n. 40 - gennaio-aprile 2013 Rivista quadrimestrale di Feniarco Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali ERIC WHITACRE TRA LUCE E ORO STABAT MATER DI GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA CANTARE A SCUOLA NUOVE INIZIATIVE A FAVORE DELL’EDUCAZIONE MUSICALE PASSATO E FUTURO DELLA CORALITÀ ITALIANA LA VOCE NELLO SPAZIO DALLO SPAZIO DEL CORO AL CORO SPAZIALIZZATO Anno XIV n. 40 - gennaio-aprile 2013 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Bernardino Streito, Domenico Innominato, Lorenzo Donati, Giovanni Bonato, Mauro Marchetti, Ilaria Rosa, Sergio Bianchi, Gabriele Montanaro Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn Editoriale Visto dal Festival di Primavera di Montecatini, il mondo ha un altro aspetto: più gioioso, meno ripiegato su se stesso, più fiducioso nel futuro. È uno scambio reciproco tra generazioni: gli adulti offrono a questi ragazzi strumenti per crescere e affrontare meglio la vita, i ragazzi ricambiano donando agli adulti entusiasmo e stimoli sempre nuovi. Davvero il canto corale è qualcosa di inclusivo, dove tutti, a tutte le età, trovano modo di esprimersi e da cui tutti possono ricavare emozioni. Il coro è una grande palestra di formazione e sempre più italiani ne sono convinti. Lo dimostra il fiorire di cori scolastici e, fuori della scuola, di cori di bambini e ragazzi. Il mondo corale si impegna a fondo, a partire da Feniarco con le sue iniziative editoriali e con le manifestazioni che promuove. Si inizia, in questo, a incontrare anche il sostegno delle istituzioni, con qualche primo risultato, tra cui il protocollo che Feniarco, insieme ad altre 22 associazioni, ha firmato con il Ministero dell’Istruzione, in merito alla formazione musicale dei giovani. Ancora molta strada resta da fare per sensibilizzare tutti gli amministratori pubblici a sostenere questo programma. Verrebbe da dire: meno arredi urbani e più cori. E provate a pensare quanti cori e per quanti anni potrebbero vivere col costo di qualche metro di marciapiede, con pochi metri quadrati di pavè? Quando tra cinquant’anni i ragazzi che oggi frequentano il Festival di Primavera entreranno nella terza età, conserveranno un ricordo profondo di questa esperienza, anche se fosse durata solo lo spazio di pochi anni, mentre quegli arredi urbani saranno stati rifatti tre volte. Qual è l’investimento più duraturo, per una politica che voglia costruire il domani di questo paese su solide basi? *** A proposito di investimenti sul futuro: un anno importante come il 2012 – dopo i grandi risultati del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 – non poteva non lasciare il segno nella vita di Feniarco. Naturalmente parliamo di un segno positivo, una vera e propria svolta che ci fa guardare in avanti con rinnovate prospettive. In quest’ottica, un passo significativo è stato il rinnovamento grafico dei principali eventi della federazione, ma la vera sintesi di questo processo sta nel nuovo logo Feniarco, discusso all’assemblea riunitasi a Bolzano nel mese di ottobre scorso e approvato nel corso dell’ultima assemblea di Verbania. Ma che cosa vuol dire un logo? Esso esprime la missione e il senso di appartenenza: il logo ci identifica pubblicamente, trasmettendo un messaggio anche a chi non ci conosce. Anche il nuovo motto “la voce dei cori”, condiviso all’unanimità dalla stessa assemblea, vuole sottolineare proprio questo: Feniarco parla per i cori rivolgendosi al mondo, alle istituzioni, a ogni interlocutore verso il quale la coralità italiana, nel suo fare rete e sistema, si rivolge. Con questo nuovo logo, nella sua semplicità e riconoscibilità, vogliamo partire dai successi e dalle soddisfazioni dell’anno appena trascorso per gettare uno sguardo in avanti al 2014, quando la federazione nazionale dei cori compirà i suoi primi 30 anni! Sandro Bergamo direttore responsabile n. 40 - gennaio-aprile 2013 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DOSSIER La voce nello spazio 2 VOCE, MUSICA E SPAZIO NELL’ESPERIENZA CORALE Bernardino Streito 10 PORTRAIT LA DISPOSIZIONE DEL CORO Domenico Innominato 17 NOVECENTO IL CORO TORNA NELLO SPAZIO 47 IL COLORE DELLE VOCI MASCHILI INTERVISTA A MARIA DAL BIANCO Efisio Blanc Lorenzo Donati 23 IL MIO RAPPORTO CON LA SPAZIALIZZAZIONE MUSICALE ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE Giovanni Bonato DOSSIER COMPOSITORE Eric Whitacre 52 DUE UNIVERSI SI INCONTRANO IL CORO GIOVANILE ITALIANO E L’ORCHESTRA FILARMONICA DI TORINO Gabriele Montanaro 54 PASSATO E FUTURO DELLA CORALITÀ ITALIANA L’ASSEMBLEA FENIARCO DI VERBANIA 26 TRA LUCE E ORO Sandro Bergamo RITRATTO DI ERIC WHITACRE Mauro Marchetti 32 ET CANUNT ANGELI INTRODUZIONE A LUX AURUMQUE CRONACA Ilaria Rosa 57 IL PROTOCOLLO D’INTESA TRA MIUR E FORUM PER L’EDUCAZIONE MUSICALE Alvaro Vatri 35 NOVA ET VETERA 60 FEDERAZIONE ITALIANA PUERI CANTORES STABAT MATER DI GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 61 Walter Marzilli 3º CONCORSO Walter Marzilli DI COMPOSIZIONE L’UMANITÀ DEL MAESTRO… IN RICORDO DI VIC NEES Efisio Blanc RUBRICHE INDICE CANTO POPOLARE 43 NEVE DI ANGELO MAZZA Sergio Bianchi 62 Discografia&Scaffale 64 La vita cantata 68 Mondocoro 2 VOCE, MUSICA E SPAZIO NELL’ESPERIENZA CORALE di Bernardino Streito FISICO, MATEMATICO E MUSICISTA La voce umana e lo spazio sono due realtà complesse, polimorfe e strettamente collegate in molte maniere nella pratica corale, sia questa compositiva, esecutiva, astratta o simbolica; cerchiamo dunque di identificarle, dapprima separatamente, inquadrandole, sia pure approssimativamente, nel nostro tema. La voce offre alla persona la possibilità di produrre e di modulare un suono, grazie all’impiego dell’organo fonatorio, dispositivo anatomico e fisiologico di cui la specie umana è generalmente provvista. Lo spazio, materialmente inteso, definisce comprensivamente i concetti di estensione visibile, includendovi, all’occorrenza, le nozioni di forma, di dimensione e di struttura. Occorre comunque ricordare che il suono, con tutti i suoi colori timbrici, i suoi codici di comunicazione e le sue valenze affettive, non esiste come realtà fisica propria al di fuori di noi; questi sensi li costruisce e li organizza il nostro cervello. Nel mondo esterno, supposto che siamo tuffati in un mare di aria, agiscono delle onde elastiche longitudinali di compressione e decompressione del mezzo generate da un input (prodotto da un corpo elastico messo in vibrazione) che costituisce la sorgente del disturbo, cioè l’origine dell’onda. Nell’aria, intorno e al di fuori di noi, il cosiddetto universo sonoro consiste nella presenza di onde elastiche che avanzano con la velocità approssimativamente uguale a 340 metri al secondo. Le stesse considerazioni, sul piano tecnico, possiamo ripeterle per la musica, fisicamente intesa come miscuglio organizzato di onde “sonore” che avanzano e che interferiscono fra loro. Abbiamo inquadrato la parola sonore fra virgolette per ricordare che sarebbe più opportuno scrivere: onde elastiche di compressione e decompressione dell’aria capaci di indurre un’esperienza acustica qualora ci sia un orecchio, un sistema uditivo e un cervello abilitati a convertirle in suono. A conclusione di queste precisazioni, spesso trascurate anche in molti testi ufficiali, giova forse rileggere una definizione scientifica di suono. Eccola. «Suono: termine indicante sia il fenomeno fisico-acustico consistente nelle vibrazioni di un corpo elastico trasmesse nell’ambiente, sia il suo effetto-soggettivo consistente nella sensazione VOCE, M DOSSIER prodotta dalla sollecitazione dell’apparato uditivo e dalla percezione cosciente dell’impulso sensoriale. La percezione consiste nell’insieme dei processi fisiologici e psicologici attraverso i quali gli impulsi nervosi trasmessi dall’orecchio si trasformano in sensazioni coscienti». L’incontro più immediato e, al tempo stesso, necessariamente banale, che un coro affronta, è ovviamente con il luogo del concerto. L’ambiente en plein air è, nella maggior parte dei casi, il più problematico, sia per i cori sia per gli strumenti e per le formazioni strumentali tradizionali, eccezion fatta per la banda. Negli ambienti chiusi entrano in gioco le dimensioni e la mappa del locale, i vari effetti di risonanza, riverbero, eco, assorbimento, determinati in larga misura dalla natura delle superfici e dal rivestimento delle pareti, del soffitto e del pavimento, senza contare l’altezza di un eventuale palco su cui il coro deve disporsi e la misura della distanza dei cantori dalla parete di fondo, grandezza che può essere all’occorrenza sfruttata come elemento capace di produrre un effetto di bass-reflex. Cantare sotto la cupola di certe chiese comporta talvolta un’importante variazione di sonorità, pure sotto l’aspetto timbrico, in conseguenza dello spostamento del gruppo anche soltanto di un solo passo avanti o indietro. Sul palcoscenico di certi teatri può verificarsi un effetto-camino capace di inghiottire i suoni del coro, risucchiati verso l’alto da una colonna d’aria ascendente, mentre la presenza di tendaggi può “stoppare” le onde sonore e creare nel gruppo uno spiacevole senso di solitudine e di smarrimento acustico. Tante sono le caratteristiche ambientali che influiscono sugli esiti della vocalità di un gruppo, compreso l’assorbimento acustico dovuto alla presenza e alla densità del pubblico. Come Vladimir Horowitz e Arturo Benedetti Michelangeli erano scrupolosissimi, fino all’ossessione, nel cercare la collocazione ottimale del proprio pianoforte sul palcoscenico, onde ottenerne la resa fonica più adeguata, così il direttore di coro è chiamato a risolvere sperimentalmente il problema della disposizione del coro, procedendo per tentativi. Naturalmente non è detto che lo spazio, in relazione con la musica, sia soltanto quello architettonico. La nozione di spazio è molto generale. Innanzi tutto vogliamo dividere il concetto in due categorie primarie: spazio reale (fisico, con estensione volumetrica ed eventuale mappa locale) e spazio psicologico. Queste categorie comprendono poi una sterminata quantità di esperienze che si intersecano e che si autodeterminano reciprocamente per dare luogo a quella disciplina che potremmo chiamare fenomenologia della produzione del suono e dell’ascolto. Inoltre non dobbiamo dimenticare un aspetto importante, e qualche volta decisivo, per la qualità dell’emissione vocale da 3 parte del coro, che è il rapporto affettivo che misteriosamente si instaura fra i cantori e le pareti del contenitore che abbraccia la loro prestazione; si tratta, per così dire, di una forma di empatia fra la voce e la sua stessa immagine riflessa e restituita da uno specchio riverberante. Abbiamo usato l’avverbio “misteriosamente” perché a stabilire questo rapporto intervengono non soltanto risultanze acustiche, ma anche ottico-visive e talvolta (non sembri uno scherzo) addirittura olfattive. La prossemica, in rapporto con l’ambiente, è argomento di indagine complessa e controversa fra aspetti della realtà e sensazioni soggettive che ne derivano in seguito all’operazione percettiva. Lo spazio psicologico, fra l’altro, non è propriamente un luogo, ma uno stato psichico a cui non sono naturalmente estranee le pulsioni dell’inconscio individuale insieme con il ribollire dell’inconscio collettivo. L’immagine dell’oggetto che ascoltiamo, prima di essere percepita, ha attraversato un certo spazio fisico, con le modalità tecniche di cui abbiamo parlato all’inizio, per generare in noi un turbamento e per collocarsi infine nello spazio delle emozioni. Ma ritorniamo a una più oggettiva realtà dei rapporti fra musica e spazio. Consideriamo uno degli esempi più famosi di associazione fra uno spazio geometricamente strutturato e un progetto La voce umana e lo spazio sono due realtà complesse, polimorfe e strettamente collegate nella pratica corale. MUSICA musicale: questa volta lo spazio è quello fisicotridimensionale normalmente inteso, il progetto musicale è realizzato con suoni vocali e strumentali organizzati con un evidente scopo evocativo. Come l’azione dell’architettura consiste nel prendere possesso dello spazio, interpretandolo come “luogo” in cui disporre le masse, così la musica può essere intesa come conquista del tempo, come “luogo” ove disporre i suoni. Brevemente: l’architettura rende intelligente lo spazio così come la musica rende intelligente il tempo. L’analogia, o meglio il parallelismo, fra masse e suoni ci suggerisce un possibile isomorfismo metaforico fra strutture spaziali e strutture musicali. Vediamo qualche esempio. La storia del mottetto Nuper rosarum flores Il 25 marzo 1436 il papa Eugenio IV consacra solennemente Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze con la straordinaria cupola realizzata dal Brunelleschi; una settimana prima della cerimonia il pontefice stesso aveva benedetto e deposto sull’altare una rosa d’oro. È l’occasione colta da Guillaume Dufay per comporre e dedicare alla solennità del grande 4 evento un capolavoro immortale: il mottetto isoritmico Nuper rosarum flores. La cronaca di Giannozzo Manetti ci descrive lo spazio sonoro: «si sentirono cantare voci così numerose e così varie, e tali sinfonie s’elevarono verso il cielo, che si sarebbe creduto di sentire un concerto d’angeli […]. Quando il canto cessava si sentivano suonare gli strumenti in maniera allegra e soave […]. Al momento dell’elevazione la basilica tutta intera risuonò di sinfonie così armoniose, accompagnate dal suono di diversi strumenti, che si sarebbe detto che il suono e il canto del paradiso fossero scesi dal cielo sulla terra». Già attraverso queste parole troviamo lo spazio del Duomo trasformato in luogo acustico, indissolubilmente associato alle voci e agli strumenti, ma vi è di più: tralasciando i pur interessantissimi particolari tecnici della fattura compositiva, Charles Warren ha avanzato l’ipotesi che la struttura architettonica della basilica corrisponda alla struttura musicale del mottetto. L’ipotesi avanzata da Warren viene contestata da Craig Wright, che sostiene l’idea secondo la quale le proporzioni del mottetto corrispondano invece, secondo la tradizione biblica, alle misure del Tempio di Salomone. L’interpretazione di Warren è stata comunque recentemente riproposta non senza convincenti argomentazioni sulla base di calcoli. Ciò che ci sorprende e che ci appassiona è il confronto di due ingegnerie, Lo spazio psicologico non è propriamente un luogo, ma uno stato psichico. Pianta della basilica di Santa Maria del Fiore Santa Maria del Fiore quella della costruzione architettonica e quella della composizione musicale. Scrive efficacemente Massimo Mila: «…non si può che rimanere quasi sgomenti di fronte alla leonardesca acutezza intellettuale di queste costruzioni musicali, dove la gotica complicazione delle formule non compromette la resa poetica ed espressiva della composizione né il senso festivo e gratulatorio della lieta solennità religiosa, e tuttavia la fa quasi passare in sottordine, perché, in fondo, che cosa conta un bel mottetto in più o in meno, di fronte a una così sbalorditiva esibizione di intelligenza costruttiva?» Basilica di San Marco Pianta della basilica di San Marco Interno della basilica di San Marco DOSSIER La voce, la musica e lo spazio diventano dunque le componenti inseparabili dello stesso miracolo espressivo. Negli anni del tardo Rinascimento la prassi corale della scuola veneziana ha previsto l’alternarsi di due cori dialoganti nello spazio della basilica di San Marco. I due cori contrapposti e affacciati, chiamati cori battenti, generano dunque uno “sdoppiamento” spaziale della sorgente sonora, creando un vero e proprio spazio stereofonico che ha ispirato l’opera di Willaert, di Andrea e Giovanni Gabrieli e di tanti altri compositori. L’attenzione degli ascoltatori è chiamata a un continuo esercizio di dislocazione e, contemporaneamente, a un’operazione di sintesi dei due canali. Lo spazio, questa volta, detta dall’esterno, con autorità architettonica, la struttura delle composizioni. Breve aneddoto storico su “spazio e silenzio” La sera del 29 agosto 1952 il pianista David Tudor si sedette al pianoforte sul palco della Maverick Concert Hall, non lontano da Woodstock nello stato di New York, chiuse il coperchio della tastiera e consultò un cronometro. Senza toccare i tasti, nei successivi 4 minuti e 33 secondi ripetè l’operazione per due volte, badando a non far rumore e voltando le pagine di una partitura su cui non c’era scritta neppure una nota. Terminata l’operazione (non diciamo ancora l’esecuzione del brano) Tudor si alzò, raccolse applausi e fischi, e se ne andò. Fu così che venne eseguito, per la prima volta, il progetto musicale più “scandaloso” di John Cage, l’opera più controversa, famigerata e imbarazzante del secolo. Lo stesso Cage, a proposito degli ascoltatori affermò: «Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano o se ne andavano». Una volta Cage confidò a una sua conoscente: «A causa di questo, persi degli amici ai quali tenevo molto. Pensavano che chiamare musica qualcosa che non sei stato tu a fare, equivalesse, in un certo senso, a gettare fumo negli occhi». E ancora: «Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent’anni non l’hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati». Naturalmente il brano si può “eseguire” con qualunque strumento o complesso strumentale o vocale (io l’ho fatto con il coro), purché venga rispettato l’unico parametro sonoromusicale richiesto dall’autore, cioè quello della durata: i tre movimenti di 4’33” devono durare, secondo le indicazioni del programma di sala della prima “performance”: 30” - 2’23” 1’40”, la cui somma dà, appunto, 4’33”. 5 A questo punto è interessante rilevare che 4’33”, tradotto in secondi, dà 273”, e che il numero 273, associato alla misurazione in gradi centigradi sotto lo zero, indica, secondo la fisica tradizionale (Lord Kelvin), il cosiddetto “zero assoluto”, cioè la temperatura alla quale la materia non può esistere, in quanto le particelle di un corpo Copertina della partitura (allo zero assoluto) sono al più basso livello possibile di energia. Si impone così l’immagine innocente e suggestiva: niente suono, niente materia. Quello che è interessante, relativamente alla nozione di spazio nel pezzo di Cage, è che quest’ultimo si configura come “luogo”, a portata di udito, che sta tutt’intorno all’ascoltatore, sia all’interno sia all’esterno del contenitore deputato ufficiale; da parte dell’ascoltatore si tratta dunque di “comprendere”, ed eventualmente “apprezzare” un “silenzio attivo”. Alla domanda, rivolta a un pubblico non informato, se sia proponibile l’incisione discografica di 4’33”, seguono in genere sorrisi sarcastici e negativi scuotimenti di testa; e invece si contano, a tutt’oggi, almeno una trentina di edizioni in CD di quest’opera così discussa. Lo spazio, il tempo e il silenzio si sono presi la loro rivincita documentata a livello di mercato. La musica e lo spazio grafico Tutti conosciamo l’opera di Maurits Cornelis Escher, celebre grafico e incisore olandese, artista capace delle più straordinarie rappresentazioni di spazi illusori in cui si smarriscono le nostre certezze percettive e prospettiche. Le implicazioni logiche, matematiche, topologiche, fisiche e, aggiungiamo pure, musicali anche se non sonore, suggeriscono universi dove la voce (il suono organizzato) e lo spazio si configurano secondo relazioni inattese. Pochi esempi basteranno per farci riflettere. Partiamo dall’Offerta Musicale di Johann Sebastian Bach, da quella miniera di poesia e di tecnica contrappuntistica che il Kantor dedicò a Federico II, noto come Federico il Grande. Il re, durante un incontro a Potsdam, aveva proposto a Bach un tema, il cosiddetto Thema Regium, affinché Bach vi improvvisasse sviluppandolo, seduta stante, per dar prova del suo talento straordinario. Bach obbedì, ma, rientrato a Lipsia, giunse alla conclusione «che occorreva rielaborare in modo più compiuto questo thema veramente reale e farlo conoscere quindi al mondo». L’opera stampata venne offerta al re. 6 Essa comprende testimonianze di ogni sorta di tecniche imitative, fra le quali un cànone a due voci, chiamato “cancrizzante”, la cui melodia (il Thema Regium) si combina con se stessa secondo lettura per moto contrario (moto retrogrado), procedendo a ritroso, come il gambero, per l’appunto. Canon a 2 cancrizans Il cànone, eseguibile coralmente, costituisce un ottimo esercizio per l’acquisizione della padronanza polifonica; qui a noi interessa comunque per la suggestione spaziale, di cui troviamo riscontro visivo, per esempio, in tre tavole di Escher. Nella prima osserviamo un flusso di cavalieri neri che si muove da sinistra a destra, combinato con lo stesso flusso di cavalieri, bianchi questa volta, che si muove da destra a sinistra; la silhouette di cavallo e cavaliere è sempre la medesima, infatti illustra sempre lo stesso processo di successione delle note (il Thema Regium), ma comporta effetti melodico-percettivi diversi, resi evidenti dalla colorazione bianca e dalla colorazione nera. Quando poi il cànone venga risolto, siamo invitati ad ascoltare la melodia compresente con la sua forma retrograda, e a leggere la tavola nella sua complessità ottico-visiva. Attenzione, le due operazioni DOSSIER percettive contemporanee, quella uditiva e quella visiva, non sono facili. Possiamo ripetere lo stesso discorso per le altre due tavole. L’opera figurativa di Escher trabocca di suggestioni grafiche che si possono leggere musicalmente, così come molte pagine musicali di Bach sono visualizzabili spazialmente. Certe fughe di Bach (e anche certe composizioni di Schönberg) si possono apprezzare come dei piccoli trattati di struttura formale, dove gli elementi tematici vengono presentati nella loro veste originale, poi per moto retrogrado, poi per immagine inversa (capovolta secondo uno specchio orizzontale), poi secondo l’inverso del moto retrogrado, per aumentazione o per diminuzione quando se ne alterino le dimensioni temporali, in forma di cànone quando se ne sfruttino le possibilità imitative, etc. Le nozioni di spazio e di tempo sono intimamente e reciprocamente interconnesse. Particolarmente interessanti sono quelle trattate nel prossimo paragrafo. La musica e gli spazi impossibili Nelle due dimensioni del piano sono rappresentabili strutture spaziali impossibili da costruire nello spazio tridimensionale. Un esempio è fornito dalla scala di Lionel Penrose Salita e discesa Scala di Lionel Penrose che, interpretata tridimensionalmente, sale (o scende) sempre; questa illusione ottica (anamorfòsi) è stata sfruttata da Escher nella costruzione del castello riportato in figura, di cui diamo anche un ingrandimento parziale. Salita e discesa, litografia, 1960 è il titolo di quest’opera bizzarra, dove due processioni di monaci percorrono una scala: una processione scende sempre, l’altra sale sempre. Com’è possibile? La musica ci propone almeno due esempi acusticamente affini all’esperienza spaziale della litografia di Escher. Il primo ci è offerto dal Canon a 2 per tonos dall’Offerta Musicale, che ci presenta una melodia costruita sul Thema Regium; questa melodia, partendo dalla nota do, si ripete per sei volte, Salita e discesa, particolare 7 8 salendo acusticamente di quota un tono alla volta (per tonos), supportata da un cànone a 2 voci organizzato fra le due mani del clavicembalista. Parte da do e si ritrova sul do dell’ottava superiore, cioè, armonicamente parlando, sale sempre ma non sale mai; dopo sei cicli ci ritroviamo su un do: sempre armonicamente parlando, siamo al punto di partenza. La voce, la musica e lo spazio numerico L’universo dei numeri ci offre una grande quantità di modelli spaziali governati dal concetto di numero. Numeri illustri quali π, \, e, solo per citare questi pochissimi esempi, insieme con tante funzioni e strutture matematiche, concorrono nel generare degli “spazi” ampiamente sfruttati soprattutto dai compositori contemporanei, diciamo Ligeti, Xenakis, Cage, Stockhausen, Nono, Boulez, Berio e quanti altri. Occupiamoci dunque di una fra le più famose relazioni che hanno informato di sé, fin dai tempi della Grecia classica, gli spazi della matematica, della geometria, dell’architettura, della scultura, della pittura, e – naturalmente – della musica. La straordinaria diffusione di questo concetto, a livello universale, ha fatto supporre a molti studiosi di tutti i secoli una sua misteriosa presenza connaturata con le radici del pensiero umano. Per poterne adeguatamente parlare dobbiamo aiutarci con un minimo di calcoli. Eccoli. Dato un segmento AB, proponiamoci di spezzarlo in un punto tale che valga la relazione: C AC/CB AB = AB/AC : AC = AC : CB = AC X AC AB/AC = \ AC/CB = \ AB X CB Canon a 2 per Tonos Bach aggiunse al testo musicale un’epigrafe esplicativa di dedica: Ascendenteque Modulatione ascendat Gloria Regis. Il meccanismo tecnico dell’ascesa, uno scalino di tono dopo l’altro, va cercato appunto nella modulazione. Il secondo esempio sonoro-musicale è fornito da Fall (caduta), il terzo episodio della Computer Suite da Little Boy di JeanClaude Risset (1938), opera fondamentale nel repertorio della computer-music. Esso evoca la discesa inarrestabile e angosciante della bomba atomica sganciata su Hiroshima. La caduta di Little Boy, pseudonimo macabro dell’ordigno infernale, è un viaggio inesorabile senza ritorno; il nostro orecchio percepisce fasce sonore inquietanti, sempre discendenti verso la voragine. Risset “illude” il nostro orecchio, la nostra attenzione, i nostri meccanismi percettivi, il nostro cervello, attivandoli, sul piano della psicoacustica, grazie al meccanismo fisioacustico dell’udito e all’impiego del computer. Assumiamo quale unità di misura la lunghezza del segmento CB: AC CB = 1 = x volte CB Dire che AB è diviso secondo la proporzione aurea significa dire: x : 1 = (x + 1) : x DOSSIER Il prodotto degli estremi deve essere uguale al prodotto dei medi, per cui: x2 = x + 1 2 x –x–1=0 e scartiamo la Risolviamo, applicando soluzione negativa. – La soluzione positiva, x = (1 + 35) / 2 fornisce il valore del “rapporto” aureo: \ = 1,6180339887… che è un numero irrazionale algebrico, espressione della sezione aurea, diffuso nella realtà della conoscenza, inatteso e presente nei luoghi più impensati della ricerca, dal mondo della natura alle strutture create e costruite dalla mente dell’uomo. Lo troviamo, per esempio, nella periodizzazione temporale e/o formale di tante pagine musicali, talora entrato di soppiatto all’insaputa del compositore stesso, quasi come se la legge della sezione aurea fosse sottesa al lavoro creativo dell’uomo, talora invece cercato intenzionalmente come si vede in questa pagina di Bartók analizzata da Ernö Lendvai (i numeri indicano la quantità di battute e sono, come c’era da attendersi, numeri di Fibonacci). 9 Molti compositori, segnatamente quelli contemporanei, hanno istituito rapporti “spaziali” con l’universo dei numeri e delle strutture matematiche. Sono stati esplorati il mondo dei gruppi, della stocastica, del calcolo combinatorio, dei frattali e di tanti altri repertori più o meno disciplinati, non ultimi quelli del caso e del caos. Il dominio dell’architettura (vedi Iannis Xenakis e Le Corbusier) si è esteso dallo spazio fisico tradizionale allo studio degli edifici astratti costruiti dalla mente umana. Non dimentichiamo poi lo straordinario contributo, ai fini della creazione spaziale, che la tecnica elettronica ha offerto ai compositori con la costruzione degli amplificatori, dei diffusori acustici, dei sintetizzatori e dei computer. La voce, la musica e lo spazio-memoria Tuttavia lo spazio essenziale della musica è, in definitiva, lo spazio-memoria. La musica non sarebbe comprensibile, e nemmeno immaginabile e neppure esistente, senza la memoria dell’individuo. Anzi, potremmo sostenere che la musica è memoria. La memoria, cioè la possibilità di chiamare alla mente quello che è avvenuto e che sta avvenendo, è il vero spazio dell’esperienza musicale. Un processo di percezione il cui meccanismo mnestico-temporale si azzerasse dopo la durata, diciamo, di un minuto, ci renderebbe incomprensibile un’opera della durata di 61 secondi. Lo spazio del “presente”, del “presente durevole”, lo sappiamo, è illusorio, ma la facoltà della memoria ci aiuta a “tener presente”, almeno in certa misura, ciò che nell’ascolto, istante per istante, viene inesorabilmente consegnato al passato secondo gli orologi. È l’uso di questa facoltà che ci permette di dare un senso all’esperienza intelligente dell’ascolto e quindi di creare in noi la coscienza musicale. Le varie forme dello spazio, come ci ha insegnato Einstein, sono indubitabilmente intrecciate con le ragioni del tempo, e viceversa; trattare la nozione di musica separatamente dal concetto di spazio è forse un arbitrio, magari comodo per poter riferire un’aneddotica con le sue varie sistematiche, ma deviante per l’analisi di un’esperienza che reclama per sé un atto percettivo globalizzante. Non siamo lontani dal concepire l’esperienza musicale quale azione, non soltanto metaforica, del percepire lo spazio come evento sinfonico. Bibliografia La partizione secondo l’impiego della sezione aurea, trova una quantità di riscontri nella produzione musicale, sia nel senso della dimensione temporale delle durate sia nella strutturazione di altri parametri musicali. Resta da distinguere dove la \ (iniziale, a quanto sembra, del nome di Fidia) sia stata deliberatamente impiegata dal compositore e dove invece si presenti come l’esito di una scelta inconscia e sotterranea, misteriosamente suggerita dalla natura umana. J. CAGE, Silenzio, Shake Edizioni, Milano, 2010 R. FAVARO, Spazio sonoro, Marsilio Editori, Venezia, 2010 K. GANN, Il silenzio non esiste, Isbn Edizioni, Milano, 2012 J.L. LOCHER (a cura di), Il mondo di Escher, Garzanti, 1978 R. POZZI (a cura di), La musica e il suo spazio, Edizioni Unicopli, Milano, 1987 10 LA DISPOSIZIONE DEL CORO di Domenico Innominato DIRETTORE DI CORO, COMPOSITORE E DOCENTE PRESSO IL CONSERVATORIO DI COMO Un po’ di storia: Medioevo, Rinascimento, Barocco Non essendo forniti di parti musicali separate, i cantores delle scholae dell’antichità si disponevano attorno a un unico, alto leggio sul quale era posto un liber choralis di grandi dimensioni (affinché si potesse leggere la musica anche a una certa distanza). I pueri cantores – voci superiores – stavano in prossimità del leggio, quasi sotto allo stesso; le voci adulte di altus, di tenor e di bassus si ponevano dietro ai bambini. Fig. 1 - Canto in chiesa, dal Tacuinum Sanitatis Casanatensis, XIV sec. Fig. 2 - Schola cantorum (Anonimo XI sec.?) Fig. 3 - Il canto delle antifone (XV sec.) Fig. 4 - A. Marotte (??