1 Paolo Jedlowski Cinema europeo, sfera pubblica e memorie autocritiche 1 1. Nell’ampio territorio evocato dal titolo del nostro convegno, vorrei disegnare oggi una mappa molto circoscritta. Mi occuperò della memoria pubblica, e osserverò come un certo cinema europeo inviti oggi la memoria pubblica a una torsione particolare, legata ad un atteggiamento autocritico nei confronti del nostro passato. La memoria pubblica non è esattamente la “memoria collettiva”. Il modo più semplice di definirla è intenderla come la memoria della sfera pubblica. Con Habermas (1962), intendo quest’ultima come l’ambito della vita delle moderne società democratiche al cui interno i convincimenti dei cittadini a proposito di questioni di rilevanza collettiva si confrontano e si influenzano reciprocamente, modificandosi man mano e contribuendo al formarsi dell’opinione pubblica . Per certi versi, la sfera pubblica è in se stessa memoria: non può esistere infatti come confronto delle argomentazioni senza che i discorsi di ieri siano confrontati con quelli di oggi. Ma essa ospita anche discorsi che riguardano in modo specifico certe rappresentazioni del passato: ed è a questi discorsi che credo pertenga in senso stretto il nome di memoria pubblica 2. Questa, in breve, consiste in un insieme di immagini del passato pubblicamente discusse. Differente dalla memoria collettiva, che è propriamente la memoria di una collettività determinata, è piuttosto un luogo di confronto delle memorie collettive dei gruppi che vivono in seno a una società: lo spazio in cui queste dialogano proponendo certi criteri di plausibilità e di rilevanza relativi al passato ed esponendosi alla critica che altre memorie possono esercitare 3. 1 Il testo riprende con alcune nuove elaborazioni un intervento presentato col titolo Cinema europeo e memorie autocritiche al convegno Cultura e immagini d’Europa, Università “La Sapienza” di Roma, giugno 2010. 2 Riprendo qui Jedlowski 2007. Così come il concetto di sfera pubblica non si riferisce a ciò che è pubblico in senso istituzionale, ma ad un ambito di comunicazione pubblico fra cittadini privati, allo stesso modo la memoria pubblica (almeno per come io intendo il termine) non è la memoria promossa dalle istituzioni, ma è quella costituita dai discorsi e dagli artefatti culturali riguardanti il passato che si collocano nello spazio comunicativo che sta fra le istituzioni e la sfera propriamente privata. Concettualizzazioni parzialmente diverse della memoria pubblica sono comprese nei saggi raccolti in Alexander et al. 2004 e in Phillips 2004; per una discussione vedi Tota 2006; vedi anche Rampazi, Tota 2007. 3 Tale confronto può vedere il prevalere di un gruppo o di un altro ma fintanto che la sfera pubblica esiste in quanto tale favorisce comunque, almeno in linea di principio, il riconoscimento reciproco e dunque, quanto alla memoria, la possibilità di espressione di interpretazioni del passato concorrenti fra loro. Il concetto di memoria pubblica eredita tuttavia sia la vitalità, sia i problemi del concetto da cui deriva. Se è vero, come Habermas pensava, che la sfera pubblica può essere colonizzata dalle sfere della politica e del mercato e asservita all’interesse di gruppi di pressione organizzati, la memoria pubblica è esposta al medesimo rischio. E come la colonizzazione della sfera pubblica significa la perdita da parte della società della possibilità di porre un freno al perseguimento arbitrario di interessi particolaristici, allo stesso modo l’asservimento della memoria pubblica ad un gruppo di pressione organizzato significa il venir meno della capacità della società nel suo insieme di riflettere sul passato. Altri problemi corrispondono alle modifiche e agli arricchimenti che il concetto di sfera pubblica ha subito dopo le prime formulazioni di Habermas. Nonostante sia in linea di principio una sfera inclusiva, la sfera pubblica è sempre stata, nello stesso tempo, anche esclusiva: ai suoi albori escludeva donne e ceti popolari; oggi può escludere rifugiati, L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 2 Così come la sfera pubblica nel corso della modernità si è spostata dai suoi luoghi fisici di germinazione (i caffé, i salotti, i circoli cittadini) al mondo dei media, allo stesso modo la memoria pubblica si è trasferita oggi in gran parte nel regno dell’interazione mediata. Consiste di artefatti mediali, di prodotti culturali che circolano e si prestano a commenti, discussioni, riprese. Fra questi prodotti rientrano quelli cinematografici. Quanto al cinema, naturalmente può venire considerato secondo molte prospettive diverse. Qui lo prenderò in considerazione soprattutto per la sua capacità di fungere da medium narrativo: ovvero, come scrive Casetti (2005), come uno spazio pubblico di negoziazione fra esperienza e rappresentazione. Le narrazioni cinematografiche circolano nella sfera pubblica e ne sono una parte, contribuendo a dar forma ai modi in cui immaginiamo il mondo. Concorrono all’insieme dei processi che riguardano la costruzione sociale della realtà: ma questo è vero anche per la costruzione delle immagini del passato 4. Ciò è particolarmente rilevante nel contesto europeo. Naturalmente, non è affatto facile sviluppare un discorso sul cinema europeo di oggi 5. L’epoca d’oro delle sale cinematografiche è tramontata, ma non è questo il punto (la frequenza con cui si va al cinema in Europa è ancora notevole; d’altro canto, per quanto in concorrenza con molti altri prodotti, i film circolano e sono visti anche in televisione, in DVD o scaricandoli da Internet). Il problema è se mai che il settanta per cento del mercato cinematografico in Europa è occupato da film di produzione americana 6. Della quota restante, la parte maggiore è occupata da film che non oltrepassano i propri confini nazionali, e che dunque è difficile chiamare propriamente “europei”. Tuttavia, vi è un certo numero di film prodotti in Europa capaci di circolare nelle sale di più paesi europei. In