Poster Infarto miocardico acuto: fattori di rischio P1 STUDIO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO SULLA GESTIONE DELL’IPERGLICEMIA IN CORSO DI SINDROME CORONARICA ACUTA (SPIDER): LA RILEVANZA DEL PROBLEMA A. Mafrici1, F. Avanzini2, V. Giudici1, G. Marelli3, G. Mariani3, P.M. Piatti4, E. Riva5, M.C. Roncaglioni5, M.G. Franzosi5 1 ANMCO Lombardia, Milano, 2ANMCO Lombardia; Istituto Mario Negri, Milano, 3AMD Lombardia, Milano, 4SID Lombardia, Milano, 5Istituto Mario Negri, Milano Obiettivo principale dello studio è la valutazione della prevalenza e della prognosi di diabete mellito e/o iperglicemia in un campione rappresentativo di pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) della regione Lombardia. Dal maggio 2009 all’aprile 2010 sono stati inclusi 1282 pazienti (70% maschi e 30% femmine; età media 68±13 anni) ricoverati per SCA in 31 UTIC: ogni UTIC ha incluso un minimo di 40 pazienti ricoverati consecutivamente, l’89% dei pazienti presentava infarto miocardico acuto (47% con e 42% senza sopraslivellamento di ST) e l’11% angina instabile. La prevalenza di diabete mellito noto è risultata pari al 24%, mentre il 7% dei pazienti aveva una condizione di iperglicemia (definita come glicemia >180 mg/dl) all’ingresso in assenza di storia di diabete. Dei pazienti con diabete noto il 58% presentava all’ingresso iperglicemia, con valori medi di 284±101 mg/dl; nei pazienti iperglicemici senza storia di diabete la glicemia media risultava pari a 232±14 mg/dl. Rispetto ai soggetti senza diabete né iperglicemia, i diabetici risultavano più frequentemente anziani e di sesso femminile, con più frequente angina instabile o infarto senza sopraslivellamento di ST all’esordio, con ricovero più tardivo, e con più fattori di rischio o patologie cardiovascolari pregresse. I pazienti iperglicemici erano più anziani e più frequentemente donne, presentavano più spesso infarto con sopraslivellamento di ST, venivano ricoverati più precocemente e avevano più frequentemente una presentazione complicata da arresto cardiaco e scompenso cardiaco. La mortalità totale durante il ricovero nei pazienti senza diabete o iperglicemia è risultata pari allo 1.9%; i diabetici sono morti nel 4.5% e i soggetti con iperglicemia nel 12.1%. In conclusione, quasi un terzo dei pazienti con SCA presenta un problema di diabete e/o iperglicemia all’esordio e la loro prognosi è nettamente peggiore rispetto ai pazienti che non presentano queste condizioni. P2 STUDIO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO SULLA GESTIONE DELL’IPERGLICEMIA IN CORSO DI SINDROME CORONARICA ACUTA (SPIDER): TRATTAMENTO E CONTROLLO F. Avanzini1, A. Mafrici2, V. Giudici2, G. Marelli3, G. Mariani3, P.M. Piatti4, E. Riva5, M.C. Roncaglioni5, M.G. Franzosi5 1 ANMCO Lombardia; Istituto Mario Negri, Milano, 2ANMCO Lombardia, Milano, 3AMD Lombardia, Milano, 4SID Lombardia, Milano, 5Istituto Mario Negri, Milano Obiettivo principale dello studio è la valutazione del trattamento e controllo dell’iperglicemia in un campione rappresentativo di pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) della regione Lombardia. Dal maggio 2009 all’aprile 2010 sono stati inclusi 1282 pazienti (70% maschi e 30% femmine; età media 68±13 anni) ricoverati per SCA in 31 UTIC: ogni UTIC ha incluso un minimo di 40 pazienti ricoverati consecutivamente, l’89% dei pazienti presentava infarto miocardico acuto (47% con e 42% senza sopraslivellamento di ST) e l’11% angina instabile. La prevalenza di diabete mellito noto è risultata pari al 24%, nel 14% dei casi con iperglicemia (definita come glicemia >180 mg/dl) alla presentazione e nel 10% dei casi senza. Una proporzione pari al 7% della casistica aveva una condizione di iperglicemia all’ingresso in assenza di storia di diabete. Dei pazienti con diabete noto il 58% presentava all’ingresso iperglicemia, con valori medi di 284±101 mg/dl; nei pazienti iperglicemici senza storia di diabete la glicemia media risultava pari a 232±14 mg/dl. Un trattamento ipoglicemizzante nelle prime 24 ore è stato prescritto nel 22% dei pazienti: il 7% come insulina in infusione continua, il 10% come insulina intermittente e.v. o s.c., il 3% come altre combinazioni di insulina e nel 2% come ipoglicemizzanti orali. Il trattamento insulinico è stato utilizzato nell’85% dei diabetici con iperglicemia, nel 48% nei diabetici senza iperglicemia e nel 29% dei pazienti non diabetici ma con iperglicemia ottenendo in questi 3 gruppi una glicemia media rispettivamente di 166±41, 133±26, 160±44 mg/dl. Di contro, la percentuale di pazienti che mantengono valori glicemici medi nelle prime 24 ore >180 mg/dl è risultata abbastanza elevata nei pazienti iperglicemici all’ingresso: 34% nei diabetici e 21% nei non diabetici. La percentuale di pazienti che hanno presentato almeno un episodio di ipoglicemia nella 28S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 prima giornata è stata in questi 3 gruppi rispettivamente pari a 11%, 9% e 0%. Dopo le prime 24 ore un trattamento insulinico e.v. e s.c. è stato utilizzato rispettivamente nel 7% e 15% dei pazienti mentre gli ipoglicemizzanti orali sono stati prescritti nel 7%. Un intervento del diabetologo è stato richiesto nel 10% dei pazienti (nel 32% dei diabetici e nel 23% dei non diabetici con iperglicemia all’ingresso). La condizione di iperglicemia è frequente nelle sindromi coronariche acute e viene trattata in maniera disomogenea nelle diverse UTIC con risultati ancora lontani dall’ottimale. P3 PTCA NELLO STEMI CON IPERGLICEMIA: DESCRITTORI CLINICI, ANALISI DI SOPRAVVIVENZA E CORRELAZIONE CON I TRATTAMENTI Marina De Roia1, Ariella De Monte1, Massimiliano Chiuch1, Giulia Barbati3, Andrea Perkan2, Gianfranco Sinagra2, Luigi Cattin1 1 S.C. III Divisione di Medica, Servizio di Diabetologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Trieste, 2S.C. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Trieste, 3Dipartimento di Medicina Ambientale e Salute Pubblica, Università degli Studi, Padova Introduzione. Numerosi studi hanno rilevato che l’iperglicemia all’ammissione ospedaliera per STEMI è frequente ed è un fattore di rischio per mortalità e complicanze intraospedaliere. Obiettivi dello studio. Valutare l’impatto prognostico dell’iperglicemia all’ingresso nei non diabetici ricoverati in UTIC per STEMI trattato con angioplastica, sulla rivascolarizzazione e sul decorso clinico intraospedaliero, sulla mortalità e sugli eventi cardiovascolari a lungo termine. Metodi. La coorte studiata comprende 791 pazienti con STEMI ricoverati nella S.C. Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste, i cui dati cardiovascolari e metabolici intraospedalieri e di follow-up sono stati inseriti in un database dedicato. L’intera coorte è stata suddivisa in tre sottogruppi: normoglicemici, iperglicemici all’ingresso ma non diabetici e diabetici. Risultati. Gli iperglicemici sono meno ipertesi rispetto ai diabetici, mentre i sintomi di angina o segni d’ischemia inducibile si manifestano meno negli iperglicemici e nei diabetici rispetto ai soggetti normoglicemici. Tra i parametri clinici la localizzazione anteriore dell’infarto ed il TIMI Index prevalgono negli iperglicemici e nei diabetici. Gli iperglicemici hanno una posizione intermedia per la classe Killip in senso crescente tra normoglicemici e diabetici. Per quanto riguarda i parametri di laboratorio la trigliceridemia appare inferiore nell’iperglicemia rispetto ai soggetti con diabete ma sovrapponibile a quella dei normoglicemici; il filtrato glomerulare calcolato è significativamente più compromesso negli iperglicemici rispetto ai normoglicemici. Il grado di stenosi coronarica è più elevato nei soggetti con iperglicemia rispetto ai normoglicemici. Il decorso clinico da maggior evoluzione elettrocardiografica in onde Q e valori di picco CPK MB più elevati negli iperglicemici e nei diabetici, che hanno presentato nel decorso clinico valori di frazione di eiezione ventricolare sinistra più bassi rispetto ai normoglicemici. Dopo angioplastica lo scompenso cardiaco si è manifestato con andamento crescente nei tre gruppi, ponendo il sottogruppo di iperglicemici in una posizione intermedia tra normoglicemici e diabetici. Il trattamento farmacologico non ha evidenziato differenze per quanto riguarda l’impiego di ASA, clopidogrel, beta-bloccanti, ACE-I, nitrati e statina durante la degenza e alla dimissione. La curva di mortalità secondo Kaplan-Meier indica che la sopravvivenza degli iperglicemici si colloca in posizione intermedia rispetto agli altri gruppi, con una chiara tendenza ad una maggior mortalità tra gli iperglicemici rispetto ai normoglicemici (p=0.073). L’analisi multivariata secondo il modello di Cox per la sopravvivenza ha confermato che appartenere al gruppo con iperglicemia aumenta di 1.6 volte il rischio di morte rispetto alla normoglicemia. Conclusioni. Nella nostra coorte la glicemia all’ingresso in UTIC costituisce un fattore di rischio cardiovascolare e di mortalità continuo e progressivo e condiziona l’estensione dell’area infartuale e la persistenza di disfunzione ventricolare. L’iperglicemia è predittiva della comparsa di scompenso cardiaco anche nel corso del follow-up. P4 GLYCATED HEMOGLOBIN IN ST-ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION: ITS PROGNOSTIC ROLE AT SHORT- AND LONG-TERM Claudio Picariello, Paola Attanà, Serafina Valente, Chiara Lazzeri, Marco Chiostri, Gian Franco Gensini Intensive Cardiac Coronary Unit, Heart and Vessel Department, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence Background. Data on the prognostic role of glycated hemoglobin (HbA1c) in patients with acute myocardial infarction are still controversial since studies mainly differ for patients’ selection criteria and therapy. Methods. We assessed the prognostic role of HbA1c for mortality at short and long terms in 713 consecutive STEMI patients (both diabetic and POSTER without previously known diabetes), all submitted to mechanical revascularization. Results. In non diabetic patients, HbA1c ≥6.5% was found in 9.6% (50/518), in diabetic patients in 55.9% (109/195). Among HbA1c ≥6.5%, diabetic patients exhibited higher values of admission and peak glycemia (p=0.009 and p<0.001, respectively), insulin (p=0.043), C-peptide (p=0.031), and a higher incidence of insulin resistance (p=0.020). Hb1ac showed a significant correlation with admission glycemia (Spearman’s rho 0.459, p<0.001) and with peak glycemia (Spearman’s rho 0.500, p<0.001). Admission glycemia was an independent predictor for in-hospital in the overall population (OR 1.85, 95%CI 1.17 to 2.94, p<0.001) and in patients without previously known diabetes (OR 3.05, 95%CI 1.62 to 5.74, p<0.001). At follow-up, Kaplan-Meier survival curve documented in our population a significantly worse outcome in patients whose HbA1c was ≥6.5% Conclusions. In consecutive STEMI patients (both diabetic and without previously known diabetes), HbA1c values, though not related to early mortality, helps in identifying patients who, in the early phase, develop an abnormal glucose response to acute ischemia as indicated by higher admission and worse in-hospital glucose control (as inferred by peak glycemia). Moreover, increased HbA1c values are associated with lower survival rate at follow-up. P5 LA GESTIONE DELL’IPERGLICEMIA IN CORSO DI INFARTO MIOCARDICO ACUTO MIGLIORA LA PROGNOSI NEI DIABETICI Elisa Manicardi1, Elisabetta Catellani2, Massimo Michelini1, Elena Cioni2, Roberto Iotti2, Antonella Piazza2, Lorenzo Finardi1, Francesca Borghi1, Elisa Gasparini3, Valentina Annoni3, Daniela Giberti3, Sabrina Musini3, Paolo Montanari3, Fausto Saracchi3, Angela Zollino3, Lisa Zambianchi3, Valeria Manicardi3 1 S.O.S. di Diabetologia,2S.O.S. di Cardiologia, 3Dipartimento Internistico, Ospedale di Montecchio, Reggio Emilia Il diabete è considerato dalle linee guida ACC/AHA una delle 4 variabili ad alto rischio,associate ad un aumento di mortalità nella fase acuta dell’infarto miocardico (SCA) e l’iperglicemia all’ingresso è un indicatore indipendente di prognosi infausta sia nei diabetici (D)che nei non diabetici (NonD). Molti studi dal Digami del 1995 al Nice Sugar del 2009 hanno dimostrato che trattare l’iperglicemia può migliorare la prognosi dei diabetici, purché si evitino le ipoglicemie, ma i risultati degli studi più recenti sono controversi, soprattutto per quanto riguarda i target glicemici da raggiungere. Scopo dello studio. Valutare se la gestione della iperglicemia in corso di SCA in pazienti ricoverati in un setting assistenziale del mondo reale influenza la prognosi. Metodi. Sono entrati nello studiotuttii pazienti ricoverati per SCA dal gennaio 2006 al dicembre 2008 presso l’Area Intensiva dell’Ospedale di Montecchio,che dal 2000 partecipa alla Rete per l’Infarto miocardico acutodella provincia di Reggio Emilia ed al programma PRIMA-RER(PTCA entro 90’ nello STEMI)e che dal 2002 applica un algoritmo di terapia insulinica intensiva (Digami modificato) nei pazienti con glicemia ≥200 mg all’ingresso, con stop all’infusione per glicemia di 110 mg/dl. Risultati. I pazienti arruolati sono stati 335 di cui 97 D (età 73±11 anni, 60% M), pari al 28.5% e 238 NonD (età 71±14 anni, 66%M); il 34% dei D vs il 41% dei NonD ha avuto uno STEMI (p<0.04) e il 54% degli STEMI nei D vs il 51% nei NonD (NS) è stato trattato con PTCA 1aria. La glicemia all’ingresso nei D è risultata di 213±88 vs 121±37 mg/dl nei NonD (p<0.001) e l’HbA1c 7.6±1.4 vs 5.6% (p<0.001); 53 pazienti (15.8%) avevano all’ingresso una glicemia ≥200 mg/dl (274±80 mg/dl), di cui 44 D e 9 NonD (pari al 45% dei D vs 3.7% dei NonD, p<0.001). I 53 pazienti con glicemia ≥200 sono stati trattati con trattamento insulinico intensivo per 24/48 ore fino ad avere glicemia ≤140, ma >110 mg/dl. La glicemia in 2a giornata era 137±41 mg/dl nei D vs 100±27 nei NonD, e alla dimissione 126±40 nei D vs 105±33 nei NonD (p<0.001),e nel gruppo con glicemia ≥200 all’ingresso i valori erano scesi a 147±45 in 2a giornata e a 132±40 alla dimissione. La FE% alla dimissione è risultata più compromessa nei D (44.8±9.2%) vs i NonD (47.7±11%; p<0.05); solo il 40% dei D vs il 57% dei NonD ha conservato una FE >50% e il 23.8% dei D vs il 17.4% dei NonD ha una FE <35% (p<0.02). Nessuna ipoglicemia nei pazienti trattati. La mortalità è risultata simile nei D (7.2%) vs i NonD (7.9%, ns), e l’età media dei deceduti più elevata nei D (81±7 anni) vs i NonD (75±12 anni, p<0.05). Ma la mortalità è risultata significativamente più elevata nei pazienti con glicemia all’ingresso ≥200 vs <200 sia sul totale (12 vs 7.1%,p<0.01), e soprattutto nei D (14 vs 2%, p<0.001), e nei D che in 2° giornata avevano ancora una glicemia a digiuno >140 vs ≤140 mg/dl (9.3 vs 2%, p<0.001). Conclusioni. L’iperglicemia nella fase acuta dell’infarto si conferma un indicatore indipendente di aumentata mortalità. Il controllo dell’iperglicemia nelle prime 24 ore migliora la prognosi nei diabetici. P6 IMPATTO DELLA SINDROME METABOLICA SULLA DURATA DEI RICOVERI OSPEDALIERI IN PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA SOTTOPOSTI AD ANGIOPLASTICA Marco Vatrano, Roberto Ceravolo, Cristina Nesta, Alessandro Ferraro, Vittorio Pascale, Francesco Borrello, Giuseppe Ciconte, Vincenzo Antonio Ciconte U.O. di Emodinamica e Cardiologia Interventistica, A.O. “PuglieseCiaccio”, Catanzaro Background. La sindrome metabolica (SM) rappresenta un “cluster” di fattori di rischio che determinano sostanzialmente un aumentato rischio trombotico. È comune, infatti, il riscontro di diverse alterazioni metaboliche in pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta (SCA) sia senza sopraslivellamento del tratto ST-T (nSTE) sia per infarto miocardico acuto con tratto ST-T sopraslivellato (STE). Le attuali linee guida consigliano, in entrambi i casi, di adottare una terapia riperfusiva meccanica nel più breve tempo possibile al fine anche di ridurre i tempi ed i costi della degenza. Scopo dello studio è stato quello di verificare se la diagnosi di SM possa aver determinato un’ospedalizzazione prolungata, inficiando i vantaggi sopra descritti. Metodo. Sono stati arruolati 100 pazienti consecutivi (50 M/50 F; età 65±12 anni) con SCA, diagnosticata secondo le linee guida internazionali, in cui è stato effettuato, al momento del ricovero, accurato esame clinico dell’apparato cardiovascolare, ECG standard, ecocardiogramma M e Bmode, nonché gli esami ematochimici di routine. Ciascun paziente è stato sottoposto ad angiografia ed angioplastica coronarica, immediatamente o entro le prime 24 ore in relazione alla tipologia della SCA. La diagnosi di SM è stata posta secondo le più recenti raccomandazioni. Risultati. L’analisi dei dati ci ha consentito di documentare una durata della degenza significativamente più lunga (p=0.03) nella popolazione generale in cui veniva posta diagnosi di SM. Dividendo i pazienti per tipologia di SCA, solo in pazienti con SCA-STE l’ospedalizzazione si è prolungata di circa cinque giorni (p=0.045), mentre nei pazienti con SCA-nSTE si è osservato un trend analogo di circa 2 giorni, tuttavia non significativo. La successiva analisi multivariata, in cui sono state incluse tutte le altre variabili che prolungavano significativamente l’ospedalizzazione (età, anemia), ha individuato, nella popolazione totale, come principali predittori della durata complessiva del ricovero: l’età (r2 corretto=0.192, p<0.001), la SM (r2 corretto=0.168, p<0.001) e l’anemia (r2 corretto=0.026, p<0.001). Dividendo la popolazione per tipologia di SCA, la SM rappresenta l’unico predittore indipendente del prolungamento della degenza, spiegandone il 12.3% (p=0.024) della variabilità complessiva. Nei pazienti con SCA-nSTE l’età rappresenta l’unico predittore indipendente (r2 corretto=0.382, p<0.001). Conclusioni. I nostri dati dimostrano che, in pazienti con SCA sottoposti ad angioplastica, la diagnosi di SM determina una degenza significativamente superiore, soprattutto nel gruppo SCA-STE, con un’inopinabile ripercussione sulla spesa sanitaria da quantificare con specifiche valutazioni. P7 L’IPERINSULINEMIA È CORRELATA CON L’INFARTO MIOCARDICO PERIPROCEDURALE NEI PAZIENTI SOTTOPOSTI A PCI Laura Gatto1, Annunziata Nusca2, Rocco Contuzzi2, Giacomo Di Giovanni2, Francesco Marino2, Germano Di Sciascio2, Giorgio Scaffidi1 1 Pronto Soccorso Cardiologico, A.O. San Giovanni-Addolorata, Roma, 2 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università Campus BioMedico, Roma Premessa. L’insulina esercita un’azione vasodilatatoria ed inibisce l’interazione fra piastrine ed endotelio, stimolando la produzione di ossido nitrico endoteliale. In altre parole, l’iperinsulinemia, un marker di resistenza all’insulina, è caratterizzata da una downregulation della via del recettore insulinico mediato dalla chinasi antiaterogena PI3 e da una persistente attività della via della chinasi proaterogena MAP. Si determina così un’esaltata produzione di citochine infiammatorie, una disfunzione endoteliale e la proliferazione di cellule muscolari lisce nella parete vasale. Scopo. Abbiamo voluto valutare la relazione fra i livelli di insulina e l’infarto miocardico periprocedurale (IMA), identificato come Tipo 4a nella definizione universale dell’infarto miocardico (Eur Heart J 2007;28:252538), in pazienti sottoposti ad angioplastica percutanea (PCI). Metodo. Sono stati arruolati prospetticamente 146 pazienti (età 66±9 anni; BMI 27.5±3.9) sottoposti a PCI per angina stabile o sindrome coronarica acuta. Cinquanta pazienti avevano una precedente storia di diabete mellito (19 insulinodipendenti, 26 in terapia ipoglicemizzante orale e solo 5 in esclusiva dietoterapia). In tutti i pazienti sono stati prelevati campioni ematici prima della PCI per valutare i livelli di glicemia e di insulinemia (limite massimo normale <20 mU/ml). I valori di troponina I (TnI) e di creatinchinasi-MB (CK-MB) sono stati rilevati sia prima della procedura che dopo 8 e 24 ore. L’IMA periprocedurale è definito come un incremento post-procedura di CK-MB e/o TnI >3 volte il limite massimo normale (3.6 e 0.06 ng/ml, rispettivamente). Risultati. Il valore medio di insulina era 10.1±6.4 mU/ml. I pazienti che hanno avuto un’IMA periprocedurale avevano livelli di insulinemia significativamente più alti (11.4 ± 6.9 vs 9.2±5.9 mU/ml, p=0.05). Secondo la correlazione di Pearson, i valori di insulina hanno mostrato una relazione positiva con i livelli post-procedurali di TnI (r=0.32, p<0.001) e di CK-MB (r=0.4, p<0.001). Inoltre i pazienti con iperinsulinemia (>20 mU/ml) hanno una maggiore incidenza di aumento di qualunque livello di TnI in confronto con l’altro gruppo (88 vs 57%, p=0.012). Conclusioni. Questo studio suggerisce che elevati livelli di insulinemia al tempo della procedura di angioplastica sono associati ad aumentata incidenza di danno miocardico periprocedurale nei pazienti sottoposti a PCI. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 29S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P8 presentato severa disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco durante la degenza, non sono stati documentati decessi né in fase acuta RELAZIONE TRA FATTORI DI RISCHIO CORONARICO ED ETÀ NEI PAZIENTI né al follow-up a lungo termine (3 anni). COLPITI DA INFARTO MIOCARDICO CON SOPRASLIVELLAMENTO DEL Conclusioni. Il tabagismo è risultato il fattore di rischio cardiovascolare TRATTO ST più frequente nei pazienti colpiti da infarto miocardico in età giovanile, Marzia De Biasio, Daniele Muser, Roberta Sappa, Umberto Clapis, specialmente nel sesso maschile, e spesso è associato a bassi livelli Ilaria Armellini, Mauro Driussi, Sergio Terrazzino, Claudio Fresco, plasmatici di colesterolo HDL. Campagne d’informazione dirette alla Davide Zanuttini, Guglielmo Bernardi, Giorgio Morocutti, P8 popolazione mirate alla lotta al fumo potrebbero ridurre Leonardo Spedicato, Teodoro Bisceglia, Alessandro Proclemer RELAZIONE TRA FATTORI DI RISCHIO CORONARICO ED ETÀ NEI PAZIENTI COLPITI DA INFARTO il rischio di eventi coronarici nei giovani adulti. significativamente S.O.C. di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Udine MIOCARDICO CON SOPRASLIVELLAMENTO TRATTO STe la tipologia dei Obiettivi. Scopo dello studio è confrontareDEL la prevalenza fattori di rischio coronarico nei pazienti colpiti da infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST in età giovanile (≤45 anni) e non-giovanile P10 (>45 anni). FATTORI DI RISCHIO E ANATOMIA CORONARICA DEI PAZIENTI COLPITI DA Metodi. Il gruppo di studio è rappresentato dai pazienti colpiti da infarto INFARTO MIOCARDICO IN ETÀ GIOVANILE: CONFRONTO TRA UOMINI E Obiettivi. consopraslivellamento del tratto ST (STEMI) in età giovanile miocardico DONNE (≤45 anni), ricoverati presso l’UTIC di un centro Hub del Nord-Est d’Italia, Marzia De Biasio, Daniele Muser, Roberta Sappa, Umberto Clapis, arruolati in modo prospettico dal 2007 al 2010; il gruppo di confronto è Ilaria Armellini, Mauro Driussi, Guglielmo Bernardi, Giorgio Morocutti, Metodi. rappresentato da pazienti colpiti da STEMI in età maggiore di 45 anni e Alessandro Proclemer ricoverati nello stesso centro nello stesso periodo. Sono stati considerati i S.O.C. di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Udine seguenti fattori di rischio: diabete mellito, dislipidemia, tabagismo, Obiettivi. Scopo dello studio è individuare le analogie e le differenze tra ipertensione arteriosa, familiarità per cardiopatia ischemica. i pazienti di sesso maschile e femminile colpiti da infarto miocardico in Risultati. Dal 2007 al 2010 sono stati ricoverati 651 pazienti colpiti da età giovanile (≤45 anni). infarto miocardico con STEMI (età media 65±12 anni, 75% di sesso Metodi. Sono stati inclusi i pazienti ricoverati per sindrome coronarica Risultati. maschile): 52 con età ≤45 anni (8%) e 599 con età >45 anni (92%). La acuta (infarto miocardico con e senza sopraslivellamento del tratto ST) ed tabella riassume le differenze tra i due gruppi. età ≤45 anni, nel periodo compreso tra il settembre 2003 e il novembre 2010. Risultati. Sono stati individuati 140 pazienti con sindrome coronarica Fattori di rischio coronarico nello STEMI: confronto tra giovani e non acuta: 95 pazienti (68%) con infarto miocardico con sopraslivellamento Giovani Non giovani p del tratto ST (STEMI) e 45 pazienti (32%) con infarto miocardico senza (n=52) (n=599) sopraslivellamento persistente di ST (NSTEMI). I pazienti di sesso maschile Età media 40 68 <0.05 sono risultati 111 (79%) e quelli di sesso femminile 29 (21%). Per quanto Sesso maschile 45 (86%) 441 (73%) <0.05 Diabete mellito 6 (11%) 183 (30%) <0.005 riguarda i fattori di rischio coronarico, gli uomini sono più Familiarità 21 (40%) 66 (11%) <0.000001 frequentemente fumatori (61 vs 41%, p<0.005), mentre non vi sono Fumo 37 (71%) 152 (25%) <0.000001 differenze statisticamente significative per familiarità per cardiopatia Iperlipidemia 39 (75%) 139 (23%) <0.000001 ischemica (46 casi, 33%), ipertensione arteriosa (38 casi, 27%), obesità (20 Ipertensione arteriosa 8 (15%) 256 (42%) <0.0001 Sede anteriore 26 (50%) 278 (46%) NS casi, 14%), diabete mellito (11 casi, 8%) e profilo lipidico. Negli uomini lo Coronaropatia critica STEMI è significativamente più frequente del NSTEMI (75% e 25% Monovasale 35 (67%) 253 (42%) <0.000001 rispettivamente), mentre nelle donne i due tipi d’infarto hanno simile Bivasale 10 (19%) 156 (26%) <0.000001 Trivasale 3 (5%) 177 (29%) NS prevalenza (46% e 54%) (p=0.006). Il 93% dei pazienti è stato sottoposto Stenosi critica del tronco comune 0 86 (14%) NS a coronarografia, con riscontro di coronarie indenni più frequente nelle Terapia donne (23.1 vs 2.9%, p<0.01). Il movimento enzimatico dei marker di PTCA 48 (92%) 549 (91%) NS necrosi miocardica è risultato maggiore negli uomini, ma questo dato non PTCA primaria 40/48 (83%) 399 (72%) NS Medica 4 (7%) 26 (4%) NS è associato a maggior rischio di complicanze intraospedaliere o peggior CABG 0 19 (3%) NS prognosi a breve, medio e lungo termine. Conclusioni. L’infarto miocardico giovanile è più frequente negli uomini Conclusioni. che nelle donne; il profilo dei fattori di rischio non mostra particolari Conclusioni. I pazienti colpiti da infarto miocardico in età giovanile sono differenze significative, tranne per il tabagismo; il quadro angiografico più frequentemente di sesso maschile, fumatori, dislipidemici, con di coronarie indenni/non critiche o di patologia critica di vasi esili/distali è familiarità per cardiopatia ischemica rispetto ai non giovani (in cui i più frequente nelle donne rispetto agli uomini, perciò le donne sono più fattori di rischio più frequenti sono il diabete e l’ipertensione). I giovani frequentemente trattate con sola terapia medica (55 vs 14%, p<0.005) e hanno prevalentemente una coronaropatia critica monovasale. Nel meno frequentemente sottoposte a procedura di angioplastica coronarica nostro centro non vi sono differenze significative per quanto riguarda il (41 vs 84%, p<0.005) rispetto agli uomini. trattamento; infatti il 92% della popolazione è sottoposta ad angioplastica coronarica. P9 IL TABAGISMO E L’INFARTO MIOCARDICO GIOVANILE Marzia De Biasio, Daniele Muser, Umberto Clapis, Roberta Sappa, Davide Zanuttini, Ilaria Armellini, Giorgio Morocutti, Claudio Fresco, Alessandro Proclemer, Guglielmo Bernardi S.O.C. di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Udine Obiettivi. Scopo dello studio è individuare la prevalenza del tabagismo nei pazienti colpiti da sindrome coronarica acuta in età giovanile. Metodi. Sono stati inclusi i pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta (infarto miocardico con e senza sopraslivellamento del tratto ST) ed età ≤45 anni, nel periodo compreso tra il settembre 2003 e il novembre 2010; il confronto è stato effettuato tra 3 categorie: fumatore attuale, ex fumatore (>1 anno), non fumatore. Risultati. Dal settembre 2003 al novembre 2010 sono stati ricoverati 140 pazienti con sindrome coronarica acuta (il 5% dei ricoveri totali per sindrome coronarica acuta): 95 pazienti (68%) con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e 45 pazienti (32%) con infarto miocardico senza sopraslivellamento persistente di ST (NSTEMI). Abitudine al fumo (24 sigarette/die in media, range 5-60) era riferita da 80 pazienti (57%), 17 (12%) avevano smesso da oltre 1 anno e 43 non avevano mai fumato. I fumatori sono risultati più spesso di sesso maschile rispetto ai non fumatori (85 vs 67%, p<0.05). Lo STEMI è risultato più frequente nei fumatori rispetto ai non fumatori (76 vs 56%); la coronarografia ha documentato generalmente una malattia critica monovasale (spesso a carico della discendente anteriore) e il quadro angiografico non è risultato statisticamente diverso nei 3 gruppi. Non vi sono differenze statisticamente significative per quanto riguarda la prevalenza di diabete mellito, obesità, ipertensione arteriosa, presenza di colesterolo LDL >115 mg/dl e/o trigliceridemia >150 mg/dl, famigliarità per cardiopatia ischemica; invece, il 37% dei fumatori e il 25% delle fumatrici avevano valori protettivi di colesterolo HDL (>46 mg/dl nelle donne e >40 mg/dl negli uomini) (p<0.005). Il picco di troponina I è risultato più alto nel gruppo dei fumatori, ma questo dato non è stato associato a maggior rischio di complicanze intraospedaliere; solo 3/140 pazienti hanno 30S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P11 RELATIONSHIP AND PROGNOSTIC EFFECTS OF CURRENT SMOKING AND TYPE D PERSONALITY IN PATIENTS TREATED WITH PRIMARY PERCUTANEOUS CORONARY INTERVENTION Marco Vatrano1, Roberto Ceravolo1, Cristina Nesta1, Alessandro Ferraro1, Vittorio Pascale1, Francesco Borrello1, Giuseppe Ciconte1, Paola Rotella2, Vincenzo Antonio Ciconte1 1 Hemodynamic and Interventional Cardiology Unit, “Pugliese-Ciaccio” Hospital of Catanzaro, Catanzaro, 2Psychiatric Physician, Catanzaro Smoking status, a powerful independent predictor of morbidity and mortality, is correlated with several psychological, social, biological, and pharmacological aspects. From this perspective, it is important to identify individual difference variables, particularly personality traits that increase the chance to discontinue cigarette smoking. The combined tendency to experience negative emotions and to inhibit the expression of these emotions is indicated “Type D personality” and is known as an independent risk marker for clinical outcome in cardiac disease. Despite this effect of Type D personality on cardiovascular disease, what remains unclear is if this trait of personality may influence smoking cessation after a myocardial infarction (MI) with possible prognostic consequences. Methods. 42 patients with ST-elevation myocardial infarction (STEMI), treated with primary percutaneous coronary intervention (P-PCI), were enrolled in this study. Type-D Scale -16 (DS16) were administered on hospital admission. The mean follow-up period was 1.5 years. Results. After controlling for demographic and clinical confounders nonType D patients reported statistically significant higher percent of smoking cessation (from 27% to 9%) when compared with Type D group (22%, from inclusion to the first years of follow-up analysis). After adjustment for covariates, Type D patients and current smoking showed a summarizing and worse effect on cardiovascular outcome (p<0.001). Conclusions. Type D personality affects smoking cessation, worsening the prognosis after MI above and beyond the effect of each of the two variables. These findings indicate that smoking cessation is beneficial after MI and highlight the importance of smoking cessation as a therapeutic target especially in patients with Type D personality. POSTER P12 TRATTO D’ANSIA NEI PAZIENTI CON CARDIOMIOPATIA DA STRESS TIPO TAKO-TSUBO: CONFRONTO CON I PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO Stefano Del Pace1, Guido Parodi1, Benedetta Bellandi1, Linda Zampini1, Francesco Venditti1, Matilde Ardito2, David Antoniucci1, Gian Franco Gensini1 1 Dipartimento di Cardiologia, 2S.O.D. Clinica delle Organizzazioni, Ospedale di Careggi, Università degli Studi, Firenze Background. La cardiomiopatia da stress tipo tako-tsubo (CTT) è una sindrome cardiaca acuta che simula l’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), colpisce prevalentemente le donne in età post-menopausale ed è frequentemente precipitata da eventi stressanti. La patogenesi della CTT è tuttora sconosciuta. Alcuni autori ipotizzano una possibile connessione fra CTT e la malattia ansiosa, ma nessun precedente studio ha mai analizzato la relazione fra tratto ansioso e CTT. Questo lavoro si propone di valutare il potenziale ruolo del tratto ansioso nello sviluppo e nell’evoluzione clinica della CTT. Metodi. Nel presente studio prospettico caso-controllo sono stati arruolati 50 pazienti consecutivi, ricoverati presso il nostro Ospedale con diagnosi di CTT, secondo i Criteri della Mayo Clinic. Ulteriori cinquanta pazienti ammessi per infarto miocardio acuto anteriore con tratto ST sopraslivellato (STEMI), appaiati per caratteristiche cliniche come età, sesso ed ipertensione, sono stati arruolati ed inclusi nello studio come gruppo di controllo. Durante il ricovero, a tutti i pazienti è stato richiesto di compilare la Spielberger State-Trait Anxiety Inventory (STAI) al fine di autovalutare il proprio tratto ansioso (Tratto-A). Gli outcome analizzati al follow-up sono stati i seguenti: morte, ricorrenza di CTT e riospedalizzazione. Risultati. Il valore medio del test STAI è stato di 46±12 nei pazienti con CTT e di 45±14 nei pazienti con STEMI (p=0.815). Un tratto d’ansia elevato (valore di scala STAI ≥40) è stato documentato in 30 (60%) dei pazienti con CTT ed in 26 (52%) dei pazienti con STEMI (p=0.387). All’analisi multivariata, predittori di CTT sono risultati: un basso picco di valore di creatinina chinasi (HR 0.999; 95% CI 0.998-0.999; p=0.018) ed un precedente evento stressante (HR 45.487; 95% CI 6.471-319.759; p=0.001); il tratto ansioso non era compreso fra questi. Non sono state riscontrate differenze significative fra gli outcome dei pazienti CTT con o senza tratto d’ansia elevato. Conclusioni. Nei pazienti con CTT un tratto d’ansia elevato è di riscontro comune, ma non è significativamente più frequente rispetto a quanto osservato nei pazienti con STEMI. Inoltre, un tratto d’ansia elevato non sembra essere associato ad una prognosi clinica peggiore, né essere un elemento predittore di CTT. Da dati del nostro studio non possiamo raccomandare una valutazione routinaria del tratto ansioso nei pazienti con CTT. Infarto - prognosi P13 IL SOTTOSLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST IN V5 E V6 IN PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO ANTERIORE È UN PREDITTORE DI MALATTIA TRIVASALE Claudia Pavesi1, Silvia Salaro1, Gabriele Crimi2, Silvia Pica1, Antonella Potenza1, Maurizio Ferrario2, Gaetano M. De Ferrari2 1 Dipartimento di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Università degli Studi, Pavia, 2Dipartimento di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Introduzione. Nei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) l’identificazione precoce di pazienti ad alto rischio permette di indirizzare questi ultimi a centri terziari esperti per eseguire PCI primaria (pPCI). È noto che i pazienti con malattia coronarica trivasale hanno una prognosi peggiore. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare la presenza di marker elettrocardiografici di malattia trivasale all’interno di un ampio gruppo di pazienti consecutivi con STEMI anteriore sottoposti a pPCI. In particolare è stato analizzato il possibile ruolo predittivo della presenza di sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni inferiori e laterali. Metodi. Sono stati valutati tutti i pazienti consecutivi con diagnosi clinica di STEMI anteriore (definito tramite i reperti elettrocardiografici) sottoposti ad angioplastica primaria nel nostro Centro negli anni 20052007 (n=329 su 716 pazienti con STEMI). Per accertare il sopraslivellamento e il sottoslivellamento (≥0.1 mV 80 ms dopo il punto J) del tratto ST è stato utilizzato il primo ECG a 12 derivazioni disponibile. I pazienti sono stati seguiti per un tempo medio >1000 giorni. Risultati. L’età media dei pazienti era di 62±13 anni, il 77% era maschio e il tempo medio intercorso tra la sintomatologia e la pPCI (pain-to-balloon) era di 5 ore. La lesione colpevole è stata riscontrata a carico dell’arteria interventricolare anteriore in 305 pazienti (93%); una malattia trivasale era presente in 71 pazienti (22%). Nel corso del follow-up questi pazienti hanno mostrato una mortalità maggiore (29%) rispetto ai non trivasali (13%, p=0.002). Non è stata riscontrata correlazione tra il sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni inferiori (presente in 148 pazienti, 45%) e in D1 o aVL (presente in 23 pazienti, 10%) e la malattia trivasale. Abbiamo invece trovato associazione tra il sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni V5 e V6 e un significativo maggior rischio (p<0.001) di malattia trivasale con OR rispettivamente di 5.5 (95% CI 2.412.4) e di 3.3 (95% CI 1.7-6.1). Il valore predittivo positivo relativo alla presenza di malattia trivasale è risultato rispettivamente del 55% e del 41% per la presenza del sottoslivellamento del tratto ST in V5 e V6. Conclusioni. Precedenti studi hanno suggerito che in pazienti con STEMI anteriore la somma del sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni interessate sia correlata con ladimensione dell’infarto e conla mortalità a breve termine. Il presente studio indica che la presenza di sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni V5 e V6 è un forte predittore di malattia coronarica trivasale e può contribuire alla precoce stratificazione del rischio e al triage dei pazienti. P14 IMPLICAZIONI DELL’UTILIZZO ROUTINARIO DEL GRACE SCORE PER LA STRATIFICAZIONE DEL PAZIENTE CON SINDROME CORONARICA ACUTA (UA/NSTEMI) Alessio Lilli, Marco Tullio Baratto, Jacopo Del Meglio, Marco Chioccioli, Nicola Musilli, Rosa Poddighe, Lorenza Robiglio, Francesco Vivaldi, Massimo Magnacca, Alessandro Comella, Giancarlo Casolo U.O. di Cardiologia, Ospedale Unico della Versilia, Lido di Camaiore Background. Nella pratica clinica è raccomandata la stratificazione del rischio nei pazienti con SCA UA/NSTEMI al fine di scegliere la migliore strategia. Il GRACEscore è stato proposto come strumento efficace. Scopo e metodi. Scopo dell’analisi è valutare l’impatto dell’utilizzo del GRACE score nella pratica clinica.Abbiamo pertanto analizzato i pazienti giunti alla nostra attenzione con diagnosi di SCA in 2 anni. Nei primi 12 mesi (Gruppo 1) la stratificazione del rischio era lasciata al giudizio clinico. Nei secondi 12 mesi (Gruppo 2) era fortemente raccomandata la stratificazione mediante GRACE score. I dati clinici e strumentali riguardanti il ricovero sono stati raccolti attraverso un database in maniera indipendente alla dimissione. Durante il periodo in esame 530 pazienti con SCA sono giunti alla nostra attenzione e 331 (77% NSTEMI) sono stati inclusi nella presente analisi poiché avevano dati completi che consentivano di calcolare il GRACE score. Nei pazienti del Gruppo 1 il GRACE è stato calcolato esclusivamente a posteriori. Nei pazienti del Gruppo 2 è stato registrato se la stratificazione del rischio era stata eseguita o meno, ed il valore assoluto del risultato. Il calcolo era eseguito a posteriori nei pazienti del Gruppo 2 non stratificati all’ammissione. I due Gruppi sono stati confrontati per valutare se l’implementazione della stratificazione modificava sensibilmente l’approccio al paziente con SCA. Infine sono state messe a confronto le complicanze intraospedaliere legate all’approccio invasivo (morte, IMA periprocedurale e nefropatia da contrasto, CIN) nei pazienti stratificati e non del Gruppo 2. Risultati. Globalmenteil 18.4% dei pazienti arruolati avevano un rischio intraospedaliero considerato basso, il 35.6% intermedio ed il 45.9% elevato, senza differenze significative tra i due periodi considerati (16.8 vs 19.1%, 40.6 vs 33.5%, 42.6 vs 47.4%, Gruppo 1 vs Gruppo 2 rispettivamente, p NS per tutti). Nel Gruppo 2 il GRACE score è stato calcolato all’ammissione nel 72%dei casi. La percentuale di pazienti trattati con strategia invasiva non è risultata significativamente diversa nei due periodi (65.3% vs 61.3%, p NS) tuttavia nel sottogruppo con basso rischio clinico la percentuale di pazienti sottoposta a studio invasivo precoce è stata inferiore (88 vs 80%, p NS). Non sono state riscontrate differenze significative per quanto riguarda l’approccio invasivo nel gruppo a rischio intermedio (73 vs 71%, p NS) o a rischio elevato (49vs 47%, p NS). Nessun paziente è deceduto.La percentuale complessiva di IMA periprocedurale è risultatadel 9.2% con una differenza tra pazienti con e senza stratificazione (7.8 vs 12.5%, p NS). L’IMA non è risultato correlato al GRACE score (7.1-9.5-5.8% nei gruppi a basso medio ed alto rischio rispettivamente). La percentuale osservata complessiva di CIN è stata dell’11.5% con un trend correlato ai gruppi di rischio GRACE: 0-7.117.6% nei gruppi a basso medio ed alto rischio.La percentuale di CIN è stata significativamente più elevata nei pazienti senza GRACE score (15 vs 10%). Anche in questo caso dopo aver rivalutato in GRACE in postprocessing la percentuale di CIN mostrava una correlazione con il grado di rischio per SCA (0-14.3-21.4%). Conclusioni. L’implementazione del GRACE score non ha modificato sostanzialmente l’approccio al paziente con SCA nella nostra esperienza clinica se non in una quota di pazienti a rischio basso in cui è stata ridotta la percentuale di pazienti sottoposti a studio invasivo. Il rischio GRACE non si correla con il rischio di IMA periprocedurale ma ben caratterizza il rischio di CIN. La stratificazione del rischio sebbene raccomandata non viene eseguita nei pazienti a più alto rischio di sviluppare complicanze procedurali. P15 INCIDENZA E RILEVANZA PROGNOSTICA DELL’INSUFFICIENZA RENALE ACUTA IN PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA Angelo Cabiati1, Emilio Assanelli1, Silvio Bertoli2, Gianfranco Lauri1, Ivana Marana1, Jeness Campodonico1, Marco Moltrasio1, Marco Grazi1, Monica De Metrio1, Mara Rubino1, Giancarlo Marenzi1 1 Centro Cardiologico Monzino, Università degli Studi, Milano, 2 U.O. di Nefrologia e Dialisi, IRCCS, Multimedica, Sesto San Giovanni Introduzione. L’insufficienza renale acuta (acute kidney injury; AKI) frequentemente complica il decorso di una sindrome coronarica acuta (SCA). Numerosi fattori possono contribuire alla sua insorgenza in quest’ambito: instabilità emodinamica, utilizzo di mezzo di contrasto durante le procedure di rivascolarizzazione coronarica, emorragie maggiori associate con l’uso di terapie antitrombotiche, ecc. Indipendentemente dalle sue cause, lo G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 31S Tabella1 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO sviluppo di AKI è sempre stato posto in relazione con un decorso clinico Il punteggio, ottenuto dagli OR derivati dal modello multivariato, sfavorevole e con un aumento della mortalità ospedaliera. La maggior parte identifica tre gruppi di rischio (basso se <2, intermedio tra 2 e 7, alto se >7). degli studi ha identificato AKI con l’oligo-anuria o con un consistente Il secondo gruppo, 315 pazienti, è stato utilizzato per validare il punteggio incremento dei valori di creatinina (Cr). Tuttavia, anche minimi e transitori derivato dal modello logistico. Nella Tabella 2 vengono riportati i risultati aumenti di Cr sembrano condizionare una prognosi sfavorevole. Di fatto, derivati dall’applicazione dello score clinico e bioumorale ottenuti nella fino a oggi, non è mai stata applicata una definizione omogenea di AKI ai popolazione complessiva. pazienti con SCA. Di conseguenza, la reale incidenza di questa complicanza, Tabella 2 come del resto la sua rilevanza clinica e prognostica in rapporto alla sua Tabella 2 severità, non sono ancora note. In questo studio sono state valutate, in Score Gruppo di validazione (315) Tutti i pazienti (1215) un’ampia popolazione non selezionata di pazienti con SCA, l’incidenza di % pazienti (n) % eventi (n) % pazienti (n) % eventi (n) OR (CI) ≤2 28 (89) 2 (5) 33 (323) 4 (12) 1 AKI basandosi sulla classificazione proposta da AKIN/RIFLE, già validata in 2< score ≤7 51 (161) 14 (22) 54 (619) 16 (99) 4.9 (2.7-9.1)* altri contesti clinici, e la sua possibile associazione con la mortalità e la >7 21 (65) 49 (32) 13(273) 54 (148) 30.7 (16.4-57.2)* degenza ospedaliera. *rischio intermedio vs basso rischio e alto rischio vs basso rischio: p<0.0001; alto rischio Metodi. Sono stati analizzati retrospettivamente 1480 pazienti con SCA vs rischio intermedio: OR 6.2, p<0.0001. Conclusioni. (1163 STEMI; 317 NSTEMI) ricoverati presso la nostra UTIC per più di 48 ore. In tutti i pazienti è stata misurata la Cr all’ingresso in ospedale e, Conclusioni. Nella nostra casistica di pazienti consecutivi non selezionati quotidianamente, fino alla dimissione. AKI è stata classificata in 3 stadi: viene confermato il valore prognostico di parametri clinici e laboratoristici Stadio 1, caratterizzato da incremento dei valori di Cr ≥0.3 mg/dl; Stadio di comune utilizzo per una miglior definizione del livello assistenziale 2, incremento dei valori di Cr da 2 a 3 volte rispetto al valore iniziale; personalizzato al singolo paziente. Stadio 3, incremento di Cr >3 volte oppure un valore assoluto di Cr >4 mg/dl, con un aumento di almeno 0.5 mg/dl, oppure necessità di dover ricorrere ad un trattamento sostitutivo renale, indipendentemente dallo P17 stadio AKI prima dell’inizio dello stesso. CONTA DEI LEUCOCITI NEUTROFILI ALL’INGRESSO COME PREDITTORE DI Risultati. 204 (14%) pazienti hanno sviluppato AKI nel corso del ricovero. Di EVENTI CARDIACI MAGGIORI INTRAOSPEDALIERI IN PAZIENTI CON questi, 143 (70%) hanno raggiunto lo stadio 1, 15 (7%)P17 lo stadio 2, e 46 INFARTONEUTROFILI MIOCARDICO SENZA SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST (23%) lo stadio 3. La mortalità ospedaliera è risultata significativamente CONTA DEI LEUCOCITI ALL’INGRESSO COME PREDITTORE DI EVENTI CAR Maria Zaccaria, Pietro Palmisano, Vincenzo Palumbo, Domenico Zanna, maggiore nei pazienti con AKI rispetto a quelli senza AKI (22 vs 0.7%; MAGGIORI INTRAOSPEDALIERI IN PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO Filippo Masi, Donato Quagliara, Stefano Favale p<0.001). Nell’intera popolazione, inoltre, la mortalità ospedaliera è SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST Dipartimento di Cardiologia, Università degli Studi, Bari risultata progressivamente crescente in rapporto alla severità dell’AKI: 0.7% Introduzione. L’infiammazione gioca un ruolo chiave nella patogenesi (no AKI), 9.8% (AKI stadio 1), 40% (AKI stadio 2) e 54% (AKI stadio 3) delle sindromi coronariche acute. In questo contesto abbiamo indagato il (p<0.001). Un’analoga tendenza è stata osservata in relazione alla durata ruolo della conta dei neutrofili e dei livelli di PCR sierica all’ingresso, nel del ricovero in UTIC: 4.8±3 giorni (no AKI), 7.5±5.4 giorni (AKI stadio 1), predire gli eventi cardiaci maggiori intraospedalieri in pazienti con infarto 10.1±6.7 giorni (AKI stadio 2) e 10.5±8.6 giorni (AKI stadio 3) (p<0.001). Introduzione. miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI). Conclusioni. Lo studio conferma che il decorso dei pazienti con SCA è Metodi. In 274 pazienti (61% maschi, età media 72±13 anni), privi di frequentemente complicato da AKI (14% dei casi), e che la classificazione processi infiammatori in atto, ammessi nel nostro Centro tra Gennaio AKIN/RIFLE è in grado di riflettere, così come in altri contesti clinici non 2006 e Dicembre 2009 con diagnosi di NSTEMI, sono stati valutati la conta strettamente cardiologici, la prognosi a breve termine dei pazienti con SCA. dei neutrofili e il livello di PCR sierica all’ingresso. Questi indici di flogosi Metodi. sono stati correlati con un end point combinato che includeva: morte cardiaca, scompenso cardiaco acuto, reinfarto, angina post-infartuale; P16 sono stati correlati inoltre con la frazione di eiezione del ventricolo VALORE PREDITTIVO DI UNO SCORE CLINICO E BIOUMORALE NELLA sinistro (FEVS) all’ingresso e con l’estensione della coronaropatia STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO ALL’INGRESSO IN UTIC DI 1125 PAZIENTI all’esame angiografico. CONSECUTIVI NON SELEZIONATI P16 Risultati. Durante la degenza 85 pazienti (31%) hanno avuto eventi Alberto Roman-Pognuz1, Margherita Cinello1, Matteo Cassin1, maggiori intraospedalieri di cui: 4 (4%)DEL morte cardiaca, 63 (74%) VALORE PREDITTIVO DI UNO SCORE CLINICO E BIOUMORALE NELLA STRATIFICAZIONE Daniela Rubin2, Pietro Bulian2, Piero Cappelletti2, Franco Macor1, scompenso cardiaco acuto, 5 (6%) reinfarto, 14 (16%) angina 1 1 1 Risultati. 1 RISCHIO ALL’INGRESSO IN UTIC DI 1125 PAZIENTI CONSECUTIVI NON SELEZIONATI Riccardo Neri , Fauzia Vendrametto , Gianluigi Rellini , Elvira Loiudice , postinfartuale. I pazienti che hanno presentato eventi avevano una conta Gian Luigi Nicolosi1 di neutrofili più alta rispetto ai pazienti senza eventi (9567±6063 vs 1 Cardiologia, ARC, 2Patologia Clinica, A.O. S. Maria degli Angeli, 8048±3937/mL; p=0,015) ed una PCR più alta (52.4±57.3 vs 32.5±57.8 Pordenone mg/dL; p=0.029) (Figura). I pazienti con FEVS <40% all’ingresso avevano Introduzione. La stratificazione precoce del rischio del paziente una conta di neutrofili più alta rispetto ai pazienti con FEVS >40% cardiopatico acuto può contribuire a identificare i casi a rischio maggiore all’ingresso (9717±5742 vs 7854±3960/mL; p=0.010) ed una PCR più alta eIntroduzione. quindi a selezionare il livello assistenziale e l’intensità delle cure più (44.2±52.2 vs 23.9±45.8 mg/dL; p=0.040) (Figura). Vi era infine, una adeguati al singolo paziente.In passato sono stati studiati vari indicatori relazione diretta tra il numero di vasi coronarici coinvolti all’angiografia (demografici, clinici, bioumorali e strumentali) di rischio di eventi cardiaci e livello di PCR (monovasali 23.1±38.3, bivasali 27.7±28.8, trivasali maggiori in pazienti ricoverati in UTIC per una patologia acuta.Nella 52.3±61.7 mg/dL; ANOVA p=0.026). maggior parte dei casi questi indicatori sono stati valutati in popolazioni Conclusioni. In pazienti con NSTEMI, una più alta conta dei neutrofili e un Conclusioni.non selezionate, nell’ambito di studi randomizzati che generalmente più alto livello di PCR all’ingresso, si associano ad un più alto rischio di riflettono pienamente la tipologia dei pazienti del mondo reale. eventi maggiori intraospedalieri. Scopo dello studio. Definire il valore prognostico di diversi parametri clinici, bioumorali e strumentali di utilizzo routinario in UTIC, nell’ambito di pazienti consecutivi non selezionati al fine di sviluppare e validare un Scopo dello studio. modello predittivo di rischio di semplice applicazione, che consenta un’ottimizzazione del livello di cure fornito e quindi un miglior utilizzo delle risorse disponibili. Metodi e risultati. Dei 1215 pazienti consecutivi ricoverati presso l’UTIC della nostra Azienda Ospedaliera tra il giugno 2003 e il maggio 2005 sono Metodi e risultati. stati analizzati parametri clinici, laboratoristici (cTnI, BNP, hsCRP, WBC, creatinina, glicemia, assetto lipidico) e strumentali (ecocardiogramma, ECG, Rx torace) di utilizzo routinario. Il campione è stato suddiviso in due gruppi con estrazione casuale. Il primo gruppo, 900 pazienti, è stato utilizzato per sviluppare un modello logistico, predittivo dell’endpoint (morte e/o IMA e/o scompenso cardiaco acuto durante la degenza ospedaliera, a 30 giorni e a 6 mesi dalla dimissione), sulla base del P18 punteggio degli OR di rischio di eventi (Tabella 1). LA PROTEINA C-REATTIVA ULTRASENSIBILE (PCR) NELLA FASE PRECOCE Tabella 1 Tabella1 BNP >224 pg/ml Età >74 anni FEVS ≤40% Creatinina >1.2 mg/dl cTnI>0.13 ng/ml Glicemia >126 mg/dl HsCRP >3 Comorbilità* WBC >10.5/mcl Punteggio 3 2 2 1 1 1 1 1 1 OR (analisi multivariata) 3.88 2.29 2.05 1.93 1.79 1.76 1.65 1.59 1.56 *insufficienza renale (creatinina >2), malattie polmonari croniche, diabete mellito, malattie vascolari cerebrali o periferiche, neoplasie, epatopatia. 32S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Tabella 2 DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO ANTERIORE CON SEVERA DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA Luca Mircoli, Chiara Addamiano, Jolanda Baglivo, Laura Lenatti, Cristina Malafronte, Isidoro Pera, Luigi Piatti, Gianluca Tiberti, Felice Achilli Dipartimento di Cardiologia, Ospedale di Lecco, Lecco Introduzione. La PCR che è ormai unanimemente considerata come importantefattore di rischio cardiovascolare nel paziente con cardiopatia ischemica cronica. Il valore clinico di tale parametro nelle fasi molto precoci dell’infarto miocardico acuto con elevazione del tratto S-T (STEMI) non è tuttavia ancora stato chiaramente determinato. Metodi. Sono stati selezionati 60 pazienti (età, anni 64.3±9.1; 34 maschi, 18 femmine) giunti presso il PS dell’Ospedale di Lecco negli anni 2007/2008 con diagnosi di STEMI della parete anteriore con segni ecografici di disfunzione ventricolare sinistra (FE <45%), inviati a trattamento OSPEDALIERA Introduzione. POSTER immediato mediante angioplastica coronarica (PTCA) primaria efficace con ripristino di flusso TIMI 3 sul ramo correlato all’infarto. I pazienti già trattati con statine non sono stati considerati. All’arrivo in PS e prima della PTCA (T0) in ciascun paziente sono stati valuti: 1) la classe clinica sec. Killip, 2) la PCR ultrasensibile (mg/dl) aggiunta al contesto degli esami urgenti di routine e 3) un ecocardiogramma. PCR ed ecocardiogramma sono stati ripetuti dopo 5 giorni (T5). Tutti i pazienti sono stati posti in trattamento immediato con statina +opportuna terapia medica convenzionale. I valori di PCR sono stati correlati 1) con le classi Killip, 2) coi valori di picco CK, 3) coi valori di frazione di eiezione (FE%) e 4) con le modificazioni di FE (ΔFE%) a T5. Risultati. Il tempo medio symptoms to balloon è stato 256 min (range 110510). I valori di PCR, tendenzialmentebassi a T0, aumentavano significativamente a T5 (1.6±3.5 vs 3.1±4.16, p<0.05). La PCR era normale (<1 mg/l) nel 66% dei pazienti a T0 e nel 16% a T5 (p<0.001). I valori di PCR a T5 correlavano coi valori di picco CK (r=0.72, p<0.05) e con la classe Killip (p<0.05). L’FE% era 40.2±12.1a T0 e 43.7±11.1 aT5 (p=ns). Tuttavia era evidente che i valori di PCR a T5 erano significativamente più bassi nei pazienti con miglioramento della funzione sistolica (ΔFE% positivo, n=42), rispetto a quelli senza modificazione o peggioramento (ΔFE% invariato o negativo, n=18) (1.3±2.1 vs 4.5±3.8, p<0.05). Conclusioni. I valori diPCR valutati durante le prime ore di uno STEMI anteriore appaiono sostanzialmente normali nella maggioranza dei soggetti incrementando significativamente nei giorni successivi nonostante un efficace trattamento riperfusivo mediante PTCA e farmacologico con statine. L’entità dell’incremento correla con la classe Killip d’esordio, col picco CK ed è predittivo di un peggiore recupero della funzione ventricolare sinistra. selezionata di pazienti con STEMI complicato da SC trattati con terapia massimale e analizzato le possibili variabili cliniche associate con la mortalità ospedaliera. Metodi. Sono stati valutati, retrospettivamente, 55 pazienti con STEMI complicato da SC ricoverati presso la nostra UTIC e sottoposti a rivascolarizzazione coronarica percutanea, contropulsazione aortica e ventilazione meccanica e terapia medica massimale. Ai fini dell’analisi, i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi a seconda che fossero Metodi. sopravvissuti (Gruppo 1, n=24), o meno (Gruppo 2, n=31), all’evento acuto (mortalità complessiva della popolazione 56%). Le principali caratteristiche cliniche di base e quelle relative al decorso ospedaliero sono state confrontate nei due gruppi. Risultati. I pazienti del Gruppo 1 presentavano un’età inferiore a quella del Gruppo 2, mentre le altre caratteristiche di base risultavano simili (Tabella). I parametri emogasanalitici (pH, pCO2, pO2) all’arrivo in Risultati. ospedale erano simili nei due gruppi, così come la tendenza alla loro normalizzazione entro le prime ore di ventilazione meccanica. Tuttavia, nel Gruppo 2, diversamente dal Gruppo 1, è stata osservata una persistente elevazione dei valori dei lattati plasmatici ai controlli eseguiti 2 e 24 ore dopo (basale: 8.8±4.3 mmol/L [Gruppo 1] vs 6.9±5.9 mmol/L [Gruppo 2], p=NS; controllo a 2 ore: 5.6±3.9 mmol/L [Gruppo 1] vs 8.7±5.1 mmol/L [Gruppo 2], p=0.017; controllo a 24 ore: 1.7±1 mmol/L [Gruppo 1] vs 5.4±5.1 mmol/L [Gruppo 2], p<0.001). Conclusioni. La mortalità dei pazienti con STEMI complicato da SC e trattati con terapia massimale si associa ad una mancata o ritardata Conclusioni normalizzazione dei lattati nelle prime 24 ore di assistenza ventilatoria meccanica, a parità di disfunzione cardiaca acuta. Restano da chiarire le cause della loro persistente elevazione, la loro rilevanza nell’influenzare la prognosi e il possibile impatto clinico come bersaglio terapeutico. P19 B-TYPE NATRIURETIC PEPTIDE LEVELS PREDICT EXTENT AND SEVERITY OF CORONARY DISEASE IN NON-ST ELEVATION CORONARY SYNDROMES AND NORMAL LEFT VENTRICULAR SYSTOLIC FUNCTION Alberto Palazzuoli1, Giovanni Antonelli1, Maria Caputo1, Anna Calabrò1, Maria Stella Campagna1, Beatrice Franci1, Ranuccio Nuti1, Alan Maisel2 1 Cardiology Section, Department of Internal Medicine and Metabolic Disease, University of Siena, Siena, 2Cardiac Care Unit and Heart Failure Program, San Diego Veterans Affairs Medical Center, San Diego, USA Background. Recently the use of natriuretic peptide has been employed in patients with coronary artery disease (CAD) with ST elevation and nonST elevation. BNP is able to predict systolic dysfunction, adding new prognostic information with respect to traditional markers. However is not known if there is a relation between coronary artery disease severity and BNP levels. Methods. This study compared B-type natriuretic peptide (BNP) levels in patients with stable angina (SA) and acute coronary syndromes (ACS) with non-ST elevation in relation to angiographic lesions using TIMI and Gensini Scores. We studied 282 patients with CAD without ST elevation and preserved systolic function. BNP samples were measured in all recruited patients within 24 hours of hospitalization Results. BNP values were progressively increased in relation with diagnosis: SA (52.6±49.4 pg/mL), UA (243.3±212 pg/mL), NSTE-ACS (421.7± 334 pg/mL) (p<0.0001 and p<0.007 respectively). No statistically significant difference was observed between patients with SA and controls (21.2±6.8 pg/mL). Analysis of BNP in relation to number of involved vessels demonstrated significantly increased levels in patients with multivessel disease compared to patients with 1 or 2 vessel disease (1- 86.2±46.3 pg/mL; 2- 127±297 pg/mL; 3- 295±318 pg/mL; 4- 297±347 pg/mL p<0.001 and p<0.003). Evaluation of BNP using Gensini Score showed a strong relation between BNP and coronary disease extension (r=0.38, p<0.0001).This trend was maintained in all CAD groups (SA r=0.54; UA r=0.36 NSTE-ACS r=0.28). Conclusions. Circulating BNP levels appear elevated in ACS with diffuse coronary involvement, even in the absence of systolic dysfunction. BNP is also associated with multivessel disease and coronary disease extension. P20 STEMI COMPLICATO DA SHOCK CARDIOGENO: PARAMETRI CLINICI CORRELATI ALLA MORTALITÀ OSPEDALIERA Mara Rubino, Marco Grazi, Gianfranco Lauri, Ivana Marana, Monica De Metrio, Angelo Cabiati, Marco Moltrasio, Jeness Campodonico, Emilio Assanelli, Giancarlo Marenzi Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Università degli Studi, Milano Introduzione. Lo shock cardiogeno (SC) rappresenta la principale causa di morte ospedaliera nei pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Nonostante un progressivo aumento dell’aggressività terapeutica, basata sul precoce ricorso a rivascolarizzazione coronarica, contropulsazione aortica e ventilazione meccanica abbiano consentito una drastica riduzione della mortalità complessiva dei pazienti con SC, questa risulta ancora elevata, e comunque superiore al 30% anche nelle casistiche più favorevoli. Dal punto di vista prognostico non è ancora chiaro quale ulteriore strategia terapeutica possa essere di vantaggio ai pazienti che già ricevono un trattamento ritenuto ad oggi massimale. L’identificazione di possibili variabili cliniche associate alla mortalità nei pazienti con SC rappresenta un passo fondamentale per poter identificare nuovi potenziali target terapeutici. In questo studio abbiamo esaminato le caratteristiche di una popolazione Età (anni) Donne, n Diabete, n FEVS (%) Intervallo sintomi-PCI (ore) CK-MB picco (ng/ml) Pregresso infarto, n Coronaropatia trivasale, n Gruppo 1 (n=24) 66±12 6 (25%) 3 (12%) 33±13 13±24 399±301 8 (33%) 6 (25%) Gruppo 2 (n=31) 74±10 6 (19%) 9 (29%) 29±13 15±27 447±467 13 (42%) 13 (42%) p 0.009 NS NS NS NS NS NS NS P21 LA FUNZIONE ATRIALE NELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO: ANALISI MULTIPARAMETRICA MEDIANTE 2D SPECKLE TRACKING Ketty Savino1, Alessio Lilli2, Clara Riccini1, Elisabetta Bordoni1, Giorgio Maragoni3, Claudio Cavallini4, Giuseppe Ambrosio5 1 Cardiologia, Università di Perugia, Laboratorio Diagnostica per Immagini, ASL 3 Umbria, Perugia, 2U.O. di Cardiologia della Versilia, Lido di Camaiore, 3U.O. di Cardiologia, Ospedale di Spoleto, Spoleto, 4 S.C. di Cardiologia, Azienda Ospedaliera di Perugia, Perugia, 5 Cardiologia e Fisiopatologia Cardiovascolare, Università di Perugia, Perugia Introduzione. È noto come l’infarto miocardico acuto (IMA) induca rimodellamento atriale sinistro. Il volume atriale indicizzato rappresenta un fattore prognostico indipendente di mortalità nell’IMA. Recentemente è stata proposta la valutazione della funzione atriale con la tecnica dello strain bidimensionale mediante speckle tracking (2DS). Scopo dello studio. Valutare, mediante 2DS, le modificazioni della funzione atriale sinistra (contrazione e rilasciamento) in pazienti con primo IMA trattati con PTCA primaria. Materiale e metodi. Studio prospettico di pazienti consecutivi con primo IMA trattati con PTCA primaria di successo che al momento della dimissione eseguivano ecocardiogramma standard di ottima qualità tecnica. La funzione atriale sinistra con 2DS veniva valutata mediante la determinazione di tutti i picchi di strain (S) e di strain rate (Sr) atti ad analizzare le componenti di rilasciamento, passiva e contrattile. Followup clinico a 12 mesi. I dati eco della popolazione con IMA (Gruppo I) venivano messi a confronto con una popolazione sana di controllo (Gruppo C). Risultati. Sono stati arruolati 59 pazienti (48M), età media 62.58±11.64 anni. Il gruppo C è costituito da 11 soggetti sani. Il confronto dei due gruppi ha mostrato differenze significative di tutti gli indici di S e Sr di funzione atriale (Tabella). La sede dell’IMA non influenzava significativamente la funzione atriale mentre la disfunzione sistolica ventricolare si (p<0.05 per tutti gli indici misurati) (Tabella). In particolare, l’entità e l’estensione dell’area disfunzionante, valutata mediante WMSI, correlava significativamente con la funzione atriale (r=-0.56, p<0.001). Infine, i pazienti con eventi al follow-up di 12 mesi (12 eventi: morte, scompenso cardiaco e necessità di rivascolarizzazione) erano quelli con una funzione atriale più compromessa (Tabella). Conclusioni. Nell’IMA la funzione atriale sinistra è ridotta e coinvolge sia la componente di contrazione che quella di rilasciamento. Le modificazioni della funzione atriale sinistra sono significativamente maggiori nei pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra. I pazienti con eventi al follow-up hanno maggiori alterazioni della funzione atriale. Sono necessari ulteriori e più ampi studi per valutare l’utilità clinica di questi dati. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 33S Conclusioni. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Results. Final diagnosis was STEMI in 46% of cases and NSTEMI in 54%. Median age was 65.9 years (range 39-92) for STEMI vs 71.3 years (range 3797) for NSTEMI (p<0.0001); males were 70.2% in the STEMI group and 65.1% in the NSTEMI group (p=0.31). The proportion of smokers (36 vs 18%, p=0.001) and hypercholesterolemia (54 vs 42.9%, p=0.037) was higher in the STEMI group, while prior MI (17.5 vs 6.8%, p=0.003) and prior revascularization by CABG (p=0.049) were higher in the NSTEMI group. No statistically significant differences were noted for hypertension (70.2% for STEMI and 68.3% for NSTEMI, p=0.69) and previous stroke (2.5% in STEMI vs 6.3% in NSTEMI, p=0.08). At discharge all patients received optimal medical therapy according to current guidelines: aspirin (95.1%), beta-blockers (91.4%), RAAS inhibitors (85.1%) and statins (86.3%). Median length of stay was 11.4 days (range 1-40) for NSTEMI vs 9.7 days (range 1-90) for STEMI (p=0.03). Overall mortality at 6.5 years was 38.1% for NSTEMI vs 22.4% for NSTEMI (p<0.0001). Conclusions. Among patients with acute MI identified by elevated biomarkers and ST criteria, NSTEMI was associated with older age, worse cardiovascular history and higher long-term mortality compared to STEMI. Terapia antitrombotica P22 P24 PROGNOSI A 6 MESI IN PAZIENTI OSPEDALIZZATI PER SCOMPENSO CARDIACO E CARDIOPATIA ISCHEMICA: IL PROGETTO CUORE 24 ORE Simona Falcone1, Silvia Chiocchini1, Piercarlo Ballo1, Alfredo Zuppiroli2 1 S.C.di Cardiologia, Ospedale S. Maria Annunziata, ASL 10, Firenze, 2 Dipartimento di Cardiologia, ASL 10, Firenze, Firenze Background. La cardiopatia ischemica e lo scompenso cardiaco costituiscono patologie cardiovascolari ad elevato impatto socioeconomico. Programmi strutturati di continuità assistenziale costituiscono un presupposto di base per l’ottimale gestione di tali patologie. Obiettivo. Valutare la prognosi a 6 mesi all’interno di un programma strutturato finalizzato al follow-up post-dimissione di pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta o per scompenso cardiaco. Metodi. Durante un periodo di 15 mesi, in tre presidi ospedalieri fiorentini (Ospedale Santa Maria Annunziata, Ospedale Santa Maria Nuova ed Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio) sono stati arruolati 335 pazienti (età media 73.8±11.0 anni, 38% donne; 68.5% dopo un ricovero per sindrome coronarica acuta e 31.5% dopo un ricovero per scompenso cardiaco). I pazienti sono stati stratificati in tre fasce di rischio (alta, intermedia e bassa) e quindi seguiti da personale medico ed infermieristico in maniera differenziata a seconda della fascia di rischio, sia con controlli ambulatorialisia con contatti telefonici con possibile monitoraggio ECG a distanza. Ogni paziente ha avuto la possibilità di contattare telefonicamente 24 ore su 24 il personale sanitario infermieristico e/o medico. Come endpoint sono stati considerati la mortalità totale ed i nuovi ricoveri in urgenza non programmati. Risultati. Nei 6 mesi di follow-up previsti dal protocollo, il tasso di nuovo ricovero in urgenza è risultato del 14.9% nel gruppo con scompenso cardiaco e del 10.0% nel gruppo con sindrome coronarica acuta (p=0.26), mentre la mortalità è stata del 14.9% nel gruppo con scompenso cardiaco e del 0.9% nel gruppo con sindrome coronarica acuta (p<0.0001). Gli unici 2 decessi nella popolazione affetta da sindrome coronarica acuta sono avvenuti a più di 30 giorni dall’arruolamento, mentre circa la metà (8 su 15) dei decessi nel gruppo scompenso si è verificata entro i 30 giorni dall’arruolamento. All’analisi multivariata, età e frazione di eiezione erano i più importanti predittori di morte e ricovero in urgenza. È stato fatto largo uso delle chiamate telefoniche (programmate 687, non programmate 368), corrispondenti ad un tasso di 3.1 chiamate per paziente. Conclusioni. All’interno di un programma strutturato di follow-up, pazienti con sindrome coronarica acuta hanno mostrato una mortalità a 6 mesi considerevolmente più bassa rispetto a pazienti con scompenso cardiaco. EFFETTO PROGNOSTICO DELL’ANEMIA SUBCLINICA IN PAZIENTI SOTTOPOSTI AD ANGIOPLASTICA PRIMARIA TRATTATI CON INIBITORI DELLE GLICOPROTEINE IIb/IIIa Marco Vatrano, Roberto Ceravolo, Cristina Nesta, Alessandro Ferraro, Vittorio Pascale, Francesco Borrello, Giuseppe Ciconte, Vincenzo Antonio Ciconte U.O. di Emodinamica e Cardiologia Interventistica, A.O. “PuglieseCiaccio”, Catanzaro Background e scopo dello studio. La comparsa di anemia in pazienti ospedalizzati per infarto miocardico acuto è comune e, a volte, riconosce un’eziologia iatrogena dovuta all’utilizzo di inibitori delle glicoproteine (GP) piastriniche IIb/IIIa. Scopo del presente studio è valutare se il trattamento con i farmaci sopraindicati, ed in particolar modo abciximab e tirofiban, sia correlato ad una riduzione significativa dei livelli basali di emoglobina ed ematocrito, in assenza di anemia, con eventuali ricadute prognostiche. Metodo. Sono stati arruolati 171 pazienti consecutivi (144M/27F; età 61±6.5anni) con sindrome coronarica acuta (SCA) e sopraslivellamento del tratto ST-T (STEMI), diagnosticata secondo le linee guida internazionali, in cui è stato effettuato, al momento del ricovero, accurato esame clinico dell’apparato cardiovascolare, ECG standard, ecocardiogramma M e Bmode, nonché gli esami ematochimici di routine. Ciascun paziente è stato immediatamente sottoposto ad angiografia coronarica con angioplastica primaria, con l’ausilio peri-procedurale degli inibitori IIb/IIIa. Tutti i pazienti arruolati presentavano normali valori basali e pre-dimissione di emoglobina ed ematocrito. Il follow-up, condotto mediante visite ambulatoriali e/o intervista telefonica, è stato di 12 mesi. Risultati. L’analisi dei dati ci ha consentito di documentare una significativa riduzione, rispetto ai valori basali, di HGB e HCT in tutti i pazienti trattati sia con tirofiban che con abciximab in assenza di fenomeni emorragici evidenti e necessità di emotrasfusione. Il tirofiban, tuttavia, determinava un calo significativamente superiore rispetto all’abciximab (p=0.000). La successiva analisi multivariata ha indicato la terapia antitrombotica come determinate dell’11% della variabilità complessiva dei livelli di HGB (p=0.000) ed HCT (p<0.011). La glicemia basale e l’età aggiungevano un ulteriore 7% e 3%, rispettivamente. Dopo correzione per le variabili confondenti il tasso di eventi cardiovascolari è risultato significativamente superiore (p<0.001) nei pazienti in cui si verificava il calo maggiore della concentrazione di emoglobina e di ematocrito. Conclusioni. I nostri dati dimostrano che, in pazienti con SCA-STEMI trattati con angioplastica primaria, l’utilizzo degli inibitori delle GPIIb/IIIa modifica significativamente l’assetto emoreologico della linea rossa, anche senza determinare anemia. Tale alterazione, per quanto subclinica, determina effetti prognostici, da confermare con successivi studi prospettici randomizzati. P23 LONG-TERM PROGNOSIS OF PATIENTS WITH ST-ELEVATION AND NON-STELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION ADMITTED TO A DISTRICT GENERAL HOSPITAL WITHOUT INVASIVE CAPABILITIES Luciano Moretti2, Benedetta Ruggeri1, Pierfrancesco Grossi2, Donatella Paliotti2, Maggie Testa2, Carlo Bonanni2 1 Clinical Governance Service, 2Division of Cardiology, Ospedale Mazzoni, Ascoli Piceno Background. In contemporary practice the diagnosis of myocardial infarction (MI) is based on chest pain history and elevated biomarkers, while classification is dichotomized by ECG between ST-elevation MI (STEMI) and non-ST-elevation MI (NSTEMI). Several historical studies investigated long-term prognosis on the basis of non-Q-wave versus Qwave MI classification whereas fewer recent studies have used the newer MI definition and classification. Methods. Between January 2004 and December 2005, 350 AMI patients, pertaining administratively to our catchment area, were consecutively admitted to our Institution. AMI were classified as STEMI or NSTEMI. We performed a retrospective analysis in order to describe clinical characteristics, in-hospital management and 6.5 years mortality of all patients who survived the acute phase of MI according to the presence of ST elevation (STEMI) or not (NSTEMI). 