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA
di Walter Marzilli
Aprire la partitura e imbattersi immediatamente
in un accordo di la maggiore seguito da uno di fa
maggiore potrebbe lasciare perplesso un purista
della solmisazione… (vedi fig. 1). Per eseguire le
prime tre note del tenor (do diesis - re - fa)
occorre applicare subito una mutazione e cantare
in successione mi - fa - fa. Anche la successione
accordale è inusuale nella scrittura palestriniana.1
A mitigare l’eventuale turbamento arriva però
subito, alla seconda battuta, una rassicurante
accentuazione ternaria sulla parola “Mater”.
In altre occasioni ho già avuto modo di parlare
del fatto che qualunque compositore,
consapevolmente o no, posto di fronte a un testo
da musicare che parli di nascita, di presenza
materna ecc., inevitabilmente ricorre
all’andamento ternario. Ma per forza! Tutto
dipende dal fatto che l’orecchio è il primo a
formarsi tra gli organi di senso del nostro corpo.2
Dopo soli due mesi dalla gestazione è già
formato, al contrario dell’organo della vista, che
per circa un anno dopo la nascita continua a non
funzionare perfettamente… Questo significa che
durante i restanti sette mesi che ognuno di noi
ha trascorso dondolando beatamente all’interno
del grembo materno, abbiamo incessantemente
ascoltato il suono profondo del battito del cuore
di nostra madre, bum-bum… bum-bum… bumbum…3 E questo tempo ternario in levare ha
segnato per sempre la nostra sensibilità.4 Fateci
caso: la quasi totalità dei brani natalizi sono
scritti in tempo ternario, oppure senario.5
Aggiungo di più: accade con una frequenza
impressionante che i compositori introducano un
tempo ternario quando, nel bel mezzo di una
composizione, si imbattono in una parola come
“Mater”. Cito un esempio tra mille: nella Ave
Maria attribuita a Tomás Luis de Victoria, alla
frase “Sancta Maria, Mater Dei” arriva,
puntualissimo, il movimento ternario.
Palestrina non è da meno quando già alla
seconda battuta introduce appunto un ternario
non esplicitato dal segno grafico, ma
innegabilmente evidentissimo. Tale modulo
ternario attraversa continuamente tutto il brano,
fino alla definitiva consacrazione nella secunda
pars, quando il ternario è esplicitato
nell’armatura in chiave con il classico cerchio
tagliato con il numero 3 (batt. 74). Qual è il
testo? “Eia Mater, fons amoris”. Roba da far
venire i brividi…
Poi ritorna per un lungo tratto il tempo binario
indicato con la C tagliata (94), ma è solo
un’illusione. Già alla battuta successiva ricompare
STABAT
MATER
36
Fig. 1
il ternario, ovviamente alla parola “Mater”! Si continua così,
alternando il binario (“cordi meo valide” [100], seppure
“turbato” dalla ternarietà della linea del basso rinforzata da
una hemiolia – vedi qui di seguito) al ternario: alla parola “tui
nati” (103) ecco di nuovo, puntuale, il ternario nascosto. Per
la verità non è poi tanto nascosto, dal momento che risulta
anche confermato da una raffinatissima hemiolia presente in
tutte le voci che, come si sa, allarga e conferma il ternario,
causando il passaggio da un andamento in 3/4 a uno in 3/2,
per dirla in modo semplificato… Questo procedimento di
conferma ternaria attraverso l’introduzione di una hemiolia
avviene molte altre volte in occasioni simili.6
Ma allora, se è vera questa teoria del ternario legato alla
nascita, che ci fa un ternario alle parole “Quando corpus
morietur” e anche a “Christi mortem”? La risposta tocca un
aspetto teologico, e mostra un Palestrina molto profondo.7
Nell’iconografia bizantina la mangiatoia dove è nato Gesù
Bambino è raffigurata come un sepolcro funerario, e il
bambino appare fasciato come fosse un cadavere trattato per
la conservazione (vedi figura 2). Similmente, le icone che
raffigurano la Madonna che lo tiene in braccio mettono in
risalto i lineamenti addolorati della madre, come se sapesse
quale sarà la sorte del figlio (vedi figura 3).
Ci vorranno secoli per vedere raffigurato il corpo di Gesù
Bambino finalmente libero dalle bende mortuarie, ma anche
nel fulgido Rinascimento pittorico, la mangiatoia sarà ancora
rappresentata come un sepolcro (vedi fig. 4).
Fig. 2
Fig. 3
NOVA ET VETERA
Fig. 4 - Domenico Ghirlandaio, L’Adorazione dei pastori (1485), Santa
Trinità, Firenze
In effetti nella dottrina cattolica il potere salvifico ed
escatologico della nascita di Cristo si manifesta e si completa
con la sua morte in croce. Ecco perché ci sono alcuni
parallelismi musicali a dir poco sorprendenti nel repertorio
gregoriano… Tutti sappiamo ad esempio che il quarto modo
(deuterus plagale) veniva usato soprattutto per musicare testi
meditativi e di natura addolorata.8 Infatti non c’è traccia di
quarto modo nella Domenica delle Palme, dove regnano la
solarità e la festosità del quinto e dell’ottavo modo. Ma basta
girare letteralmente una pagina nel Graduale Triplex ed
entrare nella Settimana Santa, per imbattersi immediatamente
nel quarto modo dell’introito Iudica Domine. Tutti gli introiti e
i graduali della Settimana Santa sono in terzo modo (deuterus
autentico)9 e quarto modo, così come l’introito della Missa in
cena Domini del Giovedì Santo, Nos autem gloriari, che è,
nonostante il testo celebrativo e salvifico della croce,
opportunamente in quarto modo. Ebbene, troviamo proprio il
quarto modo laddove non ce lo aspetteremmo mai, cioè
all’annuncio del Natale nella Liturgia delle Ore! Sempre a
Natale, l’offertorio della Missa in nocte, Laetentur coeli e il
communio della Missa in aurora, Exsulta filia Sion, sono
anch’essi in quarto modo, nonostante il testo esultante!
Epifania: communio Videntes stellam, ancora il quarto modo.
Ma l’esempio più eclatante di questa ambivalenza nascitamorte è il quarto modo dell’introito Resurrexi, nel giorno di
Pasqua! Dobbiamo anche notare come questo brano sia
preceduto dalla Veglia pasquale durante la quale,
37
giustamente, tutti i brani tra le letture sono scritti nel
raggiante ottavo modo!10 Continuiamo? L’introito della messa
di requiem è scritto nel solare sesto modo, che è il modo
dell’alleluia pasquale…
E adesso, in questo contesto salvifico, scopriamo la
profondità teologica di Palestrina.11 Al centro del suo mottetto
di Natale Dies sanctificatus a quattro voci, inserisce a
sorpresa un nuovo bicinium, che possiamo definire come un
tropo. La frase del tropo non esiste nel testo originale del
mottetto. Ecco il testo aggiunto: “Haec dies quam fecit
Dominus; exsultemus et laetemur”. E sapete da dove lo ha
preso? Dal versetto dell’alleluia dell’ottava di Pasqua! Il tema
polifonico è lo stesso della fonte gregoriana, ma rovesciato.
Mi faceva notare mons. Palombella che nella versione a otto
voci del mottetto Dies sanctificatus, Palestrina inserisce di
nuovo lo stesso identico tropo, e questa volta cita addirittura
lo stesso tema (do - si - re - do) del versetto dell’alleluia
pasquale!
Le sorprese di un Palestrina fine teologo non sono finite.
Parleremo tra poco della tecnica con la quale egli modella
l’alternanza tra i due semicori nello Stabat Mater. Anticipiamo
qui che le entrate in genere sono sempre alternate, e i due
semicori si sovrappongono per la durata di una sola
semiminima. Esiste un unico momento in cui il compositore
sovrappone i due gruppi con testo diverso per due battute
(vedi fig. 5): indovinate cosa dicono i due semicori
contemporaneamente? Uno “natum” e l’altro “morientem”.
Incredibile…
Fig. 5
38
Abbiamo appena accennato alla tecnica che Palestrina usa
nell’alternanza dei due semicori. Non esiterei a definirla
pittorica, e con un po’ di intraprendenza, addirittura
cinematografica. Vediamo come fa. Il passaggio avviene
attraverso un procedimento che un regista chiamerebbe
dissolvenza. I due semicori si avvicinano fino a sfiorarsi, e
l’uno crea l’accordo dal quale parte l’altro, come da prassi.
A volte si susseguono senza sovrapporsi,12 altre volte un
semicoro si insinua nell’altro mentre una sezione risolve un
ritardo, altre volte si sfiorano per la sola durata di una
semiminima,13 infine dispiega tutte insieme le otto voci.14
Rinnovo l’attenzione sul fatto che non sovrappone mai per
due intere battute i due semicori con testo diverso, tranne
che nell’unico caso discusso poc’anzi (natum-morientem).
Alcune volte “ferma la scena” e interrompe il flusso con una
pausa.15 Questo avviene per la prima volta quando Palestrina
sembra puntare “un occhio di bue” sulla Madonna e il suo
dolore, e alle parole “O quam tristis et afflicta” fa intervenire
per la prima volta le otto voci insieme. Lo farà di nuovo,
coerentemente, alle parole “Sancta Mater” (batt. 94).
Come se l’intento del compositore fosse spostare il suono e
l’attenzione continuamente a destra e a sinistra della scena,
salvo quando vuole indirizzarla sul personaggio centrale…
Per questo si rende quanto mai necessaria una disposizione
dei due semicori tale per cui il suono possa scorrere
decisamente da una parte all’altra dello spazio sonoro. Allora
sembra necessario cogliere il suggerimento implicito di
Palestrina, e separare abbondantemente i due semicori,
cercando quella “spazializzazione” del coro che adesso è una
caratteristica molto ricercata dai direttori. Niente di nuovo
sotto al sole… Aggiungiamo che le sorgenti stereofoniche del
suono non sono solo le consuete tre del doppio coro (primo
semicoro - secondo semicoro - tutti), ma diventano cinque a
causa di due importanti episodi nei quali Palestrina forma
due quartetti nuovi, unendo due voci del primo semicoro con
due del secondo.16
Ma torniamo al trattamento ritmico, per notare che
l’esemplarità del tempo “perfetto” ternario17 evidentemente
non si addice al testo quando esso introduce le parole
“poenas” (36), “fleret” (41) e “plangere” (140), musicate con
un ritmo binario: forse le pene e il pianto sono cose umane,
per questo imperfette anzi perfettibili, lontane dalla
perfezione della Trinità… Forse non è un caso se nella già
citata Ave Maria attribuita a de Victoria, l’autore reintroduce il
tempo binario proprio alla parola “peccatoribus”, dopo la
parentesi ternaria del “Sancta Maria, ora pro nobis”…
Queste tre parole, “poenas”, “fleret” e “plangere”, ci
conducono a un’altra riflessione. Non è difficile infatti
riconoscere nel trattamento ritmico riservato a loro (e, si badi
bene, solo a loro…) un atteggiamento incline al descrittivismo
e alla drammatizzazione dei concetti espressi dal testo. Ciò
che comunemente viene definito con approccio limitativo
“madrigalismo”. Mi riferisco al fatto che solo in queste tre
occasioni due sezioni del coro siano chiamate a eseguire a
coppia un ritmo puntato, che facilmente può richiamare alla
mente il moto del singhiozzare… Sono espedienti raffinati, che
servivano a “movere gli affetti” degli uomini del
Rinascimento.
Ma non è finita qui. Cosa dire dell’introduzione di un
addolorato si bemolle discendente alle parole “dolorosa” (3),
“lacrimosa” (7), “gementem” (12), “dolentem” (16) ecc.? Si
tenga presente che l’armatura in chiave, pur nella vaghezza
dell’indefinizione modale di un’andatura armonico-melodica
molto intrigante quanto intricata,18 non riporta nessun si
bemolle, anzi, gioca spesso con il si bequadro (vedi
“pertransivit gladius”, in seguito…).
E quelle tre sincopi dei soprani (vedi fig. 6) alle parole “dum
pendebat filium”? Non danno l’idea di un qualcosa di appeso
e oscillante? Non solo: tutto il coro attacca, sospeso in levare,
sull’ultimo quarto della battuta.19 Inoltre riusciamo anche a
scoprire un Palestrina inedito se osserviamo il movimento “a
pendolo” della melodia dei bassi, che si muove per lunghi
salti. Un movimento scolastico ed elementare, piuttosto
improbabile da trovare nel fraseggio maturo di Palestrina…
Devo continuare? Allora farò notare il convinto (e
convincente!) movimento discendente delle melodie del
cantus, dell’altus e del tenor alle parole “pendebat (filium)”…
Fig. 6
Ancora. “Pertransivit gladius”, parte del tenor (vedi fig. 7): è
presente un tritono tra fa e si, appuntito e tagliente come la
punta della lancia che – per analogia – trafisse il costato di
Cristo sulla croce, di cui parla il testo.20 La sua forza pungente
aumenta per il contrasto con i quattro morbidi si bemolle che
lo circondano. Da notare che Casimiri lo arrotonda con il si
bemolle, ponendo il segno di alterazione a sinistra della nota,
come se fosse una richiesta dello stesso Palestrina.21 Tra le
edizioni che ho potuto consultare, tre di esse aggiustano il si
per mezzo del bemolle,22 mentre quattro mantengono il si
bequadro.23 Occorre inoltre notare come, al di là del valore
descrittivo del tritono in riferimento al particolare passaggio
letterario, in questo caso l’adozione del si bequadro permette
di rispettare la nota regola del mi contra fa (causa
necessitatis) tra tenor e cantus.
NOVA ET VETERA
39
Fig. 7
A conforto della tesi descrittiva, aggiungiamo che in questo
passaggio Palestrina sfiora per ben quattro volte una
pungente successione di quinte tra parti estreme nello spazio
di due battute, salvandosi ogni volta per mezzo
dell’anticipazione delle note e della conseguente sincope
composta che ne deriva! Per carità, il procedimento è
perfettamente canonico, ma la situazione risulta comunque
molto interessante… Finisco di rincorrere questa idea dicendo
che tutte e quattro le sezioni che cantano questa frase si
muovono appuntite verso l’alto con una melodia ascendente…
E infine come non riconoscere nella fuggevolezza ritmica con
la quale Palestrina tratta la parola “spiritum” (vedi fig. 8), in
chiusura della prima parte, un certo richiamo alla fluidità e
all’eterea consistenza dello spirito che lascia il corpo nel
momento della morte? A pensarci bene, infatti, quello è
l’unico momento in cui il contrappunto serpeggia attraverso
ritmi e melodie più articolati e per niente compunti e ordinati,
come lo sono invece tutte le frasi, compassate e misurate,
che compongono il resto del brano.
Fig. 8
Alcuni rilevamenti in margine:
1. In tutto il brano esistono due sole note lunghe che non
sono disturbate dal procedere dell’altro semicoro: “gementem”
(12) e “tormentis” (59-60). Anche “desolatum” e “plagas” (68
e 100) presentano una semibreve sull’entrata dell’altro
semicoro. Sono quattro parole molto significative all’interno
del clima testuale del brano, e su di loro Palestrina sembra
quasi fermarsi a pensare. Non sarebbe privo di significato
interpretare questa particolare situazione come un messaggio
del compositore, con il quale voglia invitare gli esecutori ad
“annerire” quelle semibrevi con abbellimenti e colorature… I
testi coevi sulla musica sono pieni di esempi di annerimenti
svolti, anche riguardanti i brani dello stesso Palestrina.
Probabilmente siamo noi che abbiamo perso questa capacità,
e ci limitiamo a eseguire le note scritte, che allora potevano
essere solo un canovaccio strutturale sul quale improvvisare,
per esempio in occasione delle note prese per salto, su quelle
lunghe, o su quelle che indulgono appunto al pianto e alla
tristezza, come dicono ripetutamente molti testi antichi. Ma
questo è un argomento lungo e complicato, che non può
essere approfondito in questa occasione.
2. Nella nota 19 abbiamo accennato alla conduzione in due
movimenti, che è quella usata sia da Lino Bianchi che da
Haberl-Espagne, come da molti altri. Casimiri invece
preferisce un andamento in quattro movimenti. In realtà è il
meno adatto per riuscire a fargli “rotolare al suo interno” gli
innumerevoli episodi di tempo ternario implicito. Chi pratica
queste cose sa bene che anche le sesquialtere e le hemiolie
si proporzionano e “girano” meglio all’interno di un tactus
binario piuttosto che quaternario.
40
3. Palestrina scrive usando le cosiddette chiavette per entrambi i semicori.
Questo denota la possibilità di spostare verso il basso l’altezza del brano,
come fa la Cappella Sistina che usa i tenori acuti per le parti di altus.
4. Infine concludiamo chiedendoci se anche Palestrina avrà ceduto al fascino al
quale quasi nessuno dei suoi colleghi musicisti24 del Rinascimento ha saputo
resistere: quello della sezione aurea. Stiamo parlando della ricerca delle
proporzioni perfette, di rapporti privilegiati fra le parti e il tutto, di
combinazioni intrinseche che spesso nascondono gelosamente il segreto della
bellezza. Abbiamo già accennato al fatto che il brano è diviso in due parti.
