Apprendere e fare musica a partire dalla percezione: idee e progetti didattici Alberto Odone Conservatorio di Como Il mondo musicale, nei recenti decenni, è molto cambiato. Il musicista tendenzialmente anche, insieme ad esso o dopo di esso. La musica si diffonde con un'ampiezza, una semplicità, e anche dei giri d'affari un tempo impensabili. Il musicista sente inevitabilmente liquefarsi la sua identità, sciolta in tanti ignoti rivoli, dai quali il profilo delle abilità faticosamente acquisite stenta a ricomporsi. Pagina Il musicista è in crisi? Certamente la musica non lo è. È in crisi probabilmente un certo musicista, quello il cui profilo professionale, il cui ruolo sociale si formano e procedono noncuranti dell'orizzonte in cui si collocano. Questa noncuranza, in particolar modo nel mondo musicale accademico, ufficiale, è parte di un vero e proprio paradigma, una forma di pensiero compatta e impenetrabile, la cornice entro la quale singoli e istituzioni musicali plasmano i loro comportamenti e prendono le loro decisioni, comportamenti e decisioni sempre discendenti dallo stesso modo di vedere il mondo, o forse meglio di allontanarne la minaccia. A questa minaccia si potrebbe riconoscere una data-simbolo, in realtà preceduta da decenni di trasformazioni epocali: nel 1966 Pierre Schaeffer pubblica il Traité des objets musicaux. Le pratiche musicali e le riflessioni che trovano espressione nel Traité costituiscono un punto di discontinuità storica, una sorta di nuova "seconda pratica" che dopo lungo tempo riconosce ufficialmente al rapporto degli occidentali con la musica una condizione radicalmente mutata. Ciò che qui ci interessa di questa nuova condizione non è tanto il presunto inesorabile affermarsi di linguaggi post- 99 L'opera musicale nell'epoca della sua riproducibilità tecnica 100 Pagina tonali né la curiosità protosperimentale della musica concreta, bensì il fenomeno onnipresente della riproducibilità musicale per mezzo della registrazione. Così come l'uomo postcopernicano si sente privato della sua posizione al centro dell'universo, il moderno musicista-esecutore si trova spiazzato dal gigantesco ammontare delle possibilità di riproduzione musicale della nostra epoca. Gli ottantotto tasti bianchi e neri del pianoforte si fondono in quell'unico, onnipresente tasto con la scritta play. L'opera musicale viaggia solitaria nell'iperspazio della percezione diffusa: già separata dall'intenzione insufflatavi dal suo autore, essa è resa ora autonoma anche dalla sua fonte sonora, dallo strumento musicale, e al di là di esso dal palpito umano dell'esecutore. Dov'è finito il soggetto performante? Che cosa resta dell'opera musicale live, nell'unicità del suo risuonare qui ed ora? Dobbiamo certamente riconoscere all'esecuzione dal vivo uno statuto proprio, insostituibile, uno spessore esistenziale unico. Ciò non ci esime però dall'affrontare il problema: l'età della riproducibilità tecnica dell'opera musicale vanifica l'aura (Benjamin 2014) che circonda l'evento performativo, non diversamente da come il programma televisivo diffonde potentemente ma perciò stesso riduce, in parte svuota il mondo degli affetti umani che intende rappresentare. Il problema che ci riguarda in tutto ciò consiste nel fatto che l'ufficialità musicale, la Scuola di Musica, indicando con quest'ultima espressione l'insieme dei luoghi che si propongono di trasmettere il sapere e il saper fare musicale in modo esplicito, prevalentemente in riferimento al genere che chiamiamo "classico" ma non solo, questo mondo di grandi talenti e tradizioni non mostra di avere elaborato questo strappo: il paradigma tuttora vigente, se ci riferiamo alla trasmissione formale del sapere musicale, gode di buona salute nell'ambiente in cui vige, ma è fermo a un'epoca precedente, a un mondo che non esiste più, e mostra drasticamente e da lungo tempo i segni dell'età. Le evidenti istanze per il suo superamento sono ostinatamente ignorate, combattute, e la ricetta che vi si cucina ogni giorno di nuovo è quella, non già antica ma solo vecchia, del musicista esecutore puro. Eppure dall'antichità come dalle situazioni odierne giunge l'immagine di un musicista dalle mille sfaccettature, tra le quali è forse possibile rintracciare i lineamenti che ne possano vivificare nuovamente la personalità. Pagina Vi è poi un corollario, non meno rilevante, attorno al teorema del musicista esecutore: l'insegnamento strumentale centrato sulla "nota" (Bartolini 2002). "Dare la nota" (cioè il suono per l'intonazione), "conoscere le note" (cioè le sillabe do, re, mi...): è significativo che gli aspetti sonori, così come quelli linguistici (sillabe) legati alla musica vengano tutti ugualmente indicati (e confusi) con l'unico termine "nota". Il termine, il cui significato proprio è piuttosto di ordine grafico ("segno scritto"), nella sua omnicomprensività invade campi semantici che non gli competono. Uguale invadenza si verifica già dalla prima lezione di strumento, la quale consiste nell'individuare sulla tastiera la nota indicata sul pentagramma. Le note sono poche, i valori sono lunghi, quindi - apparentemente - facili; ma è fuori discussione che apprendere a suonare significhi tradurre le note in gesti strumentali, e questo lo studente di musica farà fino all'ultimo giorno della sua carriera di studente. Sul versante della "teoria", se immaginiamo un percorso colorato e brulicante di personaggi fantasiosi per avvicinare il fanciullo alla musica, lo facciamo con l'unico intento di fargli apprendere a distinguere e denominare le note sul pentagramma, ovvio prerequisito dello studio strumentale. Se nel Conservatorio ha diritto di esistere qualcosa al di fuori dell'insegnamento esecutivo strumentale, ciò consiste nell'insegnare lettura delle note e ritmi: è il vademecum unico e indispensabile del musicista esecutore puro. Tutto ciò ha un prezzo: "Una volta interiorizzate, le convenzioni agiscono come potenti occhiali da lettura. Le convenzioni notazionali, come le lenti attraverso le quali guardiamo, sono trasparenti: se in qualche maniera non risultano di ostacolo, noi non le notiamo. Allo stesso tempo, però, esse focalizzano e plasmano così profondamente le nostre percezioni (...) che ben difficilmente possiamo sfuggire alla loro influenza" (Bamberger 1991, pp. 90-91). 101 Musicisti notai 103 "I processi psicologici rapidissimi sono obbligati (...) le risposte automatiche sono profondamente inintelligenti; dell'intera gamma delle opzioni (...) comportamentali che l'organismo ha a disposizione ne viene messo in gioco solo un sottoinsieme stereotipato. Ma quel che si risparmia indulgendo a questa sorta di stupidità, è non dover mettere in funzione la mente, e mettere in funzione la mente richiede tempo" (Fodor 1988, pp. 105-106). 