Apprendere e fare musica a partire dalla percezione: idee e progetti

Apprendere e fare musica a partire dalla percezione:
idee e progetti didattici
Alberto Odone
Conservatorio di Como
Il mondo musicale, nei recenti decenni, è molto cambiato. Il musicista
tendenzialmente anche, insieme ad esso o dopo di esso. La musica si
diffonde con un'ampiezza, una semplicità, e anche dei giri d'affari un
tempo impensabili. Il musicista sente inevitabilmente liquefarsi la sua
identità, sciolta in tanti ignoti rivoli, dai quali il profilo delle abilità
faticosamente acquisite stenta a ricomporsi.
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Il musicista è in crisi? Certamente la musica non lo è. È in crisi
probabilmente un certo musicista, quello il cui profilo professionale, il cui
ruolo sociale si formano e procedono noncuranti dell'orizzonte in cui si
collocano. Questa noncuranza, in particolar modo nel mondo musicale
accademico, ufficiale, è parte di un vero e proprio paradigma, una forma di
pensiero compatta e impenetrabile, la cornice entro la quale singoli e
istituzioni musicali plasmano i loro comportamenti e prendono le loro
decisioni, comportamenti e decisioni sempre discendenti dallo stesso
modo di vedere il mondo, o forse meglio di allontanarne la minaccia.
A questa minaccia si potrebbe riconoscere una data-simbolo, in realtà
preceduta da decenni di trasformazioni epocali: nel 1966 Pierre Schaeffer
pubblica il Traité des objets musicaux. Le pratiche musicali e le riflessioni che
trovano espressione nel Traité costituiscono un punto di discontinuità
storica, una sorta di nuova "seconda pratica" che dopo lungo tempo
riconosce ufficialmente al rapporto degli occidentali con la musica una
condizione radicalmente mutata. Ciò che qui ci interessa di questa nuova
condizione non è tanto il presunto inesorabile affermarsi di linguaggi post-
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L'opera musicale nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
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tonali né la curiosità protosperimentale della musica concreta, bensì il
fenomeno onnipresente della riproducibilità musicale per mezzo della
registrazione. Così come l'uomo postcopernicano si sente privato della sua
posizione al centro dell'universo, il moderno musicista-esecutore si trova
spiazzato dal gigantesco ammontare delle possibilità di riproduzione
musicale della nostra epoca. Gli ottantotto tasti bianchi e neri del
pianoforte si fondono in quell'unico, onnipresente tasto con la scritta play.
L'opera musicale viaggia solitaria nell'iperspazio della percezione diffusa:
già separata dall'intenzione insufflatavi dal suo autore, essa è resa ora
autonoma anche dalla sua fonte sonora, dallo strumento musicale, e al di là
di esso dal palpito umano dell'esecutore. Dov'è finito il soggetto
performante? Che cosa resta dell'opera musicale live, nell'unicità del suo
risuonare qui ed ora?
Dobbiamo certamente riconoscere all'esecuzione dal vivo uno statuto
proprio, insostituibile, uno spessore esistenziale unico. Ciò non ci esime
però dall'affrontare il problema: l'età della riproducibilità tecnica dell'opera
musicale vanifica l'aura (Benjamin 2014) che circonda l'evento
performativo, non diversamente da come il programma televisivo diffonde
potentemente ma perciò stesso riduce, in parte svuota il mondo degli
affetti umani che intende rappresentare.
Il problema che ci riguarda in tutto ciò consiste nel fatto che l'ufficialità
musicale, la Scuola di Musica, indicando con quest'ultima espressione
l'insieme dei luoghi che si propongono di trasmettere il sapere e il saper
fare musicale in modo esplicito, prevalentemente in riferimento al genere
che chiamiamo "classico" ma non solo, questo mondo di grandi talenti e
tradizioni non mostra di avere elaborato questo strappo: il paradigma
tuttora vigente, se ci riferiamo alla trasmissione formale del sapere
musicale, gode di buona salute nell'ambiente in cui vige, ma è fermo a
un'epoca precedente, a un mondo che non esiste più, e mostra
drasticamente e da lungo tempo i segni dell'età. Le evidenti istanze per il
suo superamento sono ostinatamente ignorate, combattute, e la ricetta che
vi si cucina ogni giorno di nuovo è quella, non già antica ma solo vecchia,
del musicista esecutore puro. Eppure dall'antichità come dalle situazioni
odierne giunge l'immagine di un musicista dalle mille sfaccettature, tra le
quali è forse possibile rintracciare i lineamenti che ne possano vivificare
nuovamente la personalità.
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Vi è poi un corollario, non meno rilevante, attorno al teorema del
musicista esecutore: l'insegnamento strumentale centrato sulla "nota"
(Bartolini 2002). "Dare la nota" (cioè il suono per l'intonazione),
"conoscere le note" (cioè le sillabe do, re, mi...): è significativo che gli aspetti
sonori, così come quelli linguistici (sillabe) legati alla musica vengano tutti
ugualmente indicati (e confusi) con l'unico termine "nota". Il termine, il cui
significato proprio è piuttosto di ordine grafico ("segno scritto"), nella sua
omnicomprensività invade campi semantici che non gli competono.
Uguale invadenza si verifica già dalla prima lezione di strumento, la quale
consiste nell'individuare sulla tastiera la nota indicata sul pentagramma. Le
note sono poche, i valori sono lunghi, quindi - apparentemente - facili; ma
è fuori discussione che apprendere a suonare significhi tradurre le note in
gesti strumentali, e questo lo studente di musica farà fino all'ultimo giorno
della sua carriera di studente.
Sul versante della "teoria", se immaginiamo un percorso colorato e
brulicante di personaggi fantasiosi per avvicinare il fanciullo alla musica, lo
facciamo con l'unico intento di fargli apprendere a distinguere e
denominare le note sul pentagramma, ovvio prerequisito dello studio
strumentale. Se nel Conservatorio ha diritto di esistere qualcosa al di fuori
dell'insegnamento esecutivo strumentale, ciò consiste nell'insegnare lettura
delle note e ritmi: è il vademecum unico e indispensabile del musicista
esecutore puro.
Tutto ciò ha un prezzo: "Una volta interiorizzate, le convenzioni agiscono
come potenti occhiali da lettura. Le convenzioni notazionali, come le lenti
attraverso le quali guardiamo, sono trasparenti: se in qualche maniera non
risultano di ostacolo, noi non le notiamo. Allo stesso tempo, però, esse
focalizzano e plasmano così profondamente le nostre percezioni (...) che
ben difficilmente possiamo sfuggire alla loro influenza" (Bamberger 1991,
pp. 90-91).