Adesso precisiamo che si tratta rispettivamente di 73 e 118 battute, per un
totale di 191 battute. Una breve indagine permette di scoprire che la sezione
aurea della prima parte corrisponde alla battuta 45, alle parole “in tanto
supplicio”. La sezione aurea della seconda parte vale 72 (72,924 per
l’esattezza)25 e corrisponde alla battuta 145, dove troviamo la parola
“passionis”. E qui cominciano le sorprese: questo punto corrisponde alla
lunghezza della prima parte (73 battute).26 Andiamo avanti. La sezione aurea
dell’intero brano cade alla battuta 118, alle parole “donec ego vixero”. Ovvero,
la sezione aurea dell’intero brano è perfettamente uguale alla lunghezza della
seconda parte (118 battute). Dobbiamo inoltre anche notare che la frase in
questione (“donec ego vixero”) introduce un episodio molto particolare, che è
un lungo intervento affidato a un organico con un numero minore di voci.27
Sappiamo che questo poteva essere debitamente interpretato come uno
stimolo ad affidare le parti a dei solisti, creando così un’atmosfera sonora del
tutto particolare e molto raffinata. Le sorprese non sono finite: questo punto
taglia la seconda parte alla stessa distanza in cui la sezione aurea taglia la
prima parte (45 battute). E che distanza c’è tra la sezione aurea della seconda
parte e la fine del brano? Di nuovo 45 battute…
Vado avanti? La sottrazione tra la sezione aurea della seconda parte e la
sezione aurea del brano totale dà come risultato 27 battute: esattamente come
la sottrazione tra la lunghezza della prima parte e la sua sezione aurea…28
Ormai mi sono fatto prendere la mano: la sottrazione tra tutto il brano e la
sezione aurea della prima parte dà lo stesso risultato della sezione aurea della
seconda parte.29 Mi fermo. Mi sembra troppo.
Si noti che tutte queste “coincidenze” non sono il frutto di quei calcoli
matematici “incestuosi” che danno sempre lo stesso risultato, come succede in
alcuni famosi giochi con i numeri. Esse sono realizzabili solo per quelle precise
lunghezze della prima e della seconda parte. Cambiando per esempio la
lunghezza della seconda parte, svaniscono tutte le coincidenze che la
riguardano.
E non venitemi a dire che vi siete divertiti anche voi a unire le parole sulle
quali cadono le tre sezioni auree, e che ne è uscita fuori la frase “In tanto
supplicio passionis, donec ego vixero”.30 Adesso vi prego di non collegarla con
la vita difficile di Palestrina, che in pochi anni perse il fratello, prima un figlio
poi l’altro, la moglie, venne licenziato dalla Cappella Sistina e, nonostante
numerosi tentativi, non riuscì mai a coronare il sogno di lavorare per le corti di
Spagna, di Vienna, di Monaco di Baviera e nemmeno dei Gonzaga a Mantova,
perché questo sarebbe troppo anche per me!
NOVA ET VETERA
41
Note
1. Cipriano de Rore (vedi figura) ne usa una identica anche nel
movimento delle voci, seppure scambiate. Ma innanzitutto lo fa
all’interno di un madrigale (O sonno), e poi inserisce un mi di
passaggio per addolcire il passaggio del soprano (do diesis - re
- mi - fa). Un eventuale do bequadro risulterebbe melodicamente
inopportuno.
2. Ed è anche l’ultimo a decomporsi dopo la morte!
3. Bisogna inoltre considerare che il liquido amniotico che
avvolge il nascituro è in grado di trasportare il suono cinque
volte più velocemente rispetto all’aria (1500 m/s nell’acqua
contro 340 m/s nell’aria). Oltretutto il liquido amniotico è anche
più denso dell’acqua, quindi la velocità del suono in questo
mezzo di propagazione, a causa della maggiore densità, sarà
ancora maggiore rispetto all’acqua.
4. I genitori dovrebbero tutti sapere che per calmare un disagio
o le insofferenze di un bambino, basta tamburellare con il palmo
della mano sul materasso lo stesso ritmo in levare del cuore.
Funziona davvero, l’ho sperimentato tante volte con i miei figli
quando erano piccoli…
5. Quei pochi che sono scritti in tempo binario sono forse legati
al dondolare binario dei passi di nostra madre? Basta osservare
da lontano il lento oscillare delle teste nella lunga fila di persone
che vanno a fare la comunione durante le messe…
6. Battute 25-26; 56-57; 59-60; 61-65; 82-83; 85-86; 88-89;
102-103, linea del basso; 104-106. L’episodio alle battute 64-65 è
degno di particolare attenzione: alle parole “suum dulcem
natum” Palestrina porta al raggiungimento della massima
espressività l’atteggiamento ternario, introducendo una hemiolia
particolarmente plateale – coincidente con un andamento binario
– che conduce a un intenso e lungo accordo di re con una
luminosa terza maggiore affidata ai tenori.
7. Ringrazio di cuore mons. Massimo Palombella per avermi
illustrato questi aspetti teologico-musicali nel dettaglio, che mi
hanno permesso di approfondire alcune questioni.
8. Lo descrivono in questi termini molti teorici coevi, da
Lanfranco a Zarlino, da Vecchi a Diruta ecc.
9. L’altro modo lamentevole per eccellenza…
10. Jubilate Domino, Cantemus Domino, Qui confidunt, Laudate
Dominum, Vinea facta est ecc.
11. Non dimentichiamoci che se non si fosse sposato in seconde
nozze con Virginia Dormoli dopo la morte della moglie, forse
avrebbe completato gli ordini sacri…
12. Avviene quattro volte in tutto il brano.
13. Succede 19 volte, ed è la maggioranza dei casi.
14. Otto volte.
15. Tre volte, in genere prima del “tutti”.
16. Accade a “Juxta Jerusalem” (122), e in un lungo episodio che
inizia alle parole “passionis eius” a battuta 145, di cui parleremo
in seguito.
17. È ben noto come l’antica teoria semiografica definisse il
tempo ternario perfectus e quello binario imperfectus,
accostando il ternario alla sacralità delle Trinità: omne trinum est
perfectum.
18. Si denota in questo modo tutta l’inquietudine e il
coinvolgimento di Palestrina nel trattare un testo così denso di
dolore… Ma forse c’è dell’altro: lo vedremo in chiusura di
articolo…
19. Queste raffinatezze, naturalmente, si lasciano svelare solo
dalla conduzione in due movimenti…
20. È vero che il si sale al do, ma non lo fa attraverso la
consueta successione veloce di crome… Il testo parla della spada
che trafiggeva l’anima addolorata della Madonna (“Cuius
animam gementem, contristatam et dolentem pertransivit
gladius”).
21. Per la verità Casimiri tratta tutte le alterazioni come fossero
di Palestrina, ponendole a sinistra della nota. Soltanto in un
caso si premura di mettere tra parentesi un si bequadro (“Christi
mortem”), per distinguerlo dai precedenti si bemolle.
22. Palestrina, Stabat Mater, trascrizione di Alexandre-Étienne
Coron (1771-1834), senza data; Palestrina, Stabat Mater, a cura
di Richard Wagner (1813-1883), Ed. G. Schirmer, New York, senza
data; Raffaele Casimiri, Antologia Polifonica, vol. VI, Ed.
Psalterium, Roma, 1934, pp. 33-47.
23. Pierluigi da Palestrina’s Werke, a cura di Franz Espagne
(nota come Opera Omnia - Haberl), vol. VI, Breitkopf & Härtel,
Leipzig, 1876, pp. 96-108; Palestrina, Stabat Mater, trascritto da
W.M. Barclay Squire, Novello, London, 1899; Palestrina, Stabat
Mater, trascrizione di Henry Washington, Chester Music, London,
1974; Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina,
Composizioni latine a 8 e 9 voci, vol. 33, cura e studio: Lino
Bianchi, Istituto italiano per la storia della musica, Edizioni
Scalera, Roma 1981, pp. 43-60 (nota come Opera Omnia Casimiri). La trascrizione di Bianchi tratta le alterazioni in modo
oculato, preoccupandosi di porre i propri personali suggerimenti
alla sommità della nota, anche quelli che riguardano molte
situazioni consuete nell’ambito della musica ficta, come i tritoni,
le sensibili in cadenza ecc.
24. Per non parlare dei pittori, degli scultori, degli architetti ecc.
25. Manca uno 0,076 per arrivare a 73. Facendo i calcoli si tratta
all’incirca di una semicroma…
26. Abbiamo visto quanto manca (cfr. nota precedente).
27. Del primo coro vengono utilizzati cantus e altus, dal secondo
cantus e tenor. Siamo a battuta 122, lo abbiamo anticipato nella
nota 16.
28. Anche se ci sono sempre quelle cifre decimali di cui tenere
conto, per cui lo scarto è pari a 0,096.
29. E quando dico lo stesso intendo davvero lo stesso, compresi
tre decimali: 145,886!
30. “In tanto supplizio di passione, in cui ho sempre vissuto”…
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
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CANTO POPOLARE
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NEVE DI ANGELO MAZZA
di Sergio Bianchi
DIRETTORE DEL CORO VAL TINELLA E DOCENTE AL CONSERVATORIO DI COMO
Il testo è dello stesso compositore:
Sui monti
sui campi
sui tetti delle case
scende lenta la neve.
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È scomparso all’inizio del 2012 Lino Conti, per anni direttore
del coro Sette Laghi di Varese, e Angelo Mazza, fraterno
amico, ha voluto ricordarlo con questa composizione per coro
virile.
Lino Conti, linotipista-fotocompositore di professione, amava
profondamente la musica e ha esplicitato questa sua
passione nella direzione di uno dei cori lombardi più validi e
conosciuti. Dilettante (inteso nel senso più alto del termine),
dotato di straordinaria musicalità e sensibilità, ci ha lasciato
interpretazioni ricche di fascino. Le sue esecuzioni
evidenziano la capacità di cogliere il senso della frase, il
valore della parola, la capacità di dosare le dinamiche e di
piegare l’agogica al servizio del testo letterario e della
musica. Mai un cedimento all’effetto fine a se stesso, ma
l’umiltà di mettersi spontaneamente al servizio della musica.
Angelo Mazza, amico di lunga data, ha seguito la carriera del
giovane direttore, è stato prodigo di consigli e ha fornito al
coro Sette Laghi le sue composizioni, sapendo di trovare
persone capaci di coglierne il valore e di
ottenerne interpretazioni di qualità.
Alla notizia della morte dell’amico ha voluto
ricordarlo con questa composizione che trae il
titolo dalla nevicata che in quei giorni
imbiancava il Varesotto.
Molte sono le composizioni o armonizzazioni del
maestro Mazza che meritano di essere
analizzate, eseguite e conosciute: Addio, addio, Écoute,
Muntagni, muntagni..., Mamma mia (mi son stufa), Sabato di
sera, Sul, ve fora, Vizim al Paradis, El mè paés... Ho pensato
di proporre Neve perché, oltre a essere una delle ultime
composizioni del maestro, è un omaggio a un grande
direttore.
Ovattato silenzio
richiama
pensieri lontani.
Immote nel tempo
indugiano
cristallizzate immagini
di luoghi
di volti
di cose passate.
Pure
al di sotto
del manto immacolato
germoglia il seme
di nuova promessa
lo splendore
di mille primavere.
Angelo Mazza, 31 gennaio 2012
Il testo non accenna alla morte, ma piuttosto pone l’accento
sul silenzio, sulla magica atmosfera che la neve crea attorno a
noi. Il silenzio richiama immagini lontane nel tempo, che nel
ritornare alla mente si accavallano in ordine sparso.
Tra queste emergono luoghi e volti che si stagliano in primo
Il silenzio richiama immagini
lontane nel tempo.
piano suscitando emozioni...
Tutto, intorno a noi, è ricoperto dal bianco manto della neve
sotto il quale prende vita lentamente il seme. E come il seme
inizia il suo cammino che lo porterà a fioritura in primavera,
così sotto la neve e dentro il dolore prende vita la promessa
di una gioia imperitura.
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L’armonizzazione di Angelo Mazza si piega con sapienza a
“dare corpo” sonoro al testo letterario. Un’armonizzazione
non sempre facile, lontana dagli stereotipi di tanto canto
popolare, in cui emerge la cultura dotta del musicista avvezzo
a trattare composizioni di grandi autori. Non è sfoggio di
bravura, ma piuttosto c’è l’attenzione a trovare il mezzo più
idoneo per tradurre in suoni il pensiero, la frase, la parola…
Sembrano talora macchie di suoni (quasi fossero colori che il
pittore sceglie sulla sua ampia tavolozza) che trovano la loro
ragion d’essere nella risoluzione che evidenzia l’uno o l’altro
particolare.
Siamo in presenza di una composizione che richiede grande
attenzione al testo, che ci spinge a cercare la parola chiave su
cui convergere per illuminare tutta la frase.
Si osservi il verso “Immote nel tempo / indugiano
cristallizzate immagini”. La semiminima puntata in
corrispondenza delle sillabe finali di “tem-po” e “in-du-giano” sembrano davvero farci indugiare. Il soggetto sono le
“cristallizzate immagini” che rappresentano il “cuore” della
frase. Il tutto è legato e fluisce verso la fine della frase…
Poco più avanti l’espressione “Pure” merita una particolare
attenzione. Il punto (posto dopo “cose passate”) colloca la
congiunzione all’inizio della nuova frase, attribuendogli il
significato di “eppure, tuttavia” esplicitando una vita che
nasce sotto il manto nevoso. Il compositore indugia su tale
espressione con una corona e con un cambio di dinamica
improvviso. Anche le voci più “scure” si attardano nell’entrata,
creando un senso di attesa (si osservi l’indicazione sotto il
pentagramma “come in attesa”). È opportuno, a questo punto
immaginare un piccolo respiro prima della congiunzione
“pure” e forse un’intenzione di crescendo sulla sillaba in
corona in modo di dar corpo al senso di attesa e collegare
l’espressione a quanto segue.
(come in attesa)
L’attenzione al particolare è evidenziato dalla cura
“madrigalistica” con cui vengono trattate alcune immagini o
singole parole.
L’espressione “Ovattato silenzio” è resa dalle sole voci gravi,
più scure, mentre le voci dei tenori indugiano su note tenute
e poi lasciate nel silenzio.
Si noti anche il piccolo gioco imitativo con cui bassi e baritoni
rispondono ai tenori sul verbo “richiama”, evocando
l’immagine sonora di un vero richiamo:
La stessa cura si nota nel proporre l’espressione “immote”
cantata dai soli tenori primi in una tessitura, per loro, grave
mentre le altre voci si fermano su una triade maggiore priva
di terza (conferendo un senso di vuoto) che suscita un senso
di stasi, di immobilità.
CANTO POPOLARE
Meritano ancora un’osservazione le scelte armoniche
utilizzate in corrispondenza di “case” alla conclusione della
prima riga in cui un accordo dissonante (una settima di
dominante in rivolto) ci “spinge” in avanti suggerendoci una
continuità interpretativa, e l’accordo conclusivo del canto.
Normalmente l’accordo finale chiude il discorso musicale con
un’armonia consonante introdotta con l’osservanza di tutti i
crismi armonici. In questo caso la scelta di un accordo di
tonica con la dissonanza re (che genera un accordo di 9a)
probabilmente vuole lasciare il discorso… aperto, vuol creare
un senso di attesa, di speranza “…germoglia il seme di una
nuova promessa / lo splendore di mille primavere”. Siamo
giunti al momento finale che è anche il momento della
speranza, e il compositore propone, nei due accordi finali,
l’estensione più ampia e la maggior sonorità di tutto il pezzo
(una 14a e il ( ).
45
Tutta la composizione utilizza un linguaggio armonicamente
ricco (si osservi nella penultima riga la presenza di ben sei
accordi di 7a). Tuttavia la sonorità, anche per la dinamica
contenuta (dal  al (), non è mai aspra, dura ed evoca
piuttosto un travaglio interiore che sembra non trovare pace.
Occorre infine notare un suggerimento prezioso aggiunto
dall’autore in calce alla composizione: «Il testo deve essere
liberamente declamato, evitando la rigida scansione del
tempo».
A prima vista l’indicazione può sembrare banale, ma in realtà
sottolinea l’importanza di una corretta interpretazione del
testo letterario e una cura nel rispettare gli accenti delle
singole parole.
Solo così si comprende anche la musica. Quest’ultima,
Il compositore opera scelte
che attingono al suo
bagaglio di conoscenze.
quando è ben scritta, si pone al servizio del testo, ne sviscera
i significati più profondi e talora si permette di suggerire
rimandi, di proporre allusioni…
È un sottile gioco che affascina ed emoziona. Qualcuno
potrebbe porsi la domanda di quanto siano coscienti queste
scelte. La questione non ha un’unica risposta. Sono tuttavia
convinto che il compositore, mentre scrive, opera scelte che
attingono al suo bagaglio di conoscenze. La musicalità e la
sensibilità lo portano a preferire quella soluzione che gli
appare come la più congeniale, quella più adatta a esprimere
l’immagine che urge dentro di lui.