Italia, nel 2007, la quota di mercato dei film di produzione europea (esclusi quelli migranti o gruppi che comunque vengono costruiti come marginali; ciò comporta la creazione di una pluralità di sfere pubbliche antagoniste fra loro, oppure complessi processi di negoziazione dell’accesso a una sfera pubblica che resta comunque caratterizzata da contorni sfilacciati e da rapporti ineguali. Queste considerazioni toccano anche la memoria pubblica: questa è uno spazio in linea di principio aperto al confronto fra le memorie di gruppi diversi, ma è anche il terreno di ricorrenti ed espliciti tentativi di escludere alcuni, o quanto meno di costruire egemonie a proposito delle rappresentazioni del passato legittime; come la sfera pubblica, anche la memoria pubblica così può pluralizzarsi, o si apre a conflitti che riguardano i suoi stessi confini. D’altro canto, a fianco di argomentazioni razionali e riguardanti questioni strettamente politiche (quelle privilegiate da Habermas nella sua prima formulazione del concetto), la sfera pubblica ha sempre ospitato presupposti di senso e immagini del mondo che non possono essere ricondotti né alla razionalità in senso stretto, né alla politica. La “sfera pubblica letteraria” ad esempio (che secondo lo stesso Habermas precorse in effetti la formazione della sfera pubblica propriamente intesa) è sfera al cui interno non si confrontano tanto argomentazioni, quanto si condividono risorse per attribuire significato all’esperienza, per immaginare il mondo, per dar nome a emozioni; si tratta in altri termini di uno spazio di condivisione dell’immaginario. Lo stesso vale per molti contenuti della memoria pubblica, i quali solo di rado hanno a che fare con decisioni riguardanti “che cosa è successo”, che per loro natura sarebbero affrontabili razionalmente con i metodi della ricerca e della documentazione, ma con conflitti di natura identitaria, valoriale, emotiva, incomponibili razionalmente, ma, se mai, negoziabili fra gli attori nella forma di una concessione di riconoscimento reciproco. (Fra le discussioni del concetto di Habermas a cui faccio riferimento vedi Calhoun 1992; Privitera 2001; Roberts, Crossley 2004; Affuso 2010b). 4 Nell’ampia letteratura sul tema vedi in particolare: Silverstone 1999; Jedlowski 2005 e 2009; Soncini 2008; Affuso 2010. 5 Per alcune sintesi sul cinema europeo contemporaneo: Sorlin 1991; Bono 1998; Brunetta 1999; Forbes, Street 2000; Ezra 2004; Comand, Menarini 2006. 6 In Italia nel 2007 la percentuale era del 55%. Questi e i dati seguenti sono tratti da Annuario statistico del cinema europeo, 2008. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 3 italiani) era dell’11,6%. Un dato vicino a quelli di Francia, Spagna e Germania. Si tratta di quote oscillanti anno per anno: non sono alte ma (con l’eccezione della Gran Bretagna) non sono neppure irrilevanti. E’ difficile fornire una ricognizione accurata dei film prodotti in Europa che circolano effettivamente in più paesi europei. I dati sono frammentari e non sempre di facile accesso. In mancanza di ciò, qualche indicazione la forniscono i palmares dei festival principali: segnalano certi film all’attenzione e, con ciò, ne favoriscono concretamente la distribuzione internazionale. I festival di Venezia e Berlino, in verità, premiano più spesso film extra-europei (manifestando una vocazione globale che della cultura europea è indubbiamente un aspetto). Più orientati a premiare film europei sono il festival di Cannes e - nella veste che ha assunto a partire dagli anni novanta - quello di Karlovy Vary (Karlsbad), nella Repubblica Ceca. Sono le mostre cinematografiche più anziane e di maggiore prestigio. Ma specificamente deputato a segnalare film europei è lo European Film Award, il premio attribuito dalla European Film Academy dal 1988. Ebbene, esaminando i film premiati dalla European Film Academy e dai principali festival europei, emerge qualcosa che al nostro tema è evidentemente connesso: gran parte di questi film riguardano la nostra memoria. 2. Per quanto siano molto differenti sul piano formale, questi film sono in generale accomunati da quello che si potrebbe chiamare un realismo tematico. Sembra che la lezione del neorealismo italiano, mediata dalle diverse correnti nazionali del secondo dopoguerra, dalla nouvelle vague al free cinema, dalla neue Welle alla nová vlna cecoslovacca, continui a contare, ed a costituire una sorta di sfondo comune a cui la cinematografia europea fa riferimento. Certo, concentrarsi sui temi trattati è un modo riduttivo di considerare i filmi. Ma è significativo. Il cinema non è uno specchio della realtà: per certi versi contribuisce anzi a produrla, rendendone disponibili certi modi di rappresentarla. Contribuisce a definire ciò che per ciascuno finisce per essere rilevante e plausibile. Ciò che in momenti o in paesi diversi il cinema sceglie di rappresentare (o viceversa di non rappresentare), la frequenza ed i modi in cui lo fa, sono indicatori di ciò che la cultura di cui esso è parte ritiene degno di visibilità e, di fatto, è in grado di vedere. Nei film premiati dalla European Academy (ma le stesse osservazioni valgono per i film europei premiati nei festival) sono spesso centrali le relazioni umane fra i personaggi. Sono film spesso ambientati in città, non necessariamente ospitali ma di solito non minacciosi al modo in cui la “cultura della paura” oggi li dipinge (a quest’ultima alcuni film, come La felicità porta fortuna di Mike Leigh, nomination allo European Award per miglior film e migliore sceneggiatura, sembrano anzi contrapporsi esplicitamente). Questi film raccontano storie di persone comuni, mostrano caffè, appartamenti, luoghi di lavoro, mezzi pubblici e biciclette; vi si mangia, si beve. Si trattano molto frequentemente quelli che potremmo chiamare i “problemi sociali”: lavoro e disoccupazione (si pensi ai film di Ken Loach e di Cattaneo), integrazione (Cantet, Akin), aborto (Leigh, Mungiu), giustizia (Amelio); e ancora di droghe e