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Musicisti notai
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"I processi psicologici rapidissimi sono obbligati (...) le risposte automatiche sono
profondamente inintelligenti; dell'intera gamma delle opzioni (...) comportamentali che
l'organismo ha a disposizione ne viene messo in gioco solo un sottoinsieme stereotipato.
Ma quel che si risparmia indulgendo a questa sorta di stupidità, è non dover mettere in funzione
la mente, e mettere in funzione la mente richiede tempo" (Fodor 1988, pp. 105-106).
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fissità, dell'impossibilità di riconsiderare il programma acquisito per
modificarlo70. È il classico caso dell'errore esecutivo reiterato o della "nota
sbagliata" di una melodia che ritorna sempre uguale a se stessa nella
memoria.
"La sfida principale per chi aspiri ad essere un esecutore esperto sta
nell'evitare l'arresto del processo di apprendimento legato all'automatismo
che si può osservare nella quotidiana reiterazione delle attività, procedendo
invece verso l'acquisizione di abilità cognitive a supporto di
apprendimento e miglioramento continui". "Gli studi empirici mostrano
come soggetti effettivamente esperti acquisiscano rappresentazioni mentali
che permettono loro di monitorare e confrontare in progress la loro
performance con gli obiettivi da loro desiderati (...) continuando così a
migliorare il loro controllo sull'esecuzione" (Ericsson 2003, pp. 113 e 109).
L'automatismo è necessario ma l'esecutore esperto deve imparare, dopo
averlo faticosamente costruito, in qualche modo a difendersene; il compito
è arduo e il successo non garantito.
Lo studio mnemonico da supporto grafico non implica per forza il
pericolo dell'automatismo "cieco"; tuttavia indirizzare l'attività di studio in
questa unica direzione rende questo pericolo molto concreto. Nascono da
questa rilevazione le differenti proposte di training mentale applicate alla
musica (Kloeppel 2006), ancora però poco diffuse e praticate in Italia.
Un'ulteriore debolezza rilevabile nelle situazioni di sviluppo
dell'automatismo è costituita dal fenomeno dell'interferenza che si manifesta
nei classici episodi di vuoto di memoria, sempre in agguato, insieme con le
diverse forme di blocco dovute alla paura derivante dall'esposizione al
pubblico. Le situazioni avvertite in qualsiasi modo come pericolose fanno
scattare meccanismi di difesa che ebbero origine in fasi dello sviluppo
filogenetico molto primitive, quando alle minacce naturali aveva senso
rispondere con un aumento della sudorazione o del battito cardiaco, in
concomitanza con un tendenziale blocco delle facoltà superiori, ritenute
meno utili nell'affrontare la minaccia (Covington 1995, pp. 27s.). Queste
reazioni automatiche del nostro cervello creano situazioni di disagio
durante l'esecuzione, mentre l'insorgere nel pensiero consapevole di
sensazioni negative o di incertezze interferisce con i programmi motori
automatici mettendone in pericolo il fluire regolare, precedentemente
sperimentato senza problemi, invece, nella situazione più rassicurante dello
studio personale. Abilità strutturate "ad albero", cioè derivanti da
competenze superiori dalle quali discendono poi i comandi esecutivi, come
nel caso dell'improvvisazione, sarebbero sensibilmente meno sottoposte
all'interferenza. Nella produzione musicale di tipo estemporaneo il suono
non è generato da un rapporto 1:1 con i segni notazionali ma scaturisce dal
possesso profondo delle strutture e si genera ad albero a partire da queste.
L'estemporaneità esce in questo modo dallo schema stimolo-risposta che
minaccia quel tipo di esecuzione musicale.
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"Nella prassi didattica attuale, l'esplorazione del gesto strumentale è
mediata dalla scrittura (...) condizionando pesantemente tutto il percorso di
apprendimento sonoro. (...) Si finisce per suonare ciò che è più facile da
scrivere: la gradualità grafica delimita, impone e deforma la gradualità
motoria." "La scrittura esercita sul movimento anche un'interferenza di
tipo temporale. Il tempo della lettura, nel principiante e in parte anche
nell'esecutore esperto, è radicalmente diverso dal tempo del gesto
esecutivo. (...) La notazione musicale rallenta il gesto, lo trattiene, lo frena"
(Bartolini pp. 49 e 51).
Se la proposta di Schaeffer sulla percezione raggruppante in oggetti sonori
evidenzia l'esigenza di elaborazione del contributo gestaltico e le rilevazioni
sull'importanza di accompagnare lo studio strumentale con il training
mentale e la consapevolezza dei processi della mente implicati nel fare
musica spingono per l'assimilazione degli apporti della psicologia cognitiva,
sono ora le neuroscienze a evidenziare il limite dell'approccio al gesto
strumentale procedente dalla notazione. In particolare, questa ulteriore
debolezza di impianto non raccoglie l'evidenza sperimentale per cui il
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Seconda incognita:
effetti della notazione sul gesto strumentale
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gesto umano è plasmato al suo insorgere dall'obiettivo che lo suscita,
dall'intenzione finale complessiva che lo informa.
Lo strumento funge da "polo d'atto virtuale, che per la sua natura relazionale
definisce ed è insieme definito dal pattern motorio che viene ad attivare"
(Rizzolatti, Sinigaglia 2006, p. 47); lo spazio popolato di oggetti non è che
un campo potenziale di azione. Il movimento si origina e si plasma in
relazione ai progetti di azione che il soggetto concepisce all'interno del suo
spazio. Il gesto dipende dunque fortemente da questi progetti. Il gesto
strumentale si crea e si modifica fondamentalmente in relazione all'effetto
sonoro musicale inteso dall'esecutore, in relazione non solo alla qualità del
suono, ma prima ancora alla frase musicale intesa, prevista, progettata e
messa in atto dal sistema motorio. La possibilità di anticipare il risultato
sonoro del gesto strumentale è ciò che all'origine plasma questo gesto,
mentre tutt'altra situazione è quella in cui il gesto è diretto dallo scritto e il
suono giunge come risultato successivo.
Troppo a lungo abbiamo pensato al sistema motorio come a un
dispositivo esecutore di gesti concepiti altrove, da un pensiero separato,
disincarnato, direttivo. Che ne è dell'idea didattica tradizionale di "postura"
e di "tecnica"a fronte del fatto che "la maggior parte dei neuroni [dell'area
motoria del cervello] non codifica singoli movimenti, bensì atti motori, cioè
movimenti coordinati da un fine specifico" (ibid. p. 25), rispetto ai quali, in
certi contesti, risulta addirittura indifferente la parte del corpo attraverso la
quale l'azione concretamente si compie.