Per nostra fortuna il maestro Angelo Mazza è tuttora in piena
attività (gli auguriamo di cuore di assecondare ancora per
lungo tempo questa sua passione) e quindi ciascuno può
avere direttamente dall’autore la risposta giusta (se c’è…).
Note
1. È possibile tuttavia una seconda interpretazione (non me ne
voglia il compositore) suggerita dalla possibilità di interpretare pure
come un aggettivo riferito a “di cose passate”. Questa scelta può
essere avvalorata dall’assenza di respiri dopo “cose passate” e
dalla corona posta sulla sillaba finale di “pure”. Lascio all’interprete
il decidere.
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PORTRAIT
47
IL COLORE DELLE VOCI MASCHILI
INTERVISTA A MARIA DAL BIANCO
a cura di Efisio Blanc
Quale è stato l’interesse che ti ha portata verso il coro e
come sei arrivata alla direzione di coro?
Cantare in coro ha fatto parte della mia vita fin dall’infanzia.
Agli inizi è stato il coro della parrocchia. Cantavo e
accompagnavo all’organo la Schola cantorum, già dalle scuole
elementari. Si cantava alle Messe grandi e al concerto di
Natale.
La mia generazione ha vissuto il canto come momento attivo
sia nella dimensione educativa e scolastica, che in quella
liturgica. In chiesa si cantava alla Messa, al catechismo, agli
incontri comunitari. A scuola gli insegnanti affidavano al canto
corale l’educazione musicale e i sacerdoti ritenevano
importante ricavare uno spazio, un tempo per la preghiera
cantata, anch’essi arrivavano da una formazione che
prevedeva il canto corale nei seminari come completamento
culturale per lo spirito e come educazione al bello. Poi iniziai
a insegnare educazione musicale alle scuole medie. Feci
divenire il canto corale l’attività principale. Gli allievi di allora,
incontrandomi, ancora si ricordano di quell’inedita esperienza.
Poco più che ventenne iniziai subito dopo a dirigere un coro
di voci bianche. Un’esperienza breve interrotta per il primo
incarico in conservatorio, a Cagliari, una sede scomoda per
garantire la necessaria continuità di lavoro con i bambini. E
infine vent’anni fa mi proposero di assumere la direzione di
un coro maschile, non sapevo in realtà quello che mi
attendeva. Ma il cuore prevalse sulla ragione e così nacque
un’avventura che oggi si chiama Coenobium Vocale.
La tua formazione di organista ha influenzato le tue scelte
come direttore di coro?
Certamente ha influenzato le mie scelte musicali. Lo studio del
pianoforte prima e successivamente dell’organo mi hanno
portato all’esperienza di accompagnare, voci e strumenti, solisti
e cori, alcuni dei quali stanno tuttora svolgendo un’importante
attività concertistica. È stata un’esperienza che ha segnato la
mia formazione musicale, anche come direttore di coro.
Da anni insegno in conservatorio. Gli allievi che nel loro
percorso di vita musicale hanno avuto la possibilità di cantare
o di collaborare con un coro, anche fuori dalle attività corali
dello stesso istituto, siano essi organisti, pianisti, compositori,
cantanti o strumentisti, si dimostrano più strutturati e in
possesso di una maturità musicale già sviluppata, a volte
raffinata, sia dal punto di vista compositivo, esecutivo che
improvvisativo. È evidente che hanno vissuto esperienze
indelebili e che tutto ciò ha favorito una maggiore crescita
delle loro competenze. La storia della musica è costellata di
luminosi esempi.
Anche la grande musica sinfonica e in parte quella operistica
hanno fatto parte del mio percorso di studio, di analisi e
ascolto, in anni di composizione con una guida solida e
generosa quale il maestro Antonio Zanon di Verona il quale
mi ha indirizzato nella comprensione dei linguaggi accademici
e quelli contemporanei.
Ma sicuramente la musica organistica dei grandi maestri, le
messe gregoriane per secoli fonte di ispirazione per i
compositori, la polifonia rinascimentale, la musica barocca,
rimangono un costante punto di riferimento.
Quali sono, secondo la tua esperienza, le caratteristiche che
contraddistinguono nel bene e nel male una formazione
maschile rispetto a una formazione mista o femminile, sia
dal punto di vista della gestione del gruppo, della resa
sonora, delle caratteristiche tecniche?
Si tratta di due “strumenti” per certi versi simili, per altri
diversi. Il coro misto è paragonabile alla gamma sonora
dell’orchestra. Ti consente di affrontare un repertorio
praticamente illimitato, sia a cappella che con
l’accompagnamento strumentale.
Ma il colore delle voci, nel coro maschile, è la caratteristica
che può affascinare l’orecchio e l’ascolto, un segno che
contraddistingue specialmente quando è il risultato di un
serio percorso di studio vocale e di crescita tecnica e
musicale. Il suono emoziona e commuove, specie quando si
somma a una rigorosa compostezza. Gli armonici sovrapposti
ai suoni fondamentali, che le voci maschili sanno creare, non
hanno pari, per ricchezza, profondità e brillantezza al tempo
48
stesso. Nella dimensione amatoriale, spesso ci si trova di
fronte a qualità vocali innate, ma a volte ad altrettanta scarsa
consapevolezza dei propri mezzi. Per raggiungere risultati
apprezzabili occorre determinazione e voglia di provare.
È questo il caso in cui un direttore, per ottenere risultati
apprezzabili, deve fare appello a tutta la sua caparbia
perseveranza e, soprattutto, alla voglia di non cedere mai ai
compromessi tecnici. Se escludiamo per un momento l’ambito
popolare, il coro maschile è una scelta di nicchia, almeno in
Italia. All’estero invece non è una rarità, vorrei dire una
normalità, ascoltare gruppi vocali o grandi cori maschili,
anche professionali, impegnati in repertori di ogni genere.
Anche sotto il profilo della gestione del gruppo, il coro
maschile offre peculiari tratti distintivi.
L’indole maschile, in genere, piace per
l’immediatezza dei rapporti, per la
generosità e per la capacità di limitare,
all’interno del gruppo, le problematiche
personali. L’empatia nasce con una certa
facilità e le tensioni si stemperano, grazie a
un certo spirito di adattamento. Questi
sono sicuramente elementi di forza che
orientano positivamente le dinamiche
interne del gruppo e aiutano a costruire la
squadra. Se però, da un lato, questo
carattere di spontaneità favorisce la
convivenza, dall’altro può diventare un limite, favorendo un
atteggiamento passivo e poco reattivo, della serie
“accontentiamoci e prendiamo quel che viene”. Ovviamente
non è opportuno generalizzare, ogni caso è una storia a sé.
Tradotto in altri termini, ciò significa che per ottenere dei
risultati, la voce maschile, soprattutto nel coro amatoriale,
richiede una particolare tenacia nel lavoro tecnico, una vigile
e costante attenzione da parte del direttore e instancabili
richiami a una continua attenzione e precisione, sia
nell’articolazione verbale e testuale, sia nell’intonazione del
singolo. Non a caso molti direttori preferiscono impegnarsi
con le voci femminili, maggiormente inclini alla precisione e
alla cura dei particolari.
Le formazioni maschili sembrano vivere, in generale, un
periodo di difficoltà; quali sono secondo te le cause e quali
potrebbero essere le strade da percorrere per uscirne?
È una domanda ricorrente, un problema irrisolto, perché non
risolvibile con soluzioni semplici e immediate. Si tratta di un
problema culturale ed educativo. Le formazioni maschili
scontano maggiormente il peso di questo vuoto, per ragioni
legate a una minore propensione caratteriale verso la
comunicazione e l’esibizione, dimensioni con cui il canto
condivide la sua essenza. Nei cori misti italiani, spesso le
sezioni dei soprani e dei contralti sono più numerose rispetto
a quelle maschili. L’indole femminile è solitamente più incline
all’espressività, mentre l’indole maschile, se non allenata da
La mia generazione ha vissuto il
canto come momento attivo sia
nella dimensione educativa e
scolastica, che in quella liturgica.
giovane, rifiuta in parte questa “esposizione” ai sentimenti.
Far cantare ragazzi, maschi, adolescenti che non hanno mai
partecipato ad alcuna attività corale, appare spesso
un’impresa impossibile. Occorre quindi iniziare il percorso di
avvicinamento fin dai primi anni di vita, anche scolastica.
La musica deve entrare a far parte a pieno titolo della
formazione, deve divenire, strumento di comunicazione, come
la parola. Eccellenti esempi, questa volta anche italiani, di
successo nella coralità giovanile e di voci bianche nascono da
un’integrazione spinta con la dimensione educativa e
scolastica.
Maria Dal Bianco_______
Maria Dal Bianco si diploma in organo e composizione organistica, in composizione e in
musica corale e direzione di coro. Frequenta quindi corsi di perfezionamento in organo,
direzione corale, vocalità e canto gregoriano, polifonia antica e contemporanea. Ha svolto
attività concertistica come organista solista e ha collaborato in gruppi strumentali e vocali.
Nel 2001 riceve il premio per la migliore direzione al Concorso nazionale di Vittorio Veneto.
Dal 1990 è titolare della cattedra di organo complementare e canto gregoriano al
Conservatorio L. Marenzio di Brescia. È componente della commissione artistica di Feniarco.
Ha fatto parte di giurie in vari concorsi corali, nazionali e internazionali.
PORTRAIT
La scuola, quindi, potrebbe avere un ruolo, oggi, nella
diffusione della cultura corale?
Conosciamo l’attuale situazione musicale nelle nostre scuole,
e a parte rare e preziose eccezioni, gli insegnanti
generalmente non cantano perché non sanno cantare,
probabilmente non hanno mai cantato, conoscono
relativamente il valore culturale e sociale del canto corale.
La loro esperienza corale spesso ha avuto inizio e fine sui
libri della didattica, ricorrono quasi esclusivamente al flauto
dolce per fare musica insieme. Questo è quanto rimane nella
memoria dei ragazzi, un’esperienza spesso sterile. In alcuni
stati europei è il Ministero a elargire somme importanti, un
forte contributo per il sostegno delle attività musicali e
soprattutto dei cori nelle scuole. Inoltre, in alcuni paesi, gli
insegnanti, per poter insegnare nella scuola primaria,
debbono sapere cantare e suonare almeno uno strumento.
La nostra situazione è purtroppo molto diversa e dobbiamo
far leva sulla buona volontà dei singoli insegnanti. Da
vent’anni anni collaboro all’organizzazione, nel mio paese, di
una rassegna musicale per le scuole medie, le attuali scuole
secondarie di primo grado. Ottima la partecipazione degli
istituti scolastici, una ventina le scuole rappresentate ogni
anno con circa ottocento ragazzi. Di queste, quattro o cinque
le scuole che partecipano con il coro scolastico; i loro
insegnanti arrivano quasi sempre da una solida formazione
musicale, vorrei dire evoluta, arricchita da esperienze corali e
strumentali, sanno distinguere il valore dell’esperienza del
fare musica cantando in coro, e puntano su una disciplina
educativa impagabile.
La coralità maschile è stata per tanto tempo legata
prevalentemente al cosiddetto canto di
montagna o al canto popolare. Perché
tale esclusività di repertorio e questo è
vero anche oggi?
Conosciamo modelli eccellenti di cori
popolari italiani. Hanno segnato la
storia della coralità maschile che rimane
ancor oggi, sul piano numerico,
fondamentalmente ancorata a questi
modelli. Spesso hanno generato
molteplici emulazioni, non sempre ben
riuscite.
Ci sono anche eccellenti esempi di cori maschili che
affrontano con brillante disinvoltura repertori non solo
popolari, ma rimangono ancora esempi isolati. I loro direttori,
e i risultati lo confermano, si sono posti da subito il problema
di motivare il coro e di “costruire” uno strumento musicale
intonato, capace di elaborare un buon fraseggio, le
dinamiche, una pronuncia curata, insomma, di fare musica.
Al di là di una consapevole scelta culturale, il repertorio che
caratterizza inequivocabilmente un gruppo maschile richiede
che vi sia un’adeguata preparazione tecnica. E questo è, a
volte, il limite invalicabile che non permette di affrontare
pagine più impegnative. La lettura, ad esempio, diventa un
49
punto fondamentale per proseguire un diverso cammino, così
come anche la tecnica vocale. Sta nelle capacità e nelle
intenzioni del direttore aprire una nuova stagione. Se il
direttore si limita a essere un buon compagno di viaggio,
passivamente accondiscendente, diventa difficile pensare a
obiettivi nuovi. Con queste premesse diventa difficile
interessare anche le nuove generazioni. Ma i cori amatoriali
hanno bisogno di arricchire il proprio bagaglio di esperienze
musicali, alimentandosi di musica scelta, senza il confine tra
Il suono emoziona e commuove,
specie quando si somma a una
rigorosa compostezza.
popolare e polifonico, tra sacro e profano, tra antico e
moderno. Un coro ha bisogno di vivere esperienze musicali
con caratteristiche e diversità che si incontrano in repertori
necessariamente allargati, in grado di portare un contributo
nella maturazione del gruppo.
Con il tuo coro hai intrapreso delle collaborazioni con dei
compositori. Come è stata l’esperienza e qual è la tua
opinione sulla musica corale contemporanea?
La stretta collaborazione con i compositori può aiutare ad
avvicinarsi a linguaggi moderni, a volte originali e personali.
Con alcuni “creatori” il progetto si fa via via sempre più
50
concreto lavorando su obiettivi comuni e trasformandosi a seconda delle
necessità, dello spazio, dell’organico corale e strumentale a disposizione, può
diventare “una veste musicale” su misura. La collaborazione con i compositori si
è rivelata spesso un’esperienza molto positiva, soprattutto in alcuni casi in cui i
compositori hanno accettato o addirittura chiesto suggerimenti su alcune scelte.
A volte un’eccellente “geometria grafica” non coincide con la fattibilità; in alcuni
casi, anzi, può compromettere la realizzazione di un progetto musicale. Anche in
questo caso si ritorna all’esperienza corale, fondamentale per un compositore
che intende dedicarsi alla scrittura vocale. L’esperienza diretta e tangibile delle
grandi potenzialità espressive di una voce non può essere messa a confronto
con altrettante potenzialità espressive di uno strumento, cui manca, per altro, la
grande ricchezza, fondamentale, della parola. Emerge immediatamente, in tutta
evidenza, se il testo è stato messo in primo piano dal compositore, se ha
illuminato e orientato il lavoro compositivo, oppure se la composizione è stata
concepita in modo svincolato da esso.
Nel campo corale le direttrici sono oramai una realtà affermata. Era così anche
quando tu hai iniziato o hai visto un’evoluzione in tal senso?
Lo stereotipo del direttore maschile mi sembra, oramai, fortunatamente
superato. Rimane forse presente nella direzione d’orchestra. Ma nel mondo delle
coralità abbiamo oggi una nutrita rappresentanza femminile di qualità. Vent’anni
fa probabilmente non era così. Ma oggi vedo molta determinazione e ritengo
che lo strumento della voce sia affine alla sensibilità e all’empatia femminile che
ben possono esprimersi, anche attraverso la direzione.
Mi sembra tu sia particolarmente
attenta alla scelta del repertorio per
il tuo coro. Pensi sia di
fondamentale importanza?
Sono convinta che la scelta del
repertorio sia determinante
nell’essenza di un coro: una strategia
di lavoro, una grande occasione di
crescita, a prescindere da epoche o
generi.
I progetti musicali che propongo con
il Coenobium Vocale e le diverse
particolari richieste tematiche: che spesso ci vengono presentate dagli enti
organizzatori di concerti, sono una continua sfida alla ricerca e
all’approfondimento, ad esplorare i repertori più diversi, dalle monodie di
manoscritti medievali alla musica contemporanea. Assieme al costante lavoro
tecnico vocale, costituisce l’autentica dimensione di ricerca e di costruzione
della personalità musicale del direttore e del coro.
Il colore delle voci, nel coro
maschile, è la caratteristica che può
affascinare l’orecchio e l’ascolto.
in collaborazione con
Associazione
Regionale
Cori Marchigiani
7 European Academy
th
for choral conductors
Fano/Italy
8/15 settembre 2013
Docente Nicole Corti (France)
Repertorio francese, inglese e italiano del ’900
L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che ha luogo in una città marchigiana situata sulla costa
adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà
a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi.
www.feniarco.it
in collaborazione con
Comune di Fano
Coro Polifonico Malatestiano
Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano
iscrizioni entro il
31 maggio 2013
informazioni
Feniarco - Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
DUE UNIVERSI
SI INCONTRANO
IL CORO GIOVANILE ITALIANO
E L’ORCHESTRA FILARMONICA DI TORINO
di Gabriele Montanaro
Il Coro Giovanile Italiano e l’Orchestra Filarmonica
di Torino hanno recentemente dato vita a un
concerto memorabile. Sebbene il mondo corale e
quello delle orchestre sembrino talvolta universi
paralleli difficilmente conciliabili, fin dalla prima
prova è stato invece evidente il contrario. Forse
perchè entrambe le formazioni fanno dei giovani
talenti il loro punto di forza, forse per l’attenzione
condivisa a un repertorio ricchissimo ma poco
conosciuto dal pubblico di non addetti ai lavori,
grande è stata da subito la reciproca curiosità e il
desiderio di approfondire un dialogo artistico che
si era già intravisto proprio a Torino grazie alla
collaborazione dell’Orchestra Filarmonica durante il
Festival Europa Cantat XVIII.
