CAUSE E CONSEGUENZE DEL BUCO DELL’OZONO A cura di Domenico MARINUCCI A.A. 2009-2010 Introduzione L'ozono (simbolo O3) è un gas, le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno ed è estremamente reattivo; è un energico ossidante e per gli esseri viventi è altamente velenoso. È tuttavia un gas essenziale alla vita sulla Terra per via della sua capacità di assorbire la luce ultravioletta; lo strato di ozono presente nella stratosfera protegge la Terra dall'azione nociva dei raggi ultravioletti UV-B provenienti dal Sole. Lo strato di ozono è una regione dell’atmosfera che possiamo considerare il naturale ‘’schermo della Terra’’ perché filtra le pericolose radiazioni ultraviolette contenute nella luce solare prima che queste raggiungano la superficie terrestre causando danni all’uomo e alle altre forme di vita. Lo strato di ozono si trova nella stratosfera, cioè la parte di atmosfera che si estende ad una quota compresa tra 15 e 50 km, al di sopra della troposfera. Quando si parla di buco nell’ozono si intende la riduzione temporanea dello strato di ozono (in stratosfera) che avviene ciclicamente durante la primavera nelle regioni polari (la diminuzione può arrivare fino al 70% nell'Antartide e al 30% nella zona dell'Artide). Per estensione il termine viene utilizzato per indicare il generico assottigliamento dello strato di ozono della stratosfera che si è riscontrato a partire dai primi anni ottanta. Il buco dell’ozono ha periodicità annuale al di sopra dell’Antartide. A partire dagli anni 1980, si scoprì che la caduta primaverile del livello di ozono a una certa quota al di sopra dell’Antartide era totale e corrispondeva a una diminuzione complessiva di oltre il 50% della quantità totale di questo gas presente nell’atmosfera. E’ quindi appropriato parlare di ‘’buco’’ nello strato dell’ozono, per alcuni mesi, al di sopra dell’Antartide. In media, l’area geografica interessata al buco dell’ozono è aumentata sostanzialmente da quando è stata scoperta e negli anni più recenti ha raggiunto dimensioni confrontabili con quelle dell’America settentrionale. Le cause del buco dell’ozono Esistono diverse teorie a tal proposito; inizialmente non fu chiaro se il buco fosse dovuto a un fenomeno naturale prodotto dai fattori meteorologici oppure a un meccanismo chimico legato all’inquinamento dell’aria. In realtà si è scoperto che sopra l’Antartide la circolazione atmosferica è organizzata 1 come un gigantesco vortice: vi è cioè una massa d’aria isolata dal resto dell’atmosfera che circola, per gran parte dell’anno, intorno al polo australe. Nella tarda primavera, però, il vortice si rompe permettendo un rapido afflusso di aria ricca di ozono proveniente dalle zone tropicali. Quest’aria che viene da nord è più ricca di ozono perché nelle zone calde la formazione di questo gas è favorita dalla radiazione solare più intensa. Lo spostamento si verifica quindi in conseguenza del fatto che l’aria stratosferica tende a migrare spontaneamente dalle grandi altezze sovrastanti i tropici, dove si forma abbondante ozono, verso altezze minori delle regioni polari dove si va accumulando il gas di recente formazione. Prima di questo salutare arricchimento di ozono nella zona mediana della stratosfera antartica la sua quantità era diminuita per l’arrivo di aria proveniente dal basso. Con il ritorno del Sole al Polo Sud, il suolo si riscalda e con esso si riscalda anche l’aria sovrastante. Questa aria è povera di ozono e, divenuta meno densa in seguito al riscaldamento, comincia a salire fino a raggiungere la stratosfera dove non solo va a diluire lo strato ricco di ozono presente in quel luogo, ma lo sposta anche lateralmente. Fenomeni simili in cui correnti d’aria, provocate da variazioni termiche, salgono e scendono all’interno dell’atmosfera sono normali e avvengono a tutte le latitudini. I processi dinamici che spostano masse d’aria da una zona all’altra del globo non distruggono l’ozono, ma semplicemente lo ridistribuiscono e quindi è naturale che questa teoria sia più rassicurante di quella che concerne alcune sostanze prodotte dall’uomo. La teoria dello spostamento delle masse d’aria tuttavia ha un difetto: non riesce a spiegare la causa del progressivo aggravamento del fenomeno e il sempre più faticoso recupero dei livelli normali dell’ozono