70 Pagina fissità, dell'impossibilità di riconsiderare il programma acquisito per modificarlo70. È il classico caso dell'errore esecutivo reiterato o della "nota sbagliata" di una melodia che ritorna sempre uguale a se stessa nella memoria. "La sfida principale per chi aspiri ad essere un esecutore esperto sta nell'evitare l'arresto del processo di apprendimento legato all'automatismo che si può osservare nella quotidiana reiterazione delle attività, procedendo invece verso l'acquisizione di abilità cognitive a supporto di apprendimento e miglioramento continui". "Gli studi empirici mostrano come soggetti effettivamente esperti acquisiscano rappresentazioni mentali che permettono loro di monitorare e confrontare in progress la loro performance con gli obiettivi da loro desiderati (...) continuando così a migliorare il loro controllo sull'esecuzione" (Ericsson 2003, pp. 113 e 109). L'automatismo è necessario ma l'esecutore esperto deve imparare, dopo averlo faticosamente costruito, in qualche modo a difendersene; il compito è arduo e il successo non garantito. Lo studio mnemonico da supporto grafico non implica per forza il pericolo dell'automatismo "cieco"; tuttavia indirizzare l'attività di studio in questa unica direzione rende questo pericolo molto concreto. Nascono da questa rilevazione le differenti proposte di training mentale applicate alla musica (Kloeppel 2006), ancora però poco diffuse e praticate in Italia. Un'ulteriore debolezza rilevabile nelle situazioni di sviluppo dell'automatismo è costituita dal fenomeno dell'interferenza che si manifesta nei classici episodi di vuoto di memoria, sempre in agguato, insieme con le diverse forme di blocco dovute alla paura derivante dall'esposizione al pubblico. Le situazioni avvertite in qualsiasi modo come pericolose fanno scattare meccanismi di difesa che ebbero origine in fasi dello sviluppo filogenetico molto primitive, quando alle minacce naturali aveva senso rispondere con un aumento della sudorazione o del battito cardiaco, in concomitanza con un tendenziale blocco delle facoltà superiori, ritenute meno utili nell'affrontare la minaccia (Covington 1995, pp. 27s.). Queste reazioni automatiche del nostro cervello creano situazioni di disagio durante l'esecuzione, mentre l'insorgere nel pensiero consapevole di sensazioni negative o di incertezze interferisce con i programmi motori automatici mettendone in pericolo il fluire regolare, precedentemente sperimentato senza problemi, invece, nella situazione più rassicurante dello studio personale. Abilità strutturate "ad albero", cioè derivanti da competenze superiori dalle quali discendono poi i comandi esecutivi, come nel caso dell'improvvisazione, sarebbero sensibilmente meno sottoposte all'interferenza. Nella produzione musicale di tipo estemporaneo il suono non è generato da un rapporto 1:1 con i segni notazionali ma scaturisce dal possesso profondo delle strutture e si genera ad albero a partire da queste. L'estemporaneità esce in questo modo dallo schema stimolo-risposta che minaccia quel tipo di esecuzione musicale. Pagina "Nella prassi didattica attuale, l'esplorazione del gesto strumentale è mediata dalla scrittura (...) condizionando pesantemente tutto il percorso di apprendimento sonoro. (...) Si finisce per suonare ciò che è più facile da scrivere: la gradualità grafica delimita, impone e deforma la gradualità motoria." "La scrittura esercita sul movimento anche un'interferenza di tipo temporale. Il tempo della lettura, nel principiante e in parte anche nell'esecutore esperto, è radicalmente diverso dal tempo del gesto esecutivo. (...) La notazione musicale rallenta il gesto, lo trattiene, lo frena" (Bartolini pp. 49 e 51). Se la proposta di Schaeffer sulla percezione raggruppante in oggetti sonori evidenzia l'esigenza di elaborazione del contributo gestaltico e le rilevazioni sull'importanza di accompagnare lo studio strumentale con il training mentale e la consapevolezza dei processi della mente implicati nel fare musica spingono per l'assimilazione degli apporti della psicologia cognitiva, sono ora le neuroscienze a evidenziare il limite dell'approccio al gesto strumentale procedente dalla notazione. In particolare, questa ulteriore debolezza di impianto non raccoglie l'evidenza sperimentale per cui il 104 Seconda incognita: effetti della notazione sul gesto strumentale 105 Pagina gesto umano è plasmato al suo insorgere dall'obiettivo che lo suscita, dall'intenzione finale complessiva che lo informa. Lo strumento funge da "polo d'atto virtuale, che per la sua natura relazionale definisce ed è insieme definito dal pattern motorio che viene ad attivare" (Rizzolatti, Sinigaglia 2006, p. 47); lo spazio popolato di oggetti non è che un campo potenziale di azione. Il movimento si origina e si plasma in relazione ai progetti di azione che il soggetto concepisce all'interno del suo spazio. Il gesto dipende dunque fortemente da questi progetti. Il gesto strumentale si crea e si modifica fondamentalmente in relazione all'effetto sonoro musicale inteso dall'esecutore, in relazione non solo alla qualità del suono, ma prima ancora alla frase musicale intesa, prevista, progettata e messa in atto dal sistema motorio. La possibilità di anticipare il risultato sonoro del gesto strumentale è ciò che all'origine plasma questo gesto, mentre tutt'altra situazione è quella in cui il gesto è diretto dallo scritto e il suono giunge come risultato successivo. Troppo a lungo abbiamo pensato al sistema motorio come a un dispositivo esecutore di gesti concepiti altrove, da un pensiero separato, disincarnato, direttivo. Che ne è dell'idea didattica tradizionale di "postura" e di "tecnica"a fronte del fatto che "la maggior parte dei neuroni [dell'area motoria del cervello] non codifica singoli movimenti, bensì atti motori, cioè movimenti coordinati da un fine specifico" (ibid. p. 25), rispetto ai quali, in certi contesti, risulta addirittura indifferente la parte del corpo attraverso la quale l'azione concretamente si compie. Il rapporto con lo strumento si ridefinisce, su questa base, attraverso il concetto di affordance (ibid. p. 35), la relazione con l'oggetto costituita dalle potenzialità d'azione per le quali l'oggetto si presenta a noi. L'oggetto postgestaltico non si configura semplicemente quindi come costellazione di tratti percettivi ben compaginati tra loro ma come l'insieme delle