34S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P25 USO DEL TIROFIBAN IN FASE PERIOPERATORIA IN PAZIENTI CON RECENTE IMPIANTO DI DES E SOSPENSIONE OBBLIGATA DELLA DOPPIA ANTIAGGREGAZIONE M. Cacucci, O.Durin, D. Tovena, M. Nanetti, P. Agricola, G. Inama Dipartimento Cardio-Cerebro-Vascolare, Ospedale Maggiore, Crema Background. I pz sottoposti a impianto di stent (ST) coronarico richiedono il trattamento con doppia antiaggregazione (DA) per 1 mese in caso di BARE ST e 6 mesi in caso di DES. La sua sospensione comporta un rischio elevato di trombosi intraST che a sua volta si associa ad una mortalità del 40%. Se inoltre l’eventuale trombosi si dovesse sviluppare in fase perioperatoria si assocerebbe a severa morbilità per le limitate possibilità di intervento. In alcuni casi la DA viene sospesa per affrontare condizioni cliniche gravi: emorragie, interventi chirurgici (IC) salvavita e chirurgia oncologica. Nel caso delle emorragie e degli IC eseguiti in emergenzaurgenza la sospensione della DA è obbligatoria e non aggirabile ed è seguita dalla sua riassunzione dopo stabilizzazione clinica. Nel caso degli IC non procrastinabili ma comunque programmabili nel breve periodo l’unica possibilità è l’uso di antiaggreganti potenti ma reversibili. POSTER Metodi. Il tirofiban (TI) è un inibitore reversibile della glicoproteina IIb/IIIa, con emivita di circa 6 ore. La sua inibizione blocca la via finale comune dell’attivazione delle piastrine, sostituendo quindi la DA. I pz con stent che devono subire un IC necessario e procrastinabile di almeno una settimana, nel nostro Ospedale sono sottoposti al protocollo con TI. Questo prevede la sospensione della DA 7 giorni prima dell’IC in regime di ricovero(nel reparto chirurgico). L’inizio del TI in base al peso ed alla funzione renale, previo singolo bolo, 5 giorni prima dell’intervento. Il TI viene sospeso 4 ore prima dell’operazione. La ripresa del farmaco avviene due ore dopo la chiusura della ferita chirurgica, senza bolo. Quando possibile consigliamo al chirurgo di lasciare in sede un drenaggio per il controllo del sanguinamento. Se la situazione clinica rimane stabile, il pz rimane nel reparto di provenienza e viene sottoposto a monitoraggio della pressione arteriosa e dell’ECG ed al controllo dell’emocromo e dell’ECG a 12 derivazioni ogni 6 ore per 24 ore. In generale, il TI viene continuato per 48 ore e poi sostituito da ASA 100 mg/die e clopidogrel 75 mg/die, preceduto da carico di 300 mg. In caso di IC sull’addome la DA viene ripresa solo a canalizzazione avvenuta. In presenza di emorragia si sospende il TI, si procede con emotrasfusioni e si consiglia al chirurgo la revisione del campo operatorio per risolvere eventuali perdite correggibili. Se questo è possibile si riprende il protocollo dalla sua interruzione. Risultati. Sono stati sottoposti al protocollo descritto 11 pz. Due avevano ricevuto multipli DES meno di 10 giorni prima della necessità di sottoporsi a IC (per occlusione intestinale persistente). Gli altri erano tutti pz con impianto di DES entro 6 mesi e con successivo riscontro di patologia oncologica. Tutti i pz hanno tollerato il protocollo descritto, non hanno presentato complicanze cardiovascolari, né emorragie. Ci sono stati soli due decessi ma legati a problematiche non cardiache. Conclusioni. Nella nostra esperienza il protocollo con TI in pz con necessità di DA e nello stesso tempo con indicazione a IC non differibile ci sembra sicuro ma soprattutto molto efficace, considerando inoltre l’assenza di opzioni ugualmente affidabili. P26 RISCHIO EMORRAGICO NEI PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA, TRATTATI CON PCI E INIBITORI DELLE GLICOPROTEINE IIb/IIIa, E SOTTOPOSTI A CONTROPULSAZIONE AORTICA Elena Crudeli, Sandro Gelsomino, Marco Chiostri, Cristina Giglioli, Gian Franco Gensini, Serafina Valente Dipartimento Cuore e Vasi, Careggi, Firenze Introduzione. Il trattamento con gli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa (GPI) è indicato nelle sindromi coronariche acute (SCA) ad alto rischio trattate con angioplastica coronarica (PCI); il loro uso è consigliato anche nei pazienti che sono in shock cardiogeno; in questi ultimi pazienti viene spesso impiantato un contropulsatore aortico (IABP). L’obiettivo del nostro lavoro è stato quello di valutare se il trattamento con GPI aumentava il rischio di complicanze emorragiche nei pazienti contropulsati. Materiali e metodi. Dal primo gennaio 2004 al 31 dicembre 2007, sono stati ricoverati nella nostra terapia intensiva cardiologica (UTIC) 389 pazienti con SCA trattati con PCI e sottoposti a contropulsazione aortica. Tra questi, 257 (66%) prima della procedura sono stati trattati con GPIs (gruppo 1). Tutti i pazienti sono stati trattati con eparina non frazionata, ASA, clopidogrel. Tra i pazienti del gruppo 1, 159 pazienti (61.86%) sono stati trattati con abciximab (bolo 0.25/kg seguito da infusione 0.125 μg/kg/min per 12 ore) e 98 pazienti (38.13%) sono stati trattati con tirofiban (0.4 μg/Kg/min in 30 min seguito da infusione 0.1 μg/kg/min). Metodi statistici. I dati sono riportati come frequenze e percentuali; le variabili predittive di complicanze sono state identificate con l’analisi di regressione logistica riportando i relativi odds ratio (OR). Risultati. La mortalità dei pazienti trattati con GPI è stata del 13.6% (35 pazienti), nel gruppo 2 è stata del 25% (33 pazienti) (p=0.02). Complicanze si sono verificate complessivamente in 103 pazienti (26.4%) senza differenze significative tra i due gruppi (gruppo 1: 68, 26.4%; gruppo 2: 35, 26.5%; p=0.9). Le complicanze emorragiche si sono verificate in 81 pazienti (20.8%), con incidenza simile nei due gruppi (p=0.721). Tra di esse, sia l’incidenza di sanguinamenti maggiori, che quella di sanguinamenti minori, è risultata paragonabile tra i due gruppi (maggiori: 9.33% gruppo 1 vs 7.57% gruppo 2, p=0.51; minori: 12.06 vs 12.12%, rispettivamente, p=0.9). La maggioranza dei sanguinamenti maggiori (n=24, 29.6%) si sono verificati in pazienti di oltre 80 anni, senza differenza tra i due gruppi (p=0.5). Inoltre, la necessità di trasfusione di globuli rossi concentrati è risultata simile nel gruppo 1 e nel gruppo 2 (21.2% [n=28] vs 20.2% [n=52], p=0.63). Alla regressione logistica, l’età (OR 3.30), l’obesità, (OR3.16) e il numero di piastrine pre-PCI (OR 2.26) si sono dimostrati predittori indipendenti di sanguinamento. Il trattamento con anti-IIb/IIIa (OR0.87) invece, non è risultato significativo. Conclusioni. Il nostro studio dimostra che nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta, trattati con PCI, che necessitano di assistenza con IABP, l’uso di inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa non aumenta il rischio di complicanze emorragiche. P27 BIVALIRUDINA: AGEVOLE GESTIONE DI UNA COMPLICANZA EMORRAGICA Ivan Meloni, Pierluigi Merella, Stefano Mameli, Simone Fadda, Maria Letizia Stochino, Gavino Casu U.O.C. di Cardiologia, Ospedale San Francesco, Nuoro Background. La bivalirudina è un inibitore diretto e reversibile della trombina: a differenza delle eparine, che agiscono a monte della cascata coagulativa, la bivalirudina agisce direttamente sulla trombina. La buona maneggevolezza del farmaco deriva dalle favorevoli caratteristiche farmacocinetiche (biodisponibilità 100%, breve emivita, prevalente eliminazione per scissione proteolitica, ridotta escrezione renale) e farmacodinamiche (legame trombinico diretto e reversibile). La biodisponibilità del 100% determina una cinetica lineare tra dose ed efficacia, rendendo inutile il controllo dell’ACT dopo la somministrazione; la breve emivita e la reversibilità del legame con la trombina consentono una rapida cessazione dell’effetto dopo sospensione dell’infusione endovenosa (questo, oltre ad essere utile in caso di complicanze emorragiche, consente anche una rapida rimozione dell’introduttore arterioso post procedura); la prevalente eliminazione per via proteolitica ne permette l’uso anche in caso di IRC; il legame diretto con la trombina assicura l’efficacia anche in caso di deficit di AT III e una mancata attivazione piastrinica. Vari studi hanno valutato l’efficacia e la sicurezza della bivalirudina: bivalirudina ha dimostrato una efficacia sovrapponibile all’uso combinato di eparina + inibitori glicoproteina IIb/IIIa a fronte di una riduzione sensibile e statisticamente significativa dei sanguinamenti maggiori (ad esempio, nel REPLACE 2 i sanguinamenti maggiori erano 2.4 vs 4.1%, p<0.0001), con massimizzazione dei vantaggi nella popolazione anziana (età >75 anni) e con ridotta clearance della creatinina. In particolare, tali vantaggi diventano più evidenti tanto maggiore è la probabilità pre-test di sanguinamento. Tra questi risultano sicuramente i pazienti in TAO che afferiscono alla sala di emodinamica per una SCA; l’uso di anti-IIb/IIIa in tali pazienti è un fattore predittivo di sanguinamento precoce (OR 3.8, p=0.002), soprattutto se associato al sesso femminile (OR 2.6, p=0.02) (BASKET Trial). Caso clinico. Maschio, 54anni, peso 60 kg. Nessun fattore di rischio noto, non storia di cardiopatia ischemica. Ricovero in emergenza presso ospedale rurale per STEMI anteriore, trattato con trombolisi (tenecteplase), ASA 300 e.v., clopidogrel 300 mg, eparina in infusione sec. aPTT; dopo l’iniziale riperfusione, ottenuta dopo circa un’ora dall’inizio della terapia trombolitica, il paziente viene trasferito presso la nostra UTIC per eseguire un’angiografia coronarica. Durante il trasporto, a circa 3 ore dalla trombolisi, ricomparsa della sintomatologia con nuovo sopralivellamento del tratto ST in sede anteriore. All’arrivo c/o il nostro centro (a circa 4 ore dalla fibrinolisi) quadro di franca sopraelevazione di ST in anteriore, con paziente fortemente sintomatico per angor e classe di Killip III (ipotensione con PAS <90mmHg, quadro di pre-edema polmonare). È stata pertanto effettuata coronarografia d’emergenza (approccio femorale dx) che ha evidenziato sub-occlusione con flusso TIMI1 di IVA media e occlusione cronica (con quadro di bridging collaterals) su CDx media; contestualmente è stata eseguita PTCA rescue sulla culprit lesion (IVA media) con impianto di BMS e ottimo risultato angiografico finale (flusso TIMI3). Dopo la procedura di PTCA, per il persistere di ipotensione e instabilità emodinamica, è stato effettuato posizionamento di IABP (mantenuto per le successive 48 ore in UTIC), sempre attraverso l’approccio femorale dx. La terapia farmacologica somministrata è stata la seguente: secondo carico di clopidogrel (300 mg); in considerazione della insufficiente coagulazione nonostante la infusione di eparina fino all’arrivo c/o il nostro centro (ACT 140) e del carico trombotico della lesione, si è deciso di somministrare bivalirudina bolo + infusione sec. peso corporeo. Dopo circa 15’di infusione di mantenimento, sospensione della bivalirudina e posizionamento di sondino nasogastrico per la comparsa di sanguinamento (ematemesi). La dose globale di bivalirudina somministrata è stata di 70 mg. Dopo 30’ dalla sospensione dell’infusione di bivalirudina si è osservata una cessazione completa del sanguinamento gastrico; non si è reso necessario ricorrere ad alcun trattamento specifico del sanguinamento, giudicato come lieve (Hb pre-procedura: 16.1; Hb alla dimissione 14.1; livello minimo di Hb raggiunto durante ricovero: 14.0). Nei giorni successivi, dopo rimozione IABP, non si è osservata alcuna complicanza in sede di puntura femorale (8F). Conclusioni. Nella nostra esperienza, la bivalirudina rappresenta una valida alternativa alla associazione tra anti-IIb/IIIa ed eparina nei pazienti ad elevato rischio di sanguinamento, sia per la riduzione del numero di complicanze emorragiche, come evidenziato in letteratura, che per la più agevole gestione delle medesime, qualora si verifichino. P28 MONITORAGGIO DELL’AGGREGAZIONE PIASTRINICA E SVILUPPO DI EVENTI IN PAZIENTI CON SCA RIVASCOLARIZZATI MEDIANTE PTCA ED IMPIANTO DI STENT Federica Giordano1, Ilaria Jacomelli1, Mariano Pellicano1, Tania Dominici1, Sabino Carbotta1, Carmela Basile1, Fabio Maria Pulcinelli2, Francesco Barillà1 1 Dipartimento Cuore e Grossi Vasi, 2Dipartimento di Medicina Sperimentale, Policlinico Umberto I, La Sapienza Università, Roma Background. La terapia antiaggregante con ASA e clopidogrel si è dimostrata fondamentale per la riduzione di eventi coronarici a breve e lungo termine nei pazienti con CAD rivascolarizzati mediante PTCA e stenting. A causa della variabilità di risposta al Clopidogrel, nonostante il trattamento combinato, un elevato numero di pazienti rimane ad alto rischio per lo sviluppo di eventi nel follow-up. Scopo dello studio. Valutare l’efficacia del monitoraggio dell’aggregazione piastrinica, con le eventuali modifiche della terapia in caso di necessità, sull’incidenza di eventi cardiovascolari (CV) nel follow-up di pazienti con SCA trattati con angioplastica coronarica ed impianto di stent. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 35S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Materiali e metodi. Dal gennaio 2008 al gennaio 2010, sono stati arruolati 136 pazienti (gruppo A) di cui 98 uomini e 38 donne (88 STEMI e 48 NSTEMI; età media 60±10) sottoposti a PTCA ed impianto di stent medicato. Oltre la doppia terapia antiaggregante (clopidogrel 75 mg/die dopo una dose di carico di 300 mg e ASA 100 mg/die), i pazienti sono stati trattati con omeprazolo 20 mg/die. La risposta alla terapia antiaggregante è stata valutata con lo studio dell’aggregazione piastrinica, a sette giorni (T1), 1 mese (T2), 3 mesi (T3), 6 mesi (T4) e 12 mesi (T5) dalla SCA. Nei pazienti che hanno mostrato una scarsa risposta antiaggregante alla terapia con clopidogrel l’omeprazolo è stato sostituito con pantoprazolo al dosaggio di 40 mg/die. Nei casi in cui permaneva una insoddisfacente risposta al clopidogrel è stata raddoppiata la dose di questo farmaco a 150 mg/die. Allo scopo di valutare il decorso clinico, tutti i pazienti sono stati sottoposti a controlli clinici e strumentali (ECG da sforzo ed eventuale esame coronarografico) a 1 mese, 3 mesi, 6 mesi e 12 mesi dalla rivascolarizzazione. Il gruppo A è stato messo a confronto con un gruppo di 125 pazienti con SCA ricoverati presso il nostro reparto negli anni 2006-2007 (gruppo B), di cui 87 uomini e 38 donne (età media 61±9 anni), omogeneo per caratteristiche cliniche, trattamento interventistico e medico, che non è stato monitorato con prove aggregometriche nel follow-up. Risultati. Nel gruppo A 114 pazienti (83.8%) hanno mostrato una buona risposta alla terapia con clopidogrel al dosaggio standard (75 mg/die), mentre 22 pazienti (16.2%) hanno necessitato di modifiche al trattamento medico per scarsa risposta alla terapia con clopidogrel. Riguardo all’insorgenza di eventi durante il follow-up, nel gruppo A 128 pazienti (94.1%) sono rimasti asintomatici e non hanno mostrato ischemia inducibile, mentre 8 pazienti (5.9%) hanno avuto una recidiva di malattia con riospedalizzazione. Nel gruppo B, invece, 19 pazienti (15.2%) hanno riavuto una SCA o hanno presentato ischemia inducibile all’ECG da sforzo. Conclusioni. I dati del nostro studio dimostrano che il monitoraggio dell’aggregazione piastrinica con le eventuali modifiche della terapia, quando necessarie, è di fondamentale importanza per la riduzione degli eventi CV nel follow-up dopo PTCA con impianto di stent. P29 QUAL È IL MIGLIOR TRATTAMENTO ANTIPIASTRINICO PER I NONRESPONDERS AL CLOPIDOGREL DOPO IMPIANTO DI DRUG ELUTING STENT? RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO MONOCENTRICO Orlando Piro, Attilio Varricchio, Vittorio Monda, Ida Monteforte, Francesco Granata, Elisabetta Moscarella, Emanuele Cigala, Giulio Bonzani U.O.C. di Cardiologia Interventistica, Dipartimento di Cardiologia, AORN Monaldi, Napoli Background. Diversi studi hanno dimostrato che l’insufficiente soppressione della reattività piastrinica all’adenosina difosfato (ADP) dopo trattamento con clopidogrel si associa ad incrementato rischio di eventi cardiovascolari avversi dopo intervento di rivascolarizzazione percutanea (PCI). La maggioranza di tali studi ha utilizzato l’aggregometria a trasmissione di luce (LTA) per testare la reattività piastrinica residua posttrattamento. L’utilizzo della LTA ha caratteristiche che la rendono non idonea come metodica “point-of-care”. Un nuovo metodo “point-ofcare”, l’aggregometria pistrinica con elettrodi multipli (MEA), ha recentemente dimostrato di essere uno strumento rapido e riproducibile per determinare la reattività piastrinica in vivo su sangue intero, con un potere predittivo simile alla LTA. Obiettivi. Lo scopo di questo studio prospettico osservazionale monocentrico era di determinare la più idonea strategia antiaggregante nei pazienti non-responders al clopidogrel, affetti da cardiopatia ischemica cronica (CAD) sottoposti a PCI con impianto di drug eluting stent (DES). Metodi. Tra gennaio 2010 ed ottobre 2010, 502 pazienti consecutivi, con CAD ed indicazione ad impianto di DES, venivano inseriti nello studio. Tutti i pazienti avevano ricevuto una dose di carico di 300 mg di clopidogrel almeno 24 ore prima della procedura di rivascolarizzazione. Il giorno della procedura il sangue arterioso veniva prelevato direttamente dall’introduttore arterioso ed analizzato, con metodica MEA, tramite uno strumento chiamato Multiplate. Il cut-off per identificare i non-responders era di 468 AU*min. I pazienti responders continuavano il mantenimento di clopidogrel a 75 mg/die, come da protocollo internazionale standardizzato. I pazienti non-responders, prima della procedura di PCI, venivano sottoposti a carico orale di 60 mg di prasugrel con l’intento di continuare il mantenimento con il prasugrel stesso, per almeno un anno, al dosaggio di 10 mg/die. L’endpoint primario era definito come l’associazione di “definite stent-thrombosis (ST)” e morte per ogni causa ad 1 mese. Risultati. La letteratura internazionale individua nei pazienti nonresponders al clopidogrel (con metodica MEA), sottoposti ad impianto di DES, un gruppo a rischio significativamente aumentato di “definite stentthrombosis” a 30 giorni. Nel nostro studio dei 502 pazienti sottoposti ad impianto di DES 164 (32.7%) risultavano non-responders al clopidogrel. L’endpoint primario entro i 30 giorni si è verificato in 7 pazienti normalresponders al clopidogrel (7/338, 2.07%) ed in 1 caso nei pazienti non responders trattati con prasugrel (1/164, 0.6%, p<0.05). Conclusioni. La non responsività al clopidogrel, determinata con metodica MEA, è associata ad un incrementato rischio di ST/morte. Il nostro studio dimostra: 1) l’efficacia della metodica MEA nel guidare la terapia antipiastrinica nei pazienti sottoposti a PCI. 2) l’efficacia della tienopiridina prasugrel nel ridurre il rischio di ST/Morte nel gruppo di pazienti con CAD cronica, non-responders al clopidogrel, sottoposti a PCI con impianto di DES. 36S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P30 ASPIRIN SENSITIVITY IN CARDIOVASCULAR PATIENTS WHO NEED DOUBLE ANTIPLATELET THERAPY: SAFETY AND EFFICACY OF RAPID ORAL DESENSITIZATION PROTOCOL Ada Cutolo1, Guerrino Zuin1, Cristina Saramin2, Nerina Burlon2, Antonio Raviele1 1 Cardiovascular Department, 2Pharmacology Department, Ospedale dell’Angelo, Mestre Venezia, Mestre Background. Acetylsalicylic acid in association of thienopyridine agent is commonly indicated in patients with acute coronary syndrome and in patients undergoing stent implantation but a minority of such patients have history of acetylsalicylic acid sensitivity. Objective. We report our experience in the use of a rapid oral aspirin desensitization protocol in allergic patients. Methods. From January to December 2010, patients admitted to our ICCU needing double antiplatelet therapy with an history of aspirin sensitivity underwent the rapid oral desensitization protocol. The protocol was performed with 6 sequential doses of aspirin, with a starting dose of 1 mg followed by 5 mg, 10 mg, 20 mg, 40 mg until a final dose of 100 mg. Doses were increased every 30 to 120 minutes, with the overall procedure lasting 5.5 hours. None of the patients were pretreated with antihistamines or corticosteroids. Blood pressure, pulse, saturation and adverse reaction were monitored closely during the application of the protocol and every day until discharge. Results. We performed aspirin desensitization protocol in 12 patients (7 men, 5 women), mean age 70±12 years. The self-reported history of aspirin sensitivity was cutaneous urticaria in 9 cases, angioedema in 2 cases and asthma in 1 case. Acute coronary syndrome was admission’s diagnosis in 9 patients (in 8 cases NSTE, in 1 case STE), stable coronary artery disease needing elective revascularization in 3 patients. Revascularization was performed in 10 patients: percutaneous coronary intervention was performed in 7 patients (DES implantation in 3 cases, BMS implantation in 3 cases, simple angioplasty in 1 case); urgent coronary artery bypass grafting was performed in 3 patients. All the patients underwent aspirin desensitization before the revascularization. The desensitization procedure was completed in all patients. There were no events in all cases but one, in which nonserious adverse reaction occurred as mild cutaneous reaction at 40 mg dose and it disappeared after few hours. There were no other adverse events during the hospitalization. Aspirin was prescribed at discharge in 11 patients and in 8 of these aspirin was associated with a thienopyridine (double antiplatelet therapy). The only patient who did not receive aspirin had a diagnosis at discharge of X syndrome. Conclusions. In our experience rapid oral aspirin desensitization protocol is safe and effective in coronary artery disease patients who need double antiplatelet therapy. P31 HIGH RESIDUAL PLATELET REACTIVITY AFTER CLOPIDOGREL LOADING AND CLINICAL OUTCOME AFTER DRUG-ELUTING STENTING FOR CHRONIC TOTAL OCCLUSION Renato Valenti, Ruben Vergara, Angela Migliorini, Nazario Carrabba, Giampaolo Cerisano, Guido Parodi, Piergiovanni Buonamici, David Antoniucci Divisione di Cardiologia Invasiva I, Ospedale di Careggi, Firenze Background. No data exist about the impact of high residual platelet reactivity (HRPR) after 600 mg clopidogrel loading on long-term clinical outcome in patients undergoing drug-eluting stent (DES) implantation for chronic total occlusion (CTO). Methods. Consecutive patients who attempt percutaneous coronary intervention (PCI) for CTO (>3 months) had prospective in vitro platelet reactivity assessment by light transmittance aggregometry after a loading dose of 600 mg of clopidogrel using adenosine 5’-diphosphate (ADP). Patients with platelet aggregation by 10 μmol/l ADP ≥70% were defined as HRPR. Clopidogrel therapy 75 mg daily was recommended indefinitely. The endpoint of the study was cardiac mortality. Cardiac survival was assessed by Kaplan-Meier estimation and independent predictors of cardiac mortality were evaluated by forward stepwise Cox regression analysis. Results. From March 2005 to September 2009, 484 consecutive patients underwent PCI for CTO. A successful PCI was achieved in 384 patients (79%). All patients with successful recanalization were treated with DES. The incidence of HRPR after clopidogrel loading was 18.2%. HRPR was associated with a lower incidence of male (79 vs 88%; p=0.033) while there were no differences in other baseline characteristics between patients with HRPR and patients with LRPR. Successful CTO-PCI rates were similar between groups (75 vs 80%). No procedural deaths occurred. The 2-year cardiac mortality rate was 97±1.6% in the LRPR group and 84±6% in the HRPR group (p=0.001). By forward stepwise regression analysis, HRPR after clopidogrel loading resulted an independent predictor of cardiac death (HR 3.23; p=0.015); the other predictors were age (HR 1.15; p<0.001) and EF <40% (HR 6.25; p=0.004). Conclusions. HRPR after 600-mg clopidogrel loading is a strong prognostic marker of increased risk of cardiac death also in patients who underwent PCI for CTO, irrespective of the successful CTO-PCI. POSTER P32 EFFICACIA E TOLLERABILITÀ DELLA DOPPIA TERAPIA ANTIAGGREGANTE CON CLOPIDOGREL ED INDOBUFENE NEI PAZIENTI CON CAD SOTTOPOSTI A PTCA ED IMPIANTO DI STENT Tania Dominici, Mariano Pellicano, Ilaria Jacomelli, Federica Giordano, Francesca Moschella Orsini, Andrea Madeo, Vincenzo Paravati, Francesco Barillà Dipartimento Cuore e Grossi Vasi, Policlinico Umberto I, La Sapienza Università, Roma Background. L’efficacia della doppia terapia antiaggregante con ASA+clopidogrel in pazienti con SCA sottoposti ad angioplastica ed impianto di stent è stata ampiamente dimostrata da numerosi studi. Ricerche in vitro ed in vivo hanno dimostrato che anche l’indobufene agisce sulla funzionalità piastrinica inibendo reversibilmente la COX-2 e bloccando la sintesi del TxA2. L’indobufene, quindi, potrebbe costituire un’alternativa per i pazienti allergici all’ASA. Scopo dello studio. Valutare efficacia e tollerabilità dell’associazione clopidogrel-indobufene, nel trattamento dei pazienti con SCA rivascolarizzati con angioplastica coronarica ed impianto di stent. Materiali e metodi. Tra aprile 2005 e dicembre 2008 sono stati arruolati 22 pazienti (gruppo A), 15 uomini ed 7 donne, ricoverati presso la nostra UTIC per sindrome coronarica acuta, di cui 10 STEMI (45%) e 12 NSTEMI (54%). Tutti i pazienti sono stati trattati in fase acuta con angioplastica coronarica ed impianto di stent, in associazione agli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa. Dopo una dose di carico di clopidogrel, sono stati trattati durante tutto il ricovero e per 18 mesi con clopidogrel 75 mg/die più indobufene al dosaggio di 100 mg due volte al giorno. L’indobufene è stato somministrato in sostituzione dell’ASA, in quanto i pazienti selezionati risultavano allergici all’acido acetilsalicilico. Il gruppo A è stato messo a confronto con un altro gruppo di 20 pazienti (Gruppo B), 14 uomini e 6 donne, con le stesse caratteristiche: SCA ed allergia all’ASA, trattati con PTCA ed impianto di stent in associazione agli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa. Questi pazienti, dopo aver ricevuto una dose di carico di 300 mg di clopidogrel, per 18 mesi hanno assunto solamente clopidogrel 75 mg/die. Nei pazienti di entrambi i gruppi l’efficacia e la tollerabilità della terapia antiaggregante è stata valutata con controlli clinici e di laboratorio ad 1 settimana, 3, 6, 12 e 18 mesi; nei pazienti del gruppo A è stato eseguito inoltre lo studio dell’aggregazione piastrinica. L’efficacia dei trattamenti antiaggreganti nei due gruppi di pazienti è stata valutata sulla base dello sviluppo di MACE nel follow-up, mentre la valutazione della riserva coronarica è stata eseguita mediante test ergometrico secondo schemi ormai standardizzati a 3-6-12-e 18 mesi. Risultati. Tutti i pazienti del gruppo A hanno tollerato ottimamente il trattamento combinato clopidogrel-indobufene; nessuno di loro ha manifestato eventi avversi nel follow-up. Solamente 1 su 22 pazienti ha avuto un evento coronarico nel follow-up presumibilmente perché aveva sospeso l’indobufene al terzo mese di trattamento. Due pazienti del gruppo B, invece, hanno avuto una nuova SCA e 1 ha presentato una positivizzazione del test da sforzo nel periodo di follow-up. Tutti e tre i pazienti all’esame coronarografico avevano recidiva di malattia a livello degli stent impiantati. Conclusioni. I dati del nostro studio dimostrano che la terapia combinata clopidogrel-indobufene ha un’ottima tollerabilità ed efficacia nel trattamento di pazienti con SCA rivascolarizzati con angioplastica coronarica ed impianto di stent. follow up, 8.1% of women vs 8.9% of men (p = 0.482) early discontinued and 5% of women vs 4.8% of men (p = 0.897) late discontinued the antiplatelet therapy. Women and men who discontinued OAT had a similar incidence of MACE, 24.3 vs 25.9% (p=0.849), but higher than population adherent to antiplatelet therapy 10.2% F vs 14.2% M (p=0.105). Conclusions. The study shows similar antiplatelet therapy adherence among women and men. Early discontinuation of OAT is associated with increased MACE with no significant differences in long-term outcome between the genders. P34 P33 SOMMINISTRAZIONE DI CLOPIDOGREL VIA SONDINO NASO-GASTRICO IN CORSO DI INFARTO MIOCARDICO ACUTO E VALUTAZIONE DELL’AGGREGABILITÀ PIASTRINICA Davide D’Andrea, Fulvio Furbatto, Marco Boccalatte, Mario Scarpelli, Ciro Mauro Cardiologia-UTIC, AORN “A. Cardarelli”, Napoli Obiettivo. L’angioplastica primaria è la terapia di prima scelta nell’infarto miocardico acuto. Un lungo periodo di duplice terapia antiaggregante (acido acetilsalicilico e tienopiridine) è fortemente raccomandato, specie nel caso in cui vengano utilizzati stent medicati. In casi in cui l’unica via di somministrazione possibile per le tienopiridine è rappresentata dal sondino naso-gastrico, come ad esempio in pazienti non coscienti ed con intubazione oro-tracheale, non ci sono dati riguardo l’efficacia terapeutica. Abbiamo quindi analizzato la percentuale di aggregazione piastrinica per capire se i sistemi di valutazione della funzione piastrinica siano utili per guidare la terapia ottimale delle sindromi coronariche acute. Metodi. In 10 pazienti consecutivi giunti alla nostra osservazione con STEMI, non coscienti ed intubati, veniva somministrata la dose di carico (600 mg) di clopidogrel, polverizzando le pillole e sospendendole in 20 ml di fisiologica, mentre l’aspirina (250 mg) veniva somministrata i.v. L’utilizzo di farmaci inibitori della GPIIb/IIIa era a discrezione dell’operatore durante la procedura. Prelievi venivano eseguiti utilizzando la vena antecubitale per valutare l’aggregazione piastrinica con Multiplate prima della coronarografia e dopo 2, 6 e 24 ore la dose di carico; un ulteriore prelievo veniva effettuato al momento della dimissione del paziente. L’aggregazione piastrinica, misurata con Multiplate, era quantificata dall’area sotto la curva (AUC) di unità di aggregazione (AU*min). Risultati. Nella nostra popolazione il 70% dei pazienti raggiungeva un livello soddisfacente di inibizione dell’attività piastrinica (AUC 130±18 AU/min). Nel restante 30% in cui dopo 2 ore l’antiaggregazione era bassa, veniva somministrato inibitore della GpIIbIIIa (abcximab), ma solo in due pazienti su tre. Dopo 6 ore dalla dose di carico il paziente con un livello molto basso di antiaggregazione piastrinica manifestava i segni clinici ed elettrocardiografici di reinfarto, evolvendo in una trombosi acuta intrastent ARC III, trattata e risolta con abcximab. Alla dimissione (4.4 giorni) tutti i pazienti mostravano una soddisfacente inibizione piastrinica. Conclusioni. I sistemi di analisi dell’aggregazione piastrinica sono in grado di predire correttamente ed in maniera semplice e rapida profili a rischio di eventi trombotici ed emorragici ed in caso di sindromi coronariche acute, ed in particolare nell’infarto miocardico, possono essere usati per guidare la terapia antipiastrinica e modellarla a secondo delle caratteristiche di ogni singolo paziente, evitando da un lato possibili trombosi intrastent acuta e/o subacuta e dall’altro di sovradosare farmaci in grado di aumentare notevolmente il rischio emorragico. DUAL ANTIPLATELET THERAPY DISCONTINUATION AFTER DES IMPLANTATION: GENDER DIFFERENCES IN LONG-TERM PROGNOSIS Giuseppe Musumeci1, Roberta Rossini1, Laurian Mihalcsik1, Corrado Lettieri2, Michele Romano2, Davide Capodanno3, Renato Rosiello2, Giuseppe Tarantini4, Nikoloz Lortkipanidze1, Francesca Buffoli2, Paola Mantovani2, Matteo Baroni1, Giulio Guagliumi1, Dominick Angiolillo5, Orazio Valsecchi1, Antonello Gavazzi1 1 Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti di Bergamo, Begamo, 2 Divisione di Cardiologia, Ospedale Carlo Poma, Mantova, 3 Istituto di Cardiologia, Ospedale Ferrarotto, Università di Catania, Catania, 4Dipartimento Cardiovascolare, Università di Padova, Padova, 5 University of Florida-Shands Jacksonville, Jacksonville, USA Background. Gender differences exist in the prevalence and severity of coronary artery disease. Limited data are available to explore gender differences in prognosis of discontinuation of oral antiplatelet therapy (OAT) after drug-eluting stents (DES) implantation. Aim. To determine gender differences in discontinuation of OAT after DES implantation and to evaluate its effects on long-term prognosis. Methods. A prospective observational cohort study was conducted on 1358 consecutive patients (pts), successfully treated with DES and discharged on dual OAT with aspirin (100 mg/day) and clopidogrel (75 mg/day). Clopidogrel was maintained for at least 12 months. Pts were followed-up for 32.4±11.3 months. Major adverse cardiac events (MACE), defined as death, acute coronary syndrome leading to hospitalization, non-fatal stroke and antiplatelet therapy adherence were recorded. Results. A total of 8.8% of pts discontinued one or both antiplatelet agents within the first 12 months (early discontinuation) and 4.8% withdrew aspirin after 1 year (late discontinuation). Pts who discontinued OAT had a higher incidence of MACE (25.5 vs 13.3%, p<0.001). Of the 1358 patients, 282 (20.7%) were women (F) and 1076 (79.7%) men (M). MACE rate was similar between genders (12.1% F vs 15.8% M, p=0.134). During LIVELLI DI LEPTINA E PAZIENTI NON-RESPONDER A CLOPIDOGREL SOTTOPOSTI A RIVASCOLARIZZAZIONE PERCUTANEA: UNA “RELAZIONE PERICOLOSA” MAI DESCRITTA FINORA Laura Gatto1, Annunziata Nusca2, Rocco Contuzzi2, Giacomo Di Giovanni2, Germano Di Sciascio2, Giorgio Scaffidi1 1 Pronto Soccorso Cardiologico, A.O. San Giovanni-Addolorata, Roma, 2 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università Campus BioMedico, Roma Scopo. Molti studi hanno dimostrato una significativa variabilità interindividuale nella risposta delle piastrine a seguito del trattamento con clopidogrel. Un’elevata residua reattività piastrinica è stata associata ad una peggiore prognosi nei pazienti destinati ad angioplastica percutanea (PCI). La leptina è un ormone peptidico di 167 aminoacidi prodotto dal tessuto adiposo, coinvolta soprattutto nella regolazione dell’assorbimento dei cibi e nella spesa energetica. Studi clinici hanno mostrato che elevati livelli di leptina rappresentano un fattore di rischio cardiovascolare indipendente. Inoltre i recettori della leptina sono espressi sulla superficie delle piastrine e questo ormone adipocitico può promuovere l’aggregazione piastrinica ADP-mediata. Lo scopo di questo studio è stato di valutare la possibile relazione fra i livelli di leptina e la risposta al clopidogrel nei pazienti sottoposti a PCI. Materiali e metodi. Sono stati arruolati prospetticamente 153 pazienti sottoposti a PCI (100 pazienti trattati per la prima volta con clopidogrel alla dose di carico di 600 mg prima della procedura e 53 pazienti in terapia cronica con clopidogrel a 75 mg/die). In tutti i pazienti i livelli di leptina sono stati misurati prima della PCI col metodo ELISA ed è stato utilizzato un valore superiore a 15 ng/ml per identificare i pazienti iperleptinemici. L’aggregazione piastrinica è stata misurata col metodo VerifyNowP2Y12 P35 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 37S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO ed espresso come PRU (P2Y12 Reaction Unit). In accordo col valore PRU post-trattamento, la popolazione in studio è stata divisa in tre terzili (PRU ≤196, n=51; 197>PRU≤267, n=52; PRU >267, n=50). Risultati. Non responders al clopidogrel sono stati considerati quei pazienti con PRU post-clopidogrel ≥240 e/o con una riduzione percentuale dell’aggregazione piastrinica dopo trattamento, paragonato col valore di base (Δ aggregazione), inferiore al 30%. I livelli di leptina erano significativamente più elevati nel terzo terzile (6.56±5.21 vs 8.46±8.29 vs 12.96±18.06 ng/ml; p per il trend=0.022). I non-responders al clopidogrel hanno mostrato elevati livelli di leptina in confronto ai pazienti responders: 11.41±15.71 vs 7.32±6.48 ng/ml, p=0.035 (in accordo col PRU ≥240 post-trattamento) e 10.65±14.31 vs 7.03±5.97 ng/ml, p=0.031 (in accordo col Δ aggregazione <30%). I livelli di leptina ≤15 ng/ml erano associati ad un minore PRU post-trattamento (219.69±81.29 vs 262.63±66.78; p=0.006) e ad una maggiore riduzione percentuale dell’aggregazione piastrinica (25.95±24.35 vs 11.42±28.30%; p=0.007). Conclusioni. Questi risultati dimostrano per la prima volta una relazione molto stretta fra la leptina e la mancata risposta all’azione del clopidogrel (pazienti non-responders). Un valore di leptina >15 ng/ml identifica pazienti con un’elevata reattività residua delle piastrine, in cui può essere indicata una terapia antiaggregante piastrinica più aggressiva. P36 VALUTAZIONE DEL RISCHIO EMORRAGICO NEI PAZIENTI CON SCA: CONFRONTO TRA I DATI DELLA POPOLAZIONE AFFERITA ALLA NOSTRA UNITÀ OPERATIVA E QUELLI DELLA POPOLAZIONE GENERALE DELLO STUDIO MANTRA, IN RAPPORTO ALLE CLASSI DI ETÀ E ALLE COMORBILITÀ E ALLA SORVEGLIANZA CLINICA ED EMATOLOGICA Maria Gabriella Carmina, Gabriella Celona, Giovanna Geraci, Paola Vaccaro, Francesco Enia U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale V. Cervello, Palermo Vengono esaminati i pazienti con SCA, afferiti alla nostra U.O., nel periodo compreso dal settembre 2009 al settembre 2010. I pazienti, dopo consenso informato, sono stati inseriti nel data base dello studio Mantra. Gli autori valutano il rischio emorragico nei pazienti trattati con inibitori delle piastrine, in relazione alle classi di età, alle comorbilità, ai tempi di somministrazione, alle altre terapie somministrate. I dati della nostra popolazione vengono poi confrontati con quelli generali dello studio Mantra. P37 BLEEDING COMPLICATIONS DURING ACUTE CORONARY SYNDROMES: ANALYSIS OF AVOIDANCE STRATEGIES Francesco Summaria1, Marina Mustilli2, Enrico Romagnoli1, Alessandro Sciahbasi1, Federica Ferraiuolo3, Giuseppe Ferraiuolo2 1 U.O.C. di Cardiologia, ASL Roma B, Policlinico Casilino, Roma, 2U.O.S.D. UTIC, Ospedale S. Pertini, Roma, 3I Cattedra di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma Acute coronary syndromes (ACS) represent a significant burden on healthcare systems. Different registries have demonstrated a dramatic improvement in ACS outcomes over the last years. Thanks to the wider uptake of therapies with proven efficacy during the acute phase and in the follow-up period, great benefits have been achieved in mortality and relapses. In the last decade in consideration of the role of atherothrombosis in the pathophysiology the paradigm that adding different antithrombotic regimens can improve the outcome was consolidated. But the “antithrombotic cocktail” utilized at present during the acute phase in real world unselected populations is associated with an excess of bleeding and this “price” affects the prognosis. For these reasons actually a number of data address the target of the treating strategies in balancing the avoidance of the event (number needed to treat: NNT) with the avoidance of an excess of bleedings (number needed to harm: NNH). Bleeding complications are not infrequent during ACS occurring in 2-5%of patients with prognostic and pharmacoeconomic consequences related to length and cost of hospital stay. In general we can classify the predictors of bleeding in: a) patient related: older age, female gender, weight, previous bleeding, impaired renal function, comorbidities, metabolic pathways genetically determined (i.e. cytochrome P4502C1917 polymorphism) b) drug related: type and regimen of antithrombotic association, excess drug dosing, cross-over of antithrombotic agents c) procedure related: vascular access (radial vs femoral), time to PCI (duration of pre-treatment), time to CABG, d) device related (DES vs BMS vs endothelial progenitor cell capturing stent). As a consequence bleeding risk calculators are proposed to rule out this excess of risk so they should be implemented in the early phase of risk stratification of ACS patients at the time of hospital admission in addiction to more used ischemic events risk calculators. Another aspect is related to comorbidities and sub-clinical diseases in whom the antithrombotic drugs or the urgent need of surgical treatment represent an unmasking factor for bleeding also in the subacute or follow-up period. In this situation the availability of a less intensive anticoagulation (in OASIS 5 with fondaparinux vs enoxaparin), reversible platelet inhibitor (ticagrelor), or different pathways of anticoagulation via direct thrombin inhibitor (bivalirudin) can also reduce the extra risk of bleeding. Recently, the use of endothelial progenitor cell capturing stent offer another option in the bleeding risk management related to the possibility to stop the antiplatelet therapy, if necessary, without an increased risk of stent thrombosis. The potential to improve 38S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 outcomes in ACS pts is hence related to a multistep approach starting from a case-by-case early and mid-term bleeding risk assessment. In conclusion waiting the next effective and safer anti-thrombotic drug the present challenge is improving strategies integrating global patient risk profile with antithrombotic and procedural safety. We report our center experience with a case of an 80-year-old female with a history of hypertension, diabetes, hypercholesterolemia, obesity, chronic renal failure, Hct 34%, permanent atrial fibrillation, previous bicameral pacemaker implantation, previous CABG (LIMA on LAD, SVG on OM and SVG on RCA), admitted for NSTEMI (ST-segment shift in the infero-lateral leads-CK-MB = 12 ng/dl, TnI = 2 ng/ml). On admission, the GRACE risk score was 30% (in-hospital composite death or MI) and the CRUSADE bleeding score was 66 (risk of in-hospital major bleeding 19.7%). The patient was pretreated with aspirin and a loading dose of 600 mg of clopidogrel. According to our in-hospital protocol for high bleeding risk score we performed, via transradial approach, a coronary angiography on bivalirudin showing a critical lesion involving the SVG on RCA. After the filter Wire EZ (Boston Scientific) deployment distal to the lesion a direct stenting with 4.0x28 mm (Genous, Orbus) at 18 atm was performed and overexpanded with a non-compliant balloon 4.5x15 mm (Quantum, Boston Scientific). After filter retrieval the angiographic result was excellent with a final TIMI 3 flow. The hospital stay was uneventful and the patient was discharged on triple antithrombotic regimen (ASA 100 mg, clopidogrel 75 mg stopped after 2 weeks, acenocumarol with INR ranging from 2.0 to 2.5). At 1 month follow-up the patient was asymptomatic. Insufficienza cardiaca P38 SCOMPENSO IN CAMPANIA (CA.SCO): RAZIONALE E PROTOCOLLO Soccorso Capomolla, Antonio Palermo, Alberto Gigantino, Vittorio Calmieri, Giovanni Gregorio a nome del Gruppo di Lavoro CA.SCO ANMCO CAMPANIA Premessa. Lo scompenso cardiaco cronico (SCC)è una sindrome clinica caratterizzata da un’elevata prevalenza ed incidenza. L’epidemiologia ospedalieraevidenzia come tale sindrome costituisce il terzo DRG in termini di frequenza ed il primo in termini di assorbimento di risorse. Tuttavia, nonostante il miglioramento del profilo terapeutico, è possibile osservare una discontinuità assistenziale tra i modelli gestionali ed il territorio. Obiettivi. Lo studio CA.SCO(campania scompenso) è stato designato per: 1) analizzare il setting organizzativo e gestionale del medico di famiglia; 2) creare una rete tra medico ospedaliero e medico di medicina generale; 3) verificare il fabbisogno territoriale della continuità assistenziale; verificare l’efficacia di processo diself-auditing nella titolazione della terapia da parte della medicina territoriale. Disegno dello studio. Osservazionale. Metodi. Sono state identificatele aree provinciali, per ogni area sono stati identificati i medici referenti ospedalieri; per ogni medico ospedaliero sono stati identificati i medici di medicina generale afferenti. Lo studio prevedeva una fase di start-up con analisi del setting organizzativo dei medici di medicina generale; una fase osservazionale (01/10/201031/10/2010) con arruolamento consecutivo di pazienti con scompenso cardiaco; il follow-up a 3 e 6 mesi dall’arruolamento. La raccolta dati prevedeva dati anagrafici, storia clinica, stato clinico, self auditing sull’implementazione della terapia e dell’uso appropriato delle procedure. Per la raccolta dati è stato predisposto un software di raccolta ed invio dati. Tuttavia la stessa scheda è stata predisposta anche in materiale cartaceo. Risultati. Sono stati arruolati 22 centri con medici referenti (14% Avellino; 14% Caserta; 9% Benevento; 36% Napoli; 27% Salerno). I medici iscritti al programma sono stati 175 medici di medicina generale; 117 (70%) hanno arruolato pazienti. Durante la fase osservazionale sono stati arruolati 281 pazienti con una media diarruolamento di 2,4 pazienti/medico. L’invio telematico è avvenuto per il 32% dei dati inviati; la restante quota è stata inviata per modello cartaceo. Conclusioni. Questa esperienza campana ha evidenziato una buona integrazione dei soggetti della rete per la continuità assistenziale del paziente con scompenso cardiaco. la rete telematica come elemento a supporto risulta poco utilizzata. È in corso il follow-up della popolazione arruolata; la fine dello studio evidenzierà il ruolo di tale rete integrata e di questo nuovo modello di continuità assistenziale. P39 SCOMPENSO IN CAMPANIA (CA.SCO): SETTING ORGANIZZATIVO DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE PER LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO Antonio Palermo, Soccorso Capomolla, Alberto Gigantino, Vittorio Calmieri, Giovanni Gregorio a nome del Gruppo di Lavoro CA.SCO ANMCO CAMPANIA Premessa. L’epidemiologia ospedalieraevidenzia come tale sindrome costituisce il terzo DRG in termini di frequenza ed il primo in termini di assorbimento di risorse. Questo indicatore proxy dell’efficienza gestionale territoriale mostra una importante criticità in termini di discontinuità assistenziale. Tuttavia, nonostante il miglioramento del profilo terapeutico, è poco noto il setting organizzativo e gestionale della medicina territoriale. Results. POSTER Obiettivi. Uno degli obiettivi dello studio CA.SCO (campania scompenso) è stato quello di analizzare il setting organizzativo e gestionale del medico di famiglia. Metodi. Sono state identificate le aree provinciali, per ogni area sono stati identificati i medici referenti ospedalieri; per ogni medico ospedaliero sono stati identificati i medici di medicina generale afferenti. Lo studio prevedeva una fase di start-up con analisi del setting organizzativo dei medici di medicina generale; In particolare è stato distribuito un questionario inerente alle seguenti aree: 1) organizzazione dello studio; 2) compiti gestionali; 3) competenze relazionali; 4)criteri di definizione della stabilità clinica; 5) criteri di organizzazione del followup; 6) timing controllo esami strumentali (ECG, ecocardiogramma, esami bioumorali). Risultati. Sono stati raccolti 175 questionari. Il 42% dei medici lavora in studio singolo, il 48% in studio associato. Solo il 10% degli studi esegue esami strumentali di I livello. Il 3% è dotato di software con alert per indicatori gestionali dello scc.Il 19% dei professionisti ritiene poco praticabile la prevenzione cardiovascolare, il 23% dichiara difficile eseguire una diagnosi precoce o identificare una precoce in stabilizzazione dello SCC. Il 69% organizza il timing del follow-up basandosi sulla classe NYHA e sulla stabilità clinica. Per il 41% la stabilità clinica coincide con l’assenza di sintomi; 11% valuta l’esame obiettivo come indicatore di stabilità ed il 5% le variazioni di peso e gli esami bioumorali. Solo il 7% dei professionisti per il giudizio di stabilità integra sintomi segni ed esami strumentali. Il 47% degli esami è richiesto a 3 mesi, il 39% a 6 mesi, 13% ad 1 anno. Conclusioni. I risultati preliminari di questo studio evidenziano un setting organizzativo disomogeneo con un ridotto utilizzo di strumenti ed indagini a supporto della decisione clinica. La modalità gestionale ed il timing degli esami evidenziano un gap tra indicazioni delle linee guidaed attuazione dei processi sanitari. Queste informazioni possono essere di notevole interesse per chi esegue pianificazione e programmazione sanitaria territoriale e per le società scientifiche al fine di promuovere un trasferimento territoriale delle competenze gestionali per tale sindrome clinica. P40 ACUTE PULMONARY EDEMA COMPLICATED BY RESPIRATORY FAILURE: TREATMENT WITH NON INVASIVE VENTILATION Marco Poli, Paolo Trambaiolo, Marina Mustilli, Massimo De Luca, Vjerica Lukic, Valentina Basso, Federica Ferraiuolo, Maurizio Simonetti, Filippo Corsi, Giuseppe Ferraiuolo UTIC, Ospedale Sandro Pertini, Roma Background. The respiratory failure associated with acute cardiogenic pulmonary edema (ACPE), characterizes a important subgroup of patients with treatment difficulties. These patients when receiving noninvasive positive pressure ventilation (NPPV) via helmet, experienced more effective output with respect to the single therapy Objectives. Evaluate the clinical application of NPPV in ACPE complicated by respiratory effort (RE) hospidalized in ICCU. Population. From January to June 2010, 28 ACPE complicated by RE have been treated with medical therapy and NPPV via helmet. RE is defined by a D-pCO2 >2 mmHg value at entry. D-pCO2 is the difference between pCO2 measured and awaited (pCO2awaited = 1,5*HCO3+8). Intervention. The helmet is made of transparent latex-free PVC. The helmet is secured by two armpit breces at two hooks on the metallic ring that joins the helmet with a soft collar. The pressure increase during ventilation makes the soft collar seal comfortability to the neck and the shoulders, avoiding air leakage. The tow ports of the helmet act as inlet and outlet of the gas flow. the inspiratory and expiratory valves are those of mechanical ventilator. Patients with cardiogenic shock, chronic respiratory failure (CRF), anaemia, and other not cardiac causes of dispnea have been excluded. Initial ventilatory settings were continuous positive airway pressure (CPAP) mode,5 cm H2O, with pressure support ventilation of 10 to 20 cm H2O titrated to achieve a respiratory rate less than 25 breaths/min and an exhaled tidal volume of 7 mL/kg or more. Ventilator settings were adjusted following arterial blood gases (ABG) results. Results. Failure to improve ABG values was the reason for ETI in 2 patients (7%). One patient has died during treatment (3.5%). two patients did not tolerate the helmet (7%). No complications developed for the use of the helmet. The average duration of NPPV was 27±12h. After 12 hours of the NINV in these patients has determined an improvement of the cardiac frequency from 109±16 to 81±12 (p=0.002), respiratory frequency from 38±6 to 19±3 (p=0.002). Arterial blood saturation increased from 74±14 to 96±5% (p<0.0001), pH from 7.21±0.10 to 7.40±0.09 (p=0.001), pO2 from 52±16 to 100±31 (p<0.001) as well, while pCO2 decreased from 66±17 to 41±10 (p=0.02). Significant variations of systolic and diastolic blood pressure where not reported. Conclusions. The application of NPPV in clinical practice in ICCU is a cardiologist’s effective and safe alternative to ETI for a patients affected by respiratory failure associated with ACPE. Conclusions. P41 MIXED VENOUS OXYGEN SATURATION. ITS ROLE IN THE ASSESSMENT OF PATIENTS DEVELOPING CARDIOGENIC SHOCK AFTER ST-ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION (STEMI) Marco Poli, Paolo Trambaiolo, Marina Mustilli, Massimo De Luca, Vjerica Lukic, Valentina Basso, Federica Ferraiuolo, Maurizio Simonetti, Filippo Corsi, Giuseppe Ferraiuolo UTIC, Ospedale Sandro Pertini, Roma Background. Low mixed venous saturation (SvO2) can reveal global tissue hypoxia and therefore can predict an increase of myocardial oxygen consumption (MvO2) and a poor prognosis in patients with cardiogenic shock after ST-elevation myocardial infarction (STEMI). Early goal directed therapy, aiming to an SvO2 ≥70%, has been shown to be a valuable strategy in patients P41 with a low output syndrome. MIXED VENOUS SATURATION.ITS ROLE IN THE ASSESSMENT OF PATIENTS Aim of this retrospective studyOXYGEN was to determine the agreement between CARDIOGENIC SHOCK AFTER ST-ELEVATION MYOCARDIALshock INFARCTION (STEMI) SvO2 and early hemodynamic status of patients with cardiogenic after STEMI. Methods. During observation period (16-months), 79 patients were admitted in our ICU for cardiogenic shock after STEMI; patients who Background. balloon pump (n=15) and/or mechanical required an intra-aortic ventilation (n=21) were excluded from the analysis. The hemodynamic management of studied patients was based on guideline treatment, and to maintain individual cardiac index and mixed venous oxygen saturation Aim between 1.5 and 2.7 l/min/m2 and 55 and 65%, respectively, all patients were treated with an inotropic agent (dobutamine or levosimendan). Methods. Heart rate (HR), arterial blood pressure (ABP), central venous pressure (CVP), SvO2, pulmonary artery pressure (PAP), lactate plasma levels (LAC) and cardiac index (CI) were recorded for 24.2±2.9 hours. To optimize systemic afterload and coronary perfusion, mean arterial blood pressure (MAP) was individually maintained between 50 and 75 mmHg using sodium nitroprusside to decrease or norepinephrine to increase systemic vascular resistances, as clinically indicated. Results. In the dobutamine group (n=24) the mean SvO2 value was 68.2±11.8% with mean CVP of 13.0±4.9 mmHg, LAC of 6.3±4.2 mmol/l and APACHE II score of 21.7±7.3; in-hospital mortality in this group was 32.0%. Results. The levosimendan group (n=19) showed a CVP of 13.7±4.6 mmHg, mean SvO2 values of 78.6±10.2%, LAC of 3.3±2.3 mmol/l and APACHE II score of 22.2±5.4; in-hospital mortality in this group was 28.0%. Conclusions. SvO2, in our study, was significantly (p<0.001) lower in the dobutamine group (68.2±11.8%) compared to the levosimendan group Conclusions. (78.6±10.2%); this difference correlated with an increase in oxygen consumption and extraction ratio, and it is associated with negative metabolic effects. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 39S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO troponina I 0.35±0.28 vs 0.37±0.3 ng/ml p=0.002, creatinina 2.01±0.19 vs 1.58±0.53 mg/dl p=0.001, VFG 43.27±15.7 vs 36.22±18 ml/min p<0,001. 6 pazienti (10.71% del totale - 2 maschi, età 76.3±6 anni) sono stati riospedalizzati per la terza volta, ad un tempo medio dal secondo ricovero di 63±18 giorni e di 221±36 giorni dal primo, durata ricovero 7.5±3.2 giorni, classe NYHA 3.83±0.2 vs 3.31±0.7 p=0.001, FEVS 30.5±6.9 vs 27.8±8.2% p=0.002, BNP 2634±547 vs 2250±821 pg/ml p<0.001, troponina I 0.48±0.26 vs 0.35±0.28 ng/ml p=0.001, creatinina 2.2±0.7 vs 2.01±0.19 mg/dl p=0.001, VFG 32.25±18 vs 43.27±15.7 ml/min p<0.001. Nel periodo in esame 20 pazienti (35.7% del totale) sono deceduti per cause cardiache: di quelli con un solo ricovero 3 durante la degenza (5.34% di mortalità intraospedaliera) e 9 nel follow-up (16% dei pazienti al 1° ricovero); di quelli con due ricoveri 3 durante la degenza (16.6% di mortalità intraospedaliera) ed 1 durante il follow-up (5.5% dei pazienti al 2° ricovero); di quelli con tre ricoveri 3 durante la degenza (50% di mortalità intraospedaliera) e 1 durante il follow-up (16.6% dei pazienti al 3° ricovero). Conclusioni. Nella nostra popolazione il numero di ricoveri, in uno stesso paziente, è risultato lo stratificatore prognostico più importante di morte cardiaca, unitamente al peggioramento della FEVS e della classe NYHA. Nei ricoveri successivi al primo si è evidenziato un incremento del BNP e della troponina I. Il quadro complessivo delle variabili suddette, già al primo ricovero e nel successivo follow-up, consente di individuare i pazienti a maggior rischio di eventi “hard”. P43 P42 INDICATORI DI RISCHIO DI RIOSPEDALIZZAZIONE O MORTE CARDIACA NEI PAZIENTI CON INSTABILIZZAZIONE DI SCOMPENSO CARDIACO Ettore Savini, Giuseppe Marziali, Paolo Paoloni, Domenico Ciliberti, Massimiliano Tullio, Lucio Cardinali, Liliana Pennacchietti, Domenico Gabrielli U.O. di Cardiologia, Ospedale Civile Murri, Fermo Scopo dello studio. Numerosi studi hanno evidenziato l’utilità del brain natriuretic peptide (BNP), dalla troponina I e di altre variabili nella diagnosi e nella stratificazione prognostica dei pazienti con scompenso cardiaco da disfunzione ventricolare sinistra. Abbiamo inteso analizzare retrospettivamente i dati relativi a pazienti ricoverati nella nostra Unità Operativa di Cardiologia in un arco temporale di 18 mesi (da giugno 2009 a novembre 2010) riguardo a eventi “hard”. Materiali e metodi. Nello studio sono stati analizzati i dati di pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca acuta de novo o riacutizzata come sopra descritto. Sono stati valutati all’ingresso: Classe NYHA, FEVS, BNP, troponina I, creatinina, VFG e correlati con la riospedalizzazione e la morte cardiaca. Risultati. I dati riguardano 56 pazienti, 23 maschi, età 68.2±11 anni. Al primo ricovero (durata 10.7±4 giorni) si evidenziava FEVS 31.4±9.4%, classe NYHA 3.0±0.5, BNP 1939.67±560 pg/ml, troponina I 0.37±0.3 ng/ml, creatinina 1.58±0.53 mg/dl, VFG 36.22±18 ml/min. 18 pazienti (32.14% del totale - 7 maschi, età 73.1±5 anni) sono stati riospedalizzati, ad un tempo medio dal primo ricovero di 152±26 giorni (durata del ricovero 8.56±3 giorni), classe NYHA 3.31±0.7 vs 3.0±0,5 p=0.002, FEVS 27.8±8.2 vs 31.4±9.4% p<0.001, BNP 2250±821 vs 1939.67±560 pg/ml p=0.001, 40S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 EFFETTI DELLA TERAPIA CON ERITROPOIETINA SU FUNZIONE VENTRICOLARE DESTRA E SINISTRA IN PAZIENTI CON CARDIO-RENAL ANEMIA SYNDROME Alberto Palazzuoli1, Anna Calabrò1, Susanna Benincasa1, Stefany Grothgar1, Giovanni Paganini1, Matteo Beltrami1, Beatrice Franci1, Donald Silverberg2, Ranuccio Nuti1 1 Sezione di Cardiologia, Dipartimento di Medicina Interna e Malattie Metaboliche,Ospedale Le Scotte, Università di Siena, Siena, 2 Department of Nephrology, Tel Aviv Medical Center, Tel Aviv, Israel Scopo dello studio. L’anemia è frequentemente presente nei pazienti con scompenso cardiaco cronico, classe NYHA avanzata e disfunzione sistolica. Il trattamento con eritropoietina (EPO) migliora la tolleranza all’esercizio e la qualità della vita, sebbene poco si conosca riguardo all’effetto della correzione della stessa sulla struttura e sulla funzione cardiaca. Materiali e metodi. Nel nostro studio sono stati arruolati 51 pazienti con scompenso cardiaco avanzato e anemia ed è stato valutato l’effetto della β-EPO sul volume ventricolare sinistro (LV), sulla massa (LVM), sulla frazione d’eiezione (LVEF), sulla funzione longitudinale destra (TAPSE) e sinistra (MAPSE), sulla pressione arteriosa polmonare (PAPs) e sul pattern diastolico (E/Ea) e sono stati misurati i livelli di BNP. Lo studio è stato condotto in doppio cieco. Al gruppo A è stata somministrata EPO sottocutanea, mentre al gruppo di controllo (Gruppo B) soluzione salina per 4 mesi. Nel gruppo A il trattamento è stato proseguito per altri 8 mesi. Entrambi i gruppi hanno ricevuto trattamento con ferro per os per 12 mesi. I parametri ecocardiografici e il BNP sono stati valutati a 4 e 12 mesi. Risultati. Nei pazienti del gruppo A durante la fase in doppio cieco (primi 4 mesi), è stata dimostrato un miglioramento della LVEF (32.3±6.1 vs 30.8±5.6, p<0.05) e del MAPSE (14.5±2.2 vs13.7±2.1, p<0.01), una riduzione del volume sistolico (p<0.02) rispetto al basale e al gruppo B. Nessuna differenza è stata riscontrata per quel che riguarda il volume diastolico, la massa, la PAPs e il TAPSE. A 12 mesi persiste il miglioramento del volume sistolico, della LVEF e del MAPSE (p<0.001), e una riduzione significativa della massa nel gruppo A (p<0.01). Inoltre si ha un miglioramento del TAPSE e una riduzione significativa della PAPs (p<0.01) nel gruppo A rispetto al gruppo B e al basale. Nessuna differenza significativa è stata rilevata nel periodo di controllo della funzione diastolica (E/Ea). I livelli di BNP si sono ridotti nel gruppo A (602±270 vs 405±235 pg/ml, p<0.01). Conclusioni. Il trattamento con EPO migliora la funzione ventricolare destra e sinistra e determina una riduzione del rimodellamento cardiaco e dei livelli di BNP. Questi cambiamenti positivi appaiono correlati alla correzione dell’anemia con EPO. P44 DISFUNZIONE RENALE E SCOMPENSO CARDIACO. ESPERIENZE PRELIMINARI SULL’UTILIZZO DI NGAL COME MARCATORE PRECOCE DI DANNO TUBULARE RENALE Marika Bonadies, Simone Mazzetti, Pietro Delfino, Ilenia Fracchioni, Emilia D’Elia, Valentina Casali, Giuseppe Specchia, Andrea Mortara Unità di Cardiologia Clinica e Scompenso Cardiaco, Policlinico di Monza, Monza È ormai dimostrato come nei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco (SC) acuto, il peggioramento della funzione renale durante la fase di ospedalizzazione sia un importante predittore di eventi nel successivo follow-up. Nella pratica clinica il riscontro del danno renale è in genere affidato al controllo dei valori di creatinina plasmatica (CR) e alla stima della velocità di filtrazione glomerulare (VFG), parametri che si modificano tardivamente a danno renale avvenuto. Come marcatore precoce di disfunzione tubulare è stata invece proposta una nuova proteina, la lipocalina associata alla gelatinasi neutrofila (NGAL) rilevabile sia nel sangue che nelle urine. Diversi sono i campi di applicazione di tale biomarcatore, ma ancora limitati appaiono i dati disponibili nello SC acuto POSTER e cronico. Soprattutto sono presenti ancora importanti problematiche metodologiche che riguardano i veri limiti di normalità e le modalità e/o i tempi di misurazione. Nel presente studio ancora in corso, ci siamo posti l’obiettivo di testare, in un gruppo consecutivo di pazienti ricoverati per scompenso acuto presso il nostro PS (dispnea, BNP >300 pg/ml, congestione polmonare e necessità di furosemide >40 mg e.v.), due strategie di misurazione dell’NGAL plasmatico (metodo Biosite): 1) all’ingresso e alla dimissione dall’ospedale (media ricovero 6±2gg), e 2) all’ingresso ed ogni giorno fino al 5° giorno di ricovero se almeno un valore di NGAL era patologico, altrimenti ogni giorno per 3 giorni se il valore di NGAL era sempre normale (<60 ng/ml, limite intrinseco del sistema). Vengono presentati i risultati dei primi 20 pazienti (10 nel primo gruppo e 10 nel secondo gruppo) ricoverati per SC acuto (età media 73.3±11 anni, BNP all’ingresso 809.3±498.3 pg/ml, dose di diuretico all’ingresso 91.7±63.5 mg). NGAL basale è risultato significativamente correlato ai valori di creatinina (r=0.80, p<0.001) e di VFG (r=0.67, p<0.03) all’ingresso, ma non con i valori alla dimissione (CR r=0.32, VFG r=0.48). Nella rivalutazione alla dimissione è stato osservato un peggioramento della funzione renale in 5 su 10 pazienti ma il valore di NGAL basale non è risultato significativamente diverso nei due gruppi. In 4 dei 10 pazienti che hanno eseguito misurazioni ripetute si è osservato un significativo peggioramento della CR e VFG rispettivamente in 2° giornata (n=1), in 3° giornata (n=2) e in 4° giornata (n=1). In tutti i casi è stato osservato un significativo incremento di NGAL nelle 24h precedenti (aumento medio 95%, range 25-200%). Nei 6 pazienti con valori normali di NGAL nelle misurazioni ripetute non vi è stata nessuna variazione di funzione renale. In conclusione, il timing di misurazione di questo nuovo biomarcatore NGAL appare determinante per riuscire a predire quei pazienti che ricoverati per scompenso acuto svilupperanno un peggioramento della funzione renale. Il valore basale di NGAL appare correlato al grado di disfunzione renale all’ingresso ma sembra presentare un basso potere predittivo di disfunzione renale durante il ricovero. Attualmente sembra più informativa una misurazione giornaliera del valore di NGAL durante i primi 3-5 giorni di degenza. Dal nostro studio infatti si conferma una capacità predittiva soprattutto a breve termine con un incremento di NGAL che precede di almeno 24 ore le variazioni di CR e di VFG. P45 ULTRAFILTRAZIONE DOMICILIARE CON DIALISI PERITONEALE NELLO SCOMPENSO CARDIACO AVANZATO Paola Lusardi1, Gian Maria Iadarola2, Antonella Vallero2, Elisabetta Petitti1, Massimo Minelli1, Francesco Quarello2 1 S.C. di Cardiologia, 2S.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. Torino Nord Emergenza San G. Bosco, ASL TO2, Torino Sfruttare la dialisi peritoneale (DP) nella gestione dello scompenso cardiaco (SC) avanzato presenta diversi vantaggi clinici (ultrafiltrazione continua, modulazione del bilancio idrosalino senza ripercussioni emodinamiche, ripristino della risposta alla terapia diuretica, riduzione del fabbisogno di farmaci inotropi e vasodilatatori, correzione di alterazioni metaboliche quali iperazotemia, acidosi, iposodiemia, iperpotassiemia, rimozione di sostanze neuro-ormonali ad attività miocardio-depressiva, stabilizzazione del paziente in previsione di una terapia definitiva, es. chirurgia, assistenza ventricolare o trapianto cardiaco) e logistici (trattamento domiciliare, bassi costi, semplicità della tecnica). Nell’ambito del P.O. T.N.E. San G. Bosco si è costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare al fine di avviare nuove metodiche terapeutiche/gestionali dei pazienti con SC avanzato afferenti all’ASL TO2, affrontando, oltre alle problematiche cliniche dei pazienti, anche quelle dietologiche, sociali, psichiche. Obiettivi del progetto. Riduzione della classe funzionale dello SC, riduzione dei giorni di ospedalizzazione, incremento della durata della sopravvivenza, miglioramento degli indici di qualità di vita, riduzione dei costi relativi a farmaci, ospedalizzazioni, trattamenti acuti, deospedalizzazione del trattamento di ultrafiltrazione. Verranno arruolati nel progetto i pazienti domiciliari affetti da SC refrattario con terapia medica ottimizzata, in cui siano già state prese in considerazione la terapia elettrica e chirurgica, appartenenti ai livelli INTERMACS 4 e 5 (Interagency Registry for Mechanical Assisted Circulatory Support) o con profilo di classe più severo, dopo stabilizzazione e svezzamento da terapia infusionale o ultrafiltrativa extracorporea ospedaliera. In particolare verranno arruolati i pazienti corrispondenti al profilo di “Frequent flyer”, ovvero quei pazienti non ospedalizzati che richiedono frequenti rivalutazioni cliniche in emergenza o ospedalizzazioni per terapia diuretica, ultrafiltrazione o infusione temporanea di terapia vasoattiva. I pazienti che, per caratteristiche anatomiche o difficoltà socioassistenziali, non potranno avviare la DP e coloro che avranno rifiutato il trattamento costituiranno la casistica di controllo. In basale e nel follow-up verranno eseguiti esami ematochimici (studio della funzione renale, epatica, assetto marziale, BNP, EGA), esame urine, Rx torace, ECG, ecocardiogramma, ecografia polmonare, monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM), ECG secondo Holter, test da sforzo cardiopolmonare, studio del sonno, somministrazione di un questionario per la qualità della vita, calcolo del CVM-HF (Cardio-Vascular Medicine Heart Failure) o, nei pazienti in valutazione per trapianto cardiaco, dell’HFSS (Heart Failure Survival Score). P46 CONTROLLO TELEMETRICO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA E DELLA SATURAZIONE DI OSSIGENO: IMPATTO SULL’OSPEDALIZZAZIONE IN PAZIENTI AFFETTI DA SCOMPENSO CARDIACO Vittorio Palmieri1, Salvo Pezzullo2, Vincenzo Lubrano1, Stefania Bettella1, Sorrentino Carmela1, Cesare Russo3, Aldo Celentano1 1 U.O.C. di Cardiologia, P.O. dei Pellegrini, ASL NA1, Napoli, 2 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università “Federico II”, Napoli, 3Department of Medicine, Columbia University, New York, NY, USA È controverso se il telemonitoraggio è in grado di ridurre le ospedalizzazioni nello scompenso cardiaco (SC). Abbiamo valutato l’impatto della stretta monitorizzazione per via telemetrica da domicilio di pressione arteriosa (PA), frequenza cardiaca (FC) e saturazione di ossigeno (spO2) su: ospedalizzazione via pronto soccorso per SC e morte per tutte le cause (eventi primari), e su ospedalizzazioni per SC non via PS (eventi secondari), e su ospedalizzazioni e morte per tutte le cause (eventi compositi) in un gruppo di pazienti affetti da SC e storia di ripetute ospedalizzazioni. Metodi. In una finestra temporale di 1 anno abbiamo selezionato consecutivamente pazienti ricoverato per SC acuto, stadio C-D, anamnesticamente in classe funzionale NYHA II-III almeno per 3 mesi precedenti il ricovero indice, e con almeno una delle seguenti caratteristiche aggiuntive: storia di almeno 1 ricovero per scompenso cardiaco nell’anno precedente ed FE nota riscontrabile alla dimissione <40%, oppure una storia di ripetuti ricoveri per edema polmonare acuto nonostante FE riscontrabile alla dimissione >50%. Sono stati esclusi pazienti con: sindrome coronarica acuta, prognosi infausta per cause non cardiache, basso grado di auto-sufficienza e di capacità logico-cognitiva. Tali pazienti hanno ricevuto un apparecchio semiautomatico per la monitorizzazione della PA, FC, e saturazione di O2 sO2 (V100, General Electric), collegato ad un modem analogico per trasmissione dati ad una centrale d’ascolto posta in ospedale (Telbios SpA). Risultati. Sono stati reclutati 23 pazienti (68% dei qualificanti), cha avevano età media di 70 anni (min-max: 44-80), e comprendevano: 26% donne, 17% con SC diastolico, 61% con cardiopatia ischemica, 52% broncopatici cronici, 57% con insufficienza renale cronica, 30% anemici, 17% con insufficienza mitralica ≥3+, 65% con pressione sistolica del piccolo circolo stimata alla dimissione <35 mmHg, 60% in ritmo sinusale alla dimissione. Il tempo medio di osservazione in telemetria è stato di 315 giorni (min-max 55-622). L’evento primario è stato registrato in otto pazienti (35%, 1 decesso improvviso, p=0.058) in un tempo medio di 193 gg (min-max: 7-451). Gli eventi compositi sono stati 12 (52%, p=0.1) in un tempo medio di 206 gg (min-max: 7-478). Il numero medio di ospedalizzazioni totali non programmate (incluso ordinari o DH) per SC è passato da 2.2±1.3 nell’anno precedente l’inizio della monitorizzazione a 0.9±1.2 (<0.01). In generale, la PA tendeva a ridursi durante la monitorizzazione (p=0.05). Entro coloro che andavano incontro a decompensazione cardiaca, in media i valori dei parametri di monitorizzazione nel periodo (1-7 gg) immediatamente precedente l’evento erano comparabili con quelli del periodo di inizio monitoraggio (122±28 vs 122±25 mmHg; 66±9 vs 65±12 mmHg, 73±13 vs 75±14 bpm, 96±2 vs 96±3%). Conclusioni. Nello SC il carico socio-sanitario globale rimane elevato. Tuttavia, il monitoraggio intensivo potrebbe ridurre le ospedalizzazioni per SC via pronto soccorso, che tuttavia non sembrano efficacemente predette da PA, FC e sO2. P47 CASE REPORT: UTILIZZO DI CICLI DI LEVOSIMENDAN IN PAZIENTI CANDIDATI A TRAPIANTO CARDIACO PER EVITARE INSUFFICIENZE VENTRICOLARI DESTRE POST-TRAPIANTO E MIGLIORARE L’OUTCOME CLINICO Luca Checco1, Tullio Usmiani1, Pierluigi Sbarra1, Massimo Boffini2, Riccardo Saviolo3, Marco Ribezzo2, Riccardo Bonato2, Erika Simonato2, Mauro Rinaldi2, Sebastiano Marra1 1 S.C. di Cardiologia 2, 2S.C. di Cardiochirurgia, 3S.C. di Cardiologia 1, A.O.U. S.Giovanni Battista Molinette, Torino Introduzione. L’ipertensione polmonare secondaria a cardiopatia del ventricolo sinistro, con valori di gradiente trans-polmonare >15 mmHg e resistenze vascolari polmonari >3 unità Wood, irreversibili ai test farmacologici, ha rappresentato da sempre una contro-indicazione al trapianto cardiaco ortotopico. Razionale. La somministrazione di cicli di levosimendan e.v. in questa tipologia di pazienti, indipendentemente dalla classe funzionale NYHA o dalla clinica, può ridurre le pressioni polmonari e mantenere un quadro normopressorio o di lieve ipertensione polmonare per 60-90 giorni, permettendo l’esecuzione in relativa sicurezza di trapianto cardiaco senza successiva insufficienza del ventricolo destro da aumento irreversibile del post-carico. Metodi. Dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2009 sono stati eseguiti all’AOU S.Giovanni Battista di Torino 114 trapianti di cuore; 36 pazienti avevano ipertensione polmonare secondaria con aumento del gradiente transpolmonare e delle resistenze arteriolari irreversibili a test farmacologico con nitroprussiato di sodio (per concomitante importante risposta ipotensiva sistemica); 13 di loro sono sottoposti a ciclo di levosimendan (somministrazione e.v. senza bolo, alla dose di 0.2 gamma/kg/min per 24 ore); inoltre, 12 pazienti della attuale lista di attesa trapianto cuore sono stati sottoposti per lo stesso motivo a ciclo e.v. di levosimendan. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 41S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Tutti i pazienti sottoposti a ciclo di levosimendan hanno effettuato un cateterismo cardiaco destro pre-levosimendan, e successivamente tra 1 settimana e 1 mese e tra 3 mesi e 6 mesi dal ciclo. Risultati. Dopo la somministrazione di levosimendan e prima del trapianto cardiaco, è stato eseguito un follow up clinico e strumentale a 7 giorni, entro 1 mese, entro 3 mesi, con un miglioramento di tutti i parametri: la classe funzionale era migliorata in tutti i pazienti: NYHA I: 6 (24%), II: 7 (28%), III: 12 (48%), IV: 0, il valore medio del NT-proBNP era 1216±280 pg/dL, il VO2 picco della popolazione era di18.9 ml/kg/min e nessuno dei pazienti aveva avuto un peggioramento della malattia, inteso come potenziamento della terapia anti-scompenso, peggioramento dei valori NT-proBNP >25%, ricovero ospedaliero. Nei 13 pazienti sottoposti a trapianto cardiaco non si sono registrate complicanze in fase acuta e subacuta; si è registrato 1 decesso a 14 mesi dal trapianto per complicanze legate a rigetto persistente. A 1 e 6 mesi dal trapianto cardiaco, la classe funzionale dei 13 pazienti era NYHA I: 6 (46%), II: 4 (31%), III: 3 (23%), IV: 0, il valore medio del NT-proBNP era 280±127 pg/dL e nessuno dei pazienti aveva avuto un peggioramento della malattia, inteso come persistenza dei dati di ipertensione polmonare, scompenso cardiaco destro, peggioramento dei valori NT-proBNP >25%, ricovero ospedaliero. Conclusioni. Associato alla terapia standard, il trattamento con levosimendan (isolato o a cicli periodici trimestrali) può portare ad una stato di reversibilità l’ipertensione polmonare secondaria a cardiopatia del ventricolo sinistro, permettendo a questa tipologia di pazienti l’esecuzione di trapianto di cuore prima negata, senza riscontro di insufficienza ventricolare destra post-trapianto. intra-capillary pressure, as found in diabetic nephropathy or hypertension. However, in the presence of decreased renal blood flow due to glomerular filtration decline, old age-related, or caused by fall in effective circulating blood volume, an unfavorable effect on renal function by ACE-I is generally recognized. Purpose. To detect specific clinical predictors of renal worsening in CHF patients who are prescribed ACE-I. Methods. According to a retrospective cohort design, we followed two groups of patients with CHF, whether right or biventricular CHF-, all treated with ACE-I (enalapril or lisinopril), located in III NYHA class and characterized by left ventricular ejection fraction (LVEF) <50%, by distinguishing them on the basis of the scheduled dose of ACE-I: average-low dose (≤10 mg per day) or “high” dose (i.e. >10 mg/day) of enalapril or lisinopril. In addition, standard treatment, shared by the two groups, included beta-blockers (carvedilol or bisoprolol), loop diuretics (furosemide or torsemide), aldosterone receptor antagonists and nitrates long acting, administered at various doses. Patients with serum creatinine (Cr) >2.2 mg/dl at baseline were excluded. Aggravated renal dysfunction (ARD) was defined by Cr increase >30% from the levels found at admission. Cox proportional hazards model was used for identifying the predictors of ARD among the following exposure variables: ACE-I “high” dose (i.e. >10 mg/day of enalapril or lisinopril), age, basal LVEF, history of repeated intensive intravenous loop diuretic therapies (iv diur), diabetes, basal Cr, absence of beta-blocker in the scheduled therapy. Results. 57 patients were recruited, whose 15 treated with enalapril or lisinopril daily dose >10 mg. During a mean follow-up of 718 days, ARD occurred in 17 (29.8%) patients. By multivariate Cox analysis, only ACE-I P48 high dose therapy (HR: 12.4681, CI: 2.1614-71.9239, p=0.0050) and basal CONTROPULSAZIONE AORTICA COME BRIDGE AL TRAPIANTO: OUTCOME Cr (HR: 1.2344, CI: 1.0414-1.4632, p=0.0157) were shown to predict ARD. CLINICO A BREVE E LUNGO TERMINE In addition, using the 2x2 contingency tables, “high” doses of ACE-I were 1 1 1 P48 Alessandra Fontana , Natasha Gorislavets , Attilio Iacovoni , shown to fail to predict ARD in both CHF patients without iv diur and CHF 1 1 1 CONTROPULSAZIONE AORTICA COME Sebastiani BRIDGE AL A BREVE E Filippo Taddei , Umbertina Veritti , Roberta , TRAPIANTO: OUTCOME patientsCLINICO with diabetes. 1 1 1 2 Roberto , Amedeo Terzi , Paolo Ferrazzi , Renata De Maria , LUNGOFiocchi TERMINE Conclusions. In III NYHA class CHF patients, “high” doses of ACE-I and a 1 Antonello Gavazzi higher basal Cr were found to predict ARD over a two-year follow-up. Iv 1 Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti, Bergamo, 2Istituto di diur seem to increase the risk of nephrotoxicity associated with prolonged Fisiologia Clinica del CNR, Dipartimento Cardiologico, A.O. Niguarda “high-dose” ACE-I regimen; whereas in diabetic CHF patients the “high” Ca’ Granda, Milano doses of ACE-I appear not to harm the glomerular filtration. Scopo. Il contropulsatore aortico (IABP) è spesso utilizzato come bridge al trapianto cardiaco (TC) ma in questo contesto ci sono pochi studi riguardanti Scopo. clinico a breve e lungo termine. Il presente studio retrospettivo l’outcome Insufficienza cardiaca - prognosi riporta 8 anni di esperienza in un singolo centro con l’applicazione dell’IABP in una serie consecutiva di pazienti (pz) con scompenso cardiaco P50 avanzato in lista d’attesa per TC e in fase di instabilizzazione. PROGNOSTIC VARIABLES OF ACUTE DECOMPENSATED HEART Metodi e risultati. Tra i pz adulti inseriti in lista di attesa per TC nel periodo FAILURE IN ISCHEMIC CARDIOMYOPATHY FOLLOWING CARDIOVERTERcompreso il 2003 ed il 2010, 13 pazienti (età 54±12 anni) per le Metodi e tra risultati. DEFIBRILLATOR IMPLANTATION condizioni disevera ipoperfusione sono stati trattati con impianto di IABP Lanfranco Antonini1, Vincenzo Pasceri1, Cristina Mollica2, come bridge al TC. Il tempo medio del mantenimento delI’IABP fino al Francesca Leone1, Antonella Meo1, Antonio Varveri1, Stefano Aquilani1, trapianto è stato di 33 giorni (min 2, max 118 giorni). Le condizioni cliniche Massimo Santini1 sono migliorante in 10 pz con incremento dei valori di pressione arteriosa 1 San Filippo Neri, Roma, 2Scienze Statistiche, La Sapienza Università, media (da 68 a 79 mmHg, p 0,001), riduzione della pressione venosa Roma centrale (da 15 a 12 mmHg, p n.s.) e miglioramento degli indici di Background. Patients with ischemic cardiomyopathy and left ventricular funzionalità renale ed epatica (v. tabella). dysfunction (ejection fraction, EF ≤35%) receiving a cardioverterdefibrillator (ICD) for primary prevention of sudden death (MADIT II Parametri Pre-IABP Post-IABP p criteria) are still at high risk of heart failure and cardiovascular death. Creatinina (mg/dl) 1.99±0.89 1.31±0.65 0.006 Methods to predict events in this group of patients area lacking. Sodiemia (mM/L) 129±6.3 134±5.1 0.003 Methods. We studied 191 consecutive subjects (180 men) on an outGOT (U/L) 155±348 49±28 NS patients basis, with ventricular systolic dysfunction (EF ≤35%) and GPT (U/L) 271±28 49±33 NS Bilirubina totale (mg/dl) 2.3±2.1 1.7±1.9 0.029 previous myocardial infarction. All fulfilling MADIT II criteria received optimal medical therapy for heart failure and implanted an ICD (60% dual chamber, 21% single chamber and 19% biventricular). The followDurante IABP 3 pz sono deceduti, 2 per insufficienza multi-organo e 1 per up was 12 months. 2D-echo was performed just before ICD implantation, infezione, 9 sono stati sottoposti con successo a TC e sono tutti vivi con un ABPM and hematological samples 2 weeks later. Age, EF, creatinine follow-up medio post-trapianto di 47 mesi, ad eccezione di 1 pz che è level, hemoglobin concentration, mean 24-hour systolic blood pressure, deceduto dopo 89 mesi da TC per una complicanza infettiva; 1 pz è stato mean 24-hour diastolic blood pressure, mean 24-hour heart rate, brain sottoposto ad intervento di by-pass ao-co, rimodellamento ventricolare natriuretic peptide, QRS duration, % paced beats, biventricular pacing, sinistro ed anuloplastica mitralica ed è vivo con un follow-up di 49 mesi. gender and diabetes were considered. Cox proportional-hazards Un pz dopo rimozione del contropulsatore, mantenuto per 118 giorni, ha regression analysis was used to explore relationship of events to presentato ischemia dell’arto inferiore, sede di inserzione del IABP, univariate variables. ROC curves were built for each independent Conclusioni. trattata con successo mediante intervento chirurgico di disostruzione. variable. The cumulative risk of experiencing endpoints was estimated Conclusioni. Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco avanzato in by Kaplan-Meier method. Survival curves of subgroups were compared attesa di TC e in fase di peggioramento il IABP permette una efficace using log-rank test. stabilizzazione clinica, con miglioramento della funzione d’organo, è Results. Events occurred in 48 patients (25%); 8 deaths for refractory heart sicuro ed è ben tollerato anche per lunghi periodi. Le complicazioni sono failure and 40 hospitalizations for acute decompensated heart failure. rare e trattabili. Low mean 24-hour systolic blood pressure (HR 0.96, 95% CI 0.93-0.99 p=0.01), serum creatinine (HR 1.63, 95% CI 1.07-2.51 p=0.02), low hemoglobin concentration (HR 0.80, 95% CI 0.64-0.99 p=0.04) and older P49 age (HR 1.04, 95% CI 1.01-1.08 p=0.03) were independent predictors of IN RIGHT OR BIVENTRICULAR CHRONIC HEART FAILURE PATIENTS, events. ROC curves showed the best cut-off values at 73 for age (area PROLONGED HIGH DOSE ACE-INHIBITOR REGIMEN IS ASSOCIATED WITH under the curve = 0.68, p<0.0001, sensitivity 69%, specificity 66%, positive INCREASED RISK OF NEW ONSET OR AGGRAVATED RENAL DYSFUNCTION: predictive value 40%, negative predictive value 86%); m24h SBP cut-off RESULTS OF AN OBSERVATIONAL RETROSPECTIVE COHORT STUDY 106 mmHg (AUC 0.66, p=0.0004, sensitivity 52%, specificity 71%, PV+ 37%, Renato De Vecchis1, Giuseppina Di Biase2, Antonio Ciccarelli2, PV- 81%), hemoglobin concentration 13.1 g/dl (AUC 0.63, p=0.004, Adelaide Fusco1, Carmela Cioppa1, Anna Giasi1, Carmelina Ariano1, sensitivity 67%, specificity 57%, PV+ 37%, PV- 81%) blood creatinine cutDario Paolino1, Salvatore Cantatrione1 1 off 1.4 mg/dl (AUC 0.66, p=0.0004, sensitivity 60%, specificity 66% PV+ Cardiology Unit, Presidio Sanitario Intermedio “Elena d’Aosta”, Napoli, 2 38%, PV- 83%). Kaplan-Meier survival analysis confirmed a significant Neurorehabilitation Unit, Clinica “Santa Maria del Pozzo”, Somma cumulative risk of groups with higher creatinine levels p=0.002, lower Hb Vesuviana (NA) concentration p=0.005, lower mean 24-hour systolic blood pressure, Background. The renoprotective effect of ACE-inhibitors (ACE-I) is thought p=0.007 and older age p<0.0001. to be related to their property to induce a reduction in high glomerular 42S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER 27.8±8.2% p=0.002, BNP 2634±547 vs 2250±821 pg/ml p<0.001, troponina I 0.48±0.26 vs 0.35±0.28 ng/ml p=0.001, creatinina 2.2±0.7 vs 2.01±0.19 mg/dl p=0.001, VFG 32.25±18 vs 43.27±15.7 ml/min p<0.001. Nel periodo in esame 20 pazienti (35.7% del totale) sono deceduti per cause cardiache: di quelli con un solo ricovero 3 durante la degenza (5.34% di mortalità intraospedaliera) e 9 nel follow-up (16% dei pazienti al 1° ricovero); di quelli con due ricoveri 3 durante la degenza (16.6% di mortalità P51 intraospedaliera) ed 1 durante il follow-up (5.5% dei pazienti al 2° PROGNOSTIC FACTORS OF MID-TERM CLINICAL OUTCOME IN CONGESTIVE ricovero); di quelli con tre ricoveri 3 durante la degenza (50% di mortalità HEART FAILURE PATIENTS intraospedaliera) e 1 durante il follow-up (16.6% dei pazienti al 3° 1 1 1 1 Mauro Feola , Enrico Lombardo , Camillo Taglieri , Salvatore Piccolo , ricovero). 