Il concerto, tenutosi lo scorso dicembre e intitolato
Tre Requiem, era inserito nell’ambito della
Stagione concertistica 2012/2013 dell’Orchestra
Filarmonica di Torino. La formazione torinese è tra
le realtà cameristico-sinfoniche più interessanti e
innovative del panorama nazionale e propone da
anni, con l’arrivo di Nicola Campogrande alla
direzione artistica, una programmazione “a tema”
che oltre ai capolavori della grande tradizione
classica spazia su orizzonti più articolati ed è
attenta anche alla musica meno eseguita, del
Novecento e contemporanea.
Non stupisce dunque la scelta del repertorio
previsto per la serata. Il programma si è aperto
con l’Adagietto della Quinta Sinfonia di Mahler:
voluto da Luchino Visconti per la colonna sonora di
Morte a Venezia, pur non essendo un requiem in
senso stretto, certamente è stata un’introduzione
perfetta che grazie al suo carattere assoluto ha
saputo traghettare il pubblico verso l’universo
introspettivo e meditativo dell’intera serata.
A seguire, coro e orchestra hanno proposto
l’esecuzione del rarissimo Requiem aeternam di
Puccini, commissionato nel 1905 da Casa Ricordi in
memoria di Giuseppe Verdi. Il brano, dimenticato
per oltre cinquant’anni dopo la sua prima
esecuzione, ha conosciuto una storia interpretativa
varia, nella quale si sono succedute versioni sia
con l’organo che con l’orchestra d’archi.
La versione eseguita durante il concerto,
appositamente adattata per coro, viola sola,
organo e archi, è riuscita a equilibrare i due diversi
aspetti interpretativi. Il Coro Giovanile Italiano,
guidato come di consueto da Lorenzo Donati e
Dario Tabbia, ha saputo rendere alla perfezione il
carattere intimo della partitura, in cui Puccini è
riuscito a trasformare un’occasione solenne come
DUE UNI
SI INCON
ASSOCIAZIONE
53
la morte di un eroe nazionale in un
delicato e raccolto commiato.
Pezzo forte della serata è stato però il
Requiem per mezzosoprano, baritono,
coro, organo e orchestra di Maurice
Duruflé, brano raramente eseguito in
Italia ma che altrove rappresenta uno dei
caposaldi del repertorio corale.
Interessantissimo intreccio di melodie
gregoriane trattate con gusto tardoromantico, il Requiem ha dato l’occasione
al coro e all’orchestra di sfoderare una
straordinaria ricchezza timbrica e
interpretativa, passando con disinvoltura
da momenti lirici e raccolti ad altri più
enfatici e drammatici.
Dal podio ha guidato l’esecuzione
Francesco Cilluffo, giovane ma ormai
affermato direttore torinese, che ha
dedicato gran parte del suo percorso di
formazione e del suo interesse al
repertorio operistico e sinfonico-corale.
Proprio con lui, l’Orchestra Filarmonica di
Torino ha dato vita a un progetto
triennale dedicato all’affascinante quanto
enigmatico rapporto tra la voce e l’orchestra di cui Tre Requiem ha rappresentato il primo
appuntamento. Le raffinate voci soliste di Rosa Bove, mezzosoprano, e di Giulio Mastrototaro,
baritono, hanno coronato la serata che è stata un successo sia in termini di pubblico che di
critica.
Il pubblico torinese ha infatti risposto con entusiasmo all’inedita proposta: più di 1000 spettatori
hanno gremito la Sala Grande del Conservatorio di Torino tra la prova generale aperta e il
concerto, confermando la bontà dell’intesa artistica e della particolare scelta di programma.
Nemmeno uno sfortunato contrattempo meccanico – che ha reso inutilizzabile l’organo durante
la prova generale aperta, costringendo l’organista a un’improvvisata trascrizione pianistica dei
brani – ha potuto fermare l’entusiasmo del
pubblico e minare la solida interpretazione
del Coro Giovanile Italiano. Ottimi anche gli
apprezzamenti di Sante Fornasier, presidente
Feniarco, e del neoeletto vicepresidente di
ECA-EC Carlo Pavese, presenti in sala.
Un grande successo, dunque, che raccoglie la
sfida lanciata proprio a Torino dal Festival
Europa Cantat e che trova nella
programmazione capillare di eventi corali di alto livello e nella riscoperta del repertorio corale da
parte del grande pubblico i suoi obiettivi più importanti. Proprio a fronte degli ottimi risultati
conseguiti, l’intesa tra le due formazioni è destinata a durare, vista la partecipazione del Coro
Giovanile anche alla Stagione 2013/2014 dell’Orchestra Filarmonica di Torino.
Nelle pagine: immagini della
prova generale
IVERSI
NTRANO
Entrambe le formazioni fanno dei
giovani talenti il loro punto di forza.
È possibile riascoltare l’esecuzione del Requiem aeternam di Puccini sul canale ufficiale
dell’Orchestra Filarmonica di Torino: www.youtube.com/FilarmonicaTorino
54
PASSATO E FUTURO DELLA CORALITÀ ITALIANA
L’ASSEMBLEA FENIARCO DI VERBANIA (16-17 MARZO 2013)
di Sandro Bergamo
Da sinistra: Ettore Galvani, Pierfranco Semeraro, Sante Fornasier e
Alvaro Vatri
Proteso tra la memoria di un inverno recente e il desiderio di
una primavera che ancora stenta ad affermarsi, aprile è un
mese crudele, ricordava Eliot ne La terra desolata. Anche la
coralità italiana vive il suo aprile, ma non crudele: la memoria
è quella estiva di Europa Cantat Torino 2012, il desiderio è
quello di costruire, su un evento che lascerà il
segno nella nostra storia, un futuro sempre più
entusiasmante.
Nel suo passare in rassegna l’Italia, di regione
in regione, l’assemblea di Feniarco è stata ospite
a Verbania, il 16 e 17 marzo, dell’associazione
piemontese ACP e del suo nuovo presidente
Ettore Galvani. Un’assemblea che non poteva partire se non
dal ricordo ancora vivo di Torino, con la proiezione di un
video, sintesi del più ampio DVD prodotto con le migliori
immagini del festival.
Rivedendo quelle immagini, rivivendo, per chi c’era, quei
momenti, è sempre più chiara la percezione che non sia stata la
fine di un percorso pluriennale partito dal proporre candidatura
e conclusosi con il passaggio delle consegne all’ungherese
Pècs, ma l’inizio di un percorso nuovo e di maggiore
responsabilità per la coralità italiana in seno a quella europea.
Ne è conferma l’elezione di Carlo Pavese all’interno del nuovo
board di Europa Cantat: un’elezione avvenuta raccogliendo il
consenso più ampio tra tutti gli eletti, quasi la totalità dei voti
disponibili, risultato che ha affidato, successivamente, al
rappresentante italiano, il ruolo di primo vicepresidente della
federazione europea. Un successo personale dell’artistic
manager del festival, conseguente al suo lavoro, ma anche il
riconoscimento del ruolo che oggi gioca la coralità italiana in
Europa (anche Sante Fornasier, tre anni prima, era risultato il
primo degli eletti). Accanto a Carlo Pavese, anche Nicola
Campogrande, entrato nella commissione artistica di Europa
Cantat, a tenere alto il profilo dell’Italia, dopo il triennio
guidato da Sante Fornasier.
Il festival torinese è stato un evento anche dal punto di vista
mediatico, capace, se manteniamo quello slancio e se
sappiamo reinventarci ogni giorno, di cambiare la percezione
che gli italiani hanno del canto corale. Questa la scommessa
su cui l’assemblea nazionale è stata chiamata a lavorare.
E la macchina organizzativa si rimette in moto per gli altri
grandi eventi corali italiani, che dopo Torino dovranno
riconfermare l’aria nuova che soffia sui cori della penisola.
Salerno Festival, innanzitutto: una buona edizione anche
quella del 2012, nonostante la concomitanza di quello
europeo, che ha costretto più di un coro a rinunciare a uno dei
due appuntamenti. Ma con 46 cori presenti, oltre 1000 coristi
provenienti da nove regioni, la scommessa di tenere Salerno
Festival anche nell’anno di Torino è stata abbondantemente
vinta. Altrettanto dovrà essere per Alpe Adria Cantat, che
invece non si è tenuta, vista la sua stretta affinità a quanto
avveniva a Torino, e che viene riproposta per il settembre
Un percorso nuovo e di maggiore
responsabilità per la coralità italiana.
2013: non si nascondono i timori, alla luce di quanto sta
avvenendo nelle varie settimane corali europee, segnate dalle
conseguenze della crisi economica; tutte le associazioni
regionali sono impegnate a favorire in ogni modo la presenza
dei loro cori.
Positivo il bilancio del Coro Giovanile Italiano e del Coro
Accademia Feniarco, protagonisti a Torino di momenti
fondamentali. La formula del doppio direttore per il CGI è
risultata vincente, gli appuntamenti si sono ampliati anche
grazie alla collaborazione di alcune associazioni regionali.
ASSOCIAZIONE
55
L’intervento dell’assessore
del Comune di Verbania Massimo Manzini
Inevitabili, anche qui, le preoccupazioni sulle risorse disponibili per il futuro, ma
l’esperienza è ormai sostenuta convintamente da tutti.
L’assemblea di Verbania ha sottolineato ancora una volta il grande sviluppo
avuto dalla coralità scolastica in questo ultimo decennio: un settore nel quale si
aprono sempre nuove prospettive. In questa ambito si registra un’importante
iniziativa del Forum per l’educazione musicale, illustrata dal vicepresidente
Alvaro Vatri che in esso rappresenta Feniarco. Il protocollo sottoscritto dalle 23
associazioni presenti nel Forum con il
Ministero dell’Istruzione riconosce anche
la nostra federazione come soggetto in
grado di coadiuvare la scuola nella
formazione musicale dei ragazzi. Uno
strumento che potrà rafforzare il ruolo di
chi già opera negli istituti scolastici e
agevolare chi voglia avviare nuove
iniziative.
Sempre in fermento anche il settore
dell’editoria: un lavoro imponente, che
ha offerto tantissimo nuovo materiale ai cori e stimolato il rinnovamento del
repertorio. Un nuovo volume di Giro Giro Canto e di Melos, un manuale di
direzione, il terzo volume di Voci & Tradizione, sono solo gli ultimi titoli aggiunti
al catalogo, mentre altri ancora sono di prossima uscita. A questi si aggiunge il
lavoro di non poche associazioni regionali, presenti con proprie iniziative.
Anche la stampa periodica è stata oggetto di dibattito, legato al rapporto tra la
testata nazionale e quelle regionali, che si vogliono più strettamente legate in
una visione unitaria della musica corale, oltre che dal ruolo che le nuove
tecnologie giocano nell’informazione, trasferendo le notizie sul web, dove però
cambiano anche lo stile e i tempi della comunicazione.
Trent’anni celebrerà Feniarco il prossimo anno: e il dibattito svoltosi in
assemblea è stato spesso un bilancio andato ben oltre le considerazioni
sull’anno appena passato e su quello appena cominciato. Le iniziative che si
realizzeranno nel 2014, tracciate, nelle linee generali, nel corso di una
discussione libera durante la seconda parte dell’assemblea, dovranno diventare
la base per un altro trentennio di crescita della musica corale in Italia.
L’assemblea di Verbania
ha sottolineato il grande
sviluppo avuto dalla coralità
scolastica in questo ultimo decennio.
Feniarco e Arcc presentano
www.feniarco.it
cori da tutta Italia incontri e nuove conoscenze
turismo
concerti in città e sul territorio
cultura e tradizioni
arte
CRONACA
57
IL PROTOCOLLO D’INTESA TRA MIUR
E FORUM PER L’EDUCAZIONE MUSICALE
di Alvaro Vatri
e su richiesta di alcune di esse, decisero di costituire un
Forum per l’Educazione Musicale. L’iniziativa nasceva
dall’esigenza di «prospettare un luogo di confronto e di
coordinamento in relazione ad alcuni passaggi nodali di
politica culturale tra i quali: il moltiplicarsi di iniziative di
studio a carattere nazionale (convegni, corsi ecc.) talvolta
parallele e concorrenti; la costituzione del Comitato nazionale
per l’apprendimento pratico della musica, che segna da parte
del MPI un rinnovato impegno a favore della musica nella
scuola; la riscrittura delle nuove Indicazioni nazionali per il
curricolo del primo ciclo d’istruzione; la considerazione che
nell’ultimo decennio, grazie a internet, numerose comunità
anche virtuali (liste di discussione o siti dedicati) si occupano
di educazione musicale; la promozione, da varie parti, di
iniziative legislative a favore della “didattica musicale” e della
musica in generale».
E dunque gli “obiettivi principali del Forum” sono: «creare un
tavolo permanente di confronto e coordinamento e per la
promozione condivisa di iniziative/progetti di rilevanza
nazionale e internazionale; costituire un punto di riferimento
anche nelle sedi istituzionali per il sostegno di iniziative a
favore della musica come fattore educativo/formativo (tavoli
permanenti, audizioni, iniziative legislative ecc.)».
Metodologicamente le associazioni aderenti al Forum non
hanno voluto dar vita a un nuovo soggetto, ma a una “rete”
di identità distinte vedendo in ciò un valore aggiunto dato dal
rispettivo peso e dal rispettivo curriculum. Tale condizione
SIEM
Il 7 febbraio 2013 tra il Forum per l’Educazione Musicale e il
MIUR è stato firmato un protocollo d’intesa che li impegna
(dall’art. 1) «di comune intesa e in stretta connessione con le
istituzioni scolastiche, a promuovere e monitorare attività di
ricerca-azione su temi di rilevante interesse per lo sviluppo
dell’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado,
sostenendo e incoraggiando il rinnovamento delle
metodologie didattiche, anche attraverso un confronto con le
esperienze degli altri Paesi europei», impegnandosi «a
collaborare per sostenere, con azioni formative rivolte ai
docenti, curricoli innovativi finalizzati al successo formativo di
tutti gli alunni». Ovviamente si rimanda alla
lettura del documento completo, scaricabile dal
sito www.siem-online.it
Ma in questa sede vale la pena riportare almeno
due punti basilari: l’art. 2, che recita:
«Le Associazioni si impegnano a mettere a
disposizione il proprio patrimonio di competenze e
di esperienze, di relazioni associative e
scientifiche nazionali e internazionali, per il
raggiungimento dei fini del presente protocollo e a
promuovere percorsi di educazione all’ascolto e alla musica»,
e l’art. 3, in cui si legge: «Il Ministero si impegna a A) favorire
la realizzazione delle iniziative derivanti dall’attuazione del
presente protocollo pubblicizzandone le attività presso gli
UUSSRR, B) sostenere e diffondere le suddette attività nel
prossimo triennio a partire dal corrente anno scolastico».
È questa, come si intuisce, una tappa molto importante e
significativa di un percorso iniziato nel marzo 2008, quando
quindici associazioni musicali che si occupano, in varia
misura, di educazione musicale (v. box), su iniziativa della
L’educazione alla musica è un diritto
fondamentale di ogni essere umano.
presenta indubbi dati di novità e funzionalità nell’ottica della
costruzione di modelli operativi integrati a livello regionale,
nell’ottica del decentramento politico-amministrativo,
partendo e valorizzando dalle esperienze esistenti.