potenzialità di azione che si dischiudono nel nostro "andare incontro" (afford) all'oggetto stesso. La mente concepisce un obiettivo sonoro, ed è questo obiettivo anticipato dalla mente a decidere le qualità del gesto, reagendo nel contempo all'insieme delle possibilità motorie che scaturiscono dall'andare incontro allo strumento musicale. I meccanismi di feedback, poi, selezionano i gesti e le posizioni rivelatesi più efficaci rispetto all'evento sonoro inteso dal soggetto, creando il nostro "vocabolario gestuale". Pagina Pochi giorni dopo l'esame di diploma strumentale, complici forse anche la meritata vacanza, la tanto attesa distensione, il prevedibile calo di una tensione non più sostenibile... i pezzi del programma già non funzionano più, incespicano, non reggono gli andamenti che la serietà dello studio era riuscita ad ottenere. Mantenere un programma d'esame o di concerto al livello di performance richiesto da quel tipo di esecuzione richiede studio costante, quotidiano, prolungato. Non vi sono evidenze a favore del ruolo che, nella "riuscita" di un musicista esecutore, giocano le caratteristiche innate, il talento (Ericsson p. 104). È invece fuori discussione la rilevanza centrale delle decine di migliaia di ore spese allo strumento durante il percorso di formazione strumentale e di fronte all'obiettivo della perfomance pubblica (Ibid. p. 114). Un tale livello di impegno fisico e psichico non è però sempre sostenibile, per varie ragioni: temperamento, attività musicali di altro genere, impegni familiari, la semplice constatazione che il sostegno costante di una tensione di questo tipo per anni, anche dopo il raggiungimento del titolo di studio musicale, non si addice a una persona, a molte, alla maggior parte delle persone che si dedicano pure con serietà alla pratica strumentale. La conseguenza di ciò, per l'individuo, è lo sgretolamento di un castello costruito con grande fatica e dedizione. Molte volte giunge persino ad essere una sorta di "analfabetismo di ritorno": non più sostenuta da un'estesa pratica quotidiana, l'abilità strumentale di tipo esecutivo-mnemonico-per-lettura svanisce, lasciando il soggetto in una triste condizione di estraneità nei confronti dello strumento. Ciò perché, al venir meno di questo tipo di abilità, nessun'altra resta in sua vece a mantenere vivo e concreto il rapporto con lo strumento. L'abilità strumentale, si potrebbe dire, è ciò che resta quando si è dimenticato tutto. La domanda allora si ripresenta: vale la pena dedicare un simile capitale di energie ad abilità che, salvo casi particolari, sono destinate a decadere, 106 Terza incognita: caducità dei programmi motori mettendo allo scoperto un approccio strumentale troppo unilaterale e poco realistico? Non tutte le abilità però si caratterizzano per lo stesso grado di caducità. Ancora una volta, quelle costruite ad albero, a partire dalle competenze più profonde, restano nel tempo, consentendo al professionista di adattarsi alle diverse esigenze del lavoro musicale e all'amatore di continuare a trovare il gusto della musica agìta in prima persona rientrando a casa stanco la sera. Pagina I fattori in gioco nelle diverse situazioni in cui si fa musica non sono sempre gli stessi; i processi, le facoltà, le dimensioni dell'attività umana coinvolte cambiano da un contesto all'altro. Gli strumentisti hanno un profilo musicale - se non addirittura psicologico - diverso a seconda dello strumento che suonano. Il pianista si forma più facilmente una percezione "sinfonica" della musica; tuttavia si trova, almeno in una certa misura, il suono già fatto. Un violinista deve ottenere ogni suono senza poterlo dare in nessun modo per scontato. Un cantante, almeno per la recente tradizione europea, deve addirittura passare anni a crearsi lo strumento. Il fare musica, anche sul versante dei processi coinvolti, non è uguale in ogni situazione, per ogni repertorio. Ciò significa che alcuni contesti, alcuni tipi di attività stimolano il soggetto sotto alcuni profili, lasciandone altri in ombra. L'improvvisazione jazzistica può certamente essere il risultato anche dell'acquisizione di cliché stereotipati, di una certa facilità digitale sullo strumento, di aleatorietà; sul versante dei processi in atto però, chi improvvisa difficilmente potrà escludere dal suo orizzonte attentivo gli eventi sonori che lo circondano, gli stimoli sonori che derivano dalla sua produzione sonora come da quella di chi sta suonando con lui, la necessità di anticipare nell'immaginazione il seguito del discorso sonoro in atto in quel momento. Così come in una lettura a prima vista efficace non posso suonare ciò che sto leggendo ma devo leggere in anticipo ciò che sto per suonare, devo prevedere, preparare il cammino, così nell'improvvisazione non posso non modellare la frase in base a ciò che il momento attuale 107 Quarta incognita: scarsa rilevanza del feedback auditivo Pagina Che succede allora? "Tutti quanti devon fare il jazz"? Evidentemente, al di là della augurabile presenza di un pluralismo di generi all'interno di ogni percorso formativo musicale, la risposta non è questa. Ciò che dobbiamo rilevare, piuttosto, è che il paradigma "esecuzionemnemonica-per-lettura", modello unico dei percorsi formativi "classici", evidenzia un'altra grave incognita. Il suo effettuarsi, in origine ed esclusivamente, a partire dalla notazione non significa obbligatoriamente l'esclusione dell'ascolto dal processo esecutivo ma, proprio perché modello di apprendimento applicato all'origine, comporta il fortissimo rischio, la cui effettività conosciamo bene nei fatti, di un cortocircuito occhio-dito che esclude l'ascolto reattivo dal quadro delle abilità in gioco nell'atto esecutivo. La rilevanza del feedback acustico può essere certamente un raccomandabile consiglio all'esecutore, ma non è implicata strutturalmente in 108 implica come immediato futuro, al passo successivo del percorso, insieme a ciò che coloro che stanno suonando con me mi inviano come riferimento sonoro imprescindibile. Tutto ciò significa inevitabilmente ascolto, interazione, attivazione di contesti sonori nell'immaginazione. Indipendentemente dal livello artistico di una performance, che avvenga nei templi del jazz mondiale come nella cantina di casa, questa attività genera nella struttura del mio orizzonte attentivo, in fase di esecuzione musicale, l'abitudine a rispondere adattivamente al contesto, processo fondamentale, alla base di ciò che chiamiamo comunemente "orecchio musicale". Quest'ultimo, si capirà, va molto al di là della semplice ricognizione di