-??), Coro e orchestra medievali (olio su tela, part.) Fig. 5 - Cappella musicale DOSSIER 11 Fig. 7 - Il grande leggio corale della Cappella Sistina (Roma, Vaticano) Fig. 6 Le parti polifoniche della composizione non erano allineate verticalmente e trascritte in un’unica partitura, ma distribuite orizzontalmente su due pagine contigue. Ecco come appare (fig. 6) il Kyrie della Missa “Ecce ancilla Domini” di Johannes Ockeghem (1410-1497) in un Ordinarium missae polifonico, il “Codice Chigi” (1498-1503 ca.), conservato presso la Biblioteca Vaticana (Chigiana, C. VIII. 234) a Roma: in alto a sinistra è posta la parte del Cantus, in basso a sinistra l’Altus o Tenor primus (in chiave di tenore), in alto a destra il Tenor secundus, in basso a destra il Bassus. Fig. 8 - Piantina della Cappella Sistina, Roma, Città del Vaticano: i cantori della celebre Cappella Pontificia (organico variabile da 12 a 26 e più elementi) si disponevano attorno al leggio in una piccola cantoria di appena 5 metri per 2,7 Due miniature, rappresentanti le Capellae dei fiamminghi Ockeghem (il personaggio più vicino al leggio) e di Lasso (1532-1594, in vestito giallo/oro, maestro di cappella alla corte del duca Albrecht V Wittelsbach di Baviera a Monaco, ritratto di Hans Mielich, 1565) illustrano con molta chiarezza come si disponevano i cantori (fig. 9 e 10). Fig. 9 e 10 12 Dieci anni dopo Mielich rappresenta nuovamente la Capella con alcuni strumentisti (fig. 11). Appare evidente la disposizione dell’organico strumentale e corale: archi a sinistra con il primo coro, fiati a destra con il secondo; i tre strumenti del basso continuo, violone, viola “da brazzo” e liuto, sono collocati vicino al cembalo. Di Lasso è raffigurato all’estrema sinistra, il coro appare inattivo. La figura 12 rappresenta la cerimonia per l’accettazione del duca Wilhelm V. di Baviera nel Goldener Vlies-Orden, l’Ordine del Vello d’Oro (Landshut, città natale del Duca, 1585): l’illustrazione della Cappella Ducale di San Lorenzo diretta da Orlando di Lasso qui non è del tutto affidabile in quanto la miniatura fu dipinta a Praga, dove si svolse parte della complessa cerimonia. Il coro è raffigurato senza strumenti ed è probabile che rispecchi la prassi del tempo nel territorio praghese. Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13 Fig. 14 Luca Della Robbia (1400-1481) raffigura i cantori della schola nel celebre bassorilievo della cantoria marmorea del Duomo di Firenze (ora collocata nel Museo del Duomo), scolpito fra il 1431 e il 1438: il libro corale è tenuto da due pueri cantores (figura 13). Nella figura 14 vediamo la Cappella Ducale della Basilica di San Marco in Venezia, da un disegno (particolare) del 1766 di Antonio Canal detto “il Canaletto” (1697-1768); nelle cerimonie non solenni i cantori si disponevano nell’ambone di destra – guardando l’altare – volgendo le spalle ai fedeli (cfr. più avanti Spazialità sonore, l’effetto “stereofonico”). La figura 15 illustra la disposizione del Thomanerchor e del Leipziger Collegium musicum (strumentisti) ai tempi di Bach. La cappella musicale si collocava: a) nella Thomaskirche, sull’ampia balconata di sinistra (guardando l’abside) posta sopra l’ingresso laterale nord, ove c’era (e c’è tuttora) il secondo organo (Bach-orgel) per il servizio liturgico; b) nella Nikolaikirche, sulla cantoria della navata centrale (lato ovest) sopra l’ingresso principale. Il coro volge le spalle ai fedeli ed è alla sinistra del Kantor (Bach); il gruppo orchestrale è alla destra del direttore. Le voci acute di soprano e di tenore sono più a destra di quelle gravi (rispetto al direttore). Lo schema è ricavato dall’osservazione di due documenti iconografici raffiguranti esecuzioni di Kirchenmusik presso le Fig. 15 DOSSIER 13 chiese di Lipsia al tempo di Kuhnau/Bach (cfr. A. BASSO, Frau Musika, Vol. II, EDT, Torino 1998, pag. 235) secondo gli studi dei musicologi Charles Sanford Terry e Arnold Schering. La cantoria della Nikolaikirche (sopra l’ingresso principale) com’era prima del restauro del 1785 è raffigurata nella figura 18. Il palco centrale ospitava il coro, più indietro si ponevano gli strumentisti del Collegium musicum e la fanfara municipale; nel palco di sinistra era alloggiato l’organo principale, mentre quello di destra era riservato ad accogliere i notabili di Lipsia durante le funzioni liturgiche. Fig. 17 - Musikalische Lexicon (1732) di Johann Gottfried Walter Fig. 16 - Frontespizio del Geistliches Gesang-buch (1710) Fig. 18 Fig. 19 - Piantina e dimensioni della cantoria della Nikolaikirche nel Settecento Le figure 21 e 22 presentano il nuovo organo liturgico (costruito da Gerald Woehl nel 2000, replica dello strumento barocco della Paulinerkirche, suonato da Bach) e la cantoria della Thomaskirche, nella quale il Kantor prestava il proprio magistero dirigendo il Thomanerchor. La balconata è posta al centro della navata di sinistra sopra la porta Nord della chiesa. Il primo organo, posto all’inizio della navata centrale, sopra l’ingresso principale, fu costruito a fine Ottocento e non è adatto a esecuzioni bachiane. Fig. 20 - La cantoria della Nikolaikirche oggi Fig. 22 Fig. 21 14 Ancora un po’ di storia… Periodo classico-romantico Fig. 24 - Thomas Webster (1800-1886), The village choir (1847), raffigurante il coro della chiesa di Bow Brickhill nel Buckinghamshire, Inghilterra. Si può notare l’utilizzo da parte dei cantori di libri corali personali. Il coro e gli strumentisti non si collocano più “di schiena” ma, guardando l’altare, sono rivolti ai fedeli Fig. 25 - José Gallegos y Arnosa (1857-1917) raffigura El Coro de Niños de Sevilla con le voci acute a destra del direttore e le gravi – contralti, tenori e bassi – a sinistra Furono adottate, fra fine Settecento e inizi Ottocento, nuove soluzioni per la disposizione del coro in ragione delle innovazioni musicali e dei cambiamenti sociali verificatisi: a) le maggiori complessità delle partiture e degli organici e l’esigenza di riordinare in partitura la disposizione dei pentagrammi, allineando strumenti e voci (fig. 23); b) lo spostamento (dislocazione) delle Capellae durante lo svolgimento delle funzioni: non più a metà della navata centrale o fra gli stalli dei cori presbiterali ma, spesso, nelle cantorie situate sopra l’ingresso principale dell’edificio opposto all’abside; c) la fondazione di Singakademie, complessi corali non più vincolati ai servizi liturgici della Chiesa. Fig. 26 - Stampa raffigurante un concerto di Mendelssohn (alla direzione) al Gewandhaus di Lipsia (1845) Fig. 23 Disposizione del “coro moderno” Fig. 27 - Sessione inaugurale dell’Assemblea nazionale prussiana presso la sede sociale della Sing-Akademie di Berlino, 1848. Fondata nel 1791 la Sing-Akademie di Berlino è l’associazione corale più antica del mondo La disposizione ideale per il coro attuale è una semiellisse leggermente aperta, con i cantori rivolti frontalmente al direttore. I cantori della seconda (ed eventualmente, della terza) fila si porranno in modo da non essere coperti dalle persone che si trovano davanti. Elevare la seconda fila di 20-25 cm e la terza di 40-50 cm utilizzando una pedana a gradini o degli elementi scomponibili a rialzo. In questa posizione ciascun elemento potrà disciplinare più agevolmente la propria voce nell’intonazione, nel timbro e nell’intensità. DOSSIER Esclusi casi di ridondanza acustica, si eviti di schierare il coro in linea retta: i cantori potrebbero trovarsi in difficoltà per la cattiva ricezione sonora e l’ascoltatore capterebbe direttamente le singole voci. Si eviterà anche la disposizione a semicerchio o “a ferro di cavallo”. Le parti acute di soprano e di tenore saranno a sinistra del direttore, le gravi, contralto e basso, a destra; nei cori a voci miste le donne saranno collocate davanti agli uomini. 15 Particolari disposizioni del coro Diversi autori esplorarono, negli ultimi decenni del Novecento, percorsi nuovi atti ad arricchire le potenzialità delle proprie composizioni corali. Attraverso disposizioni non tradizionali dello schieramento nell’ambiente si ricercò una diversa spazialità della fonte sonora. Precursori di questa investigazione furono i maestri di cappella operanti nel Cinquecento nella Basilica di San Marco a Venezia. Coro misto a 4 voci tenori bassi soprani contralti direttore Coro misto a 8 voci (non in “doppio coro”) tenori I tenori II bassi I bassi II soprani I soprani II contralti I contralti II direttore Coro femminile a 3 voci soprani I soprani II Spazialità sonore, l’effetto “stereofonico” La basilica era (ed è tuttora) dotata di due cantorie e di due organi, a sinistra e a destra del presbiterio: a cornu (spigolo) Evangelii (il lato del presbiterio dove si legge il Vangelo), dietro l’iconostasi, a sinistra, si trova l’organo principale. Il primo coro si collocava nell’ambone nord, davanti all’iconostasi (all’inizio del transetto sinistro). A cornu Epistulae (nello “spigolo” dove si legge l’Epistola) c’era invece un organo di più modeste dimensioni, deputato, nelle festività comuni, ad accompagnare un coro ridotto numericamente; il gruppo si collocava nell’ambone sud (all’inizio del transetto destro); nelle feste solenni l’ambone di destra ospitava invece il secondo coro. contralti Coro maschile a 4 voci tenori I tenori II bassi I bassi II Subordinando lo schieramento alle possibilità vocali individuali, si stabiliranno le posizioni dei cantori, distinguendo: a) le voci dominanti al centro dello schieramento, attigui ai cantori di altre sezioni con medesime caratteristiche vocali; b) le voci più leggere e/o espressive nella fila davanti (qualora ciascuna sezione sia posta su due file); c) i nuovi elementi saranno nelle posizioni laterali alla sezione per non interrompere la continuità sonora. Si assegnerà in seguito una posizione adeguata alle caratteristiche vocali. Non è consigliabile affiancare ai nuovi elementi cantori più esperti; d) il “primo soprano” si porrà nell’immediata sinistra del direttore, in prima fila. Disporre file numericamente omogenee: da 12 (tre persone per ciascuna sezione) a 16 cantori per ciascuna fila. Fig. 28 - Pianta della Basilica di San Marco a Venezia: i due amboni, nord (a sinistra) e sud (destra) sono evidenziati in rosso Fig. 29 - Francesco Guardi (1712-1793), Il Doge Alvise IV Mocenigo si presenta al popolo nella Basilica di San Marco, olio su tela, 1763 16 Nella figura 30 vediamo una recente fotografia del presbiterio. Dietro agli amboni e alla monumentale iconostasi si trovano, a destra e a sinistra, gli alloggiamenti dei due organi. Si noti l’ambone doppio all’inizio del transetto sinistro: la parte più alta, terminante con una cupola dorata, era utilizzata per la lettura delle Scritture; quella più bassa, con il parapetto ligneo, era impiegata come cantoria del primo coro nelle feste solenni. Nell’ambone sud (destra) si disponevano i cantori del secondo coro o, nelle festività comuni, una cappella a ranghi ridotti. La distanza fra i due amboni è di circa 14 metri. Fig. 30 Il maestro della Serenissima Cappella Ducale di San Marco, Adrian Willaert (1480-1562), adeguandosi alle peculiarità acustiche della basilica, svilupperà, a partire dal 1550, un nuovo stile polifonico, il “coro battente” (o spezzato, o doppio). Si metterà così a profitto l’eccezionale permanenza del suono (6 secondi) originata sia per la particolare conformazione architettonica della basilica “a croce greca”, sia per la riflessione acustica delle pareti, completamente rivestite di mosaici dorati. Doppio coro a 8 voci (disposizione speculare, entrambi i cori sul palcoscenico): bassi tenori tenori bassi soprani contralti contralti soprani primo coro, “coro acuto” o “concerto” (a sinistra del direttore) secondo coro, “coro grave” o “ripieno” (a destra del direttore) È inoltre possibile collocare il primo coro sul palcoscenico, o sul presbiterio/altare maggiore (se il concerto si svolge in chiesa), il secondo, in opposizione al primo coro, dietro al pubblico, o in cantoria. Un’altra possibilità è disporre il secondo coro in un altare o cappella laterale, a distanza non eccessiva dal primo coro (fig. 31). Spazialità sonore ed effetto “surround” Molte composizioni moderne contengono specifiche indicazioni sulla disposizione dei cantori. Un interessante effetto sonoro “avvolgente” si ottiene disponendo i cantori attorno al pubblico. È consigliabile in tal caso suddividere le diverse voci a coppie omogenee o a singoli cantori (fig. 32). Il compositore svedese Jan Sandström (1954) propone la seguente disposizione per una sua rielaborazione del canto natalizio Det är en Ros utsprungen (È sbocciata una rosa) di Michael Praetorius, per doppio coro a 12 voci: il primo coro è formato da quattro soli SATB; il secondo coro è a otto voci, SI SII AI AII TI TII BI BII (fig. 33). Fig. 31 S A T B S A A T B S A T B S A T S A T B PUBBLICO T B S A T B B S A T B S Fig. 32 S solo SI AI TI BI SII AII T B S II II I Fig. 33 A solo T solo B solo PUBBLICO AI TI BI SII AII TII BII BII SII AI TI BI SI N 17 NOVECENTO IL CORO TORNA NELLO SPAZIO di Lorenzo Donati COMPOSITORE E DIRETTORE DEL CORO GIOVANILE ITALIANO Luigi Nono e la splendida utopia di Prometeo Si narra nei libri di storia della musica che la policoralità sia nata a Venezia. Forse non è del tutto vero, perché “policorale” è un termine così ampio che deve necessariamente includere anche tutte le forme di coralità spazializzata esistiti prima dei Gabrieli. Resta però accertato che in ambito di musica polifonica, a Venezia si crearono nel Cinquecento le condizioni per cui la scrittura e l’esecuzione della musica a più cori potesse trovare estimatori illustri. La capacità e la perseveranza dei compositori, degli esecutori e degli architetti fece così nascere una tradizione che invase poi tutta l’Europa. Per questo quando al giorno d’oggi si parla di musica policorale si pensa alla famiglia Gabrieli, a San Marco e a Venezia. Grazie a questa grande tradizione e alla frequentazione amorevole della città della laguna, Luigi Nono, uno dei più importanti compositori del Novecento, coltivò e riscoprì il percorso creativo della scrittura musicale spazializzata. Gli appassionati di musica corale faranno un po’ di fatica a pensare a Nono come uno dei più grandi compositori del Novecento, perché la sua musica oltre a essere molto difficile da eseguire è anche, per questo, raramente ascoltabile in concerto. Ma come tutti i grandi visionari (pensiamo a Bach o a Schubert, che scrisse tutte le sue sinfonie senza poterne mai ascoltarne una eseguita da un’orchestra), Nono ha lasciato tracce importanti nel nostro tempo e tornerà a essere attuale quando noi non lo saremo più. Tra le importanti intuizioni musicali di Luigi Nono quella dello spazio è la visione per me più innovativa. La divisione della massa corale in due o più gruppi era già stata rinnovata e sfruttata in molte possibilità. Il Romanticismo con i doppi cori di Schumann, Brahms, la Cantus Missae di Rheinberger, la Missa in Sol di Vaughan Williams, poi i grandi del Novecento, di cui torneremo a parlare (Britten, Poulenc), avevano dato continuità alla scrittura policorale. Nono partendo dallo spirito del Rinascimento musicale veneziano riscopre non solo lo spazio fisico del suono, ma anche quello emotivo e timbrico. Ne nasce un percorso creativo che, attraverso composizioni per solo coro come Sarà dolce tacere su testo di Italo Calvino, brano di rara difficoltà, lo porta verso un cammino utopico che riesce, se pur tra mille difficoltà, a realizzarsi con l’opera Prometeo. Il titolo dell’opera, scritta nei primi anni Ottanta su testi di Massimo Cacciari, si completa con una NOVECE 18 Italia terra dei cori spazializzati Lorenzo Donati mentre dirige il Coro Giovanile Italiano seconda parte che ne definisce tutta la sua spinta rivoluzionaria: Prometeo. Tragedia dell’ascolto. L’opera infatti tende a portare l’ascoltatore a un tipo di ascolto totalmente differente rispetto al passato, dove le categorie bello-brutto, armonioso-disarmonico, triste-allegro non possono più esistere. A livello tecnico Nono prevede che le voci e gli strumenti siano “sparsi” intorno al pubblico. Si arriverà, nell’edizione proposta negli stabilimenti milanesi dell’Ansaldo nel 1986, a far progettare e costruire da Renzo Piano una struttura atta sollevare alcuni musicisti, in modo che il suono arrivasse non solo in modo circolare, ma semisferico. Quindi l’utopia e la visione di Luigi Nono portano il suono vocale-strumentale verso un ampliamento percettivo, una richiesta forte del compositore verso chi ascolta per arrivare a un ascolto nuovo. La percezione nuova, che si manifesta in modo evidente attraverso la spazializzazione delle fonti sonore, si sviluppa anche nell’ambito della scrittura musicale, così lo spazio fisico si mette in relazione con lo spazio e il tempo del suono e della vibrazione. Il coro che realizzò quella storica esecuzione era composto da giovani musicisti studenti del dipartimento di musica contemporanea della Hochschule di Friburgo, diretti da André Richard. Certo l’auspicio è che un tale percorso creativo non resti eseguito e scritto da e per una ristretta cerchia di musicisti, ma possa svilupparsi e generare una ricaduta creativa su molti altri artisti, che ne sappiano cogliere l’energia vitale e ne sappiano sviluppare la potenzialità, adattandola alle possibilità tecniche della coralità “normale”. Si sa che gli italiani sono sempre divisi su tutto. La nazionale di calcio ha 56 milioni di allenatori, alle elezioni ci presentiamo sempre con una cinquantina di partiti, quando si deve scegliere l’abito del coro qualcuno litiga sempre, e così via. Nel tardo Medioevo non è che fossimo un popolo più unito. Ci ha unito la penisola, la lingua, le invasioni degli altri, i soprusi, ma fosse stato per noi italiani, saremmo sempre stati divisi e contenti. Forse anche questi motivi socioculturali o forse più psicologici hanno reso possibile la nascita e lo sviluppo della policoralità. Magari alla base di tutto c’è un basso che avendo litigato con l’altro basso della sezione, non sopportandolo più, chiese ad Andrea Gabrieli di trovargli un altro posto e questo, trovandosi in difficoltà con una voce in meno, lo mandò a cantare dalla parte opposta del coro, con la sua fazione di cantori (c’è sempre nei litigi corali qualche fazione composta da spezzoni di coro). E se la policoralità veneziana fosse nata da un litigio per le divise del coro, sarebbe proprio divertente. Probabilmente è andata in un altro modo e sono ben più profonde le ragioni che portarono allo sviluppo della scrittura policorale, ma l’arte è fatta dagli uomini e a volte dovremmo chiederci quante insignificanti azioni possono aver generato le condizioni per un grande cambiamento. Oltre che a Venezia l’arte dello scrivere a più cori si diffuse in Italia in modo sempre maggiore, fino ad arrivare a Quando si parla di musica policorale si pensa alla famiglia Gabrieli, a San Marco e a Venezia. composizioni a quaranta voci divise in cinque cori, come Ecce beatam lucem di Alessandro Striggio, oppure alle opere policorali della scuola romana del Seicento, con le messe e i Magnificat a quattro cori scritti da Orazio Benevoli. Nel Seicento la produzione a più cori era così sviluppata che iniziarono a essere teorizzate non solo le caratteristiche compositive, ma anche quelle esecutive. Il compositore cremonese Ignazio Donati che lavorò come maestro di cappella nel Duomo di Milano, definì, nel suo trattato Sacri concentus, questa pratica di canto spazializzato “cantar lontano”. Molti furono in questo periodo i musicisti che composero grandi opere policorali come il monumentale Nisi Dominus del Vespro della Beata Vergine e molte altre composizioni della Selva Morale e Spirituale di Claudio Monteverdi. Ludovico Grossi da Viadana compose uno straordinario vespro interamente per quattro cori, Giovanni Paolo Colonna e Giacomo Antonio Perti a Bologna, Ignazio DOSSIER Donati a Milano, Orazio Benevoli e Giuseppe Ottavio Pitoni a Roma, Francesco Cavalli a Venezia. Le tracce dello stile policorale si distinguono bene fino ai primi del Settecento: ancora Vivaldi, pur mantenendo prevalente una scrittura corale a quattro voci, spesso utilizza la divisione a due cori. Lo stesso famosissimo Magnificat vivaldiano sarebbe da cantare in formazione a doppio coro, anche se la scrittura musicale in effetti è a quattro voci. Si suppone che la versione policorale del Magnificat fosse pensata per un grande Vespro a doppio coro e doppia orchestra di cui sono rimasti alcuni salmi come il Domine ad adjuvandum. La tradizione italiana viene, nel Seicento e Settecento, studiata e sviluppata in altre parti d’Europa, in particolare in Germania, ma si trovano tracce di stile policorale veneziano anche nei compositori attivi nelle Americhe. Dalla fine del Settecento, tranne qualche singola esperienza, come il Cantemus per doppio coro di Gioacchino Rossini, la scrittura a più cori in Italia resta una specie di esercitazione in stile antico e perde il contatto con l’evoluzione stilistica del Romanticismo. Solo grazie alla riscoperta del Rinascimento e alla volontà di un rinnovamento dello stile italiano con un taglio post-operistico, nei primi del Novecento si tornerà a scrivere musica corale in modo assai originale e si recupererà anche l’attenzione alla spazializzazione del coro. Dal coro battente al coro semovente L’idea della spazializzazione del suono non nasce nel Cinquecento, ma ha radici più antiche e si realizza in varie forme sia in Europa che in altre parti del mondo. In modo schematico la pratica corale può essere suddivisa in quattro grandi gruppi: forma innodica, in cui tutto il coro canta la stessa parte; forma responsoriale, in cui a un gruppo vocale o a un solista si alterna il coro completo; forma antifonale, in cui il coro si divide in due semicori: a volte anche il coro si può dividere in più parti; forma processionale, che prende spunto da una delle forme precedenti, ma con la caratteristica che il coro si muove da o verso un punto. Questo schema porterebbe a far pensare che l’unica forma di spazializzazione del coro è la terza, il coro che si suddivide in due gruppi che si alternano. In effetti questa è la struttura utilizzata per la maggior parte delle opere polifoniche policorali dal Rinascimento fino al Romanticismo. Il Novecento ha però reinventato e riscoperto lo spazio sonoro e architettonico, creando le condizioni per uno sviluppo straordinario delle possibilità offerte ai cori e ai compositori. Per questo, in ambito contemporaneo, dobbiamo ampliare il concetto di scrittura policorale a un numero maggiore di forme e non limitarci a quella antifonale in cui un coro è “contrapposto” all’altro, il cosiddetto coro battente. Questo ampliamento, concettuale ed effettivo, ha portato i musicisti a coniare un nuovo termine che esprime non più la suddivisione del coro in due o più gruppi, ma la distribuzione dei coristi nello spazio. Sempre più spesso si possono ascoltare nei nostri concerti partiture per “coro spazializzato”. Spesso sono 19 opere scritte e pensate fin da principio per una certa disposizione nello spazio architettonico, ma altre volte sono partiture antiche eseguite con una particolare attenzione al piazzamento dei coristi. Se dovessimo ridefinire lo schema precedente, riguardo alle forme della pratica corale, dovremmo aggiungere una nuova tipologia e lo schema sarebbe questo: forma innodica • posizione frontale al pubblico. forma responsoriale 1 • l’ensemble all’interno del coro canta anche le parti del coro grande, se non ha parti proprie. esempio: Herbert Howells, Psalm 23 dal Requiem forma responsoriale 2 • con il coro grande e l’ensemble che formano un unico semicerchio, ma lateralmente si posizionano le voci dell’ensemble, in modo da renderle maggiormente distinguibili dagli altri; • l’ensemble o i solisti cantano insieme al coro grande, se non hanno una parte assegnata a loro. esempio: Benjamin Britten, Hymn to the Virgin 20 forma antifonale 1 • i due o più cori, possono essere uguali o differenti in dimensioni e formano un unico grande semicerchio, diviso al centro da uno spazio vuoto; • i cori in questa forma hanno sempre parti differenti tra loro. esempio: Frank Martin, Messa per doppio coro forma processionale 2 • il coro procede tra il pubblico passando ai lati della sala. esempio: Lorenzo Donati, Novamente forma antifonale 2 • i due cori hanno uguali dimensioni e si contrappongono frontalmente; • il direttore e il pubblico stanno, se possibile, tra i cori; • i cori in questa forma hanno sempre parti differenti tra loro. esempio: John Tavener, Hymn to the Mother of God forma spazializzata 1 • il coro è disposto intorno al pubblico; • il direttore, se necessario per l’esecuzione della partitura, si dispone al centro della sala. esempio: William Albright, An Alleluia Super-Round forma processionale 1 • il coro procede tra il pubblico passando al centro della sala. esempio: Benjamin Britten, Hodie Christus da Ceremony of Carols forma spazializzata 2 • il coro è suddiviso in gruppi attorno al pubblico; • il direttore si dispone al centro della sala. esempio: Giovanni Bonato, Veni Sancte Spiritus DOSSIER Policoralità nel Novecento (Britten, Howells, Pärt, Pizzetti, Tavener) Il Novecento ci lascia in eredità alcuni grandi capolavori policorali: la Messa dello svizzero Frank Martin, Figure humaine di Francis Poulenc, la Messa in Sol di Ralph Vaughan Williams e altri importanti cicli come i mottetti bachiani rivisti dal compositore svedese Sven-David Sandström. Queste opere, immense per dimensioni, tecnica della scrittura musicale e compattezza formale, hanno tutte una forma policorale antifonale. Anche se poi l’utilizzo delle varie possibilità tecniche è assai elaborato, il doppio coro di Martin, Poulenc, Vaugham Williams e Sandström è quello classico: due cori di uguale organico, uno alla sinistra e l’altro alla destra del direttore, divisi da un metro o due, ma non troppo lontani. Abbiamo visto però che la riscoperta dello spazio sonoro e architettonico, le novità della scrittura musicale, le esperienze Grandi capolavori policorali del Novecento Figure Humaine di Francis Poulenc Cantata per doppio coro, ogni coro è composto da sei voci, su testo di Paul Eluard. Si tratta di una vera e propria cantata, divisa in otto quadri, dedicata a Pablo Picasso e scritta nell’estate del 1943. L’ultima parte dal titolo Liberté ha un’ampiezza quasi equivalente alle altre sette che la precedono. Opera di rarissima esecuzione che richiede al coro grandi doti vocali e capacità di orientamento tra le armonie dipinte da Poulenc. Messa in Sol per doppio coro di Ralph Vaughan Williams Questa messa segue la struttura formale tipica delle messe del Settecento, proponendo l’intonazione gregoriana del Gloria e del Credo e strutturandosi in parti testuali ben distinguibili. L’autore scrive l’opera negli anni Venti in sol minore, tonalità interpretata in modo moderno, ma comunque tonale. Vaughan Williams scrive “per doppio coro”, ma l’ensemble corale deve spesso suddividersi in tre cori: primo coro, secondo coro e coro di solisti. Messa per doppio coro di Frank Martin La messa di Frank Martin è una delle opere corali più conosciute e importanti del Novecento. Data la bellezza della scrittura, la novità di certe scelte melodico-timbriche e la grande attenzione che Martin alle tessiture vocali, in molti cori provano, con alterne vicende, l’esecuzione di questa messa. L’opera propone dei quadri di straordinaria intensità come il Kyrie e l’Agnus Dei, ma anche parti di grande leggerezza e di una scrittura vivace e semplice. Martin scrisse quest’opera tra il 1922 e il 1926, ma decise di tenerla inedita 21 di diffusione del suono attraverso strumenti elettronici hanno stimolato i compositori a proporre anche altre forme di scrittura policorale. Chi ascolta il brano Hymn to the Virgin di Benjamin Britten, potrà notare immediatamente che i due cori sono di dimensioni assai differenti. Il compositore chiede che il secondo coro sia più piccolo (semicoro) del primo, propone addirittura che sia formato da un gruppo solistico. Britten utilizza nei due cori un percorso melodico-armonico differente, destinando al coro grande la parte di testo in inglese e al coro piccolo quella in latino. Ne esce un’opera semplice, geniale e di grande fascino. Nell’ambiente culturale inglese, la volontà di lavorare su un diverso modo di interpretare il doppiocoro era certamente molto forte nei primi del Novecento. Altri autori, facendo seguito alle esperienze di Charles Villiers Stanford, si sono cimentati con un organico policorale, cercando di reinventarlo. Tra questi un’altra opera mariana, l’Ave Maria di Gustav Holst, che ha la particolarità di essere uno dei primi brani scritti per e passarono molti anni prima che la sua Messa fosse eseguita e divulgata. L’omaggio ai mottetti di Bach di Sven-David Sandström Tra le opere policorali più importanti certamente l’omaggio che il compositore svedese Sven-David Sandström ha fatto ai mottetti policorali di Johann Sebastian Bach è di particolare rilievo. Tra il 2002 e il 2008 Sandström ha scritto, reinterpretandone il testo e alcuni stilemi compositivi, i sei mottetti di Bach. In questo caso l’uso del doppio coro è in continuo dialogo con l’originale bachiano, ma proprio per questo interessante nel suo progetto compositivo. In un’epoca in cui i compositori vanno a cercare di creare un nuovo utilizzo dello