Siena Istituita dal Conte Guido Chigi Saracini nel 1932 Eretta in Fondazione con Decreto Presidenziale del 17 ottobre 1961 16 luglio 71a Settimana Musicale Senese 10-17 luglio 2014 SPECCHI Siena Presidente Antonella Mansi Vicepresidente Vittorio Carnesecchi Direttore artistico Aldo Bennici Direttore amministrativo Angelo Armiento Consiglio di Amministrazione Donatella Capresi Fondazione Monte dei Paschi di Siena Vittorio Carnesecchi Rettore Società Esecutori Pie Disposizioni Maria Elisabetta Cuccia Provincia di Siena Stefano Fabbri Fondazione Monte dei Paschi di Siena Enrico Granata Fondazione Monte dei Paschi di Siena Stefano Jacoviello Comune di Siena Danilo Lombardi Comune di Siena Michele Napolitano Ministero Beni e Attività Culturali Alessio Rosati Fondazione Monte dei Paschi di Siena Da nominare Regione Toscana Collegio dei revisori dei conti Effettivi Marco Baglioni Fondazione Monte dei Paschi di Siena Fabio Coviello Ministero Beni e Attività Culturali Pompilio Romano Comune di Siena Supplenti Donatella Gavioli Ministero Beni e Attività Culturali Lucia Mangani Fondazione Monte dei Paschi di Siena Assistente del Direttore artistico e Responsabile della Biblioteca Cesare Mancini Capo servizio attività didattiche e artistiche Carla Bellini Capo servizio segreteria amministrativa Maria Rosaria Coppola LA 71a SETTIMANA MUSICALE SENESE: QUANDO LA TRADIZIONE POPOLARE E LA MUSICA COLTA S’INCONTRANO Aldo Bennici Direttore artistico dell’Accademia Musicale Chigiana Da tempo accarezzavo l’idea di poter organizzare proposte musicali che stabilissero confronti e dialoghi fra la musica etnica e quella colta, solleticato in ciò dalla mia personale esperienza di musicista vissuta accanto a Luciano Berio. L’occasione è arrivata, del tutto inaspettata, quando, dopo aver deciso di concludere la mia carriera pluriennale di Direttore artistico dell’Accademia Chigiana, mi è stato chiesto di mettere a frutto ancora una volta la mia lunga esperienza di organizzatore musicale per fronteggiare un momento particolarmente difficile nella vita stessa della Chigiana, e disegnare (in poco tempo e con risorse economiche assai contenute rispetto ad una volta) la programmazione della Settimana Musicale Senese e dell’Estate Musicale Chigiana. L’intenzione di avvicinare quei due ambiti musicali, abbattendo così ogni sorta di confine, è diventata predominante, e poteva essere estesa, come un filo rosso, all’intero calendario degli appuntamenti della Settimana Musicale. Nasce così Specchi, il titolo che raccoglie le manifestazioni della Settimana Senese 2014: occasioni dove la tradizione musicale tramandata per via orale e di ogni provenienza geografica si confronta con i grandi classici, dando vita a un gioco continuo di corrispondenze e di cambi di prospettiva, proprio come i continui riflessi che movimentano la superficie di uno specchio. In questo trova anche nuova affermazione il mio personale amore per l’etnomusicologia, disciplina che, del resto, proprio all’Accademia Chigiana ebbe, anni fa, una sua particolare autorevolezza didattica grazie alle cattedre tenute da due illustri studiosi come Diego Carpitella e Roberto Leydi. Il gioco dei raffronti e delle differenti angolazioni è affermato fin dalla serata inaugurale, che avvicina le musiche di scena per l’Arlésienne di Bizet a quelle (appositamente commissionate dalla Chigiana, e in prima esecuzione assoluta) per Blanquette di Azio Corghi: queste ultime basate su un racconto di Alphonse Daudet presente in quelle stesse Lettres de mon moulin seguite da Bizet nel suo capolavoro. Uno stesso testo visto nello specchio musicale della contemporaneità, secondo un’operazione che conferma, ancora una volta, l’attenzione delle programmazioni chigiane alla musica del nostro tempo. Il concerto intitolato Santi e santini vuol far riflettere su come l’esigenza di spiritualità, da sempre insita nell’uomo, possa esprimersi con pari intensità sia nella quotidianità semplice del canto popolare sia nell’universalità ‘alta’ del capolavoro conclamato. Ascolteremo così le espressioni di fede intonate nei canti sacri della tradizione sarda, accanto a quelle, raccolte e non di rado imbevute di gusto operistico, dello Stabat Mater di Boccherini. È ancora la tradizione popolare, stavolta quella di alcune canzoni sefardite, ad essere vista con gli occhi della contemporaneità in Juego de Siempre di Betty Olivero, compositrice israeliana fortemente legata all’Italia, avendo vissuto a Firenze ai tempi dei suoi studi con Berio. Questa pagina è messa a fianco di un’antologia di antiche canzoni spagnole raccolte e armonizzate da Federico García Lorca: omaggio, questo, alla figura del conte Guido Chigi Saracini, che acquistò una delle prime edizioni della raccolta. Il volume è oggi conservato nella Biblioteca dell’Accademia. Visioni andaluse: ecco dunque il titolo del concerto. Ravvicinamenti testimonianza di innovazioni sono poi quelli che caratterizzano l’appuntamento con i Solisti di Pavia ed Enrico Dindo, protagonisti di un viaggio fra Weimar e Mar del Plata: da una parte Carl Philipp Emanuel Bach, secondogenito