stratosferico. Quindi è vero che lo spostamento delle masse d’aria è responsabile della diminuzione della concentrazione di ozono sull’Antartide in alcuni periodi dell’anno, ma è anche vero che a causa delle emissioni di inquinanti, emessi dall’uomo, questo fenomeno si aggrava, fino al punto di formare un ‘’buco’’, che senza l’immissione spregiudicata di tali gas, non si sarebbe formato affatto. Le sostanze che depauperano maggiormente l’ozono appartengono alla classe dei clorofluorocarburi (CFC). Il problema dei CFC In passato la principale minaccia allo strato di ozono veniva individuata nei clorofluorocarburi e si trattava in questo caso di una minaccia molto seria. I clorofluorocarburi sono dei composti sintetizzati per la prima volta nel 1930 dall’americano Thomas Midgley e rappresentarono, a quel tempo, un vero successo industriale per le loro particolari caratteristiche. Questi composti infatti sono stabili e inerti, non sono tossici, non sono infiammabili, ed è facile liquefarli per poi farli tornare alla stato gassoso: il che li rende 2 utilizzabili per raffreddare gli ambienti. Dopo la seconda guerra mondiale, il capostipite della famiglia, il CFC-12, venne utilizzato in modo massiccio nella costruzione dei frigoriferi e per tale motivo assunse il nome commerciale di Freon. Il Freon viene compresso da un congegno posto all’esterno del frigorifero fino a renderlo liquido; questa operazione genera calore che si disperde nell’ambiente esterno. Il liquido viene quindi introdotto nella cella frigorifera dove trova un apposito ampio contenitore entro il quale ha spazio sufficiente per espandersi e ritornare allo stato gassoso. Il gas, espandendosi, si raffredda e con esso si raffredda l’interno del frigorifero. Quindi il Freon gassoso viene rinviato al compressore esterno e il ciclo ricomincia. La sicurezza nell’uso di questo gas sta proprio nella stabilità della molecola che nessun reagente chimico è in grado di scomporre. Il suo utilizzo nei frigoriferi derivava dal fatto che anche eventuali piccole perdite non avrebbero avvelenato i cibi. In precedenza il liquido refrigerante più usato in questi elettrodomestici era l’ammoniaca la quale è un composto molto tossico e di odore sgradevole. Il Freon viene anche usato nei condizionatori d’aria, compresi quelli montati sulle automobili, dove svolge lo stesso ruolo che nei frigoriferi. Quando l’inventore di questo eccezionale prodotto lo presentò al pubblico, per dimostrare la non pericolosità della sostanza, ne aspirò i vapori che poi espirò lentamente, attraverso il naso, su una candela accesa spegnendola. Non è la prima volta che un prodotto inventato dall’uomo si dimostra all’inizio del tutto innocuo e ricco di pregi e solo in un secondo tempo evidenzia i suoi difetti. Capitò la stessa cosa con il DDT un insetticida che all’inizio fu accolto con entusiasmo per la sua azione decisa e infallibile sui parassiti, ma che successivamente dovette essere ritirato dal mercato perché si rivelò pericoloso per la salute dell’uomo. Nel corso degli anni la famiglia dei CFC si arricchì sempre di più e con essa si allargarono gli usi di questi prodotti. Il CFC-11 si rivelò adatto alla costruzione di isolanti termici molto usati nelle abitazioni e, insieme al capostipite CFC-12, fu impiegato come propellente nelle bombolette spray. Il CFC-13 è un solvente impiegato nell’industria elettronica per rimuovere minuscole impurità dalle piastrine di silicio. Paradossalmente proprio la mancanza di reattività rende i clorofluorocarburi potenzialmente pericolosi per l’ozono della stratosfera. A causa della loro stabilità questi composti hanno infatti vita lunghissima che si stima fra i 75 e i 100 anni, e quindi hanno tutto il tempo, una volta usciti dai vecchi frigoriferi o dalle bombolette spray, di disperdersi nell’ambiente e salire, grazie alla loro bassa densità, fino a raggiungere le quote più alte dell’atmosfera. Qui i raggi ultravioletti ne spezzano le molecole liberando l’atomo di cloro il quale dà inizio ad una serie di reazioni che terminano con la scomposizione delle molecole di ozono. 