Lezione–Primo Principio della Termodinamica I principi della Termodinamica, insieme alle leggi della Meccanica dei fluidi e della Trasmissione del calore, costituiscono gli elementi fondamentali per l'analisi di molteplici fenomeni fisici ed il progetto di numerosi sistemi e componenti ingegneristici. E’ comunque importante osservare che le uniche basi su cui è fondata la Termodinamica sono le osservazioni sperimentali dei fenomeni fisici e le relative misure. Non esiste alcuna altra base di tipo teorico. Pertanto le leggi della termodinamica come quelle di ogni altra disciplina scientifica, hanno carattere di postulati che sono ritenuti veri finché non contraddetti da qualche osservazione sperimentale. La maggior parte dei concetti della termodinamica sono legati alla nozione di temperature e calore. Per accostarci a questa scienza e a suoi principi, cominceremo col vedere come tali concetti si sono sviluppati storicamente ripercorrendo il lavoro e gli scritti dei grandi pensatori del passato. Fahreheit (1686-1736) costruì il primo termometro che poteva essere accuratamente riproducibile e questo diede il via allo studio quantitativo sistematico dei sistemi termici. Costui realizzo in breve che quando due corpi a differenti temperature sono posti in contatto termico e dopo che ogni cambiamento è terminato, un termometro posto alternativamente in contatto con l’uno e con l’altro corpo dava la stessa lettura. Questa osservazione è molto importante in quanto diede origine a quello che viene ora chiamato principio zero della termodinamica (zero in quanto l’idea fu canonizzata solo in seguito,quando ormai la prima e seconda legge erano state formulate). "quando due corpi A e B sono in equilibrio termico con un terzo corpo C, i due corpi A e B sono in equilibrio termico tra di loro e si dice che tutti e tre i corpi hanno la stessa temperatura" Ai tempi comunque, quello che veniva chiamato “equilibrio nel calore” dava luogo a notevole confusione in quanto non era chiara la differenza fra temperatura e calore , o meglio entrambi i concetti erano in formazione. Ad esempio molti affermavano che all’equilibrio “c’era una ugual quantità di calore per unità di volume nei corpi “. Un po’ di chiarezza venne fatta da Joseph Black (1728-1799) un dottore scozzese. Egli distingue chiaramente fra quantità di calore (calore - il concetto di energia interna non esisteva ancora) e intensità di calore (temperatura). Introdusse i concetti di capacità termica e calore latente e i suoi esperimenti danno il via allo sviluppo della calorimetria. Già intorno al 1765 stimava la capacità delle sostanze con una tecnica di miscelamento di materiali diversi a differenti temperatura. Dalle T finali risaliva alle capacità termiche. Black comunque non prese mai posizione circa la natura del calore (ma ai tempi, le sue risultanze e i suoi studi fecero pendere la bilancia a favore del calorico). Egli era un tipo pratico e considerava le teorie una perdita di tempo. Intorno al 1780, il conte Rumford (Benjamin Thomson, 1753-1814) iniziò i suoi esperimenti sulla natura del calore. Sovraintendente alla alesatura dei cannoni, si stupì molto quando vide la grande quantità di calore che era acquisita da una canna durante il processo. E in tempi molto brevi. Tali esperienze lo portarono a dubitare dell’esistenza di questo fluido sottile detto “calorico”. Infatti egli notava che questo calore veniva fornito (e smaltito) senza alcuna limitazione e gli era impossibile 1 credere che fosse qualcosa di materiale. Piuttosto lo collegava a qualcosa che veniva trasmesso tramite il movimento dell’alesatore e quindi un trasferimento di moto macroscopico in qualche moto microscopico alle particelle del corpo. Idea che d’altra parte