di Johann Sebastian, nella cui musica avanza un’espressività moderna e che punta al pieno coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore. Dall’altra, Astor Piazzolla, che riesce sempre a dare il colore del tango anche nelle ‘altre’ musiche, e che alla tradizione del tango dà una nuova dignità artistica, fatta di significati malinconici e sensuali. La proposta di Naturale di Berio assieme ad alcuni canti della tradizione siciliana è la testimonianza, affettuosa e sentita, dei miei legami personali con la terra che mi ha visto nascere e con la figura di un grande amico musicista. Quei canti di mare, quelle abbagnate (le prolungate esclamazioni dei venditori ambulanti), furono da me personalmente raccolti. Berio ne rimase letteralmente affascinato. Nacquero Voci, e poi Naturale, dove la viola commenta quel tessuto di canti popolari registrati, da me tenuto a battesimo ed eseguito infinite volte. Un tocco di autenticità, nella seconda parte della serata, sarà assicurato dalla presenza dell’attore-cantante Maurizio Sazio, che ci offrirà le atmosfere di quei canti con la schiettezza e l’intensità di un antico cantastorie. I ritmi sfrenati della tarantella, filtrati dalle riappropriazioni colte di Stravinskij, Beethoven, Szymanowski e Sarasate, si sposano infine alla gestualità altrettanto scatenata della pizzica (che ne è la variante più tipicamene salentina), per scandire l’appuntamento conclusivo della Settimana Musicale Senese. Edoardo Zosi, violinista già allievo dell’Accademia Chigiana, e l’Orchestra Popolare Italiana con Ambrogio Sparagna si avvicenderanno per una conclusione dalle atmosfere trascinanti e festose, dove la tradizione popolare non s’intimidisce accanto alle note della musica colta. Linguaggi diversi che trovano così una loro dimensione comune. Anche perché ho sempre amato la musica. Tutta. Mercoledì 16 luglio Cortile di Palazzo Chigi Saracini ore 21.15 Cunto un canto Mercoledì 16 luglio Cortile di Palazzo Chigi Saracini ore 21.15 Cunto un canto Luciano Berio Oneglia 1925 - Roma 2003 Naturale su melodie siciliane per viola sola, percussione e voce registrata (1985) Carmelo Giallombardo viola Jonathan Faralli percussioni Francesco Giomi (Tempo Reale) regia del suono Canti della tradizione siciliana Quantu basilicò Ntra viddi e vaddi A curuna Vurria fari un palazzu Mamma vi l’haiu persu lu rispettu Cu ti lu dissi La tirannia - Lu focu di la paglia U cunigghiu Maria di Gèsu I pirati a Palermu Vitti na bedda Mi votu e mi rivotu A virrinedda Picciriddi unni iti? - La siminzina Maurizio Sazio attore-cantante Simone Vallerotonda chitarra NATURALE Luciano Berio L’atto della trascrizione, come quello della traduzione, può implicare tre diverse condizioni: una identificazione del compositore con il testo musicale originale, l’assunzione del testo come pretesto di sperimentazione e, infine, la sopraffazione del testo, la sua decostruzione e il suo abuso filologico. Penso che si dia una soluzione ideale quando queste tre condizioni coesistono. È solo allora, credo, che la trascrizione diventa un atto realmente creativo e costruttivo. Naturale, scritto tra il 1985 e il 1986 per Aldo Bennici e l’Aterballetto, è un pezzo concepito per la danza ed è in parte derivato da un lavoro più complesso del 1984 (Voci, per viola e due gruppi strumentali), dove viene posto, appunto, il problema della convergenza di quelle tre condizioni. I testi originali di Naturale sono canzoni siciliane commentate dalla voce di Celano, forse l’ultimo vero cantastorie siciliano, che ebbi il privilegio e la fortuna di incontrare (e registrare) a Palermo nell’estate del 1968. Sono profondamente grato ad Aldo Bennici per avermi fornito i documenti originali: canti di lavoro, d’amore, ninne nanne. La voce di Celano si inserisce nel percorso strumentale della viola, cantando invece delle abbagnate (canti di venditori ambulanti) di rara intensità. Con Naturale, come già con Voci, spero di contribuire a sollecitare un interesse più approfondito per il folklore musicale siciliano che, con quello sardo, è sicuramente il più ricco, complesso e incandescente della nostra cultura mediterranea. AMURI CA DI NOTTI VAI CANTANNU Paolo Scarnecchia Come delineare il paesaggio sonoro della Sicilia date le dimensioni dell’isola, la più grande del Mediterraneo, e a fronte delle profonde trasformazioni economiche e sociali degli ultimi decenni? La ricchezza delle indagini etnografiche del passato registrava una varietà di canti legati ad attività e mestieri oramai scomparsi, e una parte del repertorio musicale di tradizione orale ha perduto la sua funzione sociale e vive oramai cristallizzato nella riproduzione della memoria del passato. Ma basta cercare riparo dal rumore del traffico della città e addentrarsi nei vicoli di un mercato per cogliere i tratti più originali di una musicalità iperbolica. Le abbanniate, grida e richiami dei venditori che si levano dai banchi per decantare le qualità delle proprie mercanzie, sono piccoli capolavori di retorica carichi di allusioni e doppi sensi, ma soprattutto cascate di suoni che si spandono e si diffondono