suoni, intervalli o scale; "Il movimento intenzionale che l'improvvisatore o l'improvvisatrice compiono - sia mentalmente che fisicamente - quando 'scelgono un suono', è la componente principale dell'improvvisazione come attività. Il modo con cui un suono funziona e acquisisce senso attraverso molteplici relazioni musicali e motorie, deve essere parte della conoscenza, interiorizzata e assimilata, dell'improvvisatore" (Gustavsen 2010, p. 13). Deve esserlo, non può non esserlo, e questo costituisce un valore non già "aggiunto" ma intrinseco al profilo del musicista, che sceglie il suono in base a un'idea e a un obiettivo (che può essere anche suggerito da una partitura) e il gesto strumentale in relazione al suono inteso e scelto. quel processo, se non, in benevola ipotesi, nel momento in cui debba controllare la correttezza materiale dell'esecuzione. La "esecuzionemnemonica-per-lettura" esclude per ciò stesso l'ascolto? No. La sua esclusività crea però di fatto un percorso formativo incompleto, nel quale la rilevanza del feedback è solo un'eventualità, e il musicista si struttura a prescindere da quella. L'improvvisazione jazzistica è una risposta a questa incognita esattamente come possono esserlo, in modi diversi ma convergenti, la pratica dell'accompagnamento, il contesto esecutivo cameristico ("uno per parte"), l'improvvisazione non jazzistica anche senza fini di performance pubblica, come nel caso del fecondissimo filone, tornato recentemente in auge nel mondo musicologico ma non altrettanto in quello didattico strumentale, della pratica del partimento avente origine nella scuola napoletana del '700 (Gjerdingen 2007, Sanguinetti 2012). Lo sono due ulteriori istanze, avanzate in questo caso particolarmente dal mondo musicale popular: il suonare a orecchio e l'apprendere brani musicali non dalla lettura ma attraverso ascolto e imitazione (Green 2002)71. Quinta incognita: giovani che vanno all'estero Gli aspetti sociopsicologici che potrebbero entrare a far parte di questo elenco di incognite sono molteplici. Basterebbe accennare al tema della motivazione, grande sconosciuto dei percorsi didattici legati al paradigma musicale vigente, alla povertà antropologica della esecuzione solitaria, Più volte ci siamo soffermati su nuclei concettuali e pratiche propri di generi diversi da quello che chiamiamo "classico". Come già accennato, ciò non costituisce in nessun modo un invito a cambiare casacca né stabilisce alcun tipo di supremazia o presunta maggiore attualità di un genere sugli altri. Tali riferimenti sono piuttosto parte dell'idea di una "lunga via dei generi musicali": ciascuno di essi rappresenta, in modo non unico ma emblematico, una delle diverse dimensioni antropologiche del fare musica. È opportuno quindi, in questo "paragone dei generi", non già stabilire un vincitore ma fare in modo che anche nella specificità di un singolo genere musicale, e in misura diversa, siano presenti tendenzialmente tutte le dimensioni che l'insieme dei generi indica come antropologicamente rilevanti. Pagina 109 71 110 Pagina tuttora modello unico dello studio e della lezione strumentale "classici" (Sawyer 2010). È tuttavia inevitabile almeno un accenno al tema della employability, delle prospettive non già di occupazione tout-court ma di orientamento e adattamento dei percorsi formativi ai profili professionali reali. Giovani che vanno all'estero (Lattes, Di Cecca 2013) è l'interessante collezione di 32 interviste raccolte presso giovani musicisti italiani neodiplomati, aderenti all'iniziativa "Working With Music" che grazie al Progetto Europeo Leonardo da Vinci offre l'opportunità di periodi di lavoro musicale all'estero. Alle prese con un vero lavoro musicale, nasce ovviamente negli interessati la questione dell'adeguatezza della propria preparazione. La questione vera, fraintesa in qualche caso anche dagli stessi esperti che commentano le interviste nella sezione "Focus" dello stesso volume, non riguarda tanto il grado generale di abilità strumentale o vocale raggiunto dallo studente che conclude un itinerario di studi in un Conservatorio italiano ma quanto questa formazione l'abbia messo in grado di affrontare le esigenze reali della professione reale. Possiamo anche rinunciare all'idea che un percorso formativo postsecondario sia tagliato su misura per la professione; sappiamo che anche per le Università ciò avviene raramente. Ciò che emerge molto lucidamente da numerosi interventi è però l'esigenza almeno di una formazione diversificata, radicata in una conoscenza sufficientemente profonda da consentire la "gestione" dei vari aspetti del fare musica nei più diversi contesti. "Ho notato che la loro formazione è 'a tutto tondo'" (p. 57); "In Francia ho notato che le basi della formazione di un pianista sono più solide e ampie, curano la preparazione in modo che il pianista sia in grado di spaziare su qualsiasi repertorio, sappia improvvisare, abbia una conoscenza approfondita dell'armonia" (p. 67). Tutti i pianisti partecipanti all'iniziativa hanno lavorato in realtà come accompagnatori, attività per la quale non avevano ricevuto formazione: "Ho conosciuto molti pianisti che (...) hanno iniziato a dedicarsi all'accompagnamento (...) ma hanno incontrato molte difficoltà, come se alcune aree del loro cervello fossero rimaste 'atrofizzate'" (p. 21. Si vedano anche le pp. 40, 52, 63, 76). L'obiettivo della specializzazione potrà forse spostarsi dal primo al secondo ciclo accademico, da questo a futuri eventuali "Master", ma lo sviluppo di quella rosa di attitudini necessaria per far fronte all'attività musicale secondo quella multiformità che si incontra nella vita reale deve essere la scelta qualificante di un percorso formativo che voglia avere un domani. Emerge anche, insospettabilmente, la domanda per una solida formazione musicale generale e teoricomusicale (interviste 13, 22, 25, 30, 32), la cui carenza è vissuta come una decurtazione delle possibilità di applicare le abilità musicali in contesti diversi. La pratica scopre un estremo bisogno di teoria, in contraddizione con un altro dei taciti assunti del nostro paradigma: la rigida separazione tra teoria e prassi che vede la prima come una sovrastruttura culturale, un lusso intellettuale che minaccia e sottrae spazi alla presunta esclusiva utilità del fare esecutivo. Si potrebbe pensare a questi limiti come retaggi dei vecchi programmi regi, ma ancora, nella riforma degli studi musicali, si propone di studiare genericamente e monoliticamente il flauto, il clarinetto, il pianoforte ecc. senza specifiche, senza nessun tentativo