alcoolismo, stupri, razzismo, migrazioni e conflitti. Ma molto spesso si tratta della memoria. Tra i film premiati dallo European Academy Award affrontano memorie collettive traumatiche La vita è bella di Benigni, Good Bye Lenin di Becker, Niente da nascondere e Il nastro L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 4 bianco di Haneke, Le vite degli altri di Donnersmark. Considerando gli altri festival possiamo aggiungere Il pianista di Polanski, L’onda di Gansel, Il segreto di Emma di Žbanić, La finestra di fronte di Ozpetek. Considerando i premi della European Academy e i film europei premiati negli ultimi dieci anni dai quattro festival più importanti, si tratta più di un quinto del numero di film complessivo. A essere messa a tema non è tanto la memoria individuale, quanto quella collettiva. E non tanto nel senso di un’attenzione per i problemi di disorientamento o di perdita della memoria che modernizzazione e de-tradizionalizzione provocano in genere (già ampiamente esplorata dal cinema europeo in decenni passati), quanto in quello di un’attenzione per i processi di rimozione e di elaborazione di passati traumatici. Questi film si propongono come stimoli per l’elaborazione di certi passati. Il concetto di elaborazione (di derivazione freudiana) rimanda a una modalità particolare del lavoro mnestico, che si colloca nello spazio che ricorrentemente si apre “fra processi di rimozione e tendenze nostalgiche” (Agazzi 2010, p. 57; vedi anche Adorno 1960). Ai meccanismi spontanei della dimenticanza privata e a quelli deliberati della manipolazione pubblica della storia, ma anche al gusto per la contemplazione del “come eravamo”, contrappone il confronto consapevole con il negativo, in un processo che coincide con l’assunzione di responsabilità nei confronti del proprio passato, anche e soprattutto per ciò che esso ha di più inquietante. In effetti, forse più che affrontare passati traumatici, potremmo dire che questo cinema partecipa ai processi sociali che portano definire certi passati per l’appunto come “traumatici”. Penso qui alla definizione del “trauma culturale” fornita recentemente da alcuni sociologi. Questo non è costituito tanto da certi eventi in se stessi, quanto dal processo collettivo che porta a identificarli come tali. Come scrive Jeffrey Alexander, … perché un evento traumatico assuma lo status di un trauma culturale bisogna che sia interpretato come tale […]: è una questione di rappresentazione (Alexander et al. 2004, p. 22). Ma le rappresentazioni collettive si elaborano negli spazi pubblici. Il cinema vi coopera. Usando un’espressione di Gérard Namer (1987) potremmo dire che gli autori di questi film si pongono quasi come degli “imprenditori della memoria”: minoranze attive che agiscono in vista della presa in carico di certi passati. 3. La questione chiave è naturalmente quella dell’Olocausto. Negli elenchi che ho considerato compare solo con La vita è bella e Il pianista. Ma se qui vi sono solo due titoli è perché il tema ha una lunga storia. Nell’immediato dopoguerra è stato a lungo un tabù (pur con qualche eccezione) (Gaetani 2006). Ma dalla fine degli anni sessanta il rimosso è tornato. Il cinema ha partecipato delle stesse fasi con cui la cultura europea nel suo complesso ha affrontato il tema: agli anni del silenzio sono seguiti quelli del ritorno del rimosso, poi la stagione delle testimonianze, intrecciata con lo sforzo di integrare l’Olocausto nella storia d’Europa, e infine una fase che potremmo chiamare di consolidamento e articolazione del tema (Traverso 2004 e 2006). A trainare il processo di riconsiderazione della memoria dell’Olocausto è stata la cinematografia tedesca della Neue Welle: i firmatari del “Manifesto di Oberhausen”, atto di nascita del nuovo cinema tedesco, dichiaravano esplicitamente la volontà di non rimuovere più quel L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 5 passato. Altre cinematografie vi hanno contribuito. Non posso ripercorrere qui questa storia. Ma due elementi almeno vanno sottolineati. Il primo è l’efficacia del cinema nella diffusione della consapevolezza del tema. E’ difficile rendere conto del modo in cui gli italiani ricordano la persecuzione degli ebrei, per esempio, senza fare riferimento a Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica. Più avanti, nel momento in cui i sopravvissuti cominciavano per ragioni anagrafiche a farsi più rari, Shoah di Lanzmann ne ha raccolto la testimonianza in modo definitivo. E se oggi i ragazzi ne sanno ancora qualcosa è forse soprattutto per Schindler’s List (un film americano, ma in questo contesto non si può non citarlo). Il secondo elemento consiste nella constatazione di quanto il cinema abbia accompagnato il pubblico in quello che è forse il passaggio cruciale rispetto alla trattazione del tema. Al suo primo riaffiorare nella coscienza collettiva, l’Olocausto è stato rappresentato come qualcosa la cui responsabilità era invariabilmente di “altri”: i nazisti, Hitler, o genericamente “i tedeschi”. Era già importante che il tema affiorasse, ma il male era, per così dire, espulso attraverso la sua proiezione su qualcuno o qualcosa identificabile come esterno a “noi”. Poi le cose sono cambiate. E’ esemplare in proposito Mr. Klein di Losey, un film del 1976, ben commentato da Elsaesser (1996). Nella Francia occupata e collaborazionista, un non ebreo è scambiato con un ebreo che ha il suo stesso cognome. Finisce per essere deportato anche lui. Nella scena finale, accetta la deportazione quasi volontariamente. E … il fatto che Klein non protesti e salga sul treno insieme con tutti gli ebrei catturati spinge lo spettatore ad aver voglia di dire: ‘Ma avete preso l’uomo sbagliato: lui non è ebreo!’, finché con uno choc improvviso comprendiamo che tutte le persone su quel treno sono ‘sbagliate’, e veniamo scossi dall’atto di riconoscere […] il nostro grado di collusione e di complicità (Elsaesser, 1996, tr. it. in Minuz, 2006, p. 181. Il tema insomma diventa quello