nell’aria. All’attività mercantile è storicamente legata un’altra forma di canto detto a la carrittera, appannaggio dei trasportatori di merci che hanno progressivamente abbandonato i carretti, utilizzati solo in ambito folkloristico, sostituendoli con motofurgoni o furgoni. I carrettieri facevano tappa nei fondaci, per ristorarsi, e si cimentavano nella esecuzione di canti di argomento amoroso, descrivendo le grazie muliebri, o ʻdi sdegno’ lamentando il sentimento non corrisposto o la rottura di un legame amoroso, o di ʻspartenza’ esprimendo il dolore della separazione. Dal punto di vista metrico, il modello principale della canzuna è costituito dalla ottava detta siciliana, composta da otto versi endecasillabi a rima alternata, che nella intonazione vengono suddivisi in distici, separati da pause di silenzio e caratterizzati dalla discesa melodica cadenzale che conclude ciascuna coppia. L’emissione vocale, spinta nel registro acuto, presenta una ricca ornamentazione melismatica, oltre che lunghe note tenute, in modo tale che una ottava cantata può durare quattro, cinque e in alcuni casi persino sei minuti, trasfigurando il lirismo poetico in lunghe e arcuate planate melodiche. Dalla vocalità siciliana emergono tratti più o meno arcaici che appartengono alle funzioni narrative del canto e alla conservazione della memoria di storie, leggende e racconti. Uno dei suoi aspetti più orginali e singolari è legato all’arte vocale dei cuntastori, o pupari, che danno voce e movimento alle marionette dell’Opera dei pupi. La loro capacità di evocare suoni ambientali, oltre che di dare identità vocale ai diversi personaggi, i paladini del ciclo carolingio, contribuisce al fascino della affabulazione epico-cavalleresca ricca di colpi di scena e di esplosioni sonore. Se il cunto siciliano si svolge in punta di spada, quella roteata dai paladini e dai loro nemici, la tradizione dei pueti-cantastorii prevede che il cantore/narratore, ben visibile al pubblico, indichi con una bacchetta le vignette di un cartellone che riassumono per immagini le vicende storiche o di attualità raccontate attraverso il canto accompagnato dalla chitarra. Mentre tale pratica è ancora viva e si rinnova, esiste una categoria estinta di cantastorie siciliani chiamati orbi, ma detti anche sunaturi, che erano riuniti in congregazioni e interpretavano canti religiosi in onore della Vergine e dei santi. Alla loro condizione di cecità veniva attribuito un valore quasi sacrale, e la associazione tra il buio e l’ignoto li rendeva mediatori di un mondo non accessibile alla vista. Il ricco repertorio di nuvene e triunfi che si è stratificato nel tempo, testimonia l’esuberanza della devozione popolare e rappresenta il sentimento del sacro, con punte di barocca drammaticità. La presenza di quelli che si possono definire ʻromanzieri della voce’ differenzia il paesaggio sonoro siciliano da quello delle altre regioni italiane, ma tra le diverse forme di canto il culmine del pathos è raggiunto nel repertorio dei lamenti della Settimana Santa, intonati in forma processionale e legati alla vita sociale di numerose confraternite. Le diverse forme di intonazione, monodiche, responsoriali, e polivocali, con il loro andamento lento e solenne rappresentano un rituale paraliturgico di particolare intensità nel quale si utilizzano versi in italiano, siciliano e latino. A questa ultima categoria appartengono gli inni, lo Stabat Mater, il Miserere e l’improperia Popule meus. Ma nella memoria della tradizione orale, oltre alle forme di canto che sono prerogativa del mondo maschile, c’è una parte significativa che storicamente appartiene all’universo femminile. Si tratta dei canti del ciclo della vita, da quelli di culla, naca, legati all’infanzia con le cantilene e le filastrocche, ai canti nuziali, fino a quelli per i defunti, che comprendono lo strepitu e le orazioni funebri, dette diesille (deformazione di Dies irae). Da questo humus si è levata la voce dolente di Rosa Balistreri, che ha lasciato un segno indelebile nella memoria della musica siciliana, e che rielaborando le fonti storiche dei canti di tradizione orale raccolti da Alberto Favara e intonando versi di Ignazio Buttitta ha marchiato a fuoco l’anima sonora dell’isola. Nel canzoniere siciliano è impossibile dimenticare il sudore e la fatica del lavoro agricolo, pastorale o marittimo, la miseria e la fame, la gelosia, il tradimento e l’offesa all’onore, al di là di ogni possibile luogo comune. testi traduzioni Quantu basilicò Quantu basilicò simini ogni annu tu mi nn’ha dari ‘na cima a lu jornu Quanto basilico Quanto basilico semini ogni anno tu devi darmene un germoglio al giorno Ah! si vo’ lu me’ curuzzu ti lu mannu lu to’ mi l’ha mannari a lu ritornu Ah! Se vuoi il mio piccolo cuore te lo manderò dovrai mandarmi il tuo di ritorno Ah! li carnuzza tua ciavuru fannu ca cu li ciara ci passa lu sonnu Ah! Le tue carni delicate sono profumate che chi le odora perde il sonno Ah beddu ah! Siddu t’avissi a me’ cumannu dumani mi susissi a menzijornu Ah mio adorato! Ah! Se tu fossi sotto il mio comando domani mi alzerei