Appena costituito, il Forum ha prodotto subito iniziative e
documenti che potessero portare all’attenzione sia delle
istituzioni che dell’opinione pubblica le non più eludibili
problematiche inerenti l’educazione musicale nella società
italiana: l’iniziativa “Dai il LA alla musica” (maggio 2008), un
documento in merito alle “recenti proposte di provvedimenti
legislativi in materia di formazione dei docenti” inviato al
58
ELENCO DELLE 23 ASSOCIAZIONI
ADERENTI AL FORUM
ADUIM - Associazione Docenti Universitari Italiani
di Musica (www.aduim.eu)
AIGAM - Associazione italiana Gordon per
l’apprendimento musicale (www.aigam.org)
AIF - Accademia Italiana del Flauto
(www.accademiaitalianadelflauto.it)
AIJD - Associazione Italiana Jacques-Dalcroze
(www.dalcroze.it)
AIdSM Associazione italiana delle scuole di
musica (www.aidsm.it)
AIKEM - Associazione Italiana Kodály per
l’Educazione Musicale (www.aikem.it)
CAM - Centro Attività Musicali Aureliano
(www.aureliano.it)
CDM - onlus Centro Didattico Musicale
(www.centrodidatticomusicale.it)
CENTRO GOITRE - Centro Studi di Didattica
Musicale Roberto Goitre (www.centrogoitre.com)
CENTRO STUDI MUSICA & ARTE (www.musicarte.it)
COMUSICA - Coordinamento dell’Orientamento
Musicale (www.comusica.name)
CSMDB - Centro Studi musicali e sociali Maurizio
Di Benedetto (www.csmdb.it)
DDM-GO - Docenti Didattica della Musica Gruppo Operativo (www.geocities.com/ddm_go/)
FENIARCO - Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali (www.feniarco.it)
FIM - Federazione Italiana Musicoterapeuti
(www.musicoterapia.it)
LIBERENOTE - musica e cultura
(www.stagegiovani.it)
MUSICA IN CULLA - coordinamento nazionale
musica in culla (www.musicainculla.it)
MUSICHERIA.net (www.musicheria.net)
OSI - Orff-Schulwerk Italiano (www.orffitaliano.it)
Il SAGGIATORE MUSICALE / SagGEM
Gruppo per l’Educazione Musicale
(www.saggiatoremusicale.it)
SIEM - Società Italiana per l’Educazione Musicale
(www.siem-online.it)
SPM Donna Olimpia - Scuola Popolare di Musica
Donna Olimpia (www.donnaolimpia.it)
SPMT - Scuola popolare di musica di Testaccio
(www.scuolamusicatestaccio.it)
Ministro dell’Istruzione, ai presidenti delle Commissioni di Camera
e Senato, alle Organizzazioni Sindacali e agli organi di stampa
(agosto 2008) e la stesura di un Manifesto, maturato in alcuni
momenti di confronto pubblico tra i quali una tavola rotonda
pubblica nell’ambito del XXVIII World Congress dell’ISME a Bologna
(il 23 luglio 2008), la cui premessa ribadisce che «la Musica
svolge un ruolo culturale ed estetico imprescindibile nell’intero
arco dell’esperienza umana e che la formazione alla musica è un
diritto fondamentale di tutti i cittadini».
Nel dicembre 2009 il Forum ha inviato una lettera ai parlamentari
contenente osservazioni e proposte riguardanti la bozza di parere
sul riordino dei licei, che si concludeva con l’auspicio «che il
parere della Commissione possa in qualche modo accogliere le
osservazioni qui espresse e sollecitiamo i Parlamentari competenti
a farsi carico delle istanze che provengono da chi,
quotidianamente, dentro e fuori la “trincea” della scuola, cerca di
far sì che la formazione musicale di tutti i cittadini non sia ridotta
a optional di svago, ma sia considerata componente fondamentale
per lo sviluppo della persona e, in quanto arte e scienza, risorsa
professionale, culturale nonché economica».
Nel 2011 viene prodotto un documento-appello, inviato al Ministro
dell’Istruzione e a tutte le altre autorità competenti sulla
formazione musicale degli insegnanti delle scuole dell’infanzia e
primaria, nel quale, tra le altre richieste importanti, c’è anche
quella che «siano attivati albi o registri per l’accreditamento di
associazioni musicali, corali ed enti accreditati alla formazione
presso gli Uffici Scolastici Regionali», appello reiterato nel maggio
2012.
Come si può constatare il Forum ha saputo svolgere una funzione
di attento monitoraggio dello scenario dell’educazione musicale
nella scuola italiana, inserendosi con puntualità, spirito critico ma
costruttivo, nel processo di elaborazione complessiva della
struttura dell’offerta formativa musicale nella nostra società non
perdendo mai di vista il principio fondamentale, più volte ribadito
e condiviso anche a livello internazionale, che l’educazione alla
musica è un diritto fondamentale di ogni essere umano.
La firma del protocollo rappresenta dunque una tappa importante,
ma è anche un buon inizio di un cammino che deve essere
sempre più incisivo, responsabile e costruttivo. Per questo il
Forum, vale a dire le associazioni che ne fanno parte, ha voluto
dare immediatamente un segnale in tal senso, producendo, nel
corso della stessa riunione in cui ha avuto luogo la firma del
protocollo con il MIUR, un appello al Ministro dell’Istruzione che
verrà, chiedendo «l’inserimento organico nel primo ciclo
d’istruzione di un insegnante specializzato in didattica della
musica in ogni scuola come promotore e coordinatore delle
attività musicali; l’inserimento organico nella Scuola secondaria di
secondo grado di docenti di materie musicali al fine di garantire
un’adeguata presenza della musica, della sua cultura e della sua
storia nella formazione degli studenti; il sostegno alle attività
formative musicali, e in generale artistiche, anche attraverso
deduzioni fiscali come già avviene per le attività sportive» così da
«A) dotare la scuola nel suo complesso di quella struttura
organica entro la quale poter dare omogeneità e continuità a
rinnovati e aggiornati programmi di formazione, adeguatamente
CRONACA
59
commisurati alle esigenze dei diversi livelli scolari e
collegati armonicamente fra loro lungo l’intero iter
scolastico; B) facilitare l’accesso alla pratica musicale
nonché la fruizione consapevole dell’offerta musicale
presente nel Paese da parte di bambini, giovani e
adulti, anche fuori dalla scuola».
L’appello è in rete (così come tutti i documenti
prodotti finora) nel blog all’indirizzo
http://forumasmus.blogspot.it/
Questo è anche il tempo giusto per firmarlo e
diffonderlo. Si può farlo accedendo al sito:
http://faremusicatutti.altervista.org/
musica-scuola-curricolo-territorio/
Chiunque condivida le aspirazioni sopra esposte
non esiti a sottoscriverlo: a volte l’unione fa la forza!
Il Forum è stato coordinato fino al 7 febbraio 2013
da Annalisa Spadolini ([email protected]),
attualmente e per il 2013 da Francesco Galtieri
([email protected]).
AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE CHE VERRÀ…
L’appello del Forum al futuro Ministro dell’Istruzione ha raggiunto le 8.300 firme, con un incremento delle sottoscrizioni nel periodo
successivo all’Assemblea Nazionale di Feniarco, evidente segno della sensibilità e disponibilità della coralità amatoriale italiana a
cui vanno i nostri ringraziamenti.
Gratitudine anche ai personaggi di spicco che da subito si sono messi a disposizione per sostenere le richieste contenute nell’appello del Forum. Li citiamo (in ordine di adesione): Ennio Morricone, compositore; Giovanna Salviucci Marini, musicista; Concita De
Gregorio, giornalista; Piero Badaloni, giornalista; Donato Renzetti, direttore d’orchestra; Patrizio Fariselli, musicista fondatore degli
Area; Franco La Torre, presidente di Flare - Freedom Legality and Rights in Europe; Fausto Pirito, giornalista; Paolo Belli, cantante
e direttore d’orchestra; Diego Spagnoli, musicista e responsabile di produzione dei concerti di Vasco Rossi; Saturnino Celani, musicista e bassista di Jovanotti; Omar Pedrini, musicista, conduttore TV e attore; Francesco Baccini, cantante; Mario Biondi, cantante
e compositore; Max Pezzali, cantante; Beppe Carletti, musicista, fondatore de I Nomadi; Fiorella Mannoia, cantante; Nando Citarella,
musicista e cantante; Marc Ribot, chitarrista e compositore; Banda Osiris, compagnia teatrale; Orchestra di Piazza Vittorio, Roma;
Roberto Piumini, scrittore; Giorgio Battistelli, compositore e direttore artistico dell’Orchestra della Toscana; Gianmaria Testa, cantautore; Peppe Servillo, musicista; Cico Falzone, chitarrista e cantante de I Nomadi; Alice (Carla Bissi), cantautrice; Serena Nono,
pittrice.
Anche Televideo Rai ha dato notizia dell’iniziativa. Ci auguriamo che sia l’inizio di un percorso di attenzione da parte anche degli
altri mass media.
Ennio
Morricone
Concita
De Gregorio
Omar
Pedrini
Mario
Biondi
Max
Pezzali
Fiorella
Mannoia
60
FEDERAZIONE ITALIANA PUERI CANTORES
3º CONCORSO DI COMPOSIZIONE
di Walter Marzilli
Sono stati resi noti i risultati del terzo concorso di composizione indetto dalla
Federazione Nazionale Pueri Cantores. Il bando prevedeva la composizione di quattro
salmi per la messa per coro di voci bianche, in lingua italiana o latina, con o senza
organo. I testi riguardavano i salmi di Natale, Pasqua, Pentecoste e Immacolata.
La giuria internazionale era composta da Robert Tyrala (PL), presidente della Federazione
Internazionale Pueri Cantores, Josep Torrents (E), ex presidente della federazione
internazionale e attualmente presidente onorario, Renzo Cilia (Malta/IT), Orlando
Dipiazza (I) e Walter Marzilli (pres.).
Si è aggiudicato il primo premio il palermitano Salvatore Vivona, l’unico candidato
premiato per tutti e quattro i salmi. Gli altri premi non sono stati assegnati, dal
momento che la giuria ha deciso di segnalare gli altri compositori solo per alcune
composizioni inviate. Eccole in ordine alfabetico: Ermenegildo Corsini (Rm) per il salmo di
Pentecoste; Palmo Liuzzi (Ta) per il salmo di Natale; Alessandro Spazzoli (Fc) per i salmi
di Pentecoste e Immacolata; Vincenzo Tarantino (Pa) per il salmo di Pasqua; Daniele
Toffolo (Pn) per il salmo dell’Immacolata e Paolo Vigo (Ge) per i salmi di Natale e
Pasqua. Il libretto è appena stato pubblicato, e qui a fianco ne vedete il frontespizio.
Il concorso del 2012 si inserisce in un percorso organizzativo con cadenza biennale, che
è iniziato nel 2008. Allora si trattò della composizione di una messa intera, con tutte le
parti dell’Ordinario. La giuria internazionale, formata da Jean F. Duchamps (FR) Siegfried
Koessler (D), Walter Marzilli (pres.), Gian Luca Paolucci (I) e Joseph Torrents (E), si
espresse non assegnando il primo premio. Il secondo andò a Giacomo dell’Orso (Rm) e il
terzo, pari merito, a Paolo La Rosa (Pv), Raffaele Sargenti (Pg) e Daniele Toffolo (Ve).
In quell’occasione furono segnalate le opere di Angelo Bernardelli (Mi) e Paolo Vigo (Ge).
Nel 2010 è stata la volta dei mottetti per una messa domenicale, con particolare
riferimento ai canti di ingresso, di offertorio e di comunione, in lingua latina o italiana,
con o senza organo, come le altre edizioni. La giuria era composta da Walter Marzilli
(pres.), Fabio Nesbeda (I), Gianluca Paolucci (I), Joseph Torrents (E) e Robert Tyrala (PL).
Risultati: primo premio non assegnato; secondo premio a Orlando Dipiazza (Ud); terzo
premio a Mattia Culmone (Tn). Segnalate le opere di Angelo Bernardelli (Mi) e Padre
Remigio de Cristofaro (Fi). Tutte le edizioni hanno avuto il patrocinio della Federazione
Internazionale Pueri Cantores e di Feniarco. Ogni concorso ha visto la partecipazione di
circa trenta candidati provenienti da tutta l’Italia, e questo inaspettato successo
garantisce e afferma l’interesse del mondo della composizione verso i cori di voci
bianche che cantano ancora nella liturgia.
La Federazione Italiana Pueri Cantores, con tutta la dirigenza e la sua presidente Laura
Crosato, si impegna da sempre per il mantenimento e lo sviluppo dei cori di Pueri
Cantores e per l’ampliamento del repertorio dei canti. E soprattutto per una presenza
musicale qualificata e artistica dei bambini e dei ragazzi nella liturgia.
CRONACA
61
L’UMANITÀ DEL MAESTRO…
IN RICORDO DI VIC NEES
di Efisio Blanc
Il 14 marzo scorso è mancato il compositore e direttore di coro belga Vic Nees, al quale
Choraliter ha dedicato il dossier compositore del numero 28 (aprile 2009). Vogliamo
ricordarlo attraverso l’immagine trasmessa dal maestro in occasione della sua presenza
al Seminario per compositori di Feniarco.
Ho conosciuto il maestro Vic Nees in occasione della sua partecipazione come docente a
due edizioni del Seminario Europeo per Giovani Compositori che si tiene nella piccola
città di Aosta (Italia). Ero presente, per caso, quando il maestro è arrivato all’albergo che
lo avrebbe ospitato durante il corso e feci quindi la sua conoscenza attraverso una
“prima impressione”. La non più giovane età e il passo deciso gli conferivano una certa
gravità, ma sin da subito il suo ricercare qualcuno da poter salutare e la sua voce pacata
rendevano atto di una persona socievole, curiosa e interessata a chi gli stava intorno.
A questo proposito, un suo allievo del seminario (Paolo La Rosa) diceva: «Reputo che un
bravo docente è colui che sa instaurare un buon rapporto umano con l’allievo per
metterlo a suo agio e quindi esprimersi al meglio. Vic in questo è stato ottimo, sin dal
primo momento era come se fossi sempre stato suo allievo. Non discriminava gli alunni
e sapeva trarre da ognuno il meglio».
Chiacchierando amabilmente con lui, ebbi modo di conoscere meglio le sue convinzioni
musicali: egli, in modo molto concreto, non disgiungeva mai il pensiero artistico da
quello “esistenziale”, non vedeva mai l’artista senza vedere l’uomo che vi stava dietro e
non vedeva mai l’opera d’arte senza il contesto in cui si era prodotta.
Parlando con i suoi allievi del seminario, mi raccontavano di come ogni mattina il
maestro illustrava le tecniche compositive di compositori del ventesimo secolo e di come
la sua calma e sicurezza infondevano in loro la voglia di studiare e mettersi alla prova.
Anche dopo i corsi molti allievi hanno tenuto i contatti con il maestro e hanno sempre
avuto da lui incoraggiamenti e critiche favorevoli.
2nd INTERNATIONAL COMPOSITION COMPETITION DI IFCM
Si è concluso lo scorso 19 febbraio il secondo Concorso di composizione indetto dall’International Federation for Choral Music
(IFCM). Tra i 637 lavori pervenuti, ben 35 erano opere di autori italiani, terzo Paese in ordine di partecipazione (a parimerito con
la Spagna) dopo Stati Uniti (160) e Gran Bretagna (71). Al termine delle valutazioni, la giuria – composta da Graham Lack
(presidente), Paul Stanhope, Libby Larsen, Olli Kortekngas e J.A. Pamintuan, coordinata nei lavori dal direttore artistico Andrea
Angelini – ha stabilito di assegnare i seguenti premi: primo premio a Francis Corcoran (Irlanda) per il brano Eight Haikus; premio
Sonic Landscape a Itzam L. Zapata Paniuagua (Messico) per il brano On Desire; premio Harmonic Originality a Rudi Tas (Belgio)
per il brano Pie Jesu.
Da sottolineare inoltre, tra le quattro ulteriori opere segnalate dalla giuria come meritevoli di una menzione speciale, la presenza
dell’italiano Gaetano Lorandi con il brano Ave Verum. Lo stesso orgoglio nazionale ci spinge infine a ricordare, tra i 15 lavori
ammessi alla selezione finale, la presenza di altri due italiani: Elvira Muratore, con il brano Luci serene, e Andrea Venturini, con il
brano Deafening silence.
62
DISCOGRAFIA&SCAFFALE
De Passione et Cruce Domini Responsoria
Ensemble della Cappella Sistina “Octoclaves”
Ensemble femminile “Kaleidos”
dir. Walter Marzilli
Pontificio Istituto di Musica Sacra, 2012
Nel 2011 il Pontificio Istituto di Musica Sacra ha compiuto i 100 anni dalla sua
fondazione. Nel panorama delle iniziative celebrative spicca la produzione di alcuni
CD che presentano i vari aspetti della viva pratica della musica sacra presso l’Istituto. L’ultimo della serie, registrato nel mese di gennaio 2012 e fresco di stampa,
è un CD dal titolo De Passione et Cruce Domini Responsoria, che comprende una
selezione di nove responsori dell’antico ufficio della Settimana Santa composti dai
docenti di composizione attivi presso il PIMS. Tre di questi responsori sono del
Giovedì Santo: Tristis est anima mea, di Marco Cimagalli, Ecce vidimus eum, di
Valentino Miserachs, Unus ex discipulis, di Domenico Bartolucci. Altri tre sono del
Venerdì Santo: Velum templi, di Michele Manganelli, Tenebrae factae sunt, di Silvano Presciuttini e Caligaverunt, di Italo Bianchi. Infine tre responsori del Sabato
Santo: Jerusalem surge, di Renzo Cilia, Plange quasi virgo, di Marialuisa Balza e
Ecce quomodo moritur iustus, ancora di Valentino Miserachs. Il CD contiene anche
quattro brani organistici: si apre con Vigilate mecum scritto da mons. Miserachs;
segue, dopo il primo gruppo di tre responsori, Contritum est cor meum composto
da Silvano Presciuttini. Dopo il secondo gruppo di responsori troviamo una Meditazione scritta da Michele Manganelli e, a chiusura, il brano di Marialuisa Balza
Pascha nostrum.