della nostra responsabilità. L’Olocausto non è “altro” rispetto alla nostra storia. Siamo stati “noi” a suscitarlo. Quanto meno a permetterlo. Nello stesso momento in cui gli storici e i sociologi provavano a fare lo stesso, il cinema ha collocato l’Olocausto nella storia d’Europa. Non come un monstrum, ma come un fenomeno iscritto nella nostra civiltà. Con ciò ha contribuito a costituire la memoria dell’Olocausto come il nucleo di quella che chiamerei una memoria autocritica 7. Si tratta di qualcosa di più dell’elaborazione di un passato traumatico. Ne è piuttosto un’articolazione o un esito. Il cinema europeo ha trattato e tratta la memoria in molti modi. Negli ultimi anni, pare di frequente proporre una sorta di compensazione di quella che molti avvertono come una “perdita di memoria” delle società contemporanee. Raramente compiace la “ricerca delle radici” (una reazione molto ambigua ai processi di de-tradizionalizzazione), ma spesso lavora a ritessere i rapporti fra presente e passato in modi che contrastano il predominio delle “memorie brevi” (si pensi a opere che vanno dal monumentale Heimat di Edgar Reitz fino al recente Baarìa di Tornatore). Ma la memoria autocritica si staglia in questo contesto come una memoria particolare. Così come non corrisponde alla nostalgia, non consiste neppure semplicemente in un riannodare il filo del tempo. E’ piuttosto l’esatto contrario della memoria autocelebrativa. E’ la memoria più 7 L’espressione è usata da Namer 1993 e ripresa fra gli altri in Jedlowski 2002 e 2009 e Grande 2009. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 6 scomoda. E’ quella che conserva il ricordo, per così dire, della propria “tradizione negativa” (Siebert 1992): non di ciò di cui si può essere fieri, ma di quello di cui c’è da vergognarsi. E, a dire il vero, non è neppure più esattamente la memoria di “traumi”: è la memoria dei torti che la nostra civiltà è stata capace di infliggere. Il “trauma” non è l’evento in sé, ma la scoperta attonita, non auto-assolutoria, della nostra faccia mostruosa. Non per “pentirsene” - il che serve a poco - ma per comprenderne i meccanismi, le cause; per assumersene la responsabilità, per l’appunto. Personalmente direi che la memoria autocritica è il complemento necessario ad altre forme di memoria europea: in sua assenza, è difficile che un’identità dell’Europa come luogo “civile” possa risultare credibile, dopo le manifestazioni di inciviltà di cui siamo stati gli autori. E’ un pensiero che il cinema europeo è stato ed è capace di sollecitare, contribuendo a porre il ricordo dell’Olocausto al cuore di quella che alcuni intravedono come la “religione civile” dell’Europa attuale 8. 4. Oggi alcuni sono arrivati a considerare i film sull’Olocausto quasi come un “genere”, e a parlare di una memoria “saturata” a riguardo (Robin 2003). Sono scettico rispetto a queste espressioni. Intanto, è una memoria ancora in parte da articolare: la persecuzione e l’assassinio di Rom e di omosessuali cominciano appena ad essere trattati (tra i film premiati, La finestra di fronte è l’unico a ricordare la persecuzione degli omosessuali); i crimini compiuti dal fascismo italiano sono ancora largamente taciuti. Ma, soprattutto, la questione è la conservazione di questa memoria, la sua trasmissione intergenerazionale. Riesaminare criticamente il passato non è cosa che si faccia una volta per tutte. Prendiamo l’ultimo dei film premiati dalla European Academy (ma lo stesso film è stato premiato anche a Cannes): Il nastro bianco di Haneke. E’ ambientato in un villaggio tedesco tra il 1913 e 1914. La trama ruota attorno ad alcuni strani incidenti. Ma gli incidenti rimangono oscuri. D’altro canto, la vicenda è costellata di episodi in cui un’educazione fortemente autoritaria si abbatte sui bambini e i ragazzi. Comporta frustate e umiliazioni in pubblico. Il nastro bianco, il “simbolo di purezza” con cui il pastore protestante del luogo premia i suoi figli, è concesso e ritirato in modi autoritari, non passibili di discussione. I bambini accettano tanto le regole quanto le punizioni in silenzio; apparentemente sottomessi, sono sfuggenti. Docili davanti agli adulti, covano sensi di colpa e ansie di liberazione, frustrazione e desiderio di esercitare a propria volta violenza. Alla fine, lo spettatore è condotto a sospettare che siano loro gli artefici degli incidenti. Feriscono, uccidono, esercitano tortura sul debole. Ciò che Haneke propone di riesaminare sono i presupposti da cui il peggio del Novecento europeo ha tratto origine. Non è detto che le sue indicazioni (l’ipocrisia, il moralismo) siano le uniche pertinenti. Ma si tratta di un’articolazione rilevante, e ancora poco esplorata, di un orientamento autocritico verso il nostro passato. E’ vero che nel progetto di Haneke si nasconde un aspetto problematico. Per quanto brevemente, il punto va sottolineato. Haneke si propone infatti di esaminare non tanto le radici culturali del nazifascismo, bensì quelle del totalitarismo (Mercier 2009). L’accento si sposta così 8 Sull’idea di una “religione civile” europea rimando a Rusconi 1999; nella discussione è particolarmente rilevante la posizione di Habermas (vedi fra l’altro Habermas 2004); per una rassegna critica rimando a Santambrogio 2009; vedi anche Bortolini 2009. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 7 dalla memoria di ciò che nazismo e fascismo hanno significato a quella, meno specifica, di ogni progetto totalitario. Si tratta di una modificazione rilevante nella storia della memoria autocritica. Come ha notato Luca Baldissara commentando il recentissimo L’uomo che verrà di Giorgio Diritti (riguardante la strage di Marzabotto), la memoria collettiva in Europa … dopo l’89 ha spostato l’accento della rievocazione pubblica dalla celebrazione dell’antifascismo […] alla retorica dell’antitotalitarismo, marcando come le origini delle tragedie che hanno tormentato ogni angolo del Vecchio continente siano da individuarsi in progetti politici eguali nella loro intrinseca natura totalitaria seppur ideologicamente antagonisti, nazismo e comunismo (Baldissara 2010, p. 360). La critica dei totalitarismi appartiene alla memoria autocritica. Corrisponde forse anche a un tentativo di conciliare quelle “memorie divise” che hanno segnato drammaticamente la storia d’Europa. Del resto, certi elementi comuni a comunismo e nazismo (anche senza richiamare le analisi approfondite di Hannah Arendt) sono evidenti. Per stare al cinema, Europa Europa di Agniezka Holland (1991) ha mostrato in modo assai convincente quanto i progetti educativi fossero omologhi entro i due regimi. Ma lo slittamento non è del tutto neutrale: non è questa la sede per discuterne o per valutarlo, ma va segnalato. Il rischio è quello di fare di ogni erba un fascio, assolvendo se stessi nella misura in cui si possono addossare colpe analoghe ad altri. Ciascuno ha di che vergognarsi, ma credo sia un buon principio quello proposto da Brecht: “Parlino altri della propria vergogna, io parlo della mia” (Brecht 1933, tr. it. 1971, p. 65). 5. Tra i film europei più recenti, a quello di Haneke possono venire affiancati L’onda di Dennis Gansel e A voce alta (The Reader) di Stephen Daldry, entrambi del 2008 (il primo è stato il “miglior film per il pubblico” agli European Awards; per il secondo Kate Winslett è stata premiata come “miglior attrice”). Se il primo mostra in modo propriamente didattico quanto sia facile che movimenti di stampo fascista riemergano oggi, il secondo ripropone in forme che sono capaci di coinvolgerci ancora la domanda di come e con quali complicità l’Olocausto fu reso possibile. In entrambi i casi a essere messa a tema è la continuità fra il passato criminale e il presente. Ma non si tratta soltanto dell’Olocausto. Mi limiterò a un altro solo tema. Lo stesso Haneke aveva girato nel 2004 Niente da nascondere. Nel film, un livido Daniel Auteuil impersonava un francese perbene inseguito dai fantasmi del passato rimosso: il passato in questione era quello del colonialismo. Nei discorsi che circolano in Europa, sul colonialismo ci sono molti tabù. Nel cinema italiano, con eccezioni rarissime, la memoria del colonialismo è del tutto assente. Quando sono stati altri a sollecitarla, come in The lion of the desert (di Moustapha Akkad, 1981) che mostrava i nostri crimini in Libia, al film è stata vietata la circolazione. A Teza, il bel film di Hailè Gerima di due anni fa sull’Etiopia pre- e post-coloniale, gli italiani non hanno collaborato (e le recensioni sono riuscite nell’impresa di non nominare quasi il fatto che l’Etiopia è stata una colonia italiana). In altri paesi il tema è più presente, ma la resistenza è forte. In Francia è stato vietato a lungo La battaglia di Algeri di Pontecorvo. Rachid Bouchareb al festival di Cannes del 2010 ha presentato Hors la loi, un film che mostra la feroce repressione da parte dei francesi dei primi moti di indipendenza algerina; nel 2005 aveva realizzato Indigènes, che affrontava il trattamento L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 8 deplorevole dei soldati di colore nell’esercito francese durante la seconda guerra mondiale, e il successivo oblio della loro partecipazione alla lotta. Una certa impressione questi film l’hanno suscitata. La memoria coloniale in Francia, un paese che ha avuto a lungo estesi possedimenti oltremare, è più marcata che in Italia; ma il giudizio sugli aspetti criminali del colonialismo è sospeso. Temo siamo ancora, per così dire, alla fase del “ritorno del rimosso”, o a quella della presa d’atto di un certo passato, più che a quella della sua elaborazione. Neppure in Gran Bretagna le cose mi sembrano radicalmente diverse. Qui il problema più esplicito (largamente trattato dal cinema) riguarda la questione irlandese. Quanto alle memorie dell’Impero, affiorano variamente nel cinema che tratta di migrazioni, ma non mi pare si possa parlare di un effettiva memoria autocritica. A meno di nominare Passaggio in India di Lean, del 1984, tratto dall’omonimo romanzo di Forster. Nel film, il colonialismo mette a disagio dal punta di vista degli stessi colonizzatori: per legittimare l’aggressione infatti questi devono negare i principi a cui si ispirano in patria. Quella di Forster era un’autocritica a mio avviso magistrale (anche se molto cauta nello sviluppare le conseguenze delle proprie tesi). Un magistero che mi sembra sia stato poco ripreso. Negli elenchi di film europei premiati che ho utilizzato, il tema del colonialismo quasi non compare. Oltre a Niente da nascondere, solo Lamerica di Amelio vi accenna (l’Albania fu occupata dagli italiani: per il suo destino portiamo almeno una parte di responsabilità). Eppure la questione non è irrilevante. Non discussa pubblicamente, la memoria del colonialismo sopravvive in forme latenti. Il razzismo contemporaneo ne è erede. Quest’ultimo prolunga i presupposti ideologici che legittimarono il colonialismo: le tassonomie razzizzanti e le politiche di apartheid di allora, date per scontate e mai criticate radicalmente, si protraggono nelle rappresentazioni, negli atteggiamenti e nelle norme proposte da parte degli europei riguardo a molti migranti. Specie in Italia, dove insulti ed epiteti spregiativi, particolarmente nei confronti dei neri, sono figli “… della pressoché assoluta ignoranza di cosa fu il nostro colonialismo. E dell’assenza di ogni senso di colpa per il razzismo italiano fascista” (Stella 2009, p. 67). 