a mezzogiorno Ntra viddi e vaddi Ntra viddi e vaddi Nda viddi e vaddi e nda voscuri funni unn’é l’amanti mia di ccà mi spriu a vaju pi circari e ‘un trovu dunni pi lu so amuri lu munnu firriu. Tra ville e valli Tra ville e valli Tra ville e valli e tra boschi fitti dov’è l’amante mia da qui mi chiedo vado per cercarla e non trovo dove per amore suo giro il mondo Mi votu cu lu mari e spiu all’unni mi dati nova di lu beni miu e l’ecu di luntanu m’arrispunni ca schiava di li turchi si nni ju. Mi rivolgo al mare e chiedo alle onde «mi date nuova del bene mio?» e l’eco da lontano mi risponde che schiava dei turchi se ne è andata. M’addisiassi la spada d’Orlannu quantu girassi pi tuttu lu munnu la mè Agatuzza nni mori chist’annu cù v’affirravi... ivi! mi cunfunnu. Vorrei la spada di Orlando per poter girare tutto il mondo la mia Agatina morirà quest’anno! Chi ti ha preso?... Ah! Mi confondo. Fu sua madre che con cuore tiranno Fu sò mammuzza cu cori tirannu la mannau a mari a circari lu nunnu comu ncagliasti, ‘un sintisti lu bannu «un ci jti a mari li turchi cci sunnu». l’ha mandata a mare a cercare il nonno. Come ci sei cascata, non hai sentito il bando «non andate a mare chè ci sono i Turchi». Pigliati l’armi curriti picciotti ci voli forza e curaggiu di tutti cu misi ncruci e cu mpindia a li crocchi comu traseru sti nfamazzi turchi. Impugnate le armi, correte picciotti ci vuole la forza e il coraggio di tutti chi ha crocifisso e chi ha appeso alla forca come sono entrati questi infami turchi. A curuna Arsira lu me beddu vinni fora supra un cavaddu d’oru chi vulava. Sutta li me finestri e li balcuna c’un fazzulettu nmanu e lacrimava. La corona Ieri sera il mio amore è uscito volando sopra un cavallo d’oro. Sotto le mie finestre e i miei balconi lacrimando con un fazzoletto in mano. S’affaccianu lu re cu la rigina a sta picciotta l’hamu a ncurunari. Su picciridda e nun canciu parola a iddu vogliu e non vogliu curuna. Si affacciano il re e la regina questa ragazza dobbiamo incoronare. Sono piccola e non cambio parola solo lui voglio e non voglio corona. Vurria fari un palazzu Vurria fari un palazzu supra un munti firriateddu di petri ddomanti. Vorrei fare un palazzo Vorrei fare un palazzo sopra un monte contornato di pietre di diamante. Po’ fari du’ finestri faccifrunti, quantu cci affacci tu, bedda galanti. Poi fare due finestre di rimpetto affinché ti affacci tu, bella galante. Vìviri cci vurria nna sti to’ junti nta sta funtana chi teni davanti. Vorrei bere nel cavo delle tue mani in questa fontana che tieni davanti. Sa chi ti dicu… tiramu li cunti tu t’abbatti nnarrè e ju nn’avanti. Sai cosa ti dico… non esitiamo tu piegati all’indietro e io in avanti. Mamma vi l’haju persu lu rispettu Mamma vi l’haju persu lu rispettu di la finestra lu (natichi tunni e llariulé) di la finestra lu fici acchianari. Tu parla, parla mi lu tegnu strittu la schetta vecchia nun (natichi tunni e llariulé) ca schetta vecchia nun vogliu ristari, ca schetta vecchia nu (natichi tunni e llariulé) ca schetta vecchia nun vogliu ristari, Nni nni fejemu dirittu dirittu poi comu voli Diu (natichi tunni e llariulé) poi comu voli Diu m’a maritari. Mamma vi ho disonorata Mamma vi ho disonorata dalla finestra l’ho (natichi tunni e llariulé) dalla finestra l’ho fatto salire. Tu chiacchiera quanto vuoi, io me lo tengo stretto perché nubile non (natichi tunni e llariulé) perché nubile e vecchia non voglio restare, perché nubile e vecchia no (natichi tunni e llariulé) perché nubile e vecchia non voglio restare. Ce ne fuggiamo diritto diritto poi come vuole Dio (natichi tunni e llariulé) poi come vuole Dio mi debbo sposare. Cu ti lu dissi Cu ti lu dissi ca t’haju a lassari megliu la morti e no chistu duluri ahj ahj ahj ahj moru moru moru moru ciatu di lu me cori l’amuri miu si tu. Chi te lo ha detto Chi te lo ha detto che debbo lasciarti meglio la morte e non questo dolore ahj ahj ahj ahj muoio, muoio, muoio, muoio, anima della mia anima, l’amore mio sei tu. Cu ti lu dissi a tia nicuzza lu cori mi scricchia a picca a picca, a picca a picca ahj ahj ahj ahj moru moru moru moru ciatu di lu me cori l’amuri miu si tu. Chi lo ha detto a te piccolina il cuore mi si scricchiola a poco a poco, a poco a poco ahj ahj ahj ahj muoio, muoio, muoio, muoio, anima della mia anima, l’amore mio sei tu. Lu primu amuri lu fici cu tia e tu schifusa ti stai scurdannu a mia paci facemu oh nicaredda mia ciatu di l’arma mia l’amuri miu si tu. Il primo amore l’ho fatto con te e tu schifiltosa ti stai scordando di me pace facciamo oh piccolina mia anima della mia anima, l’amore mio sei tu. A tirannia Ccà sutta nta stu nfernu puvireddi ah! nui simu cunnannati a tirannia. La tirannia Qui sotto, in questo inferno, poveretti noi siamo condannati alla tirannia. Ca nmucca di li lupi su l’agneddi ah! chiancitinni, chianciti oh! mamma mia. Che in bocca ai lupi sono gli agnelli ah! piangeteci, piangete mamma mia. La tirannia li carcagna ncarca ah! l’abusu e lu putiri strica e curca. La tirannia sottomette l’abuso e il potere sfruttano e annientano. Ca ogni nazioni ca sta terra sbarca si diverti