Il rapporto con lo strumento si ridefinisce, su questa base, attraverso il
concetto di affordance (ibid. p. 35), la relazione con l'oggetto costituita dalle
potenzialità d'azione per le quali l'oggetto si presenta a noi. L'oggetto postgestaltico non si configura semplicemente quindi come costellazione di
tratti percettivi ben compaginati tra loro ma come l'insieme delle
potenzialità di azione che si dischiudono nel nostro "andare incontro"
(afford) all'oggetto stesso. La mente concepisce un obiettivo sonoro, ed è
questo obiettivo anticipato dalla mente a decidere le qualità del gesto,
reagendo nel contempo all'insieme delle possibilità motorie che
scaturiscono dall'andare incontro allo strumento musicale. I meccanismi di
feedback, poi, selezionano i gesti e le posizioni rivelatesi più efficaci rispetto
all'evento sonoro inteso dal soggetto, creando il nostro "vocabolario
gestuale".
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Pochi giorni dopo l'esame di diploma strumentale, complici forse anche la
meritata vacanza, la tanto attesa distensione, il prevedibile calo di una
tensione non più sostenibile... i pezzi del programma già non funzionano
più, incespicano, non reggono gli andamenti che la serietà dello studio era
riuscita ad ottenere. Mantenere un programma d'esame o di concerto al
livello di performance richiesto da quel tipo di esecuzione richiede studio
costante, quotidiano, prolungato. Non vi sono evidenze a favore del ruolo
che, nella "riuscita" di un musicista esecutore, giocano le caratteristiche
innate, il talento (Ericsson p. 104). È invece fuori discussione la rilevanza
centrale delle decine di migliaia di ore spese allo strumento durante il
percorso di formazione strumentale e di fronte all'obiettivo della
perfomance pubblica (Ibid. p. 114). Un tale livello di impegno fisico e
psichico non è però sempre sostenibile, per varie ragioni: temperamento,
attività musicali di altro genere, impegni familiari, la semplice
constatazione che il sostegno costante di una tensione di questo tipo per
anni, anche dopo il raggiungimento del titolo di studio musicale, non si
addice a una persona, a molte, alla maggior parte delle persone che si
dedicano pure con serietà alla pratica strumentale. La conseguenza di ciò,
per l'individuo, è lo sgretolamento di un castello costruito con grande
fatica e dedizione. Molte volte giunge persino ad essere una sorta di
"analfabetismo di ritorno": non più sostenuta da un'estesa pratica
quotidiana, l'abilità strumentale di tipo esecutivo-mnemonico-per-lettura
svanisce, lasciando il soggetto in una triste condizione di estraneità nei
confronti dello strumento. Ciò perché, al venir meno di questo tipo di
abilità, nessun'altra resta in sua vece a mantenere vivo e concreto il
rapporto con lo strumento. L'abilità strumentale, si potrebbe dire, è ciò
che resta quando si è dimenticato tutto.
La domanda allora si ripresenta: vale la pena dedicare un simile capitale di
energie ad abilità che, salvo casi particolari, sono destinate a decadere,
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Terza incognita: caducità dei programmi motori
mettendo allo scoperto un approccio strumentale troppo unilaterale e
poco realistico?
Non tutte le abilità però si caratterizzano per lo stesso grado di caducità.
Ancora una volta, quelle costruite ad albero, a partire dalle competenze più
profonde, restano nel tempo, consentendo al professionista di adattarsi alle
diverse esigenze del lavoro musicale e all'amatore di continuare a trovare il
gusto della musica agìta in prima persona rientrando a casa stanco la sera.
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I fattori in gioco nelle diverse situazioni in cui si fa musica non sono
sempre gli stessi; i processi, le facoltà, le dimensioni dell'attività umana
coinvolte cambiano da un contesto all'altro. Gli strumentisti hanno un
profilo musicale - se non addirittura psicologico - diverso a seconda dello
strumento che suonano. Il pianista si forma più facilmente una percezione
"sinfonica" della musica; tuttavia si trova, almeno in una certa misura, il
suono già fatto. Un violinista deve ottenere ogni suono senza poterlo dare
in nessun modo per scontato. Un cantante, almeno per la recente
tradizione europea, deve addirittura passare anni a crearsi lo strumento. Il
fare musica, anche sul versante dei processi coinvolti, non è uguale in ogni
situazione, per ogni repertorio. Ciò significa che alcuni contesti, alcuni tipi
di attività stimolano il soggetto sotto alcuni profili, lasciandone altri in
ombra.
L'improvvisazione jazzistica può certamente essere il risultato anche
dell'acquisizione di cliché stereotipati, di una certa facilità digitale sullo
strumento, di aleatorietà; sul versante dei processi in atto però, chi
improvvisa difficilmente potrà escludere dal suo orizzonte attentivo gli
eventi sonori che lo circondano, gli stimoli sonori che derivano dalla sua
produzione sonora come da quella di chi sta suonando con lui, la necessità
di anticipare nell'immaginazione il seguito del discorso sonoro in atto in
quel momento. Così come in una lettura a prima vista efficace non posso
suonare ciò che sto leggendo ma devo leggere in anticipo ciò che sto per
suonare, devo prevedere, preparare il cammino, così nell'improvvisazione
non posso non modellare la frase in base a ciò che il momento attuale
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Quarta incognita:
scarsa rilevanza del feedback auditivo
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Che succede allora? "Tutti quanti devon fare il jazz"? Evidentemente, al di là
della augurabile presenza di un pluralismo di generi all'interno di ogni
percorso formativo musicale, la risposta non è questa.
Ciò che dobbiamo rilevare, piuttosto, è che il paradigma "esecuzionemnemonica-per-lettura", modello unico dei percorsi formativi "classici",
evidenzia un'altra grave incognita. Il suo effettuarsi, in origine ed
esclusivamente, a partire dalla notazione non significa obbligatoriamente
l'esclusione dell'ascolto dal processo esecutivo ma, proprio perché modello
di apprendimento applicato all'origine, comporta il fortissimo rischio, la
cui effettività conosciamo bene nei fatti, di un cortocircuito occhio-dito
che esclude l'ascolto reattivo dal quadro delle abilità in gioco nell'atto
esecutivo. La rilevanza del feedback acustico può essere certamente un
raccomandabile consiglio all'esecutore, ma non è implicata strutturalmente in
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implica come immediato futuro, al passo successivo del percorso, insieme
a ciò che coloro che stanno suonando con me mi inviano come
riferimento sonoro imprescindibile. Tutto ciò significa inevitabilmente
ascolto, interazione, attivazione di contesti sonori nell'immaginazione.