spazio, Sandström riparte da quello di Bach, tornando a un doppiocoro antifonale. Principali opere policorali italiane Audi, filia di Giovanni Bonato (edizioni Feniarco) Ecce vidimus eum di Mauro Zuccate (edizioni Feniarco) Missa Lorca di Corrado Margutti (edizioni Astrum) Mottetti per due cori di Lorenzo Donati (edizioni Pizzicato) Mottetti per tre cori di Lorenzo Donati (edizioni Pizzicato) Requiem di Franco Dominutti (edizioni Pizzicato) O quam amabilis di Piero Caraba (edizioni Feniarco) Spiritus Domini di Giuseppe Mignemi (edizioni Feniarco) Stella nova di Romano Pezzati (edizioni Pro Musica Studium) Surroundings di Cristian Gentilini Tenebrae factae sunt di Giovanni Bonato Tristis est anima mea di Elena Camoletto (edizioni Feniarco) Veni Sancte Spiritus di Giovanni Bonato 22 doppiocoro femminile. Tra tutti però è importante soffermare l’attenzione sul Requiem di Herbert Howells che è scritto per un doppio coro molto particolare. Howells, nei sei brani che compongono il suo Requiem, oltre a utilizzare una scelta di testi molto particolare, alterna doppiocoro in forma antifonale, doppiocoro in forma responsoriale e coro in forma innodica. In questo caso sarà il direttore di coro a scegliere qual è la posizione che dovrà assumere il coro, perché i brani si susseguono uno dopo l’altro ed è impensabile che il coro si sposti ogni volta. La scelta di Herbert Howells, pur rimanendo in una posizione frontale al pubblico, propone una massa corale che crea spazi sonori sempre differenti tra loro, cercando di non far abituare l’ascoltatore a un’unica direzione del suono. La scelta è vincente, perché coerente con le scelte melodico-armoniche che Howells compie, e il personale Requiem del compositore inglese ci spinge verso una percezione dello spazio sonoro nuova. In Italia l’esperienza compositiva corale della prima parte del Novecento deve molto a Ildebrando Pizzetti, compositore di Parma che ispirandosi alla cultura rinascimentale e alle prime riscoperte dei grandi polifonisti del Cinquecento, avvia in Italia la rinascita della musica corale a cappella. Pizzetti nel suo Requiem per coro a cappella, opera grandiosa e rivoluzionaria per il panorama corale dell’epoca, suddivide nel Sanctus il coro in tre gruppi. Il primo coro solo femminile, mentre secondo e terzo coro composti da voci maschili rendono la partitura di un colore timbrico assai particolare. All’inizio della partitura il compositore scrive “chiaro e spazioso” e l’accenno all’idea di spazio non può essere visto solo come una caratteristica vocale, ma certamente come uno stimolo alla ricerca di un suono che si fa architettura. La distribuzione delle voci che diviene architettura sonora dello spazio ritorna anche nelle opere più recenti. John Tavener nel suo Hymn to the Mother of God crea un canone tra il primo e secondo coro, questo produce una sovrapposizione di armonie, ma anche un’interessante esperienza percettiva. Se ci si trova tra i due cori l’orecchio destro sentirà prevalentemente un’armonia e quello sinistro un’altra. In questo modo l’autore, dividendo e sfalsando un’unità, crea una partitura che può relazionarsi con l’origine solo attraverso lo spazio e la sua interpretazione. Distinzione più immediata è invece quella che dello spazio musicale fa Arvo Pärt nella Passio secundum Joannem. In questo caso il coro piccolo rappresenta l’Evangelista e il coro grande il Popolo, quindi la spazializzazione del suono va a strutturarsi come una vera e propria sacra rappresentazione, dove personaggi e ruoli sono ben definiti in base al testo, all’organico e alla posizione. Rendere armonioso ciò che è diviso in fazioni è un compito tutto italiano. La composizione corale in Italia dopo Luigi Nono L’eredità sull’utilizzo della spazializzazione delle voci che ci lascia il percorso evolutivo del Novecento è grande e la produzione italiana, anche grazie a stimoli importanti come quelli dati da Luigi Nono, è di tutto rispetto. Tra i compositori più attenti all’utilizzo creativo dello spazio musicale-architettonico c’è Giovanni Bonato, che è ormai la punta di diamante della produzione corale italiana contemporanea. Grazie a un personale percorso che svolge attraverso un lavoro politestuale, una precisa ricerca timbrica e una ricercata spazializzazione delle fonti sonore, Bonato apre le porte alla produzione corale del futuro. Una scrittura semplice e profonda allo stesso tempo che ha profonde radici con l’esperienza italiana del Novecento, vedi Luigi Nono, ma anche con la musica del Rinascimento veneziano. Certamente la buona stella policorale dei nostri avi, dai più vicini come Luigi Nono ai più lontani come la famiglia Gabrieli, potrà dare a noi compositori italiani un grande slancio per aprire le nuove strade del suono e dello spazio sonoro. Rendere armonioso ciò che è diviso in fazioni è un compito tutto italiano, quindi abbiamo nel codice genetico le capacità per fare della policoralità il nostro vessillo. DOSSIER 23 IL MIO RAPPORTO CON LA SPAZIALIZZAZIONE MUSICALE di Giovanni Bonato COMPOSITORE Giovanni Bonato al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 Posso dire con certezza che il mio rapporto con la spazializzazione musicale ha avuto inizio nel periodo in cui frequentavo il compimento medio di Composizione al Conservatorio “G. Verdi” di Milano nella classe di Adriano Guarnieri. Un rapporto quindi nato in ambito accademico, tramite lo studio e l’analisi dei grandi maestri della Scuola Veneziana del ’500-’600. È stato proprio Guarnieri a infondermi per primo la passione per i “cori battenti”, con tutte le loro varianti tecniche e storiche. Con lui ho subito amato la letteratura dei Monteverdi, dei Gabrieli, dei Cavalli, dei Croce e di tutti quei musicisti che nel Rinascimento italiano e nel periodo pre-barocco si sono cimentati con questa pratica compositiva. Naturalmente, con il proseguimento dei miei studi di composizione con Giacomo Manzoni, ho potuto conoscere e approfondire lo studio della letteratura contemporanea che ha riscoperto e “rilanciato” dagli anni Sessanta la tecnica della spazializzazione attraverso i grandi maestri della seconda metà del ’900, quali Luigi Nono, Karlheinz Stockhausen, Luciano Berio, solo per fare alcuni nomi fra i più illustri e fra i primi a dedicarvi la loro attenzione. Maestri che hanno indagato a fondo le possibilità della spazializzazione soprattutto con l’ausilio delle innumerevoli potenzialità che l’elettronica e la computer music hanno loro offerto. Dalle loro sperimentazioni ed esperienze ho imparato moltissimo e spessissimo sono rimasto affascinato e colpito soprattutto dalla sempre nuova dimensione dell’ascolto. L’applicazione poi dell’elettronica nella musica acustica, tramite il live electronics, mi ha convinto da subito a porre una particolare attenzione all’aspetto “geometrico” e “fisico” del suono nello spazio. Una “fisicità” dovuta agli spessori dinamici e al movimento delle frequenze attraverso l’utilizzo e la programmazione degli altoparlanti, disposti spazialmente nell’uditorio. Tuttavia, se da un lato l’elettronica permette al compositore infinite possibilità di soluzioni, dall’altro richiede un ingente impegno (e a tratti dispendio) in termini economici e logistici, oppure tende a isolare in un suo mondo la figura di chi crea. Anche per questi motivi, nella mia esperienza, ho voluto dedicarmi all’aspetto più prettamente acustico e “umano”. Ossia nel senso di un coinvolgimento diretto dei musicisti “in carne e ossa”! Per così dire, un ritorno all’antica. Nella mia produzione non mancano lavori con l’ausilio dell’elettronica, ma sono pochi e, appunto per le ragioni appena citate, la loro realizzazione risulta alquanto difficile e problematica. Va da sé quindi che io mi rivolga preferibilmente a organici vocali e/o strumentali (spesso anche combinati tra loro), i quali mi offrono una maggior elasticità e capacità di adattamento al È per me l’aspetto architettonico uno dei maggiori motivi di interesse nel concepire e realizzare una partitura spazializzata. posizionamento dei vari gruppi (o di singoli esecutori) nella sala da concerto o, meglio ancora, in quegli ambienti che “istituzionalmente” non sono nati per performance musicali (chiese, musei, ecc.), ma che architettonicamente possono favorire disparate soluzioni acustiche. E, proprio come già detto e scritto in altre occasioni, è per me appunto l’aspetto architettonico uno dei maggiori motivi di interesse nel concepire e realizzare una partitura spazializzata. Anche la mancanza di veri e propri auditorium progettati per la sola musica (ahinoi, un deficit tutto italiano!) mi ha paradossalmente e, per così dire, forzatamente spinto sempre più a ricercare nella spazializzazione la possibilità di un ascolto adattabile alle diverse situazioni. Questa necessità, nel tempo, ha sviluppato in me l’esigenza, attraverso scoperte 24 e curiosità acustiche che via via si presentavano, di indagare in questo senso, favorendo e utilizzando non poco anche effetti di psico-acustica. Primo fra tutti quello di ricreare una sorta di riverberazione “artificiale” tramite, per dirla in breve, un suono tenuto e in lento dissolvimento, attaccato con decisione da un punto diametralmente opposto della sala. Questo si rivela come un effetto particolarmente facile da realizzare ed efficace per poter ottenere un’illusione percettiva di riverberazione in quegli ambienti dove questa è scarsa o quasi assente naturalmente. La combinazione e la sovrapposizione poi di altri interventi analoghi su diverse altezze possono creare interessantissime formazioni armoniche, assolutamente affascinanti ed estranianti, facendo sì che l’ascoltatore si smarrisca in un tessuto sonoro fluttuante e sempre “dinamico”. Incisi melodici o linee più estese riservate a un unico esecutore (o gruppo) verranno così “naturalmente” a generare situazioni più o meno complesse e sempre intrise di vibrazioni dai diversi spessori dinamici e spettrali. Certo, anche e soprattutto il fattore “tempo” è determinante per una buona riuscita della composizione. La dilatazione di questo parametro si rende il più delle volte necessaria onde poter far percepire con comodo la “fisicità” di un suono, il suo movimento attraverso lo spazio, spesso in una ragnatela di tiri incrociati. Da parte mia, onde poter far cogliere le diverse linee che si intersecano e che “misurano” le geometrie dello spazio circostante, è necessario concepire il brano considerando le difficoltà cui gli interpreti devono sottoporsi (la distanza tra loro è sicuramente quella che maggiormente influisce sulla resa finale). Il più delle volte difficoltà di ordine psicologico e non tecnico! E non è che in questo caso il professionista differisca di molto dall’amatore-dilettante. Anzi. Mi è capitato spesso con organici di musicisti professionisti di assistere a scene significative e, per certi aspetti, molto… istruttive e disarmanti. Come quella – era il 1995 con un’orchestra stabile, di cui per decenza non farò il nome – in cui nel mio pezzo avevo previsto che un quartetto d’archi (due violini, viola e violoncello), estratto dall’orchestra stessa, eseguisse un passaggio (a dir poco, elementare: Il valore spaziale è un parametro essenziale per un ascolto avvolgente e coinvolgente anche dal punto di vista emotivo. DOSSIER semplici e ripetuti glissando su intervalli di quinta, con scansione al quarto, in 4/4!), piazzandosi divisi in quattro diversi punti perimetrali della platea. Di fronte a questa esigenza della partitura da loro non prevista, i quattro musicisti si rifiutarono adducendo che in più di 20 anni di attività orchestrale non avevano mai suonato separati dal resto della fila (!). Che dire… una simile presa di posizione si commenta da sé. Sicuramente questo è un caso limite, ma posso assicurare che nella mia esperienza compositiva situazioni analoghe si sono verificate più di una volta, dovendo poi giungere a un compromesso. Tanto per concludere l’episodio appena ricordato, infatti, i quattro musicisti accettarono di suonare dietro le quinte… Fortunatamente però, nella mia attività ho vissuto momenti professionali indimenticabili. Come non citare esecuzioni di miei lavori corali spazializzati da parte dell’Ensemble Vocal Séquence, dei Neue Vocalsolisten-Stuttgart, del Coro Giovanile Italiano, del Coenobium Vocale, del Coro Nazionale Maschile Estone, del Torino Vocal Ensemble, del St. Jacob’s Chamber Choir, attraverso i quali ho potuto spingere le risorse del coro o dell’ensemble vocale verso soluzioni a tratti estreme, pur in considerazione di compagini amatoriali (ma non per questo meno professionali). In ambito strumentale o vocalestrumentale e cameristico, dirigo la mia attenzione verso parametri e articolazioni ritmico-dinamiche più accentuate. In questo caso posso contare su una dislocazione dei musicisti più allargata e avvolgente per chi ascolta. La varietà di soluzioni acustico-percettive qui dipende soprattutto dalle specificità timbriche degli strumenti. Nei lavori per ensemble di sole percussioni o per ensemble di saxofoni, per fare un esempio, la potenza di volume e di armonici aggiunge un valore ulteriore ai parametri già citati, risolvendo quei problemi di ordine acustico-percettivo che lo spazio sovente impone. Altre realtà e occasioni comunque mi hanno dato e mi danno tuttora l’opportunità di indagare sulle risorse della spazializzazione. Mi riferisco in particolar modo a una recente sonorizzazione ambientale, in cui la registrazione e la diffusione di telai tramite il live-electronics, crea un particolare ed evocativo sottofondo sonoro ai frequentatori di uno spazio espositivo ricavato da una antica filatura industriale. O ancora, a una particolarissima iniziativa che si svolge da ormai sette edizioni con cadenza annuale nella mia città. Essa coinvolge sette cori di diverse estrazioni e caratteristiche e ruota attorno all’associazione Coralità Scledense, di cui gli stessi cori fanno parte. Questa iniziativa, denominata “di canto… in canto” (il titolo si riferisce non tanto all’alternanza dei rispettivi gruppi vocali nell’esibizione, quanto piuttosto alla partecipazione collettiva in brani policorali antichi e moderni, dove “canto” sta per “angolo”, secondo un’altra accezione dello stesso termine), è nata con 25 l’intento di formare una nuova e diversa coscienza e consapevolezza acustiche sia per gli esecutori sia per gli ascoltatori, attraverso nuovi e antichi repertori. Repertori, questi ultimi, spesso mortificati da esecuzioni validissime dal punto di vista tecnico (eccellenti direttori, bravissimi strumentisti, cori e voci di grande valore), ma assolutamente prive di logica estetica e fedeltà nei confronti dell’intento compositivo originale. Come esimersi dal criticare, a questo punto, quelle esecuzioni di Monteverdi o dei Gabrieli (per citare solo i nomi più rappresentativi), in cui i cori e gli ensemble strumentali vengono disposti pressoché fianco a fianco, privando così completamente l’uditorio di un ascolto che riveli la vera essenza di quelle partiture, appiattendolo in un ascolto meramente frontale? E, come se non bastasse, non tenendo in considerazione i tempi di riverberazione dell’ambiente architettonico in cui le performance si presentano, adottando un tactus eccessivamente rapido e non consono a quegli ampi spazi (chiese, basiliche, ecc.) per cui I grandi maestri del Novecento hanno indagato a fondo le possibilità della spazializzazione. queste pagine sono state scritte. Come se, viene quasi da dire, non si entrasse in sintonia con il “respiro” dell’ambiente, dello spazio circostante. Ma anche in questo caso a mio avviso è la componente psicologica a condizionare pesantemente le scelte artistiche: forse viene semplicemente a mancare il coraggio di osare. Queste esibizioni di fatto sono occasioni, ahinoi!, davvero sprecate. Privano l’ascoltatore della giusta dimensione e non rendono alla composizione l’autentico valore. Un valore (giusto ricordarlo un’ultima volta), quello “spaziale”, che a mio avviso tanto il compositore antico quanto quello contemporaneo ha ricercato e ricerca ancora come parametro essenziale per un ascolto avvolgente e coinvolgente anche dal punto di vista emotivo. 26 TRA LUCE E ORO RITRATTO DI ERIC WHITACRE di Mauro Marchetti DIRETTORE DEL CORO CITTÀ DI ROMA E COMMISSARIO ARTISTICO DI FENIARCO Quest’anno, il 2013, si celebra il centenario della nascita di Benjamin Britten, una delle figure più rappresentative, artisticamente e culturalmente, dello scorso secolo, uno dei massimi compositori, raffinato pianista ed eccellente direttore. Chissà se il genio del compositore inglese sarebbe stato ancor più apprezzato e amato se avesse avuto gli strumenti tecnologici di cui sapientemente si è servito il giovane Eric Whitacre: siti internet, copertine di riviste specializzate, social network, tecnologia mediatica, possibilità di raggiungere il mondo intero con un semplice “click”. Il giovane compositore statunitense, talento indiscusso della coralità internazionale, arriva dove vuole e colpisce il cuore di migliaia di persone, attraversando continenti e popoli di lingue diverse ma che si incontrano parlando una sola lingua: quella delle composizioni dell’autore contemporaneo più noto nel mondo corale e che, più di ogni altro, ha saputo sfruttare gli aspetti mediatici della musica e del cantare insieme. La sua idea di formare un grande coro con cantori appartenenti a diversi continenti, il Virtual Choir, nasce nel maggio del 2009, dopo che lo stesso Whitacre riceve un video da una sua fan che, usando come base l’incisione del brano Sleep, si esibisce cantando la parte del soprano. Pare che il compositore ne sia rimasto talmente ERIC colpito da immaginare fin da subito la possibilità di coinvolgere centinaia di persone che potessero essere legate dalla sua stessa composizione. Nasce così questa idea (per la verità non originale, ma solo seconda dopo la nascita dell’Orchestra Youtube avvenuta nel dicembre del 2008) senza però conoscere quale sarebbe stato il risultato in termini di adesione da parte dei suoi numerosi fans distribuiti in tutto il mondo. Il brano scelto è Lux Aurumque e il risultato è sbalorditivo: migliaia di cantori si esibiscono davanti alle loro webcam, circondati da librerie, lampade, scrivanie e addirittura tavole da stiro, ognuno cantando la propria parte, a seconda della sezione vocale di appartenenza. Nonostante il lavoro di selezione arrivi a escludere centinaia di cantori, resta comunque in piedi un variopinto coro composto da circa duecento cantori di dodici paesi diversi. L’operazione, senza dubbio molto coinvolgente e di grande impatto emotivo, racchiude in sé la capacità di organizzare un evento mediatico enorme che permetta di vedere e ascoltare un coro così grande, racchiuso in pochissimo spazio; in rete viaggiano cantori e sogni, speranze e incertezze, con un solo obiettivo, quello di potersi rivedere accanto a decine di altri cantori sconosciuti, diretti proprio dall’autore, Eric Whitacre. L’operazione ha un COMPOSITORE successo tale che sarà poi ripetuta con altri brani, coinvolgendo altre migliaia di cantori, fino ad arrivare all’edizione del Virtual Choir 4, quasi una sorta di videogioco per cantori. La popolarità oramai raggiunta dal giovane talento americano nel panorama corale internazionale è notevole e, nel corso di pochi anni, Eric Whitacre è diventato uno degli autori contemporanei più noti ed eseguiti a livello mondiale. La sua opera rock Paradise Lost: Shadows and Wings – quasi una sorta di musical dove si mescolano vari generi musicali, dal classico all’elettronico al rock – viene eseguita regolarmente da anni nei teatri degli Stati Uniti, paese dove non credo esista un coro, sia professionista che amatoriale, sprovvisto delle sue partiture. Migliaia di copie dei suoi brani vengono vendute in tutto il mondo, i suoi concerti sono sempre sold out e i suoi CD sempre in cima alle classifiche specializzate. Né, certo, si contano più i suoi numerosi fan sparsi nel mondo e catalogati come figurine nei vari social network, da Twitter a Facebook. Ogni post scritto da Whitacre (pare sia proprio lui stesso a curare questo tipo di rapporto diretto con i suoi “amici”) viene normalmente commentato da centinaia di amanti della sua musica, affascinati dalle sue armonie, coinvolti dai suoi messaggi lampo e dai suoi suoni ormai divenuti status (il suo urlo Woo Hoo!!! è ben noto nella sua grande comunità mediatica). Ma come nasce il “fenomeno Eric Whitacre” e come si forma come compositore? La sua passione per la musica corale nasce quando, ancora studente in un college di Las Vegas, canta il Requiem di W.A. Mozart. Questa esecuzione pare cambi la sua vita. Ispirato alla composizione corale, scrive a soli ventuno anni il suo primo brano, Go, Lovely Rose, a cui poi seguiranno I hide myself e With a lily in your hand che formeranno la deliziosa collana Three Flower Songs. Consegue poi la laurea specialistica in composizione alla Julliard School di New York, dove studia con John Corigliano, noto compositore sinfonico e autore di molte celebri colonne sonore (Premio Oscar per la colonna sonora del film Il violino rosso nel 1999 e Grammy Award alla migliore composizione di musica contemporanea nel 2008). Negli anni successivi, Whitacre si trasferisce a Los Angeles e, in seguito alla vittoria di un importante concorso di composizione con il suo scoppiettante Cloudburst, un temporale di note ed effetti ritmici sostenuti da grancassa e campane, pianoforte e schiocchi di dita, composto a soli ventitré anni, diventa a breve uno dei compositori più amati e noti per coro e per banda. Nel giro di pochi anni, il giovane compositore brucia ogni tappa, vende migliaia di copie delle sue partiture, supera in corsa qualsiasi rivale. Collabora con le più importanti istituzioni e orchestre (London Symphony, Philharmonia, Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino) e con 27 cori quali King’s Singers, Conspirare, Rundfunkchor Berlin, Polyphony. Nel 2010 firma un contratto discografico con la Decca e incide subito un CD di sue composizioni dirigendo un coro che porta il suo nome, Eric Whitacre Singers. Nel 2011 viene nominato compositore in residence del Sidney Sussex College (Università di Cambridge) per cinque anni, e si trasferisce quindi con la famiglia in Inghilterra. Nel 2012 si aggiudica il Grammy per il CD Light and Gold. Whitacre è impegnato in un continuo tour per il mondo, dirigendo la sua musica con decine e decine di cori. Lo si vede in Spagna e subito dopo in Usa, per poi tornare in Inghilterra, per poi ripartire per la Germania. È invitato da istituzioni e cori, associazioni e accademie. Tiene conferenze e il giorno dopo La popolarità raggiunta dal giovane talento americano nel panorama corale internazionale è notevole. dirige. Insomma, il ragazzo del Nevada, nonostante, per sua stessa ammissione, non abbia poi delle elevate capacità come direttore di coro, diventa presto l’instancabile rappresentante del suo stesso lavoro, delle sue composizioni. Per molti, però, Eric Whitacre è solo un fenomeno del momento, un compositore a tempo, una geniale operazione di marketing che prima o poi scadrà. Noncurante di queste critiche, Whitacre continua invece a macinare composizioni, a produrre a suon di note, a pubblicare e stupire sempre più, rafforzando il suo sempre più forte legame con lo strumento coro. Aumentano quindi anche in Italia, nel corso degli anni, i cori che eseguono la sua musica, si moltiplica l’acquisto dei suoi CD, si raddoppiano le riviste specializzate che dedicano a Eric 28 intere pagine, crescono gli ammiratori (anche non strettamente legati alla coralità), e girano i contatori dei contatti su Facebook e Twitter. Ho avuto il piacere e l’opportunità di conoscere personalmente Whitacre qui a Roma, nel dicembre 2011, in occasione del suo primo e unico viaggio in Italia alla guida di un coro italiano, il Coro Città di Roma. Nel corso del suo soggiorno romano, Eric Whitacre ha tenuto prove, un incontro con l’autore e una conferenza stampa e ha diretto il Coro Città di Roma, con la partecipazione della moglie, la cantante Hila Plitman, in due affollatissimi concerti in cui è stata eseguita gran parte della sua produzione corale. Accanto a brani più noti quali Lux Aurumque, Sleep, Water Night, Leonardo Dreams of his Flying machine e Nox Aurumque erano in programma infatti anche brani normalmente meno eseguiti e sicuramente poco conosciuti dal pubblico italiano, quali Five Hebrew Love Songs, Little Tree, The Seal Lullaby. Rispetto a molti altri paesi, Whitacre è infatti ancora relativamente poco eseguito in Italia e, prima che esplodesse il fenomeno mediatico, solo pochi cori avevano osato cimentarsi con le sue composizioni – a eccezione dei brani più celebri quali Lux Aurumque e Sleep – riconoscendone da subito la raffinatezza delle note. Tra questi, sicuramente lo stesso Coro Città di Roma, che aveva partecipato pochi anni prima a una collaborazione di tre cori per la commissione di Nox Aurumque, brano di cui aveva poi avuto l’esclusiva della prima esecuzione europea, nell’ambito del concorso corale internazionale Guido d’Arezzo del 2009. La prima impressione nel corso del nostro incontro è stata sicuramente quella di un ragazzo spontaneo che si sforza di essere simile ai suoi coetanei, e che risulta un modesto e simpatico ragazzone americano. Nella realtà, Whitacre è seguito invece passo passo dalla sua agenzia – la stessa che cura gli interessi dei King’s Singers – e ogni suo movimento è studiato nei minimi particolari, dalle fotografie alle interviste di emittenti televisive e radiofoniche, dagli orari delle prove fino all’arredamento del camerino. A un esame più attento, quindi, trapela uno studio accurato di ogni minimo particolare, tanto da farlo sembrare quasi telecomandato e programmato per dire e recitare un copione – sempre lo stesso – adatto a ogni circostanza. Dopo un po’, ci si rende conto di come racconti la sua storia e quella della nascita dei suoi brani sempre con gli stessi aggettivi, verbi e sostantivi, e sempre messi nello stesso ordine! Il mio coro, affascinato sin dai primissimi minuti di prova dal compositore più amato nel mondo corale, ha smesso presto di idolatrarlo rendendosi conto sempre più non solo dei pregi ma anche dei limiti dello stesso “grande direttore”, come Whitacre viene spesso dipinto dai media. Indubbiamente Eric ha un forte carisma e una carica non indifferenti e riesce spesso a esaltarsi, esaltando allo stesso tempo, in modo piuttosto emozionante, chi è accanto a lui. Ma chi vive di coro si rende perfettamente conto dei limiti nella gestualità nel trasmettere determinate sensazioni; quando poi a giudicare sono proprio gli stessi cantori… beh, non te ne fanno passare nessuna facilmente! Abituato a improvvisare anche la COMPOSITORE successione dei brani in concerto, Eric mette a dura prova l’abilità dei cantori nel ricercare le parti nella cartellina in pochi secondi, in quello stesso tempo che serve a lui per presentare il brano che andrà a eseguire. Ecco allora che i cantori si rendono conto dei suoi limiti e lo riportano per mano sulla terra, riconoscendo sì un grande talento compositivo e una sapiente conoscenza del coro scritto, ma meno la capacità di saperlo poi condurre. Acclamato e osannato comunque come un divo, assediato da penne e CD da autografare, bloccato da flash e obiettivi senza pause, Whitacre ritornerà in Italia dopo qualche mese, ma solo per vacanza, e in incognita: pare avesse paura dei suoi fans… È impensabile che tutto questo sia solo frutto di una forte operazione costruita a tavolino, e di una geniale creazione di marketing corale, come ritenuto dai critici più fortemente prevenuti nei suoi confronti. Senza dubbio, nonostante questi aspetti siano molto presenti ed evidenti, Whitacre è un vero talento, un compositore che, pur rimanendo ancorato a una tradizionale intavolatura della sua partitura – e, per certi versi, più vicino agli autori dell’inizio del ’900 che a quelli del nostro secolo – riesce comunque a coinvolgere e ad attirare su di sé l’attenzione di tutta la coralità internazionale. La sua è una popolarità raggiunta grazie alla sua grande capacità nel descrivere in suoni i colori dei suoi testi, all’ottima conoscenza delle potenzialità vocali e degli aspetti sonori di un coro, alla sua sapienza nell’enfatizzare sempre in maniera impeccabile le varie linee corali della partitura e alla sua ottima conoscenza del modo in cui si arriva a toccare le corde dei nostri sentimenti. La sua produzione artistica è contraddistinta da un approccio a 360 gradi: Whitacre riesce infatti a confezionare sempre degli ottimi lavori, alcuni di 29 grande difficoltà, destinati ai più grandi cori istituzionali, altri più vicini alla fattibilità dei cori più “amatoriali”, ma sempre caratterizzati dal suo personalissimo modo di intendere le voci, le voci di un coro, con le sue estensioni regolari, le sue lunghe frasi musicali, la ricchezza dei raddoppi sulle sezioni, l’eleganza dell’uso degli strumenti. Personalmente, noto, non senza stupore, come la conoscenza di Whitacre sia quasi esclusivamente legata all’ambiente corale e bandistico. Non a caso la sua più ampia produzione è rivolta proprio a questi due organici, il coro e la banda. Molto spesso, le sue composizioni scritte per coro diventano poi arrangiamenti per banda o anche, più raramente, per archi. Molte delle sue composizioni sono state adattate da lui stesso e trascritte per orchestra (ad esempio A Boy and a Girl, Lux Aurumque, Water Night), o per banda (Sleep, Cloudburst, The Seal Lullaby). Tra l’altro, si dice che abbia fatto parte della banda della Douglas High School proprio agli inizi della sua carriera di musicista. Ma esistono anche operazioni inverse: il brano October per orchestra, ad esempio, è stato poi trascritto per coro con il titolo Alleluia. È inoltre interessante notare come Whitacre non abbia scritto nessuna composizione sacra, e non abbia usato mai testi sacri, perché, per sua stessa ammissione, non li senta suoi, fino alla fine del 2012 quando, a distanza di venti anni dalla sua