cu nui sempri a la turca. Ogni nazione che questa terra invade si diverte con noi sempre a la turca. Sempri lu riccu nfrunti nni rincarca a biviri ni tocca amara urca. Il ricco sempre di più ci opprime ci tocca bere da un amaro orcio. E si accussì nni secuta la varca ah! megliu ca ni nni jssimu a la furca. E se così seguiterà la [nostra] sorte meglio per noi finire sulla forca. Lu focu di la paglia Lu focu di la paglia pocu dura quantu l’amuri di la munzignara l’amuri ca durò menu d’un ura vampa la capricciusa di mavara. Il fuoco della paglia Il fuoco della paglia dura poco quanto l’amore di una bugiarda l’amore che durò meno di un’ora è il fuoco capriccioso di una megera. L’occhiu amurusu miu ti vitti chiara surgiva d’acqua cristallina e pura ma mètiri li petri di ciumara è lu risparmiu di la fugnatura. L’occhio mio di innamorato ti vide chiara sorgente di acqua cristallina e pura ma tolte le pietre alla fiumara resta il fango per la fogna. Stannu sunannu a mortu li campani ora ca tu ammazzasti lu miu amuri lu suli ca scurò cielu è lu mari e lu me cori è chinu di duluri. Stanno suonando a morto le campane ora che tu hai ucciso il mio amore il sole si è oscurato, anche il cielo e il mare e il mio cuore è pieno di dolore. Mi lu mittisti a modu di littani stannu scavannu fossi e sipurturi cercanu crozzi e mali cristiani pi darimi li spini ncanciu di ciuri! Hai dato il mio cuore ai becchini stanno scavando fosse e sepolture cercano teschi e gente cattiva per darmi spine invece che fiori. U cunigghiu Lu cunigghiu c’hàvi lu mussu e lu mussu l’aviti vui jù stanotti mi lu’ nzunnai mussu cu mussu curcata cu vui. Ah la cirasa, la cirasa chi ciavuru fa, sta picciuttedda mi stringi e mi vasa ca voli a cirasa ca pampina. Lu cunigghiu c’hàvi lu ciatu e lu ciatu l’aviti vui jù stanotti mi lu ‘nzunnai ciatu cu ciatu curcata cu vui. Ah lu cutugnu, lu cutugnu chi ciavuru fa sta picciuttedda mi stringi e mi vasa ca voli u cutugnu ca pampina. Lu cunigghiu c’hàvi lu pettu e lu pettu l’aviti vui jùstanotti mi lu ‘nzunnai pettu cu pettu, curcata cu vui. Ah la cirasa, la cirasa chi ciavuru fa, sta picciuttedda mi stringi e mi vasa ca voli a cirasa ca pampina. Lu cunigghiu c’hàvi la panza e la panza l’aviti vui jù stanotti mi lu ‘nzunnai panza cu panza, curcata cu vui. Ah lu cutugnu, lu cutugnu chi ciavuru fa sta picciuttedda mi stringi e mi vasa ca voli u cutugnu ca pampina. Lu cunigghiu c’hàvi la coscia e la coscia l’aviti vui jù stanotti mi lu ‘nzunnai coscia cu coscia curcata cu vui. Ah la cirasa, la cirasa chi ciavuru fa, sta picciuttedda mi stringi e mi vasa ca voli a cirasa ca pampina. Il coniglio Il coniglio ha il muso e il muso avete anche voi e stanotte me lo sognai muso con muso coricata con voi. Ah la ciliegia, la ciliegia che odore che fa questa ragazza mi stringe e mi bacia perché vuole la ciliegia con la foglia. Il coniglio ha il fiato e il fiato avete anche voi e stanotte me lo sognai fiato con fiato coricata con voi. Ah la cotogna, la cotogna che odore che fa, questa ragazza mi stringe e mi bacia perché vuole la cotogna con la foglia. Il coniglio ha il petto e il petto avete anche voi e stanotte me lo sognai petto con petto coricata con voi. Ah la ciliegia, la ciliegia che odore che fa questa ragazza mi stringe e mi bacia perché vuole la ciliegia con la foglia. Il coniglio ha la pancia e la pancia avete anche voi e stanotte me lo sognai pancia con pancia coricata con voi. Ah la cotogna, la cotogna che odore che fa, questa ragazza mi stringe e mi bacia perché vuole la cotogna con la foglia. Il coniglio ha la coscia e la coscia avete anche voi e stanotte me lo sognai coscia con coscia coricata con voi. Ah la ciliegia, la ciliegia che odore che fa, questa ragazza mi stringe e mi bacia perché vuole la ciliegia con la foglia. Maria di Gèsu Di Trapani passàu Maria di Gèsu ncoddu li marinari la purtaru. Maria di Gesù Da Trapani passò Maria di Gesù i marinai a spalle la portarono. Li munaceddi subitu scinneru ed a Maria lu velu arrigalaru. Le piccole monache scesero subito e a Maria il velo regalarono. Maria ci arrispunniu sutta lu velu «Figli, vi binidicu e mi nni vaiu». Maria rispose da sotto il velo «Figli, vi benedico e me ne vado». Tinchi tinchi la campanedda vann’annannu li virgineddi vann’annannu cu Maria vannu dicennu la litania. Tinchi tinchi la campanella ora vanno le piccole vergini ora vanno con Maria vanno dicendo la litania. I pirati a Palermu Arrivaru li navi tanti navi a Palermu li pirati sbarcaru cu li facci di nfernu. N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu allu scuru, chi scuru, Sicilia... chianci. Tuttu l’oru all’aranci li pirati arrubbaru li campagni spugghiati cu la neggia lassaru. N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu allu scuru, chi scuru, Sicilia... chianci. Li culura a lu mari arrubbaru chi dannu! Su mpazzuti li pisci chi lamentu chi fannu. N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu allu scuru, chi scuru, Sicilia... chianci. A li fimmini nostri ci scipparu di l’occhi la lustrura e lu focu c’addumava li specchi. N’arrubbaru lu suli, lu suli, arristammu