2 Antonello Vado Conclusioni. Nella nostra popolazione il peggioramento della creatinina, 1 Cardiovascular Rehabilitation-Heart Failure Unit, Ospedale SS. Trinità, ma non del VFG, ha rappresentato un fattore di rischio per eventi “hard” 2 Fossano, Cardiology Division, Ospedale S. Croce, Cuneo (riospedalizzazione o morte cardiaca). Il fattore più importante di morte P51 Risk stratification in congestive heart failure (CHF) patients is based on a nel follow-up è stata la necessità di riospedalizzazione; la classe NYHA, la PROGNOSTICvariety FACTORS OF MID-TERM CLINICALvariables. OUTCOMEWe IN analysed CONGESTIVE HEART FAILURE of clinical and laboratory different troponina I ed il BNP risultano anche essi correlati con la prognosi, come PATIENTS parameters (renal function, plasma BNP, water composition, dai dati della letteratura. echocardiographic and functional determinations) in predicting mid-term outcome in CHF patients discharged after decompensation. Methods. All subjects with NYHA class II-IV were enrolled at hospital P53 discharge. NYHA class, BNP, water body composition, non-invasive cardiac ADIPONECTIN IN OUTPATIENTS WITH CORONARY ARTERY DISEASE: output and echocardiogram were analysed. Death, cardiac transplantation INDEPENDENT PREDICTORS AND RELATIONSHIP WITH HEART FAILURE and hospital readmission for CHF were scheduled. Samuele Baldasseroni1, Salvatore Scarantino1, Claudia Di Serio2, Results. Two-hundred and thirty-seven (64.5% males, age 71) patients Nadia Bartoli1, Alice Foschini1, Andrea Josafat Marella1, Methods. were discharged after obtaining normal hydration; left ventricular P53 Alessandra Pratesi1, Gian Franco Gensini1, Niccolò Marchionni2, ejection fraction (LVEF) was 43.2±16.2%, cardiac output was 3.8±1.1 l/min ADIPONECTINFrancesca IN OUTPATIENTS Tarantini2 WITH CORONARY ARTERY DISEASE: INDEPENDENT PREDICTORS and BNP at discharge resulted 401.3±501.7 pg/ml. During the 14-month 1 AND RELATIONSHIP WITH of HEART Department HeartFAILURE and Vessels, Azienda Ospedaliero Universitaria follow-up 15 (6.3%) patients died, one (0.4%) underwent cardiac Results. Careggi, Florence, 2Department of Critical Care Medicine and Surgery, transplantation and 18 (7.6%) were readmitted for CHF (event group); in University of Florence, Florence 203 (85.6%) no events were observed (no-event group). Higher NYHA class Background and aims. Chronic heart failure (HF) is characterized by a (2.1±0.7 vs 1.9±0.4 p=0.01), BNP at discharge (750.2±527.3 vs 340.7±474.3 neurohormonal dysfunction associated with chronic inflammation. A role pg/ml, p=0.002) and impaired LVEF (33.7±15.7 vs 44.5±15.8%, p=0.0001) of metabolic Background and aims. derangement in the pathophysiology of HF has been recently and creatinine (1.7±0.6 vs 1.2±0.8 mg/dl, p=0.004) were noticed in the reported. Adiponectin, an adipose tissue-derived cytokine, seems to play event group. At multivariate Cox analysis LVEF (p=0.0009), plasma an important role in cardiac dysfunction. We investigated the variation creatinine (p=0.006) and BNP at discharge (p=0.001) were associated with of circulating adiponectin in patients with coronary artery disease (CAD), adverse mid-term outcome. Kaplan-Meier survival curves demonstrated with or without HF, in order to identify its independent predictors. that adding cut-off points for creatinine 1.5 mg/dl and discharged BNP of Methods and results. 107 outpatients with CAD were enrolled in the study 250 pg/ml discriminated significantly prognosis (p=0.0001; log rank 21.09). and divided into three Groups: CAD without left ventricular systolic BNP anddysfunction Conclusions.Conclusions. In predicting mid-term clinical prognosis in CHF patients, Methods results. (Group 1); CAD with left ventricular dysfunction without heart at discharge ≥250 pg/ml added with a plasma creatinine >1.5 mg/dl are failure symptoms (Group 2); CAD with overt heart failure (Group 3). strong adverse predictors. Plasma adiponectin was determined by ELISA. Adiponectin concentrations increased progressively from Group 1 (7.6±3.6 ng/ml) to Group 2 (9.1±6.7 ng/ml) and 3 (13.7±7.6 ng/ml), with the difference reaching statistical significance in Group 3 versus 1 and 2 (p<0.001). A multivariable model of analysis demonstrated that the best predictors of plasma adiponectin were BMI, NT-proBNP and HDL cholesterol. However, even after adjusting for all three independent predictors, the increase of adiponectin in Group 3 still remained statistically significant (p=0.015). Conclusion. Conclusion. Our data confirm the rise of adiponectin in overt HF; this increase could anticipate the wasting syndrome that characterizes advanced disease. The levels of circulating adipokine seem to be mainly predicted by the metabolic profile of patients and by biohumoral indicators, rather than by clinical and echocardiographic indexes of HF severity. Conclusions. Mean 24h systolic blood pressure, hematological variables such as creatinine and hemoglobin concentration and age can stratify risk of death and acute decompensated heart failure in patients with ischemic cardiomyopathy and ICD in whom 2D-echo ejection fraction is not predictive. P52 OSPEDALIZZAZIONE O MORTE CARDIACA NEI PAZIENTI CON INSTABILIZZAZIONE DI SCOMPENSO CARDIACO Ettore Savini, Massiliano Tullio, Christos Katsanos, Sonia Leone, Sandra Di Marco, Lorena Di Gioacchino, Liana Mennecozzi, Domenico Ciliberti, Domenico Gabrielli U.O. di Cardiologia, Ospedale Murri, Fermo Scopo dello studio. Numerosi studi hanno evidenziato come il peggioramento della funzionalità renale influisca negativamente nella prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco da disfunzione ventricolare sinistra. Abbiamo inteso correlare questo dato con indicatori prognostici sicuramente riconosciuti, come la FEVS ed il BNP, riguardo a eventi “hard” (ri-ospedalizzazione e morte cardiaca), in una popolazione afferita alla nostra Unità Operativa di Cardiologia in un arco temporale di 18 mesi (da giugno 2009 a novembre 2010). Materiali e metodi. Nello studio sono stati analizzati i dati di pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca acuta de novo o riacutizzata come sopra descritto. Sono stati valutati all’ingresso: Creatinina, VFG ed altri indicatori prognostici e correlati con la riospedalizzazione e la morte cardiaca. Risultati. I dati riguardano 56 pazienti, 23 maschi, età 68.2±11 anni. Al primo ricovero (durata 10.7±4 giorni) si evidenziava FEVS 31.4±9.4%, classe NYHA 3.0±0.5, BNP 1939.67±560 pg/ml, troponina I 0.37±0.3 ng/ml, creatinina 1.58±0.53 mg/dl, VFG 36.22±18 ml/min. 18 pazienti (32.14% del totale - 7 maschi, età 73.1±5 anni) sono stati riospedalizzati, ad un tempo medio dal primo ricovero di 152±26 giorni (durata del ricovero 8.56±3 giorni), classe NYHA 3.31±0.7 vs 3.0±0.5 p=0.002, FEVS 27.8±8.2 vs 31.4±9.4% p<0.001, BNP 2250±821 vs 1939.67±560 pg/ml p=0.001, troponina I 0.35±0.28 vs 0.37±0.3 ng/ml p=0.002, creatinina 2.01±0.19 vs 1.58±0.53 mg/dl p=0.001, VFG 43.27±15.7 vs 36.22±18 ml/min p<0.001. 6 pazienti (10.71% del totale - 2 maschi, età 76.3±6 anni) sono stati riospedalizzati per la terza volta, ad un tempo medio dal secondo ricovero di 63±18 giorni e di 221±36 giorni dal primo, durata ricovero 7.5±3.2 giorni, classe NYHA 3.83±0.2 vs 3.31±0.7 p=0.001, FEVS 30.5±6.9 vs P54 APPLICAZIONI DELL’ANGOLO SPAZIALE QRS-T NELLA VALUTAZIONE PROGNOSTICA DELLO SCOMPENSO CARDIACO Federico Boncagni, Federico Guerra, Alessandro Capucci Clinica di Cardiologia, Ospedali Riuniti, Ancona Premessa. L’angolo spaziale QRS-T è l’angolo compreso tra la rappresentazione vettoriale della depolarizzazione e della ripolarizzazione cardiache e rappresenta un marker delle alterazioni del processo di recupero dell’eccitabilità miocardica. Negli ultimi dieci anni diversi studi hanno dimostrato l’associazione tra l’aumento in ampiezza dell’angolo QRS-T e lo sviluppo di eventi cardiovascolari fatali, in particolare aritmie ventricolari, IMA e scompenso cardiaco. Lo scopo del nostro studio è stato valutare l’associazione tra l’angolo spaziale QRS-T e le caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche dei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico. Materiali e metodi. Sono stati inseriti nello studio 84 pazienti consecutivi (78M, 6F; età media: 68.0±13.9 anni) afferiti alla Clinica di Cardiologia degli Ospedali Riuniti di Ancona nel biennio 2009-2010, con pregressa o nuova diagnosi di scompenso cardiaco. In ciascun paziente è stato G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 43S P54 CONGRESSO PROGNOSTICA NAZIONALE DIDELLO CARDIOLOGIA DELL’ANMCO APPLICAZIONI DELL’ANGOLO SPAZIALE QRS-T NELLA42° VALUTAZIONE SCOMPENSO CARDIACO Premessa.registrato un ECG standard a 12 derivazioni e sono state effettuate una valutazione clinica (anamnesi patologica, fattori di rischio cardiovascolare, classe NYHA, terapia domiciliare) ed ecocardiografica (diametro telesistolico e telediastolico del VS, spessore del setto e della parete posteriore del VS in telediastole, FEVS). L’angolo spaziale QRS-T è stato calcolato come funzione inversa del coseno tra l’asse elettrico del QRS e l’asse elettrico dell’onda T. Le componenti spaziali X, Y, Z degli assi di QRS Materiali eedimetodi. T sono statericavate dalle deflessioni nette del complesso QRS e della T nelle derivazioni V6, V5, aVF e V2. Risultati. L’angolo spaziale medio QRS-T è risultato più ampio nei pazienti con pregresso IMA (119.2±40.9° vs 93.6±48.2°; p=0.015) e nei pazienti ricoverati per riacutizzazione di scompenso (124.1±35.4° vs 93.0±49.2°; p=0.002). I pazienti in classe NYHA più elevata hanno mostrato un angolo QRS-T significativamente più alterato (ampiezza media 78.5±44.0°, 122.6±40.6°, 145.9±23.6° nei pazienti rispettivamente in classe NYHA I, II, Risultati. III; p<0.001) ed è stata riscontrata una correlazione lineare positiva tra ampiezza dell’angolo QRS-T e FEVS (p<0.001). L’angolo QRS-T, peraltro, si è dimostrato più ampio nei pazienti trattati con diuretici dell’ansa (115.3±38.7° vs 86.7±50.6°; p=0.013) e con statine (117.64±39.47° vs 90.75±47.51°; p=0.018). Conclusioni. Nella nostra casisica l’angolo spaziale QRS-T si è dimostrato in rapporto con il deterioramento della contrattilità del ventricolo sinistro e delle condizioni clinico-funzionali del paziente. Da questo punto di vista, Conclusioni. l’angolo QRS-T potrebbe costituire un utile parametro non invasivo per la valutazione prognostica e la gestione terapeutica dei pazienti con scompenso cardiaco. P56 ROLE OF PASSIVE LEG RAISING TO EVALUATE PRELOAD RESPONSIVENESS IN PATIENTS WITH CARDIOGENIC SHOCK AFTER ST-ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION (STEMI) TREATED WITH INOTROPIC THERAPY Marco Poli, Paolo Trambaiolo, Marina Mustilli, Massimo De Luca, Vjerica Lukic, Valentina Basso, Federica Ferraiuolo, Maurizio Simonetti, Filippo Corsi, Giuseppe Ferraiuolo UTIC, Ospedale Sandro Pertini, Roma Background. Optimal cardiac filling is essential for maintaining an adequate cardiac output and organ perfusion in patients with cardiogenic shock (CS) after ST elevation myocardial infarction (STEMI). “Static” hemodynamic parameters including central venous pressure (CVP) and pulmonary artery occlusion pressure (PAOP) have been used to estimate preload, although their predictive value on fluid responsiveness is not accurate in the presence of huge variations of intrathoracic pressure. Passive leg raising (PLR) represents a “self-volume challenge” that could predict fluid response; the transient hemodynamic effect of PLR on left ventricular stroke volume (SV) detect preload responsiveness in patients with CS after STEMI. Hemodynamic stabilization, preload optimization and correct management of inotropic and fluid therapy is of utmost importance in this patients with a low output syndrome. Aim of this retrospective study was to determine the agreement between PLR and early hemodynamic status of patients with CS after STEMI. Methods. During observation period (16-months), 79 patients were admitted in our ICU for CS after STEMI; patients who required an intraaortic balloon pump (n=15) and/or mechanical ventilation (n=21) andwhichwere notmonitoredwith PiCCO (n=31) were excluded from the analysis. The final pool included in the study was 12 patients. The hemodynamic management of studied patients was based on guideline treatment, and to maintain individual cardiac index between 1.5 and 2.7 L/min/m2, all patients were treated with an inotropic agent. Heart rate (HR), arterial blood pressure (ABP), CVP, PAOP, lactate plasma levels (LAC), SV, Intra-thoracic blood volume (ITBV), Global end-diastolic volume (GEDV), were recorded in a supine position (baseline position) and after that patients were in a supine position with the lower limbs elevated 30° to 45°. Each hemodynamic measurement was recorded within the first 5 mins. Patients were considered as fluid preload responsiveness if PLR induced SV increased by ≥10%. To optimize systemic afterload and coronary perfusion, mean arterial blood pressure (MAP) was individually maintained between 60 and 75 mmHg using sodium nitroprusside to decrease vascular resistances, or detect preload responsiveness with PLR. When the MAP was lower 60 mmHg.if the patient was nonresponders was used norepinephrine to increase systemic, as clinically indicated. We measured SV using PiCCOmonitor, we calculated changes in SV, induced by PLR. Among 12 P55 patients included in this study, 5 had a SV increase of >10% after PLR. ELEVATED LEVEL OF RESISTIN PREDICTS OUTCOME IN PATIENTS WITH Results. In responders group (n=5) SV was significantly increased by PLR ISCHEMIC HEART DISEASE AND HEART FAILURE from 47±14 mL to 50±14 mL (p<0.001). In this patient infusion within 15 Samuele Baldasseroni1, Francesco Orso1, Claudia Di Serio2, min by 100 mL of 6% hydroxyethyl starch (Voluven) increased SV from Salvatore Scarantino1, Nadia Bartoli1, Andrea Josafat Marella1, 47±14 mL to 53±15 mL (p<0.001). In nonresponders group (n=7) SV was Alice Foschini1, Alessandra Pratesi1, Gian Franco Gensini1, not significantly increased by PLR, from 42±12 mL to 45±11 mL. In this Niccolò Marchionni2, Francesca Tarantini2 patient volume expansion increased SV of 45±14 mL. 1 Department of Heart and Vessels, Azienda Ospedaliero Universitaria Conclusions. Changes in SV and radial pulse pressure induced by PLR are Careggi, Florence, 2Department of Critical Care Medicine and Surgery, P55 accurate and interchangeable indices for predicting fluid responsiveness University of Florence, Florence ELEVATED LEVEL OF RESISTIN PREDICTS OUTCOME IN PATIENTS WITH ISCHEMIC HEART DISEASE in patients with CS after STEMI. Background. AND HEART FAILURE Resistin, a pro-inflammatory adipokine, is significantly involved in the atherosclerotic mechanisms of ischemic heart disease (IHD) and its high level predicts the heart failure (HF) development. We evaluated the ability of this adipokine to predict outcomes in patients P57 with ischemic heart disease with or without left ventricular systolic CONTROLLO TERAPEUTICO DELLA DISFUNZIONE VENTRICOLARE DESTRA dysfunction. IN PAZIENTI OBESI CON INIZIALE IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE Background. Methods and results. All of 107 consecutive outpatients enrolled in the N. Siniscalchi, T. Cerciello, F. Olivieri, L.I. Siniscalchi, N. Caturano, study had a coronary angiographic diagnosis of IHD. Patients were divided M. De Biase, F. Fiorente according to tertiles of serum resistin concentration as following: Group Dipartimento di Geriatria, Gerontologia e Malattie del Metabolismo1 (n=36, resistin ≤9.5 ng/ml), Group 2 (n=35, resistin >9.5 and ≤14.3 ng/ml), SUN Napoli, Ospedale Civile di Sarno (SA) Methods and results. and Group 3 (n=36, resistin >14.3 ng/ml). Compared to other two Groups, L’ipertensione polmonare (IP) è una complicazione frequente in pazienti patients in Group 3 presented more frequently signs and symptoms of HF (pz) obesi con problemi di ipoventilazione e disfunzione ventricolare dx and advanced NYHA class (NYHA III-IV), elevated NT-proBNP, reduced (DVD). La somministrazione tempestiva di farmaci vasodilatatori ed eGFR. At univariate analysis Group 3 had a significant higher mortality emoreologici può, migliorando l’emodinamica cardiopolmonare, ritardare rate at follow-up (955±464 days) compared to other two groups (Figurela comparsa del cuore polmonare e ridurre il rischio di mortalità. Kaplan Meyer curves). After adjustment for age, gender, severity of HF, Scopo della presente ricerca è stato valutare la tollerabilità e l’efficacia renal function and comorbidity, patients in Group 3 had a significant terapeutica della somministrazione di enalapril (E) + ranolazine (R) in pz higher risk of death (HR 6.36 95%CI 1.38-29.3, p<0.018). obesi con iniziale IP ed DVD. Gli endpoint dello studio sono stati considerati Conclusion. Our data confirms that an elevated level of resistin was Conclusion. un miglioramento dei sintomi cardiorespiratori, un aumentato consumo associated with presence and severity of HF in patients affected by IHD. di O2 al test ergometrico e una riduzione o regressione della DVD. Resistin level >14.3 ng/ml is able to predict independently the risk of death Dopo consenso informato, sono stati arruolati 28 pz obesi di sesso in this clinical setting. femminile in età media di 57.4 anni, tutti con evidenza ecocardiografica di ridotta funzionalità del ventricolo dx (FE media ≥48%), pressione arteriosa sistolica polmonare ≥30 mmHg, saturazione ematica di O2 ≤90% e pressione parziale di O2 arterioso ≤60 mmHg a riposo, o dopo stress o durante il sonno. Nessun paziente scelto per lo studio era fumatore o affetto da ipertensione arteriosa o cardiopatia ischemica, diabete mellito, gravi malattie polmonari o epatorenali. All’inizio e dopo 3-6 mesi dello studio sono stati eseguiti gli esami generali di laboratorio, ECG-12 derivazioni a riposo, Doppler 2D ecocardiogramma, Rx torace, test spirometrici, angiocardioscintigrafia radio-isotopica, test da sforzo su tappeto rotante con protocollo di Bruce e misurazione del consumo di O2 al picco dell’esercizio. Tutti i pazienti dopo adeguato washout farmacologico, sono stati randomizzati per uno studio aperto a gruppi paralleli della durata di 6 mesi ad uno dei seguenti gruppi di trattamento: 44S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER 1) E 10 mg/die+ R 750 mg x 2/die+ Eutirox 25 micrg/die + ossigenoterapia a lento flusso 18 ore/die (solo nelle prime 2 settimane dello studio); 2) E 10 mg/die + pentossifillina 600mg/die+ ossigenoterapia come per il gruppo 1. Alla fine dello studio i valori basali e quelli dopo 3-6 mesi di trattamento sono stati analizzati con test “t” di Student per dati appaiati. Un totale di 23 pazienti ha completato lo studio senza reazioni avverse. Dopo 6 mesi di trattamento, rispetto ai dati basali i valori di O2 emogasanalitici hanno mostrato in entrambi i gruppi un significativo miglioramento (p<0.05) ed anche significativa è risultata la riduzione della pressione sistolica polmonare (p<0.05). Solo il gruppo 1 ha evidenziato un significativo miglioramento (p<0.05) dei parametri ecografici di funzionalità ventricolare dx rispetto ai valori di partenza, e un aumentato consumo di O2 al picco massimo dell’esercizio (p<0.05). In conclusione, questo studio dimostra che in pazienti obesi di sesso femminile con DVD ed iniziale ipertensione arteriosa polmonare la somministrazione di E+R può a medio termine ridurre la DVD, migliorare la riserva cardio polmonare e ritardare l’evento dell’insufficienza cardiaca grave. P58 EFFICACIA TERAPEUTICA A BREVE TERMINE DELL’ASSOCIAZIONE LISINOPRIL PIÙ RANOLAZINE NEL PAZIENTE OBESO CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA ED INIZIALE DISFUNZIONE POLMONARE F. Olivieri, T. Cerciello, L.I. Siniscalchi, M. Caturano, A. Cioffi, R. Orlando, N. Siniscalchi Dipartimento di Geriatria, Gerontologia e Malattie del MetabolismoSUN Napoli, Ospedale Civile di Sarno (SA) Un’alterata capacità di diffusione polmonare (DLco) può essere presente in pazienti (pz) obesi con disfunzione ventricolare sinistra (DSV) e può peggiorare il test ergometrico. Questa complicazione a carico delle vie aeree è un marker di danno specifico mediato ed impone un veloce approccio terapeutico onde prevenire l’instaurarsi dell’insufficienza cardiaca cronica. L’inattivazione della bradichinina intrapolmonare ACE-dipendente e un sovraccarico intracellulare di Ca e Na mediato dall’attivazione dei recettori AT1 possono svolgere un ruolo centrale nel sostenere la disfunzione polmonare e precipitare l’insufficienza cardiaca cronica. Scopo dello studio è stato selezionare pz obesi ad alto rischio e dimostrare se l’associazione lisinopril (L) + ranolazine (R) possa migliorare la diffusione alveolare e il test ergometrico. Pz ambulatoriali di entrambi i sessi in numero di 26, in età media 62±3.2 anni con evidenza ecocardiografica di DSV ed alterata DLco furono arruolati dopo consenso informato in uno studio randomizzato in doppio cieco con un rapporto 1:1 a trattamento con L 10 mg/die + pentossifillina (P) 600 mg/die o L 10 mg/die + R 750 mg x 2/die, e sono stati studiati per 3 mesi. Nessun pz era fumatore, alcoolista, o affetto da ipertensione arteriosa, diabete mellito, patologie epatorenali e cardiache. Tutti i pz basalmente e dopo 4,8 e 12 settimane di trattamento sono stati valutati con esami ematochimici routinari: ECG - 12 derivazioni, ecocardiografia transtoracica-2D Doppler, Test da sforzo al treadmill con protocollo di Bruce e misurazione del consumo di O2 massimale, Rx torace, prove spirometriche a riposo, emogasanalisi arteriosa, valutazione di DLco. I confronti statistici tra valori basali e dopo terapia sono stati eseguiti mediante test “t” di Student per dati appaiati ed un valore di p<0.05 è stato considerato significativo. 22 pz hanno completato il protocollo stabilito. Alla fine dello studio in entrambi i gruppi si è evidenziato un miglioramento della funzione ventricolare sinistra misurata nei vari parametri. Solo il gruppo L+R ha evidenziato all’emogasanalisi un miglioramento significativo (p<0.05) delle pressioni parziali arteriose di O2, CO2 e della differenza artero venosa di O2. Sempre nel gruppo L+R si è potuto dimostrare un significativo miglioramento (p<0.05) della durata del test ergometrico e del consumo massimale di O2 dopo 12 settimane di trattamento insieme col significativo miglioramento (p<0.05) degli indici spirometrici e dei valori di DLco. I nostri risultati indicano che l’associazione L+R migliora a breve termine in pz obesi con DSV e alterata DLco, la riserva cardiopolmonare e può ritardare la morbilità e mortalità da insufficienza cardiaca cronica. P59 IL TEST DEI SEI MINUTI MANTIENE UN RUOLO DI RILIEVO NELLA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA DEL PAZIENTE ANZIANO CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO A.B. Scardovi1, R. De Maria2, A. Ferraironi1, L. Gatto3, T. Di Giacomo1, M. Renzi1, R. Ricci1 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Spirito, Roma, 2CNR Istituto di Fisiologia Clinica, Milano, 3Cardiologia, A.O. San Giovanni-Addolorata, Roma Premessa. La ridotta tolleranza allo sforzo è una delle caratteristiche principali dei pazienti (pz) affetti da scompenso cardiaco cronico (SC). In questi pz sia il test dei sei minuti o “six-minute walking test” (6MWT) che il test cardiopolmonare (CPX) sono in grado di delineare con precisione l’entità della compromissione funzionale. Tuttavia il 6MWT è di più semplice applicazione, non richiede attrezzatura dedicata come il CPX ed appare pertanto utilizzabile in tutti i centri che si occupano di SC. La maggior parte degli studi tuttavia ha utilizzato, ai fini prognostici, i parametri identificati dal CPX. Finora non è stato effettuato uno studio di confronto diretto tra i due test in una popolazione di pz anziani con SC. Scopo dello studio. Il nostro obiettivo è stato quello di confrontare il valore prognostico dei due test funzionali nella stratificazione prognostica di pz anziani affetti da SC. Metodi. Abbiamo valutato prospetticamente170 pz anziani con SC, in fase ambulatoriale e in condizioni di stabilità clinica e terapia ottimizzata attraverso uno studio completo clinico, di laboratorio e strumentale che comprendeva anche il 6MWT e il CPX. L’endpoint combinato era la morte o l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari. Resultati. L’età media dei pz era71±11 anni, il 28% erano donne, il 43% era affetto da SC ad eziologia ischemica, il 18% era in III classe funzionale NYHA, il 70% era in terapia con beta-bloccanti, il13% aveva una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro di grado avanzato. La media della frazione di eiezione ecocardiografica del ventricolo sinistro (FE) era 44±13%, la media del BNP era 358±482 pg /ml. La distanza media percorsa durante il 6MWT era 329±104 m. Al CPXil carico di lavoro medio raggiunto era71±11 watt, la media del consumo di ossigeno al picco dell’esercizio (PVO2) era 13.2±4 ml/kg/min, la media della pendenza della retta di regressione che correla la ventilazione con la produzione di CO2 (VE/VCO2 slope) era 34±7. In 79 pz (46%) veniva rilevato il respiro periodico durante esercizio. Durante un periodo di osservazione di 13 mesi, 18 pz sono deceduti per cause cardiovascolari e globalmente 51 pz hanno raggiunto l’endpoint combinato di decesso o ospedalizzazione per cause cardiovascolari. La distanza percorsa durante il 6MWT correlava con il PVO2 (r=0.47, p<0.0001). In un modello multivariato di Cox, gli unici predittori indipendenti dell’endpoint combinato erano la distanza media percorsa durante il 6MWT (HR 0.996, CI 95% 0.992-0.999), la FE (HR 0.962, CI 95% 0.938-0.985) e il PVO2 (HR 0.883, CI 95% 0.790-0.987). Conclusioni. Nei pz anziani con SC il 6MWT non rappresenta solamente unprimo approccio, semplice e affidabile per valutare la tolleranza allo sforzo ma detieneun valore prognostico indipendente rispetto al PVO2 rilevato durante CPX. Questa osservazione è molto importante poiché, a differenza del CPX, il 6MWT èmolto diffuso, è sicuro, economico, non richiede un addestramento prolungato del personale sanitario e certamente è molto più adatto ed effettuabile in un contesto di popolazione anziana. P60 EFFICACIA DELLA TERAPIA SOSTITUTIVA RENALE CONTINUA IN PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO RIACUTIZZATO E NELLA PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLA NEFROPATIA DA CONTRASTO: ESPERIENZA DI UNA SUBINTENSIVA CARDIOLOGICA Valentina Spini, Emanuele Cecchi, Salvatore Mario Romano, Marco Chiostri, Emma Gelera, Gian Franco Gensini, Cristina Giglioli Subintensiva Cardiologica Medico-Chirurgica, Dipartimento del Cuore e dei Vasi, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze Introduzione. Negli ultimi anni la terapia sostitutiva renale continua (CRRT) è divenuta sempre di più largo impiego nelle unità cardiologiche ad elevata assistenza grazie anche alla realizzazione di macchinari più semplici e più facilmente gestibili. Tali dispositivi consentono di eseguire dalla semplice rimozione di liquidi alla realizzazione di una vera e propria emodialisi. Le indicazioni più frequenti alla CCRT sono rappresentate dallo scompenso cardiaco riacutizzato (SCR) refrattario ai diuretici e dalla prevenzione/trattamento della nefropatia da contrasto (NDC). Scopo. Valutare l’impiego della CRRT in pazienti con SCR e nella prevenzione/trattamento della NDC in pazienti con insufficienza renale cronica (IRC). Metodi. La CRRT è stata impiegata presso la nostra Subintensiva Cardiologica in 100 pazienti (età media 72.2 anni), di cui 46 con SCR (gruppo A) e 31 con IRC da sottoporre a procedure con mezzo di contrasto (mdc) (gruppo B); del gruppo B, 15 sono stati sottoposti a CRRT prima e dopo il mdc e 16 solo dopo. In 23 pazienti la CRRT è stata impiegata per insufficienza renale acuta da altre cause. Il gruppo A è stato confrontato con un gruppo di 42 pazienti con SCR paragonabili per sesso, età e segni e sintomi di scompenso cardiaco trattati con diuretici endovenosi. Risultati. Il gruppo A mostrava dopo CRRT una riduzione significativa di segni e sintomi di scompenso, nonché dei rilievi radiografici di congestione polmonare e versamento pleurico rispetto al gruppo di pazienti con SCR trattati solo con diuretici. Nel gruppo B i pazienti trattati con CRRT prima e dopo mdc (CRRT pre-post) presentavano valori di creatininemia più elevati rispetto al gruppo di pazienti trattati solo dopo (CRRT post) (3.7±1.6 vs 2.7±1.7 mg/dl, rispettivamente; p=ns). Alla dimissione i valori di creatininemia risultavano 2.5±0.8 nel gruppo CRRT pre-post vs 2.5±1.2 mg/dl nel gruppo CRRT post, con riduzione significativa solo nel gruppo CRRT prepost. Durante il follow-up dei pazienti del gruppo B (durata mediana 14.7 mesi) la progressione dell’IRC è stata osservata in 3/15 pazienti (20%) nel gruppo CRRT pre-post e in 8/16 pazienti (50%) nel gruppo CRRT post. È stata inoltre osservata una maggiore mortalità nel gruppo CRRT post sia per tutte le cause (11 decessi vs 3 decessi nel gruppo CRRT pre-post) che per cause cardiache (4 decessi vs nessuno nel gruppo CRRT pre-post). Conclusioni. Questo studio dimostra la possibilità di eseguire la CRRT presso un reparto di Subintensiva Cardiologica e l’efficacia di questa metodica nei pazienti con SCR e nella prevenzione/trattamento della NDC. Nei pazienti con SCR la CRRT è in grado di determinare una significativa maggior riduzione dei segni e sintomi di scompenso e risoluzione del quadro radiografico di congestione polmonare e versamento pleurico rispetto alla sola terapia diuretica endovenosa. Nei pazienti con IRC sottoposti a procedure che richiedono l’impiego di mdc, la CRRT prima e dopo l’impiego di mdc è risultata associata con una minor progressione dell’insufficienza renale e mortalità cardiaca e per tutte le cause rispetto ai pazienti trattati con CRRT solo dopo mdc. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 45S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Scompenso cardiaco: meccanismi neuroumorali e cardio-oncologia P61 VALUTAZIONE BNP E TROPONINA IN PAZIENTI TALASSEMICI P. Giuliano1, L. Cuccia2, Z. Borsellino2, B. Palma3, M. Capra2, A. Stabile1 1 U.O. di Cardiologia, 2U.O.C. di Ematologia con Talassemia, 3Laboratorio Analisi, AORNAS Civico, Palermo I peptidi natriuretici atriali sono rilasciati principalmente in risposta all’incremento dei volumi cardiaci e all’aumento delle pressioni intraventricolari. Recenti studi prospettano possibili meccanismi “locali”, indipendenti dal sovraccarico di volume e pressione, capaci di provocare un incremento sensibile dei valori di BNP, ma al di sotto dei valori soglia per la diagnosi di scompenso cardiaco (>100 pg/ml). Sono stati pubblicati numerosi studi sulla cardiopatia ischemica e nel diabete che concludono suggerendo che per questa popolazione l’aumento del BNP è “un indice prognostico sfavorevole”. Le recenti linee guida sulla talassemia classifichino l’uso del BNP in classe IIb, livello di evidenza C. Alcuni autori hanno recentemente pubblicato un articolo sul valore predittivo del BNP nel rivelare una disfunzione diastolica latente. Nel nostro studio abbiamo dosato i valori di BNP e della troponina (nell’ipotesi di danno miocardico) in 50 pazienti talassemici confrontando i risultati con i valori di frazione d’eiezione e funzione diastolica (E/Em) valutati con ecocardiografia in tutti i pazienti e con RNM T2 Star in 35 pazienti. Abbiamo ritenuto il valore di BNP <20 normale per la classe di età presa in considerazione (nei soggetti normali di pari età i valori sono al di sotto di 10). Risultati. Tutti i pazienti avevano i valori della troponina normali: 10 pazienti con BNP ≤20, FE >60%; 34 pazienti con BNP ≥20 e ≤80, tutti con FE >60%; 6 pazienti con BNP >80, questi con FE <60% e cardiopatia nota o con aritmie atriali (flutter o fibrillazione atriale). Conclusioni. I livelli del BNP sono risultati fuori norma in un alta percentuale di pazienti (80%). Valori francamente patologici sono stati rilevati in pazienti con cardiopatia clinicamente nota. Un’ampia percentuale di pazienti (34/50, 68%) avevano valori fuori norma, oltre 20 meno di 80 pg/ml di BNP ma mantenevano una FE normale (>60%) e mostravano indici di funzione diastolica normale (E/Em <10). I meccanismi che spiegano questo rilievo possono essere molteplici: i valori di emoglobina della popolazione esaminata sono certamente inferiori a quelli di una popolazione normale, ma è possibile ipotizzare che il BNP possa essere un indice aspecifico di rischio in una popolazione che è destinata a sviluppare nel tempo cardiopatie. P62 RESISTIN IN ISCHEMIC HEART DISEASE AND HEART FAILURE: THE ROLE OF KIDNEY FUNCTION Samuele Baldasseroni1, Claudia Di Serio2, Francesco Orso1, Salvatore Scarantino1, Nadia Bartoli1, Andrea Josafat Marella1, P62 Alice Foschini1, Alessandra Pratesi1, Niccolò Marchionni2, RESISTIN IN ISCHEMIC HEART DISEASE AND HEART FAILURE: THE ROLE OF KIDNEY 2 Francesca Tarantini 1 Department of Heart and Vessels, Azienda Ospedaliera Careggi, Florence, 2Department of Critical Care Medicine and Surgery, University of Florence, Florence Objectives. Aim of this study was to evaluate resistin levels in patients with coronary artery disease (CAD) with or without chronic heart failure (HF), Objectives. in order to define its independent predictors. Methods. 107 outpatients with CAD were enrolled in the study and Methods. divided into three groups: CAD without left ventricular systolic dysfunction (Group 1); CAD with left ventricular dysfunction without heart failure symptoms (Group 2); CAD with overt heart failure (Group 3). Plasma resistin was determined by ELISA. Results. Resistin progressively increased from Group 1 (10.7±5.0 ng/ml) to Results. Group 2 (11.8±5.8 ng/ml) and 3 (17.0±6.8 ng/ml), with the difference reaching statistical significance in Group 3 versus 1 and 2 (p=0.001). A multivariable model of analysis demonstrated that the best predictor of plasma resistin level was the estimated glomerular filtration rate (p<0.001), indicating that reduction of kidney function was the main cause of the adipokine increase observed in patients with CAD and overt HF. Conclusions. Conclusions. Our data confirm the rise of resistin plasma levels previously described in patients affected by chronic HF; however, in our study, this relationship seemed to be mediated mainly by the level of kidney function, rather than the severity of ventricular dysfunction, per se. 46S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P63 IL PARATORMONE PLASMATICO È UN INDICATORE DI CONGESTIONE NELLO SCOMPENSO CARDIACO Giovanna Rodio1, Francesco Massari1, Fasianos Efstratios2, Angela Potenza1, Mariella Sanasi1, Vincenzo Nuzzolese1 1 Cardiologia-UTIC, 2Nefrologia, Altamura (BA) Background. Lo scompenso cardiaco (SC) è caratterizzato dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone con conseguente sovraccarico di fluidi, riduzione del calcio plasmatico e iperparatiroidismo secondario. Secondo tale meccanismo, è verosimile che la congestione nello SC sia associata ad un aumento del paratormone plasmatico. Scopo dello studio. È stato quello di valutare la concentrazione plasmatica del paratormone (PTH) come possibile biomarker di congestione nella SC. Materiale e metodo. Abbiamo valutato in 265 pazienti ricoverati per SC con età 75±11 anni, 142 maschi, 120 con scompenso cardiaco acuto, classe HYHA 2.8±0.8, FEVS 42±12%, creatininemia 1.2±0.6 mg/dl, BNP 1026±1269 pg/ml, (dati espressi come medie±SD). In tutti i pazienti, abbiamo determinato la concentrazione plasmatica del PTH e l’esistenza di congestione mediante la valutazione di segni clinici (edemi declivi o ortopnea), del BNP (>500 pg/ml; Architect-Abbott) e l’analisi corporea bioimpedenziometrica (Cardio-EFG, Akern, Firenze; BIAVECTOR per cutoff inferiore al 50° percentile del polo inferiore dell’ellissoide di confidenza). Risultati. Gli edemi erano presenti in 75 pz (28%), l’ortopnea in 73 (27%), 142 (53%) presentavano un BNP elevato e 96 (36%) risultavano congesti al BIAVECTOR. 171 pazienti (65%) presentavano almeno un parametro positivo per congestione. Il PTH era di 194±164 pg/ml nella popolazione totale ed è risultato significativamente elevato nel gruppo di pazienti con congestione clinica, ormonale e bioimpedenziometrica. Una concentrazione di PTH maggiore di 91 pg/ml ha presentato una sensibilità dell’83%, specificità del 57%, valore predittivo positivo del 75% e negativo del 65% (ROC AUC=0.75, 95% CI 0.7-0.8; p=0.0001) nel diagnosticare pazienti con almeno un segno o indice di congestione. La performance del PTH è risultata superiore alla clearance della cretinina (0.75 vs 0.63; p=0.0001). Conclusioni. Questo studio conferma l’ipotesi che l’aumentata produzione di paratormone si associa ad un sovraccarico di fluidi e il suo dosaggio può rappresentare un ulteriore strumento di valutazione della congestione nello scompenso cardiaco. P64 COMPARATIVE EVALUATION OF B-TYPE NATRIURETIC PEPTIDE AND MIDREGIONAL PRO-A-TYPE NATRIURETIC PEPTIDE CHANGES FROM ADMISSION TO DISCHARGE IN PROGNOSIS OF HOSPITALIZED PATIENTS FOR ACUTE HEART FAILURE Alessandra Buiatti1, Marco Merlo1, Elisabetta Stenner2, Giulia Barbati3, Marco Anzini1, Gaetano Morea1, Walter Zalukar4, Bruno Biasioli2, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, A.O.U. Ospedali Riuniti, Trieste, 2 Laboratory Medicine Department, A.O.U. Ospedali Riuniti, Trieste, FUNCTION 3 Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padua, 4Emergency Department, A.O.U. Ospedali Riuniti, Trieste Background. BNP changes (cBNP) during hospitalization are used for therapeutic monitoring and prognosis in patients (pts) admitted for acute heart failure (HF). Neverthless the wide intraindividual biological variability (CVi) of BNP, the analytical imprecision and the influence of other co-morbidity (i.e. renal failure) led to discordant results concerning the real clinical usefulness of cBNP. Mid-regional pro-A-type natriuretic peptide (MRproANP) was demonstrated to be non-inferior with respect to BNP for HF diagnosis and prognosis and could show a lower CVi. Consequently, we evaluated the hypothesis that MRproANP changes (cMRproANP) could be a more useful prognostic marker compared to cBNP. Methods. In this retrospective study we enrolled 44 consecutive pts hospitalized for acute HF (mean age 68±11 years, 75% males, LVEF: 36±15%, NYHA III-IV: 98%), and followed for a median follow up of 5 (range: 2-14) months. BNP (Access2-Beckman Coulter) and MRproANP (Kryptor-Dasit) paired data (admission-pre discharge) were obtained in all pts. ROC analysis was applied to evaluate prognostic accuracy of both markers. Results. HF aetiology was: ischemic heart disease (48%), primary cardiomyopathies (27%), ventricular dysfunction secondary to hypertension (16%), valve heart disease (29%). 26 (59%) pts had renal failure (MDRD <60 ml/min). In our study population 17 (39%) pts experienced cardiovascular death/heart transplantation/readmission for HF (D/HTx/HFAd), among them median cBNP and cMRproANP were -34 (-53;-10) and 1 (-13; 11) μg/L, respectively. Among event free pts (61%) median cBNP and cMRproANP were -55 (-71;-33) and -21 (-40;-4) μg/L, respectively. ROC curve analysis showed that the areas under curve were similar for cBNP (0.71; 95%CI 0.55-0.87) and cMRproANP (0.75; 95%CI 0.600.90). Conclusions. cMRproANP seems to be more stable if compared to cBNP, as suggested by the lower CV interquartile dispersion of MRproANP. Furthermore, in contrast with cBNP, cMRproANP seems to increase in patients with adverse outcome while shows a marked fall in event free patients. Thus, although the prognostic accuracy is similar, cMRproANP is probably easier to use in the clinical practice compared to cBNP. POSTER P65 ACUTE GLUCOSE DYSMETABOLISM IN ACUTE HEART FAILURE SYNDROMES WITHOUT PREVIOUSLY KNOWN DIABETES Claudio Picariello, Paola Attanà, Chiara Lazzeri, Serafina Valente, Marco Chiostri, Gian Franco Gensini Intensive Cardiac Coronary Unit, Heart and Vessel Department, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence Background. No data is so far available on the relation between glucose values and insulin resistance and mortality, both at short and long term, in patients with acute heart failure syndromes (AHF). Methods. We prospectively assessed in 100 consecutive non-diabetic AHF patients whether acute glucose metabolism, as indicated by fasting glycemia and insulin resistance (HOMA index) was able to affect short and long-term mortality. Results. In the overall population, 51 patients showed admission glucose values >140 mg/dl. No significant difference was observed in admission and peak glycemia, insulin and C-peptide values and in HOMA-index between dead and survived patients. At multivariate logistic backward stepwise analysis the following variables were independent predictors for in-ICCU mortality (when adjusted for LVEF): fibrinogen (1 mg/dl increase) [OR (95% CI) 0.991 (0.984 to 0.997); p=0.004]; NT-proBNP (100 UI increase) [OR (95% CI) 1.005 (1.002 to 1.009); p=0.004]; leukocytes count (1000/μl increase) [OR (95% CI) 1.252 (1.070 to 1.464); p=0.005]. Estimated glomerular filtrate rate (eGFR) was independently correlated with longterm mortality (HR 0.96 (95% CI) 0.94 to 0.98, p<0.001]. Conclusions. In consecutive patients with acute heart failure without previously known diabetes, we documented, for the first time, that acute glucose dysmetabolism (as indicated by fasting glucose and insulin values and insulin resistance) is not able to affect mortality at short and long terms. Inflammatory activation (as indicated by leukocytes count and fibrinogen) and NT-pro BNP were independent predictors for early death while eGFR was able to affect long term mortality. evidenzia una forte correlazione tra acido urico e parametri ecocardiografici di disfunzione diastolica, pertanto scopo del nostro lavoro è quello di valutare se l’inibizione della xantina ossidasi con allopurinolo, alla luce di queste osservazioni, possa produrre un miglioramento delle proprietà diastoliche del miocardio. Metodi. Sono stati arruolati 53 pazienti con scompenso cardiaco secondario a cardiomiopatia dilatativa in condizioni cliniche stabili (età media 66.1±10.3; frazione di eiezione 34±8%) e randomizzati in doppio cieco ad allopurinolo 300 mg/die (A, n=26), o placebo (P, n=27) per 3 mesi. I pazienti sono stati sottoposti ad un esame ecocardiografico completo, esame obiettivo e prelievo per ematochimici e per la determinazione dei livelli sierici di NT-proBNP all’inizio ed al termine del periodo di trattamento. Risultati. All’inizio dello studio le caratteristiche cliniche ed ecocardiografiche non differivano nei 2 gruppi di pazienti. Al termine del trimestre di trattamento è stata riscontrata una riduzione significativa della velocità dell’onda E mitralica nel gruppo A (0.70±0.23 vs 0.58±0.23, p=0.01) ma non nel gruppo P (0.62±0.34 vs 0.62±0.35, p=0.98); il rapporto E/E’ è migliorato nel gruppo A (15.9±12.7 vs 10.6±6.6, p=0.03), mentre è rimasto stabile nel gruppo P (9.7±5.2 vs 9.9±5.8, p=0.63). I livelli sierici di NT-proBNP si sono ridotti nel gruppo A (1864±2935 vs 1376±2152, p=0.01), mentre non si sono modificati nel gruppo P (1157±1368 vs 1111±1350, p=0.72). Si è inoltre evidenziata una correlazione statisticamente significativa tra variazioni di E/E’ e concentrazioni di NT-proBNP (p=0.002, r=0.54) ed una relazione borderline tra variazioni di uricemia e variazioni di NT-proBNP (p=0.053, r=0.30). Conclusioni. In pazienti con scompenso cardiaco secondario a cardiomiopatia dilatativa il trattamento con allopurinolo apporta un beneficio significativo sulla funzione diastolica ventricolare ed il suo utilizzo correla con una riduzione statisticamente significativa del NTproBNP. P68 P66 L’IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO NELLO SCOMPENSO CARDIACO DI GRADO MEDIO-SEVERO DA DISFUNZIONE SISTOLICA Giovanna Rodio, Francesco Massari, Angela Potenza, Raffaella Landriscina, Nicola Laterza, Cosimo Cardano, Vincenzo Nuzzolese Cardiologia-UTIC, Ospedale Umberto I, Altamura (BA) Introduzione. Nell’insufficienza cardiaca cronica la perdita di calcio legata all’iperaldosteronismo ed all’utilizzo di diuretici può determinare un iperparatiroidismo compensatorio ritenuto responsabile dell’elevata morbilità per fratture spontanee. Scopo. Ci è sembrato pertanto interessante studiare il comportamento del paratormone nello scompenso cardiaco e di correlarlo con quello del BNP, indice riconosciuto di gravità dello stesso, ancorché indirizzato alla correzione delle conseguenze del disordine neuroormonale che ne caratterizza la patogenesi. Abbiamo valutato in un gruppo di pazienti con scompenso cardiaco cronico di grado medio severo da disfunzione sistolica i valori sierici del paratormone sia al momento del ricovero che alla dimissione e li abbiamo confrontati con i valori del BNP. Metodo. Abbiamo arruolato 80 casi di scompenso cardiaco in III-IV classe NYHA, datante da almeno 4 settimane, con cardiopatie di diversa eziologia, FE <50% (valore medio 35%), funzionalità renale integra o poco compromessa, 41 di sesso maschile, 39 di sesso femminile, età media 64.6 anni; la degenza media è stata di 9 giorni; sono stati presi in considerazione i valori del paratormone sierico e del BNP all’ingresso ed al momento della dimissione o trasferimento in reparto di riabilitazione. Risultati. I valori del paratormone hanno superato in tutti i casi il valore di 65 pg/ml; il valore medio all’ingresso è risultato di 238.4 pg/ml ed alla dimissione di 188.26 pg/ml, con un decremento del 21.04%. Il valore medio del BNP all’ingresso è risultato di 1301.9 pg/ml ed alla dimissione di 869.4 pg/ml, con un decremento del 33.23%. Conclusioni. I livelli sierici del paratormone sono risultati particolarmente elevati in tutti i casi di scompenso cardiaco cronico di grado medio o severo da disfunzione sistolica. Tali valori si sono ridotti con il miglioramento del quadro clinico, con un decremento percentuale inferiore però a quello del BNP. La risposta a questo diverso comportamento tra BNP e paratormone va probabilmente ricercato nella consistente perdita di calcio nelle urine come conseguenza delle elevate dosi di furosemide che ha rallentato la discesa dei livelli di paratormone. Studi successivi potranno dimostrare se, come per il BNP, valori elevati di paratormone implicano un aumento delle recidive e della mortalità per scompenso. P67 L’ALLOPURINOLO RIDUCE IL LIVELLI PLASMATICI DI NT-proBNP E MIGLIORA LA FUNZIONE DIASTOLICA VENTRICOLARE SINISTRA IN PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO Corinna Bergamini, Mariantonietta Cicoira, Andrea Rossi, Daiana Cassater, Luisa Zanolla, Corrado Vassanelli Divisione Clinicizzata di Cardiologia, Dipartimento di Medicina, Università degli Studi, Verona Introduzione. In pazienti con scompenso cardiaco cronico le concentrazioni sieriche di acido urico sono frequentemente elevate e l’iperuricemia riflette un’alterazione del metabolismo ossidativo ed iperattivazione dell’enzima xantina ossidasi. Uno studio clinico recente PREDITTIVITÀ A LUNGO TERMINE DELLE VARIAZIONI DI BRAIN NATRIURETIC PEPTIDE PLASMATICO (NT-proBNP) DOPO TERAPIA DI UNLOADING CON NITROPRUSSIATO SODICO IN PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO AVANZATO Pierluigi Sbarra, Chiara Calcagnile, Luca Checco, Costanza Grasso, Marina Iacovino, Matteo Marchetti, Antonella Fava, Tullio Usmiani, Sebastiano Marra Cardiologia 2, Ospedale Molinette, Torino Scopo dello studio. Nell’ambito dei pazienti (pz) affetti da scompenso cardiaco cronico (SCC) avanzato è necessaria la ricerca di nuovi fattori predittivi che possano contribuire ad una stratificazione prognostica per poter identificare i soggetti con peggiore prognosi e a maggior rischio a breve e a lungo termine. Nella nostra casistica abbiamo analizzato il valore prognostico, a lungo termine, delle variazioni del NT-proBNP dopo l’esecuzione di un ciclo di unloading con nitroprussiato sodico (NaNTP) in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico avanzato con stima indiretta di elevate pressioni di riempimento ventricolare sinistro. Metodo. Sono stati arruolati 75 pz consecutivi (55 uomini, con età media di 64±3.17 anni) affetti da SCC avanzato a genesi ischemica in 52 pz (69%) e a genesi dilatativa primitiva in 13 pz (17%); 55 in classe NYHA III, 20 in NYHA IV. I pz sono stati sottoposti a terapia di unloading con NaNTP (verifica modificabilità pattern emodinamico), in assenza di altra terapia e.v. associata, per 6 cicli notturni (di 12 ore) alla massima dose tollerata (dose di partenza di 0.25 gamma/kg/min). In tutti i pz si è misurato il dosaggio plasmatico del NT-proBNP, pre e post ciclo di unloading. I pz sono poi stati rivalutati ambulatorialmente ad una distanza media dal ricovero di 1095.4±37.8 giorni. In base alle variazioni del NT-proBNP, la popolazione è stata suddivisa in 2 gruppi (Gr): Gr “responder” (A) con decremento del livello plasmatico di pro-BNP ≥20% e Gr “no responder” (B) con decremento di NT-proBNP <20%. L’endpoint primario corrispondeva agli eventi cumulativi (valutati a 3 anni): morte, recidiva di scompenso cardiaco acuto e riospedalizzazione per scompenso. Risultati. Dati ecocardiografici al momento del ricovero: frazione di eiezione 28.2±6.5%; E/Ea 17.5±2.8%. I livelli plasmatici medi di NT-proBNP (pre e post-ciclo) erano pari a: 9828.34±8462.26 pg/ml e 7085.27±5856.31 pg/ml. Analisi degli eventi (morte, recidiva di scompenso acuto e reospedalizzazione per scompenso) per gruppi (gruppo A “responder” e gruppo B “no responder”): gruppo A di 42 pz con 13 eventi (30%); gruppo B di 33 pz con 17 eventi (52%); la differenza tra i due gruppi era statisticamente significativa (p=0.0005). Conclusioni. Nell’ambito dei paziente affetti da scompenso cardiaco cronico avanzato con stima indiretta di elevate pressioni di riempimento ventricolare sinistro, sottoposti a ciclo di unloading con NaNTP, il decremento del 20% dei valori di NT-proBNP (rispetto al basale) identifica un gruppo di paziente con prognosi migliore a lungo termine (circa 3 anni). P69 STATO DI IDRATAZIONE MISURATO CON IMPEDENZA IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA CARDIACA. CORRELAZIONI CON ALTRI PARAMETRI Stefano Baracchi, Silvia Ottochian, Pierluigi Tenderini Divisione di Cardiologia, Ospedale Civile SS. Giovanni e Paolo, Venezia Metodo. Abbiamo misurato, con un apparecchio portatile Cardio-EFG, il contenuto idrico corporeo con l’impedenza (le due grandezze sono G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 47S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P69 STATO DI IDRATAZIONE MISURATO CON IMPEDENZA IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA CARDIACA. P69 CORRELAZIONI CON ALTRI PARAMETRI STATO DI IDRATAZIONE MISURATO CON IMPEDENZA IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA CARDIACA. CORRELAZIONIcorrelate) CON ALTRIinPARAMETRI in myocardial strain at both 7 and 14 days: 48±2% and 24±4%, inversamente 65 pazienti seguiti dal nostro ambulatorio per respectively, vs 61±0.3%, both p<0.02 vs sham. This early LV dysfunction lo scompenso cardiaco. L’informazione è utile per seguire l’andamento Metodo. detected with ST was paralleled by an increase in collagen content: clinico e per stabilire l’efficacia della terapia diuretica e la necessità di Metodo. 5±0.4% at 14 days vs 3±0.3% (sham; p=0.005). modificarne i dosaggi. Conclusions. Myocardial strain identifies LV systolic dysfunction earlier I valori di riferimento sono: contenuto idrico normale 73.3% (da 72.7 a P69 than conventional echocardiography, and parallels histological changes 74.3); disidratazione lieve da 72.6 a 71%, moderata da 70.9 a 69%, grave STATO DI IDRATAZIONE MISURATO CON IMPEDENZA IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA CARDIACA. earlier than FS. Still, the clear mechanisms of anti ErbB2-induced sotto 69%; iperidratazione lieve da 74.4 a 81%, moderata da 81.1 a 87%, CORRELAZIONI CON ALTRI PARAMETRI cardiotoxicity are to be elucidated. We plan to study such mechanisms, grave oltre 87%. and to apply ST technique in clinical practice, in order to evaluate the Caratteristiche della popolazione. 65 pazienti ambulatoriali, età media Metodo. impact of early identification of L-related cardiotoxicity in the treatment 74.1 anni, il 77% maschi, il 46% affetto da cardiomiopatia dilatativa Caratteristiche della popolazione. Caratteristiche della popolazione. of women affected by breast cancer. idiopatica, il 34% ischemica, il 20% da altre cardiopatie (ipertensiva, valvolare). Tabella Tabella1.1. Tabella 1. Medie dei valori rilevati nella popolazione studiata. Parametro Valore medio P71 % di FC PAS SaO2 NYHA FE IM BNP Creat VFG Peso 75.5% 68.2 132 97.2% 2.17 39.9 1.7+ 611 1.42 58.5 81.9 Caratteristiche della popolazione. acqua FC, frequenza cardiaca; PAS, pressione arteriosa sistolica; - SaO2, saturazione arteriosa Tabella 1. di ossigeno; FE, frazione di eiezione; IM, insufficienza mitralica in +/4; Creat, creatinina; VFG, volume del filtrato glomerulare in ml/min con la formula di Cockroft. Tabella 2. Tabella 2. Tabella 2. Terapia farmacologica assunta. Pz che assumono dose media/die Tabella 2. Betabloccante 94% 3.9 mg ACE-inibitore 80% 6.35 mg Diuretico 89% 77.5 mg Antialdosteronico 54% 30.9 mg Per i betabloccanti la dose è riferita al bisoprololo, per gli ACE-inibitori al ramipril, per ilStudio. diuretico alla furosemide. Studio. Studio. Ci attendevamo una correlazione diretta tra il contenuto idrico e Tabella 3. la classe NYHA, il BNP, la dose di diuretico e inversa con la saturazione di Studio. OTabella 3. con la VFG. 2 e forse 0.04 0.03 Tabella 3. 3. Risultati di correlazione tra contenuto idrico ed altri parametri. Tabella Pearson r= Pearson p= Spearman r= Spearman p= Età 0.06 >0.5 Peso 0.09 0.50 0.20 0.11 FC 0.16 0.20 0.01 0.96 0.05 PAS 0.13 0.40 0.24 0 .05 NYHA 0.07 >0.50 0.05 SaO2 -0.27 0 .04 -0.18 0.15 FE 0.04 BNP* 0.01 0.39 >0.5 0 .03 0.36 0.04 BB -0.20 0.10 -0.16 0.21 ACEi 0.03 0.02 >0.5 Diur 0.20 0.10 0.17 0.17 AntiA -0.11 0.45 -0.06 0.61 Le abbreviazioni sono le stesse usate nella tabella 1. Conclusioni. La correlazione è calcolata con il coefficiente di Pearson e con quello di Spearman. *Il campione della correlazione con il BNP è di 32 soggetti anziché 65 come negli altri casi. Conclusioni. Conclusioni. Conclusioni. L’elevato contenuto idrico significa instabilità clinica e suggerisce di adeguare la terapia, in particolare di aumentare la dose del diuretico. Il BNP ha un significato diverso e tuttavia è anch’esso un parametro che aumenta insieme con la ritenzione idrica. È quindi atteso che vi sia una correlazione diretta, significativa seppure non stretta, tra contenuto idrico e BNP. Ai limiti della significatività sono le correlazioni del contenuto idrico con la pressione arteriosa e, inversamente, con la saturazione di O2, quest’ultima più attesa della prima. Non significative, tuttavia da definire su una popolazione più numerosa, sono la correlazione diretta con il peso, con la dose di diuretico e soprattutto quella inversa con la dose di betabloccante. Quest’ultima è inattesa e interessante dal punto di vista fisiopatologico, se dovesse essere confermata su campioni più numerosi. Sono invece lontane dalla significatività le correlazioni con gli altri parametri. EARLY IDENTIFICATION OF LEFT VENTRICULAR DYSFUNCTION WITH SPECKLE TRACKING ECHOCARDIOGRAPHY IN ANTINEOPLASTIC THERAPYINDUCED CARDIOTOXICITY Carmela Coppola1, Carlo Gabriele Tocchetti1, Gianluca Ragone1, Antonio Barbieri1, Domenica Rea1, Giuseppe Palma1, Marianna Gala1, Antonio Luciano1, Elisa Di Pietro2, Antonio Rapacciuolo2, Claudio Arra1, Claudia De Lorenzo2, Rosario Vincenzo Iaffaioli1, Nicola Maurea1 1 Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale, Napoli, 2Università degli Studi “Federico II”, Napoli Background. New anti-ErbB2 therapies have improved the prognosis of patients with breast cancer, but are associated with an increased risk of left ventricular (LV) dysfunction. Trastuzumab (T) can increase by 3-18% the frequency of asymptomatic decrease in LV ejection fraction (LVEF), and by 2-4% the risk of heart failure (HF). Opposite to the well known anthracyclin-induced cardiotoxicity, these conditions are reversible, in absence of apparent ultrastructural changes. Indexes of cardiac function such as fractional shortening (FS) and EF are not very sensitive in detecting early myocardial damage. Aim of this study is to evaluate whether myocardial strain by speckle tracking (ST) is able to identify early LV dysfunction in mice treated with doxorubicin (D) and T, alone or in combination (D+T). Methods. We measured radial myocardial strain (%) with ST, and FS by Mmode echocardiography in sedated C57BL/6 mice (8-10 wk. old) at day 0, and after 2 and 6 days of daily administration of D (2.17 μg/g/day), T (2.25 μg/g/day), D+T (2.17 μg/g/day+2.25 μg/g/day respectively), and in a control group. Results. FS was able to identify early (2 days) LV dysfunction only in group D and D+T: 52±0.2% and 49±2%, respectively, both p<0.001 vs 60±0.4% (sham), while in group T it decreased only at 6 days (49±1.5 vs 60±0.5%, p=0.002). In contrast, after 2 days, myocardial strain was already reduced not only in D and D+T, but also in T alone: 43±3%, 49±1%, and 44±7%, respectively, all p<0.05 vs sham (66±0.6%). Conclusions. In mice treated with D or T, myocardial strain identifies LV systolic dysfunction earlier than conventional echocardiography. We plan to apply this technique to clinical studies, to evaluate the impact of early identification of T-related cardiotoxicity in the treatment of women affected by breast cancer, and to better elucidate the mechanisms of T myocardial effects. Fibrillazione atriale P72 VARIAZIONI CIRCADIANE, SETTIMANALI E STAGIONALI NELL’INSORGENZA DI FIBRILLAZIONE ACUTA SINTOMATICA: STUDIO SU 56 PAZIENTI Saverio Lavanga, Daniele Nassiacos P70 U.O. di Cardiologia, Ospedale di Saronno, A.O. di Busto Arsizio (VA) Fibrillazione atriale SPECKLE TRACKING ECHOCARDIOGRAPHY IDENTIFIES CARDIAC Per valutare se vi fossero variazioni circadiane e/o settimanali e/o DYSFUNCTION INDUCED BY THE ANTICANCER ErbB2-BLOCKER LAPATINIB P72 stagionali nella insorgenza di fibrillazione atriale (FA) acuta (<48 ore di Carlo Gabriele Tocchetti1, Carmela Coppola1, Gianluca Ragone1, 1 VARIAZIONI CIRCADIANE, SETTIMANALI E pazienti STAGIONALI NELL’INSORGENZA FIBRILLAZIONE durata), abbiamo studiato 56 consecutivi con tale DI aritmia, Maria Gaia Monti2, Antonio Barbieri1, Domenica Rea1, Giuseppe Palma , SINTOMATICA: SU 56 randomizzato PAZIENTI arruolati inSTUDIO uno studio in corso, approvato dal nostro Marianna Gala1, Antonio Luciano1, Antonio Cittadini2, Claudio Arra1ACUTA , comitato etico e iniziato il 20/2/2007. Claudia De Lorenzo2, Rosario Vincenzo Iaffaioli1, Nicola Maurea1 1 Metodo. Dal database dello studio dal titolo “Boli e.v. ripetuti di flecainide Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale, Napoli, 2Università degli per l’interruzione della fibrillazione atriale acuta: studio randomizzato Studi “Federico II”, Napoli per regime di trattamento in singolo cieco”, abbiamo rilevato l’ora, il Background. Anti-ErbB2 therapies have improved the prognosis of giorno della settimana e la data dell’insorgenza dell’aritmia. Tali valori patients with breast cancer. Still, they are associated with an increased sono stati suddivisi in 4 fasce orarie (dalle ore 0:01 alle 6:00, dalle ore 6:01 risk of left ventricular (LV) dysfunction. Trastuzumab (Herceptin) Metodo. alle 12:00, dalle ore 12:01 alle 18:00 e dalle ore 18:01 alle ore 0:00), in increases the frequency of asymptomatic decrease in LV ejection fraction sette giorni (da Lunedì a Domenica) e in 4 stagioni (Inverno dal 22 (LVEF) by 3-18%, and the risk of heart failure (HF) by 2-4%. The newer Dicembre al 20 Marzo, Primavera dal 21 Marzo al 20 Giugno, Estate dal 21 agent Lapatinib (L) is associated with a lower risk of LV dysfunction. Giugno al 21 Settembre e Autunno dal 22 Settembre al 21 Dicembre). Traditional indexes of cardiac function in vivo (fractional shortening and Risultati. Il numero di eventi in base all’ora è risultato come segue: 0:01ejection fraction) may underestimate subtle changes that occur with L. 6:00 23 eventi, 6:01-12:00 15 eventi, 12:01-18:00 11 eventi e 18:00Here, we test whether early sensitive indices of LV dysfunction can reveal L-induced cardiotoxicity. Risultati. 0:00 7 eventi. Il numero di eventi in base al giorno della settimana è risultato come Methods. In vivo cardiac function was measured with LV fractional segue: shortening (FS) by M-mode echocardiography, and with radial myocardial strain (%) with speckle tracking (ST) in sedated C57BL/6 mice (8-10 wk old) Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì Sabato Domenica Totale after 7 and 14 days of daily administration of 25 or 100 mg of L, and in 2007 0 3 2 2 2 4 4 17 control mice. After the echo studies, the hearts were excised and 2008 2 4 3 4 2 4 2 21 interstitial fibrosis was evaluated with picrosirius red staining. 2009 3 1 2 0 1 4 1 12 Results. After 7 and 14 days of treatment, L 25 mg did not affect FS nor 2010 1 0 2 2 0 0 1 6 strain, while with 100 mg of L, FS decrease was almost significant at 7 Totale 6 8 9 8 5 12 8 56 and 14 days (53±5% and 52±5% vs 60±1%; p=0.08 and 0.07 vs sham, Media±DS 1,5±1,3 2±1,8 2,3±0,5 2±1,6 1,3±1 3±2 2±1,4 respectively). Most of all, with 100 mg of L there was a clear reduction 48S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 sioni. POSTER P75 Il numero di eventi in base alle stagioni è risultato come segue: P75 Anno 2007 Anno 2008 Anno 2009 Anno 2010 Totale Media ±DS Inverno 1 4 2 2 9 2,3±1,3 Primavera 7 7 6 0 20 5± 3,4 Estate 2 5 0 0 7 1,8 ±2,4 PATIENTS WITH LONE ATRIAL FIBRILLATION IN OUTPATIENT CARDIOLOGICAL Autunno CHARACTERISTICS CLINICS. DESCRIPTION OF POPULATION IN PATIENTSTotale WITH LONE ATRIAL FIBRILLATION OUTPATIENT CARDIOLOGICAL 1 7 17 Antonio Di Chiara , Andrea Di Lenarda2, Laura Massa2, Monica Bonin1, DESCRIPTION OF POPULATION CHARACTERISTICS 5 21 Lucia Solinas1, Francesca Pezzetta1, Maria Antonietta Iacono3, 4 12 Grazia Fazio3, Carmine Mazzone2, Gianfranco Sinagra4, Laura Massa4 1 4 6 Cardiologia, Ospedale S. Giovanni Abate, Tolmezzo, 2Centro 20 56 Cardiovascolare, ASS 1, Trieste, 3U.F. Cardiologia, Ospedale San Michele, 5±1,4 Gemona, 4Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Trieste Il tempo medio al ripristino del ritmo sinusale è risultato 6.8±4.7 min Background. dall’inizio del trattamento. L’RR medio prima del trattamento era 525±106 msec. L’età media era 64.7±12 anni. La cardiopatia associata era rispettivamente ipertensiva in 18, valvolare in 17, altre in 2 e assente in 19 pazienti. Trentacinque pazienti erano maschi e 21 erano donne. La durata media dell’aritmia, al momento del trattamento, era 11.4±7.9 ore. La razza erano tutti caucasici (54 italiani, un albanese e un arabo). Conclusioni. Questi dati suggeriscono che, l’insorgenza di FA acuta presenta una variazione circadiana con un picco nelle prime Methods. ore della giornata (h 0:01-6:00), un trend di variazione settimanale con picco al sabato e una variazione stagionale con un picco in primavera e uno in autunno. . P73 DIFFERENT RECURRENCE PATTERN OF ATRIAL FIBRILLATION IN PATIENTS Results. WITHOUT ANY STRUCTURAL CARDIOMYOPATHY Marco Marchesini, Simona Masiero, Maria Chiara Basile, Maria Vittoria Matassini, Michela Brambatti, Jenny Ricciotti, Ilaria Mazzanti, Alessandro Marinelli, Sara Franchini, Federico Guerra, Alessandro Capucci Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona Background. Lone atrial fibrillation (AF) is defined by the absence of cardiopulmonary disease: Lone patients (L) are young and clinically similar to hypertensive (H) of comparable age, when hypertensive cardiomyopathy is not developed yet. Although absence of structural cardiac alteration is a mainstay of these populations, in literature they show an important tendency to recurrence after successful cardioversion (CV). We purpose to define recurrence pattern and to evaluate possible differences between the two groups. Methods. 24 consecutive pts with paroxysmal/persistent AF and age ≤65 years, without any evidence of cardiopulmonary disease, with or without hypertension were enrolled. At echo we excluded a hypertensive cardiomyopathy (intraventricular septum >14 mm, E/A <1). Comprehensive assessment was done during AF (T0), 24 hours after CV (T1), 1 month (T2), and 6 months (T3) later. At baseline we assessed general features, AF history, past and actual prophylactic therapies, common ECG and echo parameters, and biochemical markers such as BNP, renin and aldosterone. At follow-up visits we repeated ECG and echo evaluation and record presence of symptomatic recurrence. Results. Hypertensive and Lone pts did not differ at baseline, except for hypertensive treatment with ACEi-ARBs (H 81,25%, L 0%, p=0.009), but Conclusions. according to recent trials this difference is not expected to change AF natural history, so we assumed that the two populations were comparable. Lone patients showed globally more recurrences than hypertensive. In particular most of these recurrences were early, within 1 month (L=63,15% H=11,7% p=0.02), while the few recurrences among hypertensive pts were late, from 1 to 6 months (L=68,40% H=29,40% p=0.022). Conclusions. Contrary to what we expected, Lone and hypertensive pts differed in recurrence rate after CV. In particular Lone patients presented a high tendency to early recurrence. P74 DIFFERENZE DELL’EPIDEMIOLOGIA E DELLA GESTIONE DELLA FIBRILLAZIONE E DEL FLUTTER ATRIALE DI NUOVA INSORGENZA IN 10 ANNI Roberto Cemin, Massimiliano Manfrin, Werner Rauhe Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Regionale San Maurizio, Bolzano Premessa ed obiettivo dello studio. La fibrillazione atriale (FA) e il flutter atriale (FlA) sono le aritmie di più comune riscontro nella pratica clinica quotidiana. Scopo del nostro studio è stato verificare le differenze negli ultimi 10 anni dell’incidenza e del trattamento di FA e FlA in pronto soccorso (PS). Metodi. Dal 17 gennaio al 15 febbraio del 2000 e dal 18 gennaio al 16 febbraio 2010 sono stati inclusi nello studio tutti i pazienti consecutivi che si sono recati nel PS del nostro ospedale per FA o FlA. Oltre ad i dati epidemiologici sono state raccolte informazioni sul trattamento, sui ricoveri nei reparti ospedalieri, sui giorni di degenza e sulla terapia. I dati del 2000 sono poi stati confrontati con quelli raccolti nel 2010. Risultati. L’incidenza del FA e del FlA sono aumentate in 10 anni (50%), i pazienti sono più anziani (73.5 vs 65.2 anni; p=0.029) e si recano più tardivamente in PS (45.6% nel 2010 e 23.7% nel 2000 si sono recati in PS più di 48 ore dopo l’insorgenza dell’aritmia; p=0.054). Nel 2010, così come nel 2000, solo una minoranza dei pazienti sono stati dimessi direttamente dal PS (15.8 vs 14.4%), mentre si è registrato un aumento in percentuale dei ricoveri per FA e FlA comparati al totale dei ricoveri in ospedale. La durata media della degenza è scesa da 6 giorni nel 2000 a 4,5 giorni nel 2010 (p=NS). Conclusioni. FA e FlA sono in continuo aumento come incidenza e ricoprono una grossa percentuale dei ricoveri in ospedale effettuati dal PS. Di conseguenza i costi sono in continuo aumento. Background. Lone atrial fibrillation (LAF) is a growing health problem, due to its high prevalence in elderly patients in which it accounts for a relevant number of severe stroke. Cardioembolic stroke prevention with oral anticoagulation (OAC) is well codified by guidelines, according to the level of risk score (CHADS score). The characterization of patients in term of demographics, risk factors for stroke, left ventricular function and drug treatment are not well known in patients referred to cardiological outpatient clinic. Methods. ANMCO Friuli-Venezia Giulia has implemented since year 2003 an E-data chart for outpatients clinic (Cardionet-Insiel, Trieste), based on a codified cardiological dictionary shared at regional level. Clinical data are collected to the regional cardiological Data Warehouse for research purposes. At present, three Cardiology Centers of Friuli-Venezia Giulia (North-East Italy) participate to a Cardiovascular Registry. Results. From January 1st, 2010 to December 31, 2010, AF were diagnosed (both first diagnosis or confirmed at follow-up) in 2644 pts. Among these, 1677 were excluded due to the presence of relevant cardiac disease (valvular heart disease, previous DVT or PE, cardiomyopathies, etc.). LAF (paroxysmal, persistent or permanent) was the diagnosed in 967 patients (513 m, 454 f). Mean age was 73 for males and 74 for females. Relative frequencies of CHADS score classes and age (years) were: score-0 11% (66), score-1 31% (72), score-2 36% (78), score-3 17% (79), score-4 4% (81), score-5 1% (77), score-6 0% (80). Mean ejection fraction was 57% (min 20%, max 82%). The frequency CHADS score components is shown in the table. Hypertension, age and congestive heart failure are the most frequent up to score=3. Only in score 4 and 5, diabetes and previous stroke increase their relative weight. The frequency of most relevant drugs is: oral anticoagulant 49%, ASA 34%, ACE inhibitor 54%, ATII blocker 27%, beta-blocker 56%, digoxin 66%, nondihydropyridine calcium blocker 4%. Conclusions. In patients with LAF and low CHADS score referring to regional cardiological outpatients clinics, hypertension is highly represented. Forty percent of pts have either no risk factors or age ≥75 years. Clinical performance evaluation may be useful to plan specific interventions and track changes over time for continuous quality improvement of patient care. P76 VENTRICULAR RATE PROFILES DURING ATRIAL FIBRILLATION IN HEART FAILURE PATIENTS Alessandro Proclemer1, Maurizio Lunati2, Maurizio Gasparini3, Maurizio Landolina4, Gabriele Lonardi5, Gianluca Botto6, Luigi Padeletti7, Massimo Santini8, Renato Ricci8, Paola Di Stefano9, Andrea Grammatico9, Giuseppe Boriani10 1 S. Maria della Misericordia Hospital, Udine, 2Institute of Cardiology, Ca’ Granda-Niguarda Hospital, Milano, 3IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI), 4Fondazione Policlinico S. Matteo, Pavia, 5 Mater Salutis Hospital, Legnago (VR), 6S. Anna Hospital, Como, 7Careggi Hospital, Firenze, 8San Filippo Neri Hospital, Roma, 9Medtronic Italia, Roma, 10Institute of Cardiology, University of Bologna and Azienda Ospedaliera S. Orsola-Malpighi, Bologna Introduction. Atrial fibrillation (AF) is a frequent comorbidity in patients with heart failure (HF). We aimed to evaluate the association between different profiles of AF and uncontrolled ventricular rate (VR) in a population of HF patients who need continuous biventricular pacing to achieve cardiac resynchronization therapy (CRT). Methods. All 1404 patients had HF, NYHA ≥II, LVEF ≤35% and QRS complex ≥120 ms and received a CRT implantable defibrillator (CRT-D). AF occurrence and VR during AF were estimated from device data. Results. In a median follow-up of 18 months, AF was detected in 443/1404 (32%) patients. The mean VR during AF, calculated as the average of each patient mean VR, was 86±10 bpm; while the maximum VR during AF, calculated as the average of each patient maximum VR, was 115±15bpm. Patients were classified according to 5 AF profiles; 115 patients had an AF duration comprised between 10 minutes and 6 hours, 70 patients between 6 hours and 1 day, 57 patients between 1 day and 7 days, 154 patients between 7 days and 6 months and 47 patients suffered AF episodes longer G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 49S CLINIC Razionale. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Scopo. than 6 months. Attached figure shows the distribution of mean VR during AF as a function of AF type. Conclusions. In the studied population of patients suffering from AF and HF, the distribution of VR tends to be wider and shifted toward high rates for paroxysmal forms of AF while persistent or permanent AF patients have a Gaussian-like distribution of VR ranging between 50 and 100 bpm. P77 DIFFERENZE NEL PROFILO CLINICO E NELLA GESTIONE DEI PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE AFFERENTI A REPARTI DI CARDIOLOGIA O DI MEDICINA INTERNA: ATA-AF SURVEY Marzia De Biasio1, Franco Cosmi2, Giuseppina Maura Francese3, Gianna Fabbri4, Samuele Baldasseroni4, Francesco Chiarella5, Salvatore Pirelli6 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale S.M. della Misericordia, Udine, 2Sezione di Cardiologia con TIM, Ospedale Valdichiana S. Margherita, Cortona (AR), 3U.O.C. di Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima, Catania, 4 Centro Studi ANMCO, Firenze, 5U.O. di Cardiologia, A.O. Univ. San Martino, Genova, 6Divisione di Cardiologia, Istituti Ospitalieri, Cremona Razionale. La fibrillazione atriale (FA) rappresenta un problema clinico e sanitario progressivamente crescente la cui gestione coinvolge non solo i Cardiologi ma anche, in ragione della sua elevata prevalenza in età avanzata, i medici di Medicina Interna. Scopo. Descrivere le differenze demografiche, cliniche e terapeutiche fra pazienti (pz) con FA gestiti in reparti di Cardiologia o di Medicina Interna in Italia. Metodi. Dal maggio al luglio 2010, 7148 pz con FA in corso o con almeno un episodio occorso negli ultimi 12 mesi, sono stati inclusi nello studio ATA-AF. Lo studio, osservazionale, prospettico, multicentrico è stato condotto in 164 Cardiologie (C) e 196 Medicine Interne (M). Sono stati inclusi sia pz ospedalizzati che visitati presso gli ambulatori dei reparti partecipanti. Risultati. Il 54% dei pz è stato arruolato dalle C ed il 46% dalle MI. Più della metà dei pz arruolati in C erano in regime di ricovero (nel 59% di questi il ricovero era avvenuto per motivi urgenti) mentre nelle M i pz ricoverati costituivano il 79.3% (94.8% urgenti). La ragione più frequente di ricovero in C era la FA (58.5%) mentre in M i pz erano principalmente ricoverati per motivi non cardiovascolari (33.9%) e per scompenso cardiaco (24.5%). La FA di tipo permanente era più frequentemente riscontrata in entrambi i reparti con una maggior prevalenza in M rispetto alla C (62.4% vs 37.8%, p<0.0001); in M era significativamente più alto in numero dei pz anziani (età >75 anni 71.3% vs 44.6%, p<0.0001). Il calcolo del CHADS2 score, effettuato sui 4585 pz con FA non valvolare, ha messo in evidenza un numero significativamente maggiore di pz con score ≥ 2 nei reparti di M rispetto a quelli di C (71.4 vs 64.7%, p<0.0001). Almeno una patologia non cardiovascolare concomitante era riportata nel 49.7% dei pz in C e nel 71.8% di quelli in M; le patologie più frequentemente riscontrate sono state il diabete, la BPCO e l’anemia. La prevalenza di FA isolata è stata del 2.9% in C e 0.5% in M, p<0.0001. Alla dimissione i pz in ritmo sinusale erano il 39.1% in C ed il 12.9 in M, p<0.0001. Come atteso, le scelte terapeutiche sono risultate significativamente diverse tra i due reparti: La terapia con anticoagulanti orali è stata prescritta nel 67% dei C pz e nel 49% di quelli in M, p<0.0001. Dal punto di vista della strategia antiaritmica, il controllo di frequenza era la scelta per più della metà dei pazienti (51.4%) mentre il controllo del ritmo era attuato nel 27.4%; il controllo di frequenza veniva attuato in maniera significativamente più frequente in M (60.5 vs 43.6%, p<0.0001) mentre il controllo del ritmo era più frequente in C (39.8 vs 12.9, p<0.0001). In 1515 pz (21.2%). Nel 21.2% dei casi non è stata indicata alcuna strategia antiaritmica (16.6% in C vs 26.6% in M, p<0.0001). Conclusioni. I dati di questo studio descrivono due popolazioni di pz con FA, afferenti alle C o a reparti di M, fortemente diverse. Le differenze cliniche e demografiche sono, probabilmente, la ragione principale del diverso approccio terapeutico fra le due diverse specialità. P78 CONTROLLO DEL RITMO O CONTROLLO DELLA FREQUENZA IN UNA POPOLAZIONE NON SELEZIONATA DI PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE IN REPARTI DI CARDIOLOGIA O DI MEDICINA INTERNA: ATA-AF SURVEY Gabriele De Masi De Luca1, Carolina De Vincenzo2, Pietro Paolo Antonio La Torre3, Aldo Pietro Maggioni4, Massimo Zoni Berisso5, Giuseppe Di Pasquale6 1 Divisione di Cardiologia, Ospedale Cardinale Panico, Tricase (LE), 2 U.O. di Cardiologia, Ospedale A. Cardarelli, Campobasso, 3U.O. di Cardiologia, P.O. F. Lastaria, Lucera (FG), 4Centro Studi ANMCO, Firenze, 5 Cardiologia-UTIC, Ospedale Padre Antero Micone, Genova-Sestri Ponente, 6U.O. di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna Razionale. I trial clinici randomizzati non hanno evidenziato la superiorità di una strategia di controllo del ritmo (C-Rit) rispetto ad una di controllo della frequenza (C-fre) in pazienti (pz) con fibrillazione atriale (FA). Le informazioni sull’uso dell’una o dell’altra strategia nella pratica clinica quotidiana sono piuttosto scarse. Scopo. Descrivere l’uso delle due diverse strategie antiaritmiche in pz con FA gestiti da reparti cardiologici (C) o di Medicina Interna (M) e valutare le caratteristiche dei pz associate alla strategia terapeutica scelta. 