3 L’atomo di cloro sottrae un atomo di ossigeno dalla molecola di ozono riducendola ad ossigeno molecolare O2 che non è più in grado di bloccare le radiazioni ultraviolette. Il cloro, dopo aver catturato un atomo di ossigeno, lo cede ad un altro atomo di ossigeno ritornando quindi libero di aggredire un'altra molecola di ozono. La reazione può ripetersi molte volte fino a distruggere con un solo atomo di cloro fino a 30 o 40 mila molecole di ozono. Anche in piccole dosi i clorofluorocarburi sono quindi pericolosi. Ma questi prodotti, presenti nell’atmosfera, attualmente non sono più in piccole dosi; ormai se ne sono accumulate milioni di tonnellate. E anche ora che i CFC non vengono più prodotti, l’ozono continua a diminuire (anche se in maniera lieve) perché, come abbiamo detto, i clorofluorocarburi hanno vita lunghissima tanto che per ripristinare le condizione di partenza ci vorrebbe più di un secolo di pulizia. I Processi catalitici della distruzione dell’ozono Alcune sostanze sono alla base dei meccanismi che provocano la distruzione dell’ozono nella stratosfera. E’ stato accertato che alcune specie atomiche e molecolari, indicate in generale con X (dove X sta per Cl, F, I,Br, ecc), che come già detto in precedenza, reagiscono efficientemente con l’ozono, sottraendo da questo un atomo di ossigeno; X + O3 → XO + O2 Successivamente, nelle regioni della stratosfera in cui è apprezzabile la concentrazione dell’ossigeno atomico le molecole di XO reagiscono con gli atomi di ossigeno per produrre O2 rigenerando X: XO + O → X + O2 La molecola dai tipo X a questo punto sarà pronta per reagire e “distruggere’’ una nuova molecola di ozono. Quindi queste molecole sono estremamente dannose, poiché vengono continuamente rigenerate e possono quindi partecipare a migliaia di cicli di reazioni, determinando così la distruzione continua ed inarrestabile dell’ozono. Tutte le preoccupazioni ambientali circa la diminuzione dell’ozono derivano dal fatto che noi stessi abbiamo inavvertitamente causato l’aumento della concentrazione di varie specie di molecole di tipo X nella stratosfera immettendo nell’aria, al livello del suolo, certi gas, in particolare quelli contenenti cloro. Dal punto di vista chimico tutti i catalizzatori di tipo X sono radicali liberi, cioè atomi o molecole, contenenti un numero dispari di elettroni e quindi un elettrone che non risulta appaiato con un altro spin opposto. Come ben sappiamo, i radicali liberi generalmente sono specie chimiche molto reattive 4 perché hanno una spiccata tendenza a reagire in modo da associare il loro elettrone libero con un altro elettrone con spin opposto, anche se questo si trova in una molecola differente. Distruzione catalitica dell’ozono ad opera del monossido di azoto Anche il monossido di azoto (NO) è in grado di distruggere l’ozono. Questo gas oltre che per cause naturali si genera anche nei motori a scoppio, poiché quando un motore brucia benzina, il grandissimo calore che si sviluppa all’interno dei cilindri, fa sì che una parte dell’azoto, immesso con l’aria per garantire la combustione, si combini con l’ossigeno che non ha preso parte alla reazione, formando monossido di azoto. Tuttavia, non è il monossido di azoto prodotto dai veicoli a creare danno all’ozono, poiché questo gas, quando si trova a bassa quota, non raggiunge la stratosfera, dal momento che reagisce velocemente con l’ossigeno per formare acido nitrico che è solubile nella pioggia e che quindi viene facilmente allontanato dall’aria della troposfera prima che possa raggiungere quote più alte. A creare danni all’ozono sono invece i gas di scarico rilasciati dai motori degli aerei supersonici, che volano ad alta quota e rilasciano una quantità elevatissima di monossido di azoto, che reagisce direttamente con l’ozono. Il monossido di azoto si comporta come un catalizzatore di tipo X e distrugge in modo catalitico l’ozono estraendo da quest’ultimo un atomo di ossigeno e producendo biossido di azoto (NO2); NO + O3→ NO2 NO2 + O→ NO + O Quindi il monossido di azoto reagisce con l’ozono per formare biossido di azoto, che a sua volta reagirà con l’ossigeno atomico, riformando una nuova molecola di NO che sarà in grado di ‘’distruggere’’ una nuova molecola di ozono. Una sola molecola di NO è in grado di distruggere migliaia di molecole di O3. Conseguenze biologiche della riduzione dell’ozono A causa del ‘’buco’’ nell’ozono, una frazione maggiore di radiazioni UV-B raggiunge la superficie terrestre. Si calcola che una diminuzione complessiva dell’1% dell’ozono abbia come conseguenza l’aumento del 2% dell’intensità delle radiazioni UV-B a livello della superficie terrestre. Questo aumento rappresenta il principale rischio ambientale legato alla diminuzione dell’ozono, poiché può causare danni a molte forme di vita, compreso l’uomo. L’esposizione della pelle dell’uomo alla radiazione UV-B provoca l’abbronzatura e le scottature; una eccessiva esposizione può causare cancro della pelle, un tipo di tumore ad incidenza molto elevata. 