di immaginare, se non un profilo professionale preciso, almeno una formazione polivalente, un tipo di competenza in grado di declinarsi in una molteplicità di situazioni, salvo specializzazioni successive. La formazione offerta dagli attuali trienni accademici non è generale, premessa per una specializzazione offerta poi dai bienni; è piuttosto una formazione specifica ma disegnata secondo il profilo di un professionista della musica che, come tale, in solido, non esiste più. Considerate le incognite che il paradigma presenta, torna insistente l'interrogativo: vale la pena di indirizzare le energie di anni di lavoro e di intere istituzioni in questa unica direzione? Pagina Che cosa ha a che fare il complesso delle incognite presentate dal paradigma "esecuzione-mnemonica-per-lettura" con l'annunciato tema della centralità della percezione? Molti aspetti di questa relazione problematica già sono emersi: qualità e forma del gesto musicale dipendono da ciò che immagino di voler produrre, cioè riesco ad anticipare nella mia audizione interiore. Quelle che 111 La svolta percettiva 112 Pagina lo studente in modo colorito chiama "parti atrofizzate del cervello" derivano probabilmente proprio dalla segnalata scarsa rilevanza del feedback auditivo nelle operazioni messe in atto dal paradigma esecutivo vigente: "La vista tende a dominare e a inibire l'elaborazione di segnali provenienti da altre fonti (...). A un bambino rimangono dunque poche risorse cognitive da dedicare alla manipolazione dello strumento e all'ascolto di ciò che viene suonato" (Tafuri, McPherson 2007, pp. 22-23). Si nasce come musicisti dipendenti dalla notazione e quando, anche molti anni dopo l'avvio degli studi, ci si affaccia alle necessità di una pratica strumentale più completa e multiforme, è già troppo tardi. L'educazione dell'orecchio o Ear Training, gode ultimamente di qualche interesse, forse dovuto all'inserimento, sia pur sostanzialmente opzionale, nei percorsi accademici dei Conservatori, forse all'aura di modernità e di nordeuropeismo che lo circonda (la tradizione che lo riguarda proviene soprattutto da Svezia e Germania), forse al senso di liberazione che può cogliere una certa parte dei docenti nell'uscire almeno formalmente dalle secche della misera tradizione didattica italiana del '900 in tema di formazione auditiva. Più spesso, in realtà, l'Ear Training è visto, dai suoi detrattori come dai suoi promotori, come un masso erratico all'interno del curriculum musicale, una sorta di disciplina iniziatica, praticata da soggetti che si impongono di usare l'ascolto puro quasi come una forma di ascetismo, quando sarebbe molto più semplice aprire la partitura e... Se si trattasse di rivendicare spazi per una disciplina, la battaglia sarebbe priva di senso in partenza; tanto più, come si è osservato, che nel momento in cui questa disciplina si applica in modo estrinseco a un curriculum già completamente strutturato in base alla relazione esclusiva segno-gesto strumentale, senza che l'audizione sia stata facilitata e stimolata da un diverso modo di strutturare la pratica musicale pregressa, per di più ad una età dove le possibilità di mutare i processi mentali sono drasticamente ridotte, il tutto lascia il tempo che trova. "Le lezioni di pianoforte (...) molto spesso nuocciono alle facoltà uditive e ritmiche; il senso tattile si sviluppa a scapito di quello uditivo. (...). Si dia loro pure l’occasione di strimpellare sulla tastiera, di cercare melodie, di improvvisare successioni di accordi, ma non si faccia loro studiare dei pezzi!" (JaquesDalcroze 2008, p. 46). porte di accesso sono molteplici, ciascuna incardinandosi su una dimensione fondamentale della persona, rappresentando così, nel loro complesso, un disegno tridimensionale dell'uomo musicale, da differenti prospettive. Così Dalcroze, con il coinvolgimento dell'essere complessivo della persona: il corpo nel suo sbilanciarsi e riequilibrarsi attraverso lo spazio fa propri i dinamismi della musica, di modo che, come auspicava l'allora Direttore del Conservatorio di Milano, Giorgio Federico Ghedini, nel 1951, "la musica entri nel sangue e non si limiti a circolare all'esterno" (Sità 2002, p. 244). Il canto popolare, in Kodàly, come espressione antropologica fondamentale, come lingua madre musicale (nel contesto di allora) per un fare musica in grado di attingere a ciò che ci già profondamente ci appartiene; così le melodie prototipiche che Bamberger (1991) chiama Simple, vicine nella loro struttura alla nostra fondamentale intuizione della "buona forma" (p. 192). Il linguaggio verbale, in Gordon, come modello per un apprendimento musicale che abbia dinamismi simili a quelli della lingua madre, mettendo in condizione l'espressione musicale di fluire liberamente e non come frutto di costruzione artificiosa. Pagina "Quante persone conosciamo che sanno suonare una melodia allo strumento ma non sono in grado di cantare quello che hanno suonato; di suonare una variazione della melodia originale; di suonare la melodia in un'altra tonalità, utilizzando un modo diverso, un metro diverso; di suonare la melodia con una diteggiatura differente; o di esemplificare frasi della melodia attraverso i movimenti del corpo?" (Gordon 2007, p.11). Sono solo esempi, questi, di ciò che possiamo chiamare competenza musicale, cioè possesso profondo, e quindi variamente applicabile, delle strutture della musica. L'idea di abilità musicale si trasforma radicalmente: quanto sono lontane le abilità appena citate dal funambolismo della tecnica trascendentale... eppure in quelle abilità si mostra quanto la musica è scesa nel profondo, quanto è diventata qualcosa di tanto naturale quanto è per noi il linguaggio, quanto a fondo possediamo la musica da poterla ritradurre in contesti operativi vari e secondo finalità diverse. 