50S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Metodi. Lo studio ATA-AF è uno studio osservazionale, multicentrico, prospettico sulla gestione ed il trattamento di pz con FA in corso o con almeno un episodio rilevato nei 12 mesi precedenti l’inclusione. Metodi. Risultati. 7148 pz [età mediana: 77 anni (IQR 70-83); 47% di sesso femminile] sono stati arruolati tra Maggio e Luglio 2010 da 360 centri (164 C e 196 M). Nel 24.0% dei pz la FA era di tipo parossistico, nel 23.6% Risultati. e nel 49.1% permanente (nel 3.3% dei casi il tipo di FA non era persistente classificabile). Una strategia di controllo del ritmo è stata applicata nel 27.4% dei casi (39.8% in C vs 12.9% in M, p<0.0001), mentre il controllo della frequenza è stata la strategia adottata nel 51.4% dei pz (43.6% in C vs 60.5% in M, p<0.0001). Nel 21.2% dei pz il medico responsabile non ha indicato alcuna strategia terapeutica (16.6 in C vs 26.6% in M, p<0.0001). I pz per i quali la strategia scelta è stata il C-rit erano significativamente più giovani e con meno patologie concomitanti rispetto a quelli assegnati al C-fre (Tabella). La cardioversione elettrica o l’ablazione erano le procedure più frequentemente utilizzate in C per ottenere il ripristino del ritmo (66.8 vs 34.8% in M, p<0.0001), mentre la cardioversione farmacologica era effettuata più spesso in M (72.6 vs 45.9%). I farmaci più spesso utilizzati per la cardioversione farmacologica erano gli antiaritmici di classe III (64%), i betabloccanti sono risultati i farmaci più utilizzati per il controllo della frequenza (56.2%). Al momento della dimissione il 35.2% dei pz per i quali non è stata indicata alcuna strategia antiaritmica erano in ritmo sinusale. Conclusioni. La scelta della strategia terapeutica, in questa popolazione Conclusioni. non selezionata di pazienti, sembra essere influenzata dalla presenza di patologie concomitanti. Quando la strategia terapeutica scelta è il C-rit del ritmo, la scelta del tipo di procedura (cardioversione elettrica o farmacologica) appare, invece, influenzata dal reparto di ammissione. In circa un quinto di questi pazienti non viene indicata alcuna strategia antiaritmica. Età (anni), media±DS Nessuna patologia concomitante, % Scompenso cardiaco, % Pregresso ictus, % BPCO, % C-Rit 69±12 57.0 16.0 3.7 11.4 C-Fre 78±9 34.5 35.2 10.8 25.3 p <0.0001 <0.0001 <0.0001 <0.0001 <0.0001 P79 FIBRILLAZIONE ATRIALE DI NUOVA INSORGENZA PAROSSISTICA O PERSISTENTE: È NECESSARIA LA PROFILASSI ANTIARITMICA? Giacomo Chiarandà1, Maria Letizia Cavarra2, Cesare Pedi1, Marta Chiarandà2, Carmelo Cinnirella1 1 Ospedale Gravina Caltagirone ASP Catania, Caltagirone, 2 Policlinico Universitario, Ospedale Ferrarotto, Catania Background. Non esistono dati certi in letteratura se dopo il primo episodio di fibrillazione atriale (FA) parossistica cardiovertita in ritmo sinusale sia necessario o meno attuare una profilassi antiaritmica. Nella maggior parte dei casi tale profilassi non viene attuata trattandosi di primo episodio, tuttavia attuare una terapia antiaritmica potrebbe essere utile al fine di evitare le recidive della FA favorite dal remodeling elettrico dell’atrio. Scopo del nostro lavoro è stato valutare se la profilassi antiaritmica anche al primo episodio di FA sia utile nel prevenire le recidive. Materiale e metodo. Sono stati studiati 64 pazienti (pz) cardiovertiti a ritmo sinusale farmacologicamente o elettricamente dopo un primo episodio di FA parossistica. L’età media è stata 52±18 anni con una prevalenza di maschi del 57%. I pz sono stati randomizzati in due gruppi: gruppo A (28 pz) in cui non è stata effettuata profilassi antiaritmica, gruppo B (36 pz) trattati con profilassi antiaritmica con farmaci di classe IC o III per 3 mesi. Nei pz con recidiva di FA a 3 mesi si attuava terapia antiaritmica I due gruppi erano omogenei per età e prevalenza di patologie concomitanti (ipertensione arteriosa, ipertiroidismo, cardiopatie, diabete mellito) e per terapia upstream di prevenzione della FA, per dimensioni atriali all’esame ecocardiografico trans toracico. La durata della FA era rispettivamente 2.7±1.2 giorni nel gruppo A e 2.9±1.1 nel gruppo B (p=NS). È stato effettuato un follow-up a 3 mesi con Holter ECG seriati al 1, 2 e 3 mesi. Le recidive di FA sono state valutate all’Holter o se clinicamente avvertite dal pz con ECG. Risultati. Recidive di FA nel gruppo A nel primo mese sono risultate in 9 pz (32.1%) ed in 4 pz (11.1%) nel gruppo B (p<0.05). A 3 mesi le recidive nel gruppo A sono risultate nel 26% e nel 6.4% nel gruppo B (p<0.001). Conclusioni. Nonostante la piccola casistica il nostro studio sembra indicare l’efficacia della terapia antiaritmica nei primi mesi dopo il primo episodio di FA. Utile sarà proseguire l’osservazione per valutare se l’efficacia della terapia antiaritmica può essere di beneficio a lungo termine. P80 RECIDIVE DI LONE ATRIAL FIBRILLATION IN PAZIENTI “NORMOTESI”: UN MARCATORE DI DANNO D’ORGANO LA SOLA EVIDENZA DI UN PRIMO EPISODIO ARITMICO. IL RUOLO DEGLI ACE-INIBITORI NELLA PREVENZIONE Fabio Belluzzi1, Caterina Conti1, Stefano Perlini2, Laura Sernesi1, Fabio Magrini1 1 Dipartimento Toraco Polmonare e Cardiocircolatorio, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore-Policlinico, Milano, 2Clinica Medica II, Fondazione IRCCS San Matteo, Università degli Studi, Pavia La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’aritmia cardiaca più comune ed un rilevante problema sanitario in considerazione delle elevate POSTER percentuali di mortalità e morbilità ad essa legate. Molteplici sono le cause di innesco della FA ma la più diffusa, nel mondo occidentale, è l’ipertensione arteriosa, l’aumento dei valori pressori determina delle modificazioni emodinamiche che hanno un effetto diretto sulla funzione e sulla struttura del ventricolo ed atrio sinistro. Il sistema reninaangiotensina-aldosterone (RAAS) ha un ruolo importante nella regolazione del volume ematico circolante e delle resistenze vascolari sistemiche. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che il RAAS ha effetti favorevoli nel modulare la contrattilità e le caratteristiche anatomiche del ventricolo e dell’atrio sinistro. Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che gli ACE-inibitori e i bloccanti dei recettori dell’angiotensina II sono efficaci nel prevenire la FA nei pazienti con ipertensione arteriosa e/o altre cardiopatie. Nel nostro studio, abbiamo dimostrato l’efficacia del ramipril nel prevenire le recidive di FA nei pazienti con FA isolata o “lone” (LAF) in assenza di segni clinici e ecocardiografici indicativi di malattie cardiache, polmonari o endocrine indipendentemente dall’effetto sull’anatomia cardiaca documentabile con l’ecocardiografia color Doppler. Abbiamo valutato, considerato ed analizzato: 1) il ruolo del ramipril nel prevenire le recidive di FA nei pazienti con LAF; 2) i potenziali meccanismi di azione di questo farmaco; 3) la possibilità che la LAF sia un marker di un danno d’organo subclinico in soggetti con valori pressori di 130-139 mmHg (pre-ipertensione nella classificazione del JNC-7 report e/o valori pressori normali alti nella classificazione delle linee guida ESC/ESH 2007). Lo studio in doppio cieco ha preso in considerazione le sole forme LAF ed ha dimostrato che i pazienti “normotesi” trattati con placebo hanno un rischio tre volte maggiore di recidive di LAF rispetto al trattamento attivo con ramipril. Sono stati esaminati 469 pz al primo episodio di AF cardiovertiti nel Dipartimento d’Emergenza con antiaritmico classe Ic e dopo ecocardiogramma completo, misurazione della pressione arteriosa, funzione tiroidea, catecolamine urinarie, elettroliti plasmatici, glicemia, emocromo, emogasanalisi risultati tutti nella norma, sono stati inclusi nello studio come LAF 62 pazienti: 31 randomizzati alla terapia con ramipril 5 mg/die e 31 randomizzati alla terapia con placebo, dopo tre anni al follow-up recidive di LAF sono state osservate in 3 pazienti in terapia con ramipril e 10 pazienti nel gruppo placebo (p<0.01). Il limite è rappresentato dalla casistica limitata del nostro studio, ma occorre ricordare che i pazienti con LAF sono rari nella pratica clinica. Conclusioni. Queste considerazioni portano a suggerire l’opportunità di considerare come marcatore di danno d’organo la sola evidenza di un primo episodio di LAF. Il trattamento della FA, sia essa “lone” o meno, include la riduzione del rischio cardiovascolare mediante il trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari, quali la riduzione della pressione arteriosa, il miglioramento del quadro emodinamico ed il mantenimento della funzione ventricolare e atriale sinistra. Questo indicherebbe quanto prima il ricorso all’introduzione della terapia con un ACE inibitore come il ramipril nei pazienti affetti da LAF. Bibliografia 1. Belluzzi F et al. J Am Coll Cardiol 2009;53: 24-9. 2. Wachtell K. Editorial Comment. J Am Coll Cardiol 2009;53: 30-1. P81 METOPROLOLO E FLECAINIDE IN ASSOCIAZIONE NELLA PROFILASSI DELLE RECIDIVE DI FIBRILLAZIONE ATRIALE PERSISTENTE/PAROSSISTICA Jenny Ricciotti, Luca Piangerelli, Michela Brambatti, Marco Marchesini, Maria Vittoria Matassini, Alessandro Capucci Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona Introduzione. L’utilizzo dei farmaci della classe IC nella terapia di controllo del ritmo nella fibrillazione atriale (FA) è indicato nei pazienti senza o con lieve cardiopatia, con un’efficacia intorno al 50% a un anno. I betabloccanti non sono considerati dei veri e propri antiaritmici e sono impiegati soprattutto per il controllo della frequenza ventricolare; in precedenza alcuni studi clinici hanno valutato il loro utilizzo nella profilassi delle recidive di FA, evidenziando un effetto protettivo maggiore nei soggetti ipertesi, dopo chirurgia cardiaca e in presenza di scompenso cardiaco. Obiettivi dello studio. Valutare efficacia e sicurezza di una terapia antiaritmica combinata con flecainide e metoprololo nella profilassi delle recidive di FA. Materiali e metodi. 70 pazienti (età media 67.1±11.1 anni) con FA parossistica/persistente recidivante e sintomatica, una volta in ritmo sinusale sono stati randomizzati in tre gruppi di trattamento per la prevenzione delle recidive: gruppo A (flecainide + metoprololo), gruppo B (flecainide), gruppo C (metoprololo), a un dosaggio iniziale giornaliero di 50 mg x 2 per la flecainide e di 25 mg x 2 per il metoprololo. Endpoint primario dello studio è stato il tempo della prima recidiva sintomatica di FA, endpoint secondari sono stati la qualità di vita (QoL) e la tollerabilità del trattamento. La QoL è stata valutata utilizzando il questionario generico SF-36 e quello patologia-specifico Atrial Fibrillation Severity Scale (AFSS). Il follow-up medio è stato di 11 mesi. Risultati. Nel gruppo A (n=34) il mantenimento del ritmo sinusale è stato del 79%, 69% e 60% rispettivamente a 3, 6 e 12 mesi; nel gruppo B (n=24) è stato del 77%, 65% e 47%. Nel gruppo C (n=12) solo il 25% dei pazienti era ancora in ritmo sinusale a 3 mesi di follow-up (log rank test: A vs B p=0.38, A vs C p=0.0001, B vs C p=0.001). Il dosaggio medio giornaliero dei farmaci è risultato: nel gruppo A di 105±30 mg per la flecainide e 73±25 mg per il metoprololo, nel gruppo B di 149±50 mg (flecainide) e nel gruppo C di 150±47 mg (metoprololo). Suddividendo i pazienti del gruppo A in base al tipo di FA (21 persistente, 13 parossistica) la percentuale di mantenimento del ritmo sinusale a 12 mesi è stata 66% nei soggetti con FA parossistica contro il 60% nel sottogruppo con FA persistente (log rank test p=0.65). Analizzando i dati relativi ai questionari sulla QoL è stato evidenziato un miglioramento nei soggetti rimasti in ritmo sinusale in tutti i tre gruppi di trattamento, con una riduzione dei sintomi patologia correlati (AFSS), una ridotta percezione di gravità della malattia e un aumentato senso di benessere generale. In nessuno dei gruppi di trattamento sono stati rilevati effetti avversi importanti. Conclusioni. Il trattamento combinato con flecainide e metoprololo ha mostrato un trend di maggiore efficacia nel mantenimento del ritmo sinusale, rispetto ai singoli farmaci usati in monoterapia, in particolare nei pazienti con FA parossistica. La strategia di controllo del ritmo si conferma quindi come una valida scelta terapeutica, in pazienti con FA sintomatica con un impatto positivo in termini di QoL. P82 FULL-DOSE ATORVASTATIN REDUCES THE INCIDENCE OF PERSISTENT ATRIAL FIBRILLATION AFTER NON-ST-ELEVATION ACUTE MYOCARDIAL INFARCTION IN PATIENTS WITH ADVANCED NON-REVASCULARISABLE CORONARY ARTERY DISEASE Furio Colivicchi, Enrica Golia, Carlo Colaiaco, Marco Tubaro, Nadia Aspromonte, Alessandro Aiello, David Mocini, Massimo Santini Cardiovascular Department, San Filippo Neri Hospital, Roma This study tested the hypothesis that the addition of full-dose atorvastatin (80 mg/day) to conventional medical treatment could reduce the incidence of persistent atrial fibrillation (AF) after non-ST-elevation acute myocardial infarction (NSTE-AMI) in patients with severe and diffuse coronary artery disease (CAD) not amenable to any form of mechanical revascularisation. The APRIRE (Full-dose Atorvastatin in the PRevention of Ischemic REcurrences in patients with non-revascularisable CAD) study was an open-label, randomized, controlled, blinded end-point classification trial, employing the PROBE (Prospective Open Treatment and Blinded End Point Evaluation) design (Clinicaltrials.gov identifier NCT01187992). A total of 290 patients (mean age 74.6±9.6) with NSTE-AMI, no history of heart failure, left ventricular ejection fraction >35% and angiographic evidence of severe and diffuse CAD, not amenable to revascularization by either coronary surgery or PCI, were randomized to atorvastatin 80 mg/day (n=144) or conventional medical treatment (n=146). Occurrence persistent AF within 12 months of randomization represented a predefined secondary outcome measure of the study. Treatment with atorvastatin 80 mg/day significantly reduced the incidence of persistent AF (12.5 vs 22.6%, hazard ratio 0.50, 95% confidence interval 0.28-0.89; p=0.020). In conclusion, when compared with a conventional treatment strategy, full-dose atorvastatin treatment provides greater protection against the incidence of persistent AF after NSTE-AMI in patients with severe, diffuse, non-revascularisable CAD. P83 MECCANISMI DI CONVERSIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE ACUTA A RITMO SINUSALE DOPO INFUSIONE RAPIDA E DOPO BOLI ENDOVENOSI RIPETUTI DI FLECAINIDE: STUDIO SU 32 PAZIENTI Saverio Lavanga, Daniele Nassiacos Ospedale di Saronno, A.O. di Busto Arsizio, Saronno (VA) Per determinare i meccanismi di conversione della fibrillazione atriale (FA) acuta (<48 ore) a ritmo sinusale (RS) entro 20 min, dopo infusione di 2.1 mg/kg di flecainide (Fleca) in 15 min oppure boli endovenosi di 0.7 mg/kg di Fleca in 20-30 sec ogni 3 min con il massimo di 3 boli, abbiamo studiato l’ECG in continuo di 32 pazienti risinusalizzati entro 20 min e tratti dai primi 56 pazienti di uno studio randomizzato in corso, approvato dal nostro comitato etico e iniziato il 20/2/2007. Metodo. In ciascun ECG su 12 derivazioni o sul monitor, abbiamo cercato il momento del passaggio in RS, osservando il comportamento della conduzione intraventricolare (CIV) e in particolare, se prima della conversione comparissero tratti di trasformazione della FA in flutter atriale (FLA) oppure aspetti di Brugada tipo 1. Risultati. Dei 32 ECG, di cui 8/25 del gruppo infusione (Gr-I) e 24/31 del gruppo boli (Gr-B), tutti sono risultati inequivocabili per l’analisi. In tutti abbiamo osservato un progressivo allungamento dell’intervallo RR medio, fino ad ottenere un’apparente assenza di attività elettrica (pausa) di durata variabile da 0.4 a 5.8 sec dall’ultima R indotta dall’impulso fibrillatorio alla comparsa della prima attività elettrica atriale rilevabile o ventricolare. La prima attività elettrica comparsa sull’ECG dopo la pausa è risultata un’attività atriale coordinata (P sinusale) stabile ab initio con normale conduzione intraventricolare in tutti e 8 tracciati del Gr-I e 16 del Gr-B, stabile ab initio con i primi 2 QRS condotti con BBS in 2 e con BBD in 1, instabile per 20-40 sec in 1, un’attività atriale non coordinata (P non sinusale) in 1, una coppia ventricolare in 1 e un QRS (evasione giunzionale) per un singolo battito in 1. In 1 caso abbiamo osservato la trasformazione della FA in FLA con conduzione AV 2:1 in forma aberrante ai ventricoli per 30-60 sec. In nessun caso abbiamo osservato un aspetto di Brugada tipo 1. La cardiopatia associata era rispettivamente ipertensiva in 8 e 10, valvolare in 8 e 9, altre in 0 e 2 e assente in 9 e 10 pazienti. Quattordici pazienti erano maschi e 11 erano donne nel GR-I e 21 erano uomini e 10 erano donne nel GR-B. La durata media dell’aritmia era 12.4±7.5 ore nel GR-I vs 10.5±8.3 ore nel GR-B (p=NS). Il tempo al ripristino del RS è risultato 9.4±4.4 nel GR-I vs 5.9±4.5 min nel Gr-B (p=NS). La durata della pausa al G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 51S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO years, without any evidence of cardiopulmonary disease, with or without hypertension were enrolled. At echo we excluded a hypertensive cardiomyopathy (intraventricular septum >14 mm, E/A <1). Echo parameters were recorded during AF (T0), 24 hours after CV (T1), and 1 month (T2) later. We assessed atrial dimension in M-Mode, left atrium ejection fraction (LAEF= [Max AP diameter-Min AP diameter]/Max AP diameter), systo-diastolic areas of left atrium in B-mode, and particular attention was paid to the evaluation of A wave at transmitral flow following CV. Furthermore we calculated atrial segmental and global Flutter/fibrillazione atriale e terapia ablativa contraction speeds using echo TDI, previously dividing left atrium in 5 Flutter/fibrillazione atriale e terapia ablativa segments and right atrium in 3 segments. P84 Results. Hypertensive pts did not differ from Lone for baseline NEI PAZIENTI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA, LA characteristics except for ACEi-ARBs treatment (H 81,25%, L 0% p=0.009), CONVERSIONE IN RITMO SINUSALE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE P84 but at 1 month they presented a lower recurrence rate (H 11,7%, L 63,15% MODIFICA SIGNIFICATIVAMENTE LO STRAIN RATE ED I PRINCIPALI NEI PAZIENTI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA, LA CONVERSIONE RITMO p=0.02). At the IN same time, SINUSALE they showed greater reduction of systoPARAMETRI ECOCARDIOGRAFICI DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE MODIFICA LO STRAIN RATE EDand I PRINCIPALI diastolic areas (p=0.031) a better global contractility at T1 (p=0.048), Simone Mazzetti, Daniele Poggio, Marika Bonadies,SIGNIFICATIVAMENTE Ilenia Fracchioni, assessed as the sum of segmental contraction speeds, than Lone pts. Margherita Chioffi, Giuseppe Scardina, Massimiliano Grillo, PARAMETRI ECOCARDIOGRAFICI Conclusions. Contrary to what we expected, Lone and hypertensive pts Giuseppe Specchia, Andrea Mortara differed in atrial mechanical function after CV. This behavior may be Dipartimento di Cardiologia, Policlinico di Monza, Monza related to a greater tendency to early recurrence, seen in lone pts. Lo scompenso cardiaco (SC) e la fibrillazione atriale (FA) sono fenomeni tra loro interdipendenti. La FA ha un’elevata incidenza nello SC (circa 10-30%) e determina una maggiore morbilità e mortalità. Tuttavia rimane P86 controverso se un attento controllo del ritmo nel follow-up dei pazienti ANOMALA RISPOSTA ALL’ADENOSINA DI “FLUTTER ATRIALE IC” con SC determini una significativa riduzione di eventi. Francesco Rotondi1, Tonino Lanzillo1, Ferdinando Alfano1, Scopo di questo studio è stato dimostrare utilizzando sia nuovi (2D strain) Fiore Manganelli1, Ciro Mariello1, Giovanni Stanco1, Luigi Sauro2, che consolidati parametri ecocardiografici (Eco 2D standard) che la Giuseppe Rosato1 conversione in ritmo sinusale della FA nei pazienti con SC si accompagna 1 U.O. di Cardiologia-UTIC, Dipartimento Medico Chirurgico del Cuore e ad un significativo miglioramento emodinamico. dei Vasi, AORNAS “San G. Moscati”, Avellino, 2Dipartimento di Malattie Sono stati valutati 43 pazienti affetti da SC (ad eziologia in 8 casi Cardiovascolari, Università degli Studi, Siena ipertensiva, in 15 ischemica, in 7 valvolare ed in 13 idiopatica) e FEVS Introduzione. Gli antiaritmici di classe IC possono trasformare una <40%. Tutti i pazienti sono stati ricoverati presso il nostro Policlinico dal fibrillazione (FA) in flutter atriale (FLA) rallentando la conduzione attraverso gennaio 2008 al dicembre 2010 in fibrillazione atriale persistente per l’istmo cavo-tricuspidalico e/o ostacolando la conduzione attraverso la crista essere sottoposti a cardioversione elettrica esterna (DC Shock bifasico a terminalis. Il FLA da antiaritmici IC (FLA IC) 1:1 e conduzione aberrante bassa energia). 10 pazienti sono stati esclusi dallo studio (7 per inefficace può essere difficilmente distinguibile dalla tachicardia ventricolare. cardioversione o documentata recidiva precoce di fibrillazione atriale, 3 L’anamnesi, la stimolazione vagale e l’adenosina, farmaco con effetto per decesso prima del termine del follow-up). dromotropo negativo rapido e potente, possono facilitare la diagnosi. I rimanenti 33 pazienti (28 uomini e 5 donne) di età media 72.4±6.7 anni, Caso clinico. Donna di 67 anni si ricovera con tachicardia a complessi larghi classe NYHA II-III, terapia ottimizzata, sono stati valutati in FA e dopo un sostenuta, monomorfa, ben tollerata, a 180 b/min (Fig. 1). La paziente follow up di almeno due mesi in ritmo sinusale (media 127.1±65.6 giorni) ipertesa e affetta da FA preesistente recidivante, è in terapia con mediante ecocardiografia di ultima generazione (GE Vivid-9 Sonda M5S). flecainide, enalapril e nebivololo e presenta PA 140/90 mmHg e SaO2 95%. Per ogni paziente è stata analizzata da due operatori indipendenti, in L’ecocardiogramma mostra lieve ipertrofia ventricolare sinistra con cieco, la proiezione apicale 4 camere per l’analisi dei volumi del Vsx frazione di eiezione 60% e insufficienza mitralica lieve. Sospettando che (VTDVsx e VTSVsx), della frazione d’eiezione (FE), dell’area atriale sinistra l’aritmia fosse un FLA IC condotto con aberranza, somministriamo bolo e della funzione del ventricolo destro (TAPSE mediante M-mode sulla P86 e.v. di 6RISPOSTA mg diALL’ADENOSINA adenosina DIche provoca una parete laterale del Vdx). È stata quindi registrata la media tra le due ANOMALA “FLUTTER ATRIALE IC” rapida riduzione della frequenza ventricolare con il restringimento dei complessi QRS. misurazioni ottenute. In tutti i casi, è stato calcolato lo strain rate con Successivamente somministriamo amiodarone e.v. (0.5 mg/min), tecnica 2D strain nella sola proiezione 4 camere apicale. ottenendo il ripristino nel ritmo sinusale (Fig. 2). La paziente è dimessa Le variazioni dei principali parametri ecocardiografici in FA e dopo dopo 2 giorni in trattamento con amiodarone al dosaggio di 200 mg bid. cardioversione in ritmo sinusale sono riportati nella tabella. È possibile Introduzione. Discussione. La risposta della tachicardia all’adenosina ci conferma che osservare come il regolare ripristino e mantenimento del ritmo sinusale l’aritmia è una tachicardia sopraventricolare a conduzione aberrante. determini un significativo incremento dello strain rate e della funzione L’adenosina è un ausilio sicuro ed efficace nella diagnosi differenziale della sistolica sinistra e destra, già dopo pochi mesi dalla cardioversione, con Caso clinico. tachicardie a complessi larghi ma nel nostro caso la transizione dalla un trend verso una riduzione anche dei volumi ventricolari. tachicardia iniziale al ritmo sinusale mostra interessanti peculiarità: 1) Subito In conclusione nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra una dopo la somministrazione dell’adenosina si verifica una parziale ed regolare attivazione atrio-ventricolare in ritmo sinusale migliora inaspettata normalizzazione dei QRS non associata ad evidente riduzione significativamente l’emodinamica cardiaca, la funzione contrattile e come della frequenza cardiaca (Fig. 3). Verosimilmente l’adenosina determina un dimostrato dai dati di strain rate la cinetica segmentale Nonostante lievissimo prolungamento del ciclo, non visibile a 25 mm/s, ma sufficiente a quindi, la cardioversione di un paziente con SC e FA debba rimanere una migliorare la conduzione intraventricolare e la riduzione della durata del scelta personalizzata vanno considerati attentamente gli effettivi benefici Discussione. QRS. 2) Successivamente la tachicardia persiste con un alternanza sia degli legati al persistere nel tempo del ritmo sinusale. intervalli RR che dei QRS (Fig. 4). La spiegazione più logica è che la tachicardia FA RS p “alternante” sia legata a doppia via nodale con blocco 2:1 della via rapida e conduzione alternante lungo la via rapida e lenta: l’alternanza elettrica è Strain rate 7.5±3.5 12.2±4.9 <0.0001 secondaria all’alternanza dei cicli RR. 3) La diagnosi di FLA IC è facilitata FEVS (%) 31.7±6.8 39.6±11.4 <0.0001 dalla storia di FA trattata con flecainide ma anche l’analisi dell’ECG mostra VTDVsx (ml) 136.1±45.7 138±35.2 0.6 elementi tipici di aberranza: a) non compaiono i criteri classici per diagnosi VTSVsx (ml) 91.4±39.3 86.8±33.4 0.3 di tachicardia ventricolare: dissociazione AV, blocco VA di II grado, catture TAPSE 1.7±0.4 2.1±0.7 0.001 e/o fusioni, concordanza precordiale, QRS >100 ms dall’inizio al nadir Volume atrio sx (ml) 26.2±5.9 25±6.1 0.3 dell’onda S; b) aspetto di blocco di branca destra con rR’ in V1 e rSr’ in V2, suggestivi per aberranza; c) rS in V6 da non considerare con sicurezza, come si ritiene abitualmente, segno di ectopia in presenza di estrema deviazione P85 assiale superiore; d) QRS in aVR con morfologia qR e durata della q non A MECHANICAL REMODELING DELAY IN LONE AF PATIENTS AND NOT superiore a 40 ms, anch’esso tipico di aberranza. . . HYPERTENSIVE PREDICTS EARLY RECURRENCE Marco Marchesini, Simona Masiero, Maria Chiara Basile, Maria Vittoria Matassini, Michela Brambatti, Jenny Ricciotti, Ilaria Mazzanti, Federico Guerra, Alessandro Marinelli, Sara Franchini, Alessandro Capucci Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona Background. Lone atrial fibrillation (AF) is defined by the absence of cardiopulmonary disease: patients (pts) are young and clinically similar to hypertensive of comparable age, when hypertensive cardiomyopathy is not developed yet. Although absence of structural cardiac alteration is a mainstay of these populations, little is known about atrial behavior after successful cardioversion (CV). Aim. Our purpose was to evaluate many echocardiographic parameters in order to assess atrial mechanical behavior across CV, its relationship with early recurrence, and possible differences between the two groups (Lone-hypertensive). Methods. 24 consecutive pts with paroxysmal/persistent AF and age ≤65 ripristino del RS è risultata 1075±477 msec nel GR-I vs 1290±1114 msec nel Gr-B (p=NS). Conclusioni. Questi dati indicano che il 100% dei cardiovertiti a RS con infusione rapida e l’83% con boli, ha ottenuto il RS attraverso una pausa preautomatica “fisiologica” (<1800 msec), senza passare attraverso una fase di FLA o di ritmo giunzionale e/o aspetto sindrome di Brugada tipo 1. 52S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER (con un minimo di 3). L’ottenimento del successo totale della procedura non è risultato dipendente da alcuna caratteristica clinica. L’ablazione transcatetere del FLA tipico è procedura di esecuzione relativamente semplice, sicura e con buoni risultati a distanza. P89 P87 MODULAZIONE DELLA CONDUZIONE NEL NODO ATRIOVENTRICOLARE MEDIANTE STIMOLAZIONE VAGALE ENDOCARDICA Stefano Bianchi, Pietro Rossi, Fabrizio Sgreccia, Antonio Lucifero, Luigi Iaia, Paolo Azzolini U.O.C. di Cardiologia, Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina, Roma La stimolazione endocardica di fibre vagali efferenti per il nodo AV (AVNS) è in grado di modulare la conduzione nel nodo AV e di influenzare la frequenza ventricolare in pazienti in fibrillazione atriale (FA). Tale stimolazione, effettuata tramite burst di stimoli ad alta frequenza, è stata applicata in modelli sperimentali e pochi sono i dati a disposizione sull’uomo. Scopo dello studio è stato quello di determinare se la stimolazione del nodo AV tramite burst (AVNS) fosse in grado di modularne la conduzione in pazienti in FA e se tale stimolazione, effettuata in ritmo sinusale (RS) nel periodo refrattario effettivo dell’atrio (EARP), permettesse l’identificazione di un sito di stimolazione sicuro ed efficace per l’impianto di un catetere endocardico per la stimolazione del nodo AV. Materiali e metodi. Sono stati arruolati 20 pazienti (10 in RS, 10 in FA) con indicazione all’impianto di un pacemaker bicamerale per malattia del nodo del seno. È stata mappata la regione postero-settale dell’atrio destro per individuare un sito idoneo ove la stimolazione tramite burst otteneva una modulazione della conduzione nel nodo AV (allungamento dell’intervallo PR in RS e riduzione della frequenza ventricolare in FA). Successivamente veniva posizionato un elettrodo a vite nel sito prescelto e venivano effettuate diverse erogazioni (burst) a differente frequenza, intensità e durata dell’impulso. Risultati. In tutti i pazienti in RS si è ottenuto un allungamento dell’intervallo PR con burst a 90 e 120/min e durata dell’impulso <1 msec. Il voltaggio medio necessario per ottenere un allungamento del PR ed un blocco AV avanzato è stato rispettivamente 4.3±2.2V e 5.5±1.8V a 90/min con una durata dell’impulso di 1 msec. Allo stesso modo in pazienti in FA è stata ottenuta una riduzione della frequenza ventricolare con burst da 90/min, durata 0.5 msec, 5.4±1.8V. Conclusioni. La stimolazione endocardica in atrio destro del nodo atrioventricolare mediante burst riduce la frequenza ventricolare in pazienti in FA. I burst somministrati nel periodo refrattario effettivo dell’atrio permettono di ottimizzare la posizione del catetere per la stimolazione del nodo atrioventricolare. Questo tipo di stimolazione potrà essere implementato nei pacemaker normalmente impiantati con importanti ricadute cliniche quali il controllo della frequenza ventricolare media in pazienti in FA o l’ottimizzazione della percentuale di stimolazione in pazienti con pacemaker biventricolari. P88 UTILITÀ DELL’ABLAZIONE TRANSCATETERE DEL FLUTTER ATRIALE TIPICO Antonio Ruocco1, Celestino Sardu2, Valentino Ducceschi3, Luca Ottaviano4, Raffaele Sangiuolo5, Mauro Ciro1 1 Cardiologia-UTIC, AORN A. Cardarelli, Napoli, 2Cattedra di Cardiologia, AUP II Policlinico, Università degli Studi “Federico II”, Napoli, 3 Cardiologia-UTIC, Ospedale S. Luca, Vallo della Lucania, 4CardiologiaUTIC, IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni (MI), 5Cardiologia-UTIC, Ospedale Fatebenefratelli, Napoli Dal mese di settembre 2008 al mese di luglio 2010 sono state effettuate 22 procedure di ablazione transcatetere di flutter atriale (FLA) tipico. In base alle caratteristiche cliniche della loro aritmia, i pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi: assenza di fibrillazione atriale (FA) associata (gruppo 1), presenza all’anamnesi anche di un solo episodio di FA associata (gruppo 2), e trasformazione di FA in FLA tipico indotta da terapia antiaritmica (TA) (gruppo 3). Dei 22 pazienti 16 erano maschi e l’età media era 64±8 anni. Nel gruppo 1 sono stati arruolati 9 pazienti di cui 7 con FLA parossistico o persistente e 2 con FLA permanente. Nel gruppo 2 sono stati arruolati 8 pazienti di cui 5 con FLA parossistico o persistente e 3 con FLA permanente. Nel gruppo 3 sono stati arruolati 5 pazienti in TA per FA che continuavano a presentare cardiopalmo tachicardico mal tollerato, e che durante studio elettrofisiologico è stato possibile indurre un FLA tipico sostenuto. Sulla totalità delle procedure di ablazione di FLA tipico, effettuate su 22 pazienti, è stato ottenuto un successo totale in 19 casi (87%), un successo parziale in 1 caso (4.5%) ed un insuccesso in 2 casi. Alla prima procedura un successo totale è stato ottenuto in 16 su 22 pazienti (86%). Gli insuccessi hanno riguardato pazienti di gruppo 2 (1) e di gruppo 3 (1). Il numero di erogazioni di RF effettuate è stato 12±10 LA CRIOABLAZIONE TRANSCATETERE DELLE VIE ACCESSORIE DESTRE IN ETÀ PEDIATRICA: OTTO ANNI DI ESPERIENZA IN UN SINGOLO CENTRO Corrado Di Mambro, Mario Salvatore Russo, Massimo Stefano Silvetti, Monica Prosperi, Fabrizio Drago Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia Pediatrica, Struttura Semplice di Aritmologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Nell’ultimo decennio la crioablazione transcatetere (CT) è stata sempre più usata nel trattamento delle tachicardie sopraventricolari da rientro su via accessoria di conduzione atrio-ventricolare in pazienti di età pediatrica. Lo scopo del nostro studio è stato quello di condurre una analisi retrospettiva dei risultati delle procedure di CT di vie accessorie (VA) destre eseguite in bambini ed adolescenti nel nostro Centro. Da ottobre 2002 a ottobre 2010, sono state effettuate 52 procedure di CT in 46 pazienti pediatrici (28 maschi,18 femmine, età media 12±3 anni) affetti da tachicardia da rientro atrioventricolare (TRAV) da VA destra. Tali VA erano manifeste in 44 casi ed occulte in 8. La localizzazione era parahissiana in 5 casi, anterosettale in 25, mediosettale in 13, anterolaterale in 3, laterale in 1, posterosettale in 4 e posterolaterale in 1. Nella nostra esperienza la metodica di CT usata è variata nel tempo. In un primo periodo è stato usato un criocatetere con una punta di 4 mm, il criomappaggio a -30°C per un tempo massimo di 60’’ e la crioablazione a -75°C da un minimo di 4’ ad un massimo di 8’. In seguito è stato adoperato un criocatetere con una punta di 4 o 6 mm, in base alla localizzazione della VA, ed un protocollo modificato consistente in un criomappaggio da -30 a -70°C ed una più lunga crioablazione (sempre oltre i 6 minuti) con l’aggiunta di un “criobonus” di consolidamento sullo stesso sito e con le stesse modalità. Dopo la procedura di crioablazione, i pazienti sono stati valutati a 1, 6, 12, 18 e 24 mesi con una visita cardiologica, un ECG, un monitoraggio ECG secondo Holter ed un test da sforzo (follow-up mediano: 9 mesi, range 124 mesi). Il successo acuto della CT è stato del 96.2%, con ricorrenza della VA nel 23% dei casi. Non si sono manifestate complicanze o effetti avversi irreversibili correlati con la crioenergia. Un allungamento transitorio dell’intervallo PR si è osservato in un paziente durante criomappaggio. Suddividendo la nostra esperienza in quattro periodi (I 2002-2005,14 procedure; II 2005-2006 11 procedure; III 2007-2009, 13 procedure; IV 2010, 14), il successo in acuto è rimasto costante (I periodo 93%, II 100%, III 93%, IV 100%), le recidive non hanno avuto una variazione statisticamente significativa ma sono passate dal 35.7% del I periodo al 14.3% del IV periodo (II 18.2%, III 23.1%), mentre la media della durata della fluoroscopia usata si è ridotta significativamente (I periodo 43’, II 46’, III 26’, IV 23’; p 0,019). In conclusione, sulla base dei dati della nostra esperienza, la CT per il trattamento delle TRAV da VA destra in pazienti di età pediatrica appare sicura ed efficace. Il successo in acuto e a distanza e la totale assenza di complicanze la rendono, a nostro avviso, una valida alternativa all’uso della radiofrequenza nella risoluzione di tale patologia. P90 EVALUATION OF ELECTRICAL ISOLATION OF PULMONARY VEINS OBTAINED BY CRYOBALLOON-ABLATION FOR ATRIAL FIBRILLATION, USING ELECTROANATOMICAL VOLTAGE MAPPING Massimiliano Maines1, Domenico Catanzariti1, Carlo Angheben1, Maurizio Centonze2, Giuseppe Vergara1 1 Department of Cardiology, S. Maria del Carmine Hospital, Rovereto, 2 Department of Radiology, S. Chiara Hospital, Trento Background. Balloon-based technology and cryoenergy were recently introduced to increase the safety of procedure and to reduce discontinuity of circular lesions around pulmonary veins (PVs), by avoiding a major role in the outcome of the operatory dexterity. However, the exact level of PVs isolation induced by cryoballoon-ablation (CBA) remains relatively unknown. Methods. In 22 consecutive patients undergoing CBA for paroxysmal or short standing persistent atrial fibrillation after prior MRI data acquisition, 3D reconstruction of the LA could be generated using the EnSite Verismo Software incorporating the 3D reconstruction of the LA created by MRI. This software was also used for measuring distances and the diameter of various anatomical structures and for reconstructing the complete “true” anatomy of PVs antra. Using preselected amplitude voltage limits of 0.050.5 mV and differential pacing techniques, the topographic extension of PVs isolation was assessed after CBA. Results. All 80 PVs of patients study were isolated by CBA (including 9 left common trunk and 1 right middle accessory veins). An antral level of isolation was observed in the vast majority of PVs with severe reduction of voltage outside the tubular portion of PV and at various extent proximal to the PV ostium. Indirect approaches to CBA were preferred in 42% of cryofreezes to enlarge the perivenous atrial lesions, while the coaxial approach was reserved in the remaining cases. Conclusion. CBA exerts its effects on electrical isolation at the antral level of PV ostia largely resorting to indirect approaches for achieving mechanical occlusion during cryoenergy delivery. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 53S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P91 ABLATION OF LONG-LASTING PERSISTENT ATRIAL FIBRILLATION BY INTRAPROCEDURAL USE OF IBUTILIDE TO IDENTIFY PERSISTENT CFAES. RESULTS FROM A RANDOMIZED STUDY COMPARING TWO DIFFERENT STRATEGIES Marco Rebecchi1, Luigi Sciarra1, Ermenegildo de Ruvo1, Lucia De Luca1, Lorenzo Maria Zuccaro1, Alessandro Fagagnini1, Monia Minati1, Fabrizio Guarracini1, Luigi Mattioli2, Ernesto Lioy1, Leonardo Calò1 1 Division of Cardiology, Policlinico Casilino, ASL RMB, Rome, 2Division of Cardiology, University of Rome “La Sapienza”, Rome Introduction. Ablation of long-lasting (LL)-persistent atrial fibrillation (AF) is highly variable, with different strategies and outcome. We sought to compare the efficacy of an ablation strategy focused on elimination of complex fractionated atrial electrograms (CFAEs) in right (RA) and left atrium (LA) identified by using intravenous low-dose of ibutilide plus pulmonary vein isolation (PVI) with that of an approach performed with linear lesions in LA plus PVI. Methods. Fifty-four symptomatic patients with LL-persistent AF, refractory to AADs, were randomized to two different ablation approach. Twentyseven patients (group A; mean age 58.7±7.4 years, 14 males) underwent a procedure including bi-atrial CFAEs mapping (using a specific CARTO software) prior and post intravenous low-dose of ibutilide (0.5 mg) administration. Ablation procedure consisted in PVI and CFAEs ablation in the critical sites identified after ibutilide using. Ablation strategy of the remaining 27 patients (group B; mean age 58.6±9.4 years, 14 males) consisted in PVI and linear lesions (roof and mitral isthmus) in the LA. Results. All patients completed ablation procedure and no complications occurred. In group A, the prevalence of CFAEs before ibutilide administration was higher in the LA than in the RA (35.4 vs 21.2%, p=0.016). After ibutilide administration, AF cycle length significantly decreased if compared with baseline (264.2±51.9 vs153.4±33.9, p=0.0001) and CFAEs prevalence was globally reduced of 69.4% (p=0.001) in LA and of 81.7% (p=0.001) in RA. Complete PVI was performed in all patients of both groups. Complete mitral isthmus and roof conduction block was observed in 15 (55%) and in 24 (88%) patients of group B, respectively. After a mean follow up of 13±8 months, 22 (81.4%) patients of group A and 9 (33.3%) patients of Group B were free from AF recurrences (p=0.001). Conclusion. In patients with LL-persistent AF, PVI plus bi-atrial ablation of CFAEs after ibutilide administration is safe and more effective in term of success rate if compared with PVI plus linear lesions approach. This study suggests the utility of intraprocedural use of ibutilide to perform ablation of persistent CFAEs that could be critical for the maintenance of AF. P92 PROCEDURE DI ABLAZIONE TRANSCATETERE DI ARITMIE CARDIACHE ESEGUITE CON MINIMA OD ASSENTE ESPOSIZIONE RADIOLOGICA: RISULTATI PRELIMINARI Attilio Del Rosso1, Vincenzo Guarnaccia1, Nunzia Rosa Petix1, Andrea Zipoli1, Federico Borselli2 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale San Giuseppe, Empoli, 2St. Jude Medical, Italia, Milano Background. Le procedure di ablazione transcatetere (ABL) delle aritmie, oltre ai rischi insiti nella procedura stessa, espongono il paziente e gli operatori ad una significativa esposizione radiologica (RX). I sistemi computerizzati di mappaggio tridimensionale (3D) hanno permesso una più facile identificazione del circuito di aritmie complesse ed una sensibile riduzione dell’esposizione RX. Scopo dello studio. Lo scopo di questo studio preliminare è stato quello di valutare la possibilità di eseguire procedure di ABL di aritmie ad origine dalle sezioni cardiache di destra con minima o assente esposizione RX. Metodi. Le procedure di ABL mediante radiofrequenza sono state eseguite utilizzando il sistema St. Jude Medical EnSite NavX. Sono state trattate esclusivamente aritmie ad origine dalle sezioni cardiache destre: flutter atriale comune (FLA), tachicardia da rientro nodale (TRNAV) o da via accessoria AV (TRAV). Il primo elettrocatetere posizionato era quello per il seno coronarico tramite l’accesso dalla vena giugulare interna destra, utilizzando come riferimento visivo le immagini virtuali in proiezione obliqua destra e sinistra create dal sistema di mappaggio 3D. Successivamente tramite la vena femorale, sulla guida delle immagini del sistema 3D, venivano avanzati l’elettrocatetere ablatore e uno o due elettrocateteri mappanti. Infine veniva creata una mappa anatomica o elettroanatomica virtuale dell’atrio destro definendo alcuni reperi anatomici quale la sede del potenziale hisiano o l’istmo cava inferioreanulus tricuspidale. In ogni procedura si è sempre cercato di evitare l’esposizione RX, ricorrendo ad essa solo in caso di difficoltà nella navigazione o nell’accesso alle camere cardiache. La procedura ablativa veniva eseguita utilizzando criteri elettrofisiologici e anatomici tradizionali sulla base del tipo di aritmia trattata. Risultati. Sono state eseguite 14 procedure consecutive (Gruppo A) (8 TRNAV, 5 FLA e 1 TRAV) (età media 67±13, 5M). I risultati, in termini di % di successo acuto, durata della procedura ed esposizione RX, sono stati confrontati con quelli di 49 procedure eseguite con esposizione RX (Gruppo B) (31 FLA, 17 TRNAV e 1 TRAV) (età media 71±12, 29M) e di 47 procedure eseguite con metodica ibrida (RX + mappaggio 3D) (Gruppo C) (46 FLA, 1 TRAV) (età media 70±9, 31M). Nel gruppo A il successo acuto è stato osservato nel 100% dei casi, la durata della procedura è risultata di 183±38 min, l’esposizione RX di 4±10 sec. In 11 (79%) procedure non si è fatto ricorso ad esposizione RX. Nel Gruppo B il successo acuto è stato del 54S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 96%, la durata della procedura è risultata di 193±50 min, l’esposizione RX di 1593±935 sec (p<0.001 Gruppo A vs Gruppo B). Nel Gruppo C il successo acuto è stato del 100%, la durata della procedura è risultata di 230±63 min, l’esposizione RX di 1268±591 sec (p<0.001 Gruppo C vs Gruppo A, p<0.02 Gruppo B vs Gruppo C). Conclusioni. L’impiego del sistema di mappaggio 3D ha permesso di eseguire procedure di ABL di aritmie ad origine dalle sezioni destre in assenza o con minima esposizione RX, con percentuali di successo e tempi di procedura simili a quelli di ABL eseguite con tecnica tradizionale o ibrida. P93 USEFULNESS OF CONTRAST INTRACARDIAC ECHOCARDIOGRAPHY IN PERFORMING PV BALLOON OCCLUSION DURING CRYOABLATION FOR ATRIAL FIBRILLATION Massimiliano Maines, Domenico Catanzariti, Carlo Angheben, Claudio Cemin, Cristiana Giovanelli, Giuseppe Vergara Department of Cardiology, S. Maria del Carmine Hospital, Rovereto Introduction. Cryoballoon ablation (CBA) has proven very effective for pulmonary vein (PV) isolation (PVI) if complete mechanical occlusion is achieved and conventionally assessed by angiographic injection of contrast within PV lumen. The aim of our study was to assess the usefulness of saline contrast intracardiac echocardiography (CE) in guiding CBA. Methods. Twenty consecutive patients with paroxysmal atrial fibrillation were assigned to fluoroscopy plus CFD (n=10; group 1: iodinated medium as both an angiographic and an echographic contrast) versus CE plus CFD (n=10; group 2: saline contrast) for guidance of CBA. CFD-guidance was used only in pull-down approaches (16% in the study) in both groups. Results. We evaluated 227 occlusion of 71 PVs. CE-guided assessment of occlusion, defined as the loss of echocontrastographic back-flow to the left atrium after saline injection regardless of the visualization of PV antrum, showed a high level of agreement with the angiographic diagnosis of occlusion. PVI rate was similar in both groups and effectively guided by CE (PVI using ≤2 double cryofreezes: 89% of PVs in gr. 1 vs 91% in gr. 2; p=NS). Group 2 patients (CE guidance) had significantly shorter procedure (128±17 minutes vs 153±18; p<0.05) and fluoroscopy times (30±11 minutes vs 42±9, p<0.05) and used lower iodinated contrast (90±25 vs 191±45 mL, p<0.05). Conclusion. PV occlusion and PVI during cryoablation can be effectively predicted by CE. This technique reduces radiological exposure and iodinated contrast use. P94 RUOLO DELLA CHIRURGIA ABLATIVA A CUORE APERTO (MAZE) NEL TRATTAMENTO DEL PAZIENTE CON FIBRILLAZIONE ATRIALE MULTIREFRATTARIA Stefano Benussi1, Alberto Pozzoli1, Ylenia A. Privitera1, Micaela Cioni1, Enrica Dorigo1, Maria Chiara Calabrese1, Simona Nascimbene1, Maurizio Taramasso1, Paolo Della Bella2, Ottavio Alfieri1 1 Cardiochirurgia, 2 Aritmologia ed Elettrofisiologia Cardiaca, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Ospedale Universitario San Raffaele, Milano Introduzione. Il trattamento non farmacologico della fibrillazione atriale (FA) viene riservato a pazienti sintomatici, refrattari (od intolleranti) alla terapia medica. Quando anche l’ablazione percutanea risulta inefficace, le opzioni alternative previste dalle linee guida sono (nell’ordine): la chirurgia ablativa a cuore aperto (Maze) o l’ablazione del nodo atrioventricolare e l’impianto di pacemaker (“ablate and pace”). Malgrado questo, nella pratica clinica attuale, il paziente refrattario è solitamente sottoposto ad ablazioni percutanee multiple e, sempre più spesso, ad “ablate and pace”, mentre l’ablazione chirurgica è praticata solo eccezionalmente. Riportiamo di seguito i risultati clinici della nostra iniziale esperienza con chirurgia ablativa in pazienti refrattari ad ablazione transcatetere. Materiali e metodi. Tra giugno 2007 e ottobre 2010 19 pazienti (età media 55.5±10.7 anni; M:F=18:1) sono stati riferiti per chirurgia ablativa per FA refrattaria a terapia antiaritmica ed a plurime ablazioni transcatetere (in media 2.6 ablazioni/paziente; range 1-5). 7 casi erano forme persistenti e 12 permanenti; in 3 casi era presente una tachicardia atriale post ablativa. L’intervento ablativo (Maze) è stato effettuato utilizzando radiofrequenza bipolare in associazione a crioenergia. 8/19 pazienti sono stati operati con approccio mini-invasivo in minitoracotomia destra. Ogni paziente è stato sottoposto a valutazione clinica (classi NYHA e EHRA) e strumentale (ECGHolter 24h, ecocardiografia) prima dell’intervento, a cadenza trimestrale per il primo anno e poi semestralmente. Risultati. Tra le complicanze post-operatorie si segnalano 2 casi di infezioni della ferita sternotomica, una superficiale e una profonda (quest’ultima ha richiesto revisione chirurgica) entrambe guarite senza sequele. In 2 casi si è reso necessario impiantare un pace-maker definitivo per disfunzione del nodo senoatriale. Dopo l’operazione, follow-up medio di 14.8±12 mesi (range 1-43 mesi),, 19/19 pazienti (100%) risultano in ritmo sinusale stabile. La funzione contrattile è significativamente migliorata dopo l’intervento, passando da un valore medio di 49.3±13.9% (range 17-65%) ad uno di 61.2±4.6% (range 55-70%) (p=0.0012). Prima dell’intervento 16/19 pazienti (84%) risultavano fortemente limitati nell’attività quotidiana dai sintomi legati alla FA (classe EHRA III-IV), mentre all’ultimo follow-up 18/19 POSTER (95%) sono completamente asintomatici (EHRA I). In ultimo, anche la classe NYHA è migliorata: 14 pazienti (74%) sintomatici per dispnea (NYHA II-III) pre-intervento, sono risultati asintomatici all’ultimo controllo (NYHA I). 14/15 pazienti operati da più di 6 mesi hanno sospeso la terapia anticoagulante orale; 10/15 (71%) non assumono attualmente farmaci aritmici di classe I-III. Conclusioni. La chirurgia ablativa a cuore aperto è estremamente efficace nel ripristinare il ritmo sinusale nel paziente con FA refrattaria ad ablazione percutanea. Ciò consente una regressione della disfunzione ventricolare e dei sintomi. A parte casi estremi, l’ablazione chirurgica dovrebbe essere un’alternativa preferibile all’ablate and pace nella gestione del paziente con FA refrattaria. P95 protocollo italiano. Sono stati valutati i sintomi precedenti la sincope spontanea ed indotta (offuscamento della vista, calore, sudorazione, astenia, vertigini, cefalea, palpitazioni, nausea e fastidio addominale), il tempo di insorgenza dei sintomi con i parametri emodinamici (pressione arteriosa e frequenza cardiaca). Risultati. Dei 118 pazienti studiati, 48 pz erano maschi, età media 52±18 anni. La presenza di prodromi è stata percentualmente più elevata nella Si indotta rispetto alla Si spontanea 82 vs 54% p<0.05 e nei pz >70 anni 94vs 48% p<0.001. I sintomi maggiormente prevalenti sono stati l’offuscamento della vista, le vertigini e la sudorazione, rispettivamente 56%, 48% e 31% nella popolazione totale e 68%, 59% e 34% nei pz >70 anni. I sintomi prodromici ad insorgenza precoce (>2 min) sono stati il calore e la sudorazione, quelli più tardivi (<1 min) sono stati l’offuscamento della vista e le vertigini. È stata rilevata un’associazione tra timing dei sintomi ed una maggiore riduzione dei valori della pressione arteriosa. Ad un follow-up di 1 anno nel 48% dei pz non si sono più avute Si. Conclusioni. Il tilt test può permettere oltre che una diagnosi della Si inspiegata anche un più frequente e facile riconoscimento dei prodromi che può essere utile al fine di addestrare il paziente al riconoscimento e alla consapevolezza degli stessi al fine di poter fare “abortire” la sincope con le manovre di contropressione. INCREASED PLASMA HOMOCYSTEINE PREDICTS THE RECURRENCE OF LONE ATRIAL FIBRILLATION AFTER SUCCESSFUL MINIMALLY INVASIVE EPICARDIAL ABLATION VIA RIGHT MINITHORACOTOMY Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, Giuseppe Visicchio, Flavio Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale Division of Cardiac Surgery, GVM Hospitals of Care and Research, Bari Objective. The minimally invasive, epicardial off-pump ablation is an emerging therapeutic option for drug-resistant lone atrial fibrillation (AF). For a rational practice and the development of new treatment algorithms, it is important to stratify the patients on the basis of their risk of P97 P95 recurrence. Thus, we sought to ascertain whether the plasma levels of FATTORI PREDITTIVI DI RISCHIO DI RECIDIVA SINCOPALE IN UNO STUDIO INCREASED PLASMA HOMOCYSTEINE PREDICTS THE RECURRENCE OF LONE ATRIAL FIBRILLATION homocysteine (both preoperatively and at the follow-up) predict the SU 161 PAZIENTI CON SINCOPE VASOVAGALE AFTER SUCCESSFUL MINIMALLY INVASIVE EPICARDIAL ABLATION VIA RIGHT MINITHORACOTOMY recurrence of AF after successful minimally invasive epicardial ablation. Ernesto Grifoni, Doriana Frongillo, Silvia Bisegni, Claudia Braccioli, Patients and methods. In the setting of a prospective study of the Maria Rosaria Cianfrocca, Gian Paolo Novelli, Giuseppe Pietravalle minimally invasive epicardial ablation, we obtained blood samples from U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale “San Sebastiano Martire”, Frascati patients scheduled to this surgery at the following time points: the day Al fine di valutare l’eventuale comparsa di recidive sincopali, 161 pazienti Objective. before surgery, 6-month follow-up visit. Plasma homocysteine levels were (65M; 96F) di età media 34.68±24.74 anni (min: 11 max: 81 anni), afferenti determined in both samples and expressed as μmol/L. Patients were presso il nostro ospedale negli ultimi 8 anni e diagnosticati come affetti divided into two groups according to a cutoff value for the last quartile da sincope vasovagale, sono stati contattati telefonicamente. La diagnosi of plasma homocysteine concentration (15.1 μmol/L), The recurrence of era stata effettuata secondo le linee guida ESC ed in tutti i pazienti la AF was demonstrated by scheduled 24-hours ECG monitoring. Time-torassicurazione psicologica e le misure comportamentali (incluse manovre Patients and methods. event analysis was performed (Kaplan-Meier and Cox regression). di contropressione) sono state adottate come terapia di prima linea; un Results. A total of 104 patients were subjected to minimally invasive tilt-test è stato effettuato in 77 pazienti (47.8%) ed è risultato positivo in epicardial ablation of lone AF. The rate of freedom from AF was 89.4% at 53 (68.8%). La frequenza degli episodi sincopali è stata espressa attraverso an average 17 months follow-up. Among patients who were discharged il “syncope burden”, calcolato dividendo il numero totale di sincopi per il on stable sinus rhythm after minimally invasive ablation, the homocysteine rispettivo periodo di tempo in anni. Il follow-up medio è stato di 33.6±54.5 levels were significantly increased in patients with persisting AF type mesi (min: 13 mesi; max: 89 mesi) e recidive sincopali si sono avute in 37 (p<0.01) and with enlarged left atrium (defined as left atrial size ≥22 pazienti (22.9%). Results. mm/m2) (p<0.01). Patients who displayed clinical recurrence of AF had L’analisi di regressione logistica univariata ha evidenziato che i pazienti higher homocysteine levels both preoperatively and at 6 months (p<0.01 con recidive sono più frequentemente di sesso femminile (9M e 28F; both). Cox proportional hazards regression evidenced increased p=0.036), hanno un numero di recidive più elevato alla prima visita homocysteine levels as an independent predictor of recurrent AF. Kaplan(p=0.0001), un più alto valore di “syncope burden” (p=0.0006) ed un Meier analysis for recurrent AF-free survival confirmed this finding (logperiodo di follow-up più lungo (p=0.012). Dopo aver identificato i valori rank p<0.01 among patients strata having higher vs. lower homocysteine di “cut-off”, mediante curve ROC, abbiamo dicotomizzato le variabili levels) (Figure 1). “syncope burden” e il numero di episodi sincopali al momento della prima Conclusions. Increased homocysteine levels are significantly associated visita. Per il “syncope burden” il valore di cut-off era 1.5 (sensibilità 72.2% with the recurrence of lone AF after minimally invasive epicardial ablation. e specificità 70.4%), per il numero di episodi sincopali al momento della Conclusions.This factor should be weighted in conjunction with other predictors of prima visita il valore di cut-off era 3 (sensibilità 63.9% e specificità 77.6%). recurrence (persisting type of AF, advanced left atrial remodeling) in order L’analisi di regressione logistica multivariata ha indicato come fattori to establish the indication to minimally invasive surgical ablation for lone indipendenti predittivi di recidiva sincopale la presenza di più di 3 recidive AF. al momento della prima visita (p=0.0003) e la presenza di un valore di “syncope burden” superiore a 1.5 (p=0.0002). Considerando l’età di insorgenza della prima sincope, sempre mediante curve ROC abbiamo identificato il punto di “cut-off” che era di 17.8 anni (sensibilità 50%, specificità 68%); all’analisi di regressione logistica univariata i pazienti con età inferiore a 17 anni al momento della prima sincope avevano un rischio doppio di andare incontro a recidive sincopali (OR: 2.13, p=0.05), ma tale parametro non era significativo come fattore indipendente di rischio all’analisi multivariata. Nei 77 pazienti sottoposti a tilt-test, la risposta al tilt non è risultata predittiva di recidiva sincopale, né considerando la positività del tilt test per sincope vaso-vagale (p=0.64), né considerando il tipo di risposta: cardioinibitoria (p=0.71), vasodepressiva (p=0.94) o mista (p=0.11), nei confronti dei pazienti con tilt test negativo. Nei nostri pazienti si conferma che la sincope vasovagale è un fenomeno benigno; la rassicurazione psicologica e una terapia conservativa sono sufficienti nella maggior parte dei casi ad evitare recidive, che appaiono in ogni caso essere più frequenti nelle donne, nei pazienti di età più giovane e soprattutto nei pazienti che al momento della prima visita già presentano un numero ed una frequenza elevata di episodi sincopali. Morte improvvisa, sincope P96 P98 RUOLO DEI PRODROMI NELLA SINCOPE TILT TEST INDOTTA Maria Letizia Cavarra1, Giacomo Chiarandà2, Marta Chiarandà1, Corrado Tamburino1, Valeria Calvi1 1 Policlinico Universitario, Ospedale Ferrarotto, Catania, 2 Ospedale Gravina Caltagirone, ASP, Catania Background. La sincope vasovagale non sempre è preceduta da prodromi e quando presenti talora non sono riconosciuti o evidenziati dal paziente. Scopo dello studio è stato quello di valutare i sintomi precedenti alla sincope (Si) spontanea o tilt indotta. Materiali e metodi. La casistica si compone di 118 pazienti con Si inspiegata >3 nell’ultimo anno, positiva a tilt test eseguito secondo il AGE OF ONSET, MODALITIES OF CLINICAL PRESENTATION AND CLINICAL OUTCOME IN SUBJECTS WITH SUSPECTED NEURALLY MEDIATED SYNCOPE: IS THERE A GENDER DIFFERENCE? N.R. Petix, A. Del Rosso, V. Guarnaccia, A. Zipoli Division of Cardiology, San Giuseppe Hospital, Empoli Neurally mediated syncope is widely believed to be more common in females (3.5%) than in males (3.0%) However, the gender difference of neurally mediated syncope has not well been evaluated. The objective of this study was to assess the gender difference of clinical manifestations and outcome in patients with suspected neurally mediated syncope. Of the consecutive 802 pts referred for suspected neurally mediated syncope G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 55S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO at a single Syncope Unit, 186 pts with structural heart disease or abnormal ECG, 45 pts with carotid sinus syndrome and 47 pts undergoing only carotid sinus massage were excluded. Thus, we studied 524 pts with normal ECG, absence of heart disease and suspected neurally-mediated syncope. Of 524 pts, 243 pts (46%) were male (m) and 281 pts (54%) were female (f). The age at the first clinical evaluation (male pts: mean age 55±20, range 14-91, mode 65, median 60 yrs; female pts: mean age 54±20, range 13-87, mode 59, median 59 years; p=NS) and co-morbidities (hypertension: 31% m vs 34% f, p=NS; diabetes: 9% m vs 6% f; p=NS) were not significantly different between male and female pts. The median of syncope spells was 2 (range 1-50) in both groups, however female pts had more episodes of syncope prior to the first clinical evaluation (male pts: 2.9±2.7 vs female pts: 4.3±5.3, p=0.0001), more traumatic syncopal episodes (33% m vs 52% f, p=0.0001), major trauma (7% m vs 14% f, p=0.01) and fractures (6% m vs 13% f, p=0.004). The first onset of syncope occurred at younger age in female pts (mean age 48±22, mode 16, median 54 years) than in male pts (mean age 52±22, mode 38, median 57 years) (p=0.02), however the age distribution demonstrated 2 peaks at the ages of 15 to 25 years and older than 60 years in both groups. The range of duration of history of syncope at the first clinical evaluation was 3.1±8.6 years in male pts and 6.6±13.7 years in female pts (p=0.001). The clinical presentation of the first spontaneous episode was suggestive of typical vasovagal syncope in 58% of female pts and 45% of male pts (p=0.03), situational syncope in 16% male pts and 9% in female pts (p=0.04), atypical syncope in 40% of female pts and 33% of male pts (p=NS). Overlap phenomena in the clinical presentation of spontaneous syncope was noted more frequently in female pts (16%) than in male pts (8%) (p=0.04). During the follow-up (mean 38±29, median 28 months; 98% complete follow-up) 82 pts (39 m, 43 f) had recurrence of syncopal episodes (traumatic episode in 16 m and 24 f). Severe outcomes (myocardial infarction, heart failure, stroke) occurred in 42 pts (24 m, 18 f). Overall mortality was 4.9% (6.5% m, 3.5% f). Cumulative event-free curves were similar without significant differences between the two groups. In conclusion 1) before that female pts were referred to Syncope Unit for the first clinical evaluation, female pts were experiencing syncopal episodes at younger age, for longer periods of their lives and more episodes of syncope, most often with major trauma, than male pts; 2) gender difference was also noted regard to frequency of clinical presentation of the first syncope, most often typical vasovagal syncope in female pts and situational syncope in male pts; 3) on follow-up the clinical outcome was similar between the two groups. P99 GANGLIONATED PLEXI ABLATION IN RIGHT ATRIUM TO TREAT CARDIOINHIBITORY NEUROCARDIOGENIC SYNCOPE Marco Rebecchi1, Ermenegildo de Ruvo1, Luigi Sciarra1, Lucia De Luca1, Lorenzo Maria Zuccaro1, Alessandro Fagagnini1, Luigi Mattioli2, Fabrizio Guarracini1, Monia Minati1, Ernesto Lioy1, Stefano Strano2, Leonardo Calò1 1 Division of Cardiology, Policlinico Casilino, ASL RMB, Rome, 2Division of Cardiology, University “La Sapienza”, Rome Introduction. Clinical management of cardioinhibitory neurocardiogenic syncope (CNS) is often considered difficult especially in young patients with frequent refractory episodes also considering the problematic choice regarding an eventual pacemaker (PMK) implant. Considering that anatomical studies showed a significant number of ganglionated plexi (GP) in right atrium (RA), we hypothesized that transcatheter radiofrequency (RF) ablation of these selected areas could be an effective treatment to abolish or to reduce CNS episodes. Methods. A 31-year old female patient with frequent typical CNS over the last 2 years was referred to our center for PMK implant because a recent tilt-table test showed an asystole of 30 seconds. At admission, we decided to propose a vagal denervation strategy in RA, accepted by the patient. A fast anatomical mapping of RA was performed with CARTO 3. An extensive ablation approach at anatomical sites of GP was performed until atrial electrical activity was completely eliminated (<0.1 mV) and vagal reflexes (VR) disappeared. Heart rate variability (HRV) and tilt-table test evaluation was assessed at baseline, early after ablation and at 1, 3 and 6 month follow-up (FU). Results. A significant VR was observed during RF application in the area placed between superior vena cava and posterior surface of RA and in that between coronary sinus ostium and atrio-ventricular groove. Heart rate early increase after ablation (76 bpm) and remained higher than baseline (56 bpm) during the FU. Low (LF) and high frequencies (HF) significantly decreased early after ablation (LF/HF: 0.52) if compared with baseline (LF/HF: 1.67). A sympathetic tone predominance was observed during the FU. At 6 months the parasympathetic tone, despite an initial recovery showed at HRV, remained substantially reduced if compared with baseline. No symptoms occurred during the FU and tilt test controls resulted negative for CNS. Conclusion. Vagal denervation in RA could be considered an alternative strategy to reduce CNS episodes especially in young patients avoiding or delaying as much as possible PMK implant. A study including a greater number of patients and long term FU is necessary to understand the real efficacy of this procedure. 56S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P100 SINOATRIAL BLOCKS IN HYPERTHYROIDISM ASSOCIATED WITH SYNCOPE, TREATED WITH BETA-BLOCKERS. A CASE OF PARADOXICAL TREATMENT Ester Meles Dipartimento di Cardiologia, H.L. Mandic Merate, Merate (LC) Introduction. Hyperthyroidism is commonly associated with sinus tachycardia and atrial fibrillation. A less known complication of thyrotoxicosis is impaired atrioventricular conduction. Complete atrioventricular block complicating hyperthyroidism has generally been described in patients with additional risk factors such as infections, drugs or electrolyte imbalance. In a few, however, thyrotoxicosis was the only cause of atrioventricular block (1). Sporadic case reports have appeared in literature, not recently published, linking Graves’ disease with high degree (type one trough third degree) A-V block frequently accompanied by Morgagni Adams Stokes attacks. In these cases the absence of antecedent heart disease or additional complication factors, such as the assumption of drugs, is the common denominator. The return of normal AV conduction following treatment of the thyrotoxicosis is common (1- 8). Previous studies have reported that all cases returned to normal AV conduction within two weeks (6). We describe the case of a patient with thyrotoxic crisis in whom sinoatrial blocks were associated with syncope. Case report. A 52-year-old woman, without cardiac previous pathology, reached our Hospital after an episode of loss of consciousness, while she was sitting on the sofa. Visited in Emergency Room she presented two other testified episodes of syncope, with pallor and marked cardiac sinus bradycardia, followed by vomiting and subitaneous recovery of consciousness. In the second episode the patient was laying. The lady was hospitalized in Cardiology Division for observation. Two months before she had evidence of low levels of TSH, never investigated. The patient didn’t receive drugs at home. Both in Emergency Room and in the admittance of Cardiology Division the lung, the cardiac and the neurological objectivity was normal. Blood pressure was 130/70 mmHg. Heart rate 110 bpm sinusal. O2 Saturation 98%. At ECG there was only the presence of sinus tachycardia, 107 bpm. Immediately an echocardiogram was made which was normal, with hyperdynamic behaviour and reduced ventricular volumes. Blood exams and the thorax radiogram were normal. Continuously under telemetry were registered phases of sinus bradycardia alternate to sinus tachycardia. At first blood exams there were low levels of TSH (0.00), with high levels of FT3 (7.1 pg/ml) and of FT4 (4.1 ng/dl), high levels of Ab antithyreoperoxidasis (309 U/ml), normal levels of Ab anti thyreoglobulin (<20 U/ml) and high levels of PCR (normal on admission). From the second day after hospitalization was introduced treatment of the thyrotoxicosis (methimazole). The day after we registered a new syncope with subitaneous recovery of consciousness. At ECG there was a pause of 4 second duration. In the same day similar transient episodes of loss of consciousness were repeated, followed by nausea, with evidence of sinus bradycardia and no rilevable blood pressure at sphygmomanometer. In order to this fact a catheter for the rilevation of continuous invasive blood pressure was placed. Moreover massage of right and left carotid sinus was made without pathological signs. During the next hours a new syncope accompanied with a 9 second sinus pause were registered, while the patient were laying. The arrhythmic event wasn’t preceded by low blood pressure levels. In order to this new event was placed a temporary cardiac pacing. Subsequently no more syncopes, no more pauses at telemetry were registered. Instead there was a stable sinus tachycardia. Due to this fact therapy with beta-blockers (propranolol), starting with a dose of 40 mg for three times day, was introduced keeping the temporary pacing. A thyroid echography was made with evidence of normal dimensions, but irregular structure like pseudo-nodular, suggestive of thyroiditis. At the right lobe there were two hyperplastic nodules. No laterocervical adenopathies. Cancer markers were not pathological. In the subsequent days was gradually increased the dose of beta-blocker, for the control of heart rate, till the dose of 70 mg three times daily, in the absence of new episodes of bradycardia or sinus pauses. According to the clinical stability the patient was discharged with the programme of endocrinological deepening and check, without a permanent pacing. No more cardiological episodes were presented during thyrotoxicosis treatment at a clinical and practical follow up with Holter ECG done in the subsequent month, after discharge. Discussion. Hyperthyroidism has variable cardiac manifestation including hypertension, angina, heart failure, tachyarrhythmias, etc. Disturbances in the conduction are less common, but are potentially more serious (1,69). Several hypotheses have been proposed to explain these disturbances. Most observers have favored a direct effect of thyroxine, while others attributed this to infection, digitalis, beta-blockers or hypercalcemia (1,68). Our case had no accompanying infection, concurrent use of digitalis or hypercalcemia. Previously studies suggested the presence of hypervagotonia induced by hyperthyroidism. This mechanism could have been used to explain sino atrial blocks in our patient. Moreover a relatively recent study, published in 1998, studied the vagal cardiac activity in hyperthyroid patients (10). The conclusion of these experiments was that the cardiac vagal activity evalueted by means of the spectral analysis of respiratoryrelated heart rate oscillations is not altered in patients with hyperthyroidism. In fact to prove this conclusion there is the negative POSTER result of the vagal stimulation with the sino carotid massage done to our patient during hospitalization. It is, instead, important the rapid regression of sino atrial blocks with the use of beta blockers and with the consequent reduction of heart rate. This observation is not in favour to the hypothesis of a direct effect of hyperthyroidism on sino atrial node in consideration of the rapid regression of blocks after introduction of beta-blocker and considering the number of days necessary to normalize blood levels of TSH through thyrotoxicosis’ treatment. In fact in most patients symptoms of hyperthyroidism and circulating thyroid hormone levels return to normal levels within 4 to 8 weeks of initiating thionamide therapy. The onset of action of these drugs is slow because they block the biosynthesis rather than the release of thyroid hormones (11). We hypothesized that the mechanism that cause sino atrial blocks in hyperthyroidism could be the Bezold-Jarisch reflex, exalted by the likely long duration of tachycardia. This reflex originates in cardiac sensory receptors sited in left ventricle, particularly in the inferoposterior wall, with nonmyelinated vagal afferent pathways. In hyperthyroid women or in patients with sub-clinical hyperthyroidism were demonstrated structural cardiac changes on left ventricle: a reduction in end diastolic ventricular volume and a concentric hypertrophy, with an increased left ventricular mass index. These data suggest the presence of left ventricular diastolic dysfunction (9). In 1996 Biondi et al. demonstrated that in patients with acclaimed hyperthyroidism there is an increased left ventricular mass index caused by the growth of interventricular septum’s and posterior wall’s thickness (12). Stimulation of these receptors promotes bradycardia, vasodilation and hypotension reflexes. Reflexes originating from these receptors are important to the pathophysiology of many cardiovascular disorders we can observe during myocardial infarction and inferoposterior myocardial ischemia, vaso-vagal syncope, neurohumoral excitation in chronic heart failure, bradycardia and hypotension during coronary arteriography (13). Previous studies observed that pre treatment with oral beta blockers prevents the Bezold-Jarisch reflex, preventing tachycardia that preceding reflex stimulation and consequently bradycardia and hypotension up to syncope (14). On the other side there is a study demonstrating that the absence of tachycardia during head-up tilt test is predictive of beta-blockers therapy’s failure in patient with neurocardiogenic syncope (15). The hypothesis that, in thyreotoxicosis with sustained tachycardia, the BJ reflex was the cause of sino atrial blocks is sustained by their rapid and permanent regression after treatment with beta-blockers. This hypothesis wasn’t, by our knowledge, considered in previous studies and offers not only interesting pathophysiological, but also therapeutical suggests. In fact the patient wasn’t treated with permanent pacing. New ACC Guide Lines 2008 for implantable devices suggests to place a permanent pacing in symptomatic sinus arrest. Our case suggests that clinical behaviour, modulated to a single patient, even being far from common current directions, can allow us to avoid useless operations or treatments and can demonstrate to be the most correct. References 1 Kramer MR, Shilo S, Hershko C. Atrioventricular and sinoatrial block in tyrotoxic crisis. Heart J 1985;54:600-2. 2 Merkelen M. Accidents aigus dans le cours d’un goitre exopthalmique datant de six ans. Fievre, diarrhee, hyperesthesie generale. Intermittances prolongees du coeur suivies d’acces epileptiformes. Guerison des phenomenes aigus. Bull Soc Clin Paris 1882;5:53. 3 De Vries Reilingh, D.: Een zeldzame stoornis in de hartwerkzaamheid bij morbus Basedow. Ned. Tijdschr. Geneeskd. 1915;2:1425. 4 Eason J. Toxic goitre and some complications. Edinburgh Med J 1930;37:54. 5 Cameron JDS, and Hill IGW. Heart block in toxic goitre. A report of two cases. Edinburgh. Med J 1932;39: 37. 6 Miller RH, Corcoran FH, Baker WP. Second and third degree atrioventricular block with Graves’ disease. A case report. PACE 1908;3:702-11. 7 Eraker SA, Wickamasekaran R, Goldman S. Complete heart block with hyperthyroidism. JAMA 1978;239:1644-6. 8 Campus S, Rapelli A, Malvasi A, Satta A. Heart block and hyperthyroidism. Report of two cases. Arch Intern Med 1975;135:1091-5. 9 Donatelli M, Assennato P, Abbadi V, et al. Cardiac changes in sub-clinical and overt hyperthyroid women: retrospective study. Int J Cardiol 2003;90:159-64. 10 Pitzalis MV, Mastropasqua F, Massari F, et al. Assesment of cardiac vagal activity in patients with hyperthyroidism. Int J Cardiol 1998;64:145-51. 11 Endocrine Pharmacotherapy Module: thyroid Section, Spring, 2002. 12 Biondi B, Calmieri EA, Lombardi G, Fazio S. Effects of subclinical thyroid dysfunction on the heart. Ann Intern Med 2002;137:904-14. 13 Mark AL. The Bezold-Jarisch reflex revisited: clinical implications of inhibitory reflexes originating in the heart. J. Am Coll Cardiol 1983;1:90-102. 14 Cox MM, Perlman BA, Mayor MR, et al. Acute and long-term beta-adrenergic blockade for patients with neurocardiogenic syncope. J Am Coll Cardiol 1995;26:1293-8. 15 Leor J, Rotsteinz Z, Vered Z, Kaplinsky E, Truman S, Eldar M. Absence of tachycardia during tilt test predicts failure of beta-blocker therapy in patients with neurocardiogenic syncope. Am Heart J 1994;127:1539-43. 16 Coats AJ. Ethical authorship and publishing. Int J Cardiol 2009;131:149-50. P101 RELAZIONE TRA RECIDIVE DI FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE INDOTTE DA MASSAGGIO CARDIACO E SOPRAVVIVENZA IN PAZIENTI CON ARRESTO CARDIACO EXTRAOSPEDALIERO Daniela Aschieri1, Valentina Pelizzoni1, Giovanni Quinto Villani1, Stefano Ferraro1, Luca Rossi1, Enrica Bonibaldoni2, Antonio Cavanna2, Davide Toscani2, Alessandro Capucci3 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale G. da Saliceto, Piacenza, 2Servizio Emergenza Territoriale 118, Piacenza, 3Clinica di Cardiologia, Ospedale Torrette, Ancona Durante un arresto cardiaco con fibrillazione ventricolare, la defibrillazione efficace può essere seguita da recidive di fibrillazione ventricolare (rVF), spesso causate dal massaggio cardiaco. È ancora poco chiaro se le rVF possono influenzare la sopravvivenza. Scopo. Lo scopo dello studio è quello di determinare il rapporto fra rVF indotte da massaggio cardiaco (CC-rVF) e sopravvivenza da arresto cardiaco. Materiale e metodi. È stato condotto uno studio prospettico osservazionale sull’arresto cardiaco extraospedaliero nella città di Piacenza, dove è stato realizzato il primo progetto europeo di defibrillazione precoce. Le rVF sono state identificate analizzando gli ECG registrati dai defibrillatori semiautomatici o dai monitor-ECG utilizzati durante le manovre rianimatorie. Nel nostro studio l’analisi degli ECG è stata completata dalla valutazione delle registrazioni audio della voce dei soccorritori durante l’intervento per identificare l’esatto inizio del massaggio cardiaco e correlarlo con la reinduzione di fibrillazione. È stata valutata la percentuale di sopravvivenza senza danni neurologici ed il tempo medio dall’arrivo all’erogazione del primo shock in pazienti con e senza episodi di rVF. Risultati. Sono stati valutati per lo studio 160 pazienti (pts) consecutivi con traccia ECG di buona qualità. Fra i 160 pts, 96/160 pts hanno avuto almeno un episodio di rVF dopo il primo shock (60%): in particolare, 56/96 rVF (58%) erano CC-rVF e 40/96 rVF (42%) erano spontanee. 