Indipendentemente dal livello artistico di una performance, che avvenga
nei templi del jazz mondiale come nella cantina di casa, questa attività
genera nella struttura del mio orizzonte attentivo, in fase di esecuzione
musicale, l'abitudine a rispondere adattivamente al contesto, processo
fondamentale, alla base di ciò che chiamiamo comunemente "orecchio
musicale". Quest'ultimo, si capirà, va molto al di là della semplice
ricognizione di suoni, intervalli o scale; "Il movimento intenzionale che
l'improvvisatore o l'improvvisatrice compiono - sia mentalmente che
fisicamente - quando 'scelgono un suono', è la componente principale
dell'improvvisazione come attività. Il modo con cui un suono funziona e
acquisisce senso attraverso molteplici relazioni musicali e motorie, deve
essere parte della conoscenza, interiorizzata e assimilata, dell'improvvisatore"
(Gustavsen 2010, p. 13). Deve esserlo, non può non esserlo, e questo
costituisce un valore non già "aggiunto" ma intrinseco al profilo del
musicista, che sceglie il suono in base a un'idea e a un obiettivo (che può
essere anche suggerito da una partitura) e il gesto strumentale in relazione
al suono inteso e scelto.
quel processo, se non, in benevola ipotesi, nel momento in cui debba
controllare la correttezza materiale dell'esecuzione. La "esecuzionemnemonica-per-lettura" esclude per ciò stesso l'ascolto? No. La sua
esclusività crea però di fatto un percorso formativo incompleto, nel quale la
rilevanza del feedback è solo un'eventualità, e il musicista si struttura a
prescindere da quella.
L'improvvisazione jazzistica è una risposta a questa incognita esattamente
come possono esserlo, in modi diversi ma convergenti, la pratica
dell'accompagnamento, il contesto esecutivo cameristico ("uno per parte"),
l'improvvisazione non jazzistica anche senza fini di performance pubblica,
come nel caso del fecondissimo filone, tornato recentemente in auge nel
mondo musicologico ma non altrettanto in quello didattico strumentale,
della pratica del partimento avente origine nella scuola napoletana del '700
(Gjerdingen 2007, Sanguinetti 2012). Lo sono due ulteriori istanze,
avanzate in questo caso particolarmente dal mondo musicale popular: il
suonare a orecchio e l'apprendere brani musicali non dalla lettura ma
attraverso ascolto e imitazione (Green 2002)71.
Quinta incognita:
giovani che vanno all'estero
Gli aspetti sociopsicologici che potrebbero entrare a far parte di questo
elenco di incognite sono molteplici. Basterebbe accennare al tema della
motivazione, grande sconosciuto dei percorsi didattici legati al paradigma
musicale vigente, alla povertà antropologica della esecuzione solitaria,
Più volte ci siamo soffermati su nuclei concettuali e pratiche propri di generi diversi da
quello che chiamiamo "classico". Come già accennato, ciò non costituisce in nessun modo
un invito a cambiare casacca né stabilisce alcun tipo di supremazia o presunta maggiore
attualità di un genere sugli altri. Tali riferimenti sono piuttosto parte dell'idea di una "lunga
via dei generi musicali": ciascuno di essi rappresenta, in modo non unico ma emblematico,
una delle diverse dimensioni antropologiche del fare musica. È opportuno quindi, in questo
"paragone dei generi", non già stabilire un vincitore ma fare in modo che anche nella
specificità di un singolo genere musicale, e in misura diversa, siano presenti
tendenzialmente tutte le dimensioni che l'insieme dei generi indica come
antropologicamente rilevanti.
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tuttora modello unico dello studio e della lezione strumentale "classici"
(Sawyer 2010).
È tuttavia inevitabile almeno un accenno al tema della employability, delle
prospettive non già di occupazione tout-court ma di orientamento e
adattamento dei percorsi formativi ai profili professionali reali.
Giovani che vanno all'estero (Lattes, Di Cecca 2013) è l'interessante collezione
di 32 interviste raccolte presso giovani musicisti italiani neodiplomati,
aderenti all'iniziativa "Working With Music" che grazie al Progetto
Europeo Leonardo da Vinci offre l'opportunità di periodi di lavoro
musicale all'estero.
Alle prese con un vero lavoro musicale, nasce ovviamente negli interessati
la questione dell'adeguatezza della propria preparazione. La questione vera,
fraintesa in qualche caso anche dagli stessi esperti che commentano le
interviste nella sezione "Focus" dello stesso volume, non riguarda tanto il
grado generale di abilità strumentale o vocale raggiunto dallo studente che
conclude un itinerario di studi in un Conservatorio italiano ma quanto
questa formazione l'abbia messo in grado di affrontare le esigenze reali
della professione reale. Possiamo anche rinunciare all'idea che un percorso
formativo postsecondario sia tagliato su misura per la professione;
sappiamo che anche per le Università ciò avviene raramente. Ciò che
emerge molto lucidamente da numerosi interventi è però l'esigenza almeno
di una formazione diversificata, radicata in una conoscenza sufficientemente
profonda da consentire la "gestione" dei vari aspetti del fare musica nei più
diversi contesti. "Ho notato che la loro formazione è 'a tutto tondo'" (p.
57); "In Francia ho notato che le basi della formazione di un pianista sono
più solide e ampie, curano la preparazione in modo che il pianista sia in
grado di spaziare su qualsiasi repertorio, sappia improvvisare, abbia una
conoscenza approfondita dell'armonia" (p. 67). Tutti i pianisti partecipanti
all'iniziativa hanno lavorato in realtà come accompagnatori, attività per la
quale non avevano ricevuto formazione: "Ho conosciuto molti pianisti che
(...) hanno iniziato a dedicarsi all'accompagnamento (...) ma hanno
incontrato molte difficoltà, come se alcune aree del loro cervello fossero
rimaste 'atrofizzate'" (p. 21. Si vedano anche le pp. 40, 52, 63, 76).
L'obiettivo della specializzazione potrà forse spostarsi dal primo al
secondo ciclo accademico, da questo a futuri eventuali "Master", ma lo
sviluppo di quella rosa di attitudini necessaria per far fronte all'attività
musicale secondo quella multiformità che si incontra nella vita reale deve
essere la scelta qualificante di un percorso formativo che voglia avere un
domani.
Emerge anche, insospettabilmente, la domanda per una solida formazione
musicale generale e teoricomusicale (interviste 13, 22, 25, 30, 32), la cui carenza è
vissuta come una decurtazione delle possibilità di applicare le abilità
musicali in contesti diversi. La pratica scopre un estremo bisogno di teoria,
in contraddizione con un altro dei taciti assunti del nostro paradigma: la
rigida separazione tra teoria e prassi che vede la prima come una
sovrastruttura culturale, un lusso intellettuale che minaccia e sottrae spazi
alla presunta esclusiva utilità del fare esecutivo.