6. Altri film degli ultimi anni, come Good Bye Lenin! o Le vite degli altri, affrontano un altro insieme di memorie, quelle degli abitanti della cosiddetta “Europa dell’Est”. Si tratta di memorie ancora debolmente integrate nei racconti che circolano nel complesso dei paesi europei. Questa integrazione debole, o propriamente mancata, si impone alla riflessione. Ma si tratta di memorie che pongono diversi problemi particolari. Ne segnalo solo uno, relativo ai rapporti con l’Olocausto. Rischio naturalmente schematizzazioni eccessive, ma la differenza fra “Ovest” ed “Est” qui mi sembra sia stata marcata. E’ particolarmente evidente se si confrontano i discorsi pubblici a riguardo nelle due Germanie. Mentre nella Repubblica Federale, a partire dagli anni sessanta, l’Olocausto si pose come punto focale di una questione di colpa e di responsabilità, nella DDR ciò non avvenne. Riguardo alle responsabilità nei confronti della persecuzione e dello sterminio degli ebrei d’Europa, la memoria del regime si strutturò sulla base dell’idea che il vero antagonista del nazismo fosse stato il comunismo (del resto, e simbolicamente, è l’Armata rossa che ha liberato Auschwitz); di conseguenza e retroattivamente, le responsabilità dei tedeschi della DDR (ma così anche quelle degli abitanti di tutti i paesi del blocco sovietico) vennero esentate dall’indagine e di fatto rimosse. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 9 A parte alcune eccezioni, il tema dell’Olocausto è comparso così nelle cinematografie di questi paesi soltanto negli ultimi anni. Ciò avviene secondo moduli narrativi analoghi a quelli già consolidati nell’Ovest: come in My father, dell’ungherese Egidio Eronico, del 2004, dove un figlio ha a che fare con un padre fuggito in Brasile alla fine della guerra e che forse era stato funzionario in un campo di concentramento; o come in Senza destino di Lajos Koltai, del 2005, che ripercorre, prendendone atto, la vicenda degli ebrei deportati da Budapest. I paesi dell’”Est” che appartengono ora all’Unione Europea hanno istituito tutti un Giorno della memoria corrispondente agli inviti dell’Unione stessa 9. La persecuzione e lo sterminio degli ebrei oggi vengono ricordati pubblicamente: il cinema partecipa di questa sensibilità, ma, per l’appunto, è una cosa recente. Una specificità delle memorie dei paesi dell’Europa dell’“Est” è la pressione che il regime vi ha esercitato. Non a caso la dissidenza ai regimi comunisti, quando ebbe modo di manifestarsi, prese spesso a tema proprio i modi con cui l’autorità “ritoccava” il passato. Esemplare in proposito, tra i film che hanno più circolato, è L’uomo di marmo di Wayda 10. La pressione dei regimi comunisti sulle memorie è stata tale che un libro, immediatamente a ridosso del loro crollo, potè intitolarsi Á l’Est: la mémoire retrouvée (Brossat et al. 1990). Ma non è solo di un recupero che si è trattato. Il punto è che ogni cambio di regime pone sotto stress la memoria degli individui mutando i quadri sociali entro cui i ricordi possono o non possono venir collocati. Tra i film considerati riguardano questo tema, pur in modi diversi, Good-Bye Lenin e Le vite degli altri. Ma nominerei anche A est di Bucarest del rumeno Corneliu Porumboiu, del 2006, una straordinaria rivisitazione dei processi di attribuzione di senso al passato: in questo caso, a proposito dei giorni della “rivoluzione” di Bucarest, ricordati dieci anni dopo nel programma di una stazione televisiva della provincia) 11. Non posso sviluppare oltre questi cenni. In generale, resta il problema di integrare l’Europa “dell’Est” nei nostri discorsi e nelle nostre rappresentazioni. Abbiamo raccontato la modernità senza tenere conto delle forme che assumeva al di là della “cortina di ferro”. Ora sappiamo che ci sono altre storie da raccontare. Il caso tedesco è forse ancora quello più significativo. La DDR promuoveva una memoria istituzionale rigidamente intesa a legittimare il regime, ma al fianco di questa vi era stato spazio per memorie difformi, basate su reticoli di vita sociale parzialmente autonomi dal controllo politico. All’atto della riunificazione della Germania, queste memorie hanno avuto scarso riconoscimento (Grüning 2006). Per il nuovo sistema politico e attraverso i discorsi dominanti nei media, il passato della Germania orientale ha potuto essere raccontato soltanto in due modi: o si era stati vittime, o collaboratori. Interpretazioni rispettose della varietà, delle ambivalenze e delle eterodossie presenti in questo passato è stata così sterilizzata. 9 Estonia, Repubblica Ceca, Lituania e Slovenia celebrano il Giorno della memoria il 27 gennaio (data dell’apertura dei cancelli di Aushwitz) come l’Italia e la maggior parte degli altri paesi europei; Bulgaria, Lettonia, Romania, Slovacchia e Ungheria hanno date diverse, corrispondenti a episodi legati alla persecuzione degli ebrei in ciascun paese: cfr. RI.LE.S. 2009. 10 Sulle manipolazioni della memoria Wajda è tornato recentemente con Katyn, ma si tratta di una memoria critica più che autocritica; il film che più si avvicina all’idea di una memoria autocritica nel cinema post-comunista mi pare Il sole ingannatore di Mikhalkov. 11 Quanto a Il segreto di Esma, premiato a Berlino, torniamo alla memoria di un trauma. Siamo nella ex-Jugoslavia, nell’Europa post-comunista: a tornare alla luce è il ricordo di uno stupro “etnico”. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 10 Del resto, per tornare al cinema, dei paesi dell’Europa dell’“Est” vediamo pochi film. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, paesi dalla tradizione cinematografica ricchissima, producono oggi meno film di quanto non facessero un tempo, ma non sono pochi. Ora si possono vedere anche i film che il regime censurava (come nel caso di Allodole sul filo di Menzel, ad esempio: girato ai tempi della primavera di Praga, ma distribuito - e premiato a Berlino - solo vent’anni dopo). Ma il punto è la distribuzione. Nonostante l’attenzione di alcuni festival e di certi mercati (specialmente quello francese), il rapporto è asimmetrico 12. Per gli occidentali, l’“Est” è quasi solo una preda, come documenta con sobria efficacia, per chi lo vada a vedere, Mario il mago di Tamàs Almàsi, una coproduzione italo-ungherese del 2008, dove un affascinante imprenditore italiano sfrutta incontrollato la manodopera locale. 