64/160 pts (40%) non hanno avuto episodi di rVF dopo il primo shock efficace; in questi, la sopravvivenza si è stata maggiore rispetto ai pts con episodi di rVF (27/64 (42%) vs 22/96 (23%); p<0.05. Il tempo di intervento era sovrapponibile nelle due popolazioni di pts: 7.1±4.1 min (pts con rVF) vs 6.8±4.6 min (pts senza episodi di rVF); p=ns. Conclusioni. Il massaggio cardiaco esterno induce rVF in una elevata percentuali di pts (60%) dopo il primo shock efficace. A parità di tempo di intervento, la sopravvivenza è maggiore nei pts senza episodi di rVF. Il potenziale effetto benefico del massaggio cardiaco può essere annullato dalla reinduzione di fibrillazione ventricolare che determina la necessità di erogare shock ripetuti con conseguenti danni al miocardio. P102 RISULTATI DELL’INDAGINE AUTOPTICA NEI PAZIENTI COLPITI DA MORTE CARDIACA IMPROVVISA: CAUSE SCATENANTI E PATOLOGIE SILENTI ALLA BASE DELL’ARRESTO Daniela Aschieri1, Valentina Pelizzoni1, Giovanni Quinto Villani1, Maurizio Arvedi2, Luca Rossi1, Antonio Cavanna2, Davide Toscani2, Stefano Nani2, Francesco Fontana3, Manuela Cassola3, Alessandro Capucci4 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale G. Da Saliceto, Piacenza, 2Servizio di Emergenza Territoriale 118, Piacenza, 3U.O. di Nefrologia, Ospedale G. Da Saliceto, Piacenza, 4Clinica di Cardiologia, Ospedale Torrette, Ancona Introduzione. La morte cardiaca improvvisa rappresenta la principale causa di morte nel mondo occidentale. La maggior parte dei casi di morte improvvisa è attribuibile all’infarto miocardico acuto o alla cardiomiopatia dilatativa. Tuttavia in circa l’8-9% dei casi viene utilizzata la definizione di “fibrillazione ventricolare idiopatica”, in quanto non si riesce ad identificarne l’eziologia. È stato condotto uno studio retrospettivo osservazionale sui casi di arresto cardiaco intra ed extraospedaliero nella provincia di Piacenza dove è attivo il progetto per l’espianto dei tessuti. Il sistema è coordinato dalla centrale operativa 118 che, dopo la notizia della constatazione di un decesso sul territorio o in ambiente ospedaliero, attiva il “progetto espianti”. Viene contattata la famiglia del paziente deceduto, e, in caso di volontà di donazione dei tessuti, la salma viene sottoposta ad autopsia per individuare l’idoneità alla donazione. Scopo. Individuare le cause di morte cardiaca improvvisa in pazienti con età <65 anni senza patologie note anamnesticamente. Metodi. Sono stati valutati 36 casi di morte improvvisa. Di questi 24/36 casi sono stati dichiarati morti per cause cardiache senza precedenti patologie anamnestiche. Questi pazienti sono stati sottoposti ad autopsia con studio microscopico del tessuto cardiaco. Risultati. 24/36 pazienti (22M; range età 31-65 anni; età media 45±15 anni) hanno avuto una morte improvvisa da cause cardiache. Il ritmo riscontrato all’arrivo dei soccorsi è stato una FV in 9 casi, una PEA in 2 casi e una asistolia in 14 casi. In 8/24 pazienti (41.7%) la causa di morte è stata un infarto miocardico acuto. In 1/24 casi un prolasso valvolare mitralico, in 1/24 casi una pericardite fibrino-emorragica, in 14/24 (60%) l’esame autoptico ha evidenziato la presenza di una cardiopatia dilatativa non nota (in 4/14 primitiva, in 10/14 secondaria a malattia coronarica. Il peso medio del cuore era 469±104 g. La causa determinante la morte è stata una trombo embolia polmonare in 1/14 casi, un infarto miocardico acuto in 8/14, un’insufficienza cardiaca acuta in 5/14 casi. Conclusioni. Dei 36 pazienti analizzati 24/36 non avevano patologie anamnestiche di cui 14/24 avevano una cardiopatia dilatativa primitiva o secondaria non nota. Un esame ecocardiografico di screening in pazienti G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 57S Scopo. Materiali e metodi. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO di età inferiore a 65 anni potrebbe individuare la presenza di una cardiopatia dilatativa silente che rappresenta la causa di arresto cardiaco nel 60% dei nostri casi. P103 PERDITA DI COSCIENZA TRANSITORIA E MORTE CARDIACA IMPROVVISA NEI GIOVANI: MODELLO DI SCREENING CARDIOLOGICO E FOLLOW-UP Francesco De Rosa, Vincenzo De Donato, Paola Mancuso, Carmine Carpino, Mario Chiatto, Salvatore Mazza 1 S.C. di Cardiologia, Centro Studio e Prevenzione MCI, P.O. “M. Santo”, A.O. di Cosenza Scopo della ricerca. Una perdita transitoria dello stato di coscienza in età giovanile può essere espressione di patologie cardiache misconosciute che espongono a rischio di morte cardiaca improvvisa (MCI). Il nostro Centro di Studio e Prevenzione della Morte Cardiaca Improvvisa, implementato nella nostra S.C., ha condotto per quattro anni consecutivi, in una popolazione scolastica delle Scuole Medie Superiori della nostra città, un’indagine conoscitiva sui casi di perdita di coscienza transitoria, al fine di stabilire frequenza e natura del sintomo e valutarne l’utilità clinica come spia di patologie cardiache misconosciute. Materiale e metodo. Nell’arco di 4 anni (2004-2008) un questionario, formulato per poter stabilire in anamnesi la presenza di perdita di coscienza transitoria e di MCI familiare, è stato somministrato a 1786 studenti (età compresa fra 14-18 aa) di 4 Istituti scolastici delle Scuole medie superiori della nostra città, in accordo con le autorità scolastiche. Il questionario prevedeva quattro domande a risposta multipla, con tempo medio di compilazione di 5 minuti, veniva distribuito all’ingresso e ritirato all’uscita degli studenti. Gli studenti che rispondevano positivamente alle due domande chiave venivano invitati presso il nostro Centro, previo consenso informato, per un inquadramento clinico preliminare (anamnesi, esame obbiettivo, ECG) e successivamente, a seconda del caso in esame, la valutazione poteva essere estesa ad ulteriori indagini strumentali quali ECG-dinamico di 24 h (con determinazione di HRV, dispersione intervallo QT, potenziali tardivi, TWA), ecocardiogramma mono-bidimensionale e color-doppler, Test ergometrico e Tilt-Test. Risultati. Il numero di risposte positive per perdita di coscienza transitoria è stato di 404 (22.9%), ma solo 300 studenti hanno accettato lo screening clinico. Non sono stati registrati casi di MCI familiare. Dei 300 soggetti studiati, solo 100 sono stati avviati al percorso diagnostico completo, mentre 200 ne sono stati esclusi, considerata la evidente natura benigna del sintomo (situazionale-neuromediata) e l’assenza di riscontri patologici alla valutazione clinica iniziale. Nei 100 studenti che hanno avuto una valutazione completa solo in 6 sono stati documentati elementi patologici alla fine del percorso diagnostico. In uno abbiamo riscontrato la presenza di una tachicardia ventricolare infundibolare ad andamento iterativo, mentre in 5 abbiamo diagnosticato delle sincopi vaso-vagali di tipo misto, che in un caso si è manifestata con convulsioni. Nel corso di un follow-up medio di 4 anni nessun paziente di quelli sottoposti a screening cardiologico ha avuto eventi avversi. Conclusioni. Una perdita transitoria di coscienza è un sintomo particolarmente frequente in età giovanile (22.9%), ma correlabile ad una condizione cardiovascolare patologica in un numero nettamente inferiore di casi (1.8%). Sulla scorta anche dei risultati del follow-up, ci sembra di poter affermare che il nostro protocollo di screening, imperniato sul sintomo sincope possa rappresentare un utile e clinicamente snello protocollo di screening per svelare o escludere condizioni cardiovascolari misconosciute e/o potenzialmente a rischio di MCI. P104 RUOLO DETERMINANTE DELL’ATTIVAZIONE DEL CODICE BLU NELLA SOPRAVVIVENZA DA ARRESTO CARDIACO. ESPERIENZA DI PIACENZA Daniela Aschieri1, Valentina Pelizzoni1, Enrica Bonibaldoni2, Giovanni Quinto Villani1, Antonio Cavanna2, Davide Toscani2, Stefano Ferraro1, Alessandro Capucci3 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale G. Da Saliceto, Piacenza, 2Servizio di Emergenza Territoriale 118, Piacenza, 3Clinica di Cardiologia, Ospedale Torrette, Ancona Introduzione. In caso di sospetto arresto cardiaco gli operatori della centrale 118 di Piacenza provvedono all’attivazione del “codice blu” che prevede l’invio di un mezzo di soccorso avanzato (118-ACLS), un’ambulanza di volontari (BLS-D) e di una pattuglia dotata di defibrillatore. I defibrillatori dal 1999 sono in dotazione alle auto di Carabinieri, Polizia di Stato e Polizia Municipale che percorrono le strade di Piacenza e provincia. Le pattuglie vengono allertate via radio dalla centrale 118 e si recano presso il luogo dell’arresto cardiaco applicando il defibrillatore (DAE). Il loro addestramento è basato unicamente sull’utilizzo del DAE senza manovre di RCP. Scopo. Confrontare la percentuale di sopravvivenza in caso di arresto codificato come codice blu rispetto a un arresto cardiaco non codificato come tale. Materiali e metodi. È stato condotto uno studio retrospettivo osservazionale su tutti i casi di arresto cardiaco nell’area urbana di Piacenza nel decennio 2000-2010 dove da sempre sono operative le pattuglie delle forze dell’ordine di Polizia di Stato, Polizia Municipale e Carabinieri. Tutti i pazienti colpiti da arresto cardiaco sono stati suddivisi in due gruppi: arresto con codice blu (gruppo A), arresto senza attivazione di codice blu (gruppo B). Per ogni paziente è stato valutato il tempo di intervento, il tipo di soccorritore e la sopravvivenza. 58S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Risultati. 2584 pazienti sono stati colpiti da arresto cardiaco a Piacenza e Provincia. Il codice blu è stato attivato in 423/2584 casi (16.3%). In Risultati. particolare 1130 casi di arresto cardiaco si sono verificati nell’area urbana. In 321/1130 casi (gruppo A) è stato attivato il codice blu (28.4%) mentre in 809/1130 casi (71.6%) non è stato attivato il codice blu (gruppo B). Nel gruppo A 166/321 casi (51.7%) hanno avuto operatori del 118 ACLS come first responders (tempo medio di intervento 6.5±2.3 min), 123/321 (38.3%) sono stati trattati per primi da un’ambulanza BLS-D (tempo medio 6.3±2.5 min) e 32/321 (10%) sono stati trattati da forze dell’ordine (tempo medio 4.6±1.2 min). La sopravvivenza è stata 6/166 pz trattati dal 118 ACLS (3.6%) e 7/123 pz trattati dalla ambulanze BLS-D (5.7%) e di 19/32 pz trattati dalle forze dell’ordine (59%) (6/166 vs 19/32%: p<0.05 e 7/123 vs 19/32%: p<0.05). Gruppo A Gruppo B 118 ACLS 6/166 (3.6%) 15/509 (3%) Ambulanza BLS-D 7/123 (5.7%) 11/300 (3.7%) Forze dell’ordine 19/32 (59%) NA Nel gruppo B 509/809 (63%) pz sono stati trattati per primi dal personale 118-ACLS (tempo di intervento 7.3±4.6 min) e 300/809 (37%) sono stati trattati dal personale delle ambulanze BLS-D (tempo di intervento 6.9±4.2 min). La sopravvivenza è stata di 15/509 pz (3%) trattati dal 118-ACLS e 11/300 pz trattati dai volontari delle ambulanze BLS-D (3.7%). Conclusioni. Il futuro dei sistemi di defibrillazione precoce si dovrebbe Conclusioni. basare sull’obbligatorietà dei defibrillatori semiautomatici sulle pattuglie delle forze dell’ordine coordinate dal 118 attraverso l’attivazione del Codice Blu. Il minore tempo di intervento delle pattuglie garantisce una maggiore sopravvivenza anche in assenza di addestramento alla RCP. P105 PROTOCOLLO DI STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO DI MCI NELLA PREECCITAZIONE VENTRICOLARE ASINTOMATICA: RISULTATI E FOLLOWUP Francesco De Rosa, Paola Mancuso, Carmine Carpino, Mario Chiatto, Vincenzo De Donato, Salvatore Mazza S.C. di Cardiologia, Centro Studio e Prevenzione MCI, P.O. “M. Santo”, A.O. di Cosenza Scopo della ricerca. La sindrome di WPW espone ad un rischio di morte improvvisa variabile a seconda delle casistiche (0.6-2.2%). Le attuali linee guida per i pazienti sintomatici propongono l’ablazione della via anomala, mentre per i pazienti asintomatici non indicano terapie specifiche. In questi pazienti è ancora dibattuto, considerato il suo carattere invasivo, il ruolo dello studio elettrofisiologico endocavitario per la stratificazione del rischio di MCI, ritenuto comunque non indicato dalle attuali linee guida. Noi abbiamo applicato un protocollo clinico che in aggiunta alla valutazione strumentale con gli abituali esami cardiologici di base, prevedeva uno studio elettrofisiologico trans-esofageo, ritenuto un utile punto di equilibrio per le informazioni che può fornire ed il suo grado di invasività, al fine di valutare la eventuale correlazione dei parametri ricavati dai diversi esami, ma in particolare di quelli forniti dallo studio elettrofisiologico trans-esofageo, con la comparsa di sintomi durante il periodo di follow-up. Materiale e metodo. Abbiamo studiato 19 pazienti (11M, 8F, età compresa fra 14 e 68 aa, media 35.6 aa), con riscontro di preeccitazione cardiaca tipo Kent, asintomatici. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un protocollo di valutazione che prevedeva ECG di base, ecocardiogramma, Holter di 24 h, Test ergometrico massimale e studio elettrofisiologico trans-esofageo. Il protocollo di stimolazione prevedeva una stimolazione atriale programmata con singolo e doppio extrastimolo a due livelli di ciclo base 600 msec e 500 msec. Il protocollo veniva interrotto in presenza di induzione di tachicardie parossistiche da rientro atrioventricolare. I parametri valutati sono stati i seguenti: persistenza o intermittenza della preeccitazione all’Holter, persistenza o scomparsa della preeccitazione all’acme dello sforzo, periodo refrattario effettivo della via anomala (PREVA), inducibilità di tachicardie parossistiche da rientro atrioventricolare (TRAV). Tutti i pazienti venivano poi inseriti in un follow-up a cadenza semestrale che prevedeva una registrazione Holter ed un Test ergometrico, insieme ad un ECG ed al rilievo di eventuali sintomi intervenuti. Risultati. L’esame Holter ha documentato una preeccitazione persistente in 6/19 pz, il Test ergometrico ha documentato una persistenza della preeccitazione in 7/19 pz, mentre lo studio elettrofisiologico ha fatto registrare un PRE medio di 327 msec (range 230 -600 msec) ma 4 pazienti presentavano un PRE <240 msec. In nessun caso abbiamo avuto inducibilità di TRAV (0/19). Durante un follow-up medio di 41.3 mesi (range 9-144 mesi). I pazienti sono rimasti asintomatici e non hanno mostrato variazioni significative ai controlli semestrali (Holter, test ergometrico). Conclusioni. L’analisi dei dati raccolti conferisce un ruolo preminente ai dati ricavati dallo studio elettrofisiologico transesofageo. Infatti abbiamo documentato una totale concordanza fra la non inducibilità di TRAV e la comparsa di sintomi. La durata del PREVA, viceversa, non ha mostrato una concordanza altrettanto stretta, considerato che 4 pazienti, sebbene rimasti asintomatici, avevano un valore ritenuto a rischio (<240 msec). Lo stesso vale per la persistenza della preeccitazione al test ergometrico ed all’esame Holter. Riteniamo dunque che lo studio elettrofisiologico transesofageo, con particolare riferimento alla non indicibilità di TRAV, possa rappresentare un utile esame nella stratificazione del rischio dei pazienti con preeccitazione cardiaca asintomatica, anche se attualmente non indicato dalle linee guida. POSTER P106 RELAZIONE TRA INTENSITÀ DEL MASSAGGIO CARDIACO, TEMPO DELLA SUA ESECUZIONE E RICORRENZA DI FIBRILLAZIONI VENTRICOLARI NELL’ARRESTO CARDIACO EXTRAOSPEDALIERO Daniela Aschieri1, Valentina Pelizzoni1, Giovanni Quinto Villani1, Stefano Ferraro1, Enrica Bonibaldoni2, Davide Toscani2, Antonio Cavanna2, Alessandro Capucci3 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale G. da Saliceto, Piacenza, 2 Servizio Emergenza Territoriale 118, Piacenza, 3Clinica di Cardiologia, Ospedale Torrette, Ancona Le manovre di rianimazione cardiopolmonare modificano negli anni in base alle linee guida internazionali. Le recenti linee guida 2010 stabiliscono che un buon massaggio cardiaco debba determinare un’escursione sternale di circa 6 cm con adeguato rilasciamento dopo ogni compressione. Il massaggio cardiaco può vicariare temporaneamente la funzione meccanica cardiaca con beneficio sulla emodinamica del circolo. Tuttavia pochi lavori hanno valutato l’effetto del massaggio cardiaco sull’attività elettrica del cuore, in particolare sulla re-induzione di fibrillazione ventricolare. Abbiamo condotto uno studio prospettico osservazionale sul trattamento dell’arresto cardiaco extraospedaliero nella provincia di Piacenza dove, nel 1999, venne realizzato il primo progetto europeo di defibrillazione precoce (Progetto Vita) in collaborazione con il Servizio di Emergenza Territoriale 118. Obiettivo. Lo scopo dello studio è stato quello di valutare la relazione tra l’intensità della compressione del torace, il tempo entro cui viene effettuata dopo lo shock e la re-induzione di fibrillazione ventricolare (rVF). Metodi. Le tracce elettrocardiografiche registrate dagli elettrodi del defibrillatore semiautomatico esterno (DAE Philips FR 1 e FR 2) durante la rianimazione sono state archiviate in un unico data-base e analizzate offline. L’intensità del massaggio cardiaco è stata valutata analizzando l’ampiezza degli artefatti rilevati sulla traccia ECG: un artefatto di ampiezza >3 mVolt corrisponde ad un massaggio cardiaco corretto mentre un artefatto di ampiezza <3 mVolt corrisponde ad un massaggio non corretto. Questa validazione è stata effettuata dopo avere messo in relazione la corrispondenza dei segnali di ECG registrati dal DAE con la profondità delle compressioni toraciche effettuate su 15 cadaveri utilizzando un apposito sensore che viene normalmente utilizzato per registrare la forza esercitata durante le esercitazioni sul manichino (CPRmeter Laerdal). Un massaggio corretto equivale sul monitor del sensore ad un segnale di ampiezza >38 mm e a cui corrisponde un artefatto ECG >3 mVolt. Un massaggio non corretto equivale sul monitor del sensore ad un segnale di ampiezza <38 mm a cui corrisponde un artefatto ECG <3 mVolt. Una rVF veniva considerata indotta dal massaggio quando, alla sospensione dello stesso, si evidenziava alla traccia ECG una rFV. Risultati. Abbiamo analizzato 160 pazienti con un totale di 288 episodi di massaggio cardiaco esterno post shock. In 206/288 casi (71.1%) il massaggio cardiaco induce una rVF. In particolare in 145/288 casi il massaggio cardiaco esterno eseguito correttamente e 143/288 casi il massaggio cardiaco non raggiungeva i criteri per essere considerato corretto. Una rVF veniva indotta in 125/145 casi (86%) di massaggio corretto abbiamo e in 81/143 casi (56%) di massaggio non corretto (p<0.05). In 227/288 casi il massaggio era eseguito entro 1 minuto dallo shock e in 61/288 casi dopo 1 minuto. L’incidenza di rVF era di 184/227 casi (81.8%) quando il massaggio era precoce rispetto a 2161 casi (34.4%) quando il massaggio era più tardivo (p<0.05). Conclusione. Il massaggio cardiaco esterno reinduce fibrillazione ventricolare in una alta percentuale di casi (71.1%). In particolare se le compressioni sono “corrette” ossia profonde ed effettuate entro un minuto dallo shock la probabilità di reindurre fibrillazione ventricolare è maggiore. Considerando che la presenza di rVF peggiora la prognosi dei pazienti le linee guida andrebbero rivalutate considerando anche l’aspetto “elettrico” e non solo “meccanico” del massaggio cardiaco effettuato dopo lo shock. P107 ARRESTO CARDIACO IPERCINETICO (FV) DA INGESTIONE ACCIDENTALE DI CLORAMINA Alessandra Moraca1, Marco Marini1, Salvatore Amoroso2, Alberto Gili1, Stefano Moretti1, Gian Piero Perna1 1 Cardiologia, Ospedali Riuniti Umberto I-Lancisi-Salesi, Ancona, 2 Farmacologia Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona Una donna di 77 anni veniva riferita al nostro ospedale dopo ingestione accidentale di cloramina (2.5 g di euclorina). Presentava familiarità per malattie cardiovascolari ed era in trattamento da anni con perindopril 5 mg/die. Durante l’osservazione a distanza di qualche ora dall’ospedalizzazione si verificava arresto cardiaco determinato da torsione di punta degenerata in fibrillazione ventricolare, documentata con ECG e trattata con DC shock. All’elettrocardiogramma d’ingresso in PS era presente ritmo sinusale con BBS (preesistente); all’ingresso in reparto era presente bradicardia sinusale (55 bpm) con un importante allungamento del QT (>0.6 sec) che si manteneva per 24 ore. Gli esami di laboratorio mostravano una riduzione modesta della kaliemia (3.3 mEq, in precedenza 3.8 mEq). All’ecocardiogramma eseguito dopo l’evento era evidente un’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro con una moderata riduzione della funzione sistolica globale per dissinergie parietali a carico del setto interventricolare anteriore da BBS. La coronarografia evidenziava una stenosi monovasale non critica a carico dell’IVA media. La paziente veniva dimessa in 7° giornata, dopo impianto di ICD. Conclusioni. In letteratura non sono descritti casi analoghi; due casi di ingestione accidentale di tosilcloramide catalogati c/o il Centro antiveleni di Roma hanno avuto esito fatale senza che sia stato possibile documentarne la causa. È possibile che la tosilcloramide possa avere avuto un effetto di richiamo intracellulare di ioni potassio per il blocco d’inattivazione dei canali rapidi del Na+, con conseguente iperpolarizzazione delle membrane cellulari, determinando una riduzione della kaliemia allungamento del QT favorendo l’innesco dell’aritmia ventricolare che abbiamo documentato. Questo potrebbe essere il meccanismo che ha causato il decesso negli unici altri 2 casi riportati. P108 IPOTERMIA TERAPEUTICA POST-ARRESTO CARDIACO Francesco Grossi, Andrea Sori, Pasquale Bernardo, Francesco Cappelli, Samuele Baldasseroni, Mery Zucchini, Cristina Giglioli, Gian Franco Gensini, Marco Chiostri, Serafina Valente Dipartimento Cuore e Vasi, Careggi, Firenze Introduzione. L’induzione di una ipotermia moderata (temperatura 34°C) nei pazienti rianimati dopo un arresto cardiaco è consigliata anche dalle più recenti linee guida. Nonostante ciò, sono ancora pochi i centri in Italia che adottano tale metodica. Materiali e metodi. Nel nostro centro l’ipotermia terapeutica viene indotta in tutti i pazienti rianimati da un arresto cardiaco che hanno indicazione. Nella fase pre-UTIC l’induzione dell’ipotermia viene effettuata mediante l’infusione di 1000-1500 cc di soluzione fisiologica raffreddata a 4°C. In UTIC l’ipotermia viene indotta mediante il sistema Alsius, con una temperatura target di 34°C ed una durata del mantenimento di 24 ore. Risultati. Nel 2009-2010 otto pazienti, rianimati dopo un arresto cardiocircolatorio extraospedaliero, sono stati trattati con ipotermia terapeutica. In tutti i casi si è trattato di uomini, età media 62.75 anni. Il primo ritmo di arresto cardiaco è stato in 7 casi una FV, in 1 caso una PEA. Le manovre rianimatorie avanzate sono iniziate dopo circa 10 minuti e mezzo, in 3 casi il BLS è stato iniziato in pochi minuti da soccorritori laici presenti sul posto. Il tempo intercorso tra l’ACR e il ROSC è stato mediamente di 24 minuti, ed il tempo dall’ACR all’inizio dell’ipotermia terapeutica è stato di poco superiore a 4 ore e 15 minuti. In 7 casi è stata eseguita la coronarografia che in 6 casi ha documentato la presenza di coronaropatia critica di almeno una coronaria. Il GCS al ROSC è stato mediamente fra 3 e 4; dopo 72 ore dal termine dell’ipotermia e della sedazione il GCS è stato in media di 7. Gli EEG eseguiti a 12 ore dal ROSC hanno dato prognosi non sfavorevole in 3 casi, sfavorevole in 3 casi, non diagnostica in 1 caso; i PES sono risultati presenti in 5 pazienti su 7. Sette pazienti su 8 sono sopravvissuti e dimessi dall’UTIC, la degenza media è stata di 29 giorni. Il Cerebral Performance Score (CPC) alla dimissione è stato di 1 in tre casi, di 2 in un caso, di 4 in tre casi; un paziente è deceduto in UTIC. Conclusioni. Dalla nostra iniziale esperienza l’ipotermia terapeutica è una metodica semplice, che può essere iniziata precocemente senza risorse aggiuntive e poi continuata con device più sofisticati in terapia intensiva. Malattie miocardiche e pericardiche P109 NEW ONSET LEFT BUNDLE BRANCH BLOCK INDEPENDENTLY PREDICTS LONG-TERM MORTALITY IN PATIENTS WITH IDIOPATHIC DILATED CARDIOMYOPATHY. DATA FROM TRIESTE HEART MUSCLE DISEASE REGISTRY Aneta Aleksova1, Cosimo Carriere1, Rita Belfiore1, Giulia Barbati1, Giancarlo Vitrella1, Massimo Zecchin1, Andrea Di Lenarda2, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste, 2Cardiovascular Center, Azienda per i Servizi Sanitari ASS1, Trieste Objectives. To evaluate the prevalence, incidence, and long-term prognostic implications of LBBB in patients with Idiopathic dilated cardiomyopathy (DCM) on optimal medical treatment with ACE inhibitors and beta blockers. Background. The data regarding and prognostic role of LBBB in pts with HF conflicting. Most of analyses specifically exploring this issue in patients with DCM are outdated. Methods. Were analyzed the data of 608 pts with DCM enrolled in the Heart Muscle Disease Registry of Trieste from January 1988 to December 2007. Results. One hundred eighty nine patients (31%) out of 608 patients with DCM had LBBB at baseline. During the median follow-up of 116 months (65-180 months) there were significantly higher total mortality rate among patients with LBBB at baseline when compared with patients without LBBB (p=0.007). However, LBBB at baseline was not independent predictor of mortality. Forty-seven patients (11.2%) developed new LBBB, 19 (40.4%) of them in the first year of follow-up. At multivariable analysis incident LBBB considered as time dependent variable was a strong and independent predictor of all-cause mortality (HR 2.89, 95% CI 1.7-4.8, p<0.001). Conclusions. LBBB is frequent among patients with DCM and its presence at baseline was not an independent marker of poorer survival. Incident G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 59S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO LBBB after two years and onward of optimal medical treatment with ACE inhibitors and beta blockers is independently associated with an adverse outcome. Thus, the management of these patients should be more aggressive and possibly include device therapy. P110 REST VERSUS PROVOKABLE OBSTRUCTION IN HYPERTROPHIC CARDIOMYOPATHY: DIFFERENT IMPACT ON CARDIOVASCULAR RESPONSE TO EXERCISE Federica Re1, Elisabetta Zachara1, Andrea Avella1, Pasquale Baratta1, Claudia Chialastri1, Francesco Musumeci2, Michele Di Mauro3, Maria Penco3, Claudio Tondo4 1 Cardiac Arrhythmia Center and Cardiomyopathies Unit, S. CamilloForlanini Hospital, Roma, 2Cardiac Surgery and Transplantation Center, S. Camillo-Forlanini Hospital, Roma, 3Cardiology, University of L’Aquila, L’Aquila, 4Centro Cardiologico IRCCS, University of Milan, Milano Objectives. The aim of the present study was to analyse the exertional behaviour of patients affected with hypertrophic cardiomyopathy (HCM) presenting different left ventricle (LV) obstructive profiles. Background. Most of HCM patients show a limited exercise tolerance. A correlation between exercise tolerance and diastolic dysfunction has been already demonstrated. On the contrary, the role of rest or exercise induced obstruction as determinant of exercise capacity is still open to debate. Methods. 37 consecutive patients with HCM (mean age 45±14 years, 25 males) underwent echocardiography during cardiopulmonary exercise testing (CPX). Non-invasive measurement of cardiac output was obtained with inert gas rebreathing system at the beginning and at the end of exercise. Results. 15 patients (41%) had neither resting nor provokable obstruction (group A: non-obstructive profile), 12 patients (32%) showed provokable obstruction during exercise (group B: latent-obstructive profile) and 10 patients (27%) presented obstruction at rest (group C: rest-obstructive profile). Group A and B showed a higher peak oxygen consumption in comparison with group C patients (24±6 and 23±6 vs 17±3 ml/kg/min; p=0.012) and a greater increment of cardiac index during exercise (6.6±1.3 and 6.0±1.4 vs 4.6±1.0 l/min/m2; p=0.002). Conclusions. In comparison with the rest-obstructive profile, latent- and non-obstructive HCM patients seem to share a similar exertional behaviour characterized by greater increment of cardiac index during exercise and a minor impairment of exercise tolerance. P111 PREVALENCE AND CLINICAL ROLE OF HYPERHOMOCYSTEINEMIA IN PATIENTS WITH HCM Rita Gravino, Giuseppe Limongelli, Francesco Natale, Claudia Concilio, Mario Iannaccone, Daniele Masarone, Teo Roselli, Alessandra Rea, Fabio Valente, Andrea Buono, Vittorio Pazzanese, Paolo Calabrò, Antonello D’Andrea, Giovanni Di Salvo, Maria Giovannna Russo, Giuseppe Pacileo, Raffaele Calabrò Dipartimento di Cardiologia, A.O. Monaldi-SUN, Napoli Background. Patients with hypertrophic cardiomyopathy (HC) have coronary microvascular and systemic vasomotor dysfunction, which is an important predictor of adverse left ventricular remodeling, systolic dysfunction, and mortality in these patients. Several studies have demonstrated that hyperhomocysteinemia (HHCY) is an independent risk factor for congestive heart failure; it is also correlated to the severity of the disease. The aim of our study is to explore homocysteine role in systemic vasomotor function and clinical outcome of patient affected by HC. Methods. We studied 95 consecutive patients (pts) affected by HCM (mean age at study was 38±18.1 years, 52 men) referred to us between January 2009 and December 2010. Pts underwent clinical examination, ecg, echocardiography, n-terminal pro brain peptide (NT-proBNP) plasma level dosage and homocysteine plasma level dosage. We divided our population into 2 subgroups: A group (homocysteine >20 μmol/L), B group (homocysteine <20 μmol/L). Furthermore conduit artery endotheliumdependent vasomotion was assessed with ultrasound by measuring flowmediated dilation (FMD) of the brachial artery in 35 pts (A group 7 pt; B group 18; Control group 10). Results. Hyperohomocysteinemia was present in 14 patients (15%). We found a significant increase of NT-proBNP in group A compared to group B (1666 ±2278 vs 621±964.77 pg/ml, p<0.02). In addition, we found an increased prevalence of heart failure hospitalizations (13 vs 2%, p<0.03), atrial fibrillation episodes (33 vs 14%, p<0.03), and heart transplantation (15 vs 0%, p<0.001). We also found a linear inverse correlation between the homocysteine plasma level and FMD (p<0.01), and a significant decrease of FMD in in group A compared with group B (6±5 vs 12±6%, p<0.05). By multiple comparison analysis, we found a significant difference of FMD between group A, B and control group (16.3±2.9% in control group; p<0.01). Conclusion. HHCY may play a role in systemic endothelial vasomotor dysfunction in pts with HCM. Of interest, HHCY may increase the risk of events in these pts. 60S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P112 ANALYSIS OF ALDOSTERONE PLASMA LEVELS IN PATIENTS WITH HCM Fabio Piazza, Giuseppe Limongelli, Daniele Masarone, Mario Iannaccone, Rita Gravino, Alessandra Rea, Cristina Capogrosso, Andrea Buono, Rossella Vastarella, Paolo Calabrò, Antonello D’Andrea, Giovanni Di Salvo, Maria Giovannna Russo, Giuseppe Pacileo, Raffaele Calabrò Dipartimento di Cardiologia, A.O. Monaldi-SUN, Napoli Background. Hypertrophic cardiomyopathy (HCM) is the commonest inherited heart condition, with a population prevalence of 1 in 500. Heart failure symptoms in HCM are caused by diastolic dysfunction and progressive left ventricular systolic impairment. Severe systolic heart failure (so called “end-stage” disease) develops in up to 10% of patients and is associated with a mortality rate of up to 11% per year. Recent studies indicate that myocardial fibrosis is the major determinant of poor ventricular performance in HCM. Animal studies suggest that aldosterone is an important stimulus for hypertrophic and fibrotic signals in HCM. The aim of our study was to evaluate the aldosterone potential role in patients affected by HCM. Methods. Between January 2008 and December 2010, 130 consecutive HCM patients (pts) (mean age at study was 40±17.7 years, 55% man) were referred to our division of cardiology. 40 pts were excluded because they were on therapy with drugs interfering with renin-angiotensinaldosterone system (ACE inhibitors, AT2 inhibitors, thiazide diuretics, loop diuretic and anti-aldosterone diuretics). The remaining 90 patients underwent clinical examination, ECG, echocardiography, pro brain natriuretic peptide (NT-proBNP) analysis, and plasma aldosterone dosage in supine position. Results. We divided the population into two subgroups: A group (aldosterone plasma level >300 pg/ml) and B group (aldosterone plasma level <300 pg/ml). Compared with group B, in group A we found an increased maximal wall thickness (19.7±5.1 vs 13.5±4.7 mm, p<0.05) and left ventricular end diastolic diameter (47.4±5 vs 44.4±5 mm, p<0.05) and an increased prevalence of left ventricular obstruction (75 vs 26%, p<0.04). In group A, we found an increased prevalence of end-stage evolution (19 vs 3%, p<0.01). We also found a significant difference between aldosterone and NT-proBNP plasma levels in end-stage HCM pts compared to non end stage HCM pts (aldosterone:179.6±110.8 vs 107±78 pg/ml, p<0.02; NT-proBNP 1309±1335 vs 413.11±687.63 pg/ml). Finally, we found a linear inverse correlation between plasma aldosterone and ejection fraction (p=0.06), and a linear direct correlation with left ventricular end diastolic diameter (p=0.06). Conclusion. As NT-proBNP, aldosterone may represent a new marker of disease severity in end-stage HCM patients. P113 ISCHEMIC STROKE AND APICAL ANEURYSM IN HYPERTROPHIC CARDIOMYOPATHY Luciano De Biase1, Alessandro Alonzo1, Giovanna Viola1, Carlo De Cecco2, Giuliano Tocci1, Massimo Ciavarella1, Massimo Volpe1 1 Cardiology, 2Radiology, University Sapienza, Rome One of the major causes of ischemic stroke is cardioembolism. Various mechanisms produce the formation of thrombus inside the heart. The most common is atrial fibrillation, but other noteworthy causes, even if less frequent, are left ventricular aneurysms. Usually apical aneurysm is a complication of an acute transmural Myocardial Infarction (MI) and it is described in less of 5% of the patients who experienced a STEMI. However very rarely it can be present in a subgroup of patients affected by hypertrophic cardiomyopathy (HCM). We present a case of a 66 year old woman who was referred for ischemic embolic stroke: the pt was affected by apical hypertrophic cardiomyopathy. An echocardiogram confirmed the diagnosis of HCM and a suspected little apical aneurysm was diagnosed. In order to confirm the diagnosis a cardiac magnetic resonance (CMR) was scheduled: this exam confirmed the presence of the aneurysm and images post gadolinium infusion showed an apical late enhancement (LE), corresponding to the aneurysm. A localized myocardial infarction was suspected. A coronary angiography didn’t show any vascular lesion. Among pts with HCM, the prevalence of patients with apical aneurysms in a representative cohort of 1300 assembled from two referral institutions was approximately 2% (29 patients): two distinctive LV morphologies were identified: an “hourglass” shape left ventricle with maximal wall thickness present in the midventricle and considerably less or no hypertrophy evident in the distal and proximal portions of LV walls and the second, less frequent, with apical left ventricular hypertrophy. In this study, over a follow-up period of 4.1±3.7 years, two patients experienced an embolic stroke and two others had a large thrombus within the aneurysm identified by CMR. The mechanisms responsible for the formation of apical aneurysm after anterior myocardial infarction and in HCM patients are very different. In the first case it represents a form of remodeling in an extended area of necrosis, while in second case it remains unresolved. Several causes have been accused, including increased LV wall stress as a result of midcavitary LV obstruction and elevated intracavitary systolic pressures, myocardial bridging of the left anterior descending coronary artery and genetic predisposition. In previous studies echocardiography identified only 57% of HCM patients with aneurysms, all of which were either medium or large. On the contrary POSTER CMR, with a greater spatial resolution, proves to be 100% sensitive in revealing aneurysms. In addition, patients with HCM may also develop atherosclerotic coronary artery disease (CAD). It is estimated that about 20% of adults affected by HCM have a coexistent CAD. These patients are at increased risk of death. Conclusioni. Nei pazienti con versamento pericardico importante o tamponante, la presenza di indici di flogosi negli esami ematochimici non è un criterio discriminante per le forme idiopatiche dalle neoplastiche. L’aspetto macroscopico, gli esami chimico-fisici e la quantità di liquido non sono risultati utili nella diagnosi differenziale, mentre l’esame citologico è risultato dirimente nei pazienti con versamento quale prima manifestazione della neoplasia. P114 RISCHIO DI EVOLUZIONE COSTRITTIVA DOPO PERICARDITE ACUTA Massimo Imazio1, Antonio Brucato2, Silvia Maestroni2, Davide Forno1, Davide Cumetti2, Silvia Ferro1, Laura Ravera1, Alessandra Chinaglia1, Enrico Cecchi1, Riccardo Belli1, Rita Trinchero1 1 Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Maria Vittoria, Torino, 2 Divisione di Medicina Interna, Ospedali Riuniti, Bergamo Introduzione. L’evoluzione costrittiva rappresenta una possibile complicanza della pericardite acuta, temuta sia dai pazienti che dai medici, soprattutto nei casi con mancata risposta alla terapia ed andamento recidivante. Tuttavia in letteratura non sono disponibili studi prospettici che abbiano valutato il rischio di tale evoluzione nella pericardite acuta, essendo pubblicate casiste retrospettive sui risultati dell’intervento di pericardiectomia. Scopo. Valutare in uno studio prospettico di coorte il rischio di evoluzione costrittiva dopo pericardite acuta in un follow-up di lungo termine. Metodi. Sono stati studiati prospetticamente 500 casi consecutivi di pericardite acuta (età media 51±16 anni, 270 maschi) dal gennaio 2000 al dicembre 2008. L’eziologia della pericardite acuta era rispettivamente: virale/idiopatica in 416 casi (83.2%), autoimmunitaria (sindromi postpericardiotomiche e collagenopatie) in 36 casi (7.2%), neoplastica in 25 casi (5.0%), tubercolare in 20 casi (4.0%), e purulenta in 3 casi (0.6%). Risultati. Dopo un follow-up medio di 60 mesi, l’evoluzione costrittiva si è verificata in 9 casi su 500 pazienti (1.8%): rispettivamente 2/416 pazienti con pericardite virale/idiopatica (0.48%) vs 7/84 pazienticon eziologia specifica (non virale/non-idiopatica; 8.3%; p<0.001). L’incidenza di pericardite costrittiva in rapporto all’eziologia della pericardite acuta iniziale è risultata: 2.8% per collagenopatie/sindromi postpericardiotomiche, 4.0% per pericardite neoplastica, 20% per pericardite tubercolare, e 33% per la pericardite purulenta. All’analisi multivariata sono risultati predittori indipendenti dell’evoluzione costrittiva: un decorso incessante (HR 4.45 IC 95% 1.1-18.4; p=0.039), un’eziologia non idiopatica//non-virale (HR 8.59 IC 95% 2.4-31.4; p=0.011), versamento pericardico grave (HR 6.26 IC 95% 1.6-23.9; p=0.007), e la mancata risposta alla terapia empirica antiinfiammatoria con aspirina o FANS dopo 1 settimana (HR 4.26 IC 95% 1.2-14.9; p=0.023). Conclusioni. La pericardite costrittiva è un’evoluzione relativamente rara dopo pericardite acuta idiopatica o virale (<0.5%), mentre diviene relativamente più comune per eziologie specifiche in particolar modo tubercolari o batteriche. Il rischio di costrizione è correlato all’eziologia, l’andamento incessante, la presenza di versamenti pericardici gravi, e la mancata risposta alla terapia antiinfiammatoria empirica e non al numero di recidive della pericardite. P115 L’ANALISI CHIMICO-FISICA DEL LIQUIDO PERICARDICO NELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEL VERSAMENTO PERICARDICO INFIAMMATORIO: QUALE UTILITÀ? Marzia De Biasio, Daniele Muser, Giorgio Morocutti, Sergio Terrazzino, Mauro Driussi, Pasquale Gianfagna, Claudio Fresco, Umberto Clapis, Alessandro Proclemer S.O.C. di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Udine Obiettivi. Scopo dello studio è individuare eventuali variabili dell’esame chimico-fisico per la distinzione del versamento pericardico idiopatico dal versamento associato a neoplasia maligna. Metodi. Sono stati inclusi i pazienti sottoposti a pericardiocentesi per tamponamento cardiaco o per definizione diagnostica di versamento importante, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2010; sono stati inclusi pazienti con versamento pericardico idiopatico e versamento pericardico neoplastico (sia quelli con neoplasia nota sia quelli in cui il versamento è stata la prima manifestazione della neoplasia) ed esclusi i pazienti con versamento post-infartuale e post-pericardiotomico. Risultati. Nel periodo compreso, 90 pazienti sono stati sottoposti a pericardiocentesi: 18 (20%) con pericardite idiopatica (età media 62 anni, sesso maschile 61%) e 31 (34%) con versamento pericardico neoplastico (età media 57 anni, sesso maschile 42%); le sedi primitive più frequenti della neoplasia sono risultate il polmone (61%) e la mammella (19%); in 9/31 pazienti (29%) la diagnosi di neoplasia maligna è stata formulata dopo l’esito del citologico del liquido pericardico (versamento pericardico come prima manifestazione della neoplasia). Non sono state riscontrate differenze statisticamente significative per quanto riguarda l’aumento degli indici di flogosi (leucocitosi e PCR) e nemmeno per il volume, l’aspetto macroscopico e gli esami chimico-fisici del liquido pericardico. Nei casi di versamento pericardico neoplastico quale prima manifestazione della neoplasia, l’aspetto macroscopico è più frequentemente emorragico e la quantità maggiore rispetto ai pazienti con neoplasia nota; l’esame citologico ha evidenziato atipie/cellule francamente neoplastiche nell’80% dei casi di versamento neoplastico; tra i due sottogruppi non sono emerse differenze significative per quanto riguarda la prognosi, che è infausta e significativamente peggiore rispetto ai versamenti idiopatici (sopravvivenza a 2 anni 10% versus 80%, p<0.0001). P116 CONSTRICTIVE PERICARDITIS: ETIOLOGY AND SURVIVAL AFTER PERICARDIECTOMY Diego Cugola1, Caterina Simon1, Attilio Iacovoni2, Salvatore Scialfa3, Livio Pellicioli4, Lorenzo Grazioli5, Anna Paola Callegaro6, Massimo Imazio7, Michele Senni1, Antonello Gavazzi2, Antonio Brucato3, Paolo Ferrazzi1 1 Cardiochirurgia, Ospedali Riuniti, Bergamo, 2Cardiologia, Ospedali Riuniti, Bergamo, 3Medicina Interna, Ospedali Riuniti, Bergamo, 4 Ospedali Riuniti, Bergamo, 5Dipartimento Anestesia e Rianimazione, Ospedali Riuniti, Bergamo, 6Microbiologia, Ospedali Riuniti, Bergamo, 7 Dipartimento di Cardiologia, Ospedale Maria Vittoria, Torino Objective. This study was designed to evaluate early and late results of total pericardiectomy of chronic constrictive pericarditis refractory to maximal medical treatment. Design. We reviewed the records of 27 patients with constrictive pericarditis who underwent surgical treatment between January 1996 and June 2010. Results. The mean age was 57 years (range 31 to 76). There were 17 males (62.9%) and 10 females (37%). Most procedures (70.3%) were performed off-pump. Idiopathic was the most frequent cause (12 pts, 44.4%) followed by tuberculosis (5 pts,18.5%), prior cardiac surgery (5 pts, 18.5%) and radiation treatment (5 pts, 18.5%). One patient died in hospital (3.7%). Intensive care unit mean time was 5±8 days. The median hospital stay was 22±20 days. Preoperatively 37% patients were in NYHA II and 59.2% in Class III-IV. Postoperatively 40% were in Class I, 56% in Class II, 4% in Class III and no one in Class IV. Median follow-up among survivors was of 4.8 years (range 0.08 to 14 years). There were 2 perioperative cardiac deaths and, at follow-up, 2 embolic events and 1 cancer recurrence (3.8% patients/years) with a cumulative actuarial survival probability at 10 years of 70.2%. 6-year Kaplan-Meier survival was 100%, 52%, 38% and 38% respectively for tuberculosis, idiopathic causes, radiation treatment and prior cardiac surgery. Conclusions. Pericardiectomy is an effective treatment of symptomatic chronic constrictive pericarditis. It provides an important and durable improvement in symptoms and functional class, especially in patients with idiopathic and tuberculosis etiologies. P117 IL QT CORRETTO COME PREDITTORE DI EVENTI SINCOPALI NEI PAZIENTI ADULTI AFFETTI DA CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA NON OSTRUTTIVA Riccardo Morgagni1, Ambrogio Capria2, Lorenzo Santucci2, Lorenzo Zerillo1, Massimiliano Macrini1, Sara Verbena1, Ilaria Cazzoli1, Francesco Romeo1 1 Cardiologia, 2Medicina Interna, Policlinico Universitario Tor Vergata, Roma Introduzione. La cardiomiopatia Ipertrofica (HCM) è una malattia primitiva miocardica caratterizzata da un aumentato spessore del muscolo cardiaco e da una riduzione della compliance ventricolare. Rappresenta la più frequente causa di morte improvvisa nei giovani e negli atleti nel mondo. La presenza di episodi sincopali incrementa il rischio di morte improvvisa prevalentemente nei soggetti giovani e con familiarità per morte improvvisa. Dai dati in letteratura è di frequente riscontro l’allungamento del QT all’ECG che si ritiene correlato ad un adattamento funzionale che porta ad un prolungamento del potenziale d’azione sostenuto dalla diminuzione di attività delle correnti ripolarizzanti in fase 3, in particolare IKs. Metodi. 26 pazienti affetti da HCM non ostruttiva, di ambo i sessi di età >40 anni (età media 58±16 anni) sono stati sottoposti mensilmente a visita cardiologica, ECG a 12 derivazioni, ecocardiogramma c/D e ed ECG Holter delle 24 ore. Sono stati valutati all’anamnesi episodi sincopali, intendendo per sincope il riscontro di transitoria perdita di coscienza con recupero immediato in assenza di cause secondarie (metaboliche, ischemiche, neurologiche). La diagnosi di HCM è stata confermata con la dimostrazione ecocardiografica di anormale spessore della parete del ventricolo sinistro in telediastole >7 mm2 o Z-score >2 per BSA <1.3, in assenza di altre cause di ipertrofia. Il QTc è stato calcolato mediante formula di Bazett. La valutazione dei risultati strumentali alla prima visita è stata correlata con l’insorgenza o meno di eventi sincopali nel successivo periodo di follow-up (15±2 mesi). Le variabili continue osservate all’arruolamento sono state valutate con test T di Student a due code; variabili categoriche e distribuzioni di frequenze sono state analizzate con il test del chi quadro. Risultati. Di tutti e 26 pazienti, 11 hanno avuto un evento sincopale durante il periodo di follow-up, mentre nei restanti 15 non c’è stata evidenza di alcun evento. Gli 11 pazienti con sincope avevano un’età media di 58.5±16.63 anni, 4 pazienti (4/11) erano portatori di pace-maker. I pazienti senza storia di evento sincopale erano sovrapponibili per età (età media 58.15±15.32) e per diffusione dei sessi al primo gruppo di G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 61S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO pazienti. In nessuno dei Pazienti con eventi sincopali sono stati documentati eventi aritmici. Dal punto di vista statistico dai risultati è emerso che i dati più evidenti che correlano con gli episodi sincopali (p=0.02) sono la maggiore durata del QTc e la familiarità per HCM. Dal punto di vista ecocardiografico gli spessori parietali non sembrano incidere sugli eventi sincopali. Conclusioni. Lo studio preliminare effettuato mostra una correlazione statisticamente significativa tra QTc ed episodi sincopali in Pazienti con HCM ed età >40 anni in assenza di aritmie documentate all’ECG Holter. Il monitoraggio continuo iniziato su questi pazienti potrà aiutare a dimostrare il valore predittivo del QTc indipendentemente dalla presenza di aritmie ventricolari documentabili. P118 EVOLUZIONE DEL FENOTIPO IN UNA FAMIGLIA CON ALTERAZIONE DEL GENE PER LA LAMINA (LMNA) A/C AD ESORDIO SELETTIVAMENTE CARDIACO N. Carboni1, I. Manca2, P.P. Orrù2, M. Corda2, G. Giardina2, G. Scorcu2, M. Marrosu1, M. Porcu2 1 Unità Neuromuscolare, Centro Sclerosi Multipla, Università degli Studi, Cagliari, 2S.C. di Cardiologia, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari Premessa. Le lamine di tipo A e C sono filamenti intermedi localizzati a livello della parte interna della membrana nucleare, implicati in molteplici funzioni fondamentali del nucleo. Il gene LMNA codifica per queste proteine ed è localizzato sul cromosoma 1q21-22. Alterazioni a carico di questo gene sono associate a numerosi quadri clinici tra cui distrofie muscolari, cardiomiopatia dilatativa con difetti di conduzione, disturbi isolati del ritmo cardiaco, neuropatie periferiche assonali, lipodistrofie, sindromi da invecchiamento precoce, displasia mandibolo-acrale. Sono già stati descritti sindromi da sovrapposizione, ottenute dalla presenza nello stesso individuo di diversi quadri clinici. Analisi genetica ed evoluzione del fenotipo. Questa osservazione descrive l’evoluzione negli anni di un nuovo fenotipo, identificato in una famiglia i cui soggetti risultano portatori della mutazione in eterozigosi c.178 C/G, p.Arg 60 Gly a carico dell’esone 1 del gene LMNA. Le valutazioni cliniche e cardiologiche seriate sono state condotte per un periodo minimo di 10 e massimo di 20 anni. All’esordio, quattro soggetti adulti affetti presentavano un fenotipo bradiaritmico che richiese l’impianto di pacemaker. Tre di questi pazienti manifestavano anche una cardiomiopatia dilatativa evoluta in scompenso cardiaco end-stage, con necessità di trapianto cardiaco, associata a comparsa di lipodistrofia tardiva. Uno di questi soggetti è deceduto precocemente per complicazioni postoperatorie. Entrambi i due soggetti trapiantati sopravvissuti a lungo termine hanno successivamente presentato diabete e neuropatia periferica assonale distale. Conclusioni. Questo studio longitudinale mostra come la mutazione c.178 C/G, p.Arg 60 Gly a carico dell’esone 1 del gene LMNA sia associata ad un fenotipo non descritto precedentemente, caratterizzato da compromissione cardiaca con lipodistrofia tardiva, diabete e neuropatia periferica assonale. P119 THE PROGNOSTIC ROLE OF ECHOCARDIOGRAPHY DURING FOLLOW-UP IN CARDIAC AMYLOIDOSIS Gherardo Finocchiaro1, Marco Merlo1, Elena Santarossa1, Sara Doimo1, Giulia Barbati2, Adriana Magagnin1, Marco Anzini1, Andrea Di Lenarda3, Bruno Pinamonti1, Rossanna Bussani4, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padua, 3Cardiovascular Center, ASS 1, Trieste, 4Department of Morbid Anatomy, Trieste Aim. To assess the prognostic impact of heart response in term of concentric reverse remodelling (CRR) and the role of developing or persisting left ventricular restrictive pattern (RFP) at Doppler evaluation in a population of cardiac amyloidosis. Methods and results. We retrospectively evaluated a series of 25 patients (69% males, mean age 63±12 years) with a bioptic diagnosis of systemic amyloidosis and cardiac involvement (documented at echocardiography). Patients were studied at diagnosis and performed a second echocardiogram after a mean follow-up of 17.4±19.8 months. We defined CRR as a decrease of interventricular septal thickness ≥2 mm. At diagnosis, the mean IV septum thickness was 16 ± 4 mm, and 31% presented RFP at Doppler evaluation. At the second echocardiogram 6 patients (24%) showed CRR, 4 patients (16%) developed a RFP and 7 patients (28%) maintained a RFP. During a mean follow-up of 24±22 months 16 patients (64%) died; survival rates were 83 vs 29% in patients with CRR vs the others, respectively (p=0.019). Concerning RFP, survival rates were significantly different in patients who presented persisting RFP, vs the ones who developed RFP, and those without RFP during follow-up (14 vs 25 vs 57%, respectively: p=0.017). Conclusions. The prognosis of cardiac amyloidosis is confirmed as severe in the short time. The absence of CRR and persistence or development of RFP during follow-up emerged as markers of worse prognosis in the midterm. In cardiac amyloidosis echocardiography has not only a diagnostic role, but also an important prognostic role during follow-up. 62S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P120 ROTATIONAL MECHANICS OF THE LEFT VENTRICLE IN AL AMYLOIDOSIS Francesco Cappelli1, Federico Perfetto2, Franco Bergesio2, Maria Cristina Porciani3, Luigi Padeletti3, Serafina Valente1, Gian Franco Gensini3 1 Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze, 2 Centro di Riferimento Toscano per lo Studio dell’Amiloidosi, Firenze, 3 Dipartimento Cuore e Vasi, Università degli Studi, Firenze The aim of this study was to investigate whether in patients with systemic AL amyloidosis alterations in left ventricular (LV) twisting and untwisting motion could be induced by cardiac involvement. Methods and results. Forty-five patients with AL amyloidosis and 26 control subjects were evaluated. After a standard echocardiographic measurement, using 2D speckle tracking echocardiography LV rotation at both basal and apical planes, twisting, twisting rate, untwisting rate and longitudinal strain were measured. The early diastolic peak velocity (tissue Doppler imaging) at septal mitral annulus (E’) was also evaluated. Among the 45 patients with systemic amyloidosis 26 were classified as having cardiac amyloidosis (CA) if the mean value LV wall thickness was ≥12 mm or not (NCA) if this criterion was not satisfied. NCA patients had the highest degree of both LV twist and untwisting rate; twisting was similar in control and CA groups, while untwisting rate was lower in CA than in control group. Longitudinal strain was lower in CA than in NCA and control and similar in NCA and control groups. In NCA patients E’ value was lower than in control group and higher than in CA patients. E’ cm/s LongSt % Rotbase Degrees Rotapex Degrees LV Twist Degrees LV twistSyst time% LV Twist rate °/s Untwist rate °/s LVuntwistdiast time% Control Group 9.1±2.2 -19.1±2.5 -6.7±2.9 5.2±3.7 10±4 96.1±12.9 73.9±25.2 -81.5±34.1£ 20.3±11.4£ NCA Group 7.6±2.1** -18.3±4.8 -8.5±3.2* 6.9±4.1 13.3±5.7*** 94.2±31.6 94.2±31.6** -102.8±25.1* 30.1±15.7 CA Group 4.6±1.1& -11.1±5.1& -4±4.4§ 5±2.4 8.1±3.9 $ 92.8±14.8 68.3±27.9 -60.7±27.5 32.4±17.8 p <0.0001 <0.0001 <0.0001 NS <0.001 NS <0.01 <0.0001 <0.05 &p<0.0001 CA vs others; *p<0.0001 NCA VS CA; £p<0.05 control vs others;§ p<0.05 CA vs control; p<0.01 CA vs NCA; **p<0.05 NCA vs others; ***p<0.05 NCA vs control. Conclusions. Both twisting and untwisting motions were increased in NCA and reduced in CA patients. This suggests that early in the disease, the impaired LV relaxation induces a compensatory mechanism that fails in more advanced stage of the disease where both twisting and untwisting rate are reduced. P121 PROGNOSTIC ROLE OF PULMONARY HYPERTENSION AT ECHO-DOPPLER EVALUATION IN CARDIAC AMYLOIDOSIS Gherardo Finocchiaro1, Marco Merlo1, Elena Santarossa1, Sara Doimo1, Sara Santangelo1, Giulia Barbati2, Andrea Di Lenarda3, Bruno Pinamonti1, Rossana Bussani4, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padua, 3Cardiovascular Center, ASS 1, Trieste, 4Department of Pathologic Anatomy, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste Aim. To assess the prognostic impact of pulmonary hypertension at echoDoppler evaluation in a population of cardiac amyloidosis. POSTER Methods and results. We retrospectively evaluated a series of 50 patients (66% males, mean age 64±12 years, NYHA III-IV 44%, left ventricular (LV) systolic dysfunction 18%, significant mitral regurgitation 10%, significant tricuspid regurgitation 16%) with a bioptic diagnosis of systemic amyloidosis and cardiac involvement documented at echocardiography, consecutively observed in our Department from 1991 to 2009. All patients performed a complete clinical and echo-DopplerP123 evaluation. Our population was divided in 2 groups: group 1, patients with pulmonary ARTERIO-VENOUS hypertension (PH) (pulmonary artery systolic pressure (PAPs) ≥34 mmHg (19 patients/38%) and group 2, patients without PH (PAPs <34 mmHg: 31 patients/62%). No differences about severity of heart failure (NYHA IIIIV), degree of LV wall thickening and frequency of diastolic and systolic LV dysfunction were observed between the two groups. Patients with PH showed more frequently significant mitral (21 vs 3%, p=0.04) and tricuspid Introduction. (35 vs 4%, p=0.006) regurgitation and right ventricular dysfunction (53 vs 16%, p=0.006). During a mean follow-up of 26±31 months 33 patients (66%) died; survival rates were 16 vs 45% in group Case 1 andreport. in group 2, respectively (p=0.036). Conclusions. PH detected at echo-Doppler evaluation at diagnosis is relatively frequent in cardiac amyloidosis. Its presence appears unrelated to systolic and diastolic LV dysfunction and identifies a subgroup of patients with a particularly poor prognosis. P122 RISOLUZIONE DI UN QUADRO DI CARDIOMIOPATIA PERIPARTUM MEDIANTE INIBIZIONE DELLA SECREZIONE DI PROLATTINA: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO Sebastiano Belletti, Stefano Lucreziotti, Laura Bosotti, Laura Massironi, Federico Lombardi Cardiologia, DMCO, Università degli Studi, A.O. San Paolo, Milano Introduzione. La cardiomiopatia peripartum (CMPP) è una forma di cardiomiopatia relativamente rara che si verifica nell’ultimo mese di gravidanza o nei primi 5 mesi dopo il parto, con eziopatogenesi non definita. Recenti evidenze suggeriscono che un peptide di degradazione della prolattina di 16 kDa possa indurre danno miocardico. Riportiamo la descrizione di un caso di CMPP evoluta favorevolmente dopo l’aggiunta Conclusion. di cabergolina, un inibitore della secrezione di prolattina, alla terapia standard per lo scompenso cardiaco. Caso clinico. Una donna di 39 anni, di razza caucasica, è stata ricoverata nella nostra unità coronarica con un quadro di grave insufficienza ventricolare sinistra. Trentatre giorni prima aveva partorito un bambino sano, dopo una 3a gravidanza non complicata. L’ECG mostrava una tachicardia sinusale 120 b/min con onde T negative in sede anterolaterale. L’ecocardiogramma mostrava una diffusa ipocinesia del ventricolo sinistro con FE 35%, insufficienza mitralica lieve-moderata e dilatazione biatriale. Agli esami ematici erano presenti modeste alterazioni della funzione epatica, mentre nella norma risultavano la funzione renale, il quadro elettrolitico e l’esame emocromocitometrico. I marcatori miocardici risultavano negativi, mentre il NT-proBNP e la PCR erano marcatamente elevati (18 129 pg/ml e 67 mg/l, rispettivamente). Veniva iniziata terapia con beta-bloccante, ACE-I, diuretici, anti-aldosteronico; in seconda giornata veniva aggiunta terapia con digitale e anticoagulanti per la comparsa di FA, mentre in terza giornata veniva aggiunta cabergolina 0.5 mg/die. La paziente manifestava un significativo miglioramento delle condizioni cliniche e della cinesi ventricolare segmentaria e globale (FE 50%). Il NT-proBNP in dimissione era 2026 pg/ml, mentre la PCR era 6 mg/l. La RMN cardiaca con gadolinio (late-enhancement) non evidenziava alcuna patologia a carico del miocardio. La terapia con cabergolina veniva interrotta dopo 2 mesi. A distanza di 4 mesi dalla dimissione veniva ripristinato il ritmo sinusale mediante cardioversione elettrica esterna. Il controllo ecocardiografico confermava una normale FE (>50%) e un valore di NT-proBNP ulteriormente ridotto (1716 pg/ml). Discussione. Malgrado i progressi nella terapia dello scompenso cardiaco e l’elevata percentuale di guarigioni spontanee, la CMPP rimane una patologia grave e potenzialmente letale. L’eziologia è tuttora sconosciuta e, tra i vari meccanismi patogenetici proposti (infiammazione, infezione virale, attivazione immunitaria anomala per chimerismo fetale, apoptosi), è emerso recentemente il ruolo di un prodotto di degradazione della prolattina, con proprietà antiangiogeniche e proapoptotiche. Alcuni case report e un singolo studio randomizzato, che hanno testato i farmaci inibitori della prolattina in donne affette da CMPP, hanno dimostrato un effetto benefico di questa classe di farmaci sull’evoluzione della malattia. Tuttavia, questi risultati devono essere interpretati con cautela perché derivano da popolazioni poco numerose e perché il blocco della prolattina nel periodo peripartum può avere effetti deleteri. In conclusione, il presente caso clinico rappresenta un’ulteriore evidenza a favore dei farmaci inibitori della prolattina nelle CMPP, ma è evidente che, in considerazione della scarsità di dati a nostra disposizione, sono necessari ampi studi randomizzati che confermino l’efficacia di questa classe di farmaci in questo contesto. Cardiologia pediatrica e cardiopatie congenite P123 ARTERIO-VENOUS OR GIANT CORONARY ARTERY ANEURYSM? CardiologiaFISTULA pediatrica e cardiopatie congenite THIS IS THE MATTER Giulia Russo1, Giorgio Faganello1, Manuel Belgrano2, Lorenzo Pagnan2, Giancarlo Vitrella3, Serena Rakar3, Maria Assunta Cova2, 3 1 FISTULA OR GIANT CORONARY ARTERY ANEURYSM? THIS IS THE MATTER Gianfranco Sinagra , Andrea Di Lenarda 1 Centro Cardiovascolare, ASS1 Triestina, Trieste, 2Dipartimento Diagnostica per Immagini, Ospedale Riuniti, Trieste, 3Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti, Trieste Introduction. Coronary arterio-venous fistula and giant coronary aneurysm are quite uncommon and often the two lesions are together. Case report. A 40-year-old man has been followed for 20 years by our Center for an arterio-venous fistula diagnosed at the age of five years by cardiac catheterization in 1974 (in presence of continuous murmur since birth). As he was completely asymptomatic, he was lost to follow-up until March 2010, when he was referred to our Center for a cardiologic evaluation required for as he felt prolonged (some hours), paroxysmal palpitations after an intensive exercise, without any other symptoms as dyspnea or syncope. At the examination, he was in sinus rhythm, with 85 cardiac beats, no signs of congestive heart failure and only a light systolic murmur was heard on the basis. Electrocardiogram was normal except for some ventricular ectopic beats. A transthoracic echocardiogram did not show an intracardiac shunt, but only a dilatation of right coronary (fig. 1). Transesophageal echocardiogram confirmed the presence of a large dilatation at the ostium of the right coronary and the presence of a cavity between the right coronary and the inlet of right ventricle. Previously described intracardiac shunt was not visible. Cardiac catheterization was refused by the patient. At cardiac magnetic resonance: right and left ventricles had normal size and cardiac function, the right coronary was ectasic at the ostium with a tortuous course that finishes in an aneurysmal formation in which it disappears. At coronary computed tomography angiography there was no visible shunt between the aneurysmal formation and the right ventricle and no course of the right coronary artery was visible after the new formation (fig. 2). Conclusion. This congenital heart disease is rare in young patients and generally asymptomatic as in our case, probably because the limited shunt flow. Differently from the symptomatic forms where there is an indication to surgical correction, the management of the asymptomatic patients is still controversial, and there are no clinical algorithms even if the imaging techniques are helpful in diagnosis and follow-up. So which is the future for this 40-year-old man? P124 CLINICAL FINDINGS AND NATURAL HISTORY OF ATRIOVENTRICULAR CONDUCTION BLOCK DURING PREGNANCY G. Faganello1, G. Russo1, A. Di Lenarda1, A. Benettoni2, E. Berton2, R. Thaman3, M.S. Turner3, R. Martin3, J. Trinder3, S. Sellars3, A.G. Stuart3 1 Centro Cardiovascolare, ASS1 Triestina, Trieste, 2IRCCS Burlo Garofolo, Trieste, 3Adult Congenital Heart Unit, Bristol Royal Infirmary, Bristol, UK Background. The natural history and outcome of pregnancy in patients with atrioventricular (AV) heart conduction block is unknown with only a few case reports published. Methods. Between 1998 and 2008, 19 women (25 pregnancies), with previously treated or new onset of heart rhythm disorders, were referred G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 63S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO at the Bristol Royal Infirmary (UK). All patients were evaluated at regular intervals with ECG, echocardiography and 24 hour Holter. Results. Study population’s median age was 26 years. Eleven patients had normal structural heart, three patients had surgically operated complex congenital heart disease, one patient had arrhythmogenic right ventricular dysplasia, two patients were previously treated with radiofrequency ablation for fascicular tachycardia and Wolff-ParkinsonWhite syndrome, one patient had dilated cardiomyopathy, and only one patient had known left ventricular dysfunction. No patient had atrial tachyarrhythmias. We divided population into three groups. 1) Patients presenting for the first time during pregnancy with conduction disorder: 5 women (5 pregnancies). 2) Patients with previously diagnosed heart conduction disorder (first degree and intermittent Mobitz type II AV block) not treated with pacing: 3 women (5 pregnancies). 3) Patients with known AV block with a pacemaker implanted prior to pregnancy: 11 women (16 pregnancies). During pregnancy two out of five patients of the first group had implanted pacemaker (PM) for permanent complete heart block (CHD) and significant pauses while one had an intermittent Wenkeback, 2:1 that developed into intermittent CHD not requiring PM implantation. In patients of second and third group there were no significant heart rhythm changes or complications as a result of the PM. For obstetric reasons, delivery by caesarean section was in four pregnancies. Three deliveries were augmented because of a change in AV block disease, bradycardia or prolonged pauses. No left ventricular dysfunction was detected in the follow-up. Conclusions. AV block in pregnancy is progressive whereas pacing is usually not required. In those patients that presented with AV conduction block for the first time during pregnancy, the severity of AV conduction block appeared to increase during the course of pregnancy. All patients should be closely monitored during and after pregnancy. P125 LO STRESS GENITORIALE NELLE CARDIOPATIE CONGENITE Sabrina Montis, Roberto Tumbarello Cardiologia Pediatrica, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari Premessa. La diagnosi di una cardiopatia congenita è un’esperienza drammatica non solo per il bambino, ma anche per i suoi genitori. Avere un figlio cardiopatico, infatti, significa affrontare un percorso di vita difficile nel quale farsi carico di tutte le cure di cui il piccolo ha bisogno e dello stress emotivo e della sofferenza che tutto ciò comporta. Scopo del nostro lavoro è l’analisi dello stato emotivo dei genitori in seguito alla diagnosi di una cardiopatia congenita. Materiale e metodi. Per valutare i livelli di stress di 54 genitori di bambini con una severa CHD (età 0-24 mesi), per questo sottoposti alla profilassi per il virus sinciziale, abbiamo utilizzato la Impact Event Scale (Weiss) ed il Parental Stress Index (Abidin). La prima fornisce una misura soggettiva dello stress conseguente ad un evento di grande impatto emotivo (come la diagnosi di una CHD). La scala è composta da 22 item riferiti alle tre più comuni categorie di esperienze in risposta ad un evento stressante: intrusione, evitamento ed ipervigilanza. Ai genitori viene chiesto di valutare ciascun item su una scala da 0 a 4 (per niente, un po’, abbastanza, estremamente). La seconda permette di identificare potenziali fattori disfunzionali di stress nel sistema genitore-bambino. I risultati vengono riferiti a tre sottoscale, distress genitoriale (livello di stress, ansia, disagio, ecc., che un genitore sta sperimentando nel suo ruolo genitoriale), interazione genitore-bambino disfunzionale (percezione di un figlio che non risponde alle proprie aspettative) e bambino difficile (bambino difficile da gestire per alcune caratteristiche). I risultati al PSI sono stati confrontati con un gruppo di controllo omogeneo costituito da genitori di bambini perfettamente sani. Risultati. L’analisi delle risposte alla IES-R ha messo in evidenza un punteggio sia totale, sia nelle subscale dell’Intrusione e dell’ipervigilanza più elevato nelle madri rispetto ai padri (p<0.05). L’analisi delle risposte alla PSI-SF ha messo in evidenza: un punteggio sia totale, sia nella subscala del distress genitoriale più elevato nelle madri dei bambini con una CHD rispetto ai padri (p<.05), mentre non è emersa nessuna differenza tra le madri ed i padri del gruppo di controllo; un punteggio sia totale, sia nella subscala del bambino difficile più elevato nelle madri dei bambini con una CHD rispetto a quelle del gruppo di controllo (p<0.05), mentre non è emersa nessuna differenza tra i padri appartenenti ai due gruppi. Conclusioni. L’impatto emotivo del management di una severa cardiopatia congenita sembra essere maggiore sulle madri rispetto ai padri. Le madri vivono un disagio psicologico caratterizzato dal pensiero ricorrente della diagnosi, con difficoltà a distogliere i propri pensieri dal problema, e da uno stato di tensione permanente (intrusione e ipervigilanza). Il loro stato emotivo si riflette anche sul ruolo di genitore, che percepiscono con insicurezza e ansia (distress genitoriale) rispetto ai loro compagni, ma anche sull’immagine del proprio bambino, che vivono come un bambino difficile (bambino difficile) rispetto alle altre madri. Senza dubbio avere un figlio cardiopatico condiziona fortemente la loro vita, pertanto hanno bisogno di un supporto adeguato, medico e psicologico, per affrontare serenamente la malattia del proprio bambino e, soprattutto, accettare “un figlio imperfetto”. 