vigeva nel 700’ accanto a quella fluidica. Non ostante Thomson, la concezione fluidica prese il sopravvento e perdurò fino alla metà dell’ottocento quando quasi contemporaneamente, nell’arco di pochi anni, Mayer, Joule e Helmoltz posero le basi del principio di conservazione della vis viva e del calore; la prima legge della termodinamica. In particolare furono significativi gli esperimenti di Joule sull’equivalente meccanico del calore. Il celebre esperimento di Joule è schematizzato in Fig. 1a e consiste in un mulinello che, ruota all’interno di un recipiente contenente acqua. Il mulinello ed il recipiente sono accuratamente coibentati ed hanno, ad esempio, la stessa temperatura ambiente. L’esperienza consiste nel dissipare in calore, per effetto dell’attrito viscoso del fluido, il lavoro corrispondente alla caduta di una massa m per una altezza h nel campo gravitazionale. Indicando con w la velocità acquisita dalla massa m e trascurando eventuali altre dissipazioni per attrito nei dispositivi di trasmissione meccanica e l’energia cinetica impressa all’acqua dalle palette del mulinello, il lavoro L ceduto dall’esterno al sistema acqua + mulinello risulta: 1 L (mg h m w 2 ) 2 Calorimetro a ghiaccio fondente mulinello mg H2O in equilibrio a 0 = °C ghiaccio fondente h motore H2O isolante + - tubo capillare con mercurio (a) (b) Fig. 3.8 Esperimento per dimostrare l’equivalenza tra scambio di lavoro e di calore nella versione originale di Joule (a) ed in quella più moderna di Rowland (b). La dissipazione del lavoro in attrito viscoso determina un aumento della temperatura del sistema) costituito da acqua + mulinello e supposto in questa fase adiabatico. Si immagini ora di mettere in comunicazione diatermica con l’esterno il sistema acqua + mulinello, e di scambiare una quantità di calore Q negativa, fino a farlo tornare alla stessa temperatura e pressione iniziale. In questo modo, il sistema compirebbe un ciclo perché, dopo essere stato oggetto di scambi di lavoro e di calore con l’esterno, ritorna ad assumere gli stessi parametri di stato che aveva all’inizio. In queste condizioni, le 2 misure di L e di Q mostrano che tra il lavoro ed il calore vi è una equivalenza (legge di equivalenza di Mayer): L J Q Le misure originali effettuate da Joule portarono al seguente valore della costante di equivalenza J : L ft lbf J J 778 4185.9 BTU kcal Q Le misure attuali più accurate forniscono un valore della costante di equivalenza metrologica J molto vicino a quello misurato da Joule: L J kJ J 4186.8 4.1868 kcal kcal Q Riportiamo l’attenzione sul fatto che le misure vengono effettuate su un sistema chiuso ove si realizza un processo chiuso, eventualmente ripetitivo, un ciclo. La risultanza sperimentale può essere espressa in modo più pregnante nel modo seguente L Q J o anche Ed infine Q Q J 1/ J A A J 0 La costante A* (J*) dipende solo dalle unità di misura, può quindi essere posta uguale ad 1 se utilizziamo ad esempio sempre i joule. Q J 0 Interpretazione analitica delle risultanze sperimentali Ora, generalizzando al continuo, gli scambi di calore e di lavoro si effettuano in generale con continuità nelle varie fasi del ciclo. Sostituendo allora al simbolo di sommatoria quello più appropriato di integrale esteso al ciclo, Q dQ e L dL , potremo scrivere: (dQ dL ) 0 in cui si è posta uguale ad 1 la costante A relativa al fattore di conguaglio tra le diverse unità. In questa forma il risultato ottenuto ci permette di inferire l'esistenza di una funzione potenziale (nel seguito indicata con E) il cui differenziale, dato dalla quantità integranda nella, è esatto: la funzione che può essere ricavata è una funzione di stato. La legge di equivalenza di Mayer implica dunque l'esistenza di una grandezza