7. La memoria europea non è un tutto omogeneo. Non solo e non tanto perché esistono differenze nazionali, quanto perché le memorie corrispondono a progetti di civiltà differenti. L’idea di memoria europea che emerge dai film che ho citato è propria di certi gruppi o di certi strati sociali. Il pubblico che li apprezza non è lo stesso che va a vedere soltanto le produzioni più pubblicizzate delle majors o - per stare all’Italia - i film pieni di gag e di divi televisivi che si proiettano nelle sale a Natale. E’ un pubblico urbano (o propriamente metropolitano) che, in ogni paese, è più simile a quello che ama gli stessi film in altri paesi che al pubblico di connazionali che a vedere questi film non ci andrebbero mai. Si tratta di un pubblico tendenzialmente cosmopolita e colto, che non corrisponde alla totalità della popolazione 13. L’insieme di film che ho citato come espressione di un cinema europeo rappresentano in realtà non tanto la cultura europea, quanto una cultura europea. E’ l’idea di una cultura europea in quanto cultura capace, fra altre cose, di proporre nella sfera pubblica una rappresentazione autocritica del proprio passato. Non tutti la condividono. Ma le culture sono molto più dei progetti che dei “dati” che si prestino alla registrazione. E spesso si tratta di progetti in conflitto, anche e soprattutto in seno a una stessa società. La letteratura sui conflitti di memorie, in Europa e nel mondo, è oggi amplissima. Ma la memoria pubblica è un luogo di confronto: lo spazio in cui le memorie collettive di gruppi diversi si propongono alla società nel suo insieme, proponendo le proprie selezioni degli eventi salienti e le proprie interpretazioni a riguardo ed esponendosi alla critica che altre memorie possono esercitare 14. 12 Nel 2007 i paesi dell’Europa centro-orientale hanno prodotto circa 150 pellicole, un decimo dei film prodotti nell’Europa occidentale, ma hanno occupato un centesimo del mercato complessivo europeo. Vedi Annuario statistico del cinema europeo, 2008. 13 Ovviamente gli elenchi di film su cui mi sono basato sono molto parziali. Vi sono altri film. Ed altri atteggiamenti verso il passato. Per un discorso accurato sulla ricezione bisognerebbe considerare inoltre che i film non si vedono solo nelle sale cinematografiche: esiste un ampio mercato dei DVD (a cui si affiancano copie pirata e film condivisi con internet); e molti film europei sono distribuiti su canali televisivi, a pagamento e non (a riguardo, il veicolo più importante è il canale franco-tedesco ARTE). In un discorso compiuto andrebbero del resto esaminati anche i film che si sono occupati dell’idea di Europa in quanto tale. Come Europa di Lars von Trier per esempio (dove il passato europeo in verità, più che oggetto di un’elaborazione possibile, si presenta come un incubo dal quale non ci si potrà mai risvegliare), o come la trilogia di Kiezlowski (Film Blu, Film bianco, Film rosso) 14 Con ciò evidentemente non nego affatto che sia anche luogo di conflitti. Ma la negoziazione è almeno altrettanto frequente: per un esempio paradigmatico rimando a Wagner-Pacifici, Schwartz 1991. Per fare un esempio nostrano, L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 11 Perché i film lavorino alla tessitura di una memoria pubblica bisogna ovviamente che essi circolino: che siano commentati, ripresi, si intreccino altre rappresentazioni del passato, le interpellino. I film hanno una vocazione dialogica, ma questa deve realizzarsi concretamente nel rapporto col pubblico. Tra i film che ho nominato (per quanto qui l’abbia nominato solo incidentalmente) è esemplare il caso di Heimat, il ciclo di film diretto da Reitz. Intanto, perchè la sua stessa realizzazione costituì la risposta a film precedenti 15, e perché di fatto ha dato di luogo a numerosissimi commenti 16. Ma soprattutto perché illustra al suo interno l’operazione a cui mira. L’opera si apre con la figura di un reduce dalle trincee della prima guerra mondiale che non è in grado di raccontare ciò che ha vissuto. La stessa situazione si ripete più volte: l’intero Novecento, almeno per quanto riguarda i suoi aspetti più inquietanti o traumatici, appare come una storia che non abbiamo saputo narrare. Ma a questa incapacità il film stesso intende supplire. Nel rapporto che suggerisce fra i suoi destinatari e la figura del narratore interna al testo - un personaggio marginale della stessa comunità intorno ruotano le vicende narrate, il quale si incarica ad ogni episodio di ricostruire la trama di tutto il racconto - esso indica il modello di comunicazione cui intende dar luogo. Alla comunità narrativa che si è spezzata nel corso del secolo propone di sostituire la nuova comunità narrativa costituita dal film e dal suo pubblico 17. La sfera pubblica entro cui film come questo si situano non riguarda questioni di rilevanza collettiva che si possano intendere come immediatamente politiche (come è il caso in genere per i discorsi che associamo al concetto di sfera pubblica): ricorda piuttosto quella che Habermas chiamava la “sfera pubblica letteraria”, quella in cui i cittadini, piuttosto che di politica, “discutono sulle esperienza della loro soggettività” (Habermas 1962, tr. it. 1984, p. 65). Ciò che in altre epoche è stata la letteratura a consentire, più tardi ha potuto essere consentito dal cinema. E la memoria pubblica cui questi film lavorano ha a che fare così più con l’elaborazione dell’esperienza che con questioni immediatamente politiche. Consiste in un insieme di proposte testuali che si offrono ai singoli come risorse per la rimediazione della propria esperienza, sollecitando a nuove formulazioni le rappresentazioni del passato che ciascuno elabora nella propria sfera privata. Ma in un’epoca come la nostra, in cui le questioni identitarie hanno enorme rilievo politico, la capacità di elaborare la propria esperienza e di collocarla in modo non ideologico nel contesto della storia collettiva riveste un’importanza che non va sottovalutata anche da chi è di politica che intende occuparsi. Elisa Soncini ha notato come nella storia del cinema italiano abbia svolto un ruolo di negoziazione e forse di equilibrio tra memorie divise il ciclo di film dedicati a Camillo e Don Peppone (Soncini 2009). 