114 Una nuova carta delle abilità musicali 115 Pagina È significativo che certi aspetti della conoscenza musicale siano tradizionalmente trascurati perché ridotti al loro aspetto semiografico: per riconoscere una tonalità si guarda alle alterazioni; per capire un metro è sufficiente la segnatura in chiave. Tonalità e metro, considerati come il contesto percettivo musicale nel quale mi trovo a operare, sono esempi significativi della natura della conoscenza musicale: a ben poco vale nei loro confronti una definizione tecnica, una "regola pratica" come quelle che popolano i nostri "sunti di teoria". Ambientarsi consapevolmente, improvvisare, o anche solo riconoscere una tonalità o un metro significa aver elaborato - non per forza ancora consapevolmente - un vissuto musicale già relativamente esteso, attraverso esperienze adeguate, per mezzo delle strutture fondamentali del proprio essere, innanzitutto attraverso il movimento del corpo. Dobbiamo di conseguenza ridisegnare la carta delle abilità musicali che sta alla base della nostra idea di musica e di apprendimento, all'interno di uno slowlearning dove la qualità dell’esperienza musicale venga prima di un’imprecisata tensione al superamento di difficoltà. “Ci fu un tempo nel quale era cosa ammirevole essere poeti amateur o scienziati dilettanti, in quanto ciò stava a significare che la qualità della vita poteva essere migliorata dall’intraprendere tali attività. Progressivamente, invece, la considerazione del comportamento esterno ha prevalso sulla valorizzazione degli stati soggettivi; ciò che si ammira è il successo, il risultato, la qualità della performance piuttosto che quella dell’esperienza” (Csikszentmihalyi 1990, p. 140). Una carta riscritta a partire dalla irrinunciabile positività del vissuto esperienziale, fondata sulla riscoperta di requisiti di abilità realmente centrali e genuini (il già citato senso del contesto musicale, l’intonazione, la coordinazione alla pulsazione esterna...), sicuri che una carta così fatta farà sicuramente bene anche alla stessa performance. A questi processi fondamentali, espressione dell'essere musicale della persona, va riservato uno spazio apposito nei percorsi di apprendimento, prima e durante la pratica strumentale; va evitato che questa pratica li ostacoli attraverso il cortocircuito occhio-dito. In questo quadro, l'esecuzione con finalità spettacolari, concertistiche, può avere certamente senso, ma deve essere l'eccezione, non l'obiettivo normale, e illusorio, di un intero sistema formativo musicale. Un'esperienza A fronte di un compito che appare epocale, ciò che viene riportato di seguito non può certo proporsi tout-court come una soluzione; è piuttosto un'esperienza, un momento di riflessione tendenzialmente sistematica, con la possibilità di attuazione di un percorso formativo musicale caratterizzato dal recupero di valori da molto tempo sopiti. È sicuramente il risultato di un periodo felice di progettazione ed elaborazione collettiva, una sorta di piccola costituente dal profilo locale e limitato, ma le cui linee di pensiero non escludono riferimenti di respiro più ampio. Si tratta del progetto di strutturazione dei Corsi Preaccademici del Conservatorio "G. Verdi" di Como72. L'esperienza ha conosciuto una fase progettuale vera e propria, a cura di una commissione di docenti interni 73 , una fase di discussione, modifica e approvazione da parte degli organi preposti e una fase, ancora in atto, di realizzazione. Linee generali di riferimento del progetto possono essere rinvenute nel documento appositamente elaborato dall'Associazione Europea dei Conservatori per la fascia di formazione musicale preaccademica (AEC 2007). La struttura generale dei corsi74 prevede inizialmente che la formazione si svolga a partire dalla distinzione tra "Discipline della produzione musicale" Sullo sfondo di questo lavoro di progettazione resta la questione della pertinenza ad un'istituzione postsecondaria come il Conservatorio, di corsi che si collocano in un grado di studi precedente, proprio delle Scuole Medie a Indirizzo Musicale, del Liceo Musicale o delle Scuole Musicali Civiche o private sul territorio. In realtà il progetto è nato dall'esigenza di strutturare un percorso formativo che potesse sì realizzarsi all'interno del Conservatorio ma anche progressivamente costituire un punto di riferimento per organismi esterni, con la possibilità per chiunque di accedere a certificazioni di abilità, una "base di dialogo" dunque con chi si occupa di formazione musicale, e una indicazione di percorso per l'ingresso alla formazione accademica del Conservatorio. 73 La Commissione, istituita dal Direttore M° Bruno Foti durante l'A.A. 2010-2011, era costituita dai colleghi Fulvio Brambilla, Antonio Grande e Luca Marconi, oltre che dal sottoscritto. 74 Del progetto ufficialmente approvato sono visionabili la struttura generale dei corsi e i programmi di esame dei diversi livelli sul sito www.conservatoriocomo.it/didattica, oppure, per la parte di Formazione Musicale di Base, su www.albertoodone.it. Il corso si struttura in tre periodi, conclusi ciascuno da un esame di certificazione, al quale possono iscriversi Pagina 116 72 strumentale e vocale e "Discipline per lo sviluppo della musicalità". Sotto quest'ultima dizione si sono volute radunare alcune delle discipline un tempo identificate come "complementari" (Solfeggio e Pianoforte Complementare, ora "Formazione Musicale alla Tastiera") di cui si è voluto sottolineare il contributo allo sviluppo complessivo delle competenze musicali della persona, accanto al semplice supporto tecnico alla formazione strumentale. Il corso di Solfeggio, distribuito elasticamente su tutti e tre i periodi e profondamente rinnovato nei contenuti, dopo una prima proposta che lo individuava come "Musicalità" (erede dell'anglosassone corso di "Musicianship") ha assunto la denominazione "Formazione Musicale di Base" (di seguito: FMB). A queste discipline si aggiunge il corso opzionale di "Creatività musicale". Il secondo periodo dà impulso alle attività di insieme vocali e strumentali, mentre il terzo prevede anche l'ingresso di discipline dall'indole più marcatamente cognitiva (Teoria Musicale e Analisi, Storia della Musica, Informatica Musicale). Riporto di seguito alcuni punti qualificanti che hanno orientato il lavoro di progettazione75. Diversificazione delle abilità Pagina anche studenti esterni, necessario per passare alla fase successiva di ciascun periodo. È prevista la possibilità di frequentare corsi o sostenere certificazioni di livello diverso tra discipline strumentali e non strumentali (è possibile, ad esempio, frequentare il secondo periodo di strumento e contemporaneamente il primo di Formazione Musicale di Base, oppure viceversa, con la sfasatura massima di un periodo). Corsi e certificazioni sono propedeutici alla Prova di Ammissione ai Trienni Accademici che tuttavia può essere sostenuta senza che sia richiesto alcun titolo previo, a parte ovviamente il Diploma di Maturità. 