prima composizione, ha invece pubblicato un brano, The Chelsea Carol, per coro misto e organo, su testo sacro riadattato da Silvestri. Eric Whitacre ha indubbiamente un personalissimo stile nelle sue composizioni, ma nell’ascolto delle sue linee melodiche e nel modo di armonizzarle ci sono spesso delle somiglianze Eric Whitacre ha indubbiamente un personalissimo stile nelle sue composizioni. con grandi autori e compositori del Novecento o, a volte, anche del passato. Ad esempio Little Tree, composizione per coro e pianoforte, è molto vicina a Britten; alcuni passaggi di Leonardo Dreams of his Flying Machine ricordano invece la polifonia dei grandi maestri del Rinascimento-Barocco, citazione probabilmente espressamente voluta a causa del testo che lega alcuni versi del suo fedele collaboratore Anthony Charles Silvestri (suoi molti dei testi di altri brani corali di Whitacre) agli appunti dello stesso Leonardo da Vinci (è il sogno di Leonardo di costruire il primo mezzo di volo); il brano Goodnight Moon per voce e orchestra – ora anche nella versione per coro e pianoforte – ha sonorità mahleriane, così come Water Night presenta echi di Arvo Pärt. Pur non avendo mai studiato con Morten Lauridsen, Whitacre stesso considera l’artista di Colfax (Usa) ma di origine danese una 30 CATALOGO DELLE COMPOSIZIONI CORALI DI ERIC WHITACRE Titolo Testo Organico Edizione Go, lovely rose E. Waller SATB 1991 (rev.2001) I hide myself E. Dickinson SATB 1992 (rev.2001) With a lily in your hand F.G. Lorca (trad. J. Rothenberg) SATB 1992 (rev.2001) She weeps over rahoon J. Joyce SSA e corno inglese 1993 Water night O. Paz (trad. M. Rukeyser) SATB 1994 Little tree E.E. Cummings SATB e pianoforte 1996 Cloudburst O. Paz SATB, pianoforte e percussioni 1996 Hope, faith, life, love E.E. Cummings SATB 1999 I will wade out E.E. Cummings SATB 1999 When David heard King James Bible; II Samuel, 18:33 SSAATTBB 1999 I thank you God for most this amazing day E.E. Cummings SATB 1999 Sleep C.A. Silvestri SATB 2000 Little birds O. Paz SATB e pianoforte 2000 Lux aurumque E. Esch (trad. C.A. Silvestri) SATB (anche nella versione per TTBB) 2000 Five hebrew love songs H. Pitmann nella versione SA, con quartetto d’archi) 2001 Leonardo dreams of his flying machine C.A. Silvestri SSATB e percussioni 2001 A boy and a girl O. Paz (trad. M. Rukeyser) SATB 2002 Her sacred spirit soars C.A. Silvestri SSATB- SSATB 2002 This marriage Jalal al-Din Rumi SATB 2004 Animal crackers vol. I O. Nash SATB e pianoforte 2005 Sleep my child D. Norona & E. Whitacre SATB 2008 The stolen child W. Butler Yeats SATB 2008 The seal lullaby R. Kipling SATB e pianoforte (anche versione per SSA e pianoforte e per TTB e pianoforte) 2008 Nox aurumque C.A. Silvestri SATB 2009 Animal crackers vol. II O. Nash SATB 2009 SSATB 2011 SATB e pianoforte 2011 SATB 2012 SATB, pianoforte e percussione (anche Alleluia The city and the sea E.E. Cummings Oculi omnium Alone E. Allan Poe SATB 2012 Higher, faster, stronger C.A. Silvestri SATB, SATB, SATB 2012 The Chelsea Carol (trad. C.A. Silvestri) SATB e organo 2012 La discografia di Eric Whitacre è disponibile sul sito www.feniarco.it. COMPOSITORE 31 sorta di suo maestro e un grandissimo punto di riferimento. La considerazione e il rispetto nei confronti del noto compositore sono sempre molto evidenti non solo nella produzione dello stesso Whitacre, quanto anche nella scelta dei repertori dei concerti, che comprendono infatti spesso anche una composizione di Lauridsen, come segno evidente di grande stima e legame musicale e affettivo tra i due. Penso sia quindi sicuramente sbagliato considerare il giovane compositore americano solo come una popstar della musica corale, e come una gigantesca operazione di marketing destinata a sgonfiarsi presto. Allo stesso tempo, mi sembra evidente come Whitacre rappresenti un modo nuovo di “fare coro”, sicuramente ancora molto distante dal nostro modus operandi, che mette alla pari il suo modo di scrivere e le sue composizioni con le magliette e i gadget personali, in una sorta di vero e proprio merchandising della coralità. Non credo che i nostri compositori italiani abbiano qualcosa da imparare dalle sue modalità di sapersi vendere alla popolarità. Mi piace infatti pensare che esistano ancora figure di spessore, che nascondano gelosamente il loro pudore nella propria intimità, che non si vendano a rapporti legati tra loro solo attraverso correnti che navigano in internet, che conservino la loro riservatezza e la loro eleganza senza scendere nel business corale, e che mantengano intatta la loro sensibilità senza compromessi e senza doversi costruire un virtual shop di gadget. Britten festeggia a novembre i cento anni, e avrebbe avuto ancora molto da fare, molto da dire e da regalarci se avesse potuto, ma probabilmente non sarebbe stato mai “taggato” negli amici di Eric, non lo avrebbe accettato… senza nulla togliere all’utilità e al divertimento dei social network! Eric Whitacre è davvero un talento, ricco e intraprendente, legato e ancorato nel sistema che noi oggi abbiamo scelto di seguire, un sistema che impone determinate regole e tempi, spesso dettati più da un telecomando che dal cuore. Eric è quindi figlio di un sistema che noi abbiamo creato e dove vive sicuramente a proprio agio; a sua differenza, mi piace personalmente pensare che il mio cuore sia capace di comandare più che telecomandare tutto il sistema della coralità, dalla composizione all’espressione di chi la canta. Nel corso di pochi anni, Eric Whitacre è diventato uno degli autori contemporanei più noti ed eseguiti a livello mondiale. 32 ET CANUNT ANGELI INTRODUZIONE A LUX AURUMQUE di Ilaria Rosa NEOLAUREATA AL DAMS DI PADOVA CON UNA TESI SU ERIC WHITACRE Lux Aurumque (Luce e Oro), scritto nell’autunno del 2000, nasce come brano per coro a cappella. È stato commissionato, nella sua forma originale per coro SATB, dalla Master Chorale di Tampa Bay,1 e Whitacre lo dedica con amore al grande amico Dr. Jo-Michael Scheibe.2 Esiste anche una disposizione TTBB di Lux Aurumque, commissionata dal Gay Men’s Chorus di Los Angeles,3 dedicata al suo direttore, il dottor Bruce Mayhall. La trascrizione per orchestra di fiati è stata commissionata dalla Texas All State band,4 ed è dedicata al Maestro Gary Green, mentre la trascrizione per orchestra d’archi è stata commissionata dalla Midwest Band and Orchestra Clinic.5 Il testo Light, warm and heavy as pure gold, and angels sing softly to the new-born babe. (Edward Esch) Lux, calida gravisque pura velut aurum, et canunt angeli molliter modo natum. (tradotto in latino da Charles Anthony Silvestri) Whitacre era stato colpito dal semplice potere delle poche righe di questa poesia natalizia del poeta Edward Esch, ma, prima di porla in musica, ha chiesto al suo amico e frequente collaboratore, il poeta Charles Anthony Silvestri, di tradurre il testo dall’inglese al latino. Charles Anthony Silvestri (1965), acclamato paroliere specializzato nella fornitura di poesie per compositori corali, gode delle sfide creative e dei benefici del processo collaborativo. Ha fornito testi per molti compositori in diverse fasi della loro carriera e per una varietà di commissioni e occasioni. «La collaborazione tra il compositore e poeta è magica», afferma Silvestri. Ha collaborato con compositori celebri come, appunto, Eric Whitacre, Dan Forrest, Ola Gjeilo, Andrea Ramsey e Tobias Forster. Le sue parole sono state cantate da migliaia di cori in tutto il mondo, e sono state ascoltate in televisioni e radio, e negli spazi magnifici come la Sydney Opera House, Disney Hall, Lincoln Center, la National Cathedral, Royal Albert Hall, Westminster Abbey, King’s College e la Basilica di San Pietro. Si è laureato in Storia antica e medievale e ha ottenuto il master e il dottorato presso la Loyola Marymount University e la University of Southern California. Attualmente insegna storia alla Washburn University. La decisione, apparentemente strana, di Whitacre di far tradurre un testo da una lingua vivente come l’inglese a una morta come latino, è giustificata dall’amore che egli prova per questa lingua, per i suoni delle vocali, delle consonanti, per la qualità antica che ha in sé il latino. Alcuni studiosi latini criticano la scelta di Silvestri per quanto riguarda alcune parole o alcuni casi, ma nessuna è in contrasto con le regole della grammatica latina. L’obiettivo era quello di rendere la poesia in latino il più originale e cantabile possibile dal punto di vista sonoro. Analizzando il testo si nota come, in apparenza, ci sia un distacco tra i primi due versi della poesia e gli ultimi due. La mancanza di proposizioni che colleghino le due sezioni rende la poesia più naturale, libera dalla morsa scomoda di frasi subordinate. Però la prima parola, “lux” (luce), si connette direttamente all’immagine dell’ultima, “natum” (bambino), creando così un andamento circolare del testo. La luce, soggetto del testo, viene equiparata con il suono. È calda e rara, bella come l’oro, e scatena un’immagine sensoriale che, assieme al canto degli angeli, viene percepita all’ascolto del brano. Suono e luce sono dunque equiparati, e il risultato è un oro avvolgente, simbolo di un amore universale. Questo, infatti, è uno dei pochi brani di Whitacre a essere eseguiti negli ambienti della chiesa, soprattutto a Natale: l’immagine degli angeli che cantano al neonato evoca quella della notte silenziosa nella capanna di Betlemme. Analisi armonico-melodica di Lux Aurumque Lux Aurumque è un brano per coro SATB a cappella, composto nel 2000 su commissione della Master Chorale di Tampa Bay. Il metro è 4/4 e rimane tale per tutta la durata del brano. Whitacre specifica in partitura un’indicazione per il metronomo R = 60-66 da scegliere in base all’acustica del luogo nel quale il pezzo verrà eseguito. Il brano inizia nella tonalità di do diesis minore e la prima battuta è occupata, appunto, da un accordo di do diesis minore al quale, nella battuta 2, viene sovrapposto un accordo di sol diesis minore per una durata di 3/4, mentre la H lascia spazio alla chiusura della “x”. Le voci femminili operano COMPOSITORE 33 in moto contrario a quelle maschili: soprani primi e contralti in moto ascendente, tenori secondi e bassi secondi in moto discendente. La dinamica in queste battute richiede un Q sull’accordo di do diesis minore, un crescendo al 2 in corrispondenza della sovrapposizione di accordi, e un conseguente decrescendo. Il colore è garantito, dunque, dalla politonalità della battuta 2 e dalla rispettiva apertura delle voci (vedi fig. 1). Fig 2 Fig 1 Questo schema si ripete identicamente per quattro volte, fino a battuta 8. Le battute 5-8 sono coperte da un soprano solo che svetta sopra le voci in ( con un arpeggio, rimanendo sempre nelle note degli accordi di do diesis minore e sol diesis minore, dando un’immagine visiva della luce evocata dal testo. A battuta 9 Whitacre modula in la maggiore con un accordo in stato fondamentale sull’accento forte della parola “calida” delle voci femminili, ripreso nel terzo movimento di battuta dalle voci maschili; poi sovrappone nuovamente un accordo, questa volta di si maggiore, a battuta 10 sull’accento debole del testo. Anche qui siamo in presenza di moti contrari nelle voci: soprani secondi e bassi procedono in moto discendente, contralti secondi e tenori in moto ascendente. La dinamica prevede un 2 sulla sillaba “cà” che cresce al ( su “da” per poi decrescere nel resto della battuta. A battuta 11 riprende l’accordo di la maggiore nel secondo rivolto, come esplicato nella figura 2, e sovrappone ancora il si maggiore nella battuta successiva. Poi inizia un cromatismo discendente che sottolinea con un madrigalismo la parola “gravisque” (pesante): parte sempre da un accordo di la maggiore, stavolta nel primo rivolto, nelle battute 14-15 fa procedere parallelamente a distanza di ottava soprani e tenori con contralti e bassi, inserendo in queste ultime voci un interessante si bemolle. Chiude la battuta 15 in do diesis minore e poi modula in fa diesis minore sulla cadenza di battuta 17 con un accordo vuoto di fa diesis, subito confermato dal la dei soprani a battuta 18. Nelle battute 9-17 siamo dunque in presenza di una catabasi che dalla tonalità di la maggiore, passando per il si maggiore e il do diesis minore, arriva alla sua relativa minore, fa diesis minore. A questo fa diesis minore Whitacre sovrappone, a battuta 19, un accordo di si maggiore per poi tornare subito al fa diesis minore e ripetere la sovrapposizione a distanza di una battuta in corrispondenza della sillaba “ra” di “pura”. Dal primo movimento di battuta 22 torna in fa diesis minore in corrispondenza della parola “velut”, poi inizia un pedale di mi tenuto dai soprani primi mentre le altre voci chiudono la parola “aurum” con l’accordo di si maggiore. In seguito soprani secondi e contralti procedono armonicamente con accordi paralleli di la maggiore in secondo rivolto e si maggiore in secondo rivolto, «creando un effetto di spinta seguita da una trazione immediata, simulando le onde di un oceano»,6 sulle parole “et canunt”, che dal di battuta 24 arrivano al G di battuta 28. Nel frattempo i soprani primi continuano a tenere il pedale di mi e le voci maschili avanzano con la melodia finché si incontrano in un accordo di la maggiore con le voci femminili a battuta 28. Segue una cadenza dei tenori che porta, a battuta 29, al fa diesis maggiore sulla parola “angeli”. Qui Whitacre inserisce una cesura in partitura e fa ripartire le voci maschili a battuta 30 con un accordo di do diesis minore senza quinta, al quale seguono in le voci femminili che crescono al Q a battuta 31 sovrapponendo l’accordo di sol diesis minore a quello di do diesis minore. Lo schema della dinamica riprende quello delle prime otto battute del brano: un crescendo seguito subito da un decrescendo, come a indicare il movimento di inspirazione ed espirazione. 34 Fig 3 Questa sequenza viene ripetuta per tre volte e, a battuta 35, i soprani primi iniziano un pedale di sol diesis (nota comune agli accordi sovrapposti di do diesis minore e sol diesis minore) mentre il resto delle voci pronuncia la parola “molliter” mantenendo gli stessi accordi e alternando le sillabe a pause di un quarto, facendo percepire l’effetto onda a ogni sillaba (vedi fig. 3). Il passaggio finale cita infine il neonato: per evidenziare questo momento, Whitacre introduce improvvisamente una sonorità maggiore luminosa, piena e pura. Da battuta 38, infatti, modula in fa diesis maggiore, la tonalità con la quale aveva concluso la sezione precedente sulla parola “angeli” prima della cesura. Inizia con un accordo di do diesis maggiore al quale sovrappone quello di re diesis minore (relativa minore di fa diesis maggiore) nella battuta seguente. Anche qui torna la dinamica delle prime battute, ma con un crescendo dal al e viceversa, il tutto mentre continua il pedale di sol diesis dei soprani primi. La parola “modo” subisce lo stesso trattamento di “molliter” e l’ultima parola, “natum”, chiude il brano con un accordo di do diesis maggiore in . L’uso del terzo suono Questo brano fa un vasto uso dei battimenti di frequenze tra le parti, che provocano una piccola differenza di vibrazioni tra due suoni della stessa altezza: ne risulta un effetto vibratorio particolare, caratterizzato da rapide ondulazioni acustiche. L’esito è un rafforzamento del suono seguito da un indebolimento. Ma il risultato non è solo la ricchezza sonora dello scontro di una coppia di note, si ottiene anche quella misteriosa nota “fantasma” che il battimento di frequenza comporta: la nota implicita che percepiamo quando sentiamo una dissonanza. Un’armonia di questo tipo è come l’equivalente umano del vox coelestis dell’organo: meglio conosciuto come “vibrato”, il vox coelestis è un registro accessorio dell’organo che si ottiene accoppiando due registri con lo stesso timbro stonati di qualche Hertz, sfruttando quindi il fenomeno dei battimenti per ottenere un’ondulazione del suono. Il violinista Giuseppe Tartini fu il primo, nel diciottesimo secolo, a documentare in senso musicale questa nota “fantasma”, definendola terzo suono. Suonando un bicordo a un intervallo di quinta si ottiene contemporaneamente un terzo suono, più grave. Il terzo suono, nel basso, è una nota la cui frequenza è la differenza fra quelle dei due suoni originari. Ad esempio, eseguendo un suono da 512 Hz e contemporaneamente uno da 640 Hz, si sentirà anche un suono, più grave, da 128 Hz (un’ottava sotto il suono da 512 Hz). Il terzo suono è ottenibile eseguendo bicordi anche ad altri intervalli, non solo terze e quinte. Ne abbiamo un esempio nella già citata figura 1. L’intervallo di seconda maggiore tra il soprano secondo che canta un do diesis e il soprano primo che canta un re diesis, nelle battute 2, 4, ecc. di Lux Aurumque, dà l’implicito do diesis tre ottave più in basso. Invece l’intervallo di seconda minore tra i tenori secondi e primi, che cantano un re diesis e un mi nelle stesse battute, dà pulsazioni troppo basse per riuscire a percepire un suono in sé. Lo percepiamo, quindi, come un tremolio pulsante e luccicante che varia il volume dei suoni sottostanti. Note 1. Visita il sito www.masterchorale.com/ 2. Jo-Michael Scheibe (California, 1950) è preside della Thornton School of Music’s Department of Choral and Sacred Music presso la University of Southern California, dove dirige i Chamber Singers USC, insegna metodi corali e direzione corale. Nel 2008 è stato eletto Presidente Nazionale dell’ACDA (American Choral Directors Association). Ensemble sotto la sua guida hanno cantato a sei congressi nazionali ACDA, nonché a due convegni nazionali della National Music Educators Conference e varie congressi regionali e statali. 3. Visita il sito www.gmcla.org/ 4. Visita il sito www.tmea.org/ 5. Visita il sito www.midwestclinic.org/default.aspx 6. Tratto dal video www.youtube.com/ watch?v=uh1c2xWVWiA S M 35 STABAT MATER DI GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA di Walter Marzilli Aprire la partitura e imbattersi immediatamente in un accordo di la maggiore seguito da uno di fa maggiore potrebbe lasciare perplesso un purista della solmisazione… (vedi fig. 1). Per eseguire le prime tre note del tenor (do diesis - re - fa) occorre applicare subito una mutazione e cantare in successione mi - fa - fa. Anche la successione accordale è inusuale nella scrittura palestriniana.1 A mitigare l’eventuale turbamento arriva però subito, alla seconda battuta, una rassicurante accentuazione ternaria sulla parola “Mater”. In altre occasioni ho già avuto modo di parlare del fatto che qualunque compositore, consapevolmente o no, posto di fronte a un testo da musicare che parli di nascita, di presenza materna ecc., inevitabilmente ricorre all’andamento ternario. Ma per forza! Tutto dipende dal fatto che l’orecchio è il primo a formarsi tra gli organi di senso del nostro corpo.2 Dopo soli due mesi dalla gestazione è già formato, al contrario dell’organo della vista, che per circa un anno dopo la nascita continua a non funzionare perfettamente… Questo significa che durante i restanti sette mesi che ognuno di noi ha trascorso dondolando beatamente all’interno del grembo materno, abbiamo incessantemente ascoltato il suono profondo del battito del cuore di nostra madre, bum-bum… bum-bum… bumbum…3 E questo tempo ternario in levare ha segnato per sempre la nostra sensibilità.4 Fateci caso: la quasi totalità dei brani natalizi sono scritti in tempo ternario, oppure senario.5 Aggiungo di più: accade con una frequenza impressionante che i compositori introducano un tempo ternario quando, nel bel mezzo di una composizione, si imbattono in una parola come “Mater”. Cito un esempio tra mille: nella Ave Maria attribuita a Tomás Luis de Victoria, alla frase “Sancta Maria, Mater Dei” arriva, puntualissimo, il movimento ternario. Palestrina non è da meno quando già alla seconda battuta introduce appunto un ternario non esplicitato dal segno grafico, ma innegabilmente evidentissimo. Tale modulo ternario attraversa continuamente tutto il brano, fino alla definitiva consacrazione nella secunda pars, quando il ternario è esplicitato nell’armatura in chiave con il classico cerchio tagliato con il numero 3 (batt. 74). Qual è il testo? “Eia Mater, fons amoris”. Roba da far venire i brividi… Poi ritorna per un lungo tratto il tempo binario indicato con la C tagliata (94), ma è solo un’illusione. Già alla battuta successiva ricompare STABAT MATER 36 Fig. 1 il ternario, ovviamente alla parola “Mater”! Si continua così, alternando il binario (“cordi meo valide” [100], seppure “turbato” dalla ternarietà della linea del basso rinforzata da una hemiolia – vedi qui di seguito) al ternario: alla parola “tui nati” (103) ecco di nuovo, puntuale, il ternario nascosto. Per la verità non è poi tanto nascosto, dal momento che risulta anche confermato da una raffinatissima hemiolia presente in tutte le voci che, come si sa, allarga e conferma il ternario, causando il passaggio da un andamento in 3/4 a uno in 3/2, per dirla in modo semplificato… Questo procedimento di conferma ternaria attraverso l’introduzione di una hemiolia avviene molte altre volte in occasioni simili.6 Ma allora, se è vera questa teoria del ternario legato alla nascita, che ci fa un ternario alle parole “Quando corpus morietur” e anche a “Christi mortem”? La risposta tocca un aspetto teologico, e mostra un Palestrina molto profondo.7 Nell’iconografia bizantina la mangiatoia dove è nato Gesù Bambino è raffigurata come un sepolcro funerario, e il bambino appare fasciato come fosse un cadavere trattato per la conservazione (vedi figura 2). Similmente, le icone che raffigurano la Madonna che lo tiene in braccio mettono in risalto i lineamenti addolorati della madre, come se sapesse quale sarà la sorte del figlio (vedi figura 3). Ci vorranno secoli per vedere raffigurato il corpo di Gesù Bambino finalmente libero dalle bende mortuarie, ma anche nel fulgido Rinascimento pittorico, la mangiatoia sarà ancora rappresentata come un sepolcro (vedi fig. 4). Fig. 2 Fig. 3 NOVA ET VETERA Fig. 4 - Domenico Ghirlandaio, L’Adorazione dei pastori (1485), Santa Trinità, Firenze In effetti nella dottrina cattolica il potere salvifico ed escatologico della nascita di Cristo si manifesta e si completa con la sua morte in croce. Ecco perché ci sono alcuni parallelismi musicali a dir poco sorprendenti nel repertorio gregoriano… Tutti sappiamo ad esempio che il quarto modo (deuterus plagale) veniva usato soprattutto per musicare testi meditativi e di natura addolorata.8 Infatti non c’è traccia di quarto modo nella Domenica delle Palme, dove regnano la solarità e la festosità del quinto e dell’ottavo modo. Ma basta girare letteralmente una pagina nel Graduale Triplex ed entrare nella Settimana Santa, per imbattersi immediatamente nel quarto modo dell’introito Iudica Domine. Tutti gli introiti e i graduali della Settimana Santa sono in terzo modo (deuterus autentico)9 e quarto modo, così come l’introito della Missa in cena Domini del Giovedì Santo, Nos autem gloriari, che è, nonostante il testo celebrativo e salvifico della croce, opportunamente in quarto modo. Ebbene, troviamo proprio il quarto modo laddove non ce lo aspetteremmo mai, cioè all’annuncio del Natale nella Liturgia delle Ore! Sempre a Natale, l’offertorio della Missa in nocte, Laetentur coeli e il communio della Missa in aurora, Exsulta filia Sion, sono anch’essi in quarto modo, nonostante il testo esultante! Epifania: communio Videntes stellam, ancora il quarto modo. Ma l’esempio più eclatante di questa ambivalenza nascitamorte è il quarto modo dell’introito Resurrexi, nel giorno di Pasqua! Dobbiamo anche notare come questo brano sia preceduto dalla Veglia pasquale durante la quale, 37 giustamente, tutti i brani tra le letture sono scritti nel raggiante ottavo modo!10 Continuiamo? L’introito della messa di requiem è scritto nel solare sesto modo, che è il modo dell’alleluia pasquale… E adesso, in questo contesto salvifico, scopriamo la profondità teologica di Palestrina.11 Al centro del suo mottetto di Natale Dies sanctificatus a quattro voci, inserisce a sorpresa un nuovo bicinium, che possiamo definire come un tropo. La frase del tropo non esiste nel testo originale del mottetto. Ecco il testo aggiunto: “Haec dies quam fecit Dominus; exsultemus et laetemur”. E sapete da dove lo ha preso? Dal versetto dell’alleluia dell’ottava di Pasqua! Il tema polifonico è lo stesso della fonte gregoriana, ma rovesciato. Mi faceva notare mons. Palombella che nella versione a otto voci del mottetto Dies sanctificatus, Palestrina inserisce di nuovo lo stesso identico tropo, e questa volta cita addirittura lo stesso tema (do - si - re - do) del versetto dell’alleluia pasquale! Le sorprese di un Palestrina fine teologo non sono finite. Parleremo tra poco della tecnica con la quale egli modella l’alternanza tra i due semicori nello Stabat Mater. Anticipiamo qui che le entrate in genere sono sempre alternate, e i due semicori si sovrappongono per la durata di una sola semiminima. Esiste un unico momento in cui il compositore sovrappone i due gruppi con testo diverso per due battute (vedi fig. 5): indovinate cosa dicono i due semicori contemporaneamente? Uno “natum” e l’altro “morientem”. Incredibile… Fig. 5 38 Abbiamo appena accennato alla tecnica che Palestrina usa nell’alternanza dei due semicori. Non esiterei a definirla pittorica, e con un po’ di intraprendenza, addirittura cinematografica. Vediamo come fa. Il passaggio avviene attraverso un procedimento che un regista chiamerebbe dissolvenza. I due semicori si avvicinano fino a sfiorarsi, e l’uno crea l’accordo dal quale parte l’altro, come da prassi. A volte si susseguono senza sovrapporsi,12 altre volte un semicoro si insinua nell’altro mentre una sezione risolve un ritardo, altre volte si sfiorano per la sola durata di una semiminima,13 infine dispiega tutte insieme le otto voci.14 Rinnovo l’attenzione sul fatto che non sovrappone mai per due intere battute i due semicori con testo diverso, tranne che nell’unico caso discusso poc’anzi (natum-morientem). Alcune volte “ferma la scena” e interrompe il flusso con una pausa.15 Questo avviene per la prima volta quando Palestrina sembra puntare “un occhio di bue” sulla Madonna e il suo dolore, e alle parole “O quam tristis et afflicta” fa intervenire per la prima volta le otto voci insieme. Lo farà di nuovo, coerentemente, alle parole “Sancta Mater” (batt. 94). Come se l’intento del compositore fosse spostare il suono e l’attenzione continuamente a destra e a sinistra della scena, salvo quando vuole indirizzarla sul personaggio centrale… Per questo si rende quanto mai necessaria una disposizione dei due semicori tale per cui il suono possa scorrere decisamente da una parte all’altra dello spazio sonoro. Allora sembra necessario cogliere il suggerimento implicito di Palestrina, e separare abbondantemente i due semicori, cercando quella “spazializzazione” del coro che adesso è una caratteristica molto ricercata dai direttori. Niente di nuovo sotto al sole… Aggiungiamo che le sorgenti stereofoniche del suono non sono solo le consuete tre del doppio coro (primo semicoro - secondo semicoro - tutti), ma diventano cinque a causa di due importanti episodi nei quali Palestrina forma due quartetti nuovi, unendo due voci del primo semicoro con due del secondo.16 Ma torniamo al trattamento ritmico, per notare che l’esemplarità del tempo “perfetto” ternario17 evidentemente non si addice al testo quando esso introduce le parole “poenas” (36), “fleret” (41) e “plangere” (140), musicate con un ritmo binario: forse le pene e il pianto sono cose umane, per questo imperfette anzi perfettibili, lontane dalla perfezione della Trinità… Forse non è un caso se nella già citata Ave Maria attribuita a de Victoria, l’autore reintroduce il tempo binario proprio alla parola “peccatoribus”, dopo la parentesi ternaria del “Sancta Maria, ora pro nobis”… Queste tre parole, “poenas”, “fleret” e “plangere”, ci conducono a un’altra riflessione. Non è difficile infatti riconoscere nel trattamento ritmico riservato a loro (e, si badi bene, solo a loro…) un atteggiamento incline al descrittivismo e alla drammatizzazione dei concetti espressi dal testo. Ciò che comunemente viene definito con approccio limitativo “madrigalismo”. Mi riferisco al fatto che solo in queste tre occasioni due sezioni del coro siano chiamate a eseguire a coppia un ritmo puntato, che facilmente può richiamare alla mente il moto del singhiozzare… Sono espedienti raffinati, che servivano a “movere gli affetti” degli uomini del Rinascimento. Ma non è finita qui. Cosa dire dell’introduzione di un addolorato si bemolle discendente alle parole “dolorosa” (3), “lacrimosa” (7), “gementem” (12), “dolentem” (16) ecc.? Si tenga presente che l’armatura in chiave, pur nella vaghezza dell’indefinizione modale di un’andatura armonico-melodica molto intrigante quanto intricata,18 non riporta nessun si bemolle, anzi, gioca spesso con il si bequadro (vedi “pertransivit gladius”, in seguito…). E quelle tre sincopi dei soprani (vedi fig. 6) alle parole “dum pendebat filium”? Non danno l’idea di un qualcosa di appeso e oscillante? Non solo: tutto il coro attacca, sospeso in levare, sull’ultimo quarto della battuta.19 Inoltre riusciamo anche a scoprire un Palestrina inedito se osserviamo il movimento “a pendolo” della melodia dei bassi, che si muove per lunghi salti. Un movimento scolastico ed elementare, piuttosto improbabile da trovare nel fraseggio maturo di Palestrina… Devo continuare? Allora farò notare il convinto (e convincente!) movimento discendente delle melodie del cantus, dell’altus e del tenor alle parole “pendebat (filium)”… Fig. 6 Ancora. “Pertransivit gladius”, parte del tenor (vedi fig. 7): è presente un tritono tra fa e si, appuntito e tagliente come la punta della lancia che – per analogia – trafisse il costato di Cristo sulla croce, di cui parla il testo.20 La sua forza pungente aumenta per il contrasto con i quattro morbidi si bemolle che lo circondano. Da notare che Casimiri lo arrotonda con il si bemolle, ponendo il segno di alterazione a sinistra della nota, come se fosse una richiesta dello stesso Palestrina.21 Tra le edizioni che ho potuto consultare, tre di esse aggiustano il si per mezzo del bemolle,22 mentre quattro mantengono il si bequadro.23 Occorre inoltre notare come, al di là del valore descrittivo del tritono in riferimento al particolare passaggio letterario, in questo caso l’adozione del si bequadro permette di rispettare la nota regola del mi contra fa (causa necessitatis) tra tenor e cantus. NOVA ET VETERA 39 Fig. 7 A conforto della tesi descrittiva, aggiungiamo che in questo passaggio Palestrina sfiora per ben quattro volte una pungente successione di quinte tra parti estreme nello spazio di due battute, salvandosi ogni volta per mezzo dell’anticipazione delle note e della conseguente sincope composta che ne deriva! Per carità, il procedimento è perfettamente canonico, ma la situazione risulta comunque molto interessante… Finisco di rincorrere questa idea dicendo che tutte e quattro le sezioni che cantano questa frase si muovono appuntite verso l’alto con una melodia ascendente… E infine come non riconoscere nella fuggevolezza ritmica con la quale Palestrina tratta la parola “spiritum” (vedi fig. 8), in chiusura della prima parte, un certo richiamo alla fluidità e all’eterea consistenza dello spirito che lascia il corpo nel momento della morte? A pensarci bene, infatti, quello è l’unico momento in cui il contrappunto serpeggia attraverso ritmi e melodie più articolati e per niente compunti e ordinati, come lo sono invece tutte le frasi, compassate e misurate, che compongono il resto del brano. Fig. 8 Alcuni rilevamenti in margine: 1. In tutto il brano esistono due sole note lunghe che non sono disturbate dal procedere dell’altro semicoro: “gementem” (12) e “tormentis” (59-60). Anche “desolatum” e “plagas” (68 e 100) presentano una semibreve sull’entrata dell’altro semicoro. Sono quattro parole molto significative all’interno del clima testuale del brano, e su di loro Palestrina sembra quasi fermarsi a pensare. Non sarebbe privo di significato interpretare questa particolare situazione come un messaggio del compositore, con il quale voglia invitare gli esecutori ad “annerire” quelle semibrevi con abbellimenti e colorature… I testi coevi sulla musica sono pieni di esempi di annerimenti svolti, anche riguardanti i brani dello stesso Palestrina. Probabilmente siamo noi che abbiamo perso questa capacità, e ci limitiamo a eseguire le note scritte, che allora potevano essere solo un canovaccio strutturale sul quale improvvisare, per esempio in occasione delle note prese per salto, su quelle lunghe, o su quelle che indulgono appunto al pianto e alla tristezza, come dicono ripetutamente molti testi antichi. Ma questo è un argomento lungo e complicato, che non può essere approfondito in questa occasione. 