64S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P126 SINDROMI GENETICHE E CARDIOPATIE: ESPERIENZA DELL’AMBULATORIO DI GENETICA CARDIOVASCOLARE (10 ANNI DI FOLLOW-UP) Fiorella Fratta1, Giuseppe Limongelli1, Giuseppe Pacileo1, Francesca Martone1, Cristina Capogrosso1, Daniela Melis2, Gerarda Cappuccio2, Antonio Scotto di Minico1, Generoso Andria2, Maria Giovanna Russo1, Raffaele Calabrò1 1 Cardiologia-SUN, A.O. Monaldi, Napoli, 2Dipartimento di Pediatria, Università “Federico II”, Napoli Fiorella Fratta, Giuseppe Limongelli, Giuseppe Pacileo, Francesca Martone, Cristina Caporosso, Daniela Melis, Gerarda Cappuccio, Antonio Scotto di Minico, Generoso Andria, Maria Giovanna Russo, Raffaele Calabrò Introduzione. Le cardiopatie congenite possono presentarsi isolate o associate a sindromi genetiche e/o anomalie cromosomiche. Circa il 2030% dei pazienti con cardiopatie congenite presenta un’associazione con anomalie extracardiache o una specifica sindrome genetica I pazienti con cardiopatie congenite associate a sindromi richiedono maggiore attenzione per il management delle anomalie extracardiache e, talora, per l’aumentato rischio cardiovascolare (aritmico, peri-operatorio) associato alla sindrome. Metodi. In questo studio retrospettivo abbiamo analizzato l’outcome di 311 pazienti (età mediana 19 anni; deviazione standard 16, moda 9) riferiti alla nostra attenzione presso l’ambulatorio di genetica cardiovascolare per sospetta sindrome genetica (e provenienti dalla nostra divisione di cardiologia pediatrica o da altro centro), tra il 2000 e il 2010 (follow-up medio 6 anni). Sono stati esclusi dalla casistica i pazienti affetti da S di Down ed i familiari che sono giunti alla nostra attenzione solo per screening (ed in cui non è stata riscontrata alcuna anomalia). Risultati. Una sospetta sindrome genetica è stata diagnosticata clinicamente in 145 pazienti (46.6%), è stata confermata attraverso l’analisi cromosomica e/o molecolare in 48 pazienti (15.4%). In 14 pazienti non è stata dimostrata alcuna sindrome genetica (4.5%). In 50 pazienti (16%) non è stata riscontrata alcuna anomalia cardiaca. In 261 pazienti (83.9%) è stata riscontrata un’anomalia cardiovascolare; di questi 10 pazienti erano affetti da una sindrome di natura aritmica (3.2%; in particolare, QT lungo e Brugada), 179 pazienti da una cardiopatia congenita (57.5%) 57 pazienti da una cardiomiopatia (18.3%), 15 pazienti da anomalie cardiovascolari varie (quali ipertensione arteriosa, masse cardiache, etc.) (4.8%). Nel follow-up (durata media 6 anni) 120 pazienti (45%) seguono una terapia farmacologica cardiologia, 55 pazienti (21%) sono stati sottoposti ad intervento cardiochirurgico o a procedure percutanee in sala emodinamica, 6 pazienti sono stati sottoposti ad impianto di PMK e AICD (2.2%). Conclusioni. Una sospetta sindrome genetica è stata confermata clinicamente in circa la metà della nostra popolazione. Allo stesso modo la percentuale dei pazienti che necessitano di terapia medica o sottoposti a chirurgia cardiaca e/o procedure interventistiche è risultata elevata. P127 STENOSI VALVOLARE POLMONARE ISOLATA: ESPERIENZA DECENNALE MONOCENTRICA A. Mugnolo, L. Sabbagh, D. Cassater, A. Cristofaletti, M. Pighi, M.A. Prioli, C. Vassanelli Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche, Università degli Studi, Verona Scopo dello studio. Analizzare e controllare i pazienti (pz) con diagnosi di stenosi valvolare polmonare isolata, sia per quanto riguarda la presentazione clinica neonatale che il follow-up. Materiali e metodi. Sono stati selezionati 148 pz con diagnosi ecocardiografica di stenosi valvolare polmonare non associata a cardiopatia complessa (78M e 70F). L’età media alla diagnosi era di 36±43 giorni. A 109 pz la stenosi valvolare è stata diagnosticata ecograficamente entro i primi 6 mesi di vita; 55 pz erano di sesso M e 54 di sesso F. Il 62% delle stenosi è stato diagnosticato nel primo mese. L’indicazione principale all’indagine ecocardiografica era stata la presenza di un soffio alla visita di routine. Il restante 30% è stato diagnosticato tra il II ed il IV mese di vita, mentre solo l’8% tra il IV ed il VI mese. L’entità della stenosi nel 64% dei bambini era lieve (spo1),nel 20% era moderata (spo2) e nel 16% era severa (spo3). Tra i 109 pz a cui era stata fatta la diagnosi di stenosi valvolare entro i primi sei mesi di vita, in 48 pz era disponibile un nostro follow-up superiore ai 3 anni; il follow-up medio di questi pz era di 9±5 anni. Risultati. Si è visto che il 65% dei pz con un’iniziale stenosi lieve e moderata, non sottoposti a valvuloplastica o trattamento chirurgico, è andata incontro a miglioramento, il 32% dei pz non si è modificato ed il 3% è, invece, peggiorato. In particolare, le stenosi polmonari lievi, diagnosticate in epoca neonatale, nella gran parte dei casi (44%) dopo i 4-5 anni di vita si sono normalizzate sia per quanto riguarda il gradiente che le dimensioni dell’arteria polmonare, mentre il 41% di esse si è mantenuto stabile, il 4% è progredito e l’11% è stato sottoposto a valvuloplastica percutanea elettiva o a intervento chirurgico. Per quanto riguarda le stenosi valvolari di medio grado, nel 75% dei pz il gradiente è progressivamente diminuito, l’8% è rimasto stabile, mentre il 17% è stato sottoposto a chirurgia o a valvuloplastica percutanea elettiva. Tra i pz con stenosi severa metà è stato sottoposto a valvuloplastica percutanea e metà a valvulotomia chirurgica, entrambi eseguiti nella gran parte entro il I mese di vita. Nella totalità dei pazienti sottoposti a valvuloplastica percutanea o chirurgica il tronco polmonare al follow-up si è nettamente POSTER dilatato, indipendentemente dall’anulus che nella gran parte dei casi è nei limiti. Il ramo polmonare destro di solito è più coinvolto nel processo di dilatazione rispetto al controlaterale sinistro. Buono è l’andamento delle stenosi valvolari lievi con flusso normalizzato; nell’80% dei casi le dimensioni del tronco polmonare, dell’anulus e dei rami polmonari periferici sono normali e solo nel 20% è presente una dilatazione del tronco. Conclusioni. La stenosi valvolare polmonare, in tutte le sue varianti, è una cardiopatia che se trattata adeguatamente consente una buona qualità di vita. Il trattamento chirurgico o meglio la valvuloplastica percutanea delle forme severe offre risultati eccellenti. I pz vanno seguiti nel tempo anche in età adulta; anche le stenosi lievi possono presentare una progressiva dilatazione dell’arteria polmonare. P128 IMPATTO DELLA SINDROME METABOLICA E DEI SUOI COMPONENTI SU STRUTTURA E FUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA IN UNA POPOLAZIONE PEDIATRICA AMBULATORIALE Nicola Moio1, Carolina Scilla1, Luigi Cavuto1, Claudia Forziato2, Eduardo Sanguigno2, Francesco Saitta2, Procolo Di Bonito3, Gerolamo Sibilio1 1 U.O.C. UTIC-Cardiologia, 2U.O.C. di Pediatria, 3U.O. di Diabetologia, P.O. “S. Maria delle Grazie”, Pozzuoli (NA) Obiettivi. Analizzare in una popolazione ambulatoriale di bambini e adolescenti l’impatto della sindrome metabolica pediatrica (SMP) e dei suoi componenti su struttura e funzione ventricolare sinistra (VS). Metodi. Sono stati studiati 246 bambini (età 10±3 anni, M±DS), (34% non obesi e 66% obesi, criteri SIEDP) osservati nel periodo 2004-2009 presso l’ambulatorio di Pediatria del P.O. di Pozzuoli. La SMP è stata definita con i criteri di Cook del 2009. Struttura e funzione del VS sono stati analizzati mediante ecocardiografia convenzionale e tissue Doppler imaging (TDI). L’ipertrofia del VS è stata definita da un valore di massa VS (LVM) >38.6 g/2.7, un elevato spessore relativo di parete (RWT) è stato definito da valori di RWT >0.375. L’ipertrofia concentrica (CLVH) era definita da un aumento sia della LVM che della RWT Risultati. La SMP è stata identificata in 60 bambini (24%). I soggetti con SMP rispetto a quelli senza SMP, non differivano per età, sesso e stadio puberale. All’ecocardiografia, il gruppo con SMP, rispetto a quello senza SMP, mostrava valori più alti valori sia di LVM (38±10 vs 35±10 g/2.7, p<0.02), che di RWT (0.37±0.06 vs 0.35±0.05, p=0.004). Il gruppo con SMP mostrava una maggior percentuale di soggetti con CLVH (28 vs 12%, p<0.005), mentre non differiva per ipertrofia eccentrica (20 vs 23%) e rimodellamento concentrico (18 vs 10%) rispetto a quello senza SMP. Inoltre, i due gruppi non differivano per funzione cardiaca sistolica e diastolica sia all’ecocardiografia convenzionale sia al TDI. All’analisi multivariata, i soggetti con SMP, rispetto a quelli senza SMP, mostravano un maggior rischio di CLVH, odds ratio 2.17, 95%Cl 1.01-4.66, p=0.047 (corretto per età, sesso, BMI e stadio puberale). Tale rischio non era maggiore di quello conferito dalla presenza degli alti livelli pressori: OR 3.88, 1.80–8.38, p<0.001, mentre gli alti livelli di circonferenza vita, trigliceridi e basso HDL non erano significativamente associati con il rischio di CLVH. Conclusioni. In una popolazione ambulatoriale di bambini e adolescenti la SMP conferisce un rischio più che doppio di CLVH, tuttavia tale rischio non è maggiore di quello conferito dalla presenza degli alti livelli pressori. Questi dati suggeriscono che la presenza della SMP non è più utile di uno dei suoi componenti (alti livelli pressori) nel predire alterazioni precliniche di danno cardiaco. P129 GRAVE INSUFFICIENZA CARDIACA NEONATALE Pierluigi Russo1, Andrea Imperatori1, Lucia Boffi1, Giuseppe Trocino1, Maria Melzi2, Giulia Ferrari2, Francesco Seddio3, Lorenzo Galletti3 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Gerardo, Monza, 2Clinica Pediatrica, Ospedale S. Gerardo, Monza, 3Divisione di Cardiochirurgia, Ospedali Riuniti, Bergamo Riportiamo il caso di un bimbo di 2 mesi giunto all’osservazione per grave dispnea. All’esame obiettivo riscontro di soffio olosistolico 3/6, e di epatomegalia. ECG: RS. Sopralivellamento ST in D1-AVL. Aumento del valore della troponina. All’ecocardiogramma segnalata dilatazione e ipocinesia del ventricolo sinistro (FE 40%); rigurgito mitralico medio severo. Il paziente veniva ricoverato con diagnosi di possibile miocardite e si iniziava terapia con diuretico e ace inibitore con solo parziale beneficio. Esami ematochimici successivi: positività per anticorpi anticitomegalovirus. Considerata la persistenza di grave insufficienza cardiaca in settima giornata di ricovero veniva ripetuto un ecocardiogramma che mostrava acinesia dell’apice e ipocinesia dei restanti settori con severa riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro; rigurgito mitralico severo secondario alla alterata coaptazione dei lembi per la ridotta contrattilità. Nel tronco della polmonare si evidenziava un flusso retrogrado e la coronaria destra risultava dilatata. Si concludeva per origine anomala dell’arteria coronaria sinistra dal tronco della polmonare e si inviava il pz presso centro di cardiochirurgia pediatrica ove il bimbo veniva sottoposto ad intervento urgente di posizionamento dell’arteria coronaria sinistra sulla arteria aorta. Decorso post operatorio regolare con progressivo miglioramento della funzione ventricolare sinistra. L’origine anomala dell’arteria coronaria sinistra è una rara cardiopatia congenita che generalmente si manifesta clinicamente verso i 2-3 mesi di vita a causa della progressiva aumentata richiesta di ossigeno. Durante la vita fetale essendo maggiore la pressione polmonare la coronaria anomala riceve un flusso anterogrado dalla polmonare verso la coronaria sn. Dopo la nascita con l’aumento della pressione aortica rispetto alla polmonare il flusso nella coronaria anomala si inverte cosicché il sangue va dalla coronaria dx attraverso rami collaterali alla coronaria sinistra e da qui verso la polmonare. Riabilitazione P130 MODIFICAZIONE DEI PARAMETRI ANTROPOMETRICI E BIOIMPEDENZOMETRICI DOPO CICLO DI RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA 1 1 2 2 2 2 M. Scapolo , L. Zanasca , R. Carlon , O. Baggio , S. Golin , L. Sgambaro , S. Andretta1, M. Zanchetta2 Riabilitazione 1 Servizio Dietetico, 2U.O. di Cardiologia, Ospedale di Cittadella, Cittadella (PD) P130 IlMODIFICAZIONE programma diDEI cardiologia riabilitativa (CR) dopo un evento PARAMETRI ANTROPOMETRICI E BIOIMPEDENZOMETRICI DOPO cardiovascolare, prevede un intervento di tipo multidisciplinare allo scopo RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA. di effettuare una stratificazione prognostica, impostare un programma di training fisico ed ottenere un adeguato controllo dei fattori di rischio. Scopo dello studio è stato quello di valutare gli effetti dell’intervento nutrizionale sui parametri antropometrici e bioimpedenzometrici in un gruppo di pazienti (pz) arruolati in CR e di correlarli con le variazione della capacità funzionale. Materiali e metodi. A 29 pz (5F e 24M, età 63±9 anni) sono stati rilevati durante ciclo di CR (T0) e dopo 120±69 giorni di follow-up (T1): peso (p.c.), BMI, circonferenza vita (CV), percentuale di massa grassa (%MG) e massa magra (%MG), peso in kg di MG, peso in kg di massa magra (MM), indice Materiali e metodi. di metabolismo basale (MB), H2O totale, %H2O corporea e %H2O in MM. 19 pz erano affetti da recente infarto acuto del miocardio (IMA) e 10 pz dopo intervento di bypass aorto-coronarico (BP). Risultati. La CV basale è stata di 101±6 cm gruppo IMA e 101±10,6 cm gruppo BP. Da T0 e T1 non ci sono state variazioni significative di p.c. Risultati.kg e 78,1±12 kg), BMI (27.5±3.2 e 27.4±3.0), MB (1759±270 kcal/g (78.2±12 e 1768±258 kcal/g), %MM (74.3±2 e 74.2±2), %MG (26±5 kg e 26.6±5 kg), la MM (57.8±9 kg e 57.3±10 kg), la MG (20.4±5 kg e 20.7±5 kg), %H2O (74.3±2 e 74.2±2). Il 90% dei pz BP e il 26% dei pz IMA erano in terapia diuretica. Una disidratazione (%H2O <55%) era più frequente nel gruppo BP (70% a T0 e 80% a T1) rispetto al gruppo IMA (53% a T0 e T1). Nella Tabella sono riportati i valori medi di alcuni parametri nei 2 sottogruppi. BP IMA T0 T1 T0 T1 BMI 26.5±3.2 27.2±2.8 28.1±3.3* 27.6±3.2* MG 20.9±4.4 21.8±4.2 20.0±5.6 20.0±5.1 MM 54.9±7.6 56.0±9.3 58.4±8.6 58.1±9.7 WATT 106±24 119±33 133±39* 146±38* MIN 7.9±2.1 9.1±2.3 10.0±3.0* 11.1±3.1* % H20 p.c. 54.0±3.3 52.9±3.8 55.5±4.2 55.0±3.2 WATT, potenza al cicloergometro; MIN, minuti di esercizio. *differenza statisticamente significativa tra dati iniziali e finali (p<0.05). In 14 pz si è avuto perdita di p.c. (-2.4 kg, -3% del p.c.) mentre in 15 pz si è avuta aumento di p.c. (+2.8 kg, +3.5% del p.c.). I pz che hanno perso p.c. hanno aumentato di più i WATT a T1 rispetto ai pz che hanno aumentato il p.c. (12 vs 6%). Esiste una correlazione positiva tra valori di MM e WATT a T0 e T1 in tutti i pz, indipendentemente da BMI, sesso e Conclusioni. patologia. Conclusioni. La malnutrizione (in eccesso o in difetto) influisce negativamente sulla patologia cardiovascolare e richiede pertanto un intervento di counseling nutrizionale all’interno di un intervento riabilitativo globale. I pz BP presentano una MM minore rispetto ai pz IMA e dopo CR presentano un maggior recupero di tale parametro. Tuttavia, in accordo con il più frequente trattamento diuretico, i pz del gruppo BP presentano più spesso un quadro di disidratazione che tende a persistere anche a distanza dall’intervento e richiede una particolare attenzione sull’eccessivo uso di tali farmaci in tale gruppo di pz. P131 RISULTATI DEL MONITORAGGIO DELL’ATTIVITÀ FISICA DOPO CICLO DI RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA R. Carlon, S. Golin, L. Sgambaro, D. Bragagnolo, G. Pivato, O. Baggio, M. Zanchetta U.O. di Cardiologia, Ospedale Civile di Cittadella, Cittadella (PD) Scopo. Numerosi studi hanno documentato l’efficacia dei programmi di cardiologia riabilitativa (CR) in varie malattie cardiovascolari. Una delle maggiori problematiche è il mantenimento a lungo termine delle modifiche dello stile di vita, con particolare riguardo allo svolgimento di un’adeguata attività fisica. Scopo del nostro lavoro è stato quello di monitorare l’attività svolta dal paziente (pz) dopo aver completato un ciclo di CR. Metodo. Durante il ciclo di CR ambulatoriale, a 1-2 mesi (primo followup=FU-1) e a 6-9 mesi (secondo follow-up=FU-2) di distanza, i pz arruolati sono stati sottoposti per 2-3 giorni consecutivi a monitoraggio metabolico (MM) con l’utilizzo di un sistema (Sensewear Armband) che permette la rilevazione della temperatura cutanea, dissipazione termica dal corpo (t° cutanea – t° esterna), risposta galvanica della pelle e accelerazione. Sono state rilevate le seguenti misure giornaliere: intensità media di lavoro/energia spesa (Mets medi), tempo (min) dedicato ad attività fisica G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 65S RISULTATI DEL P131 CARDIOLOGICA RISULTATI DEL CARDIOLOGICA MONITORAGGIO DELL’ATTIVITÀ FISICA DOPO CICLO DI RIABILITAZIONE MONITORAGGIO DELL’ATTIVITÀ FISICA DOPO CICLO DI RIABILITAZIONE Scopo. Scopo. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Metodo. >3 Mets (>3 Mets), dispendio energetico totale (TEE, espresso in Kcal), Metodo. spesa energetica attiva (EE, Kcal consumate per attività >3 Mets), numero di passi (PP). Per non influenzare il comportamento dei pz, essi venivano genericamente informati che MM serviva “per il monitoraggio dell’apparato cardiovascolare”. Casistica. Sono stati arruolati 76 pz (età media 58±9 anni, range 41-78, 58M e 16F), 13 dopo intervento di cardiochirurgia, 47 dopo IMA, 10 dopo PTCA, 5 con scompenso cardiaco e 1 con claudicatio. MM è stato effettuato in 72 pz durante CR, in 62 pz a FU-1 e 27 pz a FU-2, per un Casistica. totale di 161 test. Risultati. Casistica.Il programma di CR è durato 31±33 giorni, FU-1 e FU-2 sono stati effettuati rispettivamente a 43±26 e 227±65 giorni di distanza dal primo test. Nella Tabella 1 sono riassunti i risultati nella casistica globale mentre Risultati. nella Tabella 2 i risultati nei pz che hanno effettuato tutti e tre i Risultati. monitoraggi ((*) = P=0.05). Un’attività fisica >3 Mets di durata <45’ è stata effettuata rispettivamente nel 27% dei pz in CR, 23% dei pz a FU-1 e 11% dei pz a FU-2. Inoltre un numero di passi giornalieri <7500 è stato effettuato nel 45% dei pz in CR, 29% dei pz a FU-1 e 22% dei pz a FU-2. Tabella 1 Tabella 1 Parametro Tabella 1 Mets medi >3 Mets (min) TEE (Kcal) EE (Kcal) PP (n) CR (n=70) 1.39 103 2571 471 8923 FU-1 (n=62) 1.44 117 2705 581 10 539 FU-6/9 (n=27) 1.5* 118 2743 581 11 231* FU-1 (n=27) 1.4 112 2743 582 10 295 FU-6/9 (n=27) 1.5 121 2775 602 11 146 Tabella 2 Tabella 2 Tabella 2 Parametro Mets medi >3 Mets (min) TEE (Kcal) EE (Kcal) PP (n) Conclusioni. CR (n=27) 1.5 123 2697 594 9307 Conclusioni. Il monitoraggio con Sensewear Armband permette un Conclusioni. monitoraggio metabolico semplice e completo dei pazienti dopo un ciclo di CR. I risultati confermano il mantenimento a distanza di 6-9 mesi dalla CR di un’adeguata attività fisica domiciliare nella maggioranza dei pz. P132 PREVALENZA DI IPERGLICEMIA IN SOGGETTI NON DIABETICI E SUO POSSIBILE RUOLO NELL’INSORGENZA DI COMPLICANZE INTRAOSPEDALIERE IN RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA Sergio Enea Masnaghetti, Simona Sarzi Braga, Raffaella Vaninetti, Roberto Franco Enrico Pedretti Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Tradate Background. Il diabete mellito svolge un ruolo cruciale nella genesi e nell’evoluzione delle malattie cardiovascolari. È noto che soggetti ricoverati per sindrome coronarica acuta, con anamnesi negativa per diabete mellito ma iperglicemici, hanno una prognosi peggiore rispetto ai soggetti normoglicemici. In letteratura non sono riportati dati sull’importanza dell’iperglicemia nella genesi delle complicanze intraospedaliere in ambito riabilitativo cardiologico. Scopi. Valutare, in pazienti con anamnesi negativa per diabete mellito, la prevalenza di glicemia >110 mg/dl all’ingresso in riabilitazione cardiologica; verificare se tale riscontro si associ ad un decorso intraospedaliero sfavorevole. Materiali e metodi. Abbiamo arruolato retrospettivamente 2490 pazienti (età media 66±12 anni; M=69%; frazione di eiezione ventricolare sinistra 52±12%) afferiti al nostro Istituto per un ciclo riabilitativo a seguito di intervento cardiochirurgico (n=1442), angioplastica coronarica (n=383), scompenso cardiaco (n=227), sindrome coronarica acuta non rivascolarizzata (n=283). I pazienti sono stati divisi in 3 gruppi: diabetici noti (gruppo D, n=540), iperglicemici (gruppo I, n=269) e normoglicemici (gruppo N, n=1681). Le complicanze intraospedaliere considerate sono state: insorgenza di fibrillazione atriale, eventi ischemici miocardici/periferici, peggioramento della funzione renale (per incrementi di creatinina >0.5 mg/dl oltre 1.3 mg/dl), comparsa/peggioramento di versamento pleurico/pericardico (versamento pleurico almeno di grado II, versamento pericardico di almeno 10 mm), scompenso cardiaco, guarigione complicata di ulcere/ferite chirurgiche, le infezioni. Risultati. I pazienti arruolati differivano in modo significativo per età (I vs N (anni): 69±10 vs 65±13, D vs N: 69±9 vs 65±13; p=0.000), BMI (I vs N: 27±4 vs 25±4, D vs N: 27±5 vs 25±4; p=0.000), creatininemia (I vs N (mg/dl): 1.4±0.7 vs 1.2±0.6, D vs N: 1.5±0.8 vs 1.2±0.6; p=0.000), PCR (I vs N (mg/dl): 3.8±3.8 vs 3±3.2, p=0.002; I vs D: 3.8±3.8 vs 3±3.5; p=0.027), Hb glicata (I vs N (%): 6.4±0.7 vs 5.9±0.3; p=0.007; I vs D: 6.4±0.7 vs 7.2±1.2; p=0.000; D vs N: 7.2±1.2 vs 5.9±0.3, p=0.000); la frazione di eiezione ventricolare sinistra differiva significativamente nel gruppo D vs N ((%):49±13 vs 52±12, p=0.000). I pazienti del gruppo I presentavano con frequenza significativamente maggiore fibrillazione atriale (p=0.03), peggioramento della funzione renale (p=0.000), versamento pleurico/pericardico (p=0.000), complicata guarigione di ulcere/ferite chirurgiche (p=0.018). All’analisi multivariata, i fattori in grado di influenzare l’insorgenza di complicanze intraospedaliere sono risultati, in ordine di potenza statistica: 66S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 età (p=0.000), frazione di eiezione (p=0.000), iperglicemia (p=0.000), cardiopatia ischemica (p=0.001), diabete mellito (p=0.005). Conclusioni. In riabilitazione cardiologica la prevalenza di iperglicemia in non diabetici è elevata (14%) e ha un ruolo preminente, apparentemente superiore a quello svolto dal diabete stesso, nell’insorgenza di complicanze intraospedaliere. Alla luce di questi risultati diventa fondamentale il riconoscimento precoce e il trattamento mirato di questi pazienti. P133 VALUTAZIONE QUALITATIVA DELLE ABITUDINI NUTRIZIONALI IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA IN FASE III: STUDIO PILOTA Mara Piccoli, Isabella Casadei, Federica Scimia, Alessandro Villa U.O. di Cardiologia, Policlinico Di Liegro, Roma Scopo. Mantenere corrette abitudini alimentari soprattutto nei pazienti cardiopatici è un elemento difficile da ottenere nel follow-up, soprattutto a causa dell’influenza non sempre positiva delle informazioni provenienti dai media. Scopo dello studio è stato verificare le abitudini alimentari di pazienti, afferenti al nostro Centro in regime ambulatoriale in fase III, dopo periodo di riabilitazione intensiva in seguito all’evento indice. Metodi. Sono stati esaminati mediante Questionario delle Frequenze Alimentari, validato dal Ministero della Salute, 38 pazienti, 23 uomini (età media 65±10 anni) e 15 donne (età media 67±7 anni) durante ciclo di riabilitazione cardiologica in fase III, a distanza media di 24 mesi dall’evento indice. Tutti erano stati precedentemente ricoverati presso il nostro centro, per essere sottoposti a riabilitazione intensiva dopo evento indice (10 pazienti con sindrome coronarica acuta trattata con PTCA e stent coronarico, 19 con intervento cardiochirurgico di bypass aortocoronarico e 9 con sostituzione valvolare), seguendo, oltre al programma di training fisico, anche incontri di educazione sanitaria relativi alle corrette abitudini alimentari. Tali informazioni sono state ribadite durante i successivi cicli riabilitativi ambulatoriali. Risultati. Nel campione esaminato l’assunzione di frutta e verdura avviene 2 volte al giorno, così come costante risulta l’assunzione quotidiana di una porzione di pasta 0/riso, seconda la tradizione alimentare italiana. La frequenza dell’assunzione di carne è superiore a quella di pesce, verosimilmente legata a gusti personali ed ai costi, mentre l’assunzione delle uova è settimanale. Per quanto riguarda il consumo di merendine e salumi, questo risulta occasionale. Più complesso risulta il problema “formaggi”: il loro consumo è molto variabile, soprattutto per la presenza di alimenti light e di mozzarelle considerate adeguate anche in presenza di dislipidemia. Conclusioni. Il rinforzo periodico delle informazioni fornite al momento della prima fase riabilitativa risulta molto importante per mantenere corrette abitudini alimentari a distanza dall’evento acuto. Restano comunque ancora da individuare strategie per migliorare la conoscenza dei prodotti light, così presenti sul mercato. P134 LA SINDROME ANSIOSO-DEPRESSIVA POST-INFARTUALE: PROTOCOLLI DI INTERVENTO PSICOLOGICO M. Cucinotta, G. Sibilio, N. Moio, E. Murena, V. Doriano U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale Santa Maria delle Grazie, Pozzuoli Background. Risulta particolarmente importante, ai fini di un protocollo riabilitativo psicologico efficace, utilizzando una testistica validata, diagnosticare tempestivamente nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica acuta l’insorgenza di ansia e/o depressione. Tale condizione patologica può essere considerata come un elemento prognostico negativo per reinfarto e per una minore aderenza comportamentale e terapeutica. Materiali e metodi. Sono stati arruolati 69 pazienti di età compresa tra i 35 e i 75 anni, affetti da infarto acuto del miocardio non complicato e, in sede di ospedalizzazione, ad esiti stabilizzati, è stata somministrata la seguente testistica: Hospital Anxsiety and Depression Scale per lo screening per l’ansia e la depressione e l’Illness Perception Questionnaire, un questionario che consente di ottenere un quadro completo sia della rappresentazione mentale che il paziente sviluppa della malattia cardiologica, sia dei meccanismi psicologici e degli atteggiamenti che accompagnano nel paziente la consapevolezza di dover convivere con una malattia cronica e di doverla gestire. Obiettivi. Diagnosticare l’insorgenza di ansia e depressione postinfartuale. Tale condizione patologica può essere considerata come un elemento prognostico negativo per reinfarto e per una minore aderenza comportamentale e terapeutica. Intervenire sulla componente disadattiva delle rappresentazioni emozionali negative con protocolli di supporto psicologico individuali per migliorare la prognosi psicologica a breve e a lungo termine. Risultati. Dall’analisi dell’elaborazione dei test somministrati ai pazienti risultavano punteggi così distribuiti per l’HADS: ansia lieve 13.3%; media 19.3%; alta 67.4%; depressione lieve 47.1%; media 15.7%; alta 36.2%. Per l’IPQ-R, nella categoria “rappresentazioni emozionali” emozioni negative 74.4%; positive 25.3%. Conclusioni. Nonostante le limitazioni, costituite dal piccolo campione esaminato, si evince che: considerata l’alta percentuale di pazienti che presentavano punteggi alti per ansia e/o depressione ed emozioni negative, risultava opportuno impostare, già in sede di ricovero, un protocollo riabilitativo articolato in colloqui di sostegno psicologico POSTER individuale e un piano di trattamento che prevedeva interventi psicoterapici a breve e medio termine. P135 PERCORSO EDUCATIVO-ALIMENTARE PRESSO L’U.O.C. DI CARDIOLOGIA CLINICA E RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA DELL’AORN SANT’ANNA E SAN SEBASTIANO DI CASERTA R. Capriello1, E. Boccalone1, A. Costantino1, M. Parillo1, M. Marzaioli2, E. Ruotolo2, V. De Chiro2, S. Celardo2, A. Cassella2, C. Riccio2 1 U.O.C. di Geriatria, Endocrinologia e Malattie del Ricambio, 2U.O.C. di Cardiologia Clinica e Riabilitazione Cardiologica, Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, Caserta Introduzione. Nell’ambito della nutrizione il Piano Sanitario Nazionale si propone come obiettivo la promozione della salute attraverso una sana ed equilibrata alimentazione. Presso l’U.O.C. di Cardiologia Clinica e Riabilitazione Cardiologica dell’A.O.R.N. Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, al fine di avere un completo percorso riabilitativo, sono attive da oltre 10 anni sessioni di educazione alimentare per i pazienti afferenti alla riabilitazione cardiologica, tenute dalla dietista e da biologi nutrizionisti con cadenza quindicinale. Agli incontri è presente, oltre al paziente, almeno un familiare. Metodi. Durante gli incontri vengono affrontati più argomenti. Inizialmente vengono illustrate ai pazienti le composizioni dei vari cibi a seconda delle macromolecole che li compongono, viene enfatizzata l’importanza del controllo del peso corporeo e l’importanza di raggiungere e mantenere un peso corporeo ideale attraverso un corretto stile di vita. In una seconda fase un volontario tra i pazienti racconta la sua “giornata alimentare tipo”. In questo modo l’interazione fra il paziente e il docente, tra il docente e i familiari ed i pazienti risulta alta. Le numerose domande poste dagli altri pazienti e dai familiari permettono al docente di fornire ai partecipanti suggerimenti per una corretta alimentazione, una corretta scelta quotidiana di cibi e di correggere alcune cattive abitudini, puntando l’attenzione sui cibi consigliati e/o sconsigliati per la loro patologia. Successivamente, per pazienti con particolari esigenze patologiche (es. paziente nefropatico, diabetico, ecc.) si concorda un colloquio privato con la dietista al fine di effettuare un piano alimentare specifico. Risultati. È stata rilevata da parte dei pazienti una maggiore presa di coscienza dell’importanza dell’obesità quale fattore di rischio cardiologico; è stata rilevata una maggiore partecipazione ai programmi dietoterapici; sono stati utilizzati menù settimanali senza alcuna indicazione di peso ed i pazienti hanno dimostrato attraverso il diario alimentare di aver compreso bene quali erano le indicazioni date loro dai corsi di educazione alimentare. Gli operatori attraverso questi incontri hanno potuto osservare il comportamento dei pazienti e quindi con l’aiuto degli psicologi (con ruolo di osservatori esterni) hanno potuto intraprendere percorsi differenziati a secondo dei casi. Ai pazienti afferenti la riabilitazione cardiologica, inoltre, durante i vari incontri alimentari sono stati rilevati alcuni parametri vitali. Conclusioni. In conclusione, gli incontri così articolati ci hanno permesso di rilevare: - un elevato interesse da parte dei pazienti e dei loro familiari (la presenza agli incontri è alta); - un’ottima interazione nello scambio di sensazioni e paure nell’approccio quotidiano con il cibo (ascoltare gli altri aiuta); - una maggiore compliance ai programmi dietoterapici, rispetto ai colloqui individuali. P136 L’ATTIVITÀ QUOTIDIANA NELLE PAZIENTI CON IPERTENSIONE POLMONARE Monica Ceresa1, Cristina Opasich1, Alessandra Gualco1, Antonio Mazza1, Pierfrancesco Longoni1, Antonella Maestri1, Federica Camera1, Claudia Quaccini2, Giacomo Bazzini2, Silvia G. Priori1 1 Divisione di Cardiologia, 2Servizio di Terapia Occupazionale ed Ergonomia, Fondazione S. Maugeri, IRCCS, Pavia Premessa. L’ipertensione polmonare è associata ad una ridotta capacità fisica, ad una pessima qualità di vita ed ad una scadente prognosi. I trattamenti includono una terapia medica con vasodilatatori e agenti antiproliferativi la cui associazione migliora i sintomi, la capacità di esercizio la qualità di vita e possibilmente la prognosi. Sono stati effettuati numerosi studi sull’efficacia della terapia medica, ma ancora poco è conosciuto sugli effetti del cambiamento dello stile di vita come ad esempio possa essere l’impatto sulla quotidianità nelle donne affette da ipertensione polmonare. Scopo. In un sottogruppo di pazienti donne con ipertensione polmonare ricoverate presso la nostra U.O. di cardiologia riabilitativa, abbiamo voluto valutare l’attività di vita quotidiana domiciliare e verificare come questa fosse influenzata dalla saturazione di O2, dalla classe NYHA e dalla capacità fisica. Metodi. Sono stati seguiti 24 pz con ipertensione polmonare (2 pz con IP primitiva e 22 con IP secondaria a malattia cardiaca congenita) ricoverati presso la ns Divisione di Cardiologia riabilitativa per effettuare un’ottimizzazione della terapia medica ed un ciclo di fisioterapia. Di questi pz, in aggiunta alla valutazione mediante WT all’ingresso e dimissione dal reparto, 14 pz donne (3 pz in classe NYHA II e 11 pz in classe NYHA III) hanno effettuato anche il test delle attività quotidiane (TAQ), test dove vengono riprodotte un numero di attività a diverso dispendio energetico (es. vestirsi, apparecchiare, spazzare, portare pesi, fare il letto, salire le scale, ecc.) e che fornisce una quantificazione di eventuali deficit di forza, di resistenza, ecc., per fornir loro informazioni aggiuntive su come e quali attività poter effettuare nella quotidianità a domicilio. Risultati. Suddividendo in due gruppi le 14 pz donne in base alla SatO2 in basale (SatO2 ≥85% gruppo 1; <85% gruppo 2) si è evidenziata una differenza statisticamente significativa in punteggio medio al TAQ (gruppo 1: 93±6 vs gruppo 2: 82±11; p=0.01), resistenza al TAQ (gruppo 1: 92±9 vs gruppo 2: 81±14; p=0.04) e durata test (min) (gruppo 1: 33±6 vs gruppo 2: 48±16; p=0.08). Le pz con diversa classe NYHA presentavano differenze in mTAQ (89±13 vs 86±10), r-TAQ (92±12 vs 83±13) e durata TAQ (35±14 vs 44±16) (non si raggiunge la significatività statistica per l’esiguità di uno dei 2 gruppi). Risuddividendo quindi le pz in base alla capacità di effettuare un discreto WT (dWT >209 metri) o scadente WT (sWT <209 metri) si sono evidenziati 2 gruppi con significative differenze nell’esecuzione del TAQ (mTAQ: dWT: 92±6 vs sWT: 78±12; p=0.004. r-TAQ: dWT: 91±8 vs sWT: 75±16; p=0.005) ma non nella durata TAQ (dWT: 38±14 vs sWT: 45±13; p=0.3). Conclusioni. Un semplice test come il WT e la valutazione della saturazione d’ossigeno in basale ci possono fornire utili indicazioni su come e quali attività fisiche quotidiane le nostre pz con ipertensione polmonare possano effettuare a domicilio e ci forniscono utili informazioni per il counseling domiciliare. P137 COMBINED ACUTE EFFECTS OF ENDURANCE TRAINING AND WHOLE BODY VIBRATION ON METABOLIC PROFILE OF MALE PATIENTS WITH CHRONIC HEART FAILURE Anna Cerrito, Maurizio Volterrani, Giuseppe Caminiti, Alessio Franchini, Giuseppe Marazzi, Veronica Cioffi, Giuseppe Rosano Cardiac Rehabilitation Unit, S. Raffaele IRCCS, Rome Purpose. To assess the effects of a single bout of combined exercise enclosing endurance training (ET) and whole body vibration (WBV) is more effective than ET alone in improving metabolic and hormonal profile of male patients with chronic heart failure (CHF). Design. Thirty male CHF patients, age 67.8±5 years; ejection fraction 36.5±6, NYHA class II were enlisted. 15 pts were randomized to combined exercise (CE) group performing ET (40 minutes +WBV (20 minutes) and 15 patients to ET group (ET only for 60 minutes). Methods. At baseline all patients performed a cardiopulmonary test with determination of VO2 peak. Blood sample was collected at rest and 15 minutes following the exercise, with assessment of growth hormone (GH), insulin-like grown factor 1 (IGF-1), total testosterone (TT), free testosterone (FT), sex hormone binding globulin (SHBG). Blood pressure was assessed at rest and after 15 minutes of recovery. ET was performed at 60% of VO2 peak. Results. At baseline there were not significant differences of clinical features between groups. No patients had adverse events during exercise. After exercise blood pressure decreased in a similar manner in both groups (p=0.13). Patients of the CE group had a greater significant decrease of insulin (-44 vs -19% p=0.02) and HOMA-IR (-19 vs -9%, p=0.04) than ET. Blood glucose levels were reduced similarly in both groups (CE -18%; ET -15%; p=0.09) CE group had a greater increase of IGF-1 levels than ET (+14 vs +6, p=0.03). GH and SHBG blood levels did not change after exercise in both groups. TT and FT increased in both groups without between groups differences. Conclusions. A single bout of ET exerts favourable metabolic and hormonal effects in male patients with CHF. The effects on glucose metabolism are enhanced by the association of ET and WBV. P138 LOW PHYSICAL RECOVERY OF PATIENTS WITH CHRONIC HEART FAILURE AND COGNITIVE IMPAIRMENT UNDERGOING CARDIAC REHABILITATION Francesca Ranghi, Giuseppe Caminiti, Sara De Benedetti, Maurizio Volterrani, Daniela Battaglia, Alessio Franchini, Giuseppe Rosano Cardiac Rehabilitation Unit, S. Raffaele IRCCS, Rome Purpose. To determine whether the presence of cognitive impairment (CI) affects physical recovery of patients with chronic heart failure (CHF) undergoing a physical training program (PTP) after a recent episode of acute decompensation. Methods. The study enrolled 80 patents with CHF (M/F=52/26) and ejection fraction (EF) <40% consecutively admitted to our cardiac rehabilitation centre after an episode of acute decompensation. CI was evaluated by means of the Mini-Mental State Examination (MMSE), with a score of <24 indicating impairment. Exercise tolerance was evaluated by six minute walking test (6mwt) performed at admission and at the end of PTP. All patients underwent an intensive 8-week program of aerobic PTP at 70% VO2. At admission patients were divided into two group according to their MMSE (group A >24; group B <24). Results. Overall 43 patients (54%) had MMSE <24. The score obtained at MMSE resulted directly related to EF (r=0.42; p=0.03), and it was inversely related to creatinine levels (r=-0.36 p 0.04) and atrial fibrillation rate (r=0.34; p=0.07). At the end of PTP patients of group B had a lower increase of distance walked at 6MWT than group A (98±16 m and 131±28 m respectively, p=0.008).Moreover patients of B group had a longer in- G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 67S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO hospital stay and needed more pharmacological interventions than group A. 2/80 patients (2.5%) died during the hospitalization all of which were in the B group. In a multivariate logistic regression model, including age, gender, renal failure, EF and diabetes, MMSE <24 predicted a reduced performance at 6MWT in the overall population (OR 1.4, 95% CI 1.7-2.4) and in women (OR 1.31; 95% CI 1.20-1.62), while it was not predictive in males. Conclusions. CI is a marker of advanced CHF and is an independent predictor of lower exercise capacity in female gender. P139 SICUREZZA DELL’ATTIVITÀ RIABILITATIVA CARDIOLOGICA IN PAZIENTI RECENTEMENTE SOTTOPOSTI AD INTERVENTO CARDIOCHIRURGICO Valter De Michelis1, Marco Pizzorno1, Enio Mantellini1, Andrea Bottazzi1, Peppino Scoti2, Salvatore Petrozzino3 1 Riabilitazione Cardio-Respiratoria, 2Divisione di Cardiochirurgia, 3 Dipartimento di Riabilitazione, ASO SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria Introduzione. La riabilitazione cardiologica in pazienti recentemente sottoposti ad intervento cardiochirurgico favorisce ed accelera il recupero dell’autonomia funzionale dei pazienti. Scopo del lavoro è stato quello di valutare il rischio di complicanze durante attività riabilitativa aerobica nelle prime settimane post intervento cardiochirurgico. Metodi. Sono stai valutati da agosto 2010 a dicembre 2010 49 pazienti consecutivi di età media 67.71 (min 38-max 89), 39 maschi, 10 femmine sottoposti ad intervento cardiochirurgico (25 bypass aortocoronarici, 11 sostituzioni valvolari aortiche, 4 sostituzioni valvolari mitraliche, 2 sostituzioni valvolari aortiche e mitraliche, 3 sostituzioni valvolari aortiche + bypass aortocoronarico, 1 sostituzione valvolare mitralica + bypass aortocoronarico, 2 interventi per aneurisma aortico, 1 rimozione di massa del setto interatriale). Due pazienti sono stati esclusi dallo studio perché trasferiti dalla cardiochirurgia oltre 15 giorni dall’intervento. I rimanenti 47 hanno iniziato il trattamento riabilitativo cardiologico mediamente 9 giorni dopo l’intervento cardiochirurgico (min 6-max 13). Tutti i paziento hanno eseguito ECG, valutazione clinica cardiologica e 6MWT all’ingresso ed hanno iniziato trattamento riabilitativo individualizzato in seconda giornata dal ricovero riabilitativo (training aerobico su tappeto e/o cyclette con sedute biquotidiane sotto monitoraggio telemetrico). I pazienti erano 22 in classe NYHA I, 17 in classe NYHA II, 8 in classe NYHA III. Quarantadue pazienti presentava RS all’ingresso, 5 FA o altro ritmo sopraventricolare.. Risultati. Nella prima settimana di ricovero in riabilitazione cardiologica durante attività aerobica eseguita a basso carico di lavoro (mediamente 3 MET) tra i 47 pazienti considerati tutti hanno mantenuto il ritmo di ingresso (RS o FA) alla fine dell’esercizio; un paziente (che era in NYHA III e presentava severa disfunzione ventricolare sinistra postischemica con FE 30%) ha evidenziato extrasistolia ventricolare ripetitiva (una tripletta) durante training ed un paziente (in FA, NYHA III e disfunzione VS postischemica con FE 20%) ha mostrato un episodio lipotimico ed ipotensivo durante esercizio; nessun altro paziente ha evidenziato insorgenza di aritmie sopraventricolari ripetitive, sincopi, dolore toracico o dispnea rilevante. Conclusioni. L’attività riabilitativa individualizzata a basso carico di lavoro in seconda settimana post-intervento cardiochirurgico appare sicura in soggetti in classe funzionale NYHA I e II e può essere eseguita in questi pazienti con la sola supervisione del fisioterapista. evincono i seguenti dati: gradimento 44 sì 1 no, utilità a fini riabilitativi 43 sì, 2 no; semplicità (molto 16, abbastanza 24, poco 5), utilità per socializzazione (38 sì, 7 no), innalzamento soggettivo del tono dell’umore (molto 18, abbastanza 23, poco 4). Si è inoltre evidenziato un miglioramento del gesto finalizzato in 35/45 pazienti al termine delle sedute riabilitative. Conclusioni. Sulla base dei dati preliminari dello studio questa tipologia di training virtuale appare sicura anche in pazienti relativamente anziani recentemente operati di by pass o sostituzione valvolare, purché supervisionata e indirizzata ad esercizi mirati. I vantaggi del sistema virtuale sembrano essenzialmente correlati ad un miglioramento dell’umore dei pazienti, della capacità di socializzazione e del gesto finalizzato, oltre alla completa aderenza al training proposto. P141 RITIRATO P142 P140 SICUREZZA E VANTAGGI NELL’UTILIZZO DEL VIRTUAL REALITY E COMPUTER ASSISTED PHYSICAL TRAINING NELLA RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE CARDIOCHIRURGICO Valter De Michelis1, Chiara Caviglione1, Enio Mantellini1, Sarah Fraccarollo2, Andrea Bottazzi1, Salvatore Petrozzino3 1 Riabilitazione Cardio-Respiratoria, 2Divisione di Cardiologia, 3 Dipartimento di Riabilitazione, ASO SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria Introduzione. In letteratura stanno emergendo evidenze di efficacia dell’utilizzo di sistemi di virtual reality e computer assisted physical training in riabilitazione neuromotoria. L’obiettivo è stato quello di valutare la sicurezza, il gradimento e gli eventuali vantaggi di tali sistemi anche in riabilitazione cardiologica. Materiali e metodi. A 45 pazienti consecutivi sottoposti ad intervento cardiochirurgico (29 by pass, 16 sostituzioni valvolari, età media 68.8 anni, degenza media di 20.5 giorni) è stato proposto, invece della abituale seduta pomeridiana di esercizi a corpo libero, una seduta volontaria della durata di 60 minuti, utilizzando un video game che permettesse di eseguire training fisico mediante realtà virtuale simulata (WII Nintendo) per tre giorni la settimana durante l’intera degenza riabilitava. È stato valutato come endpoint primario la sicurezza del sistema in riabilitazione cardiologica. Sono stati inoltre somministrati un questionario al fine di valutare il gradimento e l’efficacia dello stesso. Tra i vari esercizi disponibili si è scelto il gioco virtuale del bowling, ritenendo lo stesso il più appropriato tra quelli disponibili per i pazienti nello studio. Risultati. Tutti i 45 pazienti hanno accettato di partecipare durante l’attività riabilitativa a questa tipologia di esercizio. Nessuna complicanza durante il training è stata rilevata, in particolare nessuna aritmia al monitoraggio telemetrico. Dal questionario somministrato ai pazienti si 68S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 RECUPERO DELL’AUTONOMIA QUOTIDIANA DOPO CARDIOCHIRURGIA IN PAZIENTI ANZIANE Monica Ceresa1, Cristina Opasich1, Alessandra Gualco1, Antonella Maestri1, Antonio Mazza1, Claudia Quaccini2, Giacomo Bazzini2, Silvia G. Priori1 1 Divisione di Cardiologia Riabilitativa, 2Servizio di Terapia Occupazionale ed Ergonomia, Fondazione S. Maugeri, IRCCS, Pavia Premessa. Negli anziani, dopo un evento cardiaco acuto, lo scopo della fisioterapia è quello di migliorare l’indipendenza e la mobilità e favorire un graduale ritorno alla vita quotidiana. Nella nostra Unità Operativa è da tempo in atto un programma di fisiokinesi terapia personalizzata in base al grado di fragilità funzionale testata all’ingresso (Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2010 Oct;17(5):582-7). Scopo. Valutare la persistenza a medio termine (3 mesi) dei benefici funzionali raggiunti grazie alla fisioterapia personalizzata effettuata durante la degenza e poi proseguita a domicilio. Il focus è stato centrato sui dati ergonomici specifici dell’attività quotidiana (TAQ) comprensivi della tolleranza al cammino (WT) e sulla valutazione della qualità di vita legata allo stato di salute (EQ) Metodi. All’ingresso in reparto è stato valutato il grado di fragilità funzionale di 20 pazienti (pz) donne di età media 75±6 anni (15 post cardiochirurgia valvolare, 5 post bypass aortocoronarico). Dopo un periodo di fisioterapia personalizzata (media di 20 giorni) sono state sottoposte, sia alla dimissione dal reparto che dopo 3 mesi di follow-up, ad un test di valutazione funzionale delle attività di vita quotidiana (TAQ), test dove vengono riprodotte un numero di attività a diverso dispendio energetico (es. vestirsi, apparecchiare, spazzare, portare pesi, fare il letto, salire le scale, ecc.) e che fornisce una quantificazione di eventuali deficit di forza, di articolarità degli arti, di flessibilità del tronco, di resistenza, ecc. (Fig.), ad un WT ed ad un questionario EQ. Risultati. La valutazione funzionale effettuata alla dimissione (FRA2) opo. etodi. sultati. onclusioni. POSTER evidenzia una riduzione del grado di fragilità rispetto all’ingresso (FRA1) (FRA2: 11 pz “no-frail”, 8 “moderate frail” e 1 pz “severely frail”; vs FRA1: 2 pz no-frail; 14 pz “moderate frail”e 4 pz “severely frail”) che migliora ulteriormente (FRA3) a 3 mesi di FU (12 pz no-frail, 8 moderate frail). Il grado di FRA2 correla bene con il numero di metri percorsi al WT2 (p=0.01), con il punteggio-mTAQ2 (p=0.03) e con la resistenza (RES2) espressa al TAQ (p=0.03); non presenta invece diversità significative per l’età media delle pz (p=0.3) e per FE% (p=0.47). L’effetto della fisioterapia individualizzata si mantiene dopo 3 mesi di follow-up sia nelle capacità di svolgere le attività di vita quotidiana (mTAQ2 75±18 vs m-TAQ3 79±24; p=0.3. RES2 76±20 vs RES3 80±25; p=0.4) che nelle capacità funzionali (WT2 280±120 vs WT3 302±126; p=0.3) e nella qualità di vita (EQ2 73±19 vs EQ3 71±23, p=0.7). Conclusioni. Il programma di FKterapia personalizzato da noi utilizzato dopo un evento acuto è in grado di ridurre la fragilità funzionale di donne anziane, riportandole al loro individuale livello di autonomia quotidiana (come dimostrato dal fatto che non vi è un ulteriore incremento della stessa dopo 3 mesi dalla dimissione). P143 È POSSIBILE RIDURRE LA DURATA DEL TRAINING FISICO CONTROLLATO NEI SOGGETTI CON CLAUDICATIO SENZA COMPROMETTERNE L’EFFICACIA? RISULTATI PRELIMINARI R. Carlon, O. Baggio, L. Sgambaro, S. Golin, D. Bragagnolo, G. Pivato, M. Zanchetta U.O. di Cardiologia, Ospedale Civile di Cittadella, Cittadella (PD) Scopo. Numerosi studi hanno documentato l’efficacia del training fisico controllato (TF) nei pazienti (pz) con claudicatio, essendo in grado di aumentare il tempo di comparsa della stessa (TC) e la durata totale del cammino (TT). Mancano tuttavia dati certi sulla durata ottimale del TF. Per tale motivo abbiamo voluto verificare prospetticamente l’efficacia del TF dopo 45 (T1) e dopo 90 (T2) giorni in un gruppo di pz con claudicatio al 2° stadio di Fontaine. Casistica. 15 pz consecutivi (età media 69 anni, range 45-75, 11M e 4F) con documentata (Doppler e/o angiografia) arteriopatia periferica sintomatica (10 claudicatio bilaterale, 5 con claudicatio monolaterale), sono stati arruolati in un programma di TF: un pz ha interrotto il TF dopo la valutazione intermedia. Metodo. TF: 3 sedute/settimane per 3 mesi, di 1 ora, ciascuna con 4-5 cicli di 10 minuti, con aumento del carico sino a provocare dolore abbastanza forte, alternati a 5 min di riposo. Prima, dopo 45 e 90 giorni i pz sono stati sottoposti a test da sforzo incrementale al treadmill secondo Hiatt e questionario (WIQ, Walking Impairment Questionnaire). Il WIQ permette una misurazione dell’entità della CL (ECL), della capacità del pz a percorrere determinate distanze (D), di camminare a diverse velocità (V) e nel salire un diverso numero di rampe di scale (S). L’analisi del test ergometrico è stata effettuata su 24 arti per il TC e su 14 pz per il TT. Risultati. A 45 giorni il TC è aumentato da 3,8±3,1 a 8,6± 5,7 minuti (+134%, p<0,0001) ed a T2 a 10,2±6,6 minuti (+192% vs basale; +36% vs T1, p=NS). Il TT è aumentato rispettivamente da 7,6±5,1 a 13,2±6,8 minuti a T1 (+74%, p<0,001) e a 15.6±6 minuti a T2 (+105% vs basale; +18% vs T1, p=NS). I pz sono stati divisi in responders e non-respoders. I responders sono stati 9/14 (64%) a T1 e 12/14 (86%) a 90 giorni. I pz responders a 45 gg hanno ulteriormente incrementato TC e TT rispettivamente del 0% e 6% a T2 contro il 14% e 47% dei nonresponders. Nei 12 pz che hanno compilato il WIQ è stato rilevato, a T2, un miglioramento nei punteggi di ECL (+68%, p=0.004), D (+52%, p=0.0026), V (+8%, p=ns) e S (+20%, p=ns). Conclusioni. I pz responder al TF dopo 45 giorni presentano uno scarso ulteriore miglioramento a 90 giorni, mentre i non-responders possono presentare un ulteriore miglioramento proseguendo il training per altri 45 giorni. I nostri dati preliminari suggeriscono quindi la possibilità di sospendere il TF controllato nei soggetti responders al trattamento dopo 45 giorni, avviandoli ad un programma di training di tipo domiciliare, consigliato. I pazienti non-responders a 45 giorni, possono proseguire il TF controllato al fine di ottenere un ulteriore beneficio. Ciò potrebbe permettere di ridurre i costi del trattamento, ottimizzando le risorse disponibili, senza influire negativamente sul risultato finale del TF. Aterosclerosi subclinica e pluridistrettuale P144 ATEROSCLEROSI SUBLICNICA NEI PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE CRONICA MODERATA: RUOLO INCREMENTALE DELLA STIFFNESS ARTERIOSA Razvan Ticulescu1, Olga Vriz2, Lina Sparacino1, Eugenio Cervesato3, Elisa Leiballi3, Alberto Roman Pognuz3, Margherita Cinello3, Rita Piazza3, Daniela Pavan4, Gian Luigi Nicolosi3, Giacomo Panarello5, Francesco Antonini-Canterin1 1 Patologia Cardiovascolare e Aterosclerosi, Pordenone, 2Cardiologia, San Daniele del Friuli, 3Cardiologia, Pordenone, 4Cardiologia, San Vito al Tagliamento, 5Nefrologia, Pordenone Background. È noto che i pazienti con insufficienza renale cronica presentano un elevato rischio di patologia aterosclerotica e delle sue complicanze. Tuttavia, la prevalenza dell’aterosclerosi nell’insufficienza renale cronica non è sempre legata alla presenza dei tradizionali fattori di rischio. Lo scopo del presente studio è quello di valutare i determinanti subclinici dell’aterosclerosi, quali l’ispessimento medio intimale (IMT) in questa categoria di pazienti. Metodi. Abbiamo arruolato 90 pazienti (24M, 66F, età 65±10 anni) con insufficienza renale cronica di grado moderato (clearance della creatinina misurata con la formula di Cockcroft-Gault <60 ml/m; media 51±8 ml/min). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad eco-color-Doppler dei tronchi sovraaortici con un ecografo dotato di tecnologia echo tracking ad alta risoluzione. Abbiamo misurato IMT e l’indice beta di stiffness a livello di carotide comune. È stato quindi creato un modello statistico per valutare i fattori predittivi del livello di IMT carotideo, includendo fattori di rischio tradizionali (colesterolo LDL, trigliceridi, ipertensione arteriosa, diabete, fumo), clearance della creatinina e indice di stiffness beta. Risultati. Il modello risultava predire significativamente l’IMT (p<0.001). Il valore medio dell’IMT era di 0.94±0.18 mm. Una storia di ipertensione era presente nel 79% dei pazienti; diabete nel 17%, fumo nel 9%. L’analisi multivariata dimostrava che i predittori indipendenti dell’IMT erano: l’età (p=0.005), l’indice di stiffness beta (p=0.012) ed il diabete (p=0.015). L’indice beta di stiffness era significativamente correlato con l’IMT, anche quando corretto per l’età (r=0.30, p=0.004). Conclusioni. L’indice beta di stiffness arteriosa nei pazienti con insufficienza renale cronica moderata, misurato a livello carotideo con metodica echotracking, fornisce informazioni aggiuntive al di là dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare nel predire l’aterosclerosi subclinica. Questi risultati potrebbero trovare una rilevanza nella pratica clinica per stratificare più accuratamente il rischio in questa categoria di pazienti. P145 DETECTION OF SUBCLINICAL ATHEROSCLEROSIS IN A STUDY POPULATION OF HIV-INFECTED PATIENTS RECEIVING HIGHLY ACTIVE ANTIRETROVIRAL THERAPY: PRELIMINARY DATA FROM CORONARY MULTIDETECTOR COMPUTED TOMOGRAPHY Federica Ferraiuolo1, Gabriella D’Ettorre2, Marco Francone3, Francesco Vullo3, Giancarlo Ceccarelli2, Stefano Strano1, Massimo Mancone1, Roberto Passariello3, Vincenzo Vullo2, Francesco Fedele1 1 Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche, 2Dipartimento delle Malattie Infettive e Tropicali, 3 Dipartimento di Radiologia, Università La Sapienza, Roma Purpose: Acute coronary syndromes and coronary artery disease (CAD) represent an emerging complication in HIV-infected patients under highly active antiretroviral therapy (HAART). The present study sought to noninvasively assess prevalence of CAD in an asymptomatic HIV-positive population receiving HAART, using multidetector computed tomography (MDCT) as reference tool. Methods. From an initial database of approximately 500 subjects, 52 HIV+ patients receiving HAART (age range 25-73 years; mean 50.3 years) were enrolled in the study; all subjects were asymptomatic and stratified as low cardiovascular risk subjects according to the CUORE-project risk score. A standard MDCT acquisition protocol was acquired in all cases using a DualSource scanner with standard acquisition parameters and using an ECGpulsing technique to minimize individual radiation exposure. MDCT data sets were evaluated for presence of coronary calcifications, noncalcified plaques, and significant lumen narrowing (i.e. >50% stenosis). All patients with significant CAD were addressed to selective coronary angiography (CA) and data were correlated with patient’s clinical data (i.e CD4+ and HIV-RNA). G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 69S Methods. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Results. Significant coronary lesions (>50%) were observed in 44% of our study population (23 patients) and confirmed at CA. Conclusions. MDCT allows direct quantification of the atherosclerotic Conclusions. burden and may be used as non-invasive diagnostic tool for cardiovascular risk stratification and monitoring in patients under HAART. Results. Conclusioni. Un’associazione tra LDL-chol e rischio di multiple (>2) pla è rinvenibile nei pazienti 30-50enni, ma non nel sottogruppo dei 50-80enni, forse per interazione qualitativa esercitata dall’uso abituale di statine, notevolmente più rappresentato in questo sottogruppo, o perché sono altre le determinanti aterogenetiche cruciali in età senile. P147 EFFECT OF DIFFERENT DEGREE OF PHYSICAL ACTIVITY ON CAROTID ARTERY P147 STIFFNESS IN NORMAL SUBJECTS. AN ECHO-TRACKING STUDY Olga Vriz1, Eduardo Bossone2, Francesco Antonini-Canterin3 OF PHYSICAL ACTIVITY ON CAROT 1EFFECT OF DIFFERENT DEGREE Cardiologia, San Daniele del Friuli, 2Cardiochirurgia. Policlinico NORMAL AN ECHO-TRACKING STUDY San Donato,SUBJECTS. Milano, 3Patologia Cardiovascolare e Aterosclerosi, Pordenone Background. Reduction in compliance of central arteries exerts a number of adverse effects on cardiovascular function and disease risk. Endurance training is efficacious in reducing arterial stiffness in normal adults. To Background. assess the effects of resistance training on carotid arterial stiffness we compared different degree of sport activity with a group of sedentary subjects. Methods. The study population consisted of 117 normal subject males (age 40.5±15.7 years, range 16-75), asymptomatic, without known Methods. risk factors. Subjects were categorized as sedentary, if they cardiovascular did not regularly perform any physical activity (sport 0, n=29); mild exercisers, if they performed leisure-time physical activities (sport 1, n=29); exercisers, if they performed sports at least once a week during the previous 2 months (sport 2, n=12) and trained (at least 6 hours a week, running or cycling; sport 3, n=47) if the subjects performing competitive sports (competitive amateurs). All subjects underwent measurements of the local stiffness have been obtained at the level of common carotid artery before the bifurcation (using an high definition echo-tracking system implemented in an Alfa-10 prosound echo-machine, Aloka, Japan) and the following indices have been calculated: arterial compliance (AC, mm2.kPa-1), one-point pulse wave velocity (PWV, m/s). A transthoracic echocardiographic study was also performed evaluating LV mass index (LVMI in g/m2), relative wall thickness (RWT), E/A ratio. Results. LV AC increased and PWV decreased with the level of physical Results. activity. Mass index (LVMI) increased proportionally to the level of physical activity as well as E/A ratio. Relative wall thickness (RWT) was similar among the three groups. Conclusions. Our study showed in normal subjects a marked contrast to Conclusions. the beneficial effect of regular aerobic exercise “reduces” central arterial compliance in healthy men. P146 I LIVELLI SIERICI DI COLESTEROLO LDL PERDONO IL LORO SIGNIFICATO PREDITTIVO DI ATEROSCLEROSI CAROTIDEA PLURIFOCALE AL CRESCERE DELL’ETÀ: INFERENZE DA UNO STUDIO OSSERVAZIONALE SULLA PREVALENZA DI ATEROMI CAROTIDEI MULTIPLI IN DIVERSE FASCE D’ETÀ Renato De Vecchis1, Giuseppina Di Biase2, Antonio Ciccarelli2, Adelaide Fusco1, Carmela Cioppa1, Anna Giasi1, Carmelina Ariano1, Dario Paolino1, Salvatore Cantatrione1 1 Servizio di Cardiologia, Presidio Sanitario Intermedio “Elena d’Aosta”, Napoli, 2Servizio di Neuroriabilitazione, Clinica “Santa Maria del Pozzo”, Somma Vesuviana (NA) Introduzione. Nello studio dei nessi tra colesterolemia e aterosclerosi sussistono perplessità inerenti alla possibile diversa intensità, a seconda dell’età, del ruolo aterogeno esercitato dai livelli di colesterolo LDL circolante (LDL-chol). Ancora, è materia di dibattito il possibile ruolo di fattore confondente esercitato dall’età, in quanto associata tanto col fattore di rischio aterogeno, rappresentato dagli elevati livelli di LDL-chol, quanto con la variabile di esito, i.e. le placche aterosclerotiche carotidee (pla). Scopi. Ci siamo prefissi di valutare eventuali correlazioni tra età, livelli sierici di LDL-chol e rischio di aterosclerosi carotidea diffusa, i.e. ateromi multipli all’esame ultrasonografico Doppler delle carotidi (us-car), in pazienti di varia età, senza storia di ictus ma con uno o più fattori di rischio vascolare. Metodi. Abbiamo arruolato entro uno studio osservazionale retrospettivo pazienti ambulatoriali di età compresa tra 30 e 80 anni, di cui fosse disponibile almeno un riscontro di LDL-chol a digiuno insieme con un uscar eseguito a distanza di non oltre un mese prima o dopo rispetto alla determinazione di LDL-chol. Venivano definite pla le salienze di parete realizzanti una riduzione non inferiore al 25% del lume carotideo originario. Per ogni paziente furono identificate numero di pla, età e valore di LDL-chol; inoltre, si operò la categorizzazione di pla in 2 classi (0: <3 pla; 1: 3 o più pla) e di età e LDL-chol in 5 classi per ognuna delle 2 variabili. Risultati. Nei pazienti di età 30-50 anni (n=115), la classe 1 (con 3 o più pla) si associò a livelli significativamente maggiori di LDL-chol nel confronto con la classe 0 - 208±22 vs 136±41 mg/dl; p (ANOVA) =0.0001. Invece, nella fascia 50-80 anni (n=155), non si riscontrò significativo divario di LDL-chol nelle 2 classi-129±27 vs 122±38 mg/dl rispettivamente nelle classi 1 e 0; p (ANOVA) =0.261. Tuttavia, anche nella seconda fascia anagrafica, era possibile rilevare un’associazione tra livelli elevati di LDLchol e aumentato rischio di multiple pla, limitata al subset non trattato con statine. 70S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 LVMI RWT E/A AC PWV Sport 0 49 (2) 34 (1) 1.3 (0.1) 0.84 (0.07) 5.74 (0.19) Sport 1 46 (2) 33 (1) 1.5 (0.1) 1.03 (0.07) 5.26 (0.19) Sport 2 59 (3) 33 (2) 1.5 (0.2) 0.95 (0.11) 5.40 (0.30) Sport 3 60 (2) 33 (1) 2.0 (0.1) 1.25 (0.05) 4.39 (0.15) p <0.0001 NS <0.0001 <0.0001 <0.0001 P148 FREQUENTE COESISTENZA DI ATEROSCLEROSI CORONARICA ED INTRACRANICA IN PAZIENTI AFFETTI DA CARDIOPATIA ISCHEMICA Paolo de Campora1, Giovanni Malferrari2, Marialuisa Zedde2, Lorenzo Coppo3, Raffaele Sangiuolo1 1 U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale Fatebenefratelli, Napoli, 2 U.O.C. Stroke-Unit, Ospedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia, 3Clinica Neurologica, Università del Piemonte Orientale A. Avogadro, Novara Premessa. La malattia aterosclerotica interessa spesso contemporaneamente più distretti vascolari. Nel nostro lavoro abbiamo investigato la presenza di ateromasia del distretto cervicale e cerebrale in pazienti con coronaropatia nota, diagnosticata mediante esame coronarografico. Lo studio si è avvalso di metodiche non invasive quali l’ecografia dei tronchi sovra-aortici (TSA) e transcranica (TCCD). Metodi. Hanno partecipato al nostro studio 2 gruppi: il I composto da 30 pazienti di sesso maschile (gruppo A età 60±10 anni) con IMA recente (<30 giorni). Il II gruppo (gruppo B) composto da controlli sani con età anagrafica comparabile. Sono stati esclusi dal lavoro pazienti con pregressi eventi cerebro-vascolari (TIA/stroke) nonché coloro che mostravano una finestra ecografica non soddisfacente alla TCCD. Gli esami ecografici sono stati effettuati su pazienti in decubito supino, registrati per una valutazione off-line. Con eco TSA è stato analizzato l’IMT ed i parametri emodinamici dell’asse carotido-vertebrale. Con metodica TCCD - mediante approccio temporale bilaterale e suboccipitale - valutati la morfologia e la flussimetria dei vasi del circolo anteriore e posteriore intracranico. Risultati. Il 30% dei pazienti (Gruppo A) ha evidenziato la presenza di ateromasia intracranica. Nel 50% di essi coesistevano placche carotidee. Assenti alterazioni di rilievo tra i controlli. Conclusioni. La malattia coronarica frequentemente si associa ad ateromasia cerebrale asintomatica. Nel nostro lavoro abbiamo riscontrato una significativa associazione della patologia aterosclerotica nei pazienti incorsi in eventi cardiologici. In essi, in particolare, è emersa una maggiore compromissione del distretto intracranico rispetto all’asse epiaortico. Auspicabile, in un prossimo futuro, l’esecuzione di indagini non invasive, non onerose, per lo screening dei vasi cerebro-afferenti ed intracranici. Conclusioni. POSTER P149 ASYMPTOMATIC CEREBRAL ISCHEMIC LESIONS, AS FOUND BY Bibliografia RESONANCE MAGNETIC IMAGING IMMEDIATELY AFTER CAROTID ARTERY STENTING, CAN BE PREDICTED USING QUANTITATIVE TISSUE CHARACTERIZATION OF CAROTID PLAQUES: A NEW WAY TO REFINE THE CLINICAL RECOMMENDATION FOR CAROTID STENTING? Renato De Vecchis1, Giuseppina Di Biase2, Carmela Cioppa1, Anna Giasi1, Adelaide Fusco1, Dario Paolino1, Antonio Ciccarelli2, Carmelina Ariano1, Salvatore Cantatrione1 1 Cardiology Unit, Presidio Sanitario Intermedio Elena d’Aosta, Napoli, 2 Neurorehabilitation Unit, Clinica S. Maria del Pozzo, Somma Vesuviana (NA) Background. Carotid plaque instability, defined by a finding of lipid-rich necrotic core or intraplaque hemorrhage, seems to be associated with an increased potential for cerebral embolism after carotid artery stenting(CAS). Aim. To determine whether the risk of newly appearing ipsilateral silent ischemic lesions of the brain (NISIL) can be predicted by carotid plaque quantitative tissue characterization by means of integrated backscatter (IBS) ultrasonography. Methods. A case-control study was planned, including patients who had undergone a CAS procedure in the last few years because of high-grade carotid stenosis, after performing a quantitative assessment of carotid plaque characteristics, by using IBS ultrasonography. As a further requirement for inclusion in the study, every patient should have undergone both preliminary and post-procedural diffusion weighted magnetic resonance imaging of the brain (DW I), according to the protocol operative at our two clinical Centers. Unstable component of carotid plaque was defined as the area of IBS values of intraplaque hemorrhage and lipid pool (IBS values ranging from 4 to 16). Relative unstable component area (%UCA) was automatically measured in each plaque by computer software. Results. The patients enrolled were 49 (30 men and 19 women). After CAS, DWI showed 80 NISIL in 21 patients (43%). There were ipsilateral and multiple lesions in all of them. In the NISIL-positive group, %UCA assessed by IBS analysis in most stenotic lesions was significantly higher than in the NISIL-negative group (63.2± 20.4 vs 37.7±18.4%, p<0.001). In multivariate logistic regression analysis, the independent predictors of NISIL related to CAS intervention were the C-reactive protein serum level (p=0.038) and the %UCA calculated by IBS (p=0.042), each of these being expressed as a continuous variable. From the analysis of receiver operating characteristic curves, 50% of the %UCA computed by IBS was the most reliable cut-off value able to predict the occurrence of NISIL after CAS. Discussion. Quantitative tissue analysis of carotid plaque by IBS ultrasound appears to be useful for predicting NISIL, CAS-related. Due to its lower risk of cerebral embolism, carotid endoarterectomy should be selected as preferable therapeutical option for high grade carotid stenoses instead of CAS if the %UCA of any carotid plaque were greater than 50%. However, prospective follow-up studies will be required to definitively validate this approach. Bibliografia - Greenland P, Abrams J, Aurigemma GP, et al. Prevention Conference V: Beyond secondary prevention. Identifying the high-risk patient for primary prevention: non-invasive tests of atherosclerotic burden: Writing Group III. Circulation 2000;101:E16-E22. - Greenland P, Smith SC Jr, Grundy SM. Improving coronary heart disease risk assessment in asymptomatic people: role of traditional risk factors and noninvasive cardiovascular tests. Circulation 2001;104:1863-7. - Takaki A, Ogawa H, Wakeyama T, et al. Cardio-ankle vascular index is a new noninvasive parameter of arterial stiffness. Circ J 2007;71:1710-4. - Giampaoli S, Palmieri L, Chiodini P, et al. La carta del rischio cardiovascolare globale. Ital Heart J Suppl 2004;5:177-85. P150 CARDIO-ANKLE VASCULAR INDEX E RISCHIO CARDIOVASCOLARE GLOBALE Sergio Callegari1, Antonio Rizzo1, Pietro Manotti2, Paolo Pastori1, Antonella Guberti3, Marco Mario Ferrario4, Paolo Moruzzi1 1 U.O. di Cardiologia-UTIC, Ospedale di Fidenza, Fidenza, 2Sezione di Igiene, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi, Parma, 3 U.O. di Medicina II, Ospedale di Fidenza, Fidenza 4Dipartimento di Scienze Sperimentali, Università degli Studi dell’Insubria, Varese Introduzione. L’aumentata rigidità arteriosa è uno dei fattori causali e prognostici di patologia cardiovascolare. Il Cardio-Ankle Vascular Index (CAVI), calcolato sul principio dell’equazione di Bramwell-Hill, consente una valutazione non invasiva della stiffness arteriosa, non influenzata dai valori pressori. Diversi studi hanno inoltre dimostrato una correlazione significativa tra CAVI e spessore intima-media (IMT), attestandolo tra i marker subclinici di danno d’organo. Metodi e risultati. Abbiamo studiato 198 soggetti: 104 maschi (età media 56.67±6.96 anni) e 94 femmine (età media 55.56±6.62 anni) senza precedenti eventi cardiovascolari. Abbiamo calcolato lo score individuale di rischio cardiovascolare mediante la formula del “Progetto Cuore” del Ministero della Sanità Italiano. La misurazione del CAVI è stata effettuata tramite l’apparecchio “VaSera VS-1000”, ottenendo un valore per gli arti del lato destro (DCAVI) e uno per gli arti del lato sinistro (SCAVI). Il grado di rigidità arteriosa espresso mediante l’indice CAVI è risultato significativamente correlato con lo score di rischio cardiovascolare (arti di destra: Tau di Kendall=0.255, p<0.001; arti di sinistra: Tau di Kendall=0.260, p<0.001). Un valore patologico dell’indice CAVI (>9) è stato riscontrato in 60 soggetti (30.3%). Nel gruppo con score di rischio cardiovascolare alto (≥20% entro 10 anni) 3 soggetti su 4 presentavano un CAVI patologico, mentre nel gruppo a rischio intermedio (compreso tra 6% e 20%) 24 persone (47.1%) evidenziavano un valore di CAVI >9. Nel gruppo a basso rischio il riscontro di CAVI alterato è risultato meno frequente (33 soggetti, 23.1%). Conclusioni. L’indice CAVI è un marker di danno d’organo subclinico di semplice esecuzione in grado di migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare, particolarmente utile nei soggetti a rischio intermedio, che potrebbero beneficiare di un intervento più intenso nella correzione dei fattori di rischio. P151 PERVIETÀ DEL FORAME OVALE: CASISTICA DI PAZIENTI CON STROKE CRIPTOGENETICO Pasquale Antonio Scopelliti1, Giovan Battista Antongiovanni1, Paolo Peci1, Tiberio Nicoli1, Andrea Cafro1, Paola Neri1, Chiara Angeletti1, Vittorio Giudici1, Alessandra Costalunga1, Roberto Grandi2, Maurizio Tespili1 1 U.O. di Cardiologia, 2U.O. di Neurologia, A.O. Bolognini, Seriate (BG) Vi sono dati suggestivi per un coinvolgimento del PFO come possibile causa nell’ictus criptogenetico. Questi dati assumono maggior rilevanza ora che la procedura di chiusura percutanea è divenuta comune in molti centri, sebbene le ultime linee-guida indichino attualmente particolare cautela nella selezione dei pazienti candidati alla chiusura. Nella popolazione di età <55 anni con stroke criptogenetico l’incidenza di PFO è stata documentata maggiore (56%) rispetto ai soggetti con stroke ad eziologia nota (18%). L’aneurisma del setto interatriale (ASA), la valvola di Eustachio (VE), un ampio PFO sono stati suggeriti come possibili fattori di rischio per stroke ricorrenti. In particolare in presenza di una prominente valvola di Eustachio il flusso ematico viene diretto dalla vena cava inferiore verso il setto interatriale contrastando la chiusura spontanea del PFO e predisponendo a embolismo paradosso. Scopo dello studio. Valutare con ecocardiografia transesofagea (TEE) l’incidenza di pervietà del forame ovale, l’anatomia del setto interatriale e la presenza di valvola di Eustachio. Metodi e risultati. Nell’arco di 45 mesi sono stati sottoposti a TEE 152 pazienti consecutivi giunti al nostro centro con diagnosi di ictus criptogenetico. L’indagine è stata mirata alla valutazione della presenza di PFO mediante somministrazione di mezzo di contrasto sonicato iniettato per via endovenosa antecubitale destra per documentare shunt destro-sinistro significativo (>30 microbolle) in condizioni basali e/o con manovra di Valsalva. È stata inoltre ricercata la presenza di: aneurisma del setto interatriale indicato come un bulging del setto ≥10 mm in atrio destro o in atrio sinistro; valvola di Eustachio prominente (valvola della vena cava inferiore) ≥10 mm; rete di Chiari; eventuale loro combinazione. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 71S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Pervietà del forame ovale è stata riscontrata in 71 pazienti su 152 (47%). Di questi: in 63 pazienti (89%) era documentabile uno shunt destrosinistro significativo già in condizioni basali; in 46 (65%) era presente una VE prominente; in 44 (62%) era presente un ASA; in 26 (37%) l’associazione di ASA + VE; in 39 (55%) era presente uno shunt destrosinistro basale + VE; in nessuno dei nostri pazienti è stata documentata la presenza di rete di Chiari. Conclusioni. In linea con quanto segnalato in letteratura nello stroke (TIA o ictus) criptogenetico, la nostra casistica documenta alta incidenza di PFO e all’interno di questo gruppo risulta molto frequente l’ASA. Una prominente valvola di Eustachio è risultata con frequenza particolarmente alta nei pazienti con PFO indipendentemente dalla presenza di ASA, suggerendo che nel processo decisionale terapeutico la sua presenza dovrebbe essere presa in considerazione come un fattore di rischio aggiuntivo, anche in assenza di ASA. P152 RISULTATI A DISTANZA DI UN AMBULATORIO DEDICATO ALLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE: SULLA BILANCIA COSTI E BENEFICI, LA SFIDA VALE LA SPESA? Mariagrazia Sclavo, Massimo Veronese, Cristina Baré, Marco Sicuro S.C. di Cardiologia, Ospedale Regionale U. Parini, AUSL Valle d’Aosta, Aosta La sfida per chi gestisce la prevenzione cardiovascolare (CV) in particolare, in ambito cinico e all’interno di una Divisione di Cardiologia dove le aspirazioni e le potenzialità in campo devono sempre più fare i conti con la scarsità di risorse disponibili, devolute per la maggior parte ad affrontare i problemi immediati e “urgenti” della salute della popolazione, è di far fronte da un lato a un carico di lavoro che spazia dal counselling alla diagnostica precoce, alla terapia farmacologica e alla ricerca epidemiologica, dall’altro all’evidenza che la raccolta dei risultati è spesso sfumata e i vantaggi presunti nella riduzione del rischio di eventi è rimandato ed è valutabile solo a lungo termine. Tuttavia, il dispendio di energie merita una continuità di lavoro e a nostro parere i dati epidemiologici, per quanto non sempre significativi, sono meritevoli di far proseguire il lavoro. Metodi. Dal 2001 diverse persone si sono rivolte a questo Ambulatorio dedicato alla prevenzione primaria e secondaria dei soggetti più a rischio (433 soggetti, 279 in prevenzione I e 154 in prevenzione II) e sono state seguite nel tempo (703 visite effettuate, 1.6 visite/paziente). Età media per le donne, 55.89, per i maschi 55.39 anni. L’Osservatorio Epidemiologico ANMCO/ISS del 1999 evidenziava un’incidenza di eventi CV maggiori pari all’epoca al 5%, circa, della popolazione totale di entrambi i sessi nella Valle d’Aosta. Risultati. La popolazione dell’Ambulatorio di Prevenzione ha presentato dal 1/1/2003 al 30/11/2010 un Rischio CV globale alla prima visita pari al 12.5(±12.7), all’ultima visita successiva si era spostato, non significativamente, all’11.5(±12.7). In questi 8 anni si sono presentati 9 eventi maggiori (rate 1.1%/anno), rispettivamente a rappresentata in 5 casi (due donne e tre uomini) tra 10 e 20%, in 4 casi era ≥20%. Il tempo intercorso tra data ultima visita effettuata e data del ricoveroiva con la fascia di rischio. Il tempo medio intercorso tra una visita e la successiva nei soggetti che si sono presentati a quest’ultima è stata rilevata nel gruppo di popolazione esaminata pari a 1 anno e 6 mesi. La pressione arteriosa media nelle donne che hanno subito un evento era 180.0(±42.4), mentre negli uomini 148.7(±11.4) (p=0.04), a fronte di una riduzione significativa dei valori pressori osservata nel tempo nella popolazione che si è presentata a una o più visite di controllo (144.47±22.8 vs 139.98±20.7). Nessuna differenza significativa è stata rilevata nei due sessi rispettivamente per colesterolemia totale, obesità e fumo. Nessuna differenza per questi FR anche nel gruppo con evento e quello libero da evento. Conclusioni. L’attività degli Ambulatori di Prevenzione delle Strutture Cardiologiche deve essere perseguita e valutata nei risultati a distanza di almeno 9, 10 anni. Il rischio CV globale, che nella popolazione totale esaminata è situato prevalentemente nella fascia di rischio intermedio, 10-20%, si è generalmente ridotto, anche se non in modo significativo. Gli eventi CV maggiori sono stati osservati durante gli ultimi 8 anni in 9 casi, rate annuo 1.1%. Essi si sono presentati ad un’età, in entrambi i sessi, significativamente più elevata rispetto a quella media della popolazione presentatasi alle visite, e, in particolare, ad un’età molto anziana nelle donne, queste ultime con prevalenza di ipertensione arteriosa severa. Gli eventi sono intervenuti a distanza >2 anni dall’ultima visita effettuata. Il fattore di rischio pressione arteriosa sistolica è stato significativamente ridotto nei 10 anni di osservazione nei soggetti che si sono presentati ad almeno due visite di prevenzione cardiovascolare. 72S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Circolo polmonare P153 THE ITALIAN PULMONARY EMBOLISM REGISTRY (IPER): IMPIEGO DELLE METODICHE DIAGNOSTICHE SPECIFICHE NELL’EMBOLIA POLMONARE ACUTA Giuseppe Favretto1, Iolanda Enea2, Ferdinando Imperadore3, Ermanno Angelini4, Luca Masotti5, Angela Beatrice Scardovi6, Loris Roncon7, Franco Casazza8 1 Centro di Riabilitazione Cardiologica, Motta di Livenza, 2U.O. di Medicina d’Urgenza, Ospedale di Caserta, Caserta, 3U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Maria del Carmine, Rovereto, 4U.O. di Cardiologia, Ospedale Perrino, Brindisi, 5U.O. di Medicina Interna, Ospedale di Cecina, Cecina, 6 U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Spirito, Roma, 7U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Maria della Misericordia, Rovigo, 8U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Carlo, Milano Premessa. Il registro multicentrico nazionale IPER, sorto con l’endorsement ANMCO nel 2006, arruola pazienti con embolia polmonare (EP) di variabile gravità, ricoverati nei reparti ospedalieri (in prevalenza cardiologie e medicine d’urgenza). Il database, fruibile su web, si compone di 9 maschere che riguardano l’evento acuto (fase ospedaliera) e di 5 maschere, identiche per ciascuno dei controlli previsti post-dimissione, rispettivamente a 3-6-12-18-24-36 e 48 mesi (fase di follow-up). L’arruolamento della casistica è durato 4 anni e si è concluso il 31.8.2010 Casistica e metodi. Sono stati considerati validi per l’analisi 1716 casi, sottoposti a controllo di qualità dei dati della “fase ospedaliera”. Il 58% dei pz era ricoverato in cardiologia e il 42% in medicina, con un’età media globale di 69.9±15.3. Il 57% era di sesso femminile (età 72±15), il 43% di sesso maschile (età 68±15). Sono state analizzate le metodiche utilizzate, sia per la diagnosi che a completamento dell’iter diagnostico: scintigrafia polmonare (SP), angio-TC polmonare con o senza fase venosa periferica, eco-Doppler venoso (EDV), angiopneumografia (APG). In base alle linee guida europee del 2008, l’EP è stata classificata “ a non alto rischio” in 1514 pz (88.2%), e “ad alto rischio” in 202 (11.8%). Risultati. L’angio-TC polmonare è stata utilizzata in 1526 casi (88.9%) e nel 20% di essi lo studio del circolo polmonare è stato completato dalla fase venosa fino al poplite: gli emboli interessavano, quasi sempre, più distretti polmonari contemporaneamente ed erano localizzati nei rami segmentari nell’82%, nei rami lobari nell’81%, e nei rami principali nel 60%; una localizzazione unicamente segmentaria era presente solo nel 12% dei casi. Nel 52% dei casi di EP a non alto rischio i tromboemboli erano visibili nei rami principali. L’EDV, eseguito nel 78% dei pazienti, ha documentato una TVP nel 59%, prossimale in 3/4 dei casi. Durante il ricovero, il circolo venoso periferico fino al poplite è stato indagato sia con angio-TC che con EDV in 198 pz: considerando l’EDV come gold standard, il potere predittivo positivo e negativo della TC per la presenza o l’esclusione di TVP è risultato rispettivamente del 85% e del 78%. La SP in fase acuta è stata utilizzata per la diagnosi solo nel 10% dei casi, in prevalenza nelle forme “non ad alto rischio”; la SP in pre-dimissione, per la valutazione dei difetti di perfusione residui dopo terapia eparinica o trombolitica, è stata eseguita nel 12% L’APG non è mai stata utilizzata come primo esame per la diagnosi, ma unicamente nei 17 casi (1%), sottoposti a trombectomia percutanea con catetere. Conclusioni. L’angio-TC è l’esame routinariamente utilizzato per la diagnosi di EP, mentre la scintigrafia polmonare ha un ruolo del tutto marginale. I tromboemboli sono localizzati, in oltre la metà dei casi “a non alto rischio”, nelle arterie polmonari principali e ciò conferma la correttezza delle indicazioni delle linee guida, secondo cui la classificazione di gravità deve essere basata su criteri clinici e non su criteri morfologici. In un quinto dei casi l’angio TC viene utilizzata anche per la ricerca di una TVP prossimale, con una discreta concordanza diagnostica con l’EDV. L’incidenza di TVP all’EDV è in accordo con i dati della letteratura. L’APG è metodica utilizzata unicamente nei centri dotati di un laboratorio di emodinamica interventistica e finalizzata all’esecuzione della trombectomia polmonare con catetere. P154 EVOLUZIONE DEI SEGNI ELETTROCARDIOGRAFICI DI SOVRACCARICO VENTRICOLARE DESTRO NELL’EMBOLIA POLMONARE ACUTA: RISULTATI DEL REGISTRO NAZIONALE IPER Bianca Maria Fadin1, Cecilia Becattini2, Alessandra Lignani2, Carla Caponi3, Piero Zonzin4, Amedeo Bongarzoni5, Luigi Pignataro5, Franco Casazza5 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale di Cremona, Cremona, 2U.O. di Medicina Interna e Vascolare, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia, 3 U.O. di Medicina Generale, Ospedale di Cles, Cles, 4U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Maria della Misericordia, Rovigo, 5U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Carlo, Milano Premessa. L’elettrocardiogramma non è strumento dotato di sufficiente sensibilità e specificità per la diagnosi di embolia polmonare (EP); esso riveste tuttavia un ruolo non trascurabile nell’iter diagnostico iniziale di tale patologia, specie nei pazienti in condizioni critiche e senza comorbilità cardiorespiratorie rilevanti. In tali pazienti, l’eventuale presenza dei segni classicamente riferibili a un sovraccarico ventricolare destro (SVD), quali B(i)BD, S1Q3, T negative V1-V4 può ulteriormente rinforzare il sospetto clinico, indirizzando rapidamente verso esami più specifici. Mentre esiste accordo sulla correlazione tra insorgenza di B(i)BD o pattern S1Q3 e acuzie dell’EP, la T negativa da V1 a V4 potrebbe EVOLUZIONE DEI SEGNI ELETTROCARDIOGRAFICI DI SOVRACCARICO VENTRICOLARE DESTRO NELL’EMBOLIA POLMONARE ACUTA: RISULTATI DEL REGISTRO NAZIONALE IPER POSTER Premessa. rappresentare un fenomeno “subacuto”, espressione di una memoria “ischemica”, simile a quella che si verifica nell’infarto miocardico. Casistica e metodi. Sono stati considerati 1716 pz inseriti nel registro IPER, sottoposti a controllo di qualità dei dati. In 1671 (97.4%) era riportato il referto dell’ECG all’ingresso e in 798 (48%) erano riportati i referti di 3 ECG eseguiti durante il ricovero: all’ingresso, in 3° giornata e alla dimissione e il referto dell’ecocardiogramma della fase acuta. In tale sottopopolazione, in base alla classificazione in fasce di rischio delle linee guida europee del 2008, l’EP era “a non alto rischio” nel 90% (59% a Casistica e metodi. rischio intermedio e 41% a rischio basso) e “ad alto rischio” nel 10%. Scopi. Analizzare l’evoluzione temporale di B(i)BD, S1Q3, T negativa V1V4 nell’intera coorte di 798 casi con 3 ECG seriati e nei 3 sottogruppi di rischio. Risultati. Nell’intera coorte e, rispettivamente, nelle fasce a rischio basso, intermedio e alto, il segno più frequente di SVD all’ingresso era la T negativa Scopi. V1-V4 (28% nell’intera coorte, 15%- 34%-32% nelle 3 fasce di rischio), seguito da S1Q3 (23% nell’intera coorte, 12%-25%-43% nelle 3 fasce di rischio) e da B(i)BD (21% nell’intera coorte, 11%-22%-43% nelle 3Risultati. fasce di rischio). L’evoluzione dei segni di SVD evidenziava: a) nella fascia a rischio basso: una sostanziale stazionarietà nel tempo di B(i)BD e T negativa e un decremento di S1Q3; b) nelle fasce a rischio rispettivamente intermedio e alto: una riduzione progressiva di S1Q3 (25>12%>8% e 43%>21%>9%) e di B(i)BD (22%>14%>11% e 43%>25%>15%) e un incremento della T negativa V1-V4 in 3° giornata con successiva riduzione alla dimissione (34%>47%>33% e 32%>56%>38%) (tabella). Conclusioni. L’evoluzione temporale dei segni di SVD, nella coorte di 798 casi che hanno eseguito 3 ECG seriati ed ecocardiogramma in fase acuta, mostra un diverso comportamento di B(i)BD- S1Q3 e T negativa anteriore Conclusioni. nelle 3 fasce di rischio clinico: a) una incidenza non dissimile nel tempo di B(i)BD-T negativa nella fascia a basso rischio (alterazioni verosimilmente almeno in parte preesistenti), mentre deve essere approfondito il significato della evidente riduzione di S1Q3; b) un decremento progressivo di S1Q3 e di B(i)BD dal primo ECG alla dimissione e, al contrario, un andamento a campana della T negativa anteriore che aumenta in 3° giornata e si riduce alla dimissione, nelle fasce a rischio intermedio o alto, fenomeni più marcati in quest’ultimo gruppo. Questi risultati dimostrano che B(i)BD e S1Q3 sono segni di fase acuta, espressione di un sovraccarico recente e rilevante del VD, mentre sembrano avvalorare l’ipotesi che la T negativa esprima piuttosto la “memoria ischemica” ventricolare destra, secondaria ad insufficienza coronarica relativa. B/i)Bd S1Q3 T neg V1-V4 Rischio basso ecg1 ecg2 ecg3 11% 9% 7% 12% 6% 4% 15% 19% 14% Rischio intermedio ecg1 ecg2 ecg3 22% 14% 11% 25% 12% 8% 34% 47% 33% Rischio alto ecg1 ecg2 ecg3 43% 25% 15% 43% 21% 9% 32 56 38 P155 THE ITALIAN PULMONARY EMBOLISM REGISTRY (IPER): RISULTATI PRELIMINARI DEL FOLLOW-UP A TRE MESI Amedeo Bongarzoni1, Franco Casazza1, Maria Garagiola1, Ferdinando Imperadore2, Luigi Pignataro1, Elena Bulotta1, Chiara Forgione3 1 Ospedale San Carlo Borromeo, Milano, 2U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Maria del Carmine, Rovereto, 3Poliambulanza, Brescia Premessa. Il registro multicentrico nazionale IPER, iniziato con l’endorsement ANMCO nel 2006, ha arruolato pazienti con embolia polmonare (EP) di variabile gravità, ricoverati nei reparti ospedalieri (in prevalenza cardiologie e medicine d’urgenza). Il database, fruibile su web, si compone di 9 maschere che riguardano l’evento acuto (fase ospedaliera) e di 5 maschere identiche per ciascuno dei controlli previsti postdimissione, rispettivamente a 3-6-12-18-24-36-48 mesi (fase di follow-up). In carenza di studi che documentino l’andamento nel tempo dell’EP su ampie casistiche, il registro si è proposto di fornire un contributo di conoscenza e uno stimolo ai clinici perché non limitino alla fase acuta il proprio intervento, ma collaborino con i Centri per il controllo della terapia anticoagulante per un affronto globale e duraturo di questa patologia. L’arruolamento, iniziato il 1.9.2006, si è concluso il 31.08.2010; il termine del follow-up è previsto per il 31.08.2012. Casistica. Sono stati arruolati e validati 1716 casi ricoverati per EP: mentre la compilazione della “fase ospedaliera” è obbligatoria, l’esecuzione del FU da parte dei centri è raccomandata, ma non costituisce condizione indispensabile per la partecipazione all’IPER: molti centri infatti non dispongono ancora di una organizzazione in grado di farsi carico di questa problematica. L’analisi attuale si riferisce ai risultati del follow-up a 3 mesi. Risultati. 