Si potrebbe pensare a questi limiti come retaggi dei vecchi programmi regi,
ma ancora, nella riforma degli studi musicali, si propone di studiare
genericamente e monoliticamente il flauto, il clarinetto, il pianoforte ecc. senza
specifiche, senza nessun tentativo di immaginare, se non un profilo
professionale preciso, almeno una formazione polivalente, un tipo di
competenza in grado di declinarsi in una molteplicità di situazioni, salvo
specializzazioni successive. La formazione offerta dagli attuali trienni
accademici non è generale, premessa per una specializzazione offerta poi
dai bienni; è piuttosto una formazione specifica ma disegnata secondo il
profilo di un professionista della musica che, come tale, in solido, non
esiste più.
Considerate le incognite che il paradigma presenta, torna insistente
l'interrogativo: vale la pena di indirizzare le energie di anni di lavoro e di
intere istituzioni in questa unica direzione?
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Che cosa ha a che fare il complesso delle incognite presentate dal
paradigma "esecuzione-mnemonica-per-lettura" con l'annunciato tema
della centralità della percezione?
Molti aspetti di questa relazione problematica già sono emersi: qualità e
forma del gesto musicale dipendono da ciò che immagino di voler
produrre, cioè riesco ad anticipare nella mia audizione interiore. Quelle che
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La svolta percettiva
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lo studente in modo colorito chiama "parti atrofizzate del cervello"
derivano probabilmente proprio dalla segnalata scarsa rilevanza del
feedback auditivo nelle operazioni messe in atto dal paradigma esecutivo
vigente: "La vista tende a dominare e a inibire l'elaborazione di segnali
provenienti da altre fonti (...). A un bambino rimangono dunque poche
risorse cognitive da dedicare alla manipolazione dello strumento e
all'ascolto di ciò che viene suonato" (Tafuri, McPherson 2007, pp. 22-23).
Si nasce come musicisti dipendenti dalla notazione e quando, anche molti
anni dopo l'avvio degli studi, ci si affaccia alle necessità di una pratica
strumentale più completa e multiforme, è già troppo tardi.
L'educazione dell'orecchio o Ear Training, gode ultimamente di qualche
interesse, forse dovuto all'inserimento, sia pur sostanzialmente opzionale,
nei percorsi accademici dei Conservatori, forse all'aura di modernità e di
nordeuropeismo che lo circonda (la tradizione che lo riguarda proviene
soprattutto da Svezia e Germania), forse al senso di liberazione che può
cogliere una certa parte dei docenti nell'uscire almeno formalmente dalle
secche della misera tradizione didattica italiana del '900 in tema di
formazione auditiva. Più spesso, in realtà, l'Ear Training è visto, dai suoi
detrattori come dai suoi promotori, come un masso erratico all'interno del
curriculum musicale, una sorta di disciplina iniziatica, praticata da soggetti
che si impongono di usare l'ascolto puro quasi come una forma di
ascetismo, quando sarebbe molto più semplice aprire la partitura e...
Se si trattasse di rivendicare spazi per una disciplina, la battaglia sarebbe
priva di senso in partenza; tanto più, come si è osservato, che nel
momento in cui questa disciplina si applica in modo estrinseco a un
curriculum già completamente strutturato in base alla relazione esclusiva
segno-gesto strumentale, senza che l'audizione sia stata facilitata e
stimolata da un diverso modo di strutturare la pratica musicale pregressa,
per di più ad una età dove le possibilità di mutare i processi mentali sono
drasticamente ridotte, il tutto lascia il tempo che trova. "Le lezioni di
pianoforte (...) molto spesso nuocciono alle facoltà uditive e ritmiche; il
senso tattile si sviluppa a scapito di quello uditivo. (...). Si dia loro pure
l’occasione di strimpellare sulla tastiera, di cercare melodie, di improvvisare
successioni di accordi, ma non si faccia loro studiare dei pezzi!" (JaquesDalcroze 2008, p. 46)‫‏‬.
porte di accesso sono molteplici, ciascuna incardinandosi su una
dimensione fondamentale della persona, rappresentando così, nel loro
complesso, un disegno tridimensionale dell'uomo musicale, da differenti
prospettive.
Così Dalcroze, con il coinvolgimento dell'essere complessivo della
persona: il corpo nel suo sbilanciarsi e riequilibrarsi attraverso lo spazio fa
propri i dinamismi della musica, di modo che, come auspicava l'allora
Direttore del Conservatorio di Milano, Giorgio Federico Ghedini, nel
1951, "la musica entri nel sangue e non si limiti a circolare all'esterno" (Sità
2002, p. 244). Il canto popolare, in Kodàly, come espressione antropologica
fondamentale, come lingua madre musicale (nel contesto di allora) per un
fare musica in grado di attingere a ciò che ci già profondamente ci
appartiene; così le melodie prototipiche che Bamberger (1991) chiama
Simple, vicine nella loro struttura alla nostra fondamentale intuizione della
"buona forma" (p. 192). Il linguaggio verbale, in Gordon, come modello per
un apprendimento musicale che abbia dinamismi simili a quelli della lingua
madre, mettendo in condizione l'espressione musicale di fluire liberamente
e non come frutto di costruzione artificiosa.
Pagina
"Quante persone conosciamo che sanno suonare una melodia allo
strumento ma non sono in grado di cantare quello che hanno suonato; di
suonare una variazione della melodia originale; di suonare la melodia in
un'altra tonalità, utilizzando un modo diverso, un metro diverso; di
suonare la melodia con una diteggiatura differente; o di esemplificare frasi
della melodia attraverso i movimenti del corpo?" (Gordon 2007, p.11).
Sono solo esempi, questi, di ciò che possiamo chiamare competenza musicale,
cioè possesso profondo, e quindi variamente applicabile, delle strutture
della musica. L'idea di abilità musicale si trasforma radicalmente: quanto
sono lontane le abilità appena citate dal funambolismo della tecnica
trascendentale... eppure in quelle abilità si mostra quanto la musica è scesa
nel profondo, quanto è diventata qualcosa di tanto naturale quanto è per
noi il linguaggio, quanto a fondo possediamo la musica da poterla
ritradurre in contesti operativi vari e secondo finalità diverse.
114
Una nuova carta delle abilità musicali
115
Pagina
È significativo che certi aspetti della conoscenza musicale siano
tradizionalmente trascurati perché ridotti al loro aspetto semiografico: per
riconoscere una tonalità si guarda alle alterazioni; per capire un metro è
sufficiente la segnatura in chiave. Tonalità e metro, considerati come il
contesto percettivo musicale nel quale mi trovo a operare, sono esempi
significativi della natura della conoscenza musicale: a ben poco vale nei
loro confronti una definizione tecnica, una "regola pratica" come quelle
che popolano i nostri "sunti di teoria". Ambientarsi consapevolmente,
improvvisare, o anche solo riconoscere una tonalità o un metro significa
aver elaborato - non per forza ancora consapevolmente - un vissuto
musicale già relativamente esteso, attraverso esperienze adeguate, per
mezzo delle strutture fondamentali del proprio essere, innanzitutto
attraverso il movimento del corpo.