2. Nella nota 19 abbiamo accennato alla conduzione in due movimenti, che è quella usata sia da Lino Bianchi che da Haberl-Espagne, come da molti altri. Casimiri invece preferisce un andamento in quattro movimenti. In realtà è il meno adatto per riuscire a fargli “rotolare al suo interno” gli innumerevoli episodi di tempo ternario implicito. Chi pratica queste cose sa bene che anche le sesquialtere e le hemiolie si proporzionano e “girano” meglio all’interno di un tactus binario piuttosto che quaternario. 40 3. Palestrina scrive usando le cosiddette chiavette per entrambi i semicori. Questo denota la possibilità di spostare verso il basso l’altezza del brano, come fa la Cappella Sistina che usa i tenori acuti per le parti di altus. 4. Infine concludiamo chiedendoci se anche Palestrina avrà ceduto al fascino al quale quasi nessuno dei suoi colleghi musicisti24 del Rinascimento ha saputo resistere: quello della sezione aurea. Stiamo parlando della ricerca delle proporzioni perfette, di rapporti privilegiati fra le parti e il tutto, di combinazioni intrinseche che spesso nascondono gelosamente il segreto della bellezza. Abbiamo già accennato al fatto che il brano è diviso in due parti. Adesso precisiamo che si tratta rispettivamente di 73 e 118 battute, per un totale di 191 battute. Una breve indagine permette di scoprire che la sezione aurea della prima parte corrisponde alla battuta 45, alle parole “in tanto supplicio”. La sezione aurea della seconda parte vale 72 (72,924 per l’esattezza)25 e corrisponde alla battuta 145, dove troviamo la parola “passionis”. E qui cominciano le sorprese: questo punto corrisponde alla lunghezza della prima parte (73 battute).26 Andiamo avanti. La sezione aurea dell’intero brano cade alla battuta 118, alle parole “donec ego vixero”. Ovvero, la sezione aurea dell’intero brano è perfettamente uguale alla lunghezza della seconda parte (118 battute). Dobbiamo inoltre anche notare che la frase in questione (“donec ego vixero”) introduce un episodio molto particolare, che è un lungo intervento affidato a un organico con un numero minore di voci.27 Sappiamo che questo poteva essere debitamente interpretato come uno stimolo ad affidare le parti a dei solisti, creando così un’atmosfera sonora del tutto particolare e molto raffinata. Le sorprese non sono finite: questo punto taglia la seconda parte alla stessa distanza in cui la sezione aurea taglia la prima parte (45 battute). E che distanza c’è tra la sezione aurea della seconda parte e la fine del brano? Di nuovo 45 battute… Vado avanti? La sottrazione tra la sezione aurea della seconda parte e la sezione aurea del brano totale dà come risultato 27 battute: esattamente come la sottrazione tra la lunghezza della prima parte e la sua sezione aurea…28 Ormai mi sono fatto prendere la mano: la sottrazione tra tutto il brano e la sezione aurea della prima parte dà lo stesso risultato della sezione aurea della seconda parte.29 Mi fermo. Mi sembra troppo. Si noti che tutte queste “coincidenze” non sono il frutto di quei calcoli matematici “incestuosi” che danno sempre lo stesso risultato, come succede in alcuni famosi giochi con i numeri. Esse sono realizzabili solo per quelle precise lunghezze della prima e della seconda parte. Cambiando per esempio la lunghezza della seconda parte, svaniscono tutte le coincidenze che la riguardano. E non venitemi a dire che vi siete divertiti anche voi a unire le parole sulle quali cadono le tre sezioni auree, e che ne è uscita fuori la frase “In tanto supplicio passionis, donec ego vixero”.30 Adesso vi prego di non collegarla con la vita difficile di Palestrina, che in pochi anni perse il fratello, prima un figlio poi l’altro, la moglie, venne licenziato dalla Cappella Sistina e, nonostante numerosi tentativi, non riuscì mai a coronare il sogno di lavorare per le corti di Spagna, di Vienna, di Monaco di Baviera e nemmeno dei Gonzaga a Mantova, perché questo sarebbe troppo anche per me! NOVA ET VETERA 41 Note 1. Cipriano de Rore (vedi figura) ne usa una identica anche nel movimento delle voci, seppure scambiate. Ma innanzitutto lo fa all’interno di un madrigale (O sonno), e poi inserisce un mi di passaggio per addolcire il passaggio del soprano (do diesis - re - mi - fa). Un eventuale do bequadro risulterebbe melodicamente inopportuno. 2. Ed è anche l’ultimo a decomporsi dopo la morte! 3. Bisogna inoltre considerare che il liquido amniotico che avvolge il nascituro è in grado di trasportare il suono cinque volte più velocemente rispetto all’aria (1500 m/s nell’acqua contro 340 m/s nell’aria). Oltretutto il liquido amniotico è anche più denso dell’acqua, quindi la velocità del suono in questo mezzo di propagazione, a causa della maggiore densità, sarà ancora maggiore rispetto all’acqua. 4. I genitori dovrebbero tutti sapere che per calmare un disagio o le insofferenze di un bambino, basta tamburellare con il palmo della mano sul materasso lo stesso ritmo in levare del cuore. Funziona davvero, l’ho sperimentato tante volte con i miei figli quando erano piccoli… 5. Quei pochi che sono scritti in tempo binario sono forse legati al dondolare binario dei passi di nostra madre? Basta osservare da lontano il lento oscillare delle teste nella lunga fila di persone che vanno a fare la comunione durante le messe… 6. Battute 25-26; 56-57; 59-60; 61-65; 82-83; 85-86; 88-89; 102-103, linea del basso; 104-106. L’episodio alle battute 64-65 è degno di particolare attenzione: alle parole “suum dulcem natum” Palestrina porta al raggiungimento della massima espressività l’atteggiamento ternario, introducendo una hemiolia particolarmente plateale – coincidente con un andamento binario – che conduce a un intenso e lungo accordo di re con una luminosa terza maggiore affidata ai tenori. 7. Ringrazio di cuore mons. Massimo Palombella per avermi illustrato questi aspetti teologico-musicali nel dettaglio, che mi hanno permesso di approfondire alcune questioni. 8. Lo descrivono in questi termini molti teorici coevi, da Lanfranco a Zarlino, da Vecchi a Diruta ecc. 9. L’altro modo lamentevole per eccellenza… 10. Jubilate Domino, Cantemus Domino, Qui confidunt, Laudate Dominum, Vinea facta est ecc. 11. Non dimentichiamoci che se non si fosse sposato in seconde nozze con Virginia Dormoli dopo la morte della moglie, forse avrebbe completato gli ordini sacri… 12. Avviene quattro volte in tutto il brano. 13. Succede 19 volte, ed è la maggioranza dei casi. 14. Otto volte. 15. Tre volte, in genere prima del “tutti”. 16. Accade a “Juxta Jerusalem” (122), e in un lungo episodio che inizia alle parole “passionis eius” a battuta 145, di cui parleremo in seguito. 17. È ben noto come l’antica teoria semiografica definisse il tempo ternario perfectus e quello binario imperfectus, accostando il ternario alla sacralità delle Trinità: omne trinum est perfectum. 18. Si denota in questo modo tutta l’inquietudine e il coinvolgimento di Palestrina nel trattare un testo così denso di dolore… Ma forse c’è dell’altro: lo vedremo in chiusura di articolo… 19. Queste raffinatezze, naturalmente, si lasciano svelare solo dalla conduzione in due movimenti… 20. È vero che il si sale al do, ma non lo fa attraverso la consueta successione veloce di crome… Il testo parla della spada che trafiggeva l’anima addolorata della Madonna (“Cuius animam gementem, contristatam et dolentem pertransivit gladius”). 21. Per la verità Casimiri tratta tutte le alterazioni come fossero di Palestrina, ponendole a sinistra della nota. Soltanto in un caso si premura di mettere tra parentesi un si bequadro (“Christi mortem”), per distinguerlo dai precedenti si bemolle. 22. Palestrina, Stabat Mater, trascrizione di Alexandre-Étienne Coron (1771-1834), senza data; Palestrina, Stabat Mater, a cura di Richard Wagner (1813-1883), Ed. G. Schirmer, New York, senza data; Raffaele Casimiri, Antologia Polifonica, vol. VI, Ed. Psalterium, Roma, 1934, pp. 33-47. 23. Pierluigi da Palestrina’s Werke, a cura di Franz Espagne (nota come Opera Omnia - Haberl), vol. VI, Breitkopf & Härtel, Leipzig, 1876, pp. 96-108; Palestrina, Stabat Mater, trascritto da W.M. Barclay Squire, Novello, London, 1899; Palestrina, Stabat Mater, trascrizione di Henry Washington, Chester Music, London, 1974; Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Composizioni latine a 8 e 9 voci, vol. 33, cura e studio: Lino Bianchi, Istituto italiano per la storia della musica, Edizioni Scalera, Roma 1981, pp. 43-60 (nota come Opera Omnia Casimiri). La trascrizione di Bianchi tratta le alterazioni in modo oculato, preoccupandosi di porre i propri personali suggerimenti alla sommità della nota, anche quelli che riguardano molte situazioni consuete nell’ambito della musica ficta, come i tritoni, le sensibili in cadenza ecc. 24. Per non parlare dei pittori, degli scultori, degli architetti ecc. 25. Manca uno 0,076 per arrivare a 73. Facendo i calcoli si tratta all’incirca di una semicroma… 26. Abbiamo visto quanto manca (cfr. nota precedente). 27. Del primo coro vengono utilizzati cantus e altus, dal secondo cantus e tenor. Siamo a battuta 122, lo abbiamo anticipato nella nota 16. 28. Anche se ci sono sempre quelle cifre decimali di cui tenere conto, per cui lo scarto è pari a 0,096. 29. E quando dico lo stesso intendo davvero lo stesso, compresi tre decimali: 145,886! 30. “In tanto supplizio di passione, in cui ho sempre vissuto”… Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 39 tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it 42 x 0005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x100 0 0 0 1 O 5 C R A I i r N o c E i F e E P 0 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 00 0 0 0 5 x 10 05x1 5 x 10 0 0 5 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 x 10 0 0 d e c o v la R 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 0 10 0 0 5 x x 10 0 0 5 x 5 x 10 0 10 0 0 5 x 1 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0 0005x 5 x 10 0 0 5 0005x1 10 0 0 5 x 1 0 0 0 5 x 10 O C R A I N E F i ella n d o e i i z t a p s s So a nell’apposito gno x 10 0 0 5 5 x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 ste o s l e firm a o t a v riser i t ) i S d P d e A ( r i e l e a d i c e n So dichiarazio ioni di Promozione D, U C e O z C I a N ci delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale: d o c o r t che trov s o n l nco i a fi a o 6 d 1 n 5 0 indica 4 3 04 920 x 10 0 0 t i . o c r a i n www.fe 00 CANTO POPOLARE 43 00 NEVE DI ANGELO MAZZA di Sergio Bianchi DIRETTORE DEL CORO VAL TINELLA E DOCENTE AL CONSERVATORIO DI COMO Il testo è dello stesso compositore: Sui monti sui campi sui tetti delle case scende lenta la neve. 0 0 È scomparso all’inizio del 2012 Lino Conti, per anni direttore del coro Sette Laghi di Varese, e Angelo Mazza, fraterno amico, ha voluto ricordarlo con questa composizione per coro virile. Lino Conti, linotipista-fotocompositore di professione, amava profondamente la musica e ha esplicitato questa sua passione nella direzione di uno dei cori lombardi più validi e conosciuti. Dilettante (inteso nel senso più alto del termine), dotato di straordinaria musicalità e sensibilità, ci ha lasciato interpretazioni ricche di fascino. Le sue esecuzioni evidenziano la capacità di cogliere il senso della frase, il valore della parola, la capacità di dosare le dinamiche e di piegare l’agogica al servizio del testo letterario e della musica. Mai un cedimento all’effetto fine a se stesso, ma l’umiltà di mettersi spontaneamente al servizio della musica. Angelo Mazza, amico di lunga data, ha seguito la carriera del giovane direttore, è stato prodigo di consigli e ha fornito al coro Sette Laghi le sue composizioni, sapendo di trovare persone capaci di coglierne il valore e di ottenerne interpretazioni di qualità. Alla notizia della morte dell’amico ha voluto ricordarlo con questa composizione che trae il titolo dalla nevicata che in quei giorni imbiancava il Varesotto. Molte sono le composizioni o armonizzazioni del maestro Mazza che meritano di essere analizzate, eseguite e conosciute: Addio, addio, Écoute, Muntagni, muntagni..., Mamma mia (mi son stufa), Sabato di sera, Sul, ve fora, Vizim al Paradis, El mè paés... Ho pensato di proporre Neve perché, oltre a essere una delle ultime composizioni del maestro, è un omaggio a un grande direttore. Ovattato silenzio richiama pensieri lontani. Immote nel tempo indugiano cristallizzate immagini di luoghi di volti di cose passate. Pure al di sotto del manto immacolato germoglia il seme di nuova promessa lo splendore di mille primavere. Angelo Mazza, 31 gennaio 2012 Il testo non accenna alla morte, ma piuttosto pone l’accento sul silenzio, sulla magica atmosfera che la neve crea attorno a noi. Il silenzio richiama immagini lontane nel tempo, che nel ritornare alla mente si accavallano in ordine sparso. Tra queste emergono luoghi e volti che si stagliano in primo Il silenzio richiama immagini lontane nel tempo. piano suscitando emozioni... Tutto, intorno a noi, è ricoperto dal bianco manto della neve sotto il quale prende vita lentamente il seme. E come il seme inizia il suo cammino che lo porterà a fioritura in primavera, così sotto la neve e dentro il dolore prende vita la promessa di una gioia imperitura. 44 L’armonizzazione di Angelo Mazza si piega con sapienza a “dare corpo” sonoro al testo letterario. Un’armonizzazione non sempre facile, lontana dagli stereotipi di tanto canto popolare, in cui emerge la cultura dotta del musicista avvezzo a trattare composizioni di grandi autori. Non è sfoggio di bravura, ma piuttosto c’è l’attenzione a trovare il mezzo più idoneo per tradurre in suoni il pensiero, la frase, la parola… Sembrano talora macchie di suoni (quasi fossero colori che il pittore sceglie sulla sua ampia tavolozza) che trovano la loro ragion d’essere nella risoluzione che evidenzia l’uno o l’altro particolare. Siamo in presenza di una composizione che richiede grande attenzione al testo, che ci spinge a cercare la parola chiave su cui convergere per illuminare tutta la frase. Si osservi il verso “Immote nel tempo / indugiano cristallizzate immagini”. La semiminima puntata in corrispondenza delle sillabe finali di “tem-po” e “in-du-giano” sembrano davvero farci indugiare. Il soggetto sono le “cristallizzate immagini” che rappresentano il “cuore” della frase. Il tutto è legato e fluisce verso la fine della frase… Poco più avanti l’espressione “Pure” merita una particolare attenzione. Il punto (posto dopo “cose passate”) colloca la congiunzione all’inizio della nuova frase, attribuendogli il significato di “eppure, tuttavia” esplicitando una vita che nasce sotto il manto nevoso. Il compositore indugia su tale espressione con una corona e con un cambio di dinamica improvviso. Anche le voci più “scure” si attardano nell’entrata, creando un senso di attesa (si osservi l’indicazione sotto il pentagramma “come in attesa”). È opportuno, a questo punto immaginare un piccolo respiro prima della congiunzione “pure” e forse un’intenzione di crescendo sulla sillaba in corona in modo di dar corpo al senso di attesa e collegare l’espressione a quanto segue. (come in attesa) L’attenzione al particolare è evidenziato dalla cura “madrigalistica” con cui vengono trattate alcune immagini o singole parole. L’espressione “Ovattato silenzio” è resa dalle sole voci gravi, più scure, mentre le voci dei tenori indugiano su note tenute e poi lasciate nel silenzio. Si noti anche il piccolo gioco imitativo con cui bassi e baritoni rispondono ai tenori sul verbo “richiama”, evocando l’immagine sonora di un vero richiamo: La stessa cura si nota nel proporre l’espressione “immote” cantata dai soli tenori primi in una tessitura, per loro, grave mentre le altre voci si fermano su una triade maggiore priva di terza (conferendo un senso di vuoto) che suscita un senso di stasi, di immobilità. CANTO POPOLARE Meritano ancora un’osservazione le scelte armoniche utilizzate in corrispondenza di “case” alla conclusione della prima riga in cui un accordo dissonante (una settima di dominante in rivolto) ci “spinge” in avanti suggerendoci una continuità interpretativa, e l’accordo conclusivo del canto. Normalmente l’accordo finale chiude il discorso musicale con un’armonia consonante introdotta con l’osservanza di tutti i crismi armonici. In questo caso la scelta di un accordo di tonica con la dissonanza re (che genera un accordo di 9a) probabilmente vuole lasciare il discorso… aperto, vuol creare un senso di attesa, di speranza “…germoglia il seme di una nuova promessa / lo splendore di mille primavere”. Siamo giunti al momento finale che è anche il momento della speranza, e il compositore propone, nei due accordi finali, l’estensione più ampia e la maggior sonorità di tutto il pezzo (una 14a e il ( ). 45 Tutta la composizione utilizza un linguaggio armonicamente ricco (si osservi nella penultima riga la presenza di ben sei accordi di 7a). Tuttavia la sonorità, anche per la dinamica contenuta (dal al (), non è mai aspra, dura ed evoca piuttosto un travaglio interiore che sembra non trovare pace. Occorre infine notare un suggerimento prezioso aggiunto dall’autore in calce alla composizione: «Il testo deve essere liberamente declamato, evitando la rigida scansione del tempo». A prima vista l’indicazione può sembrare banale, ma in realtà sottolinea l’importanza di una corretta interpretazione del testo letterario e una cura nel rispettare gli accenti delle singole parole. Solo così si comprende anche la musica. Quest’ultima, Il compositore opera scelte che attingono al suo bagaglio di conoscenze. quando è ben scritta, si pone al servizio del testo, ne sviscera i significati più profondi e talora si permette di suggerire rimandi, di proporre allusioni… È un sottile gioco che affascina ed emoziona. Qualcuno potrebbe porsi la domanda di quanto siano coscienti queste scelte. La questione non ha un’unica risposta. Sono tuttavia convinto che il compositore, mentre scrive, opera scelte che attingono al suo bagaglio di conoscenze. La musicalità e la sensibilità lo portano a preferire quella soluzione che gli appare come la più congeniale, quella più adatta a esprimere l’immagine che urge dentro di lui. Per nostra fortuna il maestro Angelo Mazza è tuttora in piena attività (gli auguriamo di cuore di assecondare ancora per lungo tempo questa sua passione) e quindi ciascuno può avere direttamente dall’autore la risposta giusta (se c’è…). Note 1. È possibile tuttavia una seconda interpretazione (non me ne voglia il compositore) suggerita dalla possibilità di interpretare pure come un aggettivo riferito a “di cose passate”. Questa scelta può essere avvalorata dall’assenza di respiri dopo “cose passate” e dalla corona posta sulla sillaba finale di “pure”. Lascio all’interprete il decidere. visita il sito www.feniarc o.it A N ro A o c t uo AGGIORinN l e R d a O I G AG INSERISICI C S I INSER VIVI I V VI la pag rio a end al c n ti i a! n e n m o nta u s p p r a i o i tu pe a rim p a in n a i l ita à t i l a r o Ricorda: la c i dati inseriti sul sito www.feniarco.it sono condivisi anche dai siti delle associazioni regionali e provinciali che aderiscono al progetto web PORTRAIT 47 IL COLORE DELLE VOCI MASCHILI INTERVISTA A MARIA DAL BIANCO a cura di Efisio Blanc Quale è stato l’interesse che ti ha portata verso il coro e come sei arrivata alla direzione di coro? Cantare in coro ha fatto parte della mia vita fin dall’infanzia. Agli inizi è stato il coro della parrocchia. Cantavo e accompagnavo all’organo la Schola cantorum, già dalle scuole elementari. Si cantava alle Messe grandi e al concerto di Natale. La mia generazione ha vissuto il canto come momento attivo sia nella dimensione educativa e scolastica, che in quella liturgica. In chiesa si cantava alla Messa, al catechismo, agli incontri comunitari. A scuola gli insegnanti affidavano al canto corale l’educazione musicale e i sacerdoti ritenevano importante ricavare uno spazio, un tempo per la preghiera cantata, anch’essi arrivavano da una formazione che prevedeva il canto corale nei seminari come completamento culturale per lo spirito e come educazione al bello. Poi iniziai a insegnare educazione musicale alle scuole medie. Feci divenire il canto corale l’attività principale. Gli allievi di allora, incontrandomi, ancora si ricordano di quell’inedita esperienza. Poco più che ventenne iniziai subito dopo a dirigere un coro di voci bianche. Un’esperienza breve interrotta per il primo incarico in conservatorio, a Cagliari, una sede scomoda per garantire la necessaria continuità di lavoro con i bambini. E infine vent’anni fa mi proposero di assumere la direzione di un coro maschile, non sapevo in realtà quello che mi attendeva. Ma il cuore prevalse sulla ragione e così nacque un’avventura che oggi si chiama Coenobium Vocale. La tua formazione di organista ha influenzato le tue scelte come direttore di coro? Certamente ha influenzato le mie scelte musicali. Lo studio del pianoforte prima e successivamente dell’organo mi hanno portato all’esperienza di accompagnare, voci e strumenti, solisti e cori, alcuni dei quali stanno tuttora svolgendo un’importante attività concertistica. È stata un’esperienza che ha segnato la mia formazione musicale, anche come direttore di coro. Da anni insegno in conservatorio. Gli allievi che nel loro percorso di vita musicale hanno avuto la possibilità di cantare o di collaborare con un coro, anche fuori dalle attività corali dello stesso istituto, siano essi organisti, pianisti, compositori, cantanti o strumentisti, si dimostrano più strutturati e in possesso di una maturità musicale già sviluppata, a volte raffinata, sia dal punto di vista compositivo, esecutivo che improvvisativo. È evidente che hanno vissuto esperienze indelebili e che tutto ciò ha favorito una maggiore crescita delle loro competenze. La storia della musica è costellata di luminosi esempi. Anche la grande musica sinfonica e in parte quella operistica hanno fatto parte del mio percorso di studio, di analisi e ascolto, in anni di composizione con una guida solida e generosa quale il maestro Antonio Zanon di Verona il quale mi ha indirizzato nella comprensione dei linguaggi accademici e quelli contemporanei. Ma sicuramente la musica organistica dei grandi maestri, le messe gregoriane per secoli fonte di ispirazione per i compositori, la polifonia rinascimentale, la musica barocca, rimangono un costante punto di riferimento. Quali sono, secondo la tua esperienza, le caratteristiche che contraddistinguono nel bene e nel male una formazione maschile rispetto a una formazione mista o femminile, sia dal punto di vista della gestione del gruppo, della resa sonora, delle caratteristiche tecniche? Si tratta di due “strumenti” per certi versi simili, per altri diversi. Il coro misto è paragonabile alla gamma sonora dell’orchestra. Ti consente di affrontare un repertorio praticamente illimitato, sia a cappella che con l’accompagnamento strumentale. Ma il colore delle voci, nel coro maschile, è la caratteristica che può affascinare l’orecchio e l’ascolto, un segno che contraddistingue specialmente quando è il risultato di un serio percorso di studio vocale e di crescita tecnica e musicale. Il suono emoziona e commuove, specie quando si somma a una rigorosa compostezza. Gli armonici sovrapposti ai suoni fondamentali, che le voci maschili sanno creare, non hanno pari, per ricchezza, profondità e brillantezza al tempo 48 stesso. Nella dimensione amatoriale, spesso ci si trova di fronte a qualità vocali innate, ma a volte ad altrettanta scarsa consapevolezza dei propri mezzi. Per raggiungere risultati apprezzabili occorre determinazione e voglia di provare. È questo il caso in cui un direttore, per ottenere risultati apprezzabili, deve fare appello a tutta la sua caparbia perseveranza e, soprattutto, alla voglia di non cedere mai ai compromessi tecnici. Se escludiamo per un momento l’ambito popolare, il coro maschile è una scelta di nicchia, almeno in Italia. All’estero invece non è una rarità, vorrei dire una normalità, ascoltare gruppi vocali o grandi cori maschili, anche professionali, impegnati in repertori di ogni genere. Anche sotto il profilo della gestione del gruppo, il coro maschile offre peculiari tratti distintivi. L’indole maschile, in genere, piace per l’immediatezza dei rapporti, per la generosità e per la capacità di limitare, all’interno del gruppo, le problematiche personali. L’empatia nasce con una certa facilità e le tensioni si stemperano, grazie a un certo spirito di adattamento. Questi sono sicuramente elementi di forza che orientano positivamente le dinamiche interne del gruppo e aiutano a costruire la squadra. Se però, da un lato, questo carattere di spontaneità favorisce la convivenza, dall’altro può diventare un limite, favorendo un atteggiamento passivo e poco reattivo, della serie “accontentiamoci e prendiamo quel che viene”. Ovviamente non è opportuno generalizzare, ogni caso è una storia a sé. Tradotto in altri termini, ciò significa che per ottenere dei risultati, la voce maschile, soprattutto nel coro amatoriale, richiede una particolare tenacia nel lavoro tecnico, una vigile e costante attenzione da parte del direttore e instancabili richiami a una continua attenzione e precisione, sia nell’articolazione verbale e testuale, sia nell’intonazione del singolo. Non a caso molti direttori preferiscono impegnarsi con le voci femminili, maggiormente inclini alla precisione e alla cura dei particolari. Le formazioni maschili sembrano vivere, in generale, un periodo di difficoltà; quali sono secondo te le cause e quali potrebbero essere le strade da percorrere per uscirne? È una domanda ricorrente, un problema irrisolto, perché non risolvibile con soluzioni semplici e immediate. Si tratta di un problema culturale ed educativo. Le formazioni maschili scontano maggiormente il peso di questo vuoto, per ragioni legate a una minore propensione caratteriale verso la comunicazione e l’esibizione, dimensioni con cui il canto condivide la sua essenza. Nei cori misti italiani, spesso le sezioni dei soprani e dei contralti sono più numerose rispetto a quelle maschili. L’indole femminile è solitamente più incline all’espressività, mentre l’indole maschile, se non allenata da La mia generazione ha vissuto il canto come momento attivo sia nella dimensione educativa e scolastica, che in quella liturgica. giovane, rifiuta in parte questa “esposizione” ai sentimenti. Far cantare ragazzi, maschi, adolescenti che non hanno mai partecipato ad alcuna attività corale, appare spesso un’impresa impossibile. Occorre quindi iniziare il percorso di avvicinamento fin dai primi anni di vita, anche scolastica. La musica deve entrare a far parte a pieno titolo della formazione, deve divenire, strumento di comunicazione, come la parola. Eccellenti esempi, questa volta anche italiani, di successo nella coralità giovanile e di voci bianche nascono da un’integrazione spinta con la dimensione educativa e scolastica. Maria Dal Bianco_______ Maria Dal Bianco si diploma in organo e composizione organistica, in composizione e in musica corale e direzione di coro. Frequenta quindi corsi di perfezionamento in organo, direzione corale, vocalità e canto gregoriano, polifonia