116 pazienti sono deceduti in ospedale (6.7%); i pazienti eleggibili per il follow-up sono stati pertanto 1600, di età media 74.5±13.5 e di sesso femminile nel 57%. A 3 mesi, 800 casi sono stati controllati clinicamente (77%) o contattati telefonicamente (23%). Recidive emboliche si sono verificate in 11 casi (1.4%), neoplasie di nuova insorgenza in 27 (3.4%), eventi cardiovascolari (ECV) in 11(1.4%). Il decesso si è verificato in 46 persone (5.8%), nel 59% femmine; la causa di morte è stata attribuita a neoplasie nel 43% dei casi, a comorbilità di varia natura nel 46%, a ECV nell’11%. Un ecocardiogramma colorDoppler è stato eseguito in 517 casi (93% dei pazienti sottoposti a visita clinica) ed in 303 di questi è stato riportato il valore del gradiente VDAD. Nel 25% dei casi esso risultava >30 mmHg (valore indicato nel registro per diagnosticare una possibile ipertensione polmonare), ma solamente nel 5.3% il gradiente era >45 mmHg (valore suggerito dalle linee guida europee per indicare una ipertensione molto probabile) e nell’1.7% era >60 mmHg. Conclusione. Nel 50% dei pazienti ricoverati per EP si sono ottenute informazioni a distanza di 3 mesi e in tre quarti di essi è stata eseguita una valutazione clinico-strumentale: tale risultato sembra rappresentare un segnale positivo verso la diffusione di una nuova “cultura” dell’EP, che non si limiti a considerare gli aspetti della fase acuta, ma che tenga conto dei numerosi elementi che influenzano la prognosi a distanza. Per quanto riguarda le cause di decesso: le neoplasie insieme alle comorbilità di varia natura influiscono in modo sostanziale sulla sopravvivenza a distanza, seguite dalle coronaropatie. In questa popolazione, trattata con terapia anticoagulante nella quasi totalità, le recidive emboliche sono rare e non mortali. All’ecocardiografia a 3 mesi, l’incidenza di ipertensione polmonare è bassa e prevalentemente di entità lieve-moderata, in sostanziale accordo con i dati della letteratura. P156 SIX-MONTH ECHOCARDIOGRAPHIC STUDY IN PATIENTS WITH SUBMASSIVE PULMONARY EMBOLISM AND RIGHT VENTRICULAR DYSFUNCTION: COMPARISON OF THROMBOLYSIS WITH HEPARIN Sergio Fasullo1, Gabriella Terrazzino1, Ivana Basile1, Filippo Sarullo2, Salvatore Paterna3, Pietro Di Pasquale1 1 Ospedale Ingrassia, Palermo, 2Ospedale Buccheri La Ferla, Palermo, 3 Università degli Studi, Palermo The aim of this study was to assess the effect of thrombolysis versus heparin treatment on echocardiographic parameters and clinical outcome, during hospitalization and within the first 180 days after admission, in patients with 1st episode of submassive pulmonary embolism (SPE) and right ventricular dysfunction (RVD). Methods. Consecutive patients (age 18-75 years), with a 1st episode of SPE, with symptom onset since no more than 6 hours, normal blood pressure (>100 mmHg), echocardiographic evidence of RVD and positive lung spiral CT, were double-blind randomized: one group received 100 mg of alteplase (10-mg bolus, followed by a 90-mg i.v. infusion over a period of 2 hours), while the other group received matching placebo. In addition to alteplase or placebo, both groups received an unfractionated heparin treatment. Echocardiogram was performed at admission and at 24, 48, 72 hours, at discharge, at 3 and at 6 months after randomization. Results. 72 patients were included in the study; 37 were assigned to thrombolysis and 35 to placebo. Both groups were well matched with regard to features and clinical presentation. Thrombolysis group showed a significant early improvement of right ventricular function compared with heparin group, and this improvement was observed also during the follow-up (180 days). The same group showed also significant reduction in clinical events during hospitalization and follow-up. Conclusions. Our data suggest that in hemodynamically stable patients with SPE, thrombolysis shows an earliest reduction of RVD and a more favorable trend in clinical outcome, so it could merit consideration in SPE. P157 EMBOLIA POLMONARE IN PAZIENTI ANZIANI (ETÀ ≥75 ANNI): QUATTRO ANNI DI ESPERIENZA DEL NOSTRO CENTRO Elena Falchetti, Francesca Calcagnoli, Anna Patrignani, Fabrizio Buffarini, Aldo Dormi, Antonio Mariani, Gabriele Montanari, Mauro Pupita, Paolo Volpe, Nino Ciampani U.O. di Cardiologia, Presidio Ospedaliero di Senigallia, Senigallia Introduzione. Nei pazienti (pz) con embolia polmonare acuta (EPA) l’età è un fattore prognostico sfavorevole e condizionante il trattamento per le comorbilità che aumentano il rischio di complicanze. Lo scopo di questo studio è di valutare la prevalenza, le caratteristiche cliniche, il trattamento effettuato e l’outcome a breve termine di una serie di pz consecutivamente ricoverati presso la nostra unità operativa con diagnosi di EPA ed età ≥75 anni. Pazienti e metodi. In accordo con le linee guida europee sull’EPA (2008), i pz sono stati classificati ad alto rischio e non ad alto rischio (divisi a loro volta in rischio intermedio e basso). La disfunzione del ventricolo destro (Vdx) è stata definita dalla presenza all’ecocardiogramma di uno dei seguenti parametri: dilatazione del Vdx (diametro telediastolico in proiezione parasternale >30 mm); ipocinesia del Vdx (TAPSE <17 mm); gradiente pressorio transtricuspidale >30 mmHg in presenza di movimento paradosso del setto interventricolare e assenza di ipertrofia del Vdx. Criterio per la somministrazione della terapia trombolitica (TBL) nei pz a rischio intermedio è stato il riscontro ecocardiografico di pressione polmonare sistolica derivata (PAPs) ≥50 mmHg, espressione di instabilità emodinamica latente per l’esaurirsi dei meccanismi di adattamento, in assenza di segni di ipertrofia del Vdx (spessore parete libera Vdx <5 mm). Risultati. Dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2010 sono giunti alla nostra osservazione 44 pz con EPA di cui 27 (61.4%) con età ≥75 anni. Le caratteristiche cliniche, i reperti strumentali, il trattamento eseguito e le complicanze rilevate sono riassunte nelle tabelle 1 e 2. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 73S Risultati. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO NARE IN PAZIENTI ANZIANI (ETÀ ≥75 ANNI): QUATTRO ANNI DI ESPERIENZA DEL P159 Conclusioni. Conclusioni. La nostra casistica rileva come il pz con EPA ed età ≥75 anni sia frequentemente a rischio intermedio. Il riscontro all’ecocardiogramma di ipertensione polmonare sistolica (PAPs ≥50 mmHg), in assenza di ipertrofia del Vdx, identifica un sottogruppo a maggior rischio per instabilità emodinamica latente. Pur essendo l’impiego della TBL in questi pz controverso, dal nostro lavoro emerge che: tale trattamento in tutti è stato di beneficio clinico con una significativa riduzione della PAPs (p<0.01); nessun pz è deceduto; non sono state rilevate complicanze emorragiche maggiori. Tale risultato dovrebbe incoraggiare un atteggiamento farmacologico più aggressivo in pz anziani con EPA, a rischio intermedio e con riscontro ecocardiografico di ipertensione polmonare sistolica. P158 USE OF BIVALIRUDIN FOR HEPARIN-INDUCED THROMBOCYTOPAENIA AFTER THROMBOLYSIS IN MASSIVE PULMONARY EMBOLISM: A CASE REPORT Sergio Fasullo1, Gabriella Terrazzino1, Ivana Basile2, Giuseppina D’Aiello1, Pietro Di Pasquale1 1 G.F. Ingrassia Hospital, Palermo, 2Department Cardiology, University of Palermo, Palermo A 68-year-old man was referred to the emergency department 6 h after onset of sudden acute dyspnoea. Immediate ECG showed sinus tachycardia with the typical S1-Q3-T3 pattern and incomplete right bundle branch block. The echocardiogram showed the presence of mobile thrombus in the right atrium, a distended right ventricle with free wall hypokinesia and displacement of the interventricular septum towards the left ventricle. Lung spiral computed tomography (CT) showed bilateral pulmonary involvement and confirmed the picture of a thrombotic system in the right atrium and caval vein. Thrombolytic treatment with recombinant tissue plasminogen activator (rt-PA) and heparin (alteplase 10 mg bolus, then 90 mg over 2 h) was administered. Six hours after thrombolysis bleeding gums and significant reduction in platelet count (around 50,000) were observed. Heparin was discontinued and bivalirudin (0.1 mg/kg bolus and 1.75 mg/kg per h infusion) plus warfarin was initiated and continued for 5 days until the international normalised ratio (INR) was within the therapeutic range (2.0–3.0) for 2 consecutive days, with concomitant platelet count normalisation. Lung spiral and lower abdominal CT before discharge did not show the presence of clots in the pulmonary arteries of the right and left lung. This case suggests that bivalirudin could offer promise for use in patients with heparin-induced thrombocytopaenia (HIT) after thrombolysis for massive pulmonary embolism. 74S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 RESISTENZA AL WARFARIN DA VARIANTE DELL’EPOSSIDO REDUTTASI DELLA VITAMINA K IN EMBOLIE POLMONARI RECIDIVANTI. CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA Michele Azzarito1, Francesca Romana Messina1, Fausto Farnetti1, Lorena Silvestri2, Franco Casazza3, Andrea Rubboli4 1 Cardiologia, Ospedale San Carlo, Roma, 2Laboratorio Analisi, IDI, Roma, 3 Divisione di Cardiologia, Ospedale San Carlo, Milano, 4Divisione di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna Paziente di 63 anni maschio. Nell’anamnesi almeno 3 episodi di embolia polmonare documentati. Portatore di filtro cavale da 4 anni. lieve ipercolesterolemia; non altri fattori di rischio. Giunge alla nostra osservazione per dispnea e dolore toracico. All’ecocardio dilatazione del VD con PAPs di 120 mmHg. Alla TAC presenza di formazioni trombotiche nell’arteria polmonare, in parte stratificate In terapia con 10 mg di warfarin e aspirina 100 mg. INR di ingresso 1.2; il controllo degli INR remoti disponibili documentava che il paziente non aveva mai raggiunto il target terapeutico. Durante il ricovero è stata aggiunta enoxaparina100 UI /kg bid ed è stato aumentato il dosaggio del warfarin fino a 25 mg/die raggiungendo così un INR di 2. Si è concluso per resistenza al warfarin. La warfarinemia di 3 mg% escludeva problemi di malassorbimento. È stata documentata polimorfismo del VORCK del tipoVKORC1-1639 G>A (metodica PGX- Thrombo Strip Assay Vienna Lab-Nuclear Laser). Il paziente ha rifiutato intervento di endoarteriectomia polmonare; è stata intrapresa terapia con bosentan. Sono in corso le pratiche per terapia compassionevole con dabigatran empiricamente viene definita resistenza al warfarin quando dosi abituali non ottengono un adeguato INR, segnatamente se i dosaggi del farmaco eccedono i 15 mg /die. Va distinta dal fallimento della terapia, cioè dall’evento trombotico in corso di terapia, piuttosto frequente nei pazienti neoplastici esistono molte cause di resistenza al warfarin, alcune acquisite (scarsa compliance, eccessiva ingestione vitamina K, ridotto assorbimento del warfarin, interazioni farmacologiche) altre genetiche (aumento della clearance da parte del citocromo P450, ridotta attività del farmaco per varianti del bersaglio). In questo caso è stata documentata resistenza di tipo genetico legata a resistenza farmacodinamica per variazione dell’enzima bersaglio. Il complesso enzimatico dell’epossido reduttasi della vitamina K. Si tratta di enzima che “ricostituisce” la vitamina K e la rende in grado di ripetere la carbossilazione dei residui glutammici dei fattori coagulativi vitamina Kdipendenti. Questi residui sono fondamentali per l’attività coagulante e il warfarin inibendone la formazione esercita la sua azione anticoagulante. Vi sono scarse segnalazioni di questo tipo di resistenza, a volte a seguito di mutazioni puntiformi. Lobstein riporta una serie di pazienti con nuovo tipo di mutazione Asp36Tyr. In conclusione la resistenza al warfarin è evento discretamente frequente ma raramente legata a fattori genetici. Nel caso clinico da noi descritto la resistenza era dovuta a variante VKORC1. P160 SUBGROUP DISTINCTION OF PULMONARY HYPERTENSION WITH A PRECAPILLARY COMPONENT AND OUTCOME DIFFERENCES Stylianos Pyxaras1, Matej Valentincic1, Francesco Lo Giudice1, Andrea Perkan1, Francesca Cettolo1, Silvia Magnani1, Gherardo Finocchiaro1, Giulia Barbati2, Adriana Magagnin1, Marco Merlo1, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department of Trieste, University Hospital of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padua Background. Pulmonary hypertension (PH) as the hemodynamic consequence of pulmonary vasculature remodeling can be the result of both primary pulmonary diseases and secondary to left heart pathology (“reactive” PH). Aim of the study. To identify the different subgroups of patients (pts) with a precapillary PH component, describe their characteristics, and stratify their prognosis. Materials and methods. From January 1979 to December 2009, 60 pts affected by PH, both exquisitely precapillary (classes I and IV) or “reactive” type, were enrolled in the PH Registry of Trieste. Complete clinical and instrumental evaluations were achieved and all pts underwent both echocardiographic and right heart catheterization at enrolment. Outcome was considered as death or heart/pulmonary transplantation (D/HTx/PTx) experience. Results. Forty-one (68%) of our pts belong to Class I PH, 9 (15%) in Class IV, and 10 pts had a “reactive” form of PH. Different clinical (respectively for class I vs class II vs “reactive”: male gender 32 vs 30 vs 80%, p=0.019; age 50±20 vs 69±9 vs 59±12, p=0.011; atrial fibrillation 4 vs 33 vs 11%, p=0.013), echocardiographic (respectively for class I vs class II vs “reactive”: left atrial diameter 34±9 vs 39±8 vs 50±8 mm, p<0.001; transmitral E/A 1.0±0.6 vs 0.6±0.5 vs 2.0±1.6, p=0.006), and hemodynamic patterns (respectively for class I vs class II vs “reactive”: pulmonary capillary wedge pressure 10±5 vs 11±6 vs 25±7 mmHg, p<0.001; pulmonary vascular resistances 1009±733 vs 526±147 vs 324±128 dyne.sec/cm5, p=0.049) were noticed. From the univariate analysis echocardiographic parameters, such as the right ventricular end-diastolic (OR 1.14, 95% CI 1.03-1.26, p=0.013) and end-systolic areas (OR 1.14, 95% CI 1.03-1.27, p=0.016), the mean pulmonary artery pressure (OR 1.05, 95% CI 1.00-1.10, p=0.031), and hemodynamic data, such as cardiac index (OR 1.09, 95% CI 1.00-1.19, p=0.02) and pulmonary vascular resistances (OR 1.11, 95% CI 1.06-1.13, POSTER p=0.003) were significantly associated to D/HTx/PTx. Different survival patterns were demonstrated in the Kaplan-Meier analysis between the different subgroups, with the better prognosis for the “reactive group, following by class IV and class I subgroups (p=0.044). Multivariate analysis, due to the low sample number, was unremarkable. Conclusions. From our study emerged different clinical and instrumental characteristics between the three PH subgroups with a precapillary component. Echocardiographic and hemodynamic parameters were associated to survival that was also different between subgroups. nella stratificazione prognostica. La favorevole, anche se pur breve, esperienza di trattamento con bosentan ci induce a ritenere che tale terapia possa influire nella riduzione delle resistenze arteriolari polmonari. È previsto il controllo emodinamico cruento a 12 mesi. Conclusioni. La ricerca dell’ipertensione arteriosa polmonare nei soggetti con anemia emolitica cronica rientra tra gli obiettivi del nostro ambulatorio di screening. L’aver individuato due soggetti con talassemia intermedia che ne sono affetti ed averne avviato il trattamento ci potrà consentire di valutare a distanza gli effetti clinici e strumentali che gli antagonisti del recettore dell’endotelina giocano in tale patologia. P161 ECHOCARDIOGRAPHIC EVALUATION OF SYSTOLIC AND MEAN PULMONARY ARTERY PRESSURE IN THE FOLLOW-UP OF PATIENTS WITH PULMONARY HYPERTENSION Stylianos Pyxaras1, Matej Valentincic1, Andrea Perkan1 Francesco Lo Giudice1, Francesca Cettolo1, Silvia Magnani1, Marco Merlo1, Giulia Barbati2, Adriana Magagnin1, Gabriele Secoli1, Bruno Pinamonti1, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department of Trieste, University Hospital of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padua Background. Systolic and mean pulmonary artery pressure (sPAP and mPAP, respectively) are both important hemodynamic variables in the management of patients (pts) with pulmonary hypertension (PH). Current non-invasive echocardiographic estimation of these values with the modified Bernoulli formula [sPAP=4vTR (tricuspid regurgitation velocity)2+RAP (right atrial pressure, estimated by vena cava collapse) and mPAP=0.61sPAP+2] is not always reliable during follow-up evaluation in these pts, resulting in frequently underestimated values with respect to the right heart catheterization. Purpose. To identify a more reliable echocardiographic formula, applicable in the follow-up of PH pts. Materials and methods. From January 1979 to December 2009, 60 pts with precapillary (class I and IV) and “out of proportion” PH were consecutively enrolled in the PH Registry of Trieste. All pts underwent both echocardiographic and right heart catheter evaluation. We used the simple linear regression method in order to compare sPAP and mPAP echocardiography estimated values with the respective right heart catheterization derived invasive parameters. Results. In our population, the comparison of the estimated with the modified Bernoulli formula echocardiographic data and the effective invasive values confirmed a significant association between them (for sPAP p<0.001; for mPAP p=0.006). Simple linear regression derived formulas were sPAP=1.07x(4vTR2+RAP)+7.4 (1) and mPAP=1.1x(0.61sPAP+2)+2.5 (2). These formulas were validated in an external population of PH pts, where also echocardiographic and invasive sPAP and mPAP values were available. Conclusions. Our data suggest that formulas (1) and (2) could be more reliable with respect to the traditional modified Bernoulli equation, when echocardiographically estimating sPAP and mPAP in pts with PH confirmed by right heart catheterization. P162 IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE E TALASSEMIA Nicola D’Amato, Saverio Lanzone, Francesca Bux, Carlo D’Agostino U.O.C. di Cardiologia, Ospedale “Di Venere”, Bari P162 Background. All’interno della più recente classificazione dell’ipertensione IPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE E TALASSEMIA polmonare (Dana Point, 2008) sono presenti nel gruppo I anche le forme correlate alle anemie emolitiche croniche come la talassemia (anemia ipocromica microcitica). L’anomala sintesi di peptidi costituenti Background. dell’emoglobina porta ad una ridotta sopravvivenza dei globuli rossi e, a seconda del tasso di emoglobina circolante, si distinguono forme cliniche di diversa gravità. Il cuore, il circolo sistemico e polmonare fanno parte del coinvolgimento sistemico della malattia. A vari fattori patogenetici, tra cui l’emolisi cronica, consegue la riduzione dell’NO (nitrossido) ed il danno endoteliale, che sono alla base dei meccanismi favorenti lo sviluppo dell’ipertensione arteriosa polmonare (PAH). Tra questi un possibile ruolo viene attribuito all’aumento del livello di endotelina circolante. Descrizione. Nell’ambito dell’attività ambulatoriale di screening per escrizione. polmonare sono stati individuati due soggetti affetti da l’ipertensione talassemia intermedia con elevati valori di pressione sistolica polmonare massima stimata (PAPs - metodo ecocardiografico Doppler), classe NYHA II. In entrambi i pazienti è stato eseguito il cateterismo cardiaco destro, che ha confermato l’esistenza di un grado severo di PAH. Caso 1 Caso 2 Maschio/anni 32 PA 110/60 mmHg CO 3.9 l/m’/m2 PAPm 48 mmHg TPR 6.9/APR 5.3 WU Maschio/anni 36 PA 105/70 mmHg CO 4.36 l/m’/m2 PAPm 53 mmHg TPR 6.76/APR 5.5 WU La terapia con antagonisti del recettore dell’endotelina (ERA-bosentan) alla dose di 125 mg bid è attualmente in corso rispettivamente da 9 mesi e da 3 mesi nei due pazienti. Lo stato clinico generale appare migliorato al follow-up con un incremento della capacità di esercizio (più 9% e 12% nella distanza percorsa al 6MWT). La PAPs valutata all’eco-Doppler è calata di 23 mmHg e 15 mmHg rispettivamente. Discussione. Discussione. La PAH di grado severo è presente in una piccola percentuale dei pazienti affetti da talassemia, e sicuramente incide significativamente Conclusioni. P163 TEP IN URGENZA: MIGLIORARE L’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA Alessandra Revello, Paola Tittoto, Hashi Alasow, Muhammad Salim, Roberta Mascianà, Francesco Rocco Pugliese U.O.C. di Pronto Soccorso Medicina d’Urgenza, Ospedale Sandro Pertini, Roma Il TEV costituisce la terza causa di morte cardiovascolare dopo l’infarto e l’ictus. La sua patogenesi coinvolge la triade: stasi venosa, vasodilatazione e alterazioni della coagulazione all’insorgere della quale concorrono fattori genetici ed acquisiti. Oltre all’ormai comprovato ruolo di tali fattori e al rischio chirurgico, negli ultimi anni le malattie internistiche hanno assunto un peso sempre maggiore nel determinismo del TEV. Lo score di Wells combinato con il dosaggio del D-dimero come strumento decisionale per l’esecuzione della Tc del torace con mdc è attualmente il gold standard nelle linee guida internazionali pur non contemplando tutte le co-morbilità del paziente altrettanto importanti come fattori di rischio. Nel presente studio retrospettivo abbiamo esaminato tutte le TEP degli ultimi 2 anni (2009-2010), diagnosticate nel Pronto Soccorso dell’Ospedale Sandro Pertini (circa 85000accessi/anno), valutando il ruolo dello score di Wells, del dosaggio del D-dimero e di fattori di rischio di tipo medico prevalenti per la definizione del rischio di TEP. Inoltre, nella nostra UOC a partire dal febbraio 2010 è stato attivato un percorso diagnostico per il TEV per migliorare l’accuratezza diagnostica in PS. Nel periodo studiato sono state diagnosticate 99 TEP (36 nel 2009, 63 nel 2010), con una prevalenza del sesso femminile (55%) ed età media 70 anni. In rapporto al sintomo di presentazione abbiamo riscontrato: dispnea (41%), dolore toracico (26%), sincope (18%), sospetta TVP (11%), febbre (5%). I fattori di rischio prevalenti sono stati: cardiopatia (21%), allettamento e fratture (21%), TVP in atto (20%), neoplasia (19%), pregresso TEV (14%), obesità (13%), insufficienza respiratoria (10%), sepsi (6%), diabete (8%), malattie autoimmuni (3%), fumo-anticoncezionali (3%), IRC (3%), coagulopatie (1%). La tachicardia era presente nel 57% dei casi. Sul loro totale il 34% aveva uno score di Wells definito come TEP probabile (Wells ≥4); il 44% presentava uno score di Wells come improbabile (Wells <4) per TEP, ma una percentuale di D-dimero >500 ng/ml; il 22% aveva sia lo score di Wells (<4) che il dosaggio del D-dimero (<500) non suggestivi per TEP, e solo il motivo dell’accesso in PS e i segni clinici unitamente ai fattori di rischio di tipo medico hanno fortemente indicato l’esecuzione della TC torace con mdc consentendo di arrivare alla diagnosi. È stato, inoltre, effettuato un controllo sul gruppo di pazienti falsi positivi (TEP probabile o TEP improbabile + D-dimero >500 ng/dl) sottoposti a TC del torace con mdc risultata negativa, che presentavano come diagnosi più frequente una neoplasia. Conclusioni. L’applicazione rigida del protocollo linee guida integrato con la valutazione delle comorbilità del paziente ha consentito una maggiore accuratezza nella diagnosi di TEP in Pronto Soccorso (>20%). Ecocardiografia 1 P164 APPROPRIATEZZA DELL’ESAME ECOCARDIOGRAFICO E DEFINIZIONE DELLE CLASSI DI PRIORITÀ: UNA PROPOSTA DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI ECOGRAFIA CARDIOVASCOLARE (SIEC) Sara Mandorla1, Paolo Trambaiolo2, Margherita De Cristofaro3, Mara Baldassi4, Maria Penco5 1 S.C. di Cardiologia-UTIC, P.O. “Alto Chiascio”, Gubbio (PG), 2U.O.S.D. di Terapia Intensiva Cardiologica, Ospedale Sandro Pertini, Roma, 3 S.C. di Cardiologia, P.O. di Oliveto Citra (SA), 4Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria della Misericordia”, Udine, 5 Cardiologia, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi, L’Aquila Da tempo è emersa la necessità di governare la domanda diagnostica cardiologica incruenta attraverso l’utilizzo della appropriatezza. In particolare in campo ecocardiografico è necessario garantire l’esecuzione di esami ecocardiografici appropriati, completi, univoci, comprensibili e possibilmente utili nell’ambito clinico. Inoltre è sempre più pressante la necessità di regolare l’accesso alla diagnostica ecocardiografica secondo criteri di priorità clinica, tenuto conto dell’enorme numero di pazienti in attesa di un primo esame ecocardiografico o di un esame di controllo. Viene proposto un documento della SIEC che ha come finalità quella di implementare l’appropriatezza in ecocardiografia per lo studio e followup di patologie cardiovascolari. Esso ha inoltre l’obiettivo di governare la domanda secondo criteri clinici, tradotti in classi di priorità, ampiamente esplicitati dalle società scientifiche e dalle istituzioni di governo del G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 75S Scopo. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CMateriali ARDIOLOGIA DELL ’ANMCO e metodi. un’ecocardiografia nell’anno 2010. L’ecocardiografia è stata eseguita con iniezione di mdc (1 cc aria, 1 cc sangue del pz e 8 cc fisiologica) sia in basale che dopo manovra di Valsalva. Risultati. Risultati. 155 pazienti di cui 31% uomini e 69% donne con un’età media di 46.7±16 anni. Caratteristiche della popolazione: sistema sanitario. Il documento prende in considerazione oltre alle patologie cardiovascolari, anche altre patologie quali le vasculopatie periferiche, le nefropatie, la patologia oncologica, le connettivopatie e le endocrinopatie non contemplate nelle linee guida cardiologiche, ma che richiedono un esame ecocardiografico. Anche per queste vengono definiti i criteri di appropriatezza, di priorità clinica e follow-up, sulla base della letteratura. In conclusione, questo documento crea i presupposti per garantire a tutti i cittadini tempi di accesso alle prestazioni sanitarie adeguati ai reali problemi clinici ed offre gli strumenti per affrontare in modo concreto il problema delle liste di attesa. Ipertensione arteriosa Ipercolesterolemia Diabete mellito Fumo P165 FATTIBILITÀ E UTILITÀ DELLO STRAIN LONGITUDINALE CON TECNICA SPECKLE-TRACKING NEL LABORATORIO DI ECOCARDIOGRAFIA GENERALE Keren Zildman1, Luca Poggio1, Giulia Magrini1, Jean Louis Raisaro2, Paolo Vicinelli1, Arturo Raisaro1 1 Department of Cardiology, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, 2 Department of Bioengineering, University of Pavia Nella pratica quotidiana, la valutazione ecografica della funzione ventricolare sinistra globale e segmentaria è spesso soggettiva e semiquantitativa, soprattutto nei pazienti con finestra acustica non ottimale. La possibilità di una valutazione quantitativa della cinesi segmentaria e globale del ventricolo sinistro mediante calcolo dello strain longitudinale (SL) con tecnica speckle-tracking si affianca alla classica valutazione della frazione di eiezione (FE%) ed alla descrizione della cinesi P165 segmentaria. FATTIBILITÀ E UTILITÀ DELLO STRAIN LONGITUDINALE CON TECNICA SPECKLE-TRACKING Scopo del lavoro è stato verificare LABORATORIO DI ECOCARDIOGRAFIA GENERALEla fattibilità, la variabilità intra e interosservatore e la correlazione con la FE% dei dati ricavati dallo SL in una serie consecutiva di pazienti afferiti al Laboratorio di Ecocardiografia generale nel periodo aprile-maggio 2010. Sono stati valutati 410 pazienti (240M e 170F, età media 63.6±14.6 anni); di questi sono stati analizzati i dati di 94 con cuore normale, 116 ipertesi, 39 con cardiopatia ischemica cronica non infartuale (IMA), 41 con esiti di IMA antero-laterale, 38 con esiti di IMA infero-dorso-laterale e 42 valvolari; 40 pazienti erano affetti da altre patologie. La valutazione dello SL globale e di ciascuno dei 18 segmenti ventricolari è stata eseguita con apparecchiatura ecografica Vivid7, GE, acquisendo i cicli cardiaci con >70 immagini/s e successivamente analizzati off-line da due differenti operatori. Dei 7380 segmenti analizzati, lo SL è stato valutabile in 7030 segmenti; in 392 pazienti è stato possibile analizzare più di 15 su 18 segmenti. I principali risultati sono sintetizzati nella tabella seguente ed espressi come media ± SD SL (%) Globale Seg. basali Seg. medi Seg. apicali Seg. anteriori Seg. laterali Seg. inferiori FE (%) Normali (n=94) -18.9±5.8 -17.9±6.4 -19±4.6 -19.9±6.2 -18.3±7.4 -18.8±5.6 -20±5.1 61.0±6.6 Valvulopatici (n=42) -18±6.9 -16.2±7.5 -18±6.4 -19.9±6.5 -18.1±6.1 -18.2±8.3 -18.8±5.3 57.6±11.0 Post-IMA antlat (n=41) -12.2±8.2 -14.8±7.7 -13.4±6.3 -8.5±9 -10.9±8.3 -12±9.5 -15±7.8 47.9±10.1 Post IMA infdorso-lat (n=38) -14.5±7 -12.9±8.1 -14.6±5.7 -16±6.7 -14.9±6.1 -13.4±6.5 -13±7.2 52.8±9.6 CAD non IMA (n=39) -17.1±5.2 -16.1±4.5 -17±4.3 -17.8±5.3 -16.8±5.1 -17.5±4.5 -18.1±5.3 59.2±5.9 Ipertesi (n=116) -17.5±5.1 -15.9±5.2 -17.2±4.1 -18.1±5.2 -17.1±4.2 -16.1±5.2 -17.9±5.2 59.2±8.0 p 0.0002 0,0003 <0.0001 <0.0001 <0.0001 0.036 <0.0001 <0.0001 In conclusione, il calcolo dello SL globale e segmentario è fattibile in otre il 95% dei casi esaminati, con variabilità intra e interossevatore <3%. Nei soggetti con cuore normale lo SL globale è di -18.9±5.8% con una gradiente incrementale base-apice nei segmenti anterolaterali e apice-base in quelli infero-posteriori. Nei soggetti affetti da patologia cardiaca i valori di SL globale decrescono analogamente alla FE% fornendo peraltro parametri di contrattilità quantitativi per ogni singolo segmento consentendo una maggiore obiettività nel giudizio di ipo-, a- e discinesia segmentaria. La valutazione di uno SL ridotto consente di identificare i casi di disfunzione ventricolare sinistra con FE% preservata con particolare riferimento ai pazienti ipertesi e con coronaropatia senza esiti di infarto miocardico. P166 ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DELL’ECOCARDIOGRAMMA TRANSTORACICO CON INIEZIONE DI FISIOLOGICA SONICATA NELLA DIAGNOSI DI PFO Roberta Rosso1, Sara Bacchini1, Mirella Corebellini1, Laura Plebani1, Lorenzo Coppo2, Laura Virzì1, Angelo Sante Bongo1 1 Cardiologia Ospedaliera, 2Clinica Neurologica, Ospedale Maggiore della Carità, Novara Background. Il forame ovale si forma durante la V settimana di gestazione e consiste in un tunnel valvolato che permette al sangue ossigenato proveniente dalla arterie uterine di entrare direttamente in atrio sinistro bypassando il circolo destro. Nella maggior parte delle persone entro il primo anno di vita avviene la chiusura di questo tunnel; rimane pervio in circa il 25% dei soggetti adulti. Esso è correlato con: ictus criptogenetico; cefalea; OSAS; S. platipnea-ortodeoxia; EPA da elevate altitudini; malattia neurologica da decompressione nei subacquei. Scopo. Partendo dal presupposto che l’ecocardiogramma transesofageo (ETE) è sempre stato considerato il gold standard per la diagnosi del PFO e che il Doppler transcranico (TCD) è l’esame più sensibile per il riscontro di shunt dx-sx ci siamo posti lo scopo di valutare l’accuratezza diagnostica dell’ecocardiogramma transtoracico (ETT) con iniezione di fisiologica sonicata nella diagnosi di PFO. Materiali e metodi. Sono stati esaminati consecutivamente tutti i pazienti con sospetto PFO giunti nel nostro ambulatorio per effettuare NEL Patologie per cui i pazienti erano giunti alla nostra attenzione: - 53% emicrania con aura - 37% stroke criptogenetico - 5% subacquei - 5% altro Era presente un PFO semplice nel 57% dei casi ed un PFO associato ad aneurisma del setto interatriale nel 43%. Prendendo come termine di paragone il TCD, ETT con iniezione di fisiologica sonicata ha dato una concordanza di risultati in termini di numero di microbolle nel 60%; solo nel 10% si è dovuti ricorrere all’esecuzione di ETE poiché il ETT risultava negativo. In questi ultimi casi si è trovato uno shunt intracardiaco solo nel 30%, mentre nel rimanente 70% lo shunt dx-sx era extracardiaco. Nel 30% dei casi ETT ha mostrato una positività maggiore rispetto TCD come prevedibile in quanto le microbolle oltre a prendere la via arteriosa cerebrale si disperdono nel circolo arterioso sistemico. L’analisi statistica mediante Student T test ha mostrato che non esistono differenze statisticamente significative tra la media del numero di microbolle del TCD e del ETT sia in basale che dopo manovra di Valsalva (p=0.19 e p=0.44). Conclusioni. Lo studio ha mostrato che il ETT con iniezione di fisiologica sonicata è un esame poco costoso, di facile esecuzione e che individua lo shunt cardiaco dx-sx attraverso PFO in un numero molto elevato di casi: solo un numero esiguo di casi necessita anche di ETE per una diagnosi definitiva. Pertanto tale esame può essere il test di prima scelta per lo screening dei pazienti con sospetto PFO. Conclusioni. P167 VALUTAZIONE MEDIANTE IMAGING ECOCARDIOGRAFICO AVANZATO DELLA FUNZIONE VENTRICOLARE DESTRA NELL’IPERTENSIONE POLMONARE Silvia Pica1, Stefano Ghio1, Gianni Tonti2, Laura Scelsi1, Claudia Raineri1, Rita Camporotondo1, Annasara Pazzano1, Bruna Girardi1, Eleonora Guzzafame1, Nerejda Shehu1, Maria Cristina Dequarti1, Federica Dagradi1, Luigi Oltrona Visconti1 1 Dipartimento di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo ed Università, Pavia, 2Dipartimento di Cardiologia, ASL, L’Aquila Background. Le difficoltà di studio ecocardiografico non hanno ad oggi permesso di ottenere dati precisi sulle modificazioni funzionali del ventricolo destro (VDx) sottoposto a sovraccarico cronico di pressione P167 VALUTAZIONE MEDIANTE IMAGING con ECOCARDIOGRAFICO AVANZATOecocardiografico DELLA FUNZIONE Scopo dello studio. Analizzare tecniche di imaging VENTRICOLARE DESTRA NELL’IPERTENSIONE POLMONARE avanzato le modificazioni di funzione del VDx in presenza di ipertensione polmonare. Metodi. Sono stati studiati 30 pazienti affetti da ipertensione polmonare idiopatica (IAPI), 25 pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa con ipertensione polmonare (CMD IP), 24 pazienti affetti da cardiomiopatia Background. dilatativa senza ipertensione polmonare (CMD no IP) e 10 soggetti sani di controllo. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame ecocardiografico Scopo dello studio. entro 24 ore da cateterismo cardiaco destro. Le velocità sistoliche di picco, ilMetodi. displacement ed il picco dello strain derivante da TDI e da 2D speckle tracking (syngo Velocity Vector Imaging technology (VVI 2.0) Siemens Medical Systems Montain View Ca. USA) sono stati misurati off-line su workstation dedicate, sia nella componente longitudinale che in quella trasversale (radiale). Risultati. Le caratteristiche cliniche ed i parametri emodinamici ed Risultati. ecocardiografici sono riportati in tabella come media ± DS: Età (anni) Sesso (F/M) Indice cardiaco (l/min/m2) Gradiente transtricuspidale (mmHg) controlli 35.11±10.69 5/4 nd 17.8±2.77 CMD no IP 50.06±14.70 21/3 2.14±0.79 24.71±8.29 CMD IP 54.39±10.92 23/2 2.04±0.46 42.88±11.19 IAPI 52.69±14.99 9/21 2.60±0.63 69.89±15.51 global p value <0.04 funzione trasversale Accorciamento diametro basale (%) Accorciamento diametro medio (%) Velocità VVI basale (cm/sec) Velocità VVI media (cm/sec) Strain VVI basale (%) Strain VVI medio (%) 21.66±9.43 18.78±7.43 5.82±2.06 3.32±1.08 25.634±16.09 18.75±17.82 22.79±9.80 23.26±12.20 5.63±2.97 3.83±1.96 45.6±37.45 24.53±21.99 17.41±8.94 10.63±4.76 4.63±2.08 3.10±2.14 28.16±24.27 22.48±23.02 15.43±9.60 8.26±4.63 4.21±1.69 2.66±1.91 18.09±17.25 13.9±14.20 <0.01 <0.0001 <0.5 <0.07 <0.17 <0.7 12.89±6.70 11.62±4.76 20.67±2.12 11.27±0.89 9.56±1.12 9.6±4.29 7.08±3.09 20.44±11.07 29.32±11.67 22.51±6.3 20.35±9.19 10.27± 7.31 10.28±8.06 18.8±5.23 7.88±2.46 6.37±2.54 6.64±4.03 6.16±3.96 17.24±6.85 17.90±8.93 15.47±8.80 15.69±11.25 12.34±6.63 10.55±6.42 15.47±3.4 6.95±2.15 6.15±2.16 6.42±2.53 6.33±4.02 16.03±8.6 16.99±8.7 15.62±7.3 14.87±10.3 <0.06 <0.06 <0.002 <0.0001 <0.0001 <0.02 <0.017 <0.02 <0.06 <0.09 <0.38 funzione longitudinale Displacement VVI basale (mm) Displacement VVI medio (mm) TAPSE (mm) Velocità TDI basale (cm/sec) Velocità TDI media (cm/sec) Velocità VVI basale (cm/sec) Velocità VVI media (cm/sec) Strain TDI basale (%) Strain TDI medio (%) Strain VVI basale (%) Strain VVI medio (%) G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 8.60±5.38 6.37±3.28 16.36±5.45 6.63±2.09 4.53±2.02 5.65±3.56 4.92±2.68 18.32±9.52 16.15±6.72 16.00±11.51 15.65±10.11 <0.002 <0.0001 L’accorciamento dei diametri trasversali del Vdx è significativamente ridotto in presenza di IP, indipendentemente dall’eziologia della stessa, Conclusioni. 76S 10% 10% 2% 15% POSTER mentre le velocità sistoliche e gli strain trasversali VVI e TDI non sono ridotti rispetto ai soggetti normali o ai pz con CMD senza IP. Al contrario, il displacement, le velocità e lo strain longitudinale al TDI sono ridotti in presenza di patologia indipendentemente dalla presenza di IP. Il TAPSE è ulteriormente ridotto nei pz con IP (sia CMD con IP che IAPI) rispetto ai pz senza IP. Conclusioni. La funzione longitudinale e trasversale del ventricolo destro si modificano in modo diverso in presenza di ipertensione polmonare. In particolare i valori di velocità sistolica e di strain trasversale risultano sovrapponibili a quelli dei soggetti di controllo e non è quindi ancora chiaro quali informazioni cliniche aggiuntive possa fornire l’imaging avanzato in questi pazienti. AFIA REAL-TIME TRIPLANARE NELLA VALUTAZIONE DELL’AREA FUNZIONALE NELLE P168 OLARI AORTICHE: AFFIDABILITÀ E FATTIBILITÀ etodi. ECOCARDIOGRAFIA REAL-TIME TRIPLANARE NELLA VALUTAZIONE DELL’AREA FUNZIONALE NELLE PROTESI VALVOLARI AORTICHE: AFFIDABILITÀ E FATTIBILITÀ Gianluca Alunni, Chiara Calcagnile, Mauro Giorgi, Pierluigi Sbarra, Cristina Marocco, Anna Laura Fanelli, Ilaria Meynet, Paolo Garrone, Dario Casolati, Costanza Grasso, Sebastiano Marra Cardiologia 2, Azienda Universitario-Ospedaliera San Giovanni Battista, Torino Razionale. Scopo del nostro studio è quello di valutare la fattibilità e l’affidabilità di una nuova metodica per quantificare l’area funzionale delle protesi valvolari aortiche basata sostituendo lo stroke volume calcolato con l’equazione di continuità. Alcuni studi hanno dimostrato l’accuratezza della valutazione dell’area valvolare aortica utilizzando l’ecocardiografia tridimensionale (RT3D) ed il nostro gruppo ha recentemente validato anche la metodica triplanare. Proprio alla luce del nostro precedente studio, ci siamo proposti di valutare la fattibilità e l’affidabilità di questa nuova metodica (RT3PE) nella valutazione dell’area valvolare funzionale delle protesi aortiche. Materiali e metodi. Abbiamo studiato 23 pazienti consecutivi con protesi valvolare aortica che dovevano essere sottoposti a follow-up periodico. L’area valvolare funzionale della protesi aortica è stata calcolata mediante equazione di continuità ed utilizzando la nuova metodica, ovvero dividendo lo stroke volume ottenuto con il triplano (RT3PE) per l’integrale velocità-tempo attraverso la protesi (AVP RT3PE cm2 = SVRT3PE cm3/VTI Ao cm). L’area valvolare funzionale della protesi aortica, ottenuta con ciascun metodo ecocardiografico, è stata comparata con quella funzionale definita per ciascun tipo e taglia di protesi aortica (AFP). Successivamente entrambe le aree, sia bidimensionale che triplanare, sono state confrontate con i gradienti transprotesici medi e con il DVI (Figura 1). Risultati. Entrambe le metodiche hanno mostrato una buona correlazione con l’area funzionale protesica e con il DVI. Quando si confrontano, le aree valvolari calcolate con le due metodiche, con i gradienti medi transprotesici si evince una proporzionalità inversa fra aree e gradienti, migliore per l’AVPRT3PE rispetto all’AVP2D (p=0.0359) (Tabella 1). Non vi è differenza nella variabilità intra ed inter-osservatore tra le due metodiche. L’analisi dei tempi è significativamente minore per la metodica triplanare (Tabella 2). Conclusioni. L’ecocardiografia triplanare si è rivelata accurata come la metodica tradizionale, nella valutazione dell’area valvolare funzionale delle protesi aortiche con una significativa riduzione dei tempi, evitando eventuali errori dovuti alla misurazione del tratto di efflusso. P169 LEFT VENTRICULAR MECHANICS IN PATIENTS WITH AORTIC REGURGITATION. A SPECKLE-TRACKING ECHOCARDIOGRAPHY STUDY Rita Piazza1, Roxana Enache2, Alberto Roman Pognuz1, Denisa Muraru3, Margherita Cinello1, Elisa Leiballi1, Rosa Pecoraro1, Bodgan A. Popescu2, Francesco Antonini-Canterin1, Eugenio Cervesato1, Carmen Ginghina2, Gian Luigi Nicolosi1 1 Cardiologia-ARC, A.O. S. Maria degli Angeli, Pordenone, 2“Carol Davila” University of Medicine and Pharmacy, Bucharest, Romania, 3Padua Background. At present, left ventricular ejection fraction (LVEF) is regarded as the main parameter of left ventricular (LV) function which impacts both therapeutic option and outcomes in patients with significant chronic aortic regurgitation (AR). More subtle abnormalities in LV systolic function may be detected before LVEF declines in these patients. Purpose. To assess parameters of LV mechanics by speckle-tracking echocardiography (STE) and their correlation with LVEF in patients with significant chronic AR as compared with normal subjects. Methods. We prospectively studied 35 consecutive patients with significant (moderate and severe) chronic AR and 20 normal subjects. Exclusion criteria for patients with AR were LV ejection fraction (LVEF) ≤50%, significant coronary artery disease, any LV wall motion abnormality, more than mild associated valve heart disease, non-sinus rhythm. A comprehensive echocardiogram was performed in all patients. Rotation was measured from two-dimensional (2D) greyscale LV parasternal basal and apical short-axis images by STE using dedicated software (2D strain, EchoPac). LV twist was defined as the net difference in clockwise and counterclockwise rotation of LV apex and base. LVtor was calculated as the LV twist normalized to LV end-diastolic longitudinal length (measured in the apical 4-chamber view). Analysis of LV longitudinal strain by STE was performed on the four-chamber, two-chamber, and long-axis apical views, as previously described. Results. Age and gender of patients in the AR group and in the control group were similar (47.3±17.6 years, 27 men vs 48.1±18.9 years, 17 men, p >0.5 for both). Mean LVEF was similar in both groups (60±4% in AR group vs 62±3% in control group, p=0.15). Patients in the AR group had higher LV diameters and volumes, LV mass (p<0.01 for all), and lower LV shortening fraction (LVSF) (p=0.007) and S wave velocity at septal site by TDI (p=0.009). Peak apical rotation was significantly reduced in the AR group (12.6±8.0° vs 18.4±6.3°, p<0.001), while peak basal rotation was similar in both groups (-4.8±3.4° vs -5.6±2.6°, p=0.34). LVtor was significantly lower in the AR group (1.9±0.8°/cm vs 2.9±0.8°/cm, p<0.001), and so was time to peak LV twist (0.90±0.09 vs 0.99±0.07°/s). Global longitudinal LV strain was significantly lower in patients with AR (-17.5±2.3% vs -20.1±3.0%, p=0.003). In patients with AR, LVEF significantly correlated with LVFS (r=0.54, p=0.001), peak apical rotation (r= 0.65, p<0.001), LVtor (r=0.67, p<0.001) and global longitudinal LV strain (r=-0.70, p<0.001), while in normal subjects only global longitudinal LV strain was weakly correlated with LVEF (r=-0.56, p=0.036). At multivariable analysis LVtor and global longitudinal LV strain emerged as independent determinants of LVEF in patients with AR (p=0.001 for both). Conclusions. LVtor and global longitudinal LV strain, as assessed by STE, are reduced in patients with significant AR and normal LVEF. Both emerged as independent determinants of LVEF. The possible role of using these parameters to monitor patients with significant AR before LVEF declines remains to be studied. P170 UTILITÀ DELLO SPECKLE TRACKING ECHOCARDIOGRAPHY NEI PAZIENTI CON INFARTO STEMI Alessandro Santoro, Francesca Farina, Vincenzo Schiano Lomoriello, Roberta Esposito, Rosa Raia, Marinella Olibet, Maurizio Galderisi Cardioangiologia con UTIC, A.O.P. “Federico II”, Napoli Il presente studio ha testato l’utilità dell’AFI (automated function imaging), una metodica ultrasonora basata sull’ecocardiografia speckle tracking (STE), nel valutare la funzione ventricolare sinistra sia globale che regionale e la sua capacità di predire in anticipo il territorio ischemico coinvolto dalla lesione trombotica colpevole di infarto del miocardio. Metodi. La popolazione comprendeva 20 pazienti afferenti in UTIC per infarto STEMI e 29 pazienti di pari età, con angiografia coronarica normale. Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti nello stesso giorno ad esame eco-Doppler standard con valutazione non invasiva delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro (rapporto tra velocità E transmitralica G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 77S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO e velocità miocardica protodiastolica anulare e’, rapporto E/e’) ed analisi AFI on-line nonché ad angiografia coronarica seguita da rivascolarizzazione con PTCA. Mediante AFI, un software che sfrutta in scala dei grigi (registrazioni in bidimensionale >40 fps) i principi dello STE nelle 3 sezioni apicali, si è provveduto a determinare lo strain longitudinale regionale in 18 segmenti ottenuti e lo strain longitudinale globale (GLS) ottenuto come media delle misurazioni. Sono stati calcolati anche lo strain basale (media degli strain dei 6 segmenti basali), quello medio e quello apicale. Risultati. Indice di massa corporea, pressione arteriosa e frequenza cardiaca paragonabili tra i 2 gruppi. Negli STEMI il wall motion score index (WMSI) era più elevato (p<0.0001) e la frazione di eiezione (FE) ridotta (p<0.0001) rispetto ai controlli. Anche il rapporto E/e’ era aumentato negli STEMI (p<0.01). Il GLS, lo strain dei segmenti basali, medi ed apicali sono risultati tutti ridotti negli STEMI (p<0.0001). In una sottoanalisi eseguita in relazione al numero dei vasi stenotici risultanti dall’angiografia coronarica (0 vasi, 1 vaso = malattia monovasale, 2 o 3 vasi = malattia multivasale), GLS e strain dei segmenti basali sono risultati gradualmente ridotti dai controlli, ai mono- fino ai multivasali (p<0.0001), con differenze significative (p<0.01) tra mono- e multivasali. Il rapporto E/e’ ha seguito un trend inverso, senza riuscire però a differenziare i monovasali dai controlli. Strain longitudinale dei segmenti medi ed apicali, FE e WMSI non hanno mostrato potere discriminativo tra mono- e multivasali. Nella popolazione globale GLS era significativamente correlato a FE (r=0.76, p<0.0001), WMSI (r=-0.79, p<0.0001) e E/e’(r=-0.36, p<0.005). Conclusioni. La valutazione dello strain longitudinale ottenuta con AFI si è dimostrata affidabile nei pazienti affetti da STEMI. La capacità di questa tecnologia, utilizzabile al letto del paziente, nella valutazione sia del territorio ischemico responsabile dell’evento acuto che del grado delle pressioni di riempimento ventricolare, apre una nuova strada nella gestione dei pazienti infartuati. P171 P172 ATRIAL REVERSE REMODELING AND ATRIAL FUNCTION IMPROVEMENT AFTER CARDIAC RESYNCHRONIZATION THERAPY EVALUATED BY 2D STRAIN Fabiana Lucà, Tindaro Ceraolo, Rosario Germanà, Domenico Gumina, Gianfranco Impalà, Antonino Lo Cascio, Angela Lombardo, Americo Radici, Riccardo Randazzo, Nunziata Ziino, Ludovico Vasquez U.O.C. di Cardiologia-UTIC, P.O. Barone Romeo, Patti (ME) Background. The improvement of left ventricle (LV) function associated with reverse remodeling after cardiac resynchronization therapy (CRT) has P172 been reported. The aim of this study was to investigate the effect already ATRIAL REMODELING ATRIAL FUNCTION IMPROVEMENT AFTER of CRT onREVERSE atrial function by means AND of speckle-tracking two dimensional RESYNCHRONIZATION THERAPY strain echocardiography (2DSE). EVALUATED BY 2D STRAIN Methods. A total of 29 CHF consecutive patients [mean age 70.2±10.3 years, NYHA class III/IV (3.2±0.4), in sinus rhythm and optimal drug treatment, with either ischemic (n=18) or idiopathic (n=11) dilated Background. cardiomyopathy (DCM), left ventricular fraction (LVEF) <35%, QRS duration (139.5±27.9 ms) received CRT and were followed up for 6 months. Atrial function was assessed by 2D echo, mitral Doppler, tissue Doppler velocity, atrial emptying fraction based on the change inareas Methods.and volumes (LAV-EF), and 2DSE analysis of atrial longitudinal (LAA-EF) strain in the basal segment of LA septum and LA lateral wall, in LA roof. Left atrial emptying fraction based on change in areas (LAA-EF) and volumes (LAV-EF) were calculated. For speckle tracking analysis, apical four- and two-chamber views images were obtained using conventional 2D gray scale echocardiography, with a frame rate set between 60 and 80 frames per second. Recordings were processed using a dedicated software (Echopac PC 2D strain, GE Healthcare). Patients were compared according to LV volumetric response to CRT, defined as a reduction of LV end-systolic volume >10%. Results. As shown in the table, at 6-month follow-up, all patients showed a positive LV reverse remodeling (p<0.05) with improvement in EF (p<0.05) as well as in diastolic LV function (p<0.001); in addition, left atrial both size Results. and longitudinal strain were significantly improved after CRT. Conclusions. Speckle tracking is a feasible technique for assessment of longitudinal Conclusions. myocardial LA deformation. CRT improves both LA active emptying volume and fraction, as well as LA peak systolic strain. This increase in atrial 2DSE likely reflects the LA reverse remodeling with increase in atrial contractile function. RIGHT VENTRICULAR MYOCARDIAL FUNCTION IMPROVEMENT FOLLOWING CARDIAC RESYNCHRONIZATION THERAPY: A SPECKLE TRACKING ECHOCARDIOGRAPHIC STUDY Antonino Lo Cascio, Tindaro Ceraolo, Rosario Germanà, Domenico Gumina, Gianfranco Impalà, Fabiana Lucà, Angela Lombardo, Americo Radici, Riccardo Randazzo, Nunziata Ziino, Ludovico Vasquez U.O.C. di Cardiologia-UTIC, P.O. Barone Romeo, Patti (ME) Background. The improvement of left ventricle (LV) function after cardiac Echocardiographic parameter Before CRT 6-month FU p resynchronization therapy (CRT) in patient with congestive heart failure VTD (ml) 207.60±24.06 180.71±7.07 <0.05 (CHF) has already been reported, but little is known about its effects on VTS (ml) 151.66±7.6 103.66±15.2 <0.05 right ventricular (RV) function. FE (%) 24.00±2.9 33.25±2.3 <0.05 Transmitral E/A ratio 1.64±0.30 0.80±0.31 <0.05 Aim of this study. To investigate the effect of CRT on RV myocardial LA maximal volume (cm2/m2) 52±22 42±8.9 <0.05 function by means of speckle-tracking bi-dimensional strain LA active emptying volume (cm2/m2) 7.43±1.13 12.14±2.27 0.0004 echocardiography (2DSE). LA active emptying fraction (%) 22.38±5.10 33.00±9.64 0.015 Methods. A total of 29 CHF consecutive patients [mean age 70.2±10.3 LA lateral wall strain (%) 22.38±5.10 42.75±8.29 <0.0001 years, NYHA class III/IV (3.2±0.4), in sinus rhythm and optimal drug LA septum strain (%) 20.67±5.83 40.78±9.76 <0.0001 P171 LA roof strain (%) 19.33±4.61 37.33±11.15 0.0004 treatment, with either ischemic (n=18) or idiopathic (n=11) dilated RIGHT VENTRICULAR MYOCARDIAL FUNCTION IMPROVEMENT FOLLOWING CARDIAC cardiomyopathy ventricular fraction (LVEF) <35%, QRS RESYNCHRONIZATION(DCM), THERAPY:left A SPECKLE TRACKING ECHOCARDIOGRAPHIC STUDY duration (139.5±27.9 ms) without overt clinical signs of right ventricle (RV) failure, were studied before and 6 months after CRT. Patients were P173 compared according toLV volumetric response to CRT, defined as a Background.of LV end-systolic volume >10%. RV chamber dimension was EFFETTI DEL TRAINING FISICO SULLA DISFUNZIONE VENTRICOLARE reduction SINISTRA IN PAZIENTI CARDIO-OPERATI: STUDIO ECOCARDIOGRAFICO quantified using tricuspid annulus diameter and RV short-and long-axis MEDIANTE NUOVE METODICHE DI IMAGING dimensions. Pulmonary artery systolic pressure was estimated using Aim of this study. Carmelo Massimiliano Rao1, Demetrio Aguglia2, Giuseppina Casciola1, continuous wave Doppler imaging of the trans-tricuspid maximal Caterina Imbesi1, Antonino Marvelli2, Maria Sgro2, Daniela Benedetto3, Methods. regurgitant flow velocity. RV function was assessed by tricuspid annular Frank Antonio Benedetto1 plane systolic excursion (TAPSE), and peak systolic velocity (RV Sm) 1 U.O. di Cardiologia Clinica Riabilitativa, A.O. Bianchi-Melacrino-Morelli, obtained at the tricuspid annulus and base and mid-RV segments. For Reggio Calabria, 2U.O. di Cardiologia Clinica Riabilitativa, A.O. Bianchispeckle tracking analysis, apical four- and two-chamber views images were Melacrino-Morelli, Reggio Calabria, 3Università degli Studi, Messina obtained using conventional 2D gray scale echocardiography, with a frame Introduzione. Le nuove metodiche ecocardiografiche, tra cui il tissue rate set between 60 and 80 frames per second. Recordings were processed Doppler imaging (TDI) e lo strain imaging (SI) hanno reso lo studio della using a dedicated software (2D-strain Echopac PC v.7.0.1, GE Healthcare, funzione ventricolare più preciso ed accurato. Di particolare interesse Horten, Norway). Longitudinal strain was measured in RV septal and risulta la valutazione, attraverso l’impiego di queste tecniche degli effetti lateral walls. In addition the software calculated RV global longitudinal positivi del training fisico sul quadro di disfunzione sisto-diastolica strain by averaging local strain along the entire RV. ventricolare sinistra nei pazienti cardio-operati. Lo scopo dello studio è Results. As shown in the Table, at 6-month follow-up, all patients showed stato quindi il confronto dei parametri di funzione ventricolare sinistra a positive LV reverse remodeling (p<0.05) with improvement in ejection mediante ecocardiografia tradizionale, TDI e SI in pazienti già sottoposti fraction Results. (p<0.05); in addition, an improvement in RV myocardial velocities ad intervento cardiochirurgico prima e dopo un programma di training as well as RV peak systolic strain and global longitudinal strain was found fisico appropriato. in both ischemic and non ischemic patients after CRT. Metodi. Sono stati valutati complessivamente 60 pz di età media 66±10 Conclusions. Speckle tracking is a feasible technique for assessment of RV Conclusions. anni, 47 maschi, sottoposti rivascolarizzazione miocardica chirurgica function. CRT improves, RV myocardial function. (CABG). Sono stati esclusi dallo studio quei pazienti che hanno subito un intervento di chirurgia valvolare (SV) e di chirurgia valvolare associata a LV and RV echocardiographic parameters Baseline 6-month follow-up p VTD (ml) 207.60±24.06 180.71±7.07 <0.05 rivascolarizzazione (CABG + SV) in quanto la presenza di protesi avrebbe VTS (ml) 151.66±7.6 103.66±15.2 <0.05 potuto inficiare l’analisi. Il programma di training fisico individualizzato FE (%) 24.00±2.9 33.25±2.3 <0.05 Transmitral E/A ratio 1.64±0.30 0.80±0.31 <0.05 consisteva in sessioni giornaliere della durata di un’ora: 10’ di RV Tei Index 0.39±0.02 0.33±0.02 <0.05 riscaldamento, 40’ di training effettivo e 10’ di raffreddamento (recupero) RV fractional area change (%) 30.3±2.0 28.9±2.7 NS RV Diameter four-chambers annulus (cm) 3.1±0.3 2.9±0.2 NS per tre settimane consecutive. Tutti i pazienti sono stati valutati all’inizio RV diameter four-chambers middle ventricle (cm) 3.2±0.3 2.9±0.4 NS ed alla fine del programma con ecocardiografia tradizionale (ViVid 7 GE). RV long-axis diameters (four chambers) (cm) - 3.3±0.4 2.9±0.2 NS RVOT diameter (short-axis) (cm) 2.8±0.2 2.5±0.1 NS Per ogni singolo paziente venivano ottenute con il TDI una media delle Tricuspid regurgitation velocity (m/s) 25.5±4.0 18.6±2.0 NS velocità di picco sistolico (S) e diastolica precoce (E’) posizionando il TAPSE (mm) 17.1±0.7 21.8±1.9 <0.05 RV lateral wall mean 2D strain (%) -10.3±4.4 -19.4±6.4 <0.05 cursore in corrispondenza dell’inserzione settale e laterale sx dell’anello RV septal wall mean 2D strain (%) -8.6±3.5 -18.3±2.0 <0.05 mitralico. Il rapporto del picco di velocità del flusso transmitralico (E) RV septal wall mean 2D strain (%) -12.6±4.0 -21.3±3.0 <0.05 rispetto alla velocità diastolica mitralica anulare (E’) è stato impiegato EF, ejection fraction; RV, right ventricle; RVOT, right ventricular outflow tract; TAPSE, come indice non invasivo per valutare la pressione di riempimento tricuspid annular plane systolic excursion; VTD, end-diastolic volume; VTS, end-systolic ventricolare sinistra. Il valore medio di strain longitudinale globale (SI) è volume. 78S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER stato misurato mediante 2D Strain con analisi off-line dei dati attraverso EchoPAC workstation. Risultati. I parametri ecocardiografici tradizionali sono risultati tutti non significativamente differenti alla valutazione finale rispetto a quella iniziale. Riguardo al TDI, le velocità medie di picco sistoliche sono risultate significativamente aumentate (4.14±1.5 cm/s all’inizio e 6.13±1.8 cm/s alla fine, p<0.01); le velocità medie di picco diastoliche precoci sono risultate anch’esse aumentate seppur con una significatività statistica minore (6.08±1.6 all’inizio e 6.75±1.7 alla fine, p<0.05) Riguardo allo SI, il valore medio di strain longitudinale globale è risultato significativamente aumentato (-13±6 all’inizio vs -16±3, alla fine p=0.03). Conclusioni. In questo studio, anche se i parametri ecocardiografici tradizionali non hanno mostrato differenze significative, il TDI e lo SI hanno dimostrato l’effetto positivo del training fisico sulla disfunzione ventricolare sinistra nei pazienti cardio-operati. La Cardiologia Riabilitativa rappresenta pertanto il valore aggiunto in prevenzione secondaria per la possibilità di offrire una importante componente: il training fisico. P174 SCOMPENSO CARDIACO ACUTO DA LEMBO MITRALICO FLUTTUANTE E VALVOLA AORTICA QUADRICUSPIDE INSUFFICIENTE Nicola D’Amato, Maria Grazia Campagna, Carlo D’Agostino U.O.C. di Cardiologia, Ospedale “Di Venere”, Bari Background. La rottura delle corde tendinee della mitrale (RCT) e conseguente lembo mitralico fluttuante (LMF) rappresenta una rara e grave patologia valvolare, che di frequente esordisce con edema polmonare acuto (EPA). La RCT può essere secondaria a cause di varia natura e molto raramente a valvulopatie congenite della valvola aortica, per lo più caratterizzate da insufficienza. Eccezionale è il riscontro di un’insufficienza aortica severa con valvola quadricuspide, che ha determinato la RCT. Descrizione del caso. Descriviamo il caso clinico di un uomo di 63 anni, che si ricovera in Terapia Intensiva per scompenso cardiaco. Assenza di fattori di rischio per cardiopatie. Normali condizioni di salute fino al giorno prima del ricovero, quando è comparsa dispnea a riposo ingravescente. Segni obiettivi all’ascoltazione da EPA. Soffio sistolico apicale da rigurgito mitralico di intensità 4/6 secondo Levine e soffio diastolico di intensità 2/6 sul focolaio di ascoltazione aortica. L’elettrocardiogramma documenta ritmo sinusale a 95/min, ipertrofia del ventricolo sinistro. La radiografia del torace evidenzia aumento del III arco di sinistra dell’ombra cardiaca; ingrandimento delle ombre ilari, ispessimento interstizio alveolare e strie di Kerley A e B. Ecocardiogramma transtoracico (ETT): ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro con frazione d’eiezione preservata, atrio sinistro poco ingrandito, severa insufficienza mitralica ed insufficienza aortica significativa di origine non definibile. Ecocardiogramma transesofageo (ETE): lembo anteriore mitralico fluttuante da rottura di corda tendinea di I ordine e valvola aortica quadricuspide (tipo b di Hurwitz e Roberts) severamente rigurgitante per degenerazione fibrotica con retrazione delle cuspidi. Lo scompenso cardiaco acuto è stato trattato farmacologicamente e successivamente si è proceduto ad intervento di sostituzione valvolare mitralica ed aortica con protesi meccaniche. Discussione. Riteniamo che la disfunzione acuta della valvola mitrale sia stata l’elemento scatenante l’EPA e che, a sua volta, la RCT sia stata conseguenza dell’eccesiva deformazione e stiramento secondario a dilatazione ventricolare sinistra favorita dalla preesistente insufficienza della valvola aortica quadricuspide. È verosimile, inoltre, che il jet rigurgitante aortico abbia prodotto deterioramento diretto delle corde del lembo anteriore della mitrale. Non possiamo escludere l’associazione tra la valvola aortica quadricuspide ed una costituzionale maggiore fragilità del tessuto cordale mitralico. La RCT del lembo anteriore della mirtale è meno frequente rispetto a quella del lembo posteriore. Quando, però, la RCT si associa ad insufficienza valvolare aortica (congenita o acquisita) il lembo principalmente interessato è l’anteriore. Conclusioni. Tutti gli elementi esposti fanno considerare il caso di scompenso cardiaco acuto descritto come secondario ad insufficienza mitralica severa acutamente prodotta da RCT del lembo anteriore della mitrale. La correlazione causale con l’insufficienza aortica significativa da degenerazione della valvola quadricuspide rendono questo caso eccezionale. Perfusione miocardica e imaging coronarico non invasivo P175 RUOLO DELL’ANGIOGRAFIA CORONARICA TCMS NEL SETTING CLINICO DEI PAZIENTI CON DOLORE TORACICO ATIPICO: MODIFICHE DEL WORKUP DIAGNOSTICO E IMPLICAZIONI ECONOMICHE Andrea Pezzato1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Camilla Barbiani1, Ugolino Alfonsi1, Giuseppe Sala1, Michela Tezza1, Antonio Bonora3, Gabriele Taioli3, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, 3DAI Emergenza e Terapie Intensive, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Scopo. Valutare il valore incrementale dell’angiografia coronarica mediante TCMS (AC-TCMS) nella gestione diagnostica e in termini di costi dei pazienti con sospetta CAD. Disegno dello studio. Studio retrospettivo, singolo centro. Materiali e metodi. Sono stati considerati 500 pz consecutivi sottoposti ad AC-TCMS tra 04/2008 e 05/2010. Per ogni paziente è stato calcolata la probabilità pre-test di CAD mediante Morise Score e la performance diagnostica del cicloergometro e della AC-TCMS considerando l’AC come standard di riferimento; Sulla base dei risultati è stata calcolata la probabilità post test di CAD dopo stress stest e AC-TCMS ottenendo il valore diagnostico incrementale per ogni categoria di rischio cardiovascolare. È stato confrontato il percorso diagnostico tradizionale senza AC-TCMS, con quello modificato dall’introduzione dell’AC-TCMS. Per ogni percorso diagnostico è stata eseguita un’analisi di probabilità pre-test/efficacia e costo/efficacia. Risultati. La performance diagnostica dello stress test nella individuazione dei pazienti con lesioni significative ha dimostrato una sensibilità e specificità del 46.2% e 73.4% con VPP e VPN di 48% e 72%. Considerando come standard di riferimento l’angiografia coronarica (AC) il confronto tra AC e AC-TCMS nella valutazione di stenosi significative mediante analisi per paziente ha rilevato una sensibilità pari a 100%, una specificità pari a 94.7%, un VPP e VPN pari a 96.7% e 100%. L’accuratezza diagnostica globale della metodica è risultata pari a 97.9%. Il confronto tra l’accuratezza diagnostica delle metodiche e la probabilità pre-test di malattia ha dimostrato una migliore performance dell’AC-TCMS e dell’AC nei confronti del cicloergometro per i pazienti con basso-medio profilo di rischio. Il protocollo modificato con l’introduzione dell’AC-TCMS determina un incremento dell’efficacia diagnostica del 24% confrontato con il protocollo tradizionale, ed un risparmio medio di 2500€ per paziente. Il nuovo protocollo diagnostico proposto determinerebbe un ulteriore incremento del 15% con un risparmio medio di 3200€ per paziente nei confronti del protocollo attuale. Conclusioni. L’AC-TCMS è una metodica di riferimento non invasiva per l’esclusione di coronaropatia critica. L’utilizzazione del protocollo diagnostico che prevede l’utilizzo dell’AC-TCMS garantisce una migliore performance rispetto al protocollo tradizionale, sia dal punto di vista diagnostico che del risparmio per l’Azienda Ospedaliera. P176 CONFRONTO TRA SCORE VISUALE E ANALISI QUANTITATIVA 3D IN ANGIOGRAFIA CORONARICA TCMS Ugolino Alfonsi1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Camilla Barbiani1, Andrea Pezzato1, Giuseppe Sala1, Michela Tezza1, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Obiettivo. L’angiografia coronarica mediante TCMS (AC-TCMS) permette la quantificazione della stenosi delle arterie coronariche con elevata accuratezza diagnostica; tuttavia permane la naturale variabilità nello score visuale. I sistemi di analisi quantitativa computerizzata dei vasi (QCTA) hanno lo scopo di superare la limitazione dello score visuale. Pertanto lo scopo dello studio è di valutare la precisione del QCTA al confronto con l’angiografia coronarica quantitativa (QCA) e lo score visuale. Materiali e metodi. Due operatori in cieco hanno esaminato 50 pazienti consecutivi sottoposti ad indagine AC-TCMS, effettuando un’analisi per segmento. Il grado di stenosi è stato classificato in 0%, <20% (irregolarità delle pareti), <50% (assenza di malattia significativa), >50% (malattia significativa). Ogni segmento è stato successivamente analizzato tramite gli electronic callipers del sistema QCTA. I dati sono stati confrontati al QCA ottenuto dai risultati dell’angiografia coronarica. La segmentazione dei bordi del vaso nel QCTA è stata corretta in caso di vasi calcifici. Il confronto tra i risultati del QCTA, dello score visuale e del QCA è stato effettuato mediante il coefficiente di correlazione di Spearman. La variabilità tra osservatori è stata valutata tramite statistica K. Risultati. Da un totale di 870 segmenti osservati sono stati analizzati 69 segmenti patologici (mediamente 1,2 segmenti malati per paziente). Il grado di accordo tra i due operatori è risultato essere molto alto (k=0.97). È stata riscontrata una buona correlazione tra lo score visuale e il QCA (rho = 0.932; p<0.0001) e tra lo score visuale e il QCTA (rho = 0.845; p<0.0001). Una discreta correlazione è stata invece riscontrata tra il QCTA and il QCA (rho = 0.810; p<0.0001). Conclusioni. La precisione del QCTA è comparabile al QCA e allo score visuale, specialmente nel caso di vasi non calcifici. L’editing del contorno dei vasi calcifici risulta utile nella stima della corretta percentuale di stenosi. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 79S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P177 CONFRONTO TRA DIFFERENTI FILTRI DI RICOSTRUZIONE NELL’ANALISI QUANTITATIVA 3D DELL’ANGIOGRAFIA CORONARICA TCMS Ugolino Alfonsi1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Andrea Pezzato1, Camilla Barbiani1, Michela Tezza1, Giuseppe Sala1, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Introduzione. L’angiografia coronarica TC multistrato (AC-TCMS) permette la quantificazione della stenosi delle arterie coronarie con elevata accuratezza; tuttavia una miglior stima della stenosi può essere ottenuta tramite l’utilizzo di un appropriato filtro di ricostruzione, specialmente nel caso di stent o segmenti calcifici. L’analisi quantitativa computerizzata dei vasi è destinata a superare la limitazione dello score visuale. Lo scopo dello studio è di valutare la precisione del QCTA con differenti filtri in confronto all’angiografia coronarica quantitativa (QCA) e allo score visuale. Materiale e metodi. Due operatori in cieco hanno analizzato 17 pazienti consecutivi che erano stati sottoposti ad indagine AC-TCMS, effettuando un’analisi per segmento. Il grado di stenosi è stato classificato in 0-20%, 20-50% (irregolarità delle pareti), 50-70% (malattia significativa), 70-100% (occlusione del vaso). Ogni segmento è stato successivamente analizzato tramite gli electronic callipers del sistema QCTA con 15 diversi filtri di riformattazione disponibili nell’apparecchiatura a partire dai dati grezzi. Non è stato eseguito un eventuale editing dei margini. I dati sono stati confrontati ai risultati del QCA e dell’Angiografia Coronarica (AC). Il confronto tra i risultati del QCTA, dello score visivo e del QCA è stato effettuato mediante il coefficiente di correlazione di Spearman. Risultati. Su un totale di 25 segmenti analizzati (mediamente 1.4 per paziente) sono state effettuate 375 misurazioni. È stata individuata una buona correlazione tra lo score visuale e il QCA (rho = 0.852; p<0.0001) e tra QCA e AC (rho = 0.804; p<0.0001). Una discreta correlazione è stata trovata tra QCA e QCTA soltanto usando 2 filtri (rho = 0.444; p<0.0001 per il filtro YA e rho = 0.450; p<0.0001 per il filtro YB). Conclusioni. L’accuratezza globale del QCTA è bassa se non viene impiegato l’editing dei margini, specie ne caso di vasi calcifici. Particolari filtri possono aiutare per stimare in modo più accurato l’esatta percentuale della stenosi. P178 AMBULATORIO DEDICATO ALLA PREPARAZIONE DEL PAZIENTE DA SOTTOPORRE A TC CORONARICA G. Slavich, G. Piccoli, M. Puppato, S. Grillone, G. Bernardi, S. Poli Dipartimento Cardiotoracico, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine Obiettivo. Valutare la qualità dell’immagine e la dose radiante nei pazienti sottoposti ad angio-TC coronarica con e senza preparazione farmacologica fornita da un ambulatorio dedicato. Metodi. Da novembre 2009 a luglio 2010 sono stati valutati retrospettivamente 130 pazienti consecutivi, sottoposti ad angio-TC coronarica. Nel caso dei primi 70 pazienti (gruppo A) la metodica è stata applicata con il trattamento farmacologico dei pazienti solo al loro arrivo nella sala radiologica per l’indagine mentre i successivi 60 pazienti (gruppo B) sono stati prima valutati e trattati ambulatoriamente al fine di ottenere una condizione pre test di ritmo sinusale stabile e una frequenza inferiore a 60 bpm. I betabloccanti sono stati usati nei pazienti con malattia ischemica, mentre nei pazienti con patologie valvolari o cardiomiopatie è stata impiegata l’ivabradina. In entrambi i gruppi sono stati raccolti alcuni parametri: FC media al momento del test, dose radiante media espressa in mSV e qualità dell’immagine. Quest’ultimo parametro è stato ricavato da un giudizio condiviso di due medici refertanti che si sono confrontati sulla qualità diagnostica valutando i seguenti segmenti coronarici: tronco comune; IVA prossimale, media e distale; rami circonflesso, del margine ottuso e posterolaterale; coronaria destra prossimale, media e distale. La qualità dell’esame è stata ritenuta non di livello utile per la diagnosi qualora un segmento prossimale o più di due segmenti intermedi o distali fossero di qualità insufficiente. Risultati. Nel gruppo A la FC media è stata 68 bpm e la dose radiante media 7.8 mSV. I criteri di qualità diagnostica non sono stati soddisfatti in 5 pazienti (7.1%) e soddisfatti a livello borderline in 10 (14.3%), essendo almeno un segmento intermedio o distale riprodotto con qualità scarsa. Nel gruppo B la FC media è stata di 56 bpm, la dose radiante media di 4.8 mSV, la qualità diagnostica non era presente in un caso (1.7%) e presente a livello borderline in 3 casi (5%). Tra i due gruppi le differenze in termini di FC, esposizione alle radiazioni ionizzanti e qualità dell’immagine sono risultate statisticamente significative. Conclusioni. Il ricorso ad ambulatori dedicati per ottimizzare la frequenza cardiaca in preparazione all’angio-TC coronarica migliora la qualità diagnostica delle immagini e riduce l’esposizione del paziente alle radiazioni ionizzanti. P179 CARDIO TC A BASSA DOSE DI RADIAZIONI IONIZZANTI CON METODICA FLASH: DATI PRELIMINARI DELLA PRIMA CASISTICA ITALIANA Marco Cappelletti1, Elena Ciortan1, Gianni Ballarati2, Stefano Bentivegna3, Enrico Schwarz3 1 U.O. Diagnostica per Immagini, 2T.S.R.M. U.O. Diagnostica per Immagini, 3U.O. di Cardiologia, Casa di Cura Igea, Milano, La tomografia computerizzata multistrato per lo studio delle coronarie (cardio TC) è una metodica di imaging progressivamente affermatasi 80S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 come valida alternativa alla coronarografia, grazie alla sua elevata accuratezza diagnostica. La cardio TC con la visualizzazione diretta dell’albero coronarico e del grado di lesioni ateromasiche ha avuto, fino ad oggi, importanti limitazioni in merito alla dose di radiazioni ionizzanti assorbita dal paziente, rendendo tale metodica non proponibile su vasta scala, specie in pazienti asintomatici o come test di screening della cardiopatia ischemica. L’introduzione della cardio TC multistrato con metodica “Flash” e acquisizione delle immagini in un solo ciclo cardiaco, ha consentito una notevole riduzione della dose media di radiazioni assorbita dal paziente, mantenendo invariato il livello di accuratezza diagnostica. Scopo del nostro studio è stato valutare la riduzione, rispetto alle cardio TC a 64 strati, della dose di radiazioni somministrata al paziente durante l’esecuzione di cardio TC mediante tecnica di acquisizione “Flash”. Materiale e metodi. Tra dicembre 2009 e giugno 2010 abbiamo sottoposto 230 pazienti consecutivi a cardio TC per lo studio delle arterie coronarie con tecnologia Somatom Definition Flash (Siemens, Erlangen), utilizzando metodica di acquisizione “Flash” durante un ciclo cardiaco. L’età era compresa tra 42 e 93 anni. La frequenza cardiaca era compresa tra 60 e 80 b/min, pertanto non è stato necessario somministrare un betabloccante; a tutti sono stati somministrato nitrati per via sublinguale. Risultati. 