che chiameremo energia e che è una proprietà del sistema, poiché le sue variazioni dipendono soltanto dagli stati estremi e non dalla trasformazione. Dalla con riferimento all’unità si massa, si perviene alla seguente espressione differenziale di ciò che chiameremo prima legge(o principio) della Termodinamica: 3 dQ dL dE Per una proprietà fondamentale delle funzioni di stato, se un sistema si porta in uno stato definito la E acquista uno ed un solo valore. Non si può affermare l’implicazione inversa, e cioè che, data la variazione E tra due stati definiti, siano determinati gli scambi energetici e le trasformazioni che hanno provocato tale variazione. Come prima conseguenza, in una trasformazione aperta (non ciclica) di un sistema, gli scambi energetici sono legati tra loro dalla variazione che la funzione di stato ora introdotta subisce tra gli stati estremi: Q1, 2 L1, 2 E E 2 E1 (*) Quindi, essendo E una funzione di stato possiamo effettuare trasformazioni diverse che conducono da uno stato 1 ad uno stato 2 ma la differenza fra scambio a mezzo calore e scambio a mezzo energia non muta. Questo può essere dedotto facilmente anche direttamente dall’integrale chiuso: Si consideri la trasformazione chiusa comprendente i punti A e B come da seguente figura Per il ciclo 1-A-2-B-1 potrò scrivere 2 A 2 1 1A 2B Q * L * Q * L * 0 x D’altra parte per il percorso 1-A-2-C-1 2 1 1A 2C Q * L * Q * L * 0 B 1 C y Sottraendo si ottiene l’indifferenza dell’integrale rispetto ai percorsi B o C. 1 1 2B 2C Q * L * Q * L * Data l’arbitrarietà dei percorsi B e C questo si traduce direttamente nell’esistenza di un differenziale esatto di una funzione che dipende solo dagli estremi. 1 dE costante E 1 E2 2 In altri termini è possibile esprimere le interazioni del sistema con l'esterno, concretizzate attraverso i termini di scambio energetici, per mezzo della variazione di una opportuna proprietà del sistema. Nella (*) con Q1, 2 e L1, 2 sono stati indicati, rispettivamente, il calore ed il lavoro effettivamente scambiati con l’esterno durante la particolare trasformazione che ha portato il sistema dallo stato 1 allo stato 2. Il pedice 1, 2 sottolinea che quel dato scambio di calore Q1, 2 o di lavoro L1, 2 si è realizzato durante la particolare trasformazione aperta 1,2 , come ad esempio schematizzato in Fig. 4.2. 4 x Q1, 2 2 2 1 L1, 2 y 1 Fig. 4.2. Trasformazione aperta 1-2 di un sistema costituito da una definita massa. Per interpretare fisicamente la grandezza E prima introdotta notiamo che: - Q ed L sono scambi energetici e quindi, per omogeneità dimensionale, anche la funzione E deve essere un termine energetico. - Q ed L rappresentano i soli scambi di energia che il sistema può effettuare con l'esterno: la loro somma algebrica esprime pertanto la variazione del contenuto energetico del sistema. (Quando la trasformazione è chiusa o ciclica la variazione del contenuto energetico del sistema è nulla.) - Q e L non sono differenziali esatti; calore e lavoro sono energie in transito che, attraversando il confine del sistema, diventano contenuto energetico del sistema o dell'esterno. - Il contenuto energetico E è stato introdotto in forma differenziale. Pertanto il suo valore per un dato sistema, in un definito stato termodinamico, può determinarsi con riferimento ad un valore arbitrario assegnato ad uno “stato di riferimento convenzionale”. La (4.4) può essere considerata una formulazione alternativa del primo principio se si tiene conto che E è una proprietà del sistema. Un caso particolare di notevole interesse è quello di un sistema chiuso completamente isolato, in cui cioè sono assenti gli scambi di calore e di lavoro. Per tale sistema: (4.4’) E 0 E cost Quest’ultima equazione rappresenta un corollario