antica e contemporanea. Ha svolto attività concertistica come organista solista e ha collaborato in gruppi strumentali e vocali. Nel 2001 riceve il premio per la migliore direzione al Concorso nazionale di Vittorio Veneto. Dal 1990 è titolare della cattedra di organo complementare e canto gregoriano al Conservatorio L. Marenzio di Brescia. È componente della commissione artistica di Feniarco. Ha fatto parte di giurie in vari concorsi corali, nazionali e internazionali. PORTRAIT La scuola, quindi, potrebbe avere un ruolo, oggi, nella diffusione della cultura corale? Conosciamo l’attuale situazione musicale nelle nostre scuole, e a parte rare e preziose eccezioni, gli insegnanti generalmente non cantano perché non sanno cantare, probabilmente non hanno mai cantato, conoscono relativamente il valore culturale e sociale del canto corale. La loro esperienza corale spesso ha avuto inizio e fine sui libri della didattica, ricorrono quasi esclusivamente al flauto dolce per fare musica insieme. Questo è quanto rimane nella memoria dei ragazzi, un’esperienza spesso sterile. In alcuni stati europei è il Ministero a elargire somme importanti, un forte contributo per il sostegno delle attività musicali e soprattutto dei cori nelle scuole. Inoltre, in alcuni paesi, gli insegnanti, per poter insegnare nella scuola primaria, debbono sapere cantare e suonare almeno uno strumento. La nostra situazione è purtroppo molto diversa e dobbiamo far leva sulla buona volontà dei singoli insegnanti. Da vent’anni anni collaboro all’organizzazione, nel mio paese, di una rassegna musicale per le scuole medie, le attuali scuole secondarie di primo grado. Ottima la partecipazione degli istituti scolastici, una ventina le scuole rappresentate ogni anno con circa ottocento ragazzi. Di queste, quattro o cinque le scuole che partecipano con il coro scolastico; i loro insegnanti arrivano quasi sempre da una solida formazione musicale, vorrei dire evoluta, arricchita da esperienze corali e strumentali, sanno distinguere il valore dell’esperienza del fare musica cantando in coro, e puntano su una disciplina educativa impagabile. La coralità maschile è stata per tanto tempo legata prevalentemente al cosiddetto canto di montagna o al canto popolare. Perché tale esclusività di repertorio e questo è vero anche oggi? Conosciamo modelli eccellenti di cori popolari italiani. Hanno segnato la storia della coralità maschile che rimane ancor oggi, sul piano numerico, fondamentalmente ancorata a questi modelli. Spesso hanno generato molteplici emulazioni, non sempre ben riuscite. Ci sono anche eccellenti esempi di cori maschili che affrontano con brillante disinvoltura repertori non solo popolari, ma rimangono ancora esempi isolati. I loro direttori, e i risultati lo confermano, si sono posti da subito il problema di motivare il coro e di “costruire” uno strumento musicale intonato, capace di elaborare un buon fraseggio, le dinamiche, una pronuncia curata, insomma, di fare musica. Al di là di una consapevole scelta culturale, il repertorio che caratterizza inequivocabilmente un gruppo maschile richiede che vi sia un’adeguata preparazione tecnica. E questo è, a volte, il limite invalicabile che non permette di affrontare pagine più impegnative. La lettura, ad esempio, diventa un 49 punto fondamentale per proseguire un diverso cammino, così come anche la tecnica vocale. Sta nelle capacità e nelle intenzioni del direttore aprire una nuova stagione. Se il direttore si limita a essere un buon compagno di viaggio, passivamente accondiscendente, diventa difficile pensare a obiettivi nuovi. Con queste premesse diventa difficile interessare anche le nuove generazioni. Ma i cori amatoriali hanno bisogno di arricchire il proprio bagaglio di esperienze musicali, alimentandosi di musica scelta, senza il confine tra Il suono emoziona e commuove, specie quando si somma a una rigorosa compostezza. popolare e polifonico, tra sacro e profano, tra antico e moderno. Un coro ha bisogno di vivere esperienze musicali con caratteristiche e diversità che si incontrano in repertori necessariamente allargati, in grado di portare un contributo nella maturazione del gruppo. Con il tuo coro hai intrapreso delle collaborazioni con dei compositori. Come è stata l’esperienza e qual è la tua opinione sulla musica corale contemporanea? La stretta collaborazione con i compositori può aiutare ad avvicinarsi a linguaggi moderni, a volte originali e personali. Con alcuni “creatori” il progetto si fa via via sempre più 50 concreto lavorando su obiettivi comuni e trasformandosi a seconda delle necessità, dello spazio, dell’organico corale e strumentale a disposizione, può diventare “una veste musicale” su misura. La collaborazione con i compositori si è rivelata spesso un’esperienza molto positiva, soprattutto in alcuni casi in cui i compositori hanno accettato o addirittura chiesto suggerimenti su alcune scelte. A volte un’eccellente “geometria grafica” non coincide con la fattibilità; in alcuni casi, anzi, può compromettere la realizzazione di un progetto musicale. Anche in questo caso si ritorna all’esperienza corale, fondamentale per un compositore che intende dedicarsi alla scrittura vocale. L’esperienza diretta e tangibile delle grandi potenzialità espressive di una voce non può essere messa a confronto con altrettante potenzialità espressive di uno strumento, cui manca, per altro, la grande ricchezza, fondamentale, della parola. Emerge immediatamente, in tutta evidenza, se il testo è stato messo in primo piano dal compositore, se ha illuminato e orientato il lavoro compositivo, oppure se la composizione è stata concepita in modo svincolato da esso. Nel campo corale le direttrici sono oramai una realtà affermata. Era così anche quando tu hai iniziato o hai visto un’evoluzione in tal senso? Lo stereotipo del direttore maschile mi sembra, oramai, fortunatamente superato. Rimane forse presente nella direzione d’orchestra. Ma nel mondo delle coralità abbiamo oggi una nutrita rappresentanza femminile di qualità. Vent’anni fa probabilmente non era così. Ma oggi vedo molta determinazione e ritengo che lo strumento della voce sia affine alla sensibilità e all’empatia femminile che ben possono esprimersi, anche attraverso la direzione. Mi sembra tu sia particolarmente attenta alla scelta del repertorio per il tuo coro. Pensi sia di fondamentale importanza? Sono convinta che la scelta del repertorio sia determinante nell’essenza di un coro: una strategia di lavoro, una grande occasione di crescita, a prescindere da epoche o generi. I progetti musicali che propongo con il Coenobium Vocale e le diverse particolari richieste tematiche: che spesso ci vengono presentate dagli enti organizzatori di concerti, sono una continua sfida alla ricerca e all’approfondimento, ad esplorare i repertori più diversi, dalle monodie di manoscritti medievali alla musica contemporanea. Assieme al costante lavoro tecnico vocale, costituisce l’autentica dimensione di ricerca e di costruzione della personalità musicale del direttore e del coro. Il colore delle voci, nel coro maschile, è la caratteristica che può affascinare l’orecchio e l’ascolto. in collaborazione con Associazione Regionale Cori Marchigiani 7 European Academy th for choral conductors Fano/Italy 8/15 settembre 2013 Docente Nicole Corti (France) Repertorio francese, inglese e italiano del ’900 L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che ha luogo in una città marchigiana situata sulla costa adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi. www.feniarco.it in collaborazione con Comune di Fano Coro Polifonico Malatestiano Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano iscrizioni entro il 31 maggio 2013 informazioni Feniarco - Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] DUE UNIVERSI SI INCONTRANO IL CORO GIOVANILE ITALIANO E L’ORCHESTRA FILARMONICA DI TORINO di Gabriele Montanaro Il Coro Giovanile Italiano e l’Orchestra Filarmonica di Torino hanno recentemente dato vita a un concerto memorabile. Sebbene il mondo corale e quello delle orchestre sembrino talvolta universi paralleli difficilmente conciliabili, fin dalla prima prova è stato invece evidente il contrario. Forse perchè entrambe le formazioni fanno dei giovani talenti il loro punto di forza, forse per l’attenzione condivisa a un repertorio ricchissimo ma poco conosciuto dal pubblico di non addetti ai lavori, grande è stata da subito la reciproca curiosità e il desiderio di approfondire un dialogo artistico che si era già intravisto proprio a Torino grazie alla collaborazione dell’Orchestra Filarmonica durante il Festival Europa Cantat XVIII. Il concerto, tenutosi lo scorso dicembre e intitolato Tre Requiem, era inserito nell’ambito della Stagione concertistica 2012/2013 dell’Orchestra Filarmonica di Torino. La formazione torinese è tra le realtà cameristico-sinfoniche più interessanti e innovative del panorama nazionale e propone da anni, con l’arrivo di Nicola Campogrande alla direzione artistica, una programmazione “a tema” che oltre ai capolavori della grande tradizione classica spazia su orizzonti più articolati ed è attenta anche alla musica meno eseguita, del Novecento e contemporanea. Non stupisce dunque la scelta del repertorio previsto per la serata. Il programma si è aperto con l’Adagietto della Quinta Sinfonia di Mahler: voluto da Luchino Visconti per la colonna sonora di Morte a Venezia, pur non essendo un requiem in senso stretto, certamente è stata un’introduzione perfetta che grazie al suo carattere assoluto ha saputo traghettare il pubblico verso l’universo introspettivo e meditativo dell’intera serata. A seguire, coro e orchestra hanno proposto l’esecuzione del rarissimo Requiem aeternam di Puccini, commissionato nel 1905 da Casa Ricordi in memoria di Giuseppe Verdi. Il brano, dimenticato per oltre cinquant’anni dopo la sua prima esecuzione, ha conosciuto una storia interpretativa varia, nella quale si sono succedute versioni sia con l’organo che con l’orchestra d’archi. La versione eseguita durante il concerto, appositamente adattata per coro, viola sola, organo e archi, è riuscita a equilibrare i due diversi aspetti interpretativi. Il Coro Giovanile Italiano, guidato come di consueto da Lorenzo Donati e Dario Tabbia, ha saputo rendere alla perfezione il carattere intimo della partitura, in cui Puccini è riuscito a trasformare un’occasione solenne come DUE UNI SI INCON ASSOCIAZIONE 53 la morte di un eroe nazionale in un delicato e raccolto commiato. Pezzo forte della serata è stato però il Requiem per mezzosoprano, baritono, coro, organo e orchestra di Maurice Duruflé, brano raramente eseguito in Italia ma che altrove rappresenta uno dei caposaldi del repertorio corale. Interessantissimo intreccio di melodie gregoriane trattate con gusto tardoromantico, il Requiem ha dato l’occasione al coro e all’orchestra di sfoderare una straordinaria ricchezza timbrica e interpretativa, passando con disinvoltura da momenti lirici e raccolti ad altri più enfatici e drammatici. Dal podio ha guidato l’esecuzione Francesco Cilluffo, giovane ma ormai affermato direttore torinese, che ha dedicato gran parte del suo percorso di formazione e del suo interesse al repertorio operistico e sinfonico-corale. Proprio con lui, l’Orchestra Filarmonica di Torino ha dato vita a un progetto triennale dedicato all’affascinante quanto enigmatico rapporto tra la voce e l’orchestra di cui Tre Requiem ha rappresentato il primo appuntamento. Le raffinate voci soliste di Rosa Bove, mezzosoprano, e di Giulio Mastrototaro, baritono, hanno coronato la serata che è stata un successo sia in termini di pubblico che di critica. Il pubblico torinese ha infatti risposto con entusiasmo all’inedita proposta: più di 1000 spettatori hanno gremito la Sala Grande del Conservatorio di Torino tra la prova generale aperta e il concerto, confermando la bontà dell’intesa artistica e della particolare scelta di programma. Nemmeno uno sfortunato contrattempo meccanico – che ha reso inutilizzabile l’organo durante la prova generale aperta, costringendo l’organista a un’improvvisata trascrizione pianistica dei brani – ha potuto fermare l’entusiasmo del pubblico e minare la solida interpretazione del Coro Giovanile Italiano. Ottimi anche gli apprezzamenti di Sante Fornasier, presidente Feniarco, e del neoeletto vicepresidente di ECA-EC Carlo Pavese, presenti in sala. Un grande successo, dunque, che raccoglie la sfida lanciata proprio a Torino dal Festival Europa Cantat e che trova nella programmazione capillare di eventi corali di alto livello e nella riscoperta del repertorio corale da parte del grande pubblico i suoi obiettivi più importanti. Proprio a fronte degli ottimi risultati conseguiti, l’intesa tra le due formazioni è destinata a durare, vista la partecipazione del Coro Giovanile anche alla Stagione 2013/2014 dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Nelle pagine: immagini della prova generale IVERSI NTRANO Entrambe le formazioni fanno dei giovani talenti il loro punto di forza. È possibile riascoltare l’esecuzione del Requiem aeternam di Puccini sul canale ufficiale dell’Orchestra Filarmonica di Torino: www.youtube.com/FilarmonicaTorino 54 PASSATO E FUTURO DELLA CORALITÀ ITALIANA L’ASSEMBLEA FENIARCO DI VERBANIA (16-17 MARZO 2013) di Sandro Bergamo Da sinistra: Ettore Galvani, Pierfranco Semeraro, Sante Fornasier e Alvaro Vatri Proteso tra la memoria di un inverno recente e il desiderio di una primavera che ancora stenta ad affermarsi, aprile è un mese crudele, ricordava Eliot ne La terra desolata. Anche la coralità italiana vive il suo aprile, ma non crudele: la memoria è quella estiva di Europa Cantat Torino 2012, il desiderio è quello di costruire, su un evento che lascerà il segno nella nostra storia, un futuro sempre più entusiasmante. Nel suo passare in rassegna l’Italia, di regione in regione, l’assemblea di Feniarco è stata ospite a Verbania, il 16 e 17 marzo, dell’associazione piemontese ACP e del suo nuovo presidente Ettore Galvani. Un’assemblea che non poteva partire se non dal ricordo ancora vivo di Torino, con la proiezione di un video, sintesi del più ampio DVD prodotto con le migliori immagini del festival. Rivedendo quelle immagini, rivivendo, per chi c’era, quei momenti, è sempre più chiara la percezione che non sia stata la fine di un percorso pluriennale partito dal proporre candidatura e conclusosi con il passaggio delle consegne all’ungherese Pècs, ma l’inizio di un percorso nuovo e di maggiore responsabilità per la coralità italiana in seno a quella europea. Ne è conferma l’elezione di Carlo Pavese all’interno del nuovo board di Europa Cantat: un’elezione avvenuta raccogliendo il consenso più ampio tra tutti gli eletti, quasi la totalità dei voti disponibili, risultato che ha affidato, successivamente, al rappresentante italiano, il ruolo di primo vicepresidente della federazione europea. Un successo personale dell’artistic manager del festival, conseguente al suo lavoro, ma anche il riconoscimento del ruolo che oggi gioca la coralità italiana in Europa (anche Sante Fornasier, tre anni prima, era risultato il primo degli eletti). Accanto a Carlo Pavese, anche Nicola Campogrande, entrato nella commissione artistica di Europa Cantat, a tenere alto il profilo dell’Italia, dopo il triennio guidato da Sante Fornasier. Il festival torinese è stato un evento anche dal punto di vista mediatico, capace, se manteniamo quello slancio e se sappiamo reinventarci ogni giorno, di cambiare la percezione che gli italiani hanno del canto corale. Questa la scommessa su cui l’assemblea nazionale è stata chiamata a lavorare. E la macchina organizzativa si rimette in moto per gli altri grandi eventi corali italiani, che dopo Torino dovranno riconfermare l’aria nuova che soffia sui cori della penisola. Salerno Festival, innanzitutto: una buona edizione anche quella del 2012, nonostante la concomitanza di quello europeo, che ha costretto più di un coro a rinunciare a uno dei due appuntamenti. Ma con 46 cori presenti, oltre 1000 coristi provenienti da nove regioni, la scommessa di tenere Salerno Festival anche nell’anno di Torino è stata abbondantemente vinta. Altrettanto dovrà essere per Alpe Adria Cantat, che invece non si è tenuta, vista la sua stretta affinità a quanto avveniva a Torino, e che viene riproposta per il settembre Un percorso nuovo e di maggiore responsabilità per la coralità italiana. 2013: non si nascondono i timori, alla luce di quanto sta avvenendo nelle varie settimane corali europee, segnate dalle conseguenze della crisi economica; tutte le associazioni regionali sono impegnate a favorire in ogni modo la presenza dei loro cori. Positivo il bilancio del Coro Giovanile Italiano e del Coro Accademia Feniarco, protagonisti a Torino di momenti fondamentali. La formula del doppio direttore per il CGI è risultata vincente, gli appuntamenti si sono ampliati anche grazie alla collaborazione di alcune associazioni regionali. ASSOCIAZIONE 55 L’intervento dell’assessore del Comune di Verbania Massimo Manzini Inevitabili, anche qui, le preoccupazioni sulle risorse disponibili per il futuro, ma l’esperienza è ormai sostenuta convintamente da tutti. L’assemblea di Verbania ha sottolineato ancora una volta il grande sviluppo avuto dalla coralità scolastica in questo ultimo decennio: un settore nel quale si aprono sempre nuove prospettive. In questa ambito si registra un’importante iniziativa del Forum per l’educazione musicale, illustrata dal vicepresidente Alvaro Vatri che in esso rappresenta Feniarco. Il protocollo sottoscritto dalle 23 associazioni presenti nel Forum con il Ministero dell’Istruzione riconosce anche la nostra federazione come soggetto in grado di coadiuvare la scuola nella formazione musicale dei ragazzi. Uno strumento che potrà rafforzare il ruolo di chi già opera negli istituti scolastici e agevolare chi voglia avviare nuove iniziative. Sempre in fermento anche il settore dell’editoria: un lavoro imponente, che ha offerto tantissimo nuovo materiale ai cori e stimolato il rinnovamento del repertorio. Un nuovo volume di Giro Giro Canto e di Melos, un manuale di direzione, il terzo volume di Voci & Tradizione, sono solo gli ultimi titoli aggiunti al catalogo, mentre altri ancora sono di prossima uscita. A questi si aggiunge il lavoro di non poche associazioni regionali, presenti con proprie iniziative. Anche la stampa periodica è stata oggetto di dibattito, legato al rapporto tra la testata nazionale e quelle regionali, che si vogliono più strettamente legate in una visione unitaria della musica corale, oltre che dal ruolo che le nuove tecnologie giocano nell’informazione, trasferendo le notizie sul web, dove però cambiano anche lo stile e i tempi della comunicazione. Trent’anni celebrerà Feniarco il prossimo anno: e il dibattito svoltosi in assemblea è stato spesso un bilancio andato ben oltre le considerazioni sull’anno appena passato e su quello appena cominciato. Le iniziative che si realizzeranno nel 2014, tracciate, nelle linee generali, nel corso di una discussione libera durante la seconda parte dell’assemblea, dovranno diventare la base per un altro trentennio di crescita della musica corale in Italia. L’assemblea di Verbania ha sottolineato il grande sviluppo avuto dalla coralità scolastica in questo ultimo decennio. Feniarco e Arcc presentano www.feniarco.it cori da tutta Italia incontri e nuove conoscenze turismo concerti in città e sul territorio cultura e tradizioni arte CRONACA 57 IL PROTOCOLLO D’INTESA TRA MIUR E FORUM PER L’EDUCAZIONE MUSICALE di Alvaro Vatri e su richiesta di alcune di esse, decisero di costituire un Forum per l’Educazione Musicale. L’iniziativa nasceva dall’esigenza di «prospettare un luogo di confronto e di coordinamento in relazione ad alcuni passaggi nodali di politica culturale tra i quali: il moltiplicarsi di iniziative di studio a carattere nazionale (convegni, corsi ecc.) talvolta parallele e concorrenti; la costituzione del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica, che segna da parte del MPI un rinnovato impegno a favore della musica nella scuola; la riscrittura delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo d’istruzione; la considerazione che nell’ultimo decennio, grazie a internet, numerose comunità anche virtuali (liste di discussione o siti dedicati) si occupano di educazione musicale; la promozione, da varie parti, di iniziative legislative a favore della “didattica musicale” e della musica in generale». E dunque gli “obiettivi principali del Forum” sono: «creare un tavolo permanente di confronto e coordinamento e per la promozione condivisa di iniziative/progetti di rilevanza nazionale e internazionale; costituire un punto di riferimento anche nelle sedi istituzionali per il sostegno di iniziative a favore della musica come fattore educativo/formativo (tavoli permanenti, audizioni, iniziative legislative ecc.)». Metodologicamente le associazioni aderenti al Forum non hanno voluto dar vita a un nuovo soggetto, ma a una “rete” di identità distinte vedendo in ciò un valore aggiunto dato dal rispettivo peso e dal rispettivo curriculum. Tale condizione SIEM Il 7 febbraio 2013 tra il Forum per l’Educazione Musicale e il MIUR è stato firmato un protocollo d’intesa che li impegna (dall’art. 1) «di comune intesa e in stretta connessione con le istituzioni scolastiche, a promuovere e monitorare attività di ricerca-azione su temi di rilevante interesse per lo sviluppo dell’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado, sostenendo e incoraggiando il rinnovamento delle metodologie didattiche, anche attraverso un confronto con le esperienze degli altri Paesi europei», impegnandosi «a collaborare per sostenere, con azioni formative rivolte ai docenti, curricoli innovativi finalizzati al successo formativo di tutti gli alunni». Ovviamente si rimanda alla lettura del documento completo, scaricabile dal sito www.siem-online.it Ma in questa sede vale la pena riportare almeno due punti basilari: l’art. 2, che recita: «Le Associazioni si impegnano a mettere a disposizione il proprio patrimonio di competenze e di esperienze, di relazioni associative e scientifiche nazionali e internazionali, per il raggiungimento dei fini del presente protocollo e a promuovere percorsi di educazione all’ascolto e alla musica», e l’art. 3, in cui si legge: «Il Ministero si impegna a A) favorire la realizzazione delle iniziative derivanti dall’attuazione del presente protocollo pubblicizzandone le attività presso gli UUSSRR, B) sostenere e diffondere le suddette attività nel prossimo triennio a partire dal corrente anno scolastico». È questa, come si intuisce, una tappa molto importante e significativa di un percorso iniziato nel marzo 2008, quando quindici associazioni musicali che si occupano, in varia misura, di educazione musicale (v. box), su iniziativa della L’educazione alla musica è un diritto fondamentale di ogni essere umano. presenta indubbi dati di novità e funzionalità nell’ottica della costruzione di modelli operativi integrati a livello regionale, nell’ottica del decentramento politico-amministrativo, partendo e valorizzando dalle esperienze esistenti. Appena costituito, il Forum ha prodotto subito iniziative e documenti che potessero portare all’attenzione sia delle istituzioni che dell’opinione pubblica le non più eludibili problematiche inerenti l’educazione musicale nella società italiana: l’iniziativa “Dai il LA alla musica” (maggio 2008), un documento in merito alle “recenti proposte di provvedimenti legislativi in materia di formazione dei docenti” inviato al 58 ELENCO DELLE 23 ASSOCIAZIONI ADERENTI AL FORUM ADUIM - Associazione Docenti Universitari Italiani di Musica (www.aduim.eu) AIGAM - Associazione italiana Gordon per l’apprendimento musicale (www.aigam.org) AIF - Accademia Italiana del Flauto (www.accademiaitalianadelflauto.it) AIJD - Associazione Italiana Jacques-Dalcroze (www.dalcroze.it) AIdSM Associazione italiana delle scuole di musica (www.aidsm.it) AIKEM - Associazione Italiana Kodály per l’Educazione Musicale (www.aikem.it) CAM - Centro Attività Musicali Aureliano (www.aureliano.it) CDM - onlus Centro Didattico Musicale (www.centrodidatticomusicale.it) CENTRO GOITRE - Centro Studi di Didattica Musicale Roberto Goitre (www.centrogoitre.com) CENTRO STUDI MUSICA & ARTE (www.musicarte.it) COMUSICA - Coordinamento dell’Orientamento Musicale (www.comusica.name) CSMDB - Centro Studi musicali e sociali Maurizio Di Benedetto (www.csmdb.it) DDM-GO - Docenti Didattica della Musica Gruppo Operativo (www.geocities.com/ddm_go/) FENIARCO - Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali (www.feniarco.it) FIM - Federazione Italiana Musicoterapeuti (www.musicoterapia.it) LIBERENOTE - musica e cultura (www.stagegiovani.it) MUSICA IN CULLA - coordinamento nazionale musica in culla (www.musicainculla.it) MUSICHERIA.net (www.musicheria.net) OSI - Orff-Schulwerk Italiano (www.orffitaliano.it) Il SAGGIATORE MUSICALE / SagGEM Gruppo per l’Educazione Musicale (www.saggiatoremusicale.it) SIEM - Società Italiana per l’Educazione Musicale (www.siem-online.it) SPM Donna Olimpia - Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia (www.donnaolimpia.it) SPMT - Scuola popolare di musica di Testaccio (www.scuolamusicatestaccio.it) Ministro dell’Istruzione, ai presidenti delle Commissioni di Camera e Senato, alle Organizzazioni Sindacali e agli organi di stampa (agosto 2008) e la stesura di un Manifesto, maturato in alcuni momenti di confronto pubblico tra i quali una tavola rotonda pubblica nell’ambito del XXVIII World Congress dell’ISME a Bologna (il 23 luglio 2008), la cui premessa ribadisce che «la Musica svolge un ruolo culturale ed estetico imprescindibile nell’intero arco dell’esperienza umana e che la formazione alla musica è un diritto fondamentale di tutti i cittadini». Nel dicembre 2009 il Forum ha inviato una lettera ai parlamentari contenente osservazioni e proposte riguardanti la bozza di parere sul riordino dei licei, che si concludeva con l’auspicio «che il parere della Commissione possa in qualche modo accogliere le osservazioni qui espresse e sollecitiamo i Parlamentari competenti a farsi carico delle istanze che provengono da chi, quotidianamente, dentro e fuori la “trincea” della scuola, cerca di far sì che la formazione musicale di tutti i cittadini non sia ridotta a optional di svago, ma sia considerata componente fondamentale per lo sviluppo della persona e, in quanto arte e scienza, risorsa professionale, culturale nonché economica». Nel 2011 viene prodotto un documento-appello, inviato al Ministro dell’Istruzione e a tutte le altre autorità competenti sulla formazione musicale degli insegnanti delle scuole dell’infanzia e primaria, nel quale, tra le altre richieste importanti, c’è anche quella che «siano attivati albi o registri per l’accreditamento di associazioni musicali, corali ed enti accreditati alla formazione presso gli Uffici Scolastici Regionali», appello reiterato nel maggio 2012. Come si può constatare il Forum ha saputo svolgere una funzione di attento monitoraggio dello scenario dell’educazione musicale nella scuola italiana, inserendosi con puntualità, spirito critico ma costruttivo, nel processo di elaborazione complessiva della struttura dell’offerta formativa musicale nella nostra società non perdendo mai di vista il principio fondamentale, più volte ribadito e condiviso anche a livello internazionale, che l’educazione alla musica è un diritto fondamentale di ogni essere umano. La firma del protocollo rappresenta dunque una tappa importante, ma è anche un buon inizio di un cammino che deve essere sempre più incisivo, responsabile e costruttivo. Per questo il Forum, vale a dire le associazioni che ne fanno parte, ha voluto dare immediatamente un segnale in tal senso, producendo, nel corso della stessa riunione in cui ha avuto luogo la firma del protocollo con il MIUR, un appello al Ministro dell’Istruzione che verrà, chiedendo «l’inserimento organico nel primo ciclo d’istruzione di un insegnante specializzato in didattica della musica in ogni scuola come promotore e coordinatore delle attività musicali; l’inserimento organico nella Scuola secondaria di secondo grado di docenti di materie musicali al fine di garantire un’adeguata presenza della musica, della sua cultura e della sua storia nella formazione degli studenti; il sostegno alle attività formative musicali, e in generale artistiche, anche attraverso deduzioni fiscali come già avviene per le attività sportive» così da «A) dotare la scuola nel suo complesso di quella struttura organica entro la quale poter dare omogeneità e continuità a rinnovati e aggiornati programmi di formazione, adeguatamente CRONACA 59 commisurati alle esigenze dei diversi livelli scolari e collegati armonicamente fra loro lungo l’intero iter scolastico; B) facilitare l’accesso alla pratica musicale nonché la fruizione consapevole dell’offerta musicale presente nel Paese da parte di bambini, giovani e adulti, anche fuori dalla scuola». L’appello è in rete (così come tutti i documenti prodotti finora) nel blog all’indirizzo http://forumasmus.blogspot.it/ Questo è anche il tempo giusto per firmarlo e diffonderlo. Si può farlo accedendo al sito: http://faremusicatutti.altervista.org/ musica-scuola-curricolo-territorio/ Chiunque condivida le aspirazioni sopra esposte non esiti a sottoscriverlo: a volte l’unione fa la forza! Il Forum è stato coordinato fino al 7 febbraio 2013 da Annalisa Spadolini ([email protected]), attualmente e per il 2013 da Francesco Galtieri ([email protected]). AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE CHE VERRÀ… L’appello del Forum al futuro Ministro dell’Istruzione ha raggiunto le 8.300 firme, con un incremento delle sottoscrizioni nel periodo successivo all’Assemblea Nazionale di Feniarco, evidente segno della sensibilità e disponibilità della coralità amatoriale italiana a cui vanno i nostri ringraziamenti. Gratitudine anche ai personaggi di spicco che da subito si sono messi a disposizione per sostenere le richieste contenute nell’appello