75 La presente relazione sui lavori della Commissione è frutto dell'elaborazione personale e delle opinioni dello scrivente, e non è stata rivista o approvata né dai colleghi componenti la Commissione, né da alcun organo ufficiale del Conservatorio di Como. 117 Immaginare, da un giorno all'altro, una rivoluzione copernicana nell'impostazione della formazione strumentale sarebbe stato utopico e controproducente. Si è piuttosto pensato di ampliare lo spazio di possibilità a disposizione del docente, delineando proposte didattiche molteplici, non obbligatorie bensì elettive. Il docente trova così la possibilità - non l'obbligo - di diversificare l'offerta formativa, indirizzandola non nella prospettiva di una prematura specializzazione ma verso un quadro di competenze ragionevolmente diversificato, così da venire incontro prima di tutto alle inclinazioni del singolo studente e costituire eventualmente la base per un futuro reimpiego delle abilità in prospettiva professionale. Il programma d'esame, coerentemente con l'itinerario corsuale, prevede quindi due settori di lavoro e di verifica che alla fine del secondo periodo di studio preaccademico risultano così articolati: Settore 1: Competenze relative a: → Prova esecutiva, secondo quanto definito nelle distinte tabelle di ciascuno strumento o (canto). Pagina Non è questo il luogo per scendere nel dettaglio di ciascun sottosettore. È evidente, inoltre, che l'enunciazione di aree di abilità non dice ancora nulla sui percorsi didattici e sulle metodologie che ne possono sostanziare l'itinerario. Si tratta tuttavia di una prima apertura di spazi didattici concreti nella direzione dello scioglimento della concezione monolitica della formazione musicale. È altrettanto evidente come tale prospettiva richieda l'avvio di percorsi di aggiornamento e sperimentazione da parte dei docenti che se ne assumono l'onere. Altrettanto probabile è la necessità di rinunciare all'idea del Maestro Unico, così cara alla tradizione conservatoriale, nella direzione anche di un'auspicabile scambio di competenze e professionalità con il territorio. 118 Settore 2: Competenze relative ad almeno due di questi ambiti: • Esecuzione d’insieme • Improvvisazione • Conoscenza e Pratica del repertorio scelto • Pratica di repertori relativi ad altri generi musicali • Arrangiamento e composizione per lo strumento • Lettura a prima vista • Strategie di studio dello strumento • Accompagnamento per lettura e/o estemporaneo Interplay Sottrarre il paradigma "esecuzione-mnemonica-per-lettura" alla sua intangibile unicità significa sicuramente anche introdurre, tra le modalità di esecuzione musicale e nell'approccio complessivo alla musica, Pagina Estemporaneità 119 Altra idea portante è la considerazione del fare musica insieme come connaturale all'attività musicale stessa e quindi alla formazione musicale (Sawyer 2010). La novità non è assoluta, ovviamente. Tuttavia il conservatorio regio riserva alla musica d'insieme uno spazio eventuale ed accessorio: gli ensemble erano in origine a discrezione del Direttore e si sono strutturati in seguito come corsi privi di una valutazione finale: corsi di pratica strumentale, cioè, tendenzialmente privi di un apprezzabile apporto di conoscenza. L'idea originaria della commissione comasca, attenta anche a non sovradimensionare le richieste nei confronti degli studenti specialmente nelle prime fasi del percorso, prevedeva l'iniziale integrazione del momento esecutivo di insieme nella lezione di strumento (il progetto originario parlava di "Strumento con Musica d'Insieme", senza escludere in seguito gli ensemble), esplicitando così da una parte la possibilità estremamente pratica dell'interazione tra allievo e docente o tra allievi frequentanti lezioni contigue, in piccoli gruppi ecc. Constatando nel contempo, d'altra parte, l'esistenza di una differenza radicale tra la situazione di ensemble (a "sezioni") ed invece l'esecuzione "uno per parte" (letta, eseguita per imitazione o improvvisata che sia...), anche a partire dalle primissime fasi della formazione. "Strumento con musica d'insieme" non passò il vaglio del Collegio Docenti (nella struttura dei corsi è rimasto semplicemente "Strumento") che richiese con forza la separazione tra la lezione strumentale, intesa come strettamente individuale, e il momento d'insieme, previsto ufficialmente solo a partire dal secondo periodo. La grande fecondità musicale del contesto "uno per voce", specialmente nella tradizione del duo, vocale o strumentale che sia, è confluita invece nel percorso di "Formazione Musicale di Base" (Lettura intonata, prova b). l'estemporaneità. Oltre al già citato corso di Creatività Musicale, l'improvvisazione fa il suo ingresso ufficiale nel secondo settore delle competenze strumentali (vedi sopra) e nel programma di FMB. Essa non intende ereditare la qualità essenzialmente performativa e spettacolare propria dell'esecuzione tradizionale ma applicarsi alla pratica dello strumento, studio tecnico incluso, e alle varie forme di accompagnamento. Pagina La percezione musicale riceve un'attenzione specifica nel già citato corso di FMB e in quello di Ear Training previsto in due annualità all'interno del Triennio Accademico. Per quanto riguarda la Formazione Musicale di Base, si tratta del settore che attualmente vede la piena attuazione dei suoi programmi e un afflusso già molto consistente di candidati esterni alle prove di certificazione, nonostante la differenza con i percorsi tradizionali sia molto evidente, segno che il lavoro di formazione secondo le linee del progetto preaccademico si diffonde anche all'interno delle Scuole di Musica, e che, al di là del presunto fattore "difficoltà", è effettivo l'interesse per una proposta formativa qualificata dalla novità, in ambito italiano, delle sue linee metodologiche e dal suo contenuto musicale. Ciò è stato preceduto, sul versante interno, da oltre un decennio di sperimentazione su programmi, metodologie e materiali nel quadro del previgente corso di "Solfeggio Sperimentale"; sul versante del rapporto con le Scuole, sembra anche dare i suoi frutti il lavoro di aggiornamento e confronto con i docenti di materie teoriche mediante corsi sia all'interno che all'esterno del Conservatorio, anche nel quadro delle Convenzioni di collaborazione didattica stipulate con le Scuole stesse. Invito il lettore a prendere visione direttamente della struttura delle certificazioni, della bibliografia (in fase di costruzione) e degli esempi presenti sul sito web del Conservatorio. In estrema sintesi, tra le linee qualificanti della proposta aventi riscontro nella struttura delle certificazioni, possiamo ricordare l'importanza della risonanza auditiva estemporanea di fronte all'evento musicale anche a prescindere dalla notazione (FMB, prova 1a), la globalità dell'esperienza di 120 Didattica esplicita della percezione ascolto e trascrizione (1b) e la sua applicazione in contesti dove sia importante la consapevolezza del rapporto segno/suono (1c); il fare musica in contesti semplici ma ricchi di spessore formativo, in rapporto stretto con le pratiche musicali più comuni, come il già citato duo (2b), l'auto-accompagnamento elementare alla tastiera (2c, periodi II e III), l'improvvisazione melodica o dell'accompagnamento di una melodia (prova 5). La ritmica come esperienza di movimento e coordinazione motoria (3a) in collegamento con il mondo dei più diversi repertori (3b). La teoria come riflessione sull'esperienza musicale (4), l'utilizzo sistematico di materiali popolari o d'autore. Pagina Programmi e materiali sono visionabili sul forum eartraining.forumup.it, discussione "Il corso di Ear Training al Conservatorio di Como". Si veda anche Odone (2001). 