del primo principio che è noto come legge di conservazione dell’energia: “l’energia di un sistema rimane costante se il sistema è isolato dall’esterno”. Si noti che il contenuto energetico E è una grandezza estensiva e viene normalmente espresso per unità di massa. Le (4.3) e (4.4) hanno validità del tutto generale e valgono quindi anche per sistemi termodinamici non in equilibrio ovvero per trasformazioni non reversibili. Dalla (4.3) può infine ottenersi un’espressione del primo principio valida in condizioni tempovarianti. Derivando rispetto al tempo entrambi i membri si ha: dQ dL dE d d d ovvero: 5 q Pe dE d in cui q e Pe rappresentano, rispettivamente, il valore attuale del calore trasmesso al sistema per unità di tempo (flusso termico) ed il valore attuale del lavoro fatto sull’esterno, sempre per unità di tempo (potenza meccanica trasferita). Contenuto energetico di un sistema termodinamico La funzione E ha dunque il significato di contenuto energetico ed è una grandezza dipendente dalle quantità che caratterizzano completamente lo stato del sistema considerato. Per un sistema ad n variabili, x1 , x2 , x3 ,..... xn , il suo differenziale, essendo esatto, vale: E E E E dx3 ..... dx1 dx2 dE x1 x2 x3 xn dxn (4.5) Se si considerano particolari categorie di fenomeni, caratterizzabili da sole componenti energetiche di tipo termodinamico, meccanico e chimico (con esclusione ad esempio di fenomeni nucleari, elettromagnetici e di capillarità), i diversi contributi del contenuto energetico complessivo del sistema possono esplicitarsi nella forma: dE dU t dE p dEc (4.6) essendo dU t la variazione di energia interna totale del sistema, dE p la variazione di energia potenziale e dEc la variazione di energia cinetica. L'energia interna totale U t viene denominata “interna” perché definibile indipendentemente da un riferimento spazio temporale esterno al sistema. Nello sviluppo della U t è necessario considerare tutti i termini presenti, che sono tanti quante sono le variabili indipendenti caratterizzanti lo stato “interno” del sistema. In generale, tra questi termini è presente anche la componente chimica dell’energia interna. La relazione fondamentale del I Principio della termodinamica diventa: dQ dL dU t dE p dEc (4.7) che, per un sistema con baricentro fermo, si riduce a: dQ dL dUt (4.8) L’energia interna totale, in assenza di reazioni chimiche in atto, viene detta energia interna termodinamica o semplicemente energia interna. 6 Lezione–Secondo Principio della Termodinamica Abbiamo già accennato al fatto che nel ‘700 la differenza fra temperatura e calore non fosse chiara, o meglio entrambi i concetti erano in formazione. Nonostante i contributi di vari studiosi, la concezione fluidica perdurò fino alla metà dell’ottocento quando quasi contemporaneamente, nell’arco di pochi anni, Mayer, Joule e Helmoltz posero le basi del principio di conservazione della vis viva e del calore. In particolare gli esperimenti di Joule sull’equivalente meccanico del calore portarono al riconoscimento del calore come energia in transito ed al 1° principio della termodinamica. Una ventina di anni prima però, in piena età del calorico, il giovane Sadì Carnot aveva messo le basi del secondo principio della termodinamica. All’inizio del diciannovesimo secolo si assisteva ad una rapida diffusione delle macchine a vapore ed era in atto un grande sforzo per migliorarne le prestazioni. Furono questi sforzi che portarono alla formulazione del secondo principio della termodinamica. Carnot fu il primo ad afferrare con precisione i termini del problema: nel 1824 pubblico il suo famoso “Reflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres a developper cette puissance” In questo rimarchevole lavoro sottolineò