5 L’aumento dell’intensità delle radiazioni UV-B può anche avere effetti negativi sul sistema immunitario dell’uomo e sulla crescita di alcune piante e animali. Alcuni effetti biologici della radiazione UV-B derivano dal fatto che esse possono essere assorbite dalle molecole del DNA, che possono risultare modificate chimicamente e quindi danneggiate. Le radiazioni ultraviolette con una lunghezza d’onda di circa 260 nm sono fortemente assorbite dalle basi; ne può quindi derivare la fusione fotochimica di due pirimidine che occupano posizioni adiacenti sulla stessa catena polinucleotidica. Nel caso di due timine questa fusione è detta dimero di timina, una forma molecolare che consiste in un anello ciclobutanico generato dai legami tra gli atomi di carbonio 5 e 6 delle timine adiacenti. Nelle popolazioni abitualmente esposte al Sole, la pelle mostra la massima capacità di assorbimento della componente di luce solare ultravioletta con lunghezza d’onda di circa 300 nm. Molti tipi di cancro della pelle nell’uomo sono dovuti a sovraesposizione alla componente UV-B della luce solare, quindi di conseguenza possiamo attenderci che qualsiasi diminuzione dell’ozono finirà per comportare un aumento dell’incidenza di questo tipo di cancro. Fortunatamente la stragrande maggioranza dei tumori della pelle sono meno gravi del fatale melanoma maligno (25% di tasso di mortalità) perché hanno una diffusione piuttosto lenta e possono essere curati più facilmente. Per difendersi dalla radiazione solare si può ricorrere a dei filtri che bloccano l’assorbimento delle radiazioni UV-B ma non quello delle UV-A. Sembra però che l’uso di creme e lozioni contenenti filtri solari possa addirittura aumentare il rischio di contrarre il cancro della pelle, poiché conse alle persone di esporsi al Sole senza scottarsi. Conclusioni Si prevede che per ogni punto percentuale di diminuzione del livello di ozono nella stratosfera si verificherà un aumento dell’1-2% dell’incidenza del cancro alla pelle. Per le popolazioni che vivono alla latitudine di circa 45º N (per esempio nell’area compresa tra il nord degli Stati Uniti e il sud del Canada) è atteso un aumento dell’11% di un tipo di tumore non maligno della pelle (l’epitelioma basocellulare) e del 22% di un altro tipo di epitelioma (quello a cellule squamose) a causa di una diminuzione del 6,6% dell’ozono della stratosfera verificatosi tra il 1979 e il 1992 al di sopra di tali regioni. Tra il momento dell’esposizione ai raggi UV e le successive manifestazioni di tumori non maligni della pelle intercorre un lungo periodo di tempo (30-40 anni), pertanto è improbabile che siano visibili già oggi gli effetti della distruzione dello strato di ozono. 6 L’uomo non è la sola specie che risente della radiazione ultravioletta; l’aumento dell’esposizione alla luce UV-B può interferire con l’efficienza della fotosintesi e che le piante rispondano a tale incremento producendo meno foglie, semi e frutti. Anche moltissimi organismi animali potrebbero risentire dell’aumentata esposizione agli UV-B derivante dalla riduzione dell’ozono e possono essere quindi considerati a rischio. Si teme che anche il fitoplancton in prossimità della superficie del mare possa essere a rischio significativo a causa dell’aumento degli UV-B; ciò potrebbe avere seri effetti sulla catena alimentare marina, di cui tali organismi sono alla base. Bibliografia Chimica Ambientale Colin Baird, Michael Cann Biologia Molecolare del gene James D.Watson, T. Becker, Losick Sitografia it.wikipedia.org/wiki/Buco_nell'ozono www.cosediscienza.it/varie/08_buco.htm it.wikipedia.org/wiki/Ozono en.wikipedia.org/wiki/Ozone_depletion it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_ultravioletta nepis.epa.gov/Exe/ZyPURL.cgi?Dockey...txt - Stati Uniti 7