77 Sono di riferimento, per fare due esempi tra loro lontani, sia i costrutti rinvenibili all'interno della già citata tradizione dei partimenti (Gjerdingen 2007), sia le strutture proprie della musica popular come appaiono in Middleton (1994) o in Tagg (2011). Un'antologia di possibili tipologie di attività è contenuta in Odone (2011). 76 121 Se per il percorso di FMB si è trattato di ripensare a fondo l'offerta di formazione rivolta allo sviluppo della musicalità, per il corso di Ear Training Accademico è stato necessario progettare un itinerario sostanzialmente in assenza di punti di riferimento nella tradizione italiana 76 . La proposta accademica si presenta in parte come continuazione del percorso precedente, approfondendo gli aspetti legati al riconoscimento auditivo e alla trascrizione, secondo molteplici attività applicate al repertorio d'autore, con l'intento di lavorare non su elementi astratti (generiche successioni di accordi, scale ecc.) ma sulla base di precisi contesti e strutture rinvenibili all'interno del repertorio stesso77. Il versante più proprio del lavoro accademico, che a questo punto del percorso può e deve avere una forte componente di elaborazione cognitiva, è quello dell'analisi auditiva. Riflettendo a fondo sulla natura di questo compito, emerge chiaramente come la visione teorica corrente che dovrebbe offrire gli strumenti per l'analisi sia una volta di più estranea alla percezione, e questa constatazione, anche e soprattutto in un corso di Ear Training, richiede ovviamente un ripensamento. Che cosa rinvenire in un brano di musica, a parte ciò che attiene strettamente alla trascrizione delle altezze e delle durate? Forse le forme compositive, frasi e semifrasi, primo e secondo tema, sviluppo e ripresa, soggetti e divertimenti di fuga? Non sono questi schemi nati con un intento prettamente compositivo, come tracce per la scrittura? Sono, questi, "oggetti" che riflettono genuinamente il fenomeno auditivo? La ricerca del tempo perduto Materiali e suggerimenti di attività - ma non certamente ancora la redazione di un percorso comprensivo e organico - si possono trovare in Odone (2010). 78 Pagina 122 "Il suono non è - né rivela - un oggetto, ma un qualcosa che accade, un evento. (...) Insomma, il suono è flusso, flusso temporale (...): per conservarlo non lo si può 'fermare', come il fotogramma di un film (Sparti 2007, pp. 74-75). "Il sonoro 'trascina via la forma' e dunque evoca già di per sé una visione mobile, non ferma (...) delle cose, una 'transitività' vibrante che va a cozzare con la visione ideale e 'sempre ferma' della nostra tradizione." L'estromissione del sonoro a favore del visivo "determina (...) lo svanire del concreto apparire-sparire delle cose, cioè della 'transitività' appunto insita nel movimento del reale, della vita" (Lisciani 2004, p. XVII). Il tentativo è dunque quello di reintrodurre il tempo nella nostra considerazione consapevole della musica, nell'immagine che di essa ci formiamo, immagine troppo spesso ferma alla partitura, e in essa a ciò che è maneggevole, catalogabile: il successo ottocentesco della "armonia", in pratica sinonimo, non a caso insieme alla Storia della Musica, di "conoscenza musicale", ne è un esempio lampante. E dunque l'analisi auditiva, questa presunta pratica ascetica, non può ridursi semplicemente a una "analisi portatrice di handicap", segnata dallo svantaggio di non avere a disposizione lo scritto. È in realtà un'occasione unica, rappresentata dalla possibilità di rileggere le nostre categorie mentali reimmergendole nel flusso del tempo e nelle dinamiche che questo porta con sé sposandosi con il suono. In estrema sintesi, ecco un percorso78: a. Visione d'insieme. L'evento sonoro considerato nelle sue componenti generali (linee, aree sonore...) e nel rapporto che esse intrattengono tra loro: è principalmente il tema delle testure musicali79. b. Direzionalità e Ciclicità. In che modo il suono organizzato si pone "in sella" al cavallo del tempo? Come riveste di suoni il flusso temporale per assecondarne il procedere (direzionalità) o per trattenerne la fuga (ciclicità)? Le tradizioni musicali hanno forgiato molti diversi strumenti adatti allo scopo: quali costrutti musicali danno impulso al procedere dei suoni, all'attesa per un "dopo", e quali invitano a ritrovarsi in una temporalità rassicurata da elementi che ritornano80? Tra i rari supporti bibliografici a disposizione: Berry (1976), Aguilar (2006), Belkin (1999) e (2001). 80 Un accenno a questi temi in Odone (2006), pp. 92-97. 79 Pagina Generi musicali diversi possono sottolineare o anche tendenzialmente neutralizzare l'uno o l'altro di questi profili analitici, senza tuttavia - credo vanificarne il senso. Con l'inclusione nella nostra indagine dell'aspetto teorico musicale non riusciamo certo a portare a compimento la svolta precedentemente invocata, operazione che richiede ben altri apporti e tempi di sviluppo e realizzazione; quantomeno riusciamo però ad avere l'idea della globalità e della complessità di un compito: quello di riportare la percezione musicale nella posizione di origine e centro di ciascuno degli aspetti che formano la relazione dell'uomo con la musica. 123 c. Narrazione. Lo strutturarsi della relazione con il tempo da parte del suono organizzato crea la percezione di un "prima" e di un "poi": è questo il fenomeno fondamentale della forma, anzi, della "formatività", dello strutturarsi di una sintassi all'interno del divenire temporale. In quanti diversi modi "inizia" il discorso musicale? Come sviluppa, giustappone o semplicemente prolunga i suoi elementi? Come crea in chi percepisce il suono l'appagamento dell'attesa per un seguito? È lo sviluppo della consapevolezza circa momenti e mezzi della narrazione musicale.