Dobbiamo di conseguenza ridisegnare la carta delle abilità musicali che sta alla
base della nostra idea di musica e di apprendimento, all'interno di uno slowlearning dove la qualità dell’esperienza musicale venga prima di
un’imprecisata tensione al superamento di difficoltà. “Ci fu un tempo nel
quale era cosa ammirevole essere poeti amateur o scienziati dilettanti, in
quanto ciò stava a significare che la qualità della vita poteva essere
migliorata dall’intraprendere tali attività. Progressivamente, invece, la
considerazione del comportamento esterno ha prevalso sulla
valorizzazione degli stati soggettivi; ciò che si ammira è il successo, il
risultato, la qualità della performance piuttosto che quella dell’esperienza”
(Csikszentmihalyi 1990, p. 140). Una carta riscritta a partire dalla
irrinunciabile positività del vissuto esperienziale, fondata sulla riscoperta di
requisiti di abilità realmente centrali e genuini (il già citato senso del
contesto musicale, l’intonazione, la coordinazione alla pulsazione
esterna...), sicuri che una carta così fatta farà sicuramente bene anche alla
stessa performance.
A questi processi fondamentali, espressione dell'essere musicale della
persona, va riservato uno spazio apposito nei percorsi di apprendimento,
prima e durante la pratica strumentale; va evitato che questa pratica li
ostacoli attraverso il cortocircuito occhio-dito. In questo quadro,
l'esecuzione con finalità spettacolari, concertistiche, può avere certamente
senso, ma deve essere l'eccezione, non l'obiettivo normale, e illusorio, di
un intero sistema formativo musicale.
Un'esperienza
A fronte di un compito che appare epocale, ciò che viene riportato di
seguito non può certo proporsi tout-court come una soluzione; è piuttosto
un'esperienza, un momento di riflessione tendenzialmente sistematica, con
la possibilità di attuazione di un percorso formativo musicale caratterizzato
dal recupero di valori da molto tempo sopiti. È sicuramente il risultato di
un periodo felice di progettazione ed elaborazione collettiva, una sorta di
piccola costituente dal profilo locale e limitato, ma le cui linee di pensiero
non escludono riferimenti di respiro più ampio. Si tratta del progetto di
strutturazione dei Corsi Preaccademici del Conservatorio "G. Verdi" di
Como72. L'esperienza ha conosciuto una fase progettuale vera e propria, a
cura di una commissione di docenti interni 73 , una fase di discussione,
modifica e approvazione da parte degli organi preposti e una fase, ancora
in atto, di realizzazione. Linee generali di riferimento del progetto possono
essere rinvenute nel documento appositamente elaborato dall'Associazione
Europea dei Conservatori per la fascia di formazione musicale
preaccademica (AEC 2007).
La struttura generale dei corsi74 prevede inizialmente che la formazione si
svolga a partire dalla distinzione tra "Discipline della produzione musicale"
Sullo sfondo di questo lavoro di progettazione resta la questione della pertinenza ad
un'istituzione postsecondaria come il Conservatorio, di corsi che si collocano in un grado di
studi precedente, proprio delle Scuole Medie a Indirizzo Musicale, del Liceo Musicale o
delle Scuole Musicali Civiche o private sul territorio. In realtà il progetto è nato
dall'esigenza di strutturare un percorso formativo che potesse sì realizzarsi all'interno del
Conservatorio ma anche progressivamente costituire un punto di riferimento per organismi
esterni, con la possibilità per chiunque di accedere a certificazioni di abilità, una "base di
dialogo" dunque con chi si occupa di formazione musicale, e una indicazione di percorso
per l'ingresso alla formazione accademica del Conservatorio.
73 La Commissione, istituita dal Direttore M° Bruno Foti durante l'A.A. 2010-2011, era
costituita dai colleghi Fulvio Brambilla, Antonio Grande e Luca Marconi, oltre che dal
sottoscritto.
74 Del progetto ufficialmente approvato sono visionabili la struttura generale dei corsi e i
programmi di esame dei diversi livelli sul sito www.conservatoriocomo.it/didattica, oppure,
per la parte di Formazione Musicale di Base, su www.albertoodone.it. Il corso si struttura in
tre periodi, conclusi ciascuno da un esame di certificazione, al quale possono iscriversi
Pagina
116
72
strumentale e vocale e "Discipline per lo sviluppo della musicalità". Sotto
quest'ultima dizione si sono volute radunare alcune delle discipline un
tempo identificate come "complementari" (Solfeggio e Pianoforte
Complementare, ora "Formazione Musicale alla Tastiera") di cui si è
voluto sottolineare il contributo allo sviluppo complessivo delle
competenze musicali della persona, accanto al semplice supporto tecnico
alla formazione strumentale. Il corso di Solfeggio, distribuito elasticamente
su tutti e tre i periodi e profondamente rinnovato nei contenuti, dopo una
prima proposta che lo individuava come "Musicalità" (erede
dell'anglosassone corso di "Musicianship") ha assunto la denominazione
"Formazione Musicale di Base" (di seguito: FMB). A queste discipline si
aggiunge il corso opzionale di "Creatività musicale". Il secondo periodo dà
impulso alle attività di insieme vocali e strumentali, mentre il terzo prevede
anche l'ingresso di discipline dall'indole più marcatamente cognitiva
(Teoria Musicale e Analisi, Storia della Musica, Informatica Musicale).
Riporto di seguito alcuni punti qualificanti che hanno orientato il lavoro di
progettazione75.
Diversificazione delle abilità
Pagina
anche studenti esterni, necessario per passare alla fase successiva di ciascun periodo. È
prevista la possibilità di frequentare corsi o sostenere certificazioni di livello diverso tra
discipline strumentali e non strumentali (è possibile, ad esempio, frequentare il secondo
periodo di strumento e contemporaneamente il primo di Formazione Musicale di Base,
oppure viceversa, con la sfasatura massima di un periodo). Corsi e certificazioni sono
propedeutici alla Prova di Ammissione ai Trienni Accademici che tuttavia può essere sostenuta
senza che sia richiesto alcun titolo previo, a parte ovviamente il Diploma di Maturità.
75 La presente relazione sui lavori della Commissione è frutto dell'elaborazione personale e
delle opinioni dello scrivente, e non è stata rivista o approvata né dai colleghi componenti
la Commissione, né da alcun organo ufficiale del Conservatorio di Como.