A eseguire i responsori, che prevedono di volta in volta tre voci maschili, tre voci
femminile e le canoniche quattro voci miste, sono l’Ensemble della Cappella Sistina
“Octoclaves” e l’Ensemble femminile “Kaleidos”, formato da coriste dell’Opera di
Roma. Dirige l’esecuzione Walter Marzilli, direttore, dal 2009, dell’Ensemble “Octoclaves”, una personalità molto conosciuta nel mondo corale e musicale sia nazionale che internazionale per la sua ricca e poliedrica attività come direttore,
didatta, musicologo, ricercatore e per la sua presenza in numerose giure di concorsi
prestigiosi, in commissioni artistiche e comitati scientifici.
Mons. Valentino Miserachs, preside del PIMS, nel suo scritto di introduzione al CD,
sottolinea come «pure nell’unità ideale del repertorio è assicurata la varietà sia
per il particolare modo in cui ogni compositore si esprime, sia per la diversità di
organico corale che alterna brani a voci dispari ad altri a voci pari, con la particolarità dei brani d’organo incastonati, che fungono da preludio e da collegamento
fra i vari responsori». Così pure consiglia l’ascolto integrale del CD secondo l’ordine
in cui vengono presentati i brani «rispettando così il corpus liturgico come ci viene
consegnato dall’antico rito romano e che costituisce un percorso di altissima spiritualità. Un itinerario ideale che gli autori, pur nella propria individualità, hanno
tenuto ben presente, avendo sottoscritto con entusiasmo questo comune progetto». E conclude sottolineando come il progetto del CD abbia dato il via alla consuetudine di realizzare produzioni, per le varie stagioni concertistiche del PIMS, che
RUBRICHE
vedano coinvolti sia i compositori che il Coro Polifonico dell’Istituto, in modo da offrire un segno importante della «vitalità
spirituale, artistica e didattica» di questa istituzione che ha
compiuto un secolo di vita. Un disco ricco di suggestioni, di
valenze e di novità: un disco da ascoltare con attenzione e
curiosità.
Alvaro Vatri
L’Italia s’è desta
Cinque composizioni per coro a cappella
del Concorso nazionale di composizione
ed elaborazione corale
Usci Lombardia
Sonitus Edizioni Musicali, 2012
«Dalla coscienza e dall’orgoglio della nostra storia dobbiamo
trarre l’energia per ritrovare slancio e fiducia in noi stessi, […]
una rivisitazione del nostro passato e con essa la consapevolezza
dei valori che lo hanno animato, rendendo possibile il conseguimento di impegnativi traguardi. Lo spirito delle celebrazioni per
il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sarà dunque animato
“dall’unità della Patria, dalla libertà dei cittadini e dagli ideali
che hanno ispirato le lotte degli uomini del Risorgimento”».
Queste parole sono state pronunciate dal Presidente Emerito
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente del
Comitato dei Garanti, nel suo intervento alla presentazione per
le celebrazioni del 150° anniversario.
Insieme alle tantissime celebrazioni, commemorazioni ed eventi, anche l’Usci Lombardia, nel 2011, stimolata da questo ampio
sentimento di “festa”, vi ha partecipato con un’importante iniziativa indicendo il Concorso nazionale di composizione ed elaborazione corale “L’Italia s’è desta”.
Il concorso, col patrocinio della Regione Lombardia e di Feniarco,
in collaborazione con il Conservatorio G. Verdi di Milano e la
Sonitus Edizioni di Varese, si è rivolto ai compositori italiani con
l’obiettivo di stimolare i musicisti a scrivere per coro in una
prospettiva che tenesse conto del recupero della nostra tradizione nazionale e degli attuali livelli tecnico-musicali dei cori
amatoriali italiani. Si è posto anche l’obiettivo di dare un contributo alla formazione di un repertorio italiano di polifonia
corale “contemporanea”.
Suddiviso in due sezioni, una per composizioni originali su testi
poetici risorgimentali e l’altra per elaborazioni di canti popolari
risorgimentali e post-risorgimentali, il concorso è stato proposto
a compositori senza limiti di età.
In molti lavori la giuria ha riscontrato problematiche ed elementi
critici di utilizzo, di congruenza, coerenza e valorizzazione dello
strumento “coro”. Per questo, infatti, non è stato assegnato il
primo premio nella sezione delle composizioni originali su testi
poetici risorgimentali e perfino tutti i primi tre premi nella sezione delle elaborazioni di canti popolari risorgimentali.
63
Tuttavia sono stati assegnati il secondo e il terzo premio ad
Angelo Bernardelli e Giorgio Susana, nella prima sezione, e non
sono mancate alcune segnalazioni di merito.
Il volumetto, recentemente edito dall’Usci Lombardia, raccoglie
le composizioni alle quali la giuria – formata da Bruno Zanolini
(presidente), Irlando Danieli, Angelo Mazza, Andrea Miglio, Paola Versetti, Tommaso Ziliani e Francesco Barburo – ha assegnato il secondo e terzo premio (primo non assegnato) della
sezione A, brani composti da Angelo Bernardelli e Giorgio Susana, e le elaborazioni di Tito Lucchina (Il feroce monarchico
Bava) e Davide Riva (Varda Gyulai) segnalate per la sezione B,
dove non sono stati assegnati premi.
Francesco Barbuto
Spatium
Coenobium Vocale
dir. Maria Dal Bianco
Velut luna di M. Lincetto, 2012
Spatium è l’ultimo lavoro discografico, in ordine di tempo, realizzato dal Coenobium Vocale di Maria Dal Bianco. Il CD è costruito sul tema dello spazio, declinato sia nella dimensione
fisica che temporale. Oltre a essere infatti eseguiti secondo
diverse posizioni spaziali, i brani proposti, di ispirazione sacra,
ripropongono cronologicamente lo sviluppo dell’anno liturgico.
Presentata al pubblico lo scorso mese di novembre, la raccolta
si apre con gli accattivanti doppi cori di Ave Maria - Angelus
Domini del contemporaneo tedesco Franz Biebl, cui seguono le
armonie distese di Lux Aurumque del musicista americano Eric
Whitacre, i possenti cori alterni della cinquecentesca Ave Virgo
sponsa Dei del chioggiotto Giovanni Croce e le delicate architetture vocali di Sancta Mater istud agas, del grande compositore spagnolo Fernando di Peñalosa. Ma ancora, per doppio
coro, ecco il maestoso Repleti sunt di Jacobus Gallus, raffinato
autore della seconda metà del ’500. Quindi un prezioso inserto
gregoriano, Virgo prudentissima, antifona della festa dell’Assunzione. Quattro sono invece le composizioni per coro spazializzato che portano la firma del compositore vicentino Giovanni
Bonato: Crux fidelis, Genuit Puerpera, Stetit Angelus e il conclusivo O lilium convalium, per coro e due violoncelli, composizione di rara suggestione, dove i testi della tradizione liturgica
latina si mescolano con il greco antico, in una contaminazione
appassionata di riti liturgici romani e ortodossi. Il Coenobium
Vocale si avvale qui della prestigiosissima esecuzione dei violoncellisti Julius Berger e Hyun-Jung Berger.
64
LA VITA CANTATA
a cura di Puccio Pucci
In questo numero intendiamo segnalare un’iniziativa convegnistica che ha riscosso
un notevole successo e una ricorrenza che vedrà impegnati numerosi cori italiani
in occasione del 150° del CAI.
Nel primo caso si è trattato di un convegno organizzato in Emilia-Romagna che
accanto alla presenza di un gruppo di direttori di cori di voci bianche associati,
ha visto riuniti numerosi docenti che svolgono le loro esperienze corali nella scuola
primaria. Dopo la presentazione di un’indagine sulla situazione dei cori nella scuola dell’obbligo condotta nelle Province della Regione, si è passati a studiare le
eventuali problematiche che gli operatori scolastici devono affrontare nel loro
lavoro e verificare i possibili interventi e le sinergie che le associazioni regionali
possono mettere in atto per sviluppare una sempre maggiore qualificazione dei
docenti nell’ambito scolastico.
La seconda notizia è molto ben descritta nell’articolo di Gianluigi Montresor che offre
un ampio panorama della presenza dei cori CAI in Italia e delinea già quale sarà
l’importante presenza di questi complessi popolari nell’ambito delle manifestazioni
programmate per celebrare il 150° del CAI e di cui daremo ampia informazione.
DAL CANTO IN CLASSE AL CORO CHE CANTA
CONVEGNO REGIONALE AERCO SULLA CORALITÀ SCOLASTICA
Bologna, 27 ottobre 2012
Il ruolo del canto corale all’interno di una formazione complessiva della persona
è da tutti riconosciuto – a parole – come della massima importanza. In tempi ancora
abbastanza recenti un Ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, ha lanciato un’iniziativa denominata “Un coro in ogni scuola” che ha suscitato interesse e adesioni
varie; in molte regioni vi sono, più o meno stabili, concorsi dedicati ai cori scolastici,
che spesso vedono la partecipazione di numerosi gruppi provenienti dalle più
svariate tipologie e ordini di scuole. Nonostante questo panorama apparentemente
positivo, il canto corale in ambito scolastico è visto spesso – nei fatti – come
un’appendice, magari fastidiosa, di una pratica musicale già di suo certamente
negletta, e spesso affidato al buon cuore e alla buona volontà di docenti spesso
poco o punto fornite di nozioni sul canto corale, sulla fonazione, sulla vocalità
specifica dei bambini e ragazzi in età scolare e sul repertorio di canti appropriati
alla voce degli scolari.
In questo panorama contraddittorio l’Aerco ha ritenuto doveroso organizzare un
Convegno regionale dal titolo “Dal canto in classe al coro che canta”, per fare il
punto sulla situazione attuale della coralità scolastica emiliano-romagnola, verificarne le eccellenze e le difficoltà e chiedere ai protagonisti stessi di quest’esperienza – gli insegnanti – quali siano le necessità e i problemi che impediscono al
canto corale una più stabile e proficua presenza all’interno delle istituzioni
scolastiche.
Nato dall’idea del maestro Antonio Burzoni, da sempre impegnato nella coralità
infantile e componente della Commissione Artistica Aerco, il convegno è stato
organizzato dall’associazione e posto sotto la presidenza della prof.ssa Benedetta
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Due immagini del convegno di Bologna
Toni, attualmente dirigente della Scuola per l’Europa di Parma
e già referente per l’Emilia-Romagna dell’iniziativa ministeriale
citata sopra. Sede del convegno era “La Tiz”, suggestiva sede
del Coro Stelutis di Bologna.
La giornata si è aperta con un breve saluto del maestro Giacomo
Monica, vicepresidente Aerco (il presidente Fedele Fantuzzi, era
impossibilitato a partecipare perché impegnato come componente la giuria di un concorso corale in altra sede) e ha visto
protagonisti i delegati delle singole province che hanno esposto
i dati emersi da un monitoraggio svolto (tramite questionari)
presso le scuole nella fase preparatoria del convegno. Dalle
varie relazioni sono emersi alcuni punti comuni indubbiamente
significativi, che ora riassumeremo.
Il primo tasto dolente è sicuramente quello relativo all’imperfetta preparazione o formazione dei docenti. Non è colpa loro,
certamente: così come nella scuola la musica è forse la disciplina meno curata, è altrettanto vero che nulla nella formazione
dei docenti di scuola primaria permette loro di potersene occupare in modo dignitoso. La cosa cambia, ma solo in parte, qualora siano presenti nel corpo docente insegnanti in possesso di
studi approfonditi di carattere musicale; ma va detto, purtroppo, che neppure gli istituti musicali o i conservatori si preoccupano di offrire agli studenti di strumento musicale anche una
buona base tecnica riferita alla vocalità: avremo quindi degli
insegnanti consapevoli dal punto di vista musicale ma non preparati dal punto di vista vocale, tanto meno sotto quello, delicatissimo, della specificità della voce infantile.
Questo stato di cose apre la strada alla presenza della figura
dell’esperto esterno: una persona in possesso di studi specifici,
musicali e vocali, a conoscenza delle particolarità della voce
infantile, conoscitore del repertorio e della tecnica della direzione corale. È palese che una figura dotata di siffatti requisiti
non s’improvvisa in pochi giorni, ma è frutto di un lungo tirocinio
fatto di studi, esperienze dirette, formazione corale e didattica;
è quindi altrettanto facilmente intuibile come queste persone
siano molto rare e quindi in numero non sempre sufficiente a
coprire la richiesta. Un ulteriore problema riguardante l’esperto
esterno è – come sempre – quello della copertura economica:
la situazione attuale della scuola è sotto gli occhi di chiunque,
e magari il denaro che in altre congiunture si sarebbe utilizzato
per l’esperto di canto corale ora viene dirottato verso spese di
altro genere, forse meno importanti didatticamente ma indispensabili per la vita quotidiana dell’istituzione scolastica. Una
possibile soluzione per questo problema potrebbe venire da
qualche forma di gemellaggio tra scuola e cori: Aerco aveva
proposto, alcuni anni or sono, un progetto dal titolo “Coro, adotta una scuola; scuola, adotta un coro”, che prevedeva appunto
alcuni momenti di scambio di esperienze tra scuole e cori presenti negli stessi spazi territoriali. Purtroppo quest’iniziativa è
naufragata nel totale disinteresse da parte delle istituzioni scolastiche. Potrebbe essere il caso di recuperarla.
Un altro aspetto di difficoltà denunciato dagli insegnanti, attraverso i questionari che hanno preceduto il convegno, è quello
dei livelli qualitativi: la “canzoncina” è un messaggio troppo
povero, si sente il bisogno di una didattica dell’ascolto più complessa e articolata che abbia inizio fin dalla scuola dell’infanzia.
Secondo i docenti, tutto è troppo legato alle occasioni e – ancora
una volta – alle buone disposizioni d’animo e di volontà dei
singoli insegnanti. Tutto è troppo improvvisato, non collegato
da un progetto reale o tanto meno da un programma vero e
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proprio: mancano tempo, formazione (come detto sopra) e soldi. Manca una vera
consapevolezza della specificità del canto rispetto agli strumenti e manca anche
– ed è bello che a denunciarlo siano direttamente gli insegnanti – la formazione
del gusto al “bel suono” e in particolare alla bella voce.
Da parte dei rappresentanti dei cori, anch’essi presenti all’evento, è emersa invece
l’esigenza di offrire, di condividere con l’istituzione scolastica il know-how consolidato da anni d’esperienza corale diretta e il patrimonio culturale che è retaggio
della coralità italiana ed emiliano romagnola; ci s’interroga quindi sul come trovare
strade che permettano una maggiore presenza corale nelle scuole d’ogni livello,
ma in particolare nell’ambito della scuola primaria.
Dal dibattito che ha seguito l’esposizione delle esperienze locali (tra le quali comunque non mancano punte d’eccellenza, in particolare a Riccione e Ravenna, con
la partecipazione di alcuni cori scolastici a concorsi di prestigio e con il conseguimento, spesso, di premi importanti) sono emerse alcune esigenze, alcune richieste
che, se esaudite almeno in parte, porterebbero un robusto impulso a una maggiore
diffusione del canto corale nelle scuole. Le elenchiamo brevemente:
• organizzare corsi di formazione per docenti: come detto, l’esigenza di una maggiore consapevolezza corale e vocale è molto sentita tra i docenti;
• un repertorio online: organizzare un sito, o una forma qualunque di base dati
in rete per coro di voci bianche, indicizzata secondo vari criteri (difficoltà progressiva, localizzazione, argomento…);
• favorire la “verticalizzazione” dell’esperienza corale: creare i presupposti perché
l’alunno possa essere portato a cantare in modo corretto partendo dalla scuola
dell’infanzia per proseguire nella primaria e secondaria di primo grado. Si è
ventilata anche l’ipotesi di stimolare la creazione di un libro sul canto corale con
articolazioni diverse a seconda degli ordini di scuola;
• la creazione di un elenco di possibili esperti esterni, magari appoggiandosi direttamente ad Aerco e vagliando possibili candidature e/o proposte: è in ogni
modo sempre possibile trovare – anche tramite l’associazione – i nomi dei cori
più vicini, in modo da poterli contattare direttamente;
• istituire un referente scolastico per ogni provincia che sia in grado di coordinare
le attività corali scolastiche, offrendo consulenza e collaborazione alle scuole
che le richiedano;
• stilare un documento che illustri l’utilità, nelle scuole, del canto corale “fatto
bene”;
• motivare gli insegnanti.
Un’ulteriore richiesta, oltre a quella di una più capillare diffusione delle informazioni
riguardanti le iniziative attinenti al canto corale, è di sollecitare i dirigenti scolastici
d’ogni livello a essere più sensibili riguardo alle attività musicali e vocali nelle
scuole e per le scuole: è stato osservato che molto spesso la catena di comunicazione di queste notizie si spezza a livello di segreteria/dirigenza, senza che le
comunicazioni raggiungano i docenti interessati a queste esperienze.
Al termine della mattinata la prof.ssa Benedetta Toni ha ricapitolato gli interventi
e sottolineato che la consapevolezza dei problemi è già un inizio di soluzione. Ha
ricordato inoltre che i problemi in essere non devono né occultare le esperienze
positive presenti nella nostra regione, né costituire un alibi per non impegnarsi
nell’attività corale nella scuola.