15 Se da un lato Heimat (il cui primo ciclo esce nel 1984) si colloca al termine di un più che ventennale lavoro del cinema tedesco volto a recuperare riflessivamente il passato, dall’altro costituisce dichiaratamente una risposta alla miniserie televisiva americana Holocaust, la cui trasmissione in Germania, alla fine degli anni settanta, ebbe molto rilievo. 16 Specie riguardo al primo ciclo, alcuni commenti sono stati negativi (vedi ad esempio Hansen 1985): di fatto, il carattere autocritico della rappresentazione del passato, soprattutto riguardo alla questione centrale dell’Olocausto, vi appare poco marcato; una valutazione del punto richiede però anche la considerazione del secondo ciclo (Die zweite Heimat, del 1992); per una discussione rimando a Galli 2005. Presso il grande pubblico, la ricezione del film ha dato luogo a veri e propri fenomeni di culto, sia in Germania che altrove. 17 Per la nozione di “comunità narrativa” mi permetto di rimandare a Jedlowski 2009. L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 12 Riferimenti bibliografici Adorno, Th. W. (1960): Che cosa significa elaborazione del passato, tr. it. in Contro l’antisemitismo, Roma, Manifestolibri, 1994. Affuso, O. (2010): Il magazine della memoria, Roma, Carocci. Affuso, O. (2010b): Il concetto di sfera pubblica: Habermas rivisitato, in P. Jedlowski, O. Affuso (a cura), Sfera pubblica: il concetto e i suoi luoghi, Cosenza, Pellegrini. Agazzi, E. (2010): Superamento del complesso della nostalgia?, in R. Petri (a cura), Nostalgia, Roma-Venezia, Edizioni di Storia e Letteratura. 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Appendice European Film Awards - Film of the Year: 1988 - Breve film sull’uccidere, regia di Krysztof Kieslowski (Polonia, 1987) 1989 - Paesaggio nella nebbia, regia di Theo Angelopoulos (Grecia, 1988) 1990 - Porte aperte, regia di Gianni Amelio (Italia, 1989) 1991 - Riff raff, regia di Ken Loach (Gran Bretagna, 1991) 1992 - Il ladro di bambini, regia di Gianni Amelio (Italia/Francia/Svizzera/Germania, 1991) 1993 - Urga, regia di Nikita Mikhalkov (Russia/Francia, 1991) 1994 - Lamerica, regia di Gianni di Amelio (Italia/Francia, 1994) 1995 - Terra e libertà, regia di Ken Loach (Gran Bretagna/Spagna/Germania/Italia, 1995) 1996 - Le onde del destino, regia di Lars Von Trier (Danimarca/Francia/Svezia/Paesi Bassi,1996) 1997 - Full Monty, regia di Peter Cattaneo (Gran Bretagna, 1997) 1998 - La vita è bella, regia di Roberto Benigni (Italia, 1997) 1999 - Tutto su mia madre regia di Pedro Almodòvar (Spagna/Francia, 1999) 2000 - Dancer in the Dark, regia di Lars von Trier (Danimarca e altri, 2000) 2001 - Il favoloso mondo di Amélie, regia di Jean-Pierre Jaunet (Francia/Germania, 2001) 2002 - Parla con lei, regia di Pedro Almodòvar (Spagna, 2002) 2003 - Good Bye Lenin!, regia di Wolfgang Becker (Germania, 2002) 2004 - La sposa turca, regia di Fatih Akin (Germania/Turchia, 2004) 2005 - Niente da nascondere, regia di Michael Haneke (Francia/Austria/Germania/Italia, 2005) 2006 - Le vite degli altri, regia di Florian Henckel von Donnersmark (Germania, 2006) 2007 - 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, regia di Cristian Mungiu (Romania, 2007) 2008 - Gomorra, regia di Matteo Garrone (Italia, 2008) 2009 - Il nastro bianco, regia di Michael Haneke (Austria/Germania/Francia/Italia, 2009) Altri film citati: A est di Bucarest, regia di C. Porumboiu (Romania, 2006); Allodole sul filo, regia di J. Menzel (Cecoslovacchia, 1990) A voce alta, regia di Stephen Daldry (Germania, 2008); La battaglia di Algeri, regia di G. Pontecorvo (Italia/Algeria 1966); Baarìa, regia di G. Tornatore (Italia/Francia, 2009); L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010 14 La classe, regia di L. Cantet (Francia, 2008) Europa, regia di L. von Trier (Dan./Francia/Germania/Svezia, 1991); Europa Europa, regia di A. Holland (Germania/Francia, 1991); La felicità porta fortuna, regia di M. Leigh (Gran Bretagna, 2008) La finestra di fronte, regia di F. Özpetek (Italia/Gran Bretagna/Turchia/Portogallo, 2003); Il giardino dei Finzi-Contini, regia di V. De Sica (Italia, 1970); Heimat, regia di E. Reitz (RFT, 1984); Heimat 2, regia di E. Reitz (Germania, 1992); Heimat 3 - Cronaca di un cambiamento epocale, regia di E. Reitz (Germania, 2004); Hors la loi, regia di R. Bouchareb (Francia, 2010); Katyn, regia di A. Wajda (Polonia, 2007); Indigènes, regia di R. Bouchareb (Francia/Marocco/Algeria/Belgio, 2006); The Lion of the Desert, regia di M. Akkad (Libia/USA, 1981); Mario il mago, regia di T. Almàsi (Italia/Ungheria, 2008); Mr. Klein, regia di J. Losey (Francia/Italia, 1976); My father, regia di E. Eronico (Ungheria/Italia/Brasile,2006); Niente da nascondere, regia di M. Haneke (Francia/Austria/Germania/Italia, 2005); Passaggio in India, regia di D. Lean (Gran Bretagna(USA, 1984); L’onda, regia di D. Gansel (Germania, 2008); Il pianista, regia di R. Polanski (Francia/Polonia, Germania/Gran Bretagna, 2002); Schindler’s List, regia di S. Spielberg (USA, 1993); Il segreto di Esma, regia di J. Žbanić (Bosnia-Erzegovina, 2006); Senza destino, regia di L. Koltai (Ungheria/Germania/Gran Bretagna, 2005); Shoah, regia di C. Lanzmann (Francia, 1985); Il sole ingannatore, regia di N. Mikalkov (Russia/Francia, 1994); Teza, regia di H. Gerima (Germania, Etiopia, Francia, 2008); Tre colori: Film bianco, regia di K. Kieslowski (Francia(Polonia/Svizzera, 1994); Tre colori: film blu, regia di K. Kieslowski (Francia/Gran Bretagna/Polonia/Svizzera, 1993); Tre colori: film rosso, regia di K. Kieslowski (Francia(Polonia/Svizzera, 1994); L’uomo che verrà, regia di G. Diritti (Italia, 2009); L’uomo di marmo, regia di A. Wajda (Polonia, 1977). L’enigma della memoria collettiva. Politica, istituzioni, conflitti The conundrum of collective memory. Politics, Institutions, Conflicts L’énigme de la mémoire collective. Politique, institutions, conflicts Verona, 7 – 8 ottobre 2010