del Forum. Li citiamo (in ordine di adesione): Ennio Morricone, compositore; Giovanna Salviucci Marini, musicista; Concita De Gregorio, giornalista; Piero Badaloni, giornalista; Donato Renzetti, direttore d’orchestra; Patrizio Fariselli, musicista fondatore degli Area; Franco La Torre, presidente di Flare - Freedom Legality and Rights in Europe; Fausto Pirito, giornalista; Paolo Belli, cantante e direttore d’orchestra; Diego Spagnoli, musicista e responsabile di produzione dei concerti di Vasco Rossi; Saturnino Celani, musicista e bassista di Jovanotti; Omar Pedrini, musicista, conduttore TV e attore; Francesco Baccini, cantante; Mario Biondi, cantante e compositore; Max Pezzali, cantante; Beppe Carletti, musicista, fondatore de I Nomadi; Fiorella Mannoia, cantante; Nando Citarella, musicista e cantante; Marc Ribot, chitarrista e compositore; Banda Osiris, compagnia teatrale; Orchestra di Piazza Vittorio, Roma; Roberto Piumini, scrittore; Giorgio Battistelli, compositore e direttore artistico dell’Orchestra della Toscana; Gianmaria Testa, cantautore; Peppe Servillo, musicista; Cico Falzone, chitarrista e cantante de I Nomadi; Alice (Carla Bissi), cantautrice; Serena Nono, pittrice. Anche Televideo Rai ha dato notizia dell’iniziativa. Ci auguriamo che sia l’inizio di un percorso di attenzione da parte anche degli altri mass media. Ennio Morricone Concita De Gregorio Omar Pedrini Mario Biondi Max Pezzali Fiorella Mannoia 60 FEDERAZIONE ITALIANA PUERI CANTORES 3º CONCORSO DI COMPOSIZIONE di Walter Marzilli Sono stati resi noti i risultati del terzo concorso di composizione indetto dalla Federazione Nazionale Pueri Cantores. Il bando prevedeva la composizione di quattro salmi per la messa per coro di voci bianche, in lingua italiana o latina, con o senza organo. I testi riguardavano i salmi di Natale, Pasqua, Pentecoste e Immacolata. La giuria internazionale era composta da Robert Tyrala (PL), presidente della Federazione Internazionale Pueri Cantores, Josep Torrents (E), ex presidente della federazione internazionale e attualmente presidente onorario, Renzo Cilia (Malta/IT), Orlando Dipiazza (I) e Walter Marzilli (pres.). Si è aggiudicato il primo premio il palermitano Salvatore Vivona, l’unico candidato premiato per tutti e quattro i salmi. Gli altri premi non sono stati assegnati, dal momento che la giuria ha deciso di segnalare gli altri compositori solo per alcune composizioni inviate. Eccole in ordine alfabetico: Ermenegildo Corsini (Rm) per il salmo di Pentecoste; Palmo Liuzzi (Ta) per il salmo di Natale; Alessandro Spazzoli (Fc) per i salmi di Pentecoste e Immacolata; Vincenzo Tarantino (Pa) per il salmo di Pasqua; Daniele Toffolo (Pn) per il salmo dell’Immacolata e Paolo Vigo (Ge) per i salmi di Natale e Pasqua. Il libretto è appena stato pubblicato, e qui a fianco ne vedete il frontespizio. Il concorso del 2012 si inserisce in un percorso organizzativo con cadenza biennale, che è iniziato nel 2008. Allora si trattò della composizione di una messa intera, con tutte le parti dell’Ordinario. La giuria internazionale, formata da Jean F. Duchamps (FR) Siegfried Koessler (D), Walter Marzilli (pres.), Gian Luca Paolucci (I) e Joseph Torrents (E), si espresse non assegnando il primo premio. Il secondo andò a Giacomo dell’Orso (Rm) e il terzo, pari merito, a Paolo La Rosa (Pv), Raffaele Sargenti (Pg) e Daniele Toffolo (Ve). In quell’occasione furono segnalate le opere di Angelo Bernardelli (Mi) e Paolo Vigo (Ge). Nel 2010 è stata la volta dei mottetti per una messa domenicale, con particolare riferimento ai canti di ingresso, di offertorio e di comunione, in lingua latina o italiana, con o senza organo, come le altre edizioni. La giuria era composta da Walter Marzilli (pres.), Fabio Nesbeda (I), Gianluca Paolucci (I), Joseph Torrents (E) e Robert Tyrala (PL). Risultati: primo premio non assegnato; secondo premio a Orlando Dipiazza (Ud); terzo premio a Mattia Culmone (Tn). Segnalate le opere di Angelo Bernardelli (Mi) e Padre Remigio de Cristofaro (Fi). Tutte le edizioni hanno avuto il patrocinio della Federazione Internazionale Pueri Cantores e di Feniarco. Ogni concorso ha visto la partecipazione di circa trenta candidati provenienti da tutta l’Italia, e questo inaspettato successo garantisce e afferma l’interesse del mondo della composizione verso i cori di voci bianche che cantano ancora nella liturgia. La Federazione Italiana Pueri Cantores, con tutta la dirigenza e la sua presidente Laura Crosato, si impegna da sempre per il mantenimento e lo sviluppo dei cori di Pueri Cantores e per l’ampliamento del repertorio dei canti. E soprattutto per una presenza musicale qualificata e artistica dei bambini e dei ragazzi nella liturgia. CRONACA 61 L’UMANITÀ DEL MAESTRO… IN RICORDO DI VIC NEES di Efisio Blanc Il 14 marzo scorso è mancato il compositore e direttore di coro belga Vic Nees, al quale Choraliter ha dedicato il dossier compositore del numero 28 (aprile 2009). Vogliamo ricordarlo attraverso l’immagine trasmessa dal maestro in occasione della sua presenza al Seminario per compositori di Feniarco. Ho conosciuto il maestro Vic Nees in occasione della sua partecipazione come docente a due edizioni del Seminario Europeo per Giovani Compositori che si tiene nella piccola città di Aosta (Italia). Ero presente, per caso, quando il maestro è arrivato all’albergo che lo avrebbe ospitato durante il corso e feci quindi la sua conoscenza attraverso una “prima impressione”. La non più giovane età e il passo deciso gli conferivano una certa gravità, ma sin da subito il suo ricercare qualcuno da poter salutare e la sua voce pacata rendevano atto di una persona socievole, curiosa e interessata a chi gli stava intorno. A questo proposito, un suo allievo del seminario (Paolo La Rosa) diceva: «Reputo che un bravo docente è colui che sa instaurare un buon rapporto umano con l’allievo per metterlo a suo agio e quindi esprimersi al meglio. Vic in questo è stato ottimo, sin dal primo momento era come se fossi sempre stato suo allievo. Non discriminava gli alunni e sapeva trarre da ognuno il meglio». Chiacchierando amabilmente con lui, ebbi modo di conoscere meglio le sue convinzioni musicali: egli, in modo molto concreto, non disgiungeva mai il pensiero artistico da quello “esistenziale”, non vedeva mai l’artista senza vedere l’uomo che vi stava dietro e non vedeva mai l’opera d’arte senza il contesto in cui si era prodotta. Parlando con i suoi allievi del seminario, mi raccontavano di come ogni mattina il maestro illustrava le tecniche compositive di compositori del ventesimo secolo e di come la sua calma e sicurezza infondevano in loro la voglia di studiare e mettersi alla prova. Anche dopo i corsi molti allievi hanno tenuto i contatti con il maestro e hanno sempre avuto da lui incoraggiamenti e critiche favorevoli. 2nd INTERNATIONAL COMPOSITION COMPETITION DI IFCM Si è concluso lo scorso 19 febbraio il secondo Concorso di composizione indetto dall’International Federation for Choral Music (IFCM). Tra i 637 lavori pervenuti, ben 35 erano opere di autori italiani, terzo Paese in ordine di partecipazione (a parimerito con la Spagna) dopo Stati Uniti (160) e Gran Bretagna (71). Al termine delle valutazioni, la giuria – composta da Graham Lack (presidente), Paul Stanhope, Libby Larsen, Olli Kortekngas e J.A. Pamintuan, coordinata nei lavori dal direttore artistico Andrea Angelini – ha stabilito di assegnare i seguenti premi: primo premio a Francis Corcoran (Irlanda) per il brano Eight Haikus; premio Sonic Landscape a Itzam L. Zapata Paniuagua (Messico) per il brano On Desire; premio Harmonic Originality a Rudi Tas (Belgio) per il brano Pie Jesu. Da sottolineare inoltre, tra le quattro ulteriori opere segnalate dalla giuria come meritevoli di una menzione speciale, la presenza dell’italiano Gaetano Lorandi con il brano Ave Verum. Lo stesso orgoglio nazionale ci spinge infine a ricordare, tra i 15 lavori ammessi alla selezione finale, la presenza di altri due italiani: Elvira Muratore, con il brano Luci serene, e Andrea Venturini, con il brano Deafening silence. 62 DISCOGRAFIA&SCAFFALE De Passione et Cruce Domini Responsoria Ensemble della Cappella Sistina “Octoclaves” Ensemble femminile “Kaleidos” dir. Walter Marzilli Pontificio Istituto di Musica Sacra, 2012 Nel 2011 il Pontificio Istituto di Musica Sacra ha compiuto i 100 anni dalla sua fondazione. Nel panorama delle iniziative celebrative spicca la produzione di alcuni CD che presentano i vari aspetti della viva pratica della musica sacra presso l’Istituto. L’ultimo della serie, registrato nel mese di gennaio 2012 e fresco di stampa, è un CD dal titolo De Passione et Cruce Domini Responsoria, che comprende una selezione di nove responsori dell’antico ufficio della Settimana Santa composti dai docenti di composizione attivi presso il PIMS. Tre di questi responsori sono del Giovedì Santo: Tristis est anima mea, di Marco Cimagalli, Ecce vidimus eum, di Valentino Miserachs, Unus ex discipulis, di Domenico Bartolucci. Altri tre sono del Venerdì Santo: Velum templi, di Michele Manganelli, Tenebrae factae sunt, di Silvano Presciuttini e Caligaverunt, di Italo Bianchi. Infine tre responsori del Sabato Santo: Jerusalem surge, di Renzo Cilia, Plange quasi virgo, di Marialuisa Balza e Ecce quomodo moritur iustus, ancora di Valentino Miserachs. Il CD contiene anche quattro brani organistici: si apre con Vigilate mecum scritto da mons. Miserachs; segue, dopo il primo gruppo di tre responsori, Contritum est cor meum composto da Silvano Presciuttini. Dopo il secondo gruppo di responsori troviamo una Meditazione scritta da Michele Manganelli e, a chiusura, il brano di Marialuisa Balza Pascha nostrum. A eseguire i responsori, che prevedono di volta in volta tre voci maschili, tre voci femminile e le canoniche quattro voci miste, sono l’Ensemble della Cappella Sistina “Octoclaves” e l’Ensemble femminile “Kaleidos”, formato da coriste dell’Opera di Roma. Dirige l’esecuzione Walter Marzilli, direttore, dal 2009, dell’Ensemble “Octoclaves”, una personalità molto conosciuta nel mondo corale e musicale sia nazionale che internazionale per la sua ricca e poliedrica attività come direttore, didatta, musicologo, ricercatore e per la sua presenza in numerose giure di concorsi prestigiosi, in commissioni artistiche e comitati scientifici. Mons. Valentino Miserachs, preside del PIMS, nel suo scritto di introduzione al CD, sottolinea come «pure nell’unità ideale del repertorio è assicurata la varietà sia per il particolare modo in cui ogni compositore si esprime, sia per la diversità di organico corale che alterna brani a voci dispari ad altri a voci pari, con la particolarità dei brani d’organo incastonati, che fungono da preludio e da collegamento fra i vari responsori». Così pure consiglia l’ascolto integrale del CD secondo l’ordine in cui vengono presentati i brani «rispettando così il corpus liturgico come ci viene consegnato dall’antico rito romano e che costituisce un percorso di altissima spiritualità. Un itinerario ideale che gli autori, pur nella propria individualità, hanno tenuto ben presente, avendo sottoscritto con entusiasmo questo comune progetto». E conclude sottolineando come il progetto del CD abbia dato il via alla consuetudine di realizzare produzioni, per le varie stagioni concertistiche del PIMS, che RUBRICHE vedano coinvolti sia i compositori che il Coro Polifonico dell’Istituto, in modo da offrire un segno importante della «vitalità spirituale, artistica e didattica» di questa istituzione che ha compiuto un secolo di vita. Un disco ricco di suggestioni, di valenze e di novità: un disco da ascoltare con attenzione e curiosità. Alvaro Vatri L’Italia s’è desta Cinque composizioni per coro a cappella del Concorso nazionale di composizione ed elaborazione corale Usci Lombardia Sonitus Edizioni Musicali, 2012 «Dalla coscienza e dall’orgoglio della nostra storia dobbiamo trarre l’energia per ritrovare slancio e fiducia in noi stessi, […] una rivisitazione del nostro passato e con essa la consapevolezza dei valori che lo hanno animato, rendendo possibile il conseguimento di impegnativi traguardi. Lo spirito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sarà dunque animato “dall’unità della Patria, dalla libertà dei cittadini e dagli ideali che hanno ispirato le lotte degli uomini del Risorgimento”». Queste parole sono state pronunciate dal Presidente Emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente del Comitato dei Garanti, nel suo intervento alla presentazione per le celebrazioni del 150° anniversario. Insieme alle tantissime celebrazioni, commemorazioni ed eventi, anche l’Usci Lombardia, nel 2011, stimolata da questo ampio sentimento di “festa”, vi ha partecipato con un’importante iniziativa indicendo il Concorso nazionale di composizione ed elaborazione corale “L’Italia s’è desta”. Il concorso, col patrocinio della Regione Lombardia e di Feniarco, in collaborazione con il Conservatorio G. Verdi di Milano e la Sonitus Edizioni di Varese, si è rivolto ai compositori italiani con l’obiettivo di stimolare i musicisti a scrivere per coro in una prospettiva che tenesse conto del recupero della nostra tradizione nazionale e degli attuali livelli tecnico-musicali dei cori amatoriali italiani. Si è posto anche l’obiettivo di dare un contributo alla formazione di un repertorio italiano di polifonia corale “contemporanea”. Suddiviso in due sezioni, una per composizioni originali su testi poetici risorgimentali e l’altra per elaborazioni di canti popolari risorgimentali e post-risorgimentali, il concorso è stato proposto a compositori senza limiti di età. In molti lavori la giuria ha riscontrato problematiche ed elementi critici di utilizzo, di congruenza, coerenza e valorizzazione dello strumento “coro”. Per questo, infatti, non è stato assegnato il primo premio nella sezione delle composizioni originali su testi poetici risorgimentali e perfino tutti i primi tre premi nella sezione delle elaborazioni di canti popolari risorgimentali. 63 Tuttavia sono stati assegnati il secondo e il terzo premio ad Angelo Bernardelli e Giorgio Susana, nella prima sezione, e non sono mancate alcune segnalazioni di merito. Il volumetto, recentemente edito dall’Usci Lombardia, raccoglie le composizioni alle quali la giuria – formata da Bruno Zanolini (presidente), Irlando Danieli, Angelo Mazza, Andrea Miglio, Paola Versetti, Tommaso Ziliani e Francesco Barburo – ha assegnato il secondo e terzo premio (primo non assegnato) della sezione A, brani composti da Angelo Bernardelli e Giorgio Susana, e le elaborazioni di Tito Lucchina (Il feroce monarchico Bava) e Davide Riva (Varda Gyulai) segnalate per la sezione B, dove non sono stati assegnati premi. Francesco Barbuto Spatium Coenobium Vocale dir. Maria Dal Bianco Velut luna di M. Lincetto, 2012 Spatium è l’ultimo lavoro discografico, in ordine di tempo, realizzato dal Coenobium Vocale di Maria Dal Bianco. Il CD è costruito sul tema dello spazio, declinato sia nella dimensione fisica che temporale. Oltre a essere infatti eseguiti secondo diverse posizioni spaziali, i brani proposti, di ispirazione sacra, ripropongono cronologicamente lo sviluppo dell’anno liturgico. Presentata al pubblico lo scorso mese di novembre, la raccolta si apre con gli accattivanti doppi cori di Ave Maria - Angelus Domini del contemporaneo tedesco Franz Biebl, cui seguono le armonie distese di Lux Aurumque del musicista americano Eric Whitacre, i possenti cori alterni della cinquecentesca Ave Virgo sponsa Dei del chioggiotto Giovanni Croce e le delicate architetture vocali di Sancta Mater istud agas, del grande compositore spagnolo Fernando di Peñalosa. Ma ancora, per doppio coro, ecco il maestoso Repleti sunt di Jacobus Gallus, raffinato autore della seconda metà del ’500. Quindi un prezioso inserto gregoriano, Virgo prudentissima, antifona della festa dell’Assunzione. Quattro sono invece le composizioni per coro spazializzato che portano la firma del compositore vicentino Giovanni Bonato: Crux fidelis, Genuit Puerpera, Stetit Angelus e il conclusivo O lilium convalium, per coro e due violoncelli, composizione di rara suggestione, dove i testi della tradizione liturgica latina si mescolano con il greco antico, in una contaminazione appassionata di riti liturgici romani e ortodossi. Il Coenobium Vocale si avvale qui della prestigiosissima esecuzione dei violoncellisti Julius Berger e Hyun-Jung Berger. 64 LA VITA CANTATA a cura di Puccio Pucci In questo numero intendiamo segnalare un’iniziativa convegnistica che ha riscosso un notevole successo e una ricorrenza che vedrà impegnati numerosi cori italiani in occasione del 150° del CAI. Nel primo caso si è trattato di un convegno organizzato in Emilia-Romagna che accanto alla presenza di un gruppo di direttori di cori di voci bianche associati, ha visto riuniti numerosi docenti che svolgono le loro esperienze corali nella scuola primaria. Dopo la presentazione di un’indagine sulla situazione dei cori nella scuola dell’obbligo condotta nelle Province della Regione, si è passati a studiare le eventuali problematiche che gli operatori scolastici devono affrontare nel loro lavoro e verificare i possibili interventi e le sinergie che le associazioni regionali possono mettere in atto per sviluppare una sempre maggiore qualificazione dei docenti nell’ambito scolastico. La seconda notizia è molto ben descritta nell’articolo di Gianluigi Montresor che offre un ampio panorama della presenza dei cori CAI in Italia e delinea già quale sarà l’importante presenza di questi complessi popolari nell’ambito delle manifestazioni programmate per celebrare il 150° del CAI e di cui daremo ampia informazione. DAL CANTO IN CLASSE AL CORO CHE CANTA CONVEGNO REGIONALE AERCO SULLA CORALITÀ SCOLASTICA Bologna, 27 ottobre 2012 Il ruolo del canto corale all’interno di una formazione complessiva della persona è da tutti riconosciuto – a parole – come della massima importanza. In tempi ancora abbastanza recenti un Ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, ha lanciato un’iniziativa denominata “Un coro in ogni scuola” che ha suscitato interesse e adesioni varie; in molte regioni vi sono, più o meno stabili, concorsi dedicati ai cori scolastici, che spesso vedono la partecipazione di numerosi gruppi provenienti dalle più svariate tipologie e ordini di scuole. Nonostante questo panorama apparentemente positivo, il canto corale in ambito scolastico è visto spesso – nei fatti – come un’appendice, magari fastidiosa, di una pratica musicale già di suo certamente negletta, e spesso affidato al buon cuore e alla buona volontà di docenti spesso poco o punto fornite di nozioni sul canto corale, sulla fonazione, sulla vocalità specifica dei bambini e ragazzi in età scolare e sul repertorio di canti appropriati alla voce degli scolari. In questo panorama contraddittorio l’Aerco ha ritenuto doveroso organizzare un Convegno regionale dal titolo “Dal canto in classe al coro che canta”, per fare il punto sulla situazione attuale della coralità scolastica emiliano-romagnola, verificarne le eccellenze e le difficoltà e chiedere ai protagonisti stessi di quest’esperienza – gli insegnanti – quali siano le necessità e i problemi che impediscono al canto corale una più stabile e proficua presenza all’interno delle istituzioni scolastiche. Nato dall’idea del maestro Antonio Burzoni, da sempre impegnato nella coralità infantile e componente della Commissione Artistica Aerco, il convegno è stato organizzato dall’associazione e posto sotto la presidenza della prof.ssa Benedetta RUBRICHE 65 Due immagini del convegno di Bologna Toni, attualmente dirigente della Scuola per l’Europa di Parma e già referente per l’Emilia-Romagna dell’iniziativa ministeriale citata sopra. Sede del convegno era “La Tiz”, suggestiva sede del Coro Stelutis di Bologna. La giornata si è aperta con un breve saluto del maestro Giacomo Monica, vicepresidente Aerco (il presidente Fedele Fantuzzi, era impossibilitato a partecipare perché impegnato come componente la giuria di un concorso corale in altra sede) e ha visto protagonisti i delegati delle singole province che hanno esposto i dati emersi da un monitoraggio svolto (tramite questionari) presso le scuole nella fase preparatoria del convegno. Dalle varie relazioni sono emersi alcuni punti comuni indubbiamente significativi, che ora riassumeremo. Il primo tasto dolente è sicuramente quello relativo all’imperfetta preparazione o formazione dei docenti. Non è colpa loro, certamente: così come nella scuola la musica è forse la disciplina meno curata, è altrettanto vero che nulla nella formazione dei docenti di scuola primaria permette loro di potersene occupare in modo dignitoso. La cosa cambia, ma solo in parte, qualora siano presenti nel corpo docente insegnanti in possesso di studi approfonditi di carattere musicale; ma va detto, purtroppo, che neppure gli istituti musicali o i conservatori si preoccupano di offrire agli studenti di strumento musicale anche una buona base tecnica riferita alla vocalità: avremo quindi degli insegnanti consapevoli dal punto di vista musicale ma non preparati dal punto di vista vocale, tanto meno sotto quello, delicatissimo, della specificità della voce infantile. Questo stato di cose apre la strada alla presenza della figura dell’esperto esterno: una persona in possesso di studi specifici, musicali e vocali, a conoscenza delle particolarità della voce infantile, conoscitore del repertorio e della tecnica della direzione corale. È palese che una figura dotata di siffatti requisiti non s’improvvisa in pochi giorni, ma è frutto di un lungo tirocinio fatto di studi, esperienze dirette, formazione corale e didattica; è quindi altrettanto facilmente intuibile come queste persone siano molto rare e quindi in numero non sempre sufficiente a coprire la richiesta. Un ulteriore problema riguardante l’esperto esterno è – come sempre – quello della copertura economica: la situazione attuale della scuola è sotto gli occhi di chiunque, e magari il denaro che in altre congiunture si sarebbe utilizzato per l’esperto di canto corale ora viene dirottato verso spese di altro genere, forse meno importanti didatticamente ma indispensabili per la vita quotidiana dell’istituzione scolastica. Una possibile soluzione per questo problema potrebbe venire da qualche forma di gemellaggio tra scuola e cori: Aerco aveva proposto, alcuni anni or sono, un progetto dal titolo “Coro, adotta una scuola; scuola, adotta un coro”, che prevedeva appunto alcuni momenti di scambio di esperienze tra scuole e cori presenti negli stessi spazi territoriali. Purtroppo quest’iniziativa è naufragata nel totale disinteresse da parte delle istituzioni scolastiche. Potrebbe essere il caso di recuperarla. Un altro aspetto di difficoltà denunciato dagli insegnanti, attraverso i questionari che hanno preceduto il convegno, è quello dei livelli qualitativi: la “canzoncina” è un messaggio troppo povero, si sente il bisogno di una didattica dell’ascolto più complessa e articolata che abbia inizio fin dalla scuola dell’infanzia. Secondo i docenti, tutto è troppo legato alle occasioni e – ancora una volta – alle buone disposizioni d’animo e di volontà dei singoli insegnanti. Tutto è troppo improvvisato, non collegato da un progetto reale o tanto meno da un programma vero e 66 proprio: mancano tempo, formazione (come detto sopra) e soldi. Manca una vera consapevolezza della specificità del canto rispetto agli strumenti e manca anche – ed è bello che a denunciarlo siano direttamente gli insegnanti – la formazione del gusto al “bel suono” e in particolare alla bella voce. Da parte dei rappresentanti dei cori, anch’essi presenti all’evento, è emersa invece l’esigenza di offrire, di condividere con l’istituzione scolastica il know-how consolidato da anni d’esperienza corale diretta e il patrimonio culturale che è retaggio della coralità italiana ed emiliano romagnola; ci s’interroga quindi sul come trovare strade che permettano una maggiore presenza corale nelle scuole d’ogni livello, ma in particolare nell’ambito della scuola primaria. Dal dibattito che ha seguito l’esposizione delle esperienze locali (tra le quali comunque non mancano punte d’eccellenza, in particolare a Riccione e Ravenna, con la partecipazione di alcuni cori scolastici a concorsi di prestigio e con il conseguimento, spesso, di premi importanti) sono emerse alcune esigenze, alcune richieste che, se esaudite almeno in parte, porterebbero un robusto impulso a una maggiore diffusione del canto corale nelle scuole. Le elenchiamo brevemente: • organizzare corsi di formazione per docenti: come detto, l’esigenza di una maggiore consapevolezza corale e vocale è molto sentita tra i docenti; • un repertorio online: organizzare un sito, o una forma qualunque di base dati in rete per coro di voci bianche, indicizzata secondo vari criteri (difficoltà progressiva, localizzazione, argomento…); • favorire la “verticalizzazione” dell’esperienza corale: creare i presupposti perché l’alunno possa essere portato a cantare in modo corretto partendo dalla scuola dell’infanzia per proseguire nella primaria e secondaria di primo grado. Si è ventilata anche l’ipotesi di stimolare la creazione di un libro sul canto corale con articolazioni diverse a seconda degli ordini di scuola; • la creazione di un elenco di possibili esperti esterni, magari appoggiandosi direttamente ad Aerco e vagliando possibili candidature e/o proposte: è in ogni modo sempre possibile trovare – anche tramite l’associazione – i nomi dei cori più vicini, in modo da poterli contattare direttamente; • istituire un referente scolastico per ogni provincia che sia in grado di coordinare le attività corali scolastiche, offrendo consulenza e collaborazione alle scuole che le richiedano; • stilare un documento che illustri l’utilità, nelle scuole, del canto corale “fatto bene”; • motivare gli insegnanti. Un’ulteriore richiesta, oltre a quella di una più capillare diffusione delle informazioni riguardanti le iniziative attinenti al canto corale, è di sollecitare i dirigenti scolastici d’ogni livello a essere più sensibili riguardo alle attività musicali e vocali nelle scuole e per le scuole: è stato osservato che molto spesso la catena di comunicazione di queste notizie si spezza a livello di segreteria/dirigenza, senza che le comunicazioni raggiungano i docenti interessati a queste esperienze. Al termine della mattinata la prof.ssa Benedetta Toni ha ricapitolato gli interventi e sottolineato che la consapevolezza dei problemi è già un inizio di soluzione. Ha ricordato inoltre che i problemi in essere non devono né occultare le esperienze positive presenti nella nostra regione, né costituire un alibi per non impegnarsi nell’attività corale nella scuola. RUBRICHE Dopo il pasto offerto da Aerco si è iniziato il lavoro pomeridiano con un intervento del dott. Lanfranco Perini, musicista, insegnante ed editore, che ha parlato con profonda competenza e passione della vocalità infantile e ha illustrato alcune pubblicazioni della sua casa editrice sull’argomento. A lui è subentrata la prof.ssa Sonia Mireya Pico che ha svolto la parte di convegno riguardante il repertorio. Sotto la sua guida i docenti hanno abbandonato il loro ruolo per tornare un attimo bambini, mettendosi in cerchio e imparando alcuni canti, mentre allo stesso tempo rinfrescavano e recuperavano alcune tecniche utili per l’insegnamento del canto ai bambini veri. Grazie all’entusiasmo e all’energia della prof.ssa Pico l’atmosfera si è fatta più distesa, in contrasto con l’intenso lavoro mattutino, tanto che il maestro Pierpaolo Scattolin, ex presidente Aerco, si è seduto al pianoforte improvvisando simpaticamente alcuni accompagnamenti ai canti proposti dalla docente. La chiusura della giornata era affidata, inevitabilmente, a un coro scolastico. A esibirsi davanti a questa sceltissima platea è stato chiamato il coro Libere Note della scuola Mordani di Ravenna, organizzato e diretto dalle maestre Elisabetta Agostini e Catia Gori. I giovanissimi cantori hanno spaziato da brani classici al repertorio popolare, esibendosi a più voci con grande maestria e conquistando l’uditorio con la loro freschezza e bravura, coronando con l’alto livello della loro esecuzione una giornata che resterà a lungo nella memoria di chi l’ha vissuta. Matteo Unich UN CORO DI 1.800 VOCI In vista dei programmi per il 150° del CAI nel 2013, e in seguito alla proposta di un censimento avanzata dai cori torinesi del CAI (Edelweiss e CAI Uget) per conoscere lo stato dell’arte della coralità in ambito CAI con un questionario approfondito, sono stati ben 64 i cori del CAI che hanno risposto al questionario. I numeri che ne emergono sono imponenti: complessivamente si tratta di 1.873 coristi impegnati tutte le settimane, in molti casi anche due volte la settimana, in prove ed esecuzioni. Sono valutabili in oltre 750 i concerti che mediamente vengono proposti al pubblico nel corso di un anno. Se prudentemente stimiamo in 100 gli spettatori medi di questi concerti, arriviamo alla stima di oltre 75.000 persone che annualmente vengono in contatto col mondo CAI attraverso la musica e la proposta culturale che i cori portano avanti. Dunque un fenomeno non solo qualitativamente ma anche quantitativamente rilevante, soprat- 67 Il coro CAI di Roma al Salerno Festival tutto verso l’esterno, come viene confermato anche dall’attività editoriale svolta dai cori (CD, DVD, dischi, pubblicazioni). I cori CAI sono presenti in 16 regioni su 21 (considerando separati Trentino e Alto Adige): non hanno risposto al questionario eventuali cori di Valle d’Aosta, Liguria, Molise, Basilicata, Sicilia. In alcune di queste regioni è nota la presenza di cori anche importanti, ma non all’interno del CAI. La regione con più cori è la Lombardia (14), seguita dal Piemonte (13). Cinque regioni hanno un solo coro. Le prime quattro regioni (con Emilia Romagna e Veneto) coprono il 57% del totale. I cori storici più antichi ancora in attività sono i famosissimi SAT e SOSAT, nati a Trento nel 1924. Fino al 1950 come data di fondazione sono