allu scuru, chi scuru, Sicilia... chianci. I pirati a Palermo Sono arrivate le navi tante navi a Palermo i pirati sono sbarcati con facce d’inferno. Ci han rubato il sole, il sole, siam rimasti al buio, che buio, Sicilia... piangi. Tutto l’oro delle arance han rubato i pirati, le campagne spoglie nella nebbia han lasciato. Ci han rubato il sole, il sole, siam rimasti al buio, che buio, Sicilia... piangi. I colori del mare ci hannno rubato, che danno! I pesci sono impazziti. Che lamento che fanno. Ci han rubato il sole, il sole, siam rimasti al buio, che buio, Sicilia... piangi. Alle nostre donne han strappato dagli occhi lo splendore ed il fuoco che illuminava gli specchi. Ci han rubato il sole, il sole, siam rimasti al buio, che buio, Sicilia... piangi. Vitti na bedda Vitti na bedda affacciata a na finestra c’abbivirava lu bacilicò. Ho visto una bella ragazza Ho visto una bella ragazza affacciata alla finestra che innaffiava il basilico. E jù ci dissi dammini ‘na ‘nticchia idda mi rissi è tuttu lu tò. Ed io le ho detto: dammene un poco; lei mi rispose: è tutto tuo. Fammini iri mé matri a la missa ca ti lu dugnu cu tutta la grasta. Fai andare mia madre alla messa che te lo do con tutto il vaso. Alla turnata ci tornu a passari persi la grasta e lu bacilicò Al ritorno passo di nuovo ho perduto il vaso e il basilico. e cu lu sì e cu lu no di notti si chianta lu bacilicò. E con il sì e con il no di notte si pianta il basilico. Mi votu e mi rivotu Mi votu e mi rivotu suspirannu passi li notti enteri senza sonnu. e li biddizzi toi vaju cuntimplannu li passu de la notti ‘nsino a jornu. Pi tia non pozzu ora chiù dormiri paci nun havi cchiù, st’afflittu cori. Lu sai quannu ca iu t’haiu a lassari: quannu la vita mia finisci e mori Lu sai quannu ca iù taiu a lassari quannu la vita mia finisci e mori. Mi giro e mi rigiro Mi giro e mi rigiro sospirando passo le notti intere senza sonno. E contemplando le tue bellezze le ripenso nella notte fino a quando fa giorno. Per te ora non posso più dormire pace non ha più questo afflitto cuore. Tu lo sai quando dovrò lasciarti: quando la vita mia finisce e muore. A virrinedda Accattari vurria na virrinedda di notti la to porta spirtusari vidiri gioia mia quantu si bedda quannu ti spogli prima di curcari. E temu ca nun fussi accussì bedda ca l’occhi nun m’avissiru annurbari lassa la porta misa a spaccazzedda ca ju stanotti ti vegnu a truvari. E na varcuzza banneri banneri sta dia d’amuri ni vinni a purtari La verrina Vorrei comprare una piccola verrina di notte la tua porta bucherellare vedere gioia mia quanto sei bella quando ti svesti prima di coricarti. E temo che tu sia così bella da rimarne accecato lascia la tua porta accostata che questa notte vengo a trovarti. Una barchetta tutta imbandierata questa dea d’amore venne a portarci ridianu tutti li cilesti sferi trimavanu li specchi di lu mari. Binidittu lu Diu chi ti manteni c’accussì bedda ti vosi furmari spampinanu li ciuri unn’é ca veni l’ariu tribulatu fai sirinari. Avia li trizzi di na Mantalena ntesta si miritava na curuna nni la to casa nun ci sta lumera lu lustru lu fai tu, stidda Diana. Catina ca mi teni ncatinatu catina chi ncatini l’arma mia beni ti vogliu cchiù di lu me ciatu accussì criu ca vo beni a mia. sorridevano tutte le celesti sfere luccicavano gli specchi del mare. Benedetto quel dio che ti fa vivere ché così bella ha voluto formarti impallidiscono i fiori dove passi e l’aria tempestosa fai rasserenare. Aveva le trecce di una Maddalena sul capo meritava una corona nella tua casa non c’è lanterna la luce la fai tu, stella Diana. Catena che mi tieni incatenato catena che incateni l’anima mia bene ti voglio più del mio respiro così spero tu voglia bene a me. Picciriddi, unni iti Picciriddi, unni iti cu sta’ bedda matinata? «emu a cogghiri ciuriddi i chiù beddi ca ci su». Gesuzzu lu beddu, ca è ’ncarzarateddu è sulu suliddu, ca nuddu ci va. Ci va la so parrina, ci cogghi un mazzittinu e ci lu metti in pettu, chi sciauru ca fa. Sona sona ‘manziornu e la tavula è misa intornu, e lu pani arranciteddu, ora veni lu bammineddu; ora ora lu vitti passari cu na cruci longa longa e passava di la Badia, sangu russu ci curria; ci curria riolu riolu, comu l’acqua di lu cannolu, Maria carmelitana, veni e vidi sta funtana; e trovava lu so figghiolu tuttu vistutu di sita e d’oru; Bambini dove andate? Bambini dove andate con questa bella mattinata? «andiamo a raccogliere i fiorellini i più belli che ci sono». O Gesù, il bello, che è incarcerato è solo soletto, perché nessuno va da lui. Con lui va la sua padrina, gli coglie un mazzettino di fiori e glielo mette in petto, che odore che fa. Suona suona, mezzogiorno e la tavola è messa intorno, e il pane è un po’ rancido, ora viene il bambinello; ora, ora lo vidi passare con una croce lunga lunga e passava dalla Badia, sangue rosso gli colava; gli colava a rivoli, a rivoli, come l’acqua di una fontana, Maria carmelitana, vieni e vedi questa fontana; e trovava il suo figliuolo tutto vestito di seta e d’oro; ci mancava la cammisedda faccila tu Mariuzza bedda, ci mancava la cammisedda