117
Immaginare, da un giorno all'altro, una rivoluzione copernicana
nell'impostazione della formazione strumentale sarebbe stato utopico e
controproducente. Si è piuttosto pensato di ampliare lo spazio di possibilità
a disposizione del docente, delineando proposte didattiche molteplici, non
obbligatorie bensì elettive. Il docente trova così la possibilità - non
l'obbligo - di diversificare l'offerta formativa, indirizzandola non nella
prospettiva di una prematura specializzazione ma verso un quadro di
competenze ragionevolmente diversificato, così da venire incontro prima
di tutto alle inclinazioni del singolo studente e costituire eventualmente la
base per un futuro reimpiego delle abilità in prospettiva professionale. Il
programma d'esame, coerentemente con l'itinerario corsuale, prevede
quindi due settori di lavoro e di verifica che alla fine del secondo periodo
di studio preaccademico risultano così articolati:
Settore 1: Competenze relative a:
→ Prova esecutiva, secondo quanto definito nelle distinte tabelle di
ciascuno strumento o (canto).
Pagina
Non è questo il luogo per scendere nel dettaglio di ciascun sottosettore. È
evidente, inoltre, che l'enunciazione di aree di abilità non dice ancora nulla
sui percorsi didattici e sulle metodologie che ne possono sostanziare
l'itinerario. Si tratta tuttavia di una prima apertura di spazi didattici concreti
nella direzione dello scioglimento della concezione monolitica della
formazione musicale.
È altrettanto evidente come tale prospettiva richieda l'avvio di percorsi di
aggiornamento e sperimentazione da parte dei docenti che se ne assumono
l'onere. Altrettanto probabile è la necessità di rinunciare all'idea del Maestro
Unico, così cara alla tradizione conservatoriale, nella direzione anche di
un'auspicabile scambio di competenze e professionalità con il territorio.
118
Settore 2: Competenze relative ad almeno due di questi ambiti:
• Esecuzione d’insieme
• Improvvisazione
• Conoscenza e Pratica del repertorio scelto
• Pratica di repertori relativi ad altri generi musicali
• Arrangiamento e composizione per lo strumento
• Lettura a prima vista
• Strategie di studio dello strumento
• Accompagnamento per lettura e/o estemporaneo
Interplay
Sottrarre il paradigma "esecuzione-mnemonica-per-lettura" alla sua
intangibile unicità significa sicuramente anche introdurre, tra le modalità di
esecuzione musicale e nell'approccio complessivo alla musica,
Pagina
Estemporaneità
119
Altra idea portante è la considerazione del fare musica insieme come
connaturale all'attività musicale stessa e quindi alla formazione musicale
(Sawyer 2010). La novità non è assoluta, ovviamente. Tuttavia il
conservatorio regio riserva alla musica d'insieme uno spazio eventuale ed
accessorio: gli ensemble erano in origine a discrezione del Direttore e si
sono strutturati in seguito come corsi privi di una valutazione finale: corsi
di pratica strumentale, cioè, tendenzialmente privi di un apprezzabile
apporto di conoscenza.
L'idea originaria della commissione comasca, attenta anche a non
sovradimensionare le richieste nei confronti degli studenti specialmente
nelle prime fasi del percorso, prevedeva l'iniziale integrazione del momento
esecutivo di insieme nella lezione di strumento (il progetto originario
parlava di "Strumento con Musica d'Insieme", senza escludere in seguito
gli ensemble), esplicitando così da una parte la possibilità estremamente
pratica dell'interazione tra allievo e docente o tra allievi frequentanti lezioni
contigue, in piccoli gruppi ecc. Constatando nel contempo, d'altra parte,
l'esistenza di una differenza radicale tra la situazione di ensemble (a
"sezioni") ed invece l'esecuzione "uno per parte" (letta, eseguita per
imitazione o improvvisata che sia...), anche a partire dalle primissime fasi
della formazione. "Strumento con musica d'insieme" non passò il vaglio
del Collegio Docenti (nella struttura dei corsi è rimasto semplicemente
"Strumento") che richiese con forza la separazione tra la lezione
strumentale, intesa come strettamente individuale, e il momento d'insieme,
previsto ufficialmente solo a partire dal secondo periodo.
La grande fecondità musicale del contesto "uno per voce", specialmente
nella tradizione del duo, vocale o strumentale che sia, è confluita invece nel
percorso di "Formazione Musicale di Base" (Lettura intonata, prova b).
l'estemporaneità. Oltre al già citato corso di Creatività Musicale,
l'improvvisazione fa il suo ingresso ufficiale nel secondo settore delle
competenze strumentali (vedi sopra) e nel programma di FMB. Essa non
intende ereditare la qualità essenzialmente performativa e spettacolare
propria dell'esecuzione tradizionale ma applicarsi alla pratica dello
strumento, studio tecnico incluso, e alle varie forme di accompagnamento.
Pagina
La percezione musicale riceve un'attenzione specifica nel già citato corso di
FMB e in quello di Ear Training previsto in due annualità all'interno del
Triennio Accademico.
Per quanto riguarda la Formazione Musicale di Base, si tratta del settore
che attualmente vede la piena attuazione dei suoi programmi e un afflusso
già molto consistente di candidati esterni alle prove di certificazione,
nonostante la differenza con i percorsi tradizionali sia molto evidente,
segno che il lavoro di formazione secondo le linee del progetto
preaccademico si diffonde anche all'interno delle Scuole di Musica, e che,
al di là del presunto fattore "difficoltà", è effettivo l'interesse per una
proposta formativa qualificata dalla novità, in ambito italiano, delle sue
linee metodologiche e dal suo contenuto musicale. Ciò è stato preceduto,
sul versante interno, da oltre un decennio di sperimentazione su
programmi, metodologie e materiali nel quadro del previgente corso di
"Solfeggio Sperimentale"; sul versante del rapporto con le Scuole, sembra
anche dare i suoi frutti il lavoro di aggiornamento e confronto con i
docenti di materie teoriche mediante corsi sia all'interno che all'esterno del
Conservatorio, anche nel quadro delle Convenzioni di collaborazione
didattica stipulate con le Scuole stesse.
Invito il lettore a prendere visione direttamente della struttura delle
certificazioni, della bibliografia (in fase di costruzione) e degli esempi
presenti sul sito web del Conservatorio.
In estrema sintesi, tra le linee qualificanti della proposta aventi riscontro
nella struttura delle certificazioni, possiamo ricordare l'importanza della
risonanza auditiva estemporanea di fronte all'evento musicale anche a
prescindere dalla notazione (FMB, prova 1a), la globalità dell'esperienza di
120
Didattica esplicita della percezione
ascolto e trascrizione (1b) e la sua applicazione in contesti dove sia
importante la consapevolezza del rapporto segno/suono (1c); il fare
musica in contesti semplici ma ricchi di spessore formativo, in rapporto
stretto con le pratiche musicali più comuni, come il già citato duo (2b),
l'auto-accompagnamento elementare alla tastiera (2c, periodi II e III),
l'improvvisazione melodica o dell'accompagnamento di una melodia
(prova 5). La ritmica come esperienza di movimento e coordinazione
motoria (3a) in collegamento con il mondo dei più diversi repertori (3b).