complessivamente 11 i cori che hanno più di 60 anni di vita. Si assottigliano i numeri nei decenni successivi, per tornare poi a crescere prepotentemente dal 1991: addirittura 31 cori (48% del campione) sono nati dopo quell’anno, 21 dopo l’anno 2000 (33%). Abbiamo un 55% di cori maschili, un soprendente 44% di cori misti ma un solo coro femminile (Carrara); ma su 31 cori nati negli ultimi 20 anni ben 22 sono misti, equamente rappresentati in tutte le regioni italiane qui presenti. La maggior parte (55%) è costituita da 25-34 coristi ma non mancano cori numerosissimi (22% ne ha oltre 35); un dato dolente è il 38% dei cori che non ha coristi sotto i 40 anni, in compenso esistono 2 cori di soli giovanissimi (Bovisio Masciago e Molteno); i concerti tenuti nell’anno sono mediamente 15-20, ma 4 cori ne tengono oltre 20; la maggior parte dei cori si esercita con una prova la settimana, ma il 44% si impegna addirittura 2 volte, per un totale di 5-6 ore settimanali. Più della metà dei cori possiede registrazioni professionali. Gianluigi Montresor 68 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi I nostri corpi come i nostri strumenti. La voce, quando esprime idee musicali ed emozioni attraverso la parola e il canto, riflette una naturale integrazione di corpo, mente e cuore. Questa connessione è descritta da Inayat Khan nei suoi Sufi Teachings (Insegnamenti Sufi). «La voce proviene direttamente dall’anima come respiro ed è portata in superficie per mezzo della mente e degli organi vocali del corpo. Quando l’anima desidera esprimersi nella voce, provoca dapprima un’attività nella mente, e la mente, per mezzo del pensiero, progetta le vibrazioni più belle sul piano mentale. Queste a tempo debito si sviluppano e corrono come respiro attraverso le regioni dell’addome, dei polmoni, della bocca, della gola e degli organi nasali facendo vibrare tutta l’aria, fino a che si manifestano in superficie come voce». Non è ancora primavera, ma le sue caratteristiche sono evidenti già da tempo. Nel mio piccolo giardino l’ultima neve è caduta sulle primule e sui boccioli di narciso trombone. Quando i nostri lettori riceveranno questo saluto la primavera sarà inoltrata, ma non troppo tarda per l’augurio che Mondocoro vuol porgere. Un insegnamento sufista (per restare in tema con la citazione!) recita: «L’obiettivo non è quello di placare la sete. L’obiettivo è quello di sviluppare la sete perfetta, in modo che non dobbiate mai smettere di bere». Non so forse spiegarmi chiaramente, ma sento che questo è per tutti un bellissimo augurio primaverile. Siano le vostre sedi, le vostre prove di canto e i vostri concerti l’ambito che sviluppa in ciascuno di voi una sete perfetta di sapere, di umanità, di pace per tutti affinché non dobbiate mai smettere di bere gioia, serenità e bellezza. QUALCHE PENSIERO PER… …i cantori meno giovani Frequento cori e mi dedico all’associazionismo corale da ormai un bel po’ di anni e mi son fatto un po’ di idee. Sbagliate? Forse, ma sono anche idee di cui magari nessuno parla. In particolare, una di queste è forse viziata da un dato anagrafico personale, la coscienza di una sopravveniente minor giovinezza, ma non per questo è meno reale. Quanti cantori italiani sono o stanno per entrare nelle condizioni di giovinezza di spirito ma vecchiezza di corde vocali? Non vi è dubbio che dedicarsi alla coralità infantile e giovanile in tutte le sue forme e aspetti (come fa tutto l’associazionismo nazionale e internazionale) è voler garantire il futuro, e – soprattutto – un futuro migliore, alla musica ma anche alla società in generale. Ma i cantori anziani, pardon, meno giovani non sono il presente? E tutti noi sappiamo che non c’è futuro senza presente! Diamo un occhio di attenzione anche al presente! RUBRICHE 69 Un anti-esterofilo come me deve anche rilevare che all’estero si parla un po’ di più e con maggiore serenità di “cantori anziani”, di cantori dai 55-60 agli 80 e tanti anni. Perché da noi no? Proprio prendendo lo spunto dagli interventi di un paio di direttori di coro stranieri, magari in attesa che Choraliter vi dedichi se non un intero dossier almeno uno studio più serio di questo, propongo ai ventiquattro lettori di Mondocoro alcuni pensieri in merito e segnalo una manifestazione corale specifica che si svolge non lontano da noi. Pensionati con corde vocali che scricchiolano L’americano Thom Baker afferma: «molti dei miei allievi sono pensionati, persone che sono venute da me sperando che ci sia qualcosa che si può fare per alleviare alcuni dei loro cigolii, scricchiolii, tremolii e gracchiamenti di voce, sperando di dare alla loro voce e al loro canto un altro paio d’anni di vita». Beh, in queste tre righe c’è tutto quello che io e i miei coetanei, anche in Italia, vogliamo! Cerchiamo qualcuno che abbia scelto di dedicare attenzione all’invecchiamento della voce, che abbia voluto capire perché alcune persone cantano splendidamente a 80 anni, mentre altre vengono meno già dopo i 50. «Beh – sostiene Baker – è per lo più problema di tecnica, o di mancanza di tecnica. Molti dei miei migliori cantanti hanno oltre 70 anni. Alcuni sono venuti da me per quasi un decennio e sanno ancora cantare bene a 80. Il motivo è che viene loro insegnato a respirare e a gestire bene le note in connessione con il fiato». Ce ne rendiamo conto abbastanza bene anche noi che con l’avanzare dell’età, le parti del meccanismo vocale sono “cristallizzate” e che dal punto di vista muscolare il controllo diventa più difficile. Ma non si può e/o non si deve proprio fare niente? Baker sostiene che questi problemi si tengono sotto controllo con una corretta respirazione. «Questa garantisce la possibilità di cantare al meglio anche nei primi anni, ma di più ancora è necessaria con l’aumentare dell’età. Il concetto», continua il direttore americano, «è quello di controllare le corde vocali con il respiro, invece di controllare il respiro con le corde vocali». Sembra dirci: “La voce è respiro; usalo, spendilo. È gratis (ancora, per il momento!)”. E generosamente suggerisce che se si vuole essere in grado di utilizzare queste persone meno giovani, bisogna che qualcuno assuma una responsabilità personale, che può essere semplicemente trovare un vero maestro della voce ( e impegnandosi personalmente, Thom garantisce la restituzione di un cantore “nuovo” in una settimana a chi volesse inviargliene a Itaca, USA, uno “vecchio”!). «Per quanto riguarda la perdita di udito – altro nostro problema! – non posso aiutarvi», dichiara sconsolato il direttore di coro (Limitato! Noi, invece, troviamo sempre qualche maestro onnipotente!). «Ci sono anche cantori giovani e di mezza età che hanno problemi di udito», continua. «Mio padre era molto duro d’orecchio già prima dei 70 anni. Io stesso da quando ho 50 anni sento la mia voce che cambia e il mio corpo che poco a poco mi tradisce. Se saremo benedetti con una lunga vita, accadrà a tutti noi. Se ci sarà qualche grave mutamento a causa di variazioni correlate all’età e non avremo la possibilità di essere guidati su come poterci adattare, la lunga vita potrebbe non essere sentita come proprio una benedizione!» Amici, ricordiamoci che un giorno potremmo ritrovarci in questa situazione; come reagiremo quando ci verrà data la notizia? Non abbiate paura! Una speranza ci viene sempre da Baker. «Per quanto mi riguarda – dice – continuerò a curare la mia voce per gli ottua e nonagenari nel mio studio sulla voce e nei miei cori». Chi scrive auspica che egli possa avere molti seguaci; sì, perché alla nostra età un viaggio a Itaca non è sempre facile. 70 Cantori a… 97 anni I cantori di Encore Creativity for Older Adults hanno da 55 a 97 anni; lo dice Jeanne Kelly, la fondatrice nonché direttore esecutivo dell’associazione. “Encore Creatività per gli adulti più anziani” si impegna a fornire un ambiente artistico d’eccellenza, sostenibile e accessibile alle persone più anziane, e comunque dai 55 anni in poi, indipendentemente dalle loro esperienze o abilità precedentemente acquisite. I soci di Encore Creativity sono persone che hanno cantato tutta la loro vita, oppure che non cantano da 20, 30, 40 anni, o ancora, persone che non hanno mai cantato. Esse cercano opportunità di educazione artistica e di esibizioni artistiche sotto la guida di un artista professionista. Encore è un progetto che negli USA si sta diffondendo a livello nazionale favorendo la creazione di numerose associazioni corali nuove. I cori di Encore non fanno audizioni, ricevono dall’associazione CD e altro materiale per il riscaldamento della voce e per lo studio delle parti separate. Encore ha fatto proprio il concetto che se le persone possono parlare, esse possono anche cantare, che il canto è un’arte che dura tutta la vita. Cantare è uno stile di vita. È quindi assolutamente necessario avere il miglior direttore di coro possibile, uno che sappia spiegare anche tecnica vocale e non semplicemente dire “produci questo suono”. Di certo a uno che ha cantato tutta la vita non si può dire che è il momento di smettere. Encore è sinonimo di eccellenza artistica, di benessere mentale e fisico e di immensi benefici sociali; attira molti livelli di canto e pertanto è compito dei nostri direttori farsi carico dei problemi che vengono con l’invecchiamento della voce. Non è mai troppo tardi per affrontare problemi di tecnica vocale. «Per quindici settimane tutte le nostre corali preparano lo stesso repertorio, poi le uniamo, a seconda dello spazio della sala, per produrre enormi concerti gratuiti rivolti a un favoloso pubblico straripante. Di solito cantiamo con 100 e più cantori e il nostro Kennedy Center ospita abitualmente 275 cantori Encore. È davvero emozionante… I suoi cantori adulti Encore li tratta con grande professionalità, li sfida proprio come sfiderebbe cantori giovani». Quindi non mandare via i cantori adulti, non snobbarli, porteresti via il loro amore per la musica, la loro dignità e il loro servizio. Nella pagina http://encorecreativity.org è possibile vedere il programma dell’associazione in corso fino a maggio. G.E.O. corale G.E.O. - Gruppo Età d’Oro, denominazione che vediamo solitamente abbinata alla prestigiosissima e conosciutissima sigla CAI, ma che non stona affatto se applicata all’attività corale. Dimostrazione: ho avuto modo recentemente di esaminare l’interessante relazione sullo studio svolto da Lo Scarpone (rivista online del CAI) circa i cori CAI, e mi son permesso successivamente di sottolineare come questo dettagliato studio non copre comunque la coralità CAI in senso globale, in quanto militano nelle file del CAI innumerevoli cantori che mai hanno cantato in un coro CAI, ma che cantano da una vita in altri cori di genere popolare, polifonico classico e moderno, gruppi di canto gospel/spiritual, cori lirici e quant’altro. E molti di questi cantori/soci CAI hanno un’età superiore ai 55 anni! Chissà quanti cori GEO potremmo formare! Con essi potremmo partecipare a settimane cantanti, festival e concerti un po’ ovunque. RUBRICHE 71 I LIBRI DI OGGI The Savvy Musician (Il musicista accorto) 2009, di David Cutler «Se qualche volta ti sei chiesto come mai qualcun altro ha successo e tu no, leggi questo libro. Inoltre – cosa ancor più importante – scoprirai infiniti modi per essere sicuro che sei proprio tu colui al quale la gente si sta interessando per il futuro» (Jeff Nelsen, cornista dei Canadian Brass). Sarai anche bravo, ma sei accorto? Il successo come musicista professionista richiede molto di più del semplice talento e di un po’ di fortuna. Sei dotato di talento? Sei ben preparato e molto appassionato di musica? Non sei il solo. Il mondo dei professionisti è pieno di grandi musicisti, tutti in gara per la pesca dalla stesso mare musicale. Questo libro esamina alcuni degli elementi critici che spesso sono trascurati o fraintesi dai musicisti, per esempio l’imprenditorialità, lo sviluppo del prodotto, il branding, il marketing, il networking, i nuovi standard di registrazione, la finanza personale, il finanziamento, la pertinenza e l’adeguatezza delle componenti informatiche Il musicista accorto ti aiuterà a bilanciare tre aspetti essenziali: costruire una carriera, guadagnarti da vivere e cambiare le cose. Con esso scoprirai come è possibile elaborare una tua propria strategia e costruire una carriera significativa e prospera. Scoprirai come puoi costruire un “marchio”, utilizzare la tecnologia dallo strumento internet alla nuova tecnica di registrazione, espandere la tua rete di lavoro e guadagnare abbastanza denaro per realizzare i tuoi sogni. Questo libro ti aiuterà a prendere il controllo della tua carriera scoprendo delle opportunità che devono essere prospere e importanti. Il musicista accorto è una risorsa inestimabile per chiunque aspiri a un interessante e fiorente futuro professionale in campo musicale. Singing in the African American Tradition (Il canto nella tradizione afro-americana) di Ysaye Barnwell Metodo vocale, libro corredato da 4 CD, uscito nelle librerie in data 1 dicembre 1998. È stato scritto nel 1989 da Ysaye Barnwell in collaborazione con George Brandon. Quest’opera getta una luce molto interessante sulle origini del canto gospel. Contiene anche un capitolo dal titolo Come si differenziano i canti gospel dagli spiritual e come si stanno evolvendo. Nel libro di Ysaye Barnwell ci sono molte informazioni preziose sulla storia del gospel dai tempi in cui non era ancora chiamato gospel, con molti esempi tratti da Acappella Rehearsing for Heaven, di Tony Backhouse. Coloro che amano cantare saranno entusiasti del materiale inciso su questi quattro CD. Barnwell, membro fondatore di Sweet Honey in the Rock, insegna le melodie a più parti, le armonie, i ritmi e le contro-melodie di più di 20 canti ispirati: canti africani, spiritual, canti gospel e inni per i diritti civili americani e per i movimenti di libertà africani. Il libro con CD comprende anche molti dati storici ed è perfetto per singoli cantori, cori, chiese, campi di lavoro e gruppi della comunità che vogliono partecipare a questa edificante tradizione di canto. 72 ANEDDOTI PIACEVOLI E BELLE STORIE Il bacio di Beethoven Vi siete mai sentiti dire «Siete a “n” strette di mano da Beethoven»? È un’espressione che qualche tempo fa, durante una importante manifestazione corale, il noto compositore John Rutter usò con gli allievi del suo workshop. Credo che ogni cantore vorrebbe sentirsi fare questo complimento almeno una volta dal proprio direttore di coro, anche se al posto di “n” ci va, ormai, un numero non più molto basso. Esso indica, comunque, una discendenza qualitativa diretta dal grande musicista. Una semplice ricerca su Google di “Quante strette di mano ci separano da Beethoven?” può rivelare delle storie carine. Eccovene un paio, la prima: «Un mio amico di università ha studiato pianoforte (prima stretta di mano) con uno studente di Schnabel (seconda stretta di mano), che a sua volta ha studiato con Liszt (terza stretta di mano). Una quarta stretta di mano ti porta dritto a Beethoven e con una quinta si giunge a Haydn e Mozart in men che non si dica». La seconda: «C’è una storia interessante a proposito di un giovane pianista ungherese, Foldes Andor. Quando aveva 16 anni, era già un abile musicista, ma lui stava vivendo un anno travagliato. Uno dei pianisti più famosi dell’epoca venne a Budapest. Emil von Sauer era famoso non solo per se stesso e la sua abilità artistica, ma anche perché era l’ultimo allievo superstite del grande Franz Liszt. Saputo del giovane Foldes, Von Sauer chiese che il giovane suonasse per lui. Il ragazzo fu messo alla prova con alcuni dei pezzi più difficili di Bach, Beethoven e Schumann. Quando ebbe finito di suonare, Von Sauer si avvicinò a Foldes e lo baciò sulla fronte. “Figlio mio – disse – quando avevo la tua età sono diventato allievo di Liszt che, dopo la mia prima lezione, mi baciò sulla fronte dicendo: ‘Abbi cura di questo bacio. Viene da Beethoven che lo ha dato a me dopo avermi ascoltato suonare’. Ho aspettato tanti anni per trasmettere questo patrimonio sacro, ma ora sento che tu lo meriti”» (Frank Albinder). Un grande progetto di pace Un grande progetto ha coinvolto il coro Al Baath (arabo), il coro Collegium Tel Aviv (ebraico) e Timna Brawer (cantante ebrea di Vienna), con Eli Meiri. Lo scopo del progetto è stato quello di far cantare insieme esponenti di tre grandi religioni: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Dopo prove intense e grande determinazione, Al Baath è stato in grado di cantare a quattro voci (nonostante il fatto che nessuno nel coro sapeva leggere la notazione musicale). Questo progetto, oltre a incoraggiare la coesistenza pacifica tra ebrei e arabi, è stato anche l’occasione per un salto di qualità da parte del coro Al Baath per il quale, poco a poco, il canto polifonico è diventato “possibile”. RUBRICHE EVENTO ITALIANO Per la bisiacaria… un inno d’amore A giustificare il fatto che un anti-esterofilo come me si sia impegnato a proporre in Mondocoro notizie quasi esclusivamente straniere si può solo chiamare in causa la dantesca legge del contrappasso. Da essa, però, ogni tanto mi svincolo e, varcate a ritroso tutte le frontiere, attraverso le Alpi ritorno in Italia dove mi accoglie «el grillo buon cantore che canta lieto verso» (l’unico grillo che io conosca!), dove ritrovo tanti affetti, molti amici, tante cose belle e originali. Voglio attirare brevemente l’attenzione dei ventiquattro lettori di Mondocoro sul Gruppo Costumi Tradizionali Bisiachi di Turriaco (Go), che con il proprio coro e i propri suonatori s’è fatto protagonista di un evento particolare ed encomiabile (per una prova certa – ora che siamo tutti informatizzati per esigenze e volontà di INPS – possiamo guardare su Youtube: www.youtube. com/watch?v=mwK_XeSMrC4). È cosa buona e giusta proclamare sempre e ovunque l’amore alla propria terra, più ancora se ciò avviene cantando un’amabilissima polka dal ritmo brioso e immediatamente orecchiabile, che evoca le ottocentesche danze boeme da cui peraltro sembra trarre origine l’Inno ai Bisiachi. È ciò che ora il gruppo popolare guidato da Caterina Chittaro può fare con facilità avendo saputo sfruttare al meglio l’ingegno poetico di Livio Glavich e quello musicale di Massimiliano Natali e di Caterina Biasiol. Con questi artisti è nato nel gruppo l’inno che esalta la Bisiacaria, terra bagnata dall’Isonzo, regione di cui è perfino difficile parlare visto che nessuna carta geografica ne evidenzia l’esistenza. Ma è con tutti i cantori e suonatori del gruppo che l’inno vive, si diffonde, promuove una terra generosa e sentimenti di umanità incorrotta. L’argomento dell’inno, infatti, né aulico né patriottico, è legato alle vicende di gente umile che da sempre, in attesa di tempi migliori, resiste alle avversità; esprime senso di appartenenza a una terra fra mare e monti («…al mar lo vémo / a pochi passi / monti a corona / da drio la schena…»), si rifà alle origini contadine dei suoi abitanti che in giro per il mondo hanno finito per fare i più disparati mestieri. 73 E se qualcuno volesse sapere “perché mai un inno?”, ecco la risposta più semplice: «E cun sto inno / che noi cantemo / par mila strade / andove che andemo / volemo portar / dei Bisiachi l’amor / che tuti i Bisiachi / semena ta’l cor». Più che giusto sottolineare in chiusa: «che i Bisiachi / semena ta’l cor». PERCHÉ PARTECIPARE? Europa Cantat et similia: perché partecipare? Ciao amico corista, amico direttore di coro. Quello che sto per dirti proviene direttamente dal cuore. L’andare a eventi di Feniarco, di ECA-Europa Cantat, di IFCM, frequentare seminari corali e concorsi di buon livello (ovunque organizzati) non solo mi dà maggiori conoscenze su come avvicinarmi alla musica corale, ma mi dà intuizioni e fornisce suggerimenti su come posso costruire le mie prove di canto in modo che siano più produttive, efficienti, divertenti e stimolanti. Inoltre incontri corali e workshop mi danno un sacco di idee sul repertorio, mi aiutano a tenere il passo con le ultime offerte di buona musica corale italiana (sarà poca, ma c’è!) e straniera (è molta, ma non sempre all’altezza della moda che la diffonde!). E partecipare a queste iniziative (“convention” mi darebbe più tono? Ma questo anglicismo/americanismo non mi piace!) ricarica le batterie corali, rendendomi più motivato quando torno ai miei cori e alle mie prove. Sono consapevole del fattore costi (viaggi e soggiorno!) e capisco quanto scoraggiante sia, per cantori e direttori, lo stare assenti più giorni da casa, da lezioni, da lavoro e attività varie, ma non potrò mai sottolineare abbastanza che ne vale la pena! Ho cercato per anni (quasi sempre senza successo) di convincere cantori e direttori di coro a venire con me alle assemblee e settimane cantanti promosse da Feniarco, ECA-EC e IFCM. Quello che – non partecipando – i miei cantori e direttori di coro spesso hanno perso sono stati, secondo il mio parere e quello di molti altri, i concerti più stimolanti ed espressivi di cui non hanno mai nemmeno sentito parlare nella loro vita (il che non è poco se detto da uno come me che in tante circostanze e in tutta Europa di concerti e di gruppi corali importanti e favolosi ne ha sentiti un certo numero). Quindi il punto è: non sai cosa ti perdi fin quando non ti decidi a fare un passo oltre il problema finanziario e temporale e… semplicemente decidi di partecipare! Se il Symposium Corale Mondiale di agosto 2014 a Seoul (Korea) è fuori dalla tua portata economica e disponibilità di tempo, perché non mettere in bilancio la tua presenza al Festival Europa Cantat 2015 a Pécs (Ungheria) e programmare fin da ora il reperimento dei fondi necessari e la disponibilità di tempo? E se neppure Pécs è fattibile, perché non pensare ad Alpe Adria 74 Cantat che ha luogo ogni anno a Lignano (Ud) la prima settimana di settembre? Sono certo che non rimarrai deluso nella tua scelta. E almeno… allora saprai che cosa, in passato, ti sei perso. Infine, un altro vantaggio dall’essere parte della “comunità corale”: fare rete! Incontrerai altri direttori di coro e cantori; scoprirai che essi hanno da condividere situazioni talvolta simili e talvolta diverse dalle tue. E chi lo sa? Potrebbe succedere che quando sarai alla ricerca di un lavoro, forse scoprirai che il posto di cui ti stai interessando era tenuto da qualcuno che ha parlato a un convegno in cui tu eri presente. Puoi immaginare cosa potrebbe succedere se, esaminando i diversi curricula pervenuti, gli esaminatori riconoscessero il tuo nome tra tutti gli altri che non conoscono? Puoi immaginare come l’essere conosciuto in quella circostanza potrebbe aiutarti? È semplicemente un pensiero. Ma colloqui di lavoro a parte, non posso trattenermi dal dirti quanto gratificante sarà per te poter costruire relazioni e condividere idee con persone che hanno la tua stessa passione per la musica corale. Con riferimento alla partecipazione a convegni di qualunque tipo, questa condivisione della stessa passione è un altro aspetto interessante sul quale dubito fortemente che rimarrai deluso. UN COMPOSITORE ALLA VOLTA Un giovane compositore Matt Van Brink è un giovane pianista e compositore americano che attualmente vive a New York. Suona anche la fisarmonica in brani d’opera, in musica da camera e in gruppi di musica popolare e dirige sia opere proprie che di amici compositori. Come compositore, oltre che alla musica corale si dedica a quella per danza, per film e da camera; s’interessa di jazz e vive dando concerti, componendo musica e facendo l’insegnante. Matt Van Brink è stato il vincitore assoluto del primo concorso IFCM di composizione corale nel 2010. È entusiasta di aver lavorato con Grete Pedersen e il Coro Giovanile Mondiale a Oslo, in occasione dell’assegnazione dei premi Nobel nel mese di dicembre 2011. Attualmente è un Fall 2012 Artist Fellow presso la fondazione Wurlitzer di New Mexico, dove si sta dedicando alla composizione di un ciclo di canti per il Duo Olson - De Cari su testi di scienziati del nostro tempo. Durante la stagione 2011-2012 Matt ha prestato servizio come compositore-non-in-residence presso la San Francisco Choral Artists per la quale ha composto diversi nuovi lavori. Come compositore residente presso il Concordia Conservatory of New York continua a comporre ambiziose nuove opere di musica da camera e di teatro musicale per giovani esecutori, ed è felicissimo di aver “ucciso i classici” con arrangiamenti per un nuovo album pubblicato lo scorso inverno dall’inimitabile Polkastra. Subito dopo aver vinto il concorso IFCM Matt Van Brink ha firmato un contratto con l’editore tedesco Hayo Music che successivamente ha pubblicato sia diversi suoi lavori recenti per coro sia due volumi di nuovo repertorio per giovani suonatori di strumenti a corda, Strings Attached. Nel complesso il premio IFCM sembra aver fornito alla carriera del giovane compositore un impulso più che notevole. RUBRICHE 75 + notizie> + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Anche per il 2013 rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it - [email protected] modalità di abbonamento: tTPUUPTDSJ[JPOFPOMJOF dal sito www.feniarco.it tWFSTBNFOUPTVMDDQPTUBMF IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco tCPOJGJDPCBODBSJP sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco 76 CD RECENTI Choral music by Eric Whitacre: hope, faith, life, love. Quando si tratta di scrivere musica Eric Withacre ha un istinto sicuro al di là di ogni tipo di avanguardismo del ventunesimo secolo. Egli è il rappresentante di una generazione di compositori che considera la tonalità e l’accessibilità della musica un elemento cruciale delle proprie opere. Il Junges Vocalensemble Hannover traduce questo istinto in suono, e sviluppa la pienezza di colore delle composizioni con un livello di maestria artistica eccezionale. Il CD è pubblicato da Rondeau Productions che si è guadagnato una solida reputazione consegnando al pubblico musica sacra della più alta qualità artistica e tecnica. James Whitbourn: Annelies «La prima importante trasposizione corale del Diario di Anna Frank presenta le notevoli e penetranti osservazioni che l’adolescente, mentre se ne stava nascosta ai nazisti in una soffitta di Amsterdam, ha scritto come base straordinaria e commovente del suo piccolo diario. La musica di Whitbourn per questo lavoro è stata descritta come “ferocemente bella”» (The Daily Telegraph). «La musica di Whitbourn riflette i suoni delle campane di Westerkerk e le melodie sentite alla radio da Anna Frank mentre era nel suo nascondiglio, e insieme evidenzia rappresentazioni esplicite del suo patrimonio culturale ebraico e tedesco, dettagli che aumentano ancor di più il punteggio di un’opera il cui rispettoso eufemismo è la sua più grande forza» (The Times). Annelies (Anne) Frank nella storia ha un posto permanente come studentessa ebrea che mentre si nasconde ai nazisti scrive un diario la cui lettura, ora che conosciamo la sua fine a Bergen Belsen, è una lettura difficilmente sopportabile. Da queste pagine poetiche di Anna Frank, Melanie Challenger ha modellato un libretto elegiaco che James Whitbourn mette in musica con grande rispetto, una musica che è quasi impossibile ascoltare senza lacrime. Arianna Zukerman canta con bellezza sommessa mentre il Gruppo Westminster Williamson Voices di Princeton (New Jersey) con abile precisione dà forma alle linee squisite di Whitbourn facendoci ricordare i corali di Bach. CD CD CHORALITER Bando di partecipazione Feniarco intende selezionare registrazioni dotate dei requisiti necessari per essere allegate alla rivista nell’anno 2014. Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, inedite o edite in tiratura limitata, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno rispondere ai seguenti criteri: > avere carattere unitario, presentandosi come un progetto focalizzato su un tema omogeneo e artisticamente significativo, tale da poter essere oggetto di un dossier della rivista; > essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto; > avere una durata non inferiore ai 50 minuti. Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 maggio 2014 unitamente a un curriculum del coro e del direttore e una dichiarazione di autenticità dell’esecuzione. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri. La redazione si riserva la possibilità di utilizzare anche parzialmente le registrazioni pervenute, pubblicando un CD antologico. I costi di realizzazione del master sono a carico dei cori. Feniarco provvederà alla duplicazione, alla stampa dell’eventuale booklet e alla diffusione. Il coro interprete del CD selezionato fornirà inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ai diritti che saranno esercitati da Feniarco in quanto editore. Per le registrazioni eventualmente già edite, dovrà essere allegata una liberatoria da parte dell’editore, che autorizzi alla duplicazione e diffusione. Al coro interprete del CD pubblicato saranno riservate 50 copie omaggio della rivista e ulteriori 100 copie del CD. in collaborazione con Di fronte al mare, vicini alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste, questa settimana internazionale di canto corale ospiterà 6 atelier, aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica! Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing, e tutti i partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica. Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale. international singing week £ 2013 K££1 Musica per cori di voci bianche e corso per direttori Docente Luigi Leo (IT) K££2 Monteverdi e la Scuola Veneziana Docente Fabio Lombardo (IT) K££3 Spiritual e gospel Docente André J. Thomas (US) K££4 Musica romantica Docente Rainer Held (CH) K££5 Vocal Pop / Jazz Lignano/Italy Docente Rogier IJmker (NL) K££6 World Music Docente Silvana Noschese (IT) 1»8 settembre aZp^f^`_^\_bp`^i mXkk^`$" informazioni Feniarco Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] www.interattiva.it con il sostegno di Regione Friuli Venezia Giulia Ministero per i Beni e le Attività Culturali Fondazione CRUP www .fen iar co.i t