faccila tu Mariuzza bedda. gli mancava la camicetta fagliela tu Mariuccia bella, gli mancava la camicetta fagliela tu Mariuccia bella. La siminzina Bo e l’aribò ora veni lu patri tò e ti porta la siminzina la rosa marina e lu basilicò e ti porta la siminzina la rosa marina e lu basilicò. O figghia mia lu santu passau e di la bedda mi ‘nni spiau e ju ci dissi la bedda durmia e dormi figghia di l’arma mia. E ju ci dissi la bedda durmia e dormi figghia di l’arma mia. Vo vo vo dormi figghia e fai la vò. Vo vo vo dormi figghia e fai la vò. La semenza Bo e l’aribò ora arriva tuo padre, e ti porta la semenza, la rosa marina e il basilico, e ti porta la semenza, la rosa marina e il basilico. O figlia mia, il santo è passato e della bella mi ha chiesto, ed io gli ho detto che la bella dormiva, e dormi, figlia dell’anima mia. Ed io gli ho detto che la bella dormiva, e dormi, figlia dell’anima mia. Ninna nanna, dormi figlia e fai la nanna. Ninna nanna, dormi figlia e fai la nanna. Carmelo Giallombardo Consegue il diploma sotto la guida di Piero Farulli, violista del leggendario Quartetto Italiano, e successivamente viene ammesso al corso triennale di alto perfezionamento di viola di Hatto Beyerle presso la Scuola di Musica di Fiesole. Nell’ambito del corso di quartetto d’archi tenuto da Farulli presso l’Accademia Chigiana gli viene assegnato il Diploma d’Onore. Il suo percorso musicale lo porta a seguire anche Bruno Giuranna, Vladimir Mendelssohn e Wolfram Christ. È stato prima viola dell’Orchestra Giovanile Italiana, dell’ORT ed ha collaborato con il Teatro Comunale di Firenze e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il suo interesse per la musica contemporanea, lo porta ad esibirsi in Lussemburgo, Berlino, Monaco, Siena (Accademia Musicale Chigiana), Genova (G.O.G.), e a collaborare con compositori di fama internazionale tra cui Salvatore Sciarrino, Stefano Scodanibbio, Fabrizio Fanticini, Helmut Lachenmann, Simone Fontanelli, György Kurtág, Marco Uvietta, Terry Riley, Gianluca Ulivelli, Steve Reich, Xuyi, Giya Kancheli, Luis De Pablo. Con il Quartetto Prometeo, del quale è stato il violista dalla fondazione (1993) sino al 2010, ha vinto premi in concorsi nazionali ed internazionali (Concorso internazionale Primavera di Praga, Concorso internazionale di Quartetto ARD di Monaco). Ha effettuato concerti e tournées in Europa, Giappone, Stati Uniti, Sud America e collaborato con solisti e cameristi di fama internazionale: Massimo Quarta, Marianna Sirbu, Pavel Vernikov, Andrea Lucchesini, Ludmila Berlinskaia, Enrico Pace, Claudia Antonelli, Michele Campanella, Raphael Drouin, Paolo Beltramini, Marc Desmons, Vladimir Mendelssohn, Mario Brunello, David Geringas, Pier Narciso Masi, Veronica Hagen. Ha effettuato registrazioni radiofoniche per la BBC Radio 3, RAI Radio 3, per la ORF Radio Nazionale Austriaca, ARD di Monaco. Ha inciso per la BMG Ricordi, Real Sound, Zig Zag, Limen music, Kairos. È stato docente di quartetto d’archi presso l’Istituto Pareggiato O. Vecchi di Modena, di viola presso la Scuola di Musica di Fiesole ed è titolare della cattedra di viola presso l’Istituto musicale Rinaldo Franci di Siena. È il violista del Quartetto di Roma e dell’ensemble contemporaneo Policromiensemble. Suona una viola Igino Sderci (1939). Jonathan Faralli Compie gli studi musicali in percussione e composizione presso il Conservatorio Statale di musica L. Cherubini di Firenze, diplomandosi con il massimo dei voti. Si laurea in sociologia dell’educazione presso l’Università degli studi di Firenze. Si diploma in didattica della musica presso il Conservatorio di Fermo. Si perfeziona prima allo Sweelinck Conservatorium di Amsterdam e poi a Strasburgo. Nel 1988 ha vinto il concorso internazionale di percussione Accademia Vibonensis a Bovino. Nel 1994 ha vinto a Dresda il premio Blaue Brucke come miglior interprete per la musica contemporanea in Germania. Collabora come timpanista e percussionista con l’Orchestra della Toscana in maniera continuativa sin dalla sua fondazione nel 1981 e con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino fin dal 1980. Ha fatto parte ed è chiamato tutt’oggi a collaborare con le più famose orchestre italiane suonando nei più prestigiosi auditorium e teatri del mondo sotto la guida dei più grandi maestri. Svolge attività solistica e cameristica tenendo masterclasses e concerti in tutti i continenti, ha collaborato con i compositori più famosi, tra i quali Berio, Sciarrino, Donatoni, Cage ed altri, molti dei quali gli hanno dedicato i loro lavori. Ha fatto parte del gruppo Les Percussions des Strasbourg; collabora con altri numerosi ensemble, tra cui Richard Galliano, i Virtuosi di Mosca, L’European Music Project, ModernTimes, ecc... Collabora con l’Istituto di Ricerca Musicale Tempo Reale (informatica musicale e computer music) fondato da Luciano Berio. Ha al suo attivo molte incisioni discografiche con orchestra, gruppi da camera e come solista, con case discografiche di primo piano. Tra gli ultimi lavori un cd solistico della ARTS dal titolo Percussioni XX secolo, un cd della Stradivarius