RUBRICHE
Dopo il pasto offerto da Aerco si è iniziato il lavoro pomeridiano
con un intervento del dott. Lanfranco Perini, musicista, insegnante ed editore, che ha parlato con profonda competenza e
passione della vocalità infantile e ha illustrato alcune pubblicazioni della sua casa editrice sull’argomento. A lui è subentrata
la prof.ssa Sonia Mireya Pico che ha svolto la parte di convegno
riguardante il repertorio. Sotto la sua guida i docenti hanno abbandonato il loro ruolo per tornare un attimo bambini, mettendosi in cerchio e imparando alcuni canti, mentre allo stesso
tempo rinfrescavano e recuperavano alcune tecniche utili per
l’insegnamento del canto ai bambini veri. Grazie all’entusiasmo
e all’energia della prof.ssa Pico l’atmosfera si è fatta più distesa,
in contrasto con l’intenso lavoro mattutino, tanto che il maestro
Pierpaolo Scattolin, ex presidente Aerco, si è seduto al pianoforte
improvvisando simpaticamente alcuni accompagnamenti ai canti
proposti dalla docente.
La chiusura della giornata era affidata, inevitabilmente, a un
coro scolastico. A esibirsi davanti a questa sceltissima platea è
stato chiamato il coro Libere Note della scuola Mordani di Ravenna, organizzato e diretto dalle maestre Elisabetta Agostini
e Catia Gori. I giovanissimi cantori hanno spaziato da brani
classici al repertorio popolare, esibendosi a più voci con grande
maestria e conquistando l’uditorio con la loro freschezza e bravura, coronando con l’alto livello della loro esecuzione una
giornata che resterà a lungo nella memoria di chi l’ha vissuta.
Matteo Unich
UN CORO DI 1.800 VOCI
In vista dei programmi per il 150° del CAI nel 2013, e in seguito
alla proposta di un censimento avanzata dai cori torinesi del
CAI (Edelweiss e CAI Uget) per conoscere lo stato dell’arte della
coralità in ambito CAI con un questionario approfondito, sono
stati ben 64 i cori del CAI che hanno risposto al questionario.
I numeri che ne emergono sono imponenti: complessivamente
si tratta di 1.873 coristi impegnati tutte le settimane, in molti
casi anche due volte la settimana, in prove ed esecuzioni. Sono
valutabili in oltre 750 i concerti che mediamente vengono
proposti al pubblico nel corso di un anno. Se prudentemente
stimiamo in 100 gli spettatori medi di questi concerti, arriviamo
alla stima di oltre 75.000 persone che annualmente vengono in
contatto col mondo CAI attraverso la musica e la proposta culturale che i cori portano avanti. Dunque un fenomeno non solo
qualitativamente ma anche quantitativamente rilevante, soprat-
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Il coro CAI di Roma al Salerno Festival
tutto verso l’esterno, come viene confermato anche dall’attività
editoriale svolta dai cori (CD, DVD, dischi, pubblicazioni).
I cori CAI sono presenti in 16 regioni su 21 (considerando separati
Trentino e Alto Adige): non hanno risposto al questionario eventuali cori di Valle d’Aosta, Liguria, Molise, Basilicata, Sicilia. In
alcune di queste regioni è nota la presenza di cori anche importanti, ma non all’interno del CAI. La regione con più cori è la
Lombardia (14), seguita dal Piemonte (13). Cinque regioni hanno
un solo coro. Le prime quattro regioni (con Emilia Romagna e
Veneto) coprono il 57% del totale.
I cori storici più antichi ancora in attività sono i famosissimi SAT e
SOSAT, nati a Trento nel 1924. Fino al 1950 come data di fondazione
sono complessivamente 11 i cori che hanno più di 60 anni di vita.
Si assottigliano i numeri nei decenni successivi, per tornare poi a
crescere prepotentemente dal 1991: addirittura 31 cori (48% del
campione) sono nati dopo quell’anno, 21 dopo l’anno 2000 (33%).
Abbiamo un 55% di cori maschili, un soprendente 44% di cori
misti ma un solo coro femminile (Carrara); ma su 31 cori nati
negli ultimi 20 anni ben 22 sono misti, equamente rappresentati
in tutte le regioni italiane qui presenti.
La maggior parte (55%) è costituita da 25-34 coristi ma non
mancano cori numerosissimi (22% ne ha oltre 35); un dato dolente è il 38% dei cori che non ha coristi sotto i 40 anni, in
compenso esistono 2 cori di soli giovanissimi (Bovisio Masciago
e Molteno); i concerti tenuti nell’anno sono mediamente 15-20,
ma 4 cori ne tengono oltre 20; la maggior parte dei cori si
esercita con una prova la settimana, ma il 44% si impegna addirittura 2 volte, per un totale di 5-6 ore settimanali. Più della
metà dei cori possiede registrazioni professionali.
Gianluigi Montresor
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
I nostri corpi come i nostri strumenti.
La voce, quando esprime idee musicali ed emozioni attraverso la parola e il canto,
riflette una naturale integrazione di corpo, mente e cuore. Questa connessione è
descritta da Inayat Khan nei suoi Sufi Teachings (Insegnamenti Sufi).
«La voce proviene direttamente dall’anima come respiro ed è portata in superficie
per mezzo della mente e degli organi vocali del corpo. Quando l’anima desidera
esprimersi nella voce, provoca dapprima un’attività nella mente, e la mente, per
mezzo del pensiero, progetta le vibrazioni più belle sul piano mentale. Queste a
tempo debito si sviluppano e corrono come respiro attraverso le regioni dell’addome, dei polmoni, della bocca, della gola e degli organi nasali facendo vibrare
tutta l’aria, fino a che si manifestano in superficie come voce».
Non è ancora primavera, ma le sue caratteristiche sono evidenti già da tempo. Nel
mio piccolo giardino l’ultima neve è caduta sulle primule e sui boccioli di narciso
trombone. Quando i nostri lettori riceveranno questo saluto la primavera sarà
inoltrata, ma non troppo tarda per l’augurio che Mondocoro vuol porgere.
Un insegnamento sufista (per restare in tema con la citazione!) recita: «L’obiettivo
non è quello di placare la sete. L’obiettivo è quello di sviluppare la sete perfetta,
in modo che non dobbiate mai smettere di bere». Non so forse spiegarmi chiaramente, ma sento che questo è per tutti un bellissimo augurio primaverile. Siano
le vostre sedi, le vostre prove di canto e i vostri concerti l’ambito che sviluppa in
ciascuno di voi una sete perfetta di sapere, di umanità, di pace per tutti affinché
non dobbiate mai smettere di bere gioia, serenità e bellezza.
QUALCHE PENSIERO PER…
…i cantori meno giovani
Frequento cori e mi dedico all’associazionismo corale da ormai un bel
po’ di anni e mi son fatto un po’ di
idee. Sbagliate? Forse, ma sono anche idee di cui magari nessuno parla. In particolare, una di queste è
forse viziata da un dato anagrafico
personale, la coscienza di una sopravveniente minor giovinezza, ma
non per questo è meno reale. Quanti
cantori italiani sono o stanno per entrare nelle condizioni di giovinezza di spirito
ma vecchiezza di corde vocali? Non vi è dubbio che dedicarsi alla coralità infantile
e giovanile in tutte le sue forme e aspetti (come fa tutto l’associazionismo nazionale
e internazionale) è voler garantire il futuro, e – soprattutto – un futuro migliore,
alla musica ma anche alla società in generale. Ma i cantori anziani, pardon, meno
giovani non sono il presente? E tutti noi sappiamo che non c’è futuro senza presente! Diamo un occhio di attenzione anche al presente!
RUBRICHE
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Un anti-esterofilo come me deve anche rilevare che all’estero
si parla un po’ di più e con maggiore serenità di “cantori anziani”,
di cantori dai 55-60 agli 80 e tanti anni. Perché da noi no?
Proprio prendendo lo spunto dagli interventi di un paio di direttori di coro stranieri, magari in attesa che Choraliter vi dedichi
se non un intero dossier almeno uno studio più serio di questo,
propongo ai ventiquattro lettori di Mondocoro alcuni pensieri
in merito e segnalo una manifestazione corale specifica che si
svolge non lontano da noi.
Pensionati con corde
vocali che scricchiolano
L’americano Thom Baker afferma: «molti dei miei allievi sono
pensionati, persone che sono venute da me sperando che ci sia
qualcosa che si può fare per alleviare alcuni dei loro cigolii,
scricchiolii, tremolii e gracchiamenti di voce, sperando di dare
alla loro voce e al loro canto un altro paio d’anni di vita».
Beh, in queste tre righe c’è tutto quello che io e i miei coetanei,
anche in Italia, vogliamo! Cerchiamo qualcuno che abbia scelto di
dedicare attenzione
all’invecchiamento della voce, che abbia voluto capire perché alcune persone cantano
splendidamente a 80
anni, mentre altre vengono meno già dopo i
50.
«Beh – sostiene Baker
– è per lo più problema
di tecnica, o di mancanza di tecnica. Molti dei miei migliori cantanti hanno oltre 70 anni. Alcuni sono venuti da me per quasi
un decennio e sanno ancora cantare bene a 80. Il motivo è che
viene loro insegnato a respirare e a gestire bene le note in
connessione con il fiato».
Ce ne rendiamo conto abbastanza bene anche noi che con l’avanzare dell’età, le parti del meccanismo vocale sono “cristallizzate” e che dal punto di vista muscolare il controllo diventa
più difficile. Ma non si può e/o non si deve proprio fare niente?
Baker sostiene che questi problemi si tengono sotto controllo
con una corretta respirazione. «Questa garantisce la possibilità
di cantare al meglio anche nei primi anni, ma di più ancora è
necessaria con l’aumentare dell’età. Il concetto», continua il
direttore americano, «è quello di controllare le corde vocali con
il respiro, invece di controllare il respiro con le corde vocali».
Sembra dirci: “La voce è respiro; usalo, spendilo. È gratis (ancora, per il momento!)”. E generosamente suggerisce che se si
vuole essere in grado di utilizzare queste persone meno giovani,
bisogna che qualcuno assuma una responsabilità personale,
che può essere semplicemente trovare un vero maestro della
voce ( e impegnandosi personalmente, Thom garantisce la restituzione di un cantore “nuovo” in una settimana a chi volesse
inviargliene a Itaca, USA, uno “vecchio”!).
«Per quanto riguarda la perdita di udito – altro nostro problema!
– non posso aiutarvi», dichiara sconsolato il direttore di coro
(Limitato! Noi, invece, troviamo sempre qualche maestro onnipotente!). «Ci sono anche cantori giovani e di mezza età che
hanno problemi di udito», continua. «Mio padre era molto duro
d’orecchio già prima dei 70 anni. Io stesso da quando ho 50
anni sento la mia voce che cambia e il mio corpo che poco a
poco mi tradisce. Se saremo benedetti con una lunga vita, accadrà a tutti noi. Se ci sarà qualche grave mutamento a causa
di variazioni correlate all’età e non avremo la possibilità di essere guidati su come poterci adattare, la lunga vita potrebbe
non essere sentita come proprio una benedizione!»
Amici, ricordiamoci che un giorno potremmo ritrovarci in questa
situazione; come reagiremo quando ci verrà data la notizia? Non
abbiate paura! Una speranza ci viene sempre da Baker. «Per
quanto mi riguarda – dice – continuerò a curare la mia voce per
gli ottua e nonagenari nel mio studio sulla voce e nei miei cori».
Chi scrive auspica che egli possa avere molti seguaci; sì, perché
alla nostra età un viaggio a Itaca non è sempre facile.
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Cantori a… 97 anni
I cantori di Encore Creativity for Older Adults hanno da 55 a 97 anni; lo dice Jeanne
Kelly, la fondatrice nonché direttore esecutivo dell’associazione. “Encore Creatività
per gli adulti più anziani” si impegna a fornire un ambiente artistico d’eccellenza,
sostenibile e accessibile alle persone più anziane, e comunque dai 55 anni in poi,
indipendentemente dalle loro esperienze o abilità precedentemente acquisite. I
soci di Encore Creativity sono persone che hanno cantato tutta la loro vita, oppure
che non cantano da 20, 30, 40 anni, o ancora, persone che non hanno mai cantato.
Esse cercano opportunità di educazione artistica e di esibizioni artistiche sotto la
guida di un artista professionista. Encore è un progetto che negli USA si sta diffondendo a livello nazionale favorendo la creazione di numerose associazioni corali
nuove. I cori di Encore non fanno audizioni, ricevono dall’associazione CD e altro
materiale per il riscaldamento della voce e per lo studio delle parti separate. Encore
ha fatto proprio il concetto che se le persone possono parlare, esse possono anche
cantare, che il canto è un’arte che dura tutta la vita. Cantare è uno stile di vita. È
quindi assolutamente necessario avere il miglior direttore di coro possibile, uno
che sappia spiegare anche tecnica vocale e non semplicemente dire “produci questo suono”. Di certo a uno che ha cantato tutta la vita non si può dire che è il
momento di smettere. Encore è sinonimo di eccellenza artistica, di benessere mentale e fisico e di immensi benefici sociali; attira molti livelli di canto e pertanto è
compito dei nostri direttori farsi carico dei problemi che vengono con l’invecchiamento della voce. Non è mai troppo tardi per affrontare problemi di tecnica vocale.
«Per quindici settimane tutte le nostre corali preparano lo stesso repertorio, poi
le uniamo, a seconda dello spazio della sala, per produrre enormi concerti gratuiti
rivolti a un favoloso pubblico straripante. Di solito cantiamo con 100 e più cantori
e il nostro Kennedy Center ospita abitualmente 275 cantori Encore. È davvero
emozionante… I suoi cantori adulti Encore li tratta con grande professionalità, li
sfida proprio come sfiderebbe cantori giovani». Quindi non mandare via i cantori
adulti, non snobbarli, porteresti via il loro amore per la musica, la loro dignità e
il loro servizio. Nella pagina http://encorecreativity.org è possibile vedere il programma dell’associazione in corso fino a maggio.
G.E.O. corale
G.E.O. - Gruppo Età d’Oro, denominazione che vediamo solitamente abbinata alla
prestigiosissima e conosciutissima sigla CAI, ma che non stona affatto se applicata
all’attività corale. Dimostrazione: ho avuto modo recentemente di esaminare l’interessante relazione sullo studio svolto da Lo Scarpone (rivista online del CAI) circa i
cori CAI, e mi son permesso successivamente di sottolineare come questo dettagliato
studio non copre comunque la coralità CAI in senso globale, in quanto militano nelle
file del CAI innumerevoli cantori che mai hanno cantato in un coro CAI, ma che cantano
da una vita in altri cori di genere popolare, polifonico classico e moderno, gruppi di
canto gospel/spiritual, cori lirici e quant’altro. E molti di questi cantori/soci CAI hanno
un’età superiore ai 55 anni! Chissà quanti cori GEO potremmo formare! Con essi
potremmo partecipare a settimane cantanti, festival e concerti un po’ ovunque.
RUBRICHE
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I LIBRI DI OGGI
The Savvy Musician
(Il musicista accorto)
2009, di David Cutler
«Se qualche volta ti sei chiesto come
mai qualcun altro ha successo e tu no,
leggi questo libro. Inoltre – cosa ancor
più importante – scoprirai infiniti modi
per essere sicuro che sei proprio tu colui al quale la gente si sta interessando
per il futuro» (Jeff Nelsen, cornista dei
Canadian Brass).
Sarai anche bravo, ma sei accorto? Il successo come musicista
professionista richiede molto di più del semplice talento e di
un po’ di fortuna. Sei dotato di talento? Sei ben preparato e
molto appassionato di musica? Non sei il solo. Il mondo dei
professionisti è pieno di grandi musicisti, tutti in gara per la
pesca dalla stesso mare musicale.
Questo libro esamina alcuni degli elementi critici che spesso
sono trascurati o fraintesi dai musicisti, per esempio l’imprenditorialità, lo sviluppo del prodotto, il branding, il marketing, il
networking, i nuovi standard di registrazione, la finanza personale, il finanziamento, la pertinenza e l’adeguatezza delle componenti informatiche
Il musicista accorto ti aiuterà a bilanciare tre aspetti essenziali:
costruire una carriera, guadagnarti da vivere e cambiare le cose.
Con esso scoprirai come è possibile elaborare una tua propria
strategia e costruire una carriera significativa e prospera. Scoprirai come puoi costruire un “marchio”, utilizzare la tecnologia
dallo strumento internet alla nuova tecnica di registrazione,
espandere la tua rete di lavoro e guadagnare abbastanza denaro
per realizzare i tuoi sogni. Questo libro ti aiuterà a prendere il
controllo della tua carriera scoprendo delle opportunità che
devono essere prospere e importanti. Il musicista accorto è una
risorsa inestimabile per chiunque aspiri a un interessante e
fiorente futuro professionale in campo musicale.