La teoria come riflessione sull'esperienza musicale (4), l'utilizzo sistematico
di materiali popolari o d'autore.
Pagina
Programmi e materiali sono visionabili sul forum eartraining.forumup.it, discussione "Il
corso di Ear Training al Conservatorio di Como". Si veda anche Odone (2001).
77 Sono di riferimento, per fare due esempi tra loro lontani, sia i costrutti rinvenibili
all'interno della già citata tradizione dei partimenti (Gjerdingen 2007), sia le strutture proprie
della musica popular come appaiono in Middleton (1994) o in Tagg (2011). Un'antologia di
possibili tipologie di attività è contenuta in Odone (2011).
76
121
Se per il percorso di FMB si è trattato di ripensare a fondo l'offerta di
formazione rivolta allo sviluppo della musicalità, per il corso di Ear Training
Accademico è stato necessario progettare un itinerario sostanzialmente in
assenza di punti di riferimento nella tradizione italiana 76 . La proposta
accademica si presenta in parte come continuazione del percorso
precedente, approfondendo gli aspetti legati al riconoscimento auditivo e
alla trascrizione, secondo molteplici attività applicate al repertorio d'autore,
con l'intento di lavorare non su elementi astratti (generiche successioni di
accordi, scale ecc.) ma sulla base di precisi contesti e strutture rinvenibili
all'interno del repertorio stesso77.
Il versante più proprio del lavoro accademico, che a questo punto del
percorso può e deve avere una forte componente di elaborazione
cognitiva, è quello dell'analisi auditiva. Riflettendo a fondo sulla natura di
questo compito, emerge chiaramente come la visione teorica corrente che
dovrebbe offrire gli strumenti per l'analisi sia una volta di più estranea alla
percezione, e questa constatazione, anche e soprattutto in un corso di Ear
Training, richiede ovviamente un ripensamento.
Che cosa rinvenire in un brano di musica, a parte ciò che attiene
strettamente alla trascrizione delle altezze e delle durate? Forse le forme
compositive, frasi e semifrasi, primo e secondo tema, sviluppo e ripresa,
soggetti e divertimenti di fuga? Non sono questi schemi nati con un
intento prettamente compositivo, come tracce per la scrittura? Sono,
questi, "oggetti" che riflettono genuinamente il fenomeno auditivo?
La ricerca del tempo perduto
Materiali e suggerimenti di attività - ma non certamente ancora la redazione di un
percorso comprensivo e organico - si possono trovare in Odone (2010).
78
Pagina
122
"Il suono non è - né rivela - un oggetto, ma un qualcosa che accade, un
evento. (...) Insomma, il suono è flusso, flusso temporale (...): per
conservarlo non lo si può 'fermare', come il fotogramma di un film (Sparti
2007, pp. 74-75). "Il sonoro 'trascina via la forma' e dunque evoca già di
per sé una visione mobile, non ferma (...) delle cose, una 'transitività'
vibrante che va a cozzare con la visione ideale e 'sempre ferma' della nostra
tradizione." L'estromissione del sonoro a favore del visivo "determina (...)
lo svanire del concreto apparire-sparire delle cose, cioè della 'transitività'
appunto insita nel movimento del reale, della vita" (Lisciani 2004, p.
XVII).
Il tentativo è dunque quello di reintrodurre il tempo nella nostra
considerazione consapevole della musica, nell'immagine che di essa ci
formiamo, immagine troppo spesso ferma alla partitura, e in essa a ciò che
è maneggevole, catalogabile: il successo ottocentesco della "armonia", in
pratica sinonimo, non a caso insieme alla Storia della Musica, di
"conoscenza musicale", ne è un esempio lampante.
E dunque l'analisi auditiva, questa presunta pratica ascetica, non può
ridursi semplicemente a una "analisi portatrice di handicap", segnata dallo
svantaggio di non avere a disposizione lo scritto. È in realtà un'occasione
unica, rappresentata dalla possibilità di rileggere le nostre categorie mentali
reimmergendole nel flusso del tempo e nelle dinamiche che questo porta
con sé sposandosi con il suono.
In estrema sintesi, ecco un percorso78:
a. Visione d'insieme. L'evento sonoro considerato nelle sue componenti
generali (linee, aree sonore...) e nel rapporto che esse intrattengono tra
loro: è principalmente il tema delle testure musicali79.
b. Direzionalità e Ciclicità. In che modo il suono organizzato si pone "in
sella" al cavallo del tempo? Come riveste di suoni il flusso temporale per
assecondarne il procedere (direzionalità) o per trattenerne la fuga
(ciclicità)? Le tradizioni musicali hanno forgiato molti diversi strumenti
adatti allo scopo: quali costrutti musicali danno impulso al procedere dei
suoni, all'attesa per un "dopo", e quali invitano a ritrovarsi in una
temporalità rassicurata da elementi che ritornano80?
Tra i rari supporti bibliografici a disposizione: Berry (1976), Aguilar (2006), Belkin
(1999) e (2001).
80 Un accenno a questi temi in Odone (2006), pp. 92-97.
79
Pagina
Generi musicali diversi possono sottolineare o anche tendenzialmente
neutralizzare l'uno o l'altro di questi profili analitici, senza tuttavia - credo vanificarne il senso.
Con l'inclusione nella nostra indagine dell'aspetto teorico musicale non
riusciamo certo a portare a compimento la svolta precedentemente
invocata, operazione che richiede ben altri apporti e tempi di sviluppo e
realizzazione; quantomeno riusciamo però ad avere l'idea della globalità e
della complessità di un compito: quello di riportare la percezione musicale
nella posizione di origine e centro di ciascuno degli aspetti che formano la
relazione dell'uomo con la musica.
123
c. Narrazione. Lo strutturarsi della relazione con il tempo da parte del
suono organizzato crea la percezione di un "prima" e di un "poi": è questo
il fenomeno fondamentale della forma, anzi, della "formatività", dello
strutturarsi di una sintassi all'interno del divenire temporale. In quanti
diversi modi "inizia" il discorso musicale? Come sviluppa, giustappone o
semplicemente prolunga i suoi elementi? Come crea in chi percepisce il
suono l'appagamento dell'attesa per un seguito? È lo sviluppo della
consapevolezza circa momenti e mezzi della narrazione musicale.