alcuni concetti fondamentali: la produzione di lavoro in una macchina termica è sempre accompagnata dalla tendenza al ristabilirsi di un equilibrio nel calorico, in altre parole esso fluisce da un corpo ad una temperatura ad un altro a temperatura più bassa. Siccome ogni tendenza al ritorno ad una condizione di equilibrio può essere usata per produrre lavoro, ogni processo di riequilibrio che avviene senza la produzione di questo lavoro deve essere considerato una perdita reale. A partire da questi concetti, senza alcun riferimento a fluidi particolari e senza l’ausilio del primo principio (che sarebbe stato formulato venti anni più tardi), Carnot sviluppo l’idea che una macchina termica efficiente doveva essere progettata in modo che in essa non ci fossero trasferimenti di calore in corrispondenza di differenze finite di temperatura senza un adeguato sfruttamento di queste in termini di lavoro. In altri termini con ci dovevano mai essere differenze di temperatura fra le sorgenti ed il fluido. Inoltre mette in guardia sulla presenza di gradienti all’interno del fluido stesso oltre che agli attriti meccanici. Carnot concepisce un possibile ciclo che soddisfa a questi criteri: composto da due isoterme e due adiabatiche è ora chiamato appunto ciclo di Carnot. Alla fine di ogni adiabatica il fluido si trova esattamente alla temperatura della sorgente che darà luogo alla successiva trasformazione isoterma. Le trasformazioni avvengono sempre in condizioni di quasi equilibrio sia verso l’esterno che internamente. Carnot sottolinea come in questo modo il ciclo possa essere invertito, percorso in senso opposto, ottenendo un ciclo dove spendendo lavoro si ottiene il passaggio di calorico dalla sorgente fredda a quella calda, in questo modo i due cicli si neutralizzano vicendevolmente. Conclude con una proposizione importante: “La forza motrice del calore [la frazione utilizzata]in una macchina invertibile è indipendente dalle sostanze usate per produrla, il suo valore dipende unicamente dalle temperature dei corpi fra i quali avviene il trasporto di calore.” La dimostrazione di ciò viene però fatta con argomentazioni (errate) sulle proprietà del calorico. Noi baseremo la dimostrazione sul 1° principio e sull’enunciato di Kelvin (o di Clausius) del secondo che qui riportiamo: è impossibile per una macchina termica motrice, operare secondo un processo ciclico, avere come unico effetto la conversione completa in lavoro del calore proveniente da un’unica sorgente a temperatura uniforme e costante. 7 Diamo pero innanzi tutto la definizione di processi reversibili e irreversibili Diremo reversibile quella trasformazione che, una volta effettuata, può essere invertita senza alla fine lasciare al cuna traccia né nel sistema né nell’ambiente circostante. Quindi ogni cosa (l’universo) torna nelle stesse condizioni iniziali assunte prima della trasformazione. Non esistono trasformazioni reversibili. Al contrario diremo irreversibile la trasformazione che non permette di ricondurre contemporaneamente sia il sistema che il suo esterno allo stato iniziale. Molti fattori rendono un processo irreversibile. Sommariamente gli attriti e tutti i processi spontanei che avvengono in una trasformazione : gradienti termici , di pressione di concentrazione e comunque di ogni variabile di stato, lasciati evolvere spontaneamente costituiscono altrettante cause di irreversibilità e, per dirla con Carnot, altrettante occasioni perdute di produrre lavoro. Dimostriamo quindi che tutti i cicli reversibili (di Carnot) funzionanti fra le medesime temperature presentano la stessa frazione utilizzata. Questa è definita da Q QF Q L 0 per il 1 principio a C 1 F QC QC QC Supponiamo ora di avere due macchine motrici reversibili