Singing in the African
American Tradition
(Il canto nella tradizione
afro-americana)
di Ysaye Barnwell
Metodo vocale, libro corredato da 4
CD, uscito nelle librerie in data 1 dicembre 1998. È stato scritto nel 1989
da Ysaye Barnwell in collaborazione
con George Brandon.
Quest’opera getta una luce molto interessante sulle origini del
canto gospel. Contiene anche un capitolo dal titolo Come si
differenziano i canti gospel dagli spiritual e come si stanno
evolvendo. Nel libro di Ysaye Barnwell ci sono molte informazioni preziose sulla storia del gospel dai tempi in cui non era
ancora chiamato gospel, con molti esempi tratti da Acappella
Rehearsing for Heaven, di Tony Backhouse.
Coloro che amano cantare saranno entusiasti del materiale inciso su questi quattro CD. Barnwell, membro fondatore di Sweet
Honey in the Rock, insegna le melodie a più parti, le armonie,
i ritmi e le contro-melodie di più di 20 canti ispirati: canti africani,
spiritual, canti gospel e inni per i diritti civili americani e per i
movimenti di libertà africani. Il libro con CD comprende anche
molti dati storici ed è perfetto per singoli cantori, cori, chiese,
campi di lavoro e gruppi della comunità che vogliono partecipare a questa edificante tradizione di canto.
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ANEDDOTI PIACEVOLI E BELLE STORIE
Il bacio di Beethoven
Vi siete mai sentiti dire «Siete a “n” strette di mano da Beethoven»?
È un’espressione che qualche tempo fa, durante una importante manifestazione
corale, il noto compositore John Rutter usò con gli allievi del suo workshop. Credo
che ogni cantore vorrebbe sentirsi fare questo complimento almeno una volta dal
proprio direttore di coro, anche se al posto di “n” ci va, ormai, un numero non più
molto basso. Esso indica, comunque, una discendenza qualitativa diretta dal grande musicista.
Una semplice ricerca su Google di “Quante strette di mano ci separano da Beethoven?” può rivelare delle storie carine. Eccovene un paio, la prima: «Un mio amico
di università ha studiato pianoforte (prima stretta di mano)
con uno studente di Schnabel
(seconda stretta di mano), che
a sua volta ha studiato con Liszt
(terza stretta di mano). Una
quarta stretta di mano ti porta
dritto a Beethoven e con una
quinta si giunge a Haydn e Mozart in men che non si dica».
La seconda: «C’è una storia interessante a proposito di un
giovane pianista ungherese, Foldes Andor. Quando aveva 16 anni, era già un abile
musicista, ma lui stava vivendo un anno travagliato. Uno dei pianisti più famosi
dell’epoca venne a Budapest. Emil von Sauer era famoso non solo per se stesso
e la sua abilità artistica, ma anche perché era l’ultimo allievo superstite del grande
Franz Liszt. Saputo del giovane Foldes, Von Sauer chiese che il giovane suonasse
per lui. Il ragazzo fu messo alla prova con alcuni dei pezzi più difficili di Bach,
Beethoven e Schumann. Quando ebbe finito di suonare, Von Sauer si avvicinò a
Foldes e lo baciò sulla fronte. “Figlio mio – disse – quando avevo la tua età sono
diventato allievo di Liszt che, dopo la mia prima lezione, mi baciò sulla fronte
dicendo: ‘Abbi cura di questo bacio. Viene da Beethoven che lo ha dato a me dopo
avermi ascoltato suonare’. Ho aspettato tanti anni per trasmettere questo patrimonio sacro, ma ora sento che tu lo meriti”» (Frank Albinder).
Un grande progetto di pace
Un grande progetto ha coinvolto il coro Al Baath (arabo), il coro Collegium Tel Aviv
(ebraico) e Timna Brawer (cantante ebrea di Vienna), con Eli Meiri. Lo scopo del
progetto è stato quello di far cantare insieme esponenti di tre grandi religioni:
Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Dopo prove intense e grande determinazione, Al
Baath è stato in grado di cantare a quattro voci (nonostante il fatto che nessuno
nel coro sapeva leggere la notazione musicale). Questo progetto, oltre a incoraggiare la coesistenza pacifica tra ebrei e arabi, è stato anche l’occasione per un
salto di qualità da parte del coro Al Baath per il quale, poco a poco, il canto polifonico è diventato “possibile”.
RUBRICHE
EVENTO ITALIANO
Per la bisiacaria… un inno d’amore
A giustificare il fatto che un anti-esterofilo come me si sia impegnato a proporre in Mondocoro notizie quasi esclusivamente
straniere si può solo chiamare in causa la dantesca legge del
contrappasso. Da essa, però, ogni tanto mi svincolo e, varcate
a ritroso tutte le frontiere, attraverso le Alpi ritorno in Italia
dove mi accoglie «el grillo buon cantore che canta lieto verso»
(l’unico grillo che io conosca!), dove ritrovo tanti affetti, molti
amici, tante cose belle e originali.
Voglio attirare brevemente l’attenzione dei ventiquattro lettori
di Mondocoro sul Gruppo Costumi Tradizionali Bisiachi di Turriaco (Go), che con il proprio coro e i propri suonatori s’è fatto
protagonista di un evento particolare ed encomiabile (per una
prova certa – ora che siamo tutti informatizzati per esigenze e
volontà di INPS – possiamo guardare su Youtube: www.youtube.
com/watch?v=mwK_XeSMrC4).
È cosa buona e giusta proclamare sempre e ovunque l’amore
alla propria terra, più ancora se ciò avviene cantando un’amabilissima polka dal ritmo brioso e immediatamente orecchiabile,
che evoca le ottocentesche danze boeme da cui peraltro sembra
trarre origine l’Inno ai Bisiachi. È ciò che ora il gruppo popolare
guidato da Caterina Chittaro può fare con facilità avendo saputo
sfruttare al meglio l’ingegno poetico di Livio Glavich e quello
musicale di Massimiliano Natali e di Caterina Biasiol. Con questi
artisti è nato nel gruppo l’inno che esalta la Bisiacaria, terra
bagnata dall’Isonzo, regione di cui è perfino difficile parlare
visto che nessuna carta geografica ne evidenzia l’esistenza. Ma
è con tutti i cantori e suonatori del gruppo che l’inno vive, si
diffonde, promuove una terra generosa e sentimenti di umanità
incorrotta. L’argomento dell’inno, infatti, né aulico né patriottico, è legato alle vicende di gente umile che da sempre, in attesa
di tempi migliori, resiste alle avversità; esprime senso di appartenenza a una terra fra mare e monti («…al mar lo vémo / a
pochi passi / monti a corona / da drio la schena…»), si rifà alle
origini contadine dei suoi abitanti che in giro per il mondo hanno
finito per fare i più disparati mestieri.
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E se qualcuno volesse sapere “perché mai un inno?”, ecco la
risposta più semplice: «E cun sto inno / che noi cantemo / par
mila strade / andove che andemo / volemo portar / dei Bisiachi
l’amor / che tuti i Bisiachi / semena ta’l cor». Più che giusto
sottolineare in chiusa: «che i Bisiachi / semena ta’l cor».
PERCHÉ PARTECIPARE?
Europa Cantat et similia:
perché partecipare?
Ciao amico corista, amico direttore di coro. Quello che sto per
dirti proviene direttamente dal cuore. L’andare a eventi di Feniarco, di ECA-Europa Cantat, di IFCM, frequentare seminari corali
e concorsi di buon livello (ovunque organizzati) non solo mi dà
maggiori conoscenze su come avvicinarmi alla musica corale,
ma mi dà intuizioni e fornisce suggerimenti su come posso costruire le mie prove di canto in modo che siano più produttive,
efficienti, divertenti e stimolanti. Inoltre incontri corali e workshop mi danno un sacco di idee sul repertorio, mi aiutano a
tenere il passo con le ultime offerte di buona musica corale
italiana (sarà poca, ma c’è!) e straniera (è molta, ma non sempre
all’altezza della moda che la diffonde!). E partecipare a queste
iniziative (“convention” mi darebbe più tono? Ma questo anglicismo/americanismo non mi piace!) ricarica le batterie corali,
rendendomi più motivato quando torno ai miei cori e alle mie
prove.
Sono consapevole del fattore costi (viaggi e soggiorno!) e capisco quanto scoraggiante sia, per cantori e direttori, lo stare
assenti più giorni da casa, da lezioni, da lavoro e attività varie,
ma non potrò mai sottolineare abbastanza che ne vale la pena!
Ho cercato per anni (quasi sempre senza successo) di convincere
cantori e direttori di coro a venire con me alle assemblee e
settimane cantanti promosse da Feniarco, ECA-EC e IFCM.
Quello che – non partecipando – i miei cantori e direttori di coro
spesso hanno perso sono stati, secondo il mio parere e quello
di molti altri, i concerti più stimolanti ed espressivi di cui non
hanno mai nemmeno sentito parlare nella loro vita (il che non
è poco se detto da uno come me che in tante circostanze e in
tutta Europa di concerti e di gruppi corali importanti e favolosi
ne ha sentiti un certo numero).
Quindi il punto è: non sai cosa ti perdi fin quando non ti decidi
a fare un passo oltre il problema finanziario e temporale e…
semplicemente decidi di partecipare!
Se il Symposium Corale Mondiale di agosto 2014 a Seoul (Korea)
è fuori dalla tua portata economica e disponibilità di tempo,
perché non mettere in bilancio la tua presenza al Festival Europa
Cantat 2015 a Pécs (Ungheria) e programmare fin da ora il reperimento dei fondi necessari e la disponibilità di tempo? E se
neppure Pécs è fattibile, perché non pensare ad Alpe Adria
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Cantat che ha luogo ogni anno a Lignano (Ud) la prima settimana di settembre?
Sono certo che non rimarrai deluso nella tua scelta. E almeno… allora saprai che
cosa, in passato, ti sei perso.
Infine, un altro vantaggio dall’essere parte della “comunità corale”: fare rete! Incontrerai altri direttori di coro e cantori; scoprirai che essi hanno da condividere
situazioni talvolta simili e talvolta diverse dalle tue. E chi lo sa? Potrebbe succedere
che quando sarai alla ricerca di un lavoro, forse scoprirai che il posto di cui ti stai
interessando era tenuto da qualcuno che ha parlato a un convegno in cui tu eri
presente. Puoi immaginare cosa potrebbe succedere se, esaminando i diversi curricula pervenuti, gli esaminatori riconoscessero il tuo nome tra tutti gli altri che
non conoscono? Puoi immaginare come l’essere conosciuto in quella circostanza
potrebbe aiutarti? È semplicemente un pensiero. Ma colloqui di lavoro a parte,
non posso trattenermi dal dirti quanto gratificante sarà per te poter costruire relazioni e condividere idee con persone che hanno la tua stessa passione per la
musica corale. Con riferimento alla partecipazione a convegni di qualunque tipo,
questa condivisione della stessa passione è un altro aspetto interessante sul quale
dubito fortemente che rimarrai deluso.
UN COMPOSITORE ALLA VOLTA
Un giovane compositore
Matt Van Brink è un giovane pianista e compositore americano che attualmente vive a New York. Suona anche la
fisarmonica in brani d’opera, in musica da camera e in
gruppi di musica popolare e dirige sia opere proprie che
di amici compositori. Come compositore, oltre che alla
musica corale si dedica a quella per danza, per film e da
camera; s’interessa di jazz e vive dando concerti, componendo musica e facendo l’insegnante.
Matt Van Brink è stato il vincitore assoluto del primo concorso IFCM di composizione corale nel 2010. È entusiasta
di aver lavorato con Grete Pedersen e il Coro Giovanile
Mondiale a Oslo, in occasione dell’assegnazione dei premi Nobel nel mese di dicembre 2011. Attualmente è un Fall 2012 Artist Fellow presso la fondazione Wurlitzer
di New Mexico, dove si sta dedicando alla composizione di un ciclo di canti per il
Duo Olson - De Cari su testi di scienziati del nostro tempo. Durante la stagione
2011-2012 Matt ha prestato servizio come compositore-non-in-residence presso la
San Francisco Choral Artists per la quale ha composto diversi nuovi lavori. Come
compositore residente presso il Concordia Conservatory of New York continua a
comporre ambiziose nuove opere di musica da camera e di teatro musicale per
giovani esecutori, ed è felicissimo di aver “ucciso i classici” con arrangiamenti per
un nuovo album pubblicato lo scorso inverno dall’inimitabile Polkastra. Subito
dopo aver vinto il concorso IFCM Matt Van Brink ha firmato un contratto con l’editore
tedesco Hayo Music che successivamente ha pubblicato sia diversi suoi lavori
recenti per coro sia due volumi di nuovo repertorio per giovani suonatori di strumenti a corda, Strings Attached. Nel complesso il premio IFCM sembra aver fornito
alla carriera del giovane compositore un impulso più che notevole.
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CD RECENTI
Choral music by Eric Whitacre:
hope, faith, life, love.
Quando si tratta di scrivere musica Eric Withacre ha un istinto sicuro al di là di
ogni tipo di avanguardismo del ventunesimo secolo. Egli è il rappresentante di una
generazione di compositori che considera la tonalità e l’accessibilità della musica
un elemento cruciale delle proprie opere. Il Junges Vocalensemble Hannover traduce questo istinto in suono, e sviluppa la pienezza di colore delle composizioni
con un livello di maestria artistica eccezionale. Il CD è pubblicato da Rondeau
Productions che si è guadagnato una solida reputazione consegnando al pubblico
musica sacra della più alta qualità artistica e tecnica.
James Whitbourn: Annelies
«La prima importante trasposizione corale del Diario di Anna Frank presenta le
notevoli e penetranti osservazioni che l’adolescente, mentre se ne stava nascosta
ai nazisti in una soffitta di Amsterdam, ha scritto come base straordinaria e commovente del suo piccolo diario. La musica di Whitbourn per questo lavoro è stata
descritta come “ferocemente bella”» (The Daily Telegraph).
«La musica di Whitbourn riflette i suoni delle campane di Westerkerk e le melodie
sentite alla radio da Anna Frank mentre era nel suo nascondiglio, e insieme evidenzia rappresentazioni esplicite del suo patrimonio culturale ebraico e tedesco,
dettagli che aumentano ancor di più il punteggio di un’opera il cui rispettoso
eufemismo è la sua più grande forza» (The Times).
Annelies (Anne) Frank nella storia ha un posto permanente come studentessa
ebrea che mentre si nasconde ai nazisti scrive un diario la cui lettura, ora che
conosciamo la sua fine a Bergen Belsen, è una lettura difficilmente sopportabile.
Da queste pagine poetiche di Anna Frank, Melanie Challenger ha modellato un
libretto elegiaco che James Whitbourn mette in musica con grande rispetto, una
musica che è quasi impossibile ascoltare senza lacrime. Arianna Zukerman canta
con bellezza sommessa mentre il Gruppo Westminster Williamson Voices di Princeton (New Jersey) con abile precisione dà forma alle linee squisite di Whitbourn
facendoci ricordare i corali di Bach.
CD
CD
CHORALITER
Bando di partecipazione
Feniarco intende selezionare registrazioni
dotate dei requisiti necessari per essere allegate alla rivista nell’anno 2014.
Al presente bando potranno partecipare tutti
i cori italiani. Le registrazioni, inedite o edite in
tiratura limitata, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di
5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri:
> avere carattere unitario, presentandosi come
un progetto focalizzato su un tema omogeneo
e artisticamente significativo, tale da poter
essere oggetto di un dossier della rivista;
> essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto;
> avere una durata non inferiore ai 50
minuti.
Le registrazioni andranno inviate a
Feniarco entro il 31 maggio 2014 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione.
Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in
base ai predetti criteri.
La redazione si riserva la possibilità di utilizzare anche parzialmente le registrazioni pervenute,
pubblicando un CD antologico.
I costi di realizzazione del master sono a carico
dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione,
alla stampa dell’eventuale booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà
inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ai diritti che saranno esercitati da Feniarco in quanto editore.
Per le registrazioni eventualmente già edite,
dovrà essere allegata una liberatoria da parte
dell’editore, che autorizzi alla duplicazione e diffusione.
Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 50 copie omaggio della rivista e ulteriori 100
copie del CD.
in collaborazione con
Di fronte al mare, vicini alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste,
questa settimana internazionale di canto corale ospiterà 6 atelier,
aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica!
Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing, e tutti i
partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica.
Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale.
international
singing week
£
2013
K££1 Musica per cori di voci bianche e corso per direttori
Docente Luigi Leo (IT)
K££2 Monteverdi e la Scuola Veneziana
Docente Fabio Lombardo (IT)
K££3 Spiritual e gospel
Docente André J. Thomas (US)
K££4 Musica romantica
Docente Rainer Held (CH)
K££5 Vocal Pop / Jazz
Lignano/Italy
Docente Rogier IJmker (NL)
K££6 World Music
Docente Silvana Noschese (IT)
1»8 settembre
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mXkk^`$"
informazioni
Feniarco
Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
www.interattiva.it
con il sostegno di
Regione Friuli Venezia Giulia
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Fondazione CRUP
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