dal titolo Studi per l’intonazione del mare con musiche di Sciarrino, un cd della Agorà dal titolo Hyxos insieme a Roberto Fabbriciani e Massimiliano Damerini, un cd con la Zig zag dal titolo Histoire d’autres Histoires con musiche di Sciarrino. Attualmente insegna presso l’Istituto P. Mascagni di Livorno e collabora presso la Scuola di Musica di Fiesole dove è tutor per la fila della sezione delle percussioni dell’Orchestra Giovanile Italiana. Tempo Reale Centro di ricerca produzione e didattica musicale, fondato da Luciano Berio a Firenze nel 1987, è oggi un punto di riferimento per la ricerca, la produzione e la formazione nel campo delle nuove tecnologie musicali e della musica elettronica. Dalla sua costituzione il Centro è stato impegnato nella realizzazione delle opere di Berio, opere che lo hanno portato a lavorare nei più prestigiosi contesti concertistici di tutto il mondo. Lo sviluppo di criteri di qualità e creatività derivati da queste esperienze si è riverberato nel lavoro condotto continuativamente tanto con compositori e artisti affermati quanto con giovani musicisti emergenti. I temi principali della ricerca riflettono un’idea di poliedricità che da sempre caratterizza le scelte e le iniziative di Tempo Reale: l’ideazione di eventi musicali di grande spessore, lo studio sull’elaborazione del suono dal vivo, le esperienze di interazione tra suono e spazio, la sinergia tra creatività, competenza scientifica, rigore esecutivo e didattico. Alle attività di ricerca in queste aree vengono affiancate regolarmente manifestazioni, incontri e progetti sul territorio che vedono il Centro collaborare con le principali istituzioni della Toscana, sia in campo musicale, teatrale e di danza, sia nella promozione di una fitta rete di esperienze didattiche. Dal 2013 Tempo Reale è Ente di Rilevanza per lo Spettacolo dal Vivo della Regione Toscana. Maurizio Sazio L.C. (Lillo Claudio) Maurizio Sazio nasce a Catania nel 1969. Architetto, regista e attore, operatore culturale, studia teatro a Firenze presso la Bottega Teatrale Vittorio Gassman nel biennio 1989/91 conseguendo il diploma di attore. Dal 1993 si dedica alla regia e alla progettazione di laboratori mirati alla produzione di spettacoli teatrali, anche come attore. Nel 2005 con Arno Peck e Max Jacob fonda il gruppo musicale e teatrale degli ‘Ncurunati con la messa in scena dello spettacolo ‘Cantu di Rosi e Spini’ tributo omaggio a Rosa Balistreri, con repertorio di prosa e canzoni della tradizione popolare siciliana e successivamente dell’area mediterranea, dove si sperimenta come interprete. Per vari enti pubblici e privati e per l’Associazione ‘Libera’ Palermo, conduce laboratori teatrali sull’attore creativo, per vari tipi di utenza (professionisti e non), e dirige spettacoli perseguendo la sua personale ricerca sull’identità siciliana, il sentimento insulare, la legalità e il territorio di appartenenza. Simone Vallerotonda Nato a Roma nel 1983, ha iniziato gli studi musicali sulla chitarra moderna. Affascinato dalla musica antica ha intrapreso lo studio del liuto con Andrea Damiani al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, dove si è diplomato col massimo dei voti. Ha successivamente conseguito il diploma di master su tiorba e chitarra barocca con il massimo dei voti presso la Staatliche Hochschule für Musik di Trossingen, sotto la guida di Rolf Lislevand. Si è laureato in filosofia col massimo dei voti presso l’Università Tor Vergata di Roma e si è specializzato in estetica col massimo dei voti e la lode, dedicandosi ai rapporti tra la musica del Settecento e i Philosophes. Nel 2011 è risultato miglior classificato al Concorso Nazionale di Liuto Maurizio Pratola e vincitore del concorso REMA (Rèseau Européen de Musique Ancienne). Ha suonato in molti dei più importanti festival europei e presso prestigiose sale da concerto e teatri come la Wigmore Hall di Londra, l’Auditorium de Espinho, Vlamsee Opera di Gent e Anversa, il Teatro Municipal de Santiago del Chile, l’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma, la Salle Poirel Nancy, Casa da Musica di Oporto, la Herkulessal di Monaco, l’Accademia Filarmonica Romana, la Philharmonic Concert Hall di Lodz, il Theater an der Wien. Ha registrato per importanti emittenti radio e televisive e ha inciso per Naïve, Sony, Erato, EMI, Amadeus, Brilliant, Aparthé, E Lucevan Le Stelle Records, Tesori Musicali di Roma. Oltre alla sua attività di solista, collabora come continuista con vari ensembles tra cui: Modo Antiquo, Les Ambassadeurs, Academia Montis Regalis, Musica Antiqua Roma, Soqquadro Italiano, Il Pomo d’Oro. Nel 2014 fonda “Simone Vallerotonda & i Bassifondi”, ensemble con cui propone il repertorio per chitarra, tiorba e liuto del ‘600 e ‘700 sia strumentale sia vocale. Dal 2013 insegna liuto presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Siena Pubblicazione della Fondazione Accademia Musicale Chigiana - Siena A cura di Cesare Mancini Composizione grafica e stampa Tipografia Senese - Siena Foto Roberto Testi - Siena Progetto proprio della con il contributo di sponsor tecnico