TC qualsiasi operanti fra le temperature TC e TF. Q’C Q’’C Supponiamo che le due macchine producano lo stesso lavoro ma che la seconda abbia una frazione utilizzata maggiore L della prima. Invertiamo la prima macchina, ora la prima non è più motrice ma operatrice, assorbirà tutto il lavoro della prima e cederà il Q’’F Q’F TF calore QC alla sorgente superiore. Era però 0 0 per cui QC QC e QF QF Fig. 1 – macchina combinata E in conseguenza di ciò la macchina combinata cederà QC QC 0 alla sorgente superiore e una identica quantità sarà assorbita dalla sorgente inferiore, tutto questo senza alcuna azione compensatrice e quindi contraddicendo l’enunciato di Clausius. Ne consegue che la seconda macchina non può avere una frazione utilizzata maggiore ma può solo essere minore o uguale. Siccome poi le macchine sono entrambe reversibili possono essere scambiate conducendo in definitiva al fatto che tutte le macchine invertibili operanti fra le medesime temperature hanno frazioni utilizzate uguali. ________________________________________________________ 8 Entropia Evidenze sperimentali portano a scrivere, per una trasformazione chiusa la seguente diseguaglianza assunta a principio. Q Ti 0 i Sia da esperimenti con termofluosistemi che con sistemi chiusi statici tipo cilindro stantuffo. Nel caso più semplice l’evidenza deriva dalla impossiblità riscontrata di costruire una macchina motrice semplice con rendimento pari a quello della macchina di Carnot. Si nota inoltre che tanto più lentamente e tanto “meglio” (minimizazione di tutti i gradienti e degli attriti) vengono eseguite le trasformazioni tanto più la sommatoria tende a zero. Trasferito nel continuo il principio può essere scritto come Q Q Q ( e 0 ) T 0 o anche T e T e 0 Ne consegue l’esistenza di una funzione di stato S definita come di seguito Q ds e T 2 Q S 2 S1 e 1, 2 T 1 Quindi, essendo s una funzione di stato possiamo effettuare trasformazioni diverse che conducono da uno stato 1 ad uno stato 2 ma la somma di calore su temperatura e produzione entropica non muta. Questo può essere dedotto anche direttamente dall’integrale chiuso: Si consideri la trasformazione chiusa comprendente i punti A e B come da seguente figura Per il ciclo 1-A-2-B-1 potrò scrivere Q e e 0 2B T 1A D’altra parte per il percorso 1-A-2-C-1 2 Q T 1 x Q Q 1 A T e 2C T e 0 Sottraendo si ottiene l’indifferenza dell’integrale rispetto ai percorsi B o C. 2 2 A B 1 C 1 y Q Q 2 B T e 2C T e 1 1 9 Data l’arbitrarietà dei percorsi B e C questo si traduce direttamente nell’esistenza di un differenziale esatto di una funzione che dipende solo dagli estremi. 1 ds costante s 1 s2 2 Caso reversibile In presenza di un processo reversibile e quindi invertibile , l’applicazione con segno opposto degli stessi scambi con l’esterno porta il sistema e l’ambiente nelle condizioni iniziali. Scriveremo perciò 2 Q e 1, 2 Andata S 2 S1 T 1 1 Ritorno S1 S 2 Q e 2,1 T Dovendo essere gli scambi termici puntualmente e globalmente identici ma con segno opposto sommando le espressioni avremo: e 1, 2 e 2,1 0 2 Ne consegue che per una trasformazione reversibile Q ds rev T Altre cose seguono ad esempio: Qi T i 0 Q2 T2 Q1 T1 per cui 1 T2 per qualsiasi macchina T1 Inoltre Q T 0 implica che se in qualche parte del sistema si assiste ad uno scambio termico positivo (entrante) allora obbligatoriamente esisterà anche uno scambio <0 (uscente) . impossibilità di una macchina ciclica monotermo diabatica (enunciato di Kelvin). Implica pure che in un sistema semplice (a due sorgenti), in assenza di azioni compensatrici esterne, il calore fluisce spontaneamente dalla sorgente calda a quella fredda. Infatti Q Q1 Q2 QT QT 0 Q1 Q2 2 1 Q2 0 2 1 Q2 T 0 T1 T2 T2 T2 Essendo T1>T2 dovrà essere Q2 0 e Q1 0 10