172 pazienti (75%) hanno ricevuto una dose di radiazioni ionizzanti compresa tra 0.7 e 1.3 mSv; 22 pazienti (9.5%) hanno assorbito una dose inferiore a 0.7 mSv con il dato minimo di 0.29 mSv; 26 pazienti (11.3%) hanno assorbito tra 1.3 e 2 mSv; in 10 pazienti (4.5%) la dose è stata compresa tra 2 e 3.1 mSv. La media globale è stata di 1.11±0.96 mSv. Il dato medio risultante è quindi ben diverso dagli 11±4 mSv segnalati in letteratura con la cardio TC a 64 strati, con elevata rilevanza statistica. Discussione. La cardio TC con metodica “Flash” è in grado di acquisire le immagini in un solo ciclo cardiaco, consentendo una notevole riduzione della dose di radiazioni ionizzanti somministrata al paziente, così come confermato dai nostri dati. Tale aspetto, unito all’elevata qualità diagnostica delle immagini, apre nuove prospettive per la metodica, rendendola proponibile come primo approccio diagnostico in quei pazienti per i quali l’elevata radiazione ionizzante assorbita aveva fino ad oggi rappresentato il principale limite. Tutto ciò avendo ottenuto la validazione su grandi numeri con studi di confronto tra cardio TC e coronarografia. Ci chiediamo, se i dati da noi presentati verranno confermati, se prospetticamente la coronarografia rimanga strumento di diagnostica propedeutico a procedure di angioplastica o conferma diagnostica della cardio TC, evitando di eseguire quelle coronarografie che risulterebbero negative risparmiando ai pazienti le relative elevate dosi di radiazioni ionizzanti e le possibili complicanze legate alla procedura invasiva. P180 STRATEGIE DI RISPARMIO DI DOSE IN ANGIOGRAFIA CORONARICA MEDIANTE TCMS. CORRELAZIONE CON LA QUALITÀ DELLE IMMAGINI Ugolino Alfonsi1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Andrea Pezzato1, Camilla Barbiani1, Michela Tezza1, Giuseppe Sala1, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Obiettivo. L’uso dell’angiografia coronarica TCMS (AC-TCMS) è rapidamente aumentato in rapporto alla ottima accuratezza complessiva della tecnica e all’ampio spettro di informazioni fornite. La necessità di eseguire la ACTCMS con spessore di collimazione sottile e pitch basso ha tuttavia portato a incrementare significativamente l’esposizione alle radiazioni ionizzanti da parte dei pazienti. L’esposizione dei pazienti e la dose assorbita sono direttamente dipendenti dai mA e dal voltaggio del sistema tubodetettore e il cambiamento di questi parametri può anche influenzare la qualità delle immagini. Lo scopo del nostro studio è di determinare la accuratezza diagnostica della AC-TCMS con differenti protocolli a risparmio di dose. Materiali e metodi. Sono stati selezionati 509 pazienti (319 maschi, età media 64±11.43 anni, FC media 59.1 b/min), studiati tra aprile 2008 e agosto 2010 per il sospetto di patologia coronarica. Sono stati suddivisi nei seguenti protocolli di acquisizione: 210 (41%) senza alcun tipo di protocollo a risparmio di dose (Gruppo A), 228 (45%) con gating retrospettivo e modulazione della dose (Gruppo B) e 71 (14%) con gating prospettico e 80 KV (Gruppo C). 2 osservatori hanno esaminato ogni segmento coronarico secondo la suddivisione in 17 segmenti proposta dall’AHA. L’angiografia coronarica è stata considerata lo standard di riferimento. La dose assorbita è stata registrata in mSv. Risultati. Sono stati esaminati un totale di 6617 segmenti. Immagini diagnostiche sono state ottenute per ogni arteria coronarica in tutti i pazienti con una precisione diagnostica del 98%. Nel Gruppo A la dose media è risultata pari a 16.05 mSv, nel Gruppo B 8.2 mSv e nel Gruppo C 1.2 mSv. Conclusioni. Il protocollo Step and Shoot con basso KV può garantire un’alta qualità delle immagini associata ad una significativa riduzione della dose. POSTER P181 RUOLO DELL’ANGIOGRAFIA CORONARICA MEDIANTE TCMS (AC-TCMS) COME GATE-KEEPER NEI PAZIENTI CON DOLORE TORACICO ACUTO Camilla Barbiani1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Ugolino Alfonsi1, Andrea Pezzato1, Michela Tezza1, Giuseppe Sala1, Antonio Bonora3, Gabriele Taioli3, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, 3DAI Emergenza e Terapie Intensive, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Introduzione. L’AC-TCMS rappresenta metodica accurata nella valutazione non invasiva delle arterie coronarie (VPP e VPN 97% e 95%). Molti pazienti giunti in pronto soccorso per dolore toracico vengono dimessi senza diagnosi certa in quanto ECG e marker cardiaci risultano negativi e non è possibile dimostrare la presenza di ischemia cardiaca. Scopo dello studio è valutare il ruolo dell’AC-TCMS nell’esclusione di coronaropatia significativa delle arterie coronarie e la possibilità di identificare la causa di dolore toracico. Materiale e metodi. Tra l’aprile 2009 e agosto 2010 sono stati selezionati 158 pazienti, 118 M, età media 55±7 anni, giunti al pronto soccorso per dolore toracico. Sia l’ECG che i marker cardiaci erano risultati negativi all’ammissione al pronto soccorso, a 6 e 12 ore. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a AC-TCMS entro 12 ore dall’ammissione al pronto soccorso. Sono state registrate presenza e significatività della coronaropatia ed i reperti collaterali non cardiaci come possibile causa di dolore toracico. Risultati. 33/158 pazienti (21%) sono risultati esenti da placche aterosclerotiche coronariche, 118/158 (75%) hanno mostrato lesioni non significative e 13/158 (8%) lesioni significative. Tali pazienti sono stati ricoverati e sottoposti a stent coronarico. In 19/158 pazienti (12%) sono stati riscontrati dei reperti collaterali non cardiaci, giustificando la sintomatologia. Conclusioni. Nei pazienti con dolore toracico acuto, l’AC-TCMS potrebbe rappresentare un valido supporto nell’esclusione di malattie delle arterie coronariche. Materiali e metodi. Tra il 04/2008 e 08/2010, sono stati valutati 520 pazienti consecutivi (319M, età media 64.1 anni). Tutti i pazienti sono stati studiati con TC 64 strati con acquisizione ECG gating. Per valutare la dinamica del movimento delle valvole cardiache, le immagini sincronizzate con ECG sono state ricostruite a posteriori dalla fase tele diastolica alla fase telesistolica ogni 10% dell’intervallo RR. Dall’acquisizione dell’intero volume cardiaco le valvole cardiache sono state valutate su piani assiali ed obliqui, con ricostruzioni MIP (maximum intensity projection) e tecnica volume-rendering che ha consentito visione la navigazione endoscopica virtuale. I dati acquisiti sono stati confrontati con i risultati ottenuti dall’ecocardiografia. Risultati. 21/520 pazienti hanno presentato importanti calcificazioni sui lembi della valvola mitrale o dell’anulus mitralico, 48/520 importanti calcificazioni della valvola aortica. Un’ectasia aortica era presente in 6/520 pazienti mentre una stenosi valvolare aortica è stata osservata in 1/520 pazienti. In 7/520 pazienti è stata riscontrata un’aorta bicuspide. Conclusioni. Le ricostruzioni multiplanari con AC-TCMS consentono chiaramente la visualizzazione della morfologia della valvola cardiaca. Inoltre, l’AC-TCMS può valutare il calcio, l’area valvolare e la funzione ventricolare, oltre che le arterie coronarie. P184 UTILIZZO DELL’ANGIO-TC DELLE CORONARIE PER ESCLUDERE CORONAROPATIA IN CANDIDATA AD ESPIANTO DI CUORE COME ALTERNATIVA ALLA CORONAROGRAFIA IN UN CENTRO PRIVO DI EMODINAMICA H24 Carlo Ammendolea1, Massimo Favat2, Franco Stetka3, Renato Tessier1, Davide Mazzon3, Paola Russo1, Luigi Tarantini1, Giuseppe Catania1 1 U.O.C. di Cardiologia, 2U.O.C. di Radiologia, 3 U.O.C. di Anestesia e Rianimazione, Ospedale San Martino, Belluno Donna di 57 anni giunge in terapia intensiva per emorragia cerebrale, in terza giornata la paziente viene dichiarata in stato di morte cerebrale. I P182 familiari hanno dato l’autorizzazione all’espianto di organi. In anamnesi P184 ANGIOGRAFIA CORONARICA TCMS VS ECOCARDIOGRAFIA 2D: STUDIO dolori toracici DELLE aspecifici sin da 2002PER considerati comeCORONAROPATIA parietali, non affetta UTILIZZO DELL’ANGIO-TC CORONARIE ESCLUDERE IN CANDIDATA DELLA FUNZIONE VENTRICOLARE OLTRE LE ARTERIE CORONARIE daDIipertensione arteriosa e DM, lieve AD ESPIANTO CUORE COME ALTERNATIVA ALLAipercolesterolemia. CORONAROGRAFIAEmatochimici: IN UN CENTRO PRIVO DI Camilla Barbiani1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Troponina I 1.8 (v.n. <0.05). E.O.: paziente intubata, in amine, attività EMODINAMICA H24 Ugolino Alfonsi1, Andrea Pezzato1, Michela Tezza1, Giuseppe Sala1, cardiaca ritmica, tachicardica, toni validi, pause libere, polsi periferici Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 presenti. FC 100’ R. PA 100/60 mmHg. ECG (Fig. 1): atipie della 1 2 Istituto di Radiologia, U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero ripolarizzazione diffuse. ECO (Fig. 2): non ottimali finestre acustiche, per Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona quanto osservato: normali le dimensioni della radice aortica e dell’aorta Obiettivi. La funzione ventricolare sinistra (FVS) rappresenta il più ascendente, Vsn di normali dimensioni e spessori parietali (DTD 41 mm, importante fattore prognostico a breve e lungo termine delle maggiori DTS 31 mm, SIV e PP in diastole 9 mm, MVSn 80 g/m2), presentante dubbia patologie cardiache. Per decenni, è stata usata solamente ipocinesia della porzione media e basale del setto e della porzione basale l’ecocardiografia per la valutazione della FVS, sebbene inficiata da errori della parete inferiore con funzione globale conservata (FE 59%). Aorta non dovuti principalmente alla stretta finestra acustica e difficoltosa visione visualizzate le cuspidi. Al doppler: IM lieve (1+/4+), non anomalie di flusso globale del ventricolo per ottenere calcoli geometrici del volume. a carico della valvola aortica degne di nota. Lieve rigurgito tricuspidalico, L’avvento dell’AC-TCMS ha permesso un’accurata valutazione delle VCI dilatata. E/A ≥1. Asn e cavità destre visivamente ai limiti. Non coronarie, ma anche, grazie alla sincronizzazione con il ciclo cardiaco, un versamento pericardico degno di nota. In considerazione della dubbia valido metodo per studiare la funzione ventricolare. Scopo dello studio è ipocinesia all’ECO, delle atipie diffuse della RV all’ECG, della troponina di comparare la funzione sistolica ventricolare globale sinistra mediante elevata e della storia di dolori toracici, non potendo effettuare presso la TCMS e US nella pratica clinica cardiologica. nostra struttura una coronarografia per chiusura del laboratorio di Materiali e metodi. Sono stati considerati 116 pazienti consecutivi studiati emodinamica nei giorni festivi e prefestivi, in accordo con i colleghi del con AC-TCMS ed ecocardiografia 2D. Due operatori in cieco hanno centro trapianti di Padova, abbiamo optato per eseguire un’angio-TC delle comparato tra le due tecniche i seguenti parametri: spessore del setto, coronarie (Figg. 3, 4 e 5) per escludere coronaropatia: Sono stati presi in spessore della parete inferiore, diametro dell’aorta ascendente, volume e esame dati provenienti da differenti fasi del ciclo cardiaco. L’indagine è diametro tele-sistolico e tele-diastolico, frazione di eiezione, gittata limitata dall’impossibilità di ottenere una frequenza stabilmente inferiore sistolica, gittata cardiaca, massa cardiaca. a 70 bpm. Con tali limitazioni all’esame in atto non evidenti calcificazioni Risultati. La correlazione interosservatore è stata elevata (r=0.782). Una coronariche. Normale l’origine delle coronarie. Tronco comune pervio, buona correlazione è stata trovata nel confronto tra AC-TCMS ed indenne. Si riconosce la presenza di almeno due rami settali. Discendente ecocardiografia 2D considerando lo spessore del setto (r=0.470, p<0.001); anteriore normale per calibro, morfologia e decorso senza evidenti placche il diametro dell’aorta ascendente (r=0.777, p<0.001); il diametro teleo stenosi, da essa origina un ramo diagonale apparentemente indenne. diastolico (r=0.375, p=0.054); il diametro tele-sistolico (r=0.703, p<0.001) Circonflessa normale per calibro, morfologia e decorso, da essa origina un e la massa cardiaca (r=0.419, p=0.006). Una bassa correlazione è stata marginale ottuso anch’esso esente da placche o stenosi. Coronaria destra trovata considerandolo spessore della parete inferiore, la gittata sistolica dominante di buon calibro senza evidenti placche o stenosi, termina dopo e la gittata cardiaca. Come indicatore globale della FVS, la frazione di aver dato origine ad un ramo interventricolare posteriore ed un ramo eiezione correla eccellentemente tra le due tecniche (r=0.626, p<0.001). postero laterale indenni. Alla luce dell’angio-TC la paziente è stata ritenuta Conclusioni. Il nostro studio dimostra che l’AC-TCMS ottiene parametri di idonea ad espianto di cuore donato ad un 60enne, senza complicanze. funzione ventricolare simili a quelli ottenuti con ecocardiografia 2D, però Conclusioni. Il presente caso clinico suggerisce la possibilità di utilizzo aggiunge importanti informazioni sulle coronarie che sono utili per la Conclusioni. dell’angio-TC coronarica per escludere coronaropatia in potenziali diagnostica dei pazienti con malattie cardiache e coronariche. donatori di cuore, data l’alta sensibilità e specificità della metodica, come alternativa alla CGF tradizionale laddove questa non sia realizzabile per fattori organizzativi o di tempo. Tale metodica rispetto alla CGF, risulta P183 veloce e priva di complicanze legate al cateterismo. VISUALIZZAZIONE MEDIANTE AC-TCMS DEL SISTEMA VALVOLARE CARDIACO Andrea Pezzato1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Camilla Barbiani1, Ugolino Alfonsi1, Giuseppe Sala1, Michela Tezza1, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Obiettivi. Le valvole cardiache, strutture esili e mobili, vengono visualizzate in maniera accurata non invasiva e veloce solo con l’ecocardiografia e la risonanza magnetica. Fino ad ora, l’ecocardiografia era il principale strumento di diagnosi per definire l’anatomia cardiaca valvolare e la funzione. Apparecchiature TCMS recenti permettono la valutazione della funzione valvolare e della fine anatomia delle valvole e delle strutture vicine. Lo scopo del nostro studio è illustrare la capacità dell’AC-TCMS nella valutazione morfologica e funzionale delle principali malattie delle valvole cardiache. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 81S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO patients were hospitalized and performed a complete hemodynamic evaluation including coronary angiography. Contrast-CMR was performed in all patients without contraindications; for each patients we defined the absence/presence of LGE, defining also the transmural extent, its location within LV wall and Infarct Size Index (ISI, defined as percent of LV involvement). On follow-up ventricular fibrillation, sustained/not sustained tachycardia were considered as major arrhythmic events. Results. Matching history of previous myocardial infarction and coronary angiography results, the patients with IDC were 111/190 (58%); 100 patients were finally enrolled. Among them, LGE was absent in 9 (9%) patients, a transmural LGE was found in 72 (72%) patients and non-transmural extent on 19 (19%). Mean ISI was 1.28±0.75. The accuracy of CMR for diagnosis of ischemic aetiology revealed a sensitivity of 91% and a specificity of 100% compared to angiography. During a mean follow-up of 63.4±17.6 months, patients with ISI >0.47 (equal to 2 transmural LGE segments) showed a worse outcome in terms of cardiac death (p<0.05) and arrhythmias (p<0.05). Multivariate analysis showed that the ISI >0.47 on anterior wall was the strongest predictor of arrhythmias (p=0.009, OR 4.3, CI 95% 2-4.5). Conclusions. In patients with a new onset of LV dilatation/dysfunction contrast-CMR diagnosis according with LGE location showed a good accuracy for ischemic aetiology compared to coronary angiography. A cutoff of ISI >0.47 represents the most important predictor of arrhythmogenic risk during follow-up. P187 P185 VALUTAZIONE DI REPERTI COLLATERALI CARDIACI E NON CARDIACI MEDIANTE ANGIOGRAFIA CORONARICA CON TC MULTISTRATO (AC-TCMS) Andrea Pezzato1, Roberto Malago1, Domenico Tavella2, Ugolino Alfonsi1, Camilla Barbiani1, Michela Tezza1, Giuseppe Sala1, Beatrice Pedrinolla1, Roberto Pozzi Mucelli1, Paolo Benussi2 1 Istituto di Radiologia, 2U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Integrata Policlinico G.B. Rossi, Verona Obiettivo. Durante la valutazione degli esami di angiografia coronarica mediante TCMS (AC-TCMS) non è infrequente la detezione di reperti collaterali, cardiaci e non. Scopo dello studio è descrivere la prevalenza e il significato clinico dei reperti collaterali non cardiaci durante l’esecuzione di AC-TCMS. Materiali e metodi. Sono stati valutati retrospettivamente 540 pazienti sottoposti a AC-TCMS con apparecchio a 64 strati per sospetta coronaropatia, acquisiti nel periodo tra maggio 2008 e settembre 2010. Due radiologi hanno valutato separatamente tutti i dataset ottenuti con un ampio campo di vista (FOV), utilizzando le finestre di vista mediastinica polmonare e ossea. In base all’importanza clinica i reperti collaterali sono stati suddivisi in non significativi, significativi e in obbligo di ulteriori accertamenti. Tra i pazienti con reperti significativi, è stato valutato il follow-up clinico e strumentale a 6 mesi. Risultati. Nel 72% dei pazienti è stata riscontrata una malattia aterosclerotica delle arterie coronarie. Solo 106 dei 540 pazienti (19.6%) sono risultati privi di reperti collaterali. Sono stati riscontrati 637 reperti collaterali, suddivisi in non significativi 266 (41.75%), significativi 339 (53.21%), e in obbligo di ulteriori accertamenti (5.02%). 63 (9.89%) di questi sono stati valutati come reperti collaterali cardiaci. 27 pazienti (5.30%) avevano patologie non cardiache significative tali da richiedere un follow-up clinico o radiologico. Tra questi furono diagnosticate nuove patologie in 3/540 pazienti (0.55%). Conclusioni. Un numero significativo di reperti non cardiaci potrebbe essere perso nella lettura delle AC-TCMS se la valutazione è limitata al solo studio delle arterie coronarie. P186 PROGNOSTIC ARRHYTHMOGENIC VALUE OF INFARCT SIZE IN ISCHEMIC DILATED CARDIOMYOPATHIES: A STUDY PERFORMED BY CARDIAC MAGNETIC RESONANCE Martina Perazzolo Marra1, Veronica Spadotto1, Luisa Cacciavillani1, Francesco Tona1, Manuel De Lazzari1, Filippo Zilio1, Paolo China1, Giuseppe Tarantini1, Giovanni Boffa1, Francesco Corbetti2, Sabino Iliceto1 1 Clinical Cardiology, Department of Cardiac, Thoracic and Vascular Sciences, University of Padova, Padova, 2Division of Radiology, Padova Introduction. Cardiac magnetic resonance (CMR) can provide a wide range of information in the setting of new onset of dilated cardiomyopathy, in particular differentiating ischemic from non-ischemic aetiology. Moreover, preliminary CMR studies showed that in patient with moderate left ventricular (LV) dysfunction after a myocardial infarction, the infarct size assessed with late-gadolinium enhancement (LGE) was a better predictor of adverse clinical outcome than ejection fraction. Aim. The aim of present study was to assess the accuracy of CMR for diagnosis of ischemic dilated cardiomyopathy (IDC) compared with coronary angiography. The second objective was to evaluate the arrhythmogenic prognostic significance of infarct size (LGE) in subgroup of patient with diagnosis of IDC, independently from ejection fraction. Materials and methods. We prospectively evaluated 190 patients referred to our Tertiary Centre for Heart Failure with a new onset of LV dilatation/dysfunction. To define the aetiology of the disease all the 82S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 CARDIOMIOPATIA DI TAKOTSUBO ED IMAGING CORONARICO NON INVASIVO Massimo Magnacca1, Marco Chioccioli1, Francesca Menichetti1, Jacopo Del Meglio1, Carlo Tessa2, Jacopo Lera2, Luca Salvatori2, Claudio Vignali2, Giancarlo Casolo1 1 U.O.C. di Cardiologia, 2U.O. di Radiologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore Background. La cardiomiopatia di takotsubo (TTC) - presentazione clinica di SCA/infarto miocardico STE (56%) o NSTE e ballooning transitorio dell’apice del ventricolo sinistro (VS) - è correlata ad intenso stress psicofisico e si caratterizza per l’assenza di aterosclerosi angiograficamente significativa dei rami coronarici epicardici. La possibilità di valutare in modo non invasivo il circolo coronarico di pazienti selezionati offre nuove opportunità diagnostiche. Scopo dello studio. Possibile utilizzo della tomografia computerizzata multidetettore (MSCT) nella valutazione dell’anatomia coronarica di pz con SCA/NSTEMI e presentazione clinico-strumentale suggestiva per TTC. Materiali e metodi. Sono state osservate 6 pz consecutive di sesso femminile (età media 69.8±5.4 anni), clinicamente stabili, con quadro clinico di SCA/NSTEMI riconducibile a TTC su base anamnestica ed ecocardiografica (estesa dissinergia apicale con ipercinesia dei segmenti basali del VS). 4/6 pz (66%) erano ipertese, 2/6 (33%) dislipidemiche, 2/6 (33%) fumatrici, 1/6 era diabetica. Il quadro ECG di presentazione è stato in 5/6 onda T negativa profonda nelle precordiali ed in un caso sottoslivellamento diffuso del tratto ST. Le pz sono state sottoposte a MSCT entro 24-72 ore dall’esordio dei sintomi in assenza di controindicazioni. L’esame è stato eseguito con scanner a 64 strati (GE LightSpeed VCT, XT); nell’analisi coronarica - 17 segmenti, classificazione AHA - i segmenti sono stati classificati normali (assenza completa di lesioni); con stenosi non significativa (irregolarità di parete e/o stenosi ≤50%); con stenosi significativa (lesione ostruttiva ≥50%). Risultati. In tutti i casi è stato osservato incremento dei markers di necrosi (troponina T media 0.18±0.16 ng/ml). L’ecocardiografia ha mostrato la tipica immagine di apical balloning, con FE media 38.8±3.9% alla presentazione clinica. La MSCT coronarica è risultata in tutti i casi di buona qualità diagnostica. In 5 casi su 6 è stato possibile utilizzare il gating prospettico, con dose effettiva media pari a 4.0±3.9 mSv. Nessuna paziente ha mostrato lesioni coronariche ostruttive. Sulla totalità di 102 segmenti coronarici valutati, sono risultati normali 89/102 segmenti (87.2%) mentre 13/102 (12.7%) hanno evidenziato lesioni di lieve entità e comunque non significative. Al follow-up a 30 gg le pz sono risultate del tutto asintomatiche. L’ecocardiogramma di controllo ha evidenziato un significativo recupero contrattile in tutti casi con una FE media 53.3±4.2%. Conclusioni. In soggetti affetti da cardiomiopatia tipo takotsubo è possibile escludere la coronaropatia ostruttiva mediante la MSCT coronarica. Nella nostra esperienza i soggetti che si giovano maggiormente dell’elevato valore predittivo negativo della MSCT sono donne di età media intorno ai 70 anni che mostrano onda T negativa profonda nelle precordiali o sottoslivellamento diffuso del tratto ST ed apical ballooning con disfunzione sistolica all’ecocardiogramma di esordio. La MSCT coronarica applicata in un contesto clinico altamente suggestivo per l’assenza di coronaropatia consente di evitare l’angiografia coronarica convenzionale. P188 UPDATED ROLE OF MYOCARDIAL PERFUSION IMAGING IN PATIENTS WITH CHEST PAIN AND NONDIAGNOSTIC ECG. A TEN-YEAR EXPERIENCE IN THE FLORENCE AREA Margherita Luzzi1, Alberto Conti1, Cristina Nanna1, Tiziana Focosi1, Gabriele Cerini1, Gabriele Viviani1, Vanessa Boni1, Yuri Mariannini1, Erica Canuti1, Egidio Costanzo2, Chiara Gallini2, Riccardo Pini1 1 Emergency Medicine, Department of Critical Care Medicine and Surgery, 2Nuclear Medicine, Careggi University Hospital, Florence Background. Patients with chest pain (CP) and nondiagnostic ECG considered at low-risk of coronary events eventually represent an P188 UPDATED ROLE OF MYOCARDIAL PERFUSION IMAGING IN PATIENTS WITH CHEST PAIN AND NONDIAGNOSTIC ECG. A TEN-YEAR EXPERIENCE IN THE FLORENCE AREA POSTER heterogeneous population recognized as having coronary artery disease up to 20%. Exercise myocardial perfusion imaging (exercise-MPI) may Background. improve risk stratification. Methods. We enrolled 929 consecutive CP patients (mean age 62±12 years), 62% male (mean age 62±12 years); 35% with hyperlipemia; 25% with hypertension; 18% smokers; 12% with diabetes mellitus. All patients underwent MPI and exercise tolerance test (ETT); results were compared. Methods. Patients with positive testing underwent angiography, whereas the remaining patients were discharged and followed up. Endpoint was a composite of coronary stenoses ≥50% documented by angiography or coronary events at 12-month follow-up. Results. MPI was positive in 239 patients; angiography documented coronary stenoses in 94 (39.3%) patients. Out of 690 patients with negative MPI, 18 (2.6%) had coronary event at follow-up. ETT was positive Results. in 50 patients; angiography documented coronary stenoses in 20 (40%) patients; ETT was negative in 879 patients and 127 (14.5%) had coronary events at follow-up. Myocardial perfusion imaging succeeded in ruling out coronary events in 911 patients as compared to 802 with ETT. Thus, the negative predictive value of MPI was 97.4 vs 86.8% of ETT (Table, *p<0.001). Conclusions. MPI is still a valuable tool in recognizing myocardial ischemia Conclusions. in CP patients presenting to the emergency department with nondiagnostic ECG. MPI adds incremental prognostic value over clinical and ETT up to 12%. MPI ETT NPV 97.4* 85.6 PPV 57.3 60.0 Sensitivity 88.4* 19.1 Specificity 86.8 97.4* Accuracy 87.1 84.2 P189 GATED-SPECT STUDY FOR EVALUATING REVASCULARIZATION VERSUS MEDICAL THERAPY ON LONG-TERM SURVIVAL IMPROVEMENT Marco Marini, Marco Mazzanti, Gian Piero Perna Cardiologia, Ospedali Riuniti Umberto I-Lancisi-Salesi, Ancona Background. The survival benefit of coronary artery revascularization (R) compared with medical therapy (M) may depend on the amount of myocardial ischemia, but the current data are limited. Methods. Retrospective cohort study of all patients without a history of MI, prior revascularization, cardiomyopathy, significant valve disease undergoing nuclear stress imaging between 3/30/2005 and 5/8/2008. The median follow-up was 3.5 years. Survival was stratified on the basis of the extent of myocardial ischemia on exercise or pharmacological SPECT imaging (difference of the summed stress and rest score divided by the total maximum score and multiplied by 100) and the treatment (M versus R) received within 90 days of nuclear stress testing. Results. Overall 6315 patients were included in the study (age 61±11 years, 52% male). 2% patients underwent revascularization within 3 months of nuclear stress testing. Overall 5-year survival did not differ significantly between M and R (86 vs 81%, p=0.07). The rate of revascularization varied directly with the burden of ischemia, from 0.6% in those patients without detectable ischemia to 29% in those patients with large ischemia burden (p<0.001). A possible survival advantage with revascularization was present in patients with the largest burden of myocardial ischemia (>20% of the left ventricle). Conclusions. The rate of revascularization in our practice varies directly with the amount of ischemic burden. These unadjusted data suggest that a survival advantage with revascularization was present in patients with a large amount of ischemia. Cardiologia interventistica: complicanze P190 PREVALENZA DI IPERTIROIDISMO SUBCLINICO IN UNA POPOLAZIONE CONSECUTIVA DI PAZIENTI CANDIDATI AD INDAGINE CORONAROGRAFICA Guido Canali, Enrico Barbieri U.O. di Cardiologia, Ospedale Sacro Cuore, Negrar (VR) È noto come l’esame coronarografico (CGF) esponga il paziente all’assorbimento di quantità non trascurabili di iodio. Mentre i pazienti eutiroidei possono manifestare solo piccoli variazioni degli ormoni tiroidei e del TSH, i pazienti con ipertiroidismo sconosciuto, indipendentemente dalla sua eziologia sono a rischio di forme di ipertiroidismo iodio indotto fino ad una vera crisi tireotossica. Nella nostra U.O. in tutti i pazienti candidati a CGF elettiva viene valutato il TSH reflex. Nel periodo ottobre 2008-novembre 2010 abbiamo osservato 1186 pazienti consecutivi ricoverati per CGF. In 40 (3.4%) pazienti è stato riscontrato un TSH <0.40 mUI/L (VN 0.46-4.29). Secondo un nostro protocollo interno prima della procedura i pazienti sono stati sottoposti ad ecografia tiroidea, valutazione completa della funzione tiroidea compresi gli anticorpi antitiroide. Il giorno successivo è stata eseguita consulenza endocrinologica. In 36 pazienti il collega endocrinologo ha impostato una terapia tireostatica con metimazolo e perclorato di potassio iniziando quest’ultimo 2 giorni prima della procedura al dosaggio di 200 mg bid e proseguendo con lo stesso fino a 3 giorni dopo la procedura. In 5 pazienti è stata associata anche terapia cortisonica. Controlli di TSH, FT3, FT4, emocromo e transaminasi epatiche sono eseguite prima della dimissione e, dopo 15 giorni, viene solitamente programmato un nuovo controllo ambulatoriale endocrinologico con nuova valutazione di esami ematochimici. Nei rimanenti 4 pazienti la procedura è stata posticipata a risoluzione del quadro di distiroidismo. Con questo approccio metodologico non si è mai verificato alcun caso di ipertiroidismo iodio-indotto su una casistica globale di oltre 6500 procedure diagnostico-interventistiche. Grazie alla collaborazione con il Servizio di Endocrinologia e al riscontro del dato laboratoristico in regime di pre-ricovero, la procedura non ha subito ritardi nella data programmata nel 67% dei casi. Nei casi rimanenti la CGF è stata posticipata di 2-3 giorni. P191 IATROGENIC LEFT MAIN CORONARY ARTERY DISSECTION: THE FIRST ITALIAN CASE SERIES Salvatore Azzarelli, Francesco Amico, Michele Giacoppo, Vincenzo Argentino, Antonio Fiscella Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedaliera per l’Emergenza “Cannizzaro”, Catania Background. Iatrogenic left main (LM) coronary artery dissection is a rare but potentially devastating complication of coronary catheterization because of the consequent risk of myocardial infarction (MI) and death. Indeed, depending on the luminal obstruction, the clinical manifestation varies from an asymptomatic angiographic finding to a sudden hemodynamic collapse. The aim of the present case series was to estimate the incidence, describe the dissection modalities, report the treatment and the follow-up of iatrogenic LM coronary artery dissection in a tertiary hospital with in-site cardiac surgery. Methods. Between January 2005 and December 2009, a total of 10702 coronary catheterizations were performed: 6758 coronary angiographies (CAs) and 3944 percutaneous coronary interventions (PCIs). Results. We identified 6 patients (0.056%) who fulfilled the National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) diagnostic criteria for coronary dissection, 1 during CA (0.014% of CAs) and 5 during PCI (0.126% of PCIs). LM dissection was catheter induced in 4 cases, while 2 cases occurred as a consequence of balloon dilation or stent implantation into the proximal left anterior descending coronary artery or left circumflex coronary artery. Four patients had non-significant disease (stenosis <50%) of the LM. Two patients experienced a sudden hemodynamic collapse as a consequence of a total occlusion of the LM lumen (NHLBI type F dissection): 1 patient died before any rescue intervention, while 1 patient underwent successful bailout stent implantation and intra-aortic balloon pump placement (this patient had a periprocedural MI). One patient had a localized asymptomatic NHLBI type B dissection and he was treated by elective coronary artery by-pass grafting because of a 3-vessel disease. Finally, the other 3 patients had an extensive dissection (NHLBI type D-E) with associated angina but no hemodynamic collapse, and they underwent successful bailout stent implantation. At 6-month angiographic followup, 1 patient showed a symptomatic restenosis >50% and he underwent a TVR, while 1 patient underwent a non-TVR due to disease progression. During the entire follow-up period of 38±18 months any death, MI, or other coronary revascularization were observed. Conclusion. Iatrogenic LM dissection is a rare but potentially devastating complication of coronary catheterization, which can have a favourable outcome if recognized timely and treated properly. P192 CONFRONTO DELLE COMPLICANZE VASCOLARI LOCALI TRA LA VIA FEMORALE E LA VIA RADIALE. ANALISI SU 6 ANNI DI ATTIVITÀ DI UN SINGOLO LABORATORIO DI EMODINAMICA INTERVENTISTICA Umberto Grandis, Francesco Antonini-Canterin, Marco Brieda, Matteo Cassin, Franco Macor, Riccardo Neri, Elisa Leiballi, Rita Piazza, Rosa Pecoraro, Fauzia Vendrametto, Gian Luigi Nicolosi U.O. di Cardiologia, A.O. S. Maria degli Angeli, Pordenone Introduzione. La diffusione delle procedure di cateterismo arterioso percutaneo a scopo diagnostico e terapeutico hanno portato ad un incremento di complicanze vascolari locali. Queste complicanze sono spesso dipendenti dalla via arteriosa scelta (radiale o femorale). Scopi. In una ampia casistica retrospettiva di 6 anni di attività della nostra istituzione abbiamo valutato la numerosità e la tipologia delle complicanze locali confrontando l’approccio femorale e radiale. Metodi. Dal gennaio 2004 al dicembre 2010 presso il nostro laboratorio di emodinamica sono state eseguite 9578 procedure angiografiche di cui 7366 (76%) per via femorale, 2212 (23%) per via radiale, completate rispettivamente nel 44% e 34% da procedure di rivascolarizzazione coronarica percutanea. Venivano sottoposti ad indagine eco-color Doppler i pazienti che, dopo le procedure, presentavano sintomi o segni (sistematicamente ricercati) sospetti per complicanze locali (soffi sistodiastolici a livello inguinale, tumefazioni dolenti e stravasi ematici, alterazione dei polsi). I pazienti che presentavano pseudoaneurismi o fistole arterovenose (FAV) passibili di trattamento venivano sottoposti a manovre compressive eco guidate o, nel caso di pseudoaneurismi, a iniezione eco guidata di trombina. Risultati. A) per quanto riguarda la via femorale sono stati identificati: 78 pazienti con pseudoaneurisma femorale (1.05%), 13 con FAV (0.17%), 15 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 83S P194 PREVENZIONE DELLA NEFROPATIA DA MEZZO DI CONTRASTO CON UTILIZZO DEL RENAL GU ESPERIENZA INIZIALE E CONFRONTO CON METODICA TRADIZIONALE 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO con ematomi maggiori (con necessità di emotrasfusione)Background. in sede inguinale prevenzione è fondata soprattutto sull’idratazione e sull’uso di mezzo di (0.2%), 73 con ematomi minori inguinali (0.99%). Sono inoltre da rilevare contrasto (MdC) isosmolare. Materiali e metodi. Da settembre 2010 a dicembre 2010 è stato impiegato le seguenti gravi complicanze: 4 ematomi retro peritoneali di cui 1 per la prevenzione della CIN il Renal Guard (RG), un device che consente corretto chirurgicamente. 2 tromboembolizzazioni femoro-poplitee, 1 una diuresi oraria ad elevato volume con utilizzo di diuretico senza correzione in chirurgica aperta di pseudo aneurisma non correggibile con Materiali e metodi.creare ipovolemia. La procedura di utilizzo del RG consisteva nella manovre non invasive. 1 complicanza infettiva grave (endocardite somministrazione di 250 ml di soluzione fisiologica in 30 minuti seguita da batterica). 2 trattamenti con stent di pseudo aneurismi non correggibili bolo di furosemide 0.5 mg/kg; quando la diuresi superava il valore di 300 con manovre non invasive. 1 trattamento endovascolare di ml/h iniziava la somministrazione di MdC. Sono stati rilevati parametri di microembolizzazione di un collaterale femorale lesionato. La somma delle funzione renale ed EGA venosa pre-procedura e fino alle 72 ore successive complicanze a livello femorale è stata dunque del 2.4%. B) per quanto alla somministrazione di MdC. riguarda la via radiale sono stati individuati: 14 soggetti (0.63% del totale Popolazione. Da settembre a dicembre 2010 24 pz con eGFR <60 ml/min delle procedure per via radiale) con complicanze varie (dissezione, (2 dei quali con pregressa CIN). Le caratteristiche demografiche dei occlusione, lesione vasale). Il trattamento anticoagulante/antiaggregante pazienti sono riportate in Tabella 1. Il eGFR pre variava tra 26.4 e 59.6 non era diverso nei gruppi A e B. Popolazione. ml/min (medio 42.1 ml/min). La quantità di MdC somministrato era Conclusioni. Da quanto detto si evidenzia il netto vantaggio in termini di compreso tra 120 e 378 ml (medio 211±85 ml); il picco di volume di diuresi sicurezza, di minor gravità delle complicanze e di riduzione dei tempi di oraria medio era 795.3±180.4 ml/h; il volume medio di diuresi totale ospedalizzazione dovuto all’uso della via radiale rispetto alla femorale durante il trattamento con RG era 6371.4±1428.9 ml. per cui quando sia possibile questo approccio va considerato di prima scelta. Alla luce di questi risultati, nella nostra istituzione le procedure per Risultati. Dei 24 pz, 2 hanno avuto CIN (8.3%); i 2 pz con pregressa CIN non via radiale sono passate dall’1% del 2004 al 48.1% del 2010. Si conferma l’hanno sviluppata nuovamente alla successiva somministrazione di MdC Risultati. con RG rispetto al tradizionale schema di profilassi. Non è stato osservato infine il ruolo centrale e l’accuratezza diagnostica dell’ecografia nella sviluppo di acidosi nei giorni successivi. I pz che hanno sviluppato CIN gestione e nella individuazione delle complicanze locali post cateterismo hanno avuto picco massimo di diuresi oraria <390 ml/h e volumi totali arterioso. infusi <2700 ml. In una serie di Pz con caratteristiche analoghe ma trattati tradizionalmente con idratazione, acetilcisteina e sodio bicarbonato, la CIN era presente in 13/27 pz (48.1%), e l’incidenza di CIN era risultata P193 dunque significativamente maggiore (p=0.005). CONFRONTO TRA CREATININA SIERICA E CISTATINA C NELLA DIAGNOSI Conclusione. Il sistema RG appare un semplice apparecchio per la profilassi PRECOCE DI NEFROPATIA DA MEZZO DI CONTRASTO (CIN) DOPO Conclusione. della CIN. Nella nostra esperienza iniziale fornisce risultati migliori in PROCEDURA ANGIOGRAFICA DIAGNOSTICA E INTERVENTISTICA termini di nefroprotezione rispetto all’idratazione e alcalizzazione CORONARICA dell’urina, e previene l’acidosi. I casi di CIN verificatisi con RG appaiono Michele Pighi, Paolo Pasoli, Antonio Mugnolo, Gabriele Pesarini, essere correlati ad un minor volume di diuresi oraria raggiunta. Antonio Rigamonti, Flavio Luciano Ribichini, Corrado Vassanelli Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e N pz (%) Media ± DS Chirurgiche, Università degli Studi, Verona Età (anni) 79±6.7 Premessa. La nefropatia da mezzo di contrasto (CIN) è la forma più EF (%) 48.4±8.9 comune di danno renale acuto (AKI) che può complicare le procedure Sesso maschile 16 (66.6%) diagnostiche ed interventistiche che prevedano somministrazione di IRC nota 22 (91.6%) mezzo di contrasto iodato (MDC). La sua diagnosi si basa sull’incremento Pregressa CIN 2 (8.3%) della creatinina sierica (SC) in termini percentuali (≥25% rispetto al valore Quantitativo MdC somministrato (cc) 211±85 basale) o assoluti (creatininemia tra 0.3 mg/dl e 0.5 mg/dl in assenza di GFR pre-procedurale (ml/min) 42.1±15.8 altre possibili cause). Tuttavia la stessa CS presenta alcuni limiti come GFR post-procedurale (ml/min) 39.7±14.1 indicatore della funzione renale principalmente dovuti alla variabilità intra- ed interindividuale in relazione a fattori non renali (età, idratazione, massa muscolare). Cistatina C (Cys) è stata proposta come marker alternativo per la valutazione della filtrazione glomerulare (GFR), poiché P195 sembra essere meno dipendente da fattori extra-renali. UTILIZZO DI u-NGAL COME PREDITTORE DI CIN (CONTRAST-INDUCED Scopo dello studio. Confrontare sensibilità e specificità di SC e Cys, in NEPHROPATHY) NEI PAZIENTI SOTTOPOSTI A CORONAROGRAFIA termini di valori assuoluti, variazioni precoci e variabili derivate per la Elisabetta Petitti1, Patrizia Noussan1, Paola Zanini1, Marco Pozzato2, stima del GFR, nel predire precocemente la CIN intra-ospedaliera in una Massimo Minelli1 popolazione a rischio sottoposta ad angiografia diagnostica o 1 S.C. UTIC, 2S.C. Nefrologia e Dialisi, P.O. Torino Nord Emergenza interventistica coronarica. San G. Bosco, ASL TO2, Torino Metodi. Sono stati arruolati pazienti a rischio di CIN senza insufficienza La somministrazione di mezzo di contrasto (mdc) nella coronarografia può renale cronica di grado severo. Tali soggetti sono stati successivamente causare come complicanza immediata una forma di insufficienza renale valutati in modo prospettico durante il ricovero con prelievi seriati di SC acuta (CIN) che nella maggior parte dei casi è reversibile ma in una e Cys prima della procedura ed a 12, 24, 48 e 72 ore dalla percentuale non trascurabile (0.3%) porta a necrosi tubulare acuta con somministrazione di MDC. Tutti i pazienti hanno ricevuto MDC a bassa necessità di trattamento dialitico cronico. La CIN ha un’incidenza intorno osmolarità o iso-osmolare e sono stati sottoposti ad idratazione con al 3.5% dei casi ed ha patogenesi multifattoriale: citotossicità diretta del soluzione salina isotonica prima e dopo la procedura eccetto quelli trattati mdc sull’epitelio del tubulo renale, stress ossidativo, danno ischemico e in emergenza per infarto miocardico acuto. ostruzione del tubulo. Risultati. Nel campione valutato (n=166) l’incidenza di CIN è stata del 18% Lo sviluppo di CIN aumenta morbilità e mortalità dei pz sottoposti a (30 pazienti). All’analisi univariata la variazione percentuale rispetto al coronarografia nonché i giorni di ospedalizzazione e i costi ad essa relativi. basale della SC a 12 ore dalla somministrazione di MDC è risultata il Dal momento che non esiste terapia specifica della CIN, fondamentale è predittore più precoce ed importante di CIN (p<0.001). All’analisi ROC un la prevenzione: a tale proposito le Linee Guida dell’ESC del 2010 sulla incremento di SC del 5% a 12h prediceva l’insorgenza di CIN con una Rivascolarizzazione Miocardica danno come indicazioni di classe IA terapia sensibilità del 70%, e una specificità del 76% (AUC=0.80; p<0.001). I valori medica e idratazione (12 ore prima e per 24 ore dopo la coronarografia); assoluti di Cys e le sue variazioni temporali si sono dimostrati predittori di classe IIb N-Acetilcisteina e NaCOH3-. meno precoci e sensibili nei confronti di SCe delle equazioni che utilizzano È stata comunque evidenziata l’importanza della diagnosi precoce della CIN entrambi i marker (AUC=0.48, p=0.74). in modo da intervenire tempestivamente ed evitare il ricorso all’emodialisi. Conclusioni. I nostri risultati non supportano la superiorità di Cys rispetto Si definisce CIN un aumento della creatinina sierica di 0.5 mg/dl in valore a SC per la diagnosi precoce di CIN nella popolazione in esame. Le assoluto o più del 50% del basale nelle 48-72 ore successive alla procedura. variazioni percentuali di SC sembrano offrire sensibilità e specificità È stata identificata una nuova proteina, NGAL (neutrophil gelatinosesuperiori nel predire la CIN e la variazione percentuale a 12 ore di SC associated lipocalin), che viene rilasciata dai tubuli renali sofferenti con rispetto al valore basale appare il miglior predittore. Minime variazioni significato difensivo ed aumenta significativamente tra le 2 e le 6 ore dal relative di SC confrontate con i valori basali (5-10%) sono osservate più danno renale acuto (AKI). L’utilizzo di u-NGAL quale marker predittivo precocemente (12 ore) rispetto a quelle di Cys nei pazienti che sviluppano precoce di CIN è oggetto di studio presso l’UTIC dell’Ospedale S.G. Bosco di CIN, e mostrano una più alta sensibilità e specificità per la sua diagnosi Torino, in collaborazione con la S.C. Nefrologia e Dialisi e il Laboratorio. È nei confronti dei valori assoluti di Cys o delle sue variazioni percentuali. stato considerato significativo un aumento di uNGAL >4 volte il valore basale. P194 PREVENZIONE DELLA NEFROPATIA DA MEZZO DI CONTRASTO CON UTILIZZO DEL RENAL GUARD: ESPERIENZA INIZIALE E CONFRONTO CON METODICA TRADIZIONALE Tullio Usmiani, Carlo Budano, Ilaria Meynet, Mario Levis, PierLuigi Sbarra, Sebastiano Marra S.C. di Cardiologia 2, A.O.U. San Giovanni Battista, Torino Background. La nefropatia da mezzo di contrasto (CIN) è una complicanza frequente successiva alle procedure di interventistica ed è associata a peggiore outcome sia intraospedaliero sia a distanza. La strategia di 84S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 I pz arruolati nel protocollo sono coloro che devono essere sottoposti a coronarografia in elezione o in urgenza e che presentano: insufficienza renale cronica III-IV-V stadio, scompenso cardiaco, IMA con shock cardiogeno o segni di bassa portata. Il protocollo prevede il dosaggio di NGAL nelle urine pre-procedura e a 6 e 24 ore post-procedura. Inoltre sono dosati creatinina, elettroliti, EGA venoso e diuresi in basale e a 6-2448-72 ore dopo coronarografia. Da novembre 2010 sono stati testati 6 pz con le seguenti caratteristiche: 66% di sesso maschile, età media 73 anni, GFR basale medio 44.1 mL/min/1.73 m2, creatinina basale media 2.5 mg/dL. A 6 ore dalla coronarografia in 3 pz si è verificato un aumento di 2 volte rispetto al basale di uNGAL, nei restanti 3 pz il valore di uNGAL è rimasto stabile; a 24 ore in tutti i pz si è verificato POSTER un aumento di uNGAL, ma inferiore al cut-off pertanto non significativo. La creatinina a 24 ore si è mantenuta stabile in tutti i pz ed è aumentata di 0.2 mg/dL in valore assoluto a 48 e 72 ore in 2 pz. Il numero esiguo del campione non permette di dare indicazioni riguardo all’uso routinario dell’uNGAL in tutti i pazienti da sottoporre a coronarografia, ma questi dati preliminari suggeriscono una correlazione diretta tra mancato incremento precoce di uNGAL e assenza di danno renale indotto da mdc. P196 OCCLUSIONE TARDIVA DEGLI STENT CORONARICI. ANALISI ECOGRAFICA INTRAVASCOLARE DI UNA SERIE CONSECUTIVA DI PAZIENTI Antonio Rigamonti, Michele Pighi, Gabriele Pesarini, Rajesh Dandale, Paolo Pasoli, Antonio Mugnolo, Flavio Luciano Ribichini, Corrado Vassanelli Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche, Università degli Studi, Verona Premessa. L’occlusione tardiva rappresenta una complicante grave, seppur infrequente, dello stenting coronarico. In particolar modo i drug-eluting stent (DES) sono più frequentemente soggetti a trombosi tardiva rispetto agli stent metallici (bare metal stent, BMS) i quali peraltro sono caratterizzati da una maggiore incidenza di restenosi. Scopo dello studio. Analizzare le caratteristiche ecografiche intravascolari di stent coronarici (BMS e DES) in una popolazione di pazienti con sindromi cliniche attribuibili a loro occlusione tardiva totale o subtotale. Metodi. Tra il 2007 e il 2010 sono stati analizzati 29 pazienti. Ciascun paziente è stato sottoposto durante la fase diagnostica della procedura in fase acuta ad ecografia intravascolare (IVUS) ed angiografia quantitativa (QCA). Risultati. Dei 29 casi analizzati, 22 hanno avuto un’occlusione tardiva di stent medicato e 7 di stent metallico. Nel gruppo DES la presentazione clinica prevalente è stata lo STEMI (50%), mentre nel gruppo BMS l’angina instabile (42.8%) e quella stabile (28.6%), verificatesi ad una media di 28.2±20.37 mesi per i DES e 8.43±4.08 per i BMS (p<0.001). Nel gruppo DES, la terapia antiaggregante era singola nel 50% dei pazienti, doppia nel 27.3% ed era sospesa nel 22.7%. Nel gruppo BMS il 57.1% dei soggetti era in singola terapia antiaggregante ed il 42.9% in doppia terapia antiaggregante. Nel gruppo DES il 60% di coloro che avevano sospeso la terapia antiaggregante l’aveva fatto da meno di 6 mesi ed il 40% da oltre 6 mesi. Le variabili QCA non hanno dimostrato differenze significative tra i due gruppi. Tra le variabili IVUS-derivate la frequenza di incompleta apposizione dello stent (ISA) era maggiore nel gruppo DES (57.1%) rispetto al gruppo BMS (14.3%; p=0.06). L’analisi della qualità dell’espansione degli stent secondo il criterio AVIO e i criteri MUSIC ha messo in evidenza una minore qualità di impianto dei DES rispetto ai BMS. Nel gruppo DES, l’incompleta apposizione dello stent si è riscontrata più frequentemente nei pazienti in terapia antiaggregante (83.3% nei pazienti in doppia terapia antiaggregante, 54.5% nei pazienti in singola terapia antiaggregante) rispetto ai pazienti non in terapia antiaggregante (20%). Conclusioni. Oltre al chiaro beneficio della terapia anti-aggregante in termini di trombosi tardiva degli stent medicati di prima generazione, questo studio descrittivo sottolinea l’importanza di un corretto posizionamento dei device con particolare riferimento alla riduzione dell’ISA, che appare condizione predisponente a complicanze tardive. In condizioni di elevata complessità, (lesioni lunghe, calcifiche, ostiali, di biforcazione) la valutazione IVUS offre informazioni aggiuntive non ottenibili con la sola valutazione angiografica, sul corretto posizionamento del device. P197 PROFILASSI DELLA TROMBOSI TARDIVA DI DES CON INIBITORI DELLA GLICOPROTEINA IIb/IIIa IN PAZIENTI DA SOTTOPORRE AD INTERVENTI DI CHIRURGIA MAGGIORE Andrea Rognoni1, Alessandro Lupi1, Sergio Macciò2, Elisa Rondano2, Angelo Sante Bongo1, Giorgio Rognoni2 1 Cardiologia Ospedaliera, A.O.U. “Maggiore della Carità”, Novara, 2 Divisione di Cardiologia, Ospedale Sant’Andrea, ASL Vercelli, Vercelli Introduzione. La cardiopatia ischemica rappresenta una tra le prime cause di ospedalizzazione nei paesi industrializzati e nel corso degli anni i progressi nel trattamento invasivo con angioplastica coronarica ne hanno ridotto la mortalità e la morbilità, soprattutto e grazie all’utilizzo di stent medicati a rilascio di farmaco. Tali device necessitano di una doppia terapia antiaggregante con aspirina e tienopiridine a lungo termine che contrasta con l’eventuale necessità dei pazienti di essere sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore (ortopedica e addominale) per l’elevato rischio di sanguinamento intra e perioperatorio. Scopo e metodi. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare retrospetticamente, su una casistica di pazienti selezionati da sottoporre ad intervento chirurgico, l’efficacia della sospensione della antiaggregazione orale con embricazione con inibitore della glicoproteina IIb/IIIa per via endovenosa sistemica (tirofiban); abbiamo valutato inoltre gli effetti di tale terapia per il rischio di sanguinamento (criteri TIMI). Risultati. 15 pazienti con recente (<1 anno) impianto di DES di prima generazione (sirolimus eluting stent) in attesa di intervento non differibile di chirurgia maggiore sono stati sottoposti a terapia con tirofiban (dosaggio standard utilizzato da linea guida per le sindromi coronariche acute) a decorrere da 24 ore prima dell’intervento (sospensione della terapia antiaggregante orale 4 giorni prima); la terapia con tirofiban è stata sospesa 5 ore prima dell’intervento e riavviata nel postoperatorio a due ore dall’intervento fino al riavvio della terapia antiaggregante orale a giudizio chirurgico. Non ci sono stati casi di morte, infarto miocardico, trombosi deli stent; abbiamo riscontrato due casi di sanguinamento maggiore (criteri TIMI) e due di sanguinamento minore (criteri TIMI); un solo caso ha necessitato di trasfusione ematica conseguente al sanguinamento. Conclusioni. In pazienti portatori di stent coronarici medicati che vengono sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore, la sospensione dell’antiaggregazione orale ed avvio di inibitori della glicoproteina IIb/IIIa per via endovenosa, si dimostra sicura nell’evitare trombosi subacuta e sanguinamenti maggiori. Studi clinici con campioni più numerosi saranno necessari in futuro per tracciare una linea comune di trattamento nei pazienti in oggetto. P198 INCIDENCE AND PREDICTORS OF CORONARY STENT THROMBOSIS: EVIDENCE FROM AN INTERNATIONAL COLLABORATIVE META-ANALYSIS INCLUDING 30 STUDIES, 225 488 PATIENTS, AND 4203 THROMBOSES Fabrizio D’Ascenzo1, Mario Bollati1, Fabrizio Clementi2, Davide Castagno1, Bo Lagerqvist3, Jose Maria de la Torre Hernandez4, Juriën M. ten Berg5, Bruce R. Brodie6, Philip Urban7, Lisette Okkels Jensen8, Gabriel Sardi9, Ron Waksman9, John M. Lasala10, Stefanie Schulz11, Gregg W. Stone12, Flavio Airoldi13, Antonio Colombo14, Gilles Lemesle15, Robert J. Applegate16, Piergiovanni Buonamici17, Ajay J. Kirtane12, Anetta Undas18, Imad Sheiban1, Fiorenzo Gaita1, Giuseppe Sangiorgi19, Maria Grazia Modena19, Giuseppe Biondi-Zoccai19 1 Division of Cardiology, University of Turin, Turin, Italy, 2Division of Cardiology, University of Tor Vergata, Rome, Italy, 3Division of Cardiology, Uppsala Clinical Research Centre, Uppsala University, Uppsala, Sweden, 4Division of Cardiology, Hospital Marques de Valdecilla, Santander, Spain, 5Department of Cardiology, St. Antonius Hospital, Nieuwegein, The Netherlands, 6LeBauer Cardiovascular Research Foundation, Greensboro, NC, USA, 7Division of Cardiology, La Tour Hospital, Meyrin, Switzerland, 8Odense University Hospital, Odense, Denmark, 9Division of Cardiology, Washington Hospital Center, Washington, DC, USA, 10Division of Cardiology, Washington University School of Medicine, St. Louis, MO, USA, 11Deutsches Herzzentrum, Technische Universitat, Munich, Germany, 12Columbia University Medical Center and the Cardiovascular Research Foundation, New York, NY, USA, 13 Division of Cardiology, IRCCS Multimedica, Sesto S. Giovanni, Italy, 14 EMO GVM, Centro Cuore Columbus, Milan, Italy, 15Hôpital Cardiologique, Lille, France, 16Division of Cardiology, Wake Forest University School of Medicine, Winston-Salem, NC, USA, 17Department of Cardiology, Careggi Hospital, Florence, Italy, 18Jagiellonian University School of Medicine, Krakow, Poland, 19Division of Cardiology, University of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy Introduction. Stent thrombosis remains the Achilles’ heel of percutaneous coronary intervention (PCI) with stenting, because of its potential devastating clinical impact. Data on its incidence and predictors are sparse and conflicting. We performed a collaborative systematic review on incidence and predictors of stent thrombosis. Methods. PubMed was systematically searched (updated July 2010) for studies including ≥2000 patients undergoing coronary stenting or reporting on ≥40 thromboses. Study features, patient characteristics, incidence and predictors of stent thrombosis were abstracted and pooled, when appropriate, with random-effect methods (point estimate [95% confidence intervals]). Results. A total of 30 studies were identified (225 488 patients, 4203 thromboses). Drug-eluting stent (DES) were used in 87% of patients. After a median of 22 months, definite, probable, or possible stent thrombosis had occurred cumulatively in 2.6% (2.3-2.9%), with acute in 0.3% (0.2-0.5%), subacute in 1.1% (0.9-1.3%), late in 0.5% (0.4-0.6%), and very late in 0.7% (0.5-0.9%), with similar figures for studies reporting only on DES, except for lower rates of acute ST which were 0,15% (0.09-0.22%)). The most common and/or powerful predictors of stent thrombosis were diabetes, stent implantation in acute coronary syndromes, greater number and length of stents, stent undersizing, and premature antiplatelet therapy discontinuation. However, there was great variation between the reports in the predictors of stent thrombosis, with no factors present in the majority of studies Conclusions. Given its dreadful consequences, stent thrombosis maintains a major detrimental clinical impact irrespectively of its relatively low incidence. Thus, despite a plethora of candidate risk factors, clinicians should remain aware that individual risk prognostication remains elusive until further trials, possibly exploiting genomic approaches, will be available. P199 CONTRAST INDUCED NEPHROPATHY AFTER PRIMARY PCI: PREVALENCE AND PROGNOSTIC IMPACT - DATA FROM PRIMARY PCI REGISTRY OF TRIESTE Francesco Giannini1, Andrea Perkan1, Giancarlo Vitrella1, Giulia Barbati2, Marco Cinquetti1, Sara Santangelo1, Serena Rakar1, Erica Della Grazia1, Alessandro Salvi1, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padova Background. Contrast induced nephropathy (CIN) is a possible complication of coronary diagnostic and interventional procedures, and ST elevation G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 85S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO myocardial infarction (STEMI) patients treated with percutaneous coronary intervention (PCI) are a group at high risk of CIN. Nevertheless the real prevalence and prognostic impact of CIN in STEMI patients is still unclear. Aim. To assess prevalence, clinical predictors and outcome of CIN after primary PCI for STEMI patients. Methods. 701 STEMI patients (76% men, mean age 66±12 yrs; iodixanol was used in 76% of pts., 193±82 cc/procedure), underwent primary PCI from December 2003 to December 2009. We measured serum creatinine levels at baseline and in the following (2 and 3-7) days. CIN was defined as an absolute increase in creatinine >0.5 mg/dl after PCI in the absence of other causes of renal failure. Short term (within 30 days from STEMI), long term (following 30 days) and overall mortality were evaluated. Results. CIN occurred in 34 patients (5%). Patients developing CIN were older, had a higher incidence of diabetes mellitus and lower left ventricular ejection fraction. Heart failure (OR 5.084, CI 95% 1.85-14, p=0.002), TIMI index score (OR 1.025, CI 95% 1.004-1.047, p=0.021) and glycemia (1.008, CI 95% 1.003-1.012, p=0.002) were found to be independent predictors of CIN at multivariate analysis. Development of CIN was significantly related to higher 30 day mortality or re-infarction (42 vs 8%, p<0.001) and long-term mortality (71% vs 11%, p<0,001). At multivariate analysis, age (for 5 years increase OR 1.06, CI 95% 1.02-1.11, p=0.003), Killip class III-IV (OR 11.83, CI 95% 5.01-20.63, p<0.001), reduced (<45%) left ventricular ejection fraction (OR 2.71, CI 95% 1.19-6.16, p=0.017) and CIN (OR 3.28, CI 95% 1.15-9.33, p=0.026) were found to be independent predictors of 30 days mortality. Intraprocedural abciximab administration was related to a reduced mortality at 30 days (OR 0.34, CI 0.14-0.82, p=0.017). CIN was also found to be an independent predictor of long term mortality (OR 4.1, CI 95% 2.34-6.86, p<0.001). Conclusions. CIN is relatively frequent in STEMI patients undergoing primary PCI and its development is associated with an increased risk of both 30 day and long term mortality. Cardiologia interventistica: TAVI P200 PROGRAMMA COREVALVE A BRESCIA: RISULTATI A BREVE TERMINE DI TRE ANNI DI ESPERIENZA Elena Tanghetti, Claudia Fiorina, Giuliano Chizzola, Salvatore Curello, Diego Maffeo, Giuseppe Seresini, Aldo Manzato, Mario Frontini, Giuseppe Coletti, Federica Ettori Laboratorio di Emodinamica, Divisione di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Spedali Civili, Brescia Introduzione. L’impianto valvolare aortico percutaneao (TAVI) rappresenta una potenziale alternativa per i pazienti affetti da stenosi aortica severa sintomatica con controindicazione assoluta o relativa alla chirurgia. Riportiamo l’esperienza a 3 anni di un singolo centro. Materiali e metodi. Da settembre 2007 ad ottobre 2010 sono stati eseguiti 133 impianti percutanei valvolari aortici (TAVI) con CoreValve Revalving System (Medtronic, Minneapolis) in pazienti con stenosi aortica severa sintomatica ad elevato rischio o con controindicazione assoluta alla sostituzione valvolare chirurgica (età media di 83±9 anni, 59% sesso femminile, Logistic EuroSCORE di 22±15%). Abbiamo valutato: a) il successo tecnico (posizionamento stabile della valvola con corretto funzionamento valutato angiograficamente ed ecocardiograficamente) in assenza di complicanze correlate alla TAVI: rottura dell’anello valvolare/aorta, rottura di cuore, occlusione coronarica; b) il successo procedurale acuto e nelle prime 24 h (successo tecnico in assenza di MACE: morte, infarto miocardico ed ictus); c) la mortalità per tutte le cause e l’impianto di pacemaker (PM) a 30 giorni. Risultati. 133 pazienti consecutivi sono stati sottoposti a TAVI mediante sistema CoreValve ReValving System (Medtronic, Minneapolis) tramite accesso femorale (92.5%), ascellare (6.7%) e transaortico in minitoracotomia (0.7%). Il successo tecnico è stato del 100% ed il successo procedurale acuto del 95% I MACE comprendevano una mortalità intraprocedurale del 2% ed ictus del 2% (3/133, rispettivamente). Le complicanze della TAVI che si sono manifestate comprendevano 2 occlusioni del tronco comune secondarie all’impianto valvolare risoltesi con PTCA (1.5%), 2 rotture dell’anello valvolare (1.5%) ed una rottura della parete libera del ventricolo sinistro (0.7%) (responsabili della morte intraprocedurale). La mortalità per tutte la cause a 30 giorni è stata del 9% (12/133). La necessità di impiantare un PM entro i primi 30 giorni era del 23%. Conclusioni. Questi dati confermano la fattibilità dell’impianto percutaneo di valvola aortica anche in pazienti con elevato o proibitivo rischio chirurgico. P201 SOSTITUZIONE VALVOLARE AORTICA PERCUTANEA: COMPLICANZE PRECOCI IN UNITÀ DI TERAPIA INTENSIVA E RISULTATI A MEDIO TERMINE C. Agostini, F. Meucci, G. Squillantini, S. Valente, M. Chiostri, D. Innocenti, G. Rosso, G. Santoro S.O.D. Diagnostica Interventistica Cardiovascolare, Dipartimento Cardiologico e dei Vasi, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze Introduzione. La sostituzione valvolare aortica per via percutanea (TAVI) rappresenta una valida opzione terapeutica in pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa ad alto rischio chirurgico o inoperabili. Metodi. Tra febbraio 2008 e dicembre 2010, 107 pazienti con stenosi 86S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 aortica severa, ad alto rischio chirurgico o non operabili, sono stati sottoposti a TAVI nel nostro centro. Sono state utilizzate la bioprotesi Medtronic CoreValve System di pericardio porcino e la Edward Sapien di pericardio bovino. L’impianto è stato eseguito da accesso femorale, succlavio e trans-apicale. Risultati. Le caratteristiche cliniche erano: età media 82.6 anni, sesso femminile 58.8%, diabete mellito 30.8%, insufficienza renale cronica 32.7%, BPCO severa 21.5%, arteriopatia periferica 25.2%, pregresso stroke 9.4%, coronaropatia 40.2%, pregresso intervento cardiochirurgico 19.6%, EuroSCORE medio 18.4%, aorta a porcellana 8.4%, torace ostile 8.4%, frazione di eiezione media 51%. È stato usato l’accesso femorale percutaneo nel 75.7%, femorale chirurgico nello 0.9%, succlavio nell’8.4% e transapicale nel 15% dei casi. La procedura è stata eseguita in anestesia generale nel 23% dei casi ed in sedoanalgesia profonda nei restanti casi. Nel 99.1% dei casi si è ottenuto successo procedurale, nel 4.7% è stato posizionato un secondo device per la dislocazione del primo o per rigurgito aortico severo residuo, nello 0.9% la valvola si è dislocata in aorta ascendente senza possibilità di un secondo impianto. Le principali complicanze intraprocedurali sono state: infarto miocardico acuto (0.9%) trattato con PCI in emergenza, arresto cardiaco (0.9%) sottoposto a rianimazione cardiopolmonare efficace, ictus (3.7%). La mortalità intraoperatoria è stata dello 0%. La durata media del monitoraggio è stata di 1.5 giorni in terapia intensiva e di 0.5 giorni in terapia subintensiva. Durante tale periodo le maggiori complicanze sono state: insufficienza renale acuta (17.8%) con necessità di emodiaultrafiltrazione (CVVHDF) (10.3%, in cui la degenza media in terapia intensiva è stata di 5.5 giorni), tamponamento cardiaco da pacemaker temporaneo (0.9%), impianto di pacemaker definitivo per BAV completo (16%), complicanze vascolari maggiori (ematoma retroperitoneale, dissezione, pseudoaneurisma) (5.6%), sottoposte in 1 caso a correzione chirurgica, in 3 casi a correzione percutanea e nei restanti casi a terapia medica; il 2.8% dei pazienti sono stati sottoposti a ventilazione non invasiva. A 30 giorni dall’impianto, la mortalità è stata del 9.4% (14% nei primi 50 casi, 5.3% nei restanti) e nell’1.9% sono avvenuti ricoveri per scompenso cardiaco. I pazienti sono stati seguiti in follow-up a 1, 3, 6 e 12 mesi. La mortalità a 12 mesi è risultata del 16.7% e quella complessiva (decessi periprocedurali e nel follow-up) del 24,6%. Conclusioni. Nonostante l’elevato rischio e le gravi comorbilità dei pazienti, la durata della degenza in terapia intensiva, nei pazienti sottoposti a TAVI, risulta breve e non viene modificata dal tipo di anestesia, mentre è prolungata dall’insufficienza renale che richieda CVVHDF. P202 TRATTAMENTO CHIRURGICO VS TRANSCATETERE DELLA STENOSI VALVOLARE AORTICA NELL’ULTRAOTTANTENNE: STIAMO UTILIZZANDO CRITERI DI SELEZIONE ADEGUATI? Paolo Tartara, Davide Patrini, Nicola Valerio, Emanuela Tavasci, Elena Perlasca, Paolo Sganzerla, Vincenzo Arena, Ettore Vitali Cliniche Humanitas Gavazzeni, Bergamo Background. L’impianto di protesi valvolare aortica transcatetere (TAVI) trova indicazione nei pazienti non operabili con l’intervento tradizionale, per lo più molto anziani e con gravi comorbilità. Nell’ambito dei pazienti ultraottantenni, quali e quanti di questi vanno indirizzati alla procedura transcatetere? L’EuroSCORE è ancora valido come criterio di valutazione del rischio in questi pazienti? Metodi. Da maggio 2008 a dicembre 2010, 94 pazienti ultraottantenni con stenosi valvolare aortica severa sintomatica sono stati valutati per intervento di sostituzione valvolare. Come criterio di selezione, seguendo le indicazioni delle società scientifiche internazionali, è stata adottata l’operabilità tecnica e la stima del rischio mediante EuroSCORE logistico (ES log), con valore cutoff pari a 20%. Tutti i pazienti operabili e con ES log <20% sono stati indirizzati a sostituzione valvolare con chirurgia tradizionale (gruppo A, n=61, ES log medio 10.81±4.4%), mentre i 26 pazienti con ES log >20% (gruppo B, n=26, ES log medio 33±14.1%) sono stati sottoposti ad impianto di valvola aortica transcatetere per via transapicale (n=23) o trans femorale (n=3). Abbiamo escluso dall’analisi 7 pazienti (5 lasciati in terapia medica, 2 sottoposti a chirurgia tradizionale per controindicazione a TAVI, poi deceduti). I pazienti del gruppo B erano significativamente più anziani e caratterizzati da una maggior comorbilità cardiaca (FE ridotta), vascolare, polmonare e renale. Risultati. Mortalità e morbilità ospedaliere sono risultate simili nei 2 gruppi ma con un trend, statisticamente non significativo, a vantaggio del gruppo B: mortalità a 30 giorni 6.5 vs 3.8%, mortalità a 3 mesi 8.2 vs 7.7%, incidenza di insufficienza renale (classe AKI 3 e 4) 36.7 vs 23.1%, necessità di impianto di PM 3.6 vs 0%, complicanze neurologiche 6.7 vs 3.8%, rispettivamente nei gruppi A e B. Lo stesso dicasi per la durata della ventilazione meccanica postoperatoria e la degenza in unità intensiva (39.2 vs 29.7 ore, e 75.6 vs 58 ore, nei gruppi A e B rispettivamente). Dei 5 pazienti deceduti del gruppo A, 3 erano epatopatici e 2 defedati. Conclusioni. Una buona parte dei pazienti ultraottantenni con stenosi aortica severa può affrontare l’intervento tradizionale a cuore aperto con un rischio contenuto. La procedura transcatetere, in pazienti a rischio decisamente superiore, è nel breve termine almeno altrettanto sicura ed efficace, e inoltre meno invasiva. I risultati suggeriscono quindi una possibile estensione dell’indicazione. Per indirizzare i pazienti al trattamento più corretto il criterio dell’EuroSCORE logistico del 20% dovrebbe essere accostato ad ulteriori criteri di valutazione del rischio, come le condizioni generali del paziente e l’epatopatia. L’estensione della tecnica transcatetere a tutti gli ultraottantenni è comunque al momento prematura, in mancanza di dati sui risultati a lungo termine. POSTER P203 L’IMPIANTO DI PROTESI VALVOLARE AORTICA PER VIA TRANSAPICALE: UNA TECNICA SOLO APPARENTEMENTE PIÙ INVASIVA Paolo Tartara, Davide Patrini, Emanuela Tavasci, Nicola Valerio, Elena Perlasca, Paolo Sganzerla, Vincenzo Arena, Ettore Vitali Cliniche Humanitas Gavazzeni, Bergamo Background. L’impianto di protesi valvolare aortica transcatetere può essere eseguito per via periferica transfemorale (o transascellare), oppure in alternativa per via transapicale, attraverso una minitoracotomia sx. Metodi. Da luglio 2008 a dicembre 2010, 29 pazienti con stenosi valvolare aortica severa sintomatica sono stati sottoposti ad impianto di protesi valvolare aortica Edwards Sapien per via transapicale. Per tutti i pazienti l’intervento di sostituzione valvolare aortica tradizionale in circolazione extracorporea era stato escluso per inoperabilità tecnica e/o rischio operatorio proibitivo; l’EuroSCORE logistico medio risultava pari al 31.5% (range 7-71%), e l’età media 82.9 anni (range: 66-95). 12 pazienti avevano già subito un intervento di bypass aortocoronarico; 18 pazienti erano in classe funzionale II o IV NYHA. Risultati. Il tempo medio di procedura è stato di 115 min (range 100-140 min), il volume medio di contrasto utilizzato è stato 121 mL. In un solo caso si è resa necessaria conversione ad intervento di sostituzione valvolare in sternotomia e CEC, con esito successivo favorevole. Gli altri 28 impianti si sono svolti con successo, con posizionamento e funzionamento protesico adeguati (gradiente medio 9.3 mmHg; rigurgito paraprotesico presente in 19 pazienti, sempre emodinamicamente non significativo). La mortalità ospedaliera è risultata del 3.8% (1 caso). Incidenza di complicanze: insufficienza renale (AKI >2) 19.2%, ictus senza reliquati 3.4%, necessità impianto PM 0%, revisione per sanguinamento 6.8%, necessità di trasfusioni 37.9%. La durata media della ventilazione meccanica è stata pari a 28.5 ore (mediana 11 ore). Conclusioni. L’impianto di protesi valvolare aortica per via transapicale è una procedura sicura, efficace ed affidabile, che può essere proposta a tutti i pazienti (anche a rischio molto elevato) con indicazione a valvola transcatetere, senza le limitazioni dell’asse arterioso aortico e periferico che ha l’accesso transfemorale. Il breve tragitto dall’apice cardiaco alla valvola aortica rende inoltre più facile il corretto posizionamento della protesi. P204 THE ROLE OF PERCUTANEOUS BALLOON AORTIC VALVULOPLASTY IN PATIENT SELECTION FOR TRANSCATHETER AORTIC VALVE IMPLANTATION Barbara Bordoni, Francesco Saia, Cinzia Marrozzini, Cristina Ciuca, Nevio Taglieri, Carolina Moretti, Gianni Dall’Ara, Laura Alessi, Angelo Branzi, Antonio Marzocchi Istituto di Cardiologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna Background. Several patients with aortic stenosis (AS) who have been declined for surgical aortic valve replacement (AVR) are not immediately eligible for transcatheter aortic valve implantation (TAVI). We sought to assess the role of percutaneous balloon aortic valvuloplasty (BAV) in patient selection for TAVI. Methods. Between July 2007 and December 2009, 210 patients referred to our institution for BAV were screened for TAVI. We identified 3 groups: accepted for TAVI (n=65, 31%), excluded from TAVI (n=67, 32%); BAV as a bridge to TAVI (n=78, 37%). This last group represents the focus of the present study and comprises patients with low left ventricular ejection fraction, frailty or enfeebled status, symptoms of uncertain origin, critical conditions, moderate-to-severe mitral valve regurgitation, need for major non-cardiac surgery. Outpatient clinic visit and echocardiography were performed around one month after BAV in order to choose the final therapeutic strategy (medical treatment, TAVI, AVR). Results. Mean age was 81±8 years and the vast majority of patients had comorbidities and high-risk features. The incidence of periprocedural adverse events was 6.4%: 5.1% death (4 patients: 1 procedural complication, 3 natural disease progression), 1.3% minor stroke. After BAV, 46% of the patients were deemed eligible for TAVI, and 28% for AVR. Patients who underwent TAVI showed similar 1-month survival in comparison to other patients undergoing TAVI in our hospital. Conclusions. BAV is a safe and effective tool for patient selection when indications to TAVI are not obvious. P205 COMPLEMENTARY ROLE OF DIFFERENT DEVICES AND APPROACHES FOR TRANSCATHETER AORTIC VALVE IMPLANTATION Barbara Bordoni1, Francesco Saia1, Cinzia Marrozzini1, Cristina Ciuca1, Nevio Taglieri1, Carolina Moretti1, Gianni Dall’Ara1, Valerio Lanzillotti1, Carlo Savini2, Emanuele Pilato2, Roberto Di Bartolomeo2, Angelo Branzi1, Antonio Marzocchi1 1 Istituto di Cardiologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, 2 U.O. di Cardiochirurgia, Bologna Background. Transcatheter aortic valve implantation (TAVI) is superior to standard therapy in patients with severe aortic stenosis (AS) who were not suitable candidates for surgery. Methods. Between February 2008 and September 2010, 97 high-risk patients aged 84±5 years with symptomatic severe AS (valve area<1 cm²) excluded from cardiac surgery underwent TAVI. The average Society of Thoracic Surgeons (STS) score was 13.2±6.5%, LogEuroSCORE 22.87±12.33%, 10% had porcelain aorta, 19% previous cardiac intervention, 25% severe pulmonary disease. The Medtronic CoreValve (Medtronic, Minneapolis, Mn) was implanted in 64 patients (52 percutaneous transfemoral, TF, and 12 trans-subclavian, TS), the EdwardsSapien (Edwards Lifesciences Inc, Irvine, Ca) in 33 patients (23 transapical, TA, and 10 TF, 2 surgical and 8 percutaneous). Clinical follow-up was performed at 1, 6 and 12 months. Echocardiography was planned at discharge, 3, 12 and 24 months. Results. General anesthesia was performed in 40.2% of patients (TA 95.6%, TF 42.3%, and TS 25%). The procedure was successful in 95.8% of patients; 2 patients received a valve-in-valve prosthesis for severe aortic regurgitation, in other 2 patients post-procedure regurgitation degree was moderate to severe. In-hospital mortality was 3% (1 acute coronary occlusion, 1 major hemorrhage and 1 multiorgan failure). Other inhospital adverse events were new PM implantation (17.5%), cardiac tamponade needing pericardiocentesis (2%), access site complication requiring treatment (2%), acute myocardial infarction (2%), major bleeding (3%). There were no cases of stroke. Mean follow-up was 299 ± 241 days (range 2-929 days). Cumulative survival was 93.4% at 30-day and 85.5% at 1-year. There were no significant differences between the type of prosthesis used or the implantation site (1-year survival: TF 88%, TS 84%, TA 80% p=0.97; CoreValve 86%, Edwards 84% p=0.93). There were no significant changes of echocardiographic parameters between hospital discharge and 2-year follow-up. Conclusion. Tailored TAVI with use of different devices and access sites is associated with excellent clinical results and might increase the number of eligible patients. P206 VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DI VITA A BREVE E MEDIO TERMINE IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A TAVI Francesca Giordana, Stefano Salizzoni, Michele La Torre, Sebastiano Marra, Maurizio D’Amico, Mauro Giorgi, Valeria Frisenda, Mario Lupo, Imad Sheiban, Mara Morello, Fiorenzo Gaita, Mauro Rinaldi “Heart Team”, Ospedale San Giovanni Battista, Torino Background. L’età avanzata e le numerose comorbilità in alcuni pazienti (pz) affetti da stenosi aortica severa sintomatica (SASS) costituiscono una controindicazione alla sostituzione valvolare aortica tradizionale. L’impianto di protesi aortiche per via transcatetere (TAVI) appare oggi come un’emergente alternativa terapeutica a medio/breve termine e viste le caratteristiche di questa popolazione si ritiene fondamentale una valutazione della qualità di vita post-procedurale. Materiali e metodi. Da maggio 2008 a dicembre 2010 presso il nostro centro sono stati trattati con TAVI 77 pz con SASS ad elevato rischio chirurgico. Sono state impiantate 33 protesi CoreValve transfemorali, 44 protesi Edwards di cui 20 transfemorali (14 con catetere 24 F, 6 con catetere 18 F) e 24 transapicali. Di seguito vengono riportati le caratteristiche della popolazione (media±DS): età 82.5±6.7; area funzionale valvola aortica 0.59±0.16 cm2; gradiente transvalvolare medio 52.5±17.7 mmHg; frazione d’eiezione 57.3±13.8%; Logistic EuroSCORE 19.5±11.8%, STS mortality 7.6±5.5%. Il 59.7% (46/77) pz era di sesso femminile; 59 pz (76.6%) erano in classe NYHA ≥3 prima dell’intervento mentre il 23.4% era in classe NYHA 2; 10 pz (13.0%) erano già stati sottoposti ad intervento cardiochirurgico; 12 pz (15.6%) erano affetti da tumore maligno pregresso o in corso di trattamento; 15 pz (19.5%) presentavano BPCO di grado almeno moderato e 3 pz (3.9%) erano in dialisi. Il follow-up (FU) è stato eseguito alla dimissione a 3-6-12 e 24 mesi (FU medio 338 giorni). La qualità di vita è stata valutata applicando prima e dopo l’intervento le seguenti scale: Lee-score; SF-12; EuroQol (EQ-5D); Independence in activities of daily living (ADL, IADL); Nottingham Health Profile (NHP); Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ). Risultati. La mortalità a 30 giorni è stata del 9.1% (7 pz). La sopravvivenza attuariale ad un anno calcolata con le curve di Kaplan-Meier è del 71.3%. Il successo procedurale è stato del 96.1% (in 2 casi è stata necessaria la conversione ad intervento tradizionale ed in un caso è stata eseguita una “valve in valve”); nel post-operatorio si sono verificati 7 accidenti cerebrovascolari (9.1%) di cui 2 sono esitati in danni permanenti; 12 pz (15.6%) hanno necessitato dell’impianto di un pacemaker definitivo dopo l’intervento. L’elaborazione preliminare dei dati sulla qualità di vita ha accertato un netto miglioramento post-procedurale. I pz vivi al FU risultano completamente autonomi o con necessità di minimo aiuto nel 92.4% dei casi. Il 94.3% dei pz sono attualmente in classe NYHA ≤2. Conclusioni. Nei pz affetti da SASS ad alto rischio operatorio, TAVI risulta in un netto miglioramento clinico a breve e medio termine. Data l’età dei pz, le numerose comorbilità e l’elevato impatto economico di tale procedura, riteniamo essere imprescindibile la valutazione della qualità di vita e dell’autonomia funzionale in questa popolazione. P207 OUTCOME CLINICO A TRE ANNI DI IMPIANTO VALVOLARE AORTICO PERCUTANEO: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO Elena Tanghetti, Claudia Fiorina, Giuliano Chizzola, Salvatore Curello, Diego Maffeo, Giuseppe Seresini, Mario Frontini, Aldo Manzato, Giuseppe Coletti, Federica Ettori Laboratorio di Emodinamica, Divisione di Cardiologia, Dipartimento Cardiotoracico, Spedali Civili, Brescia Introduzione. L’impianto valvolare aortico percutaneao (TAVI) rappresenta una potenziale alternativa per i pazienti affetti da stenosi G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 87S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO aortica severa sintomatica con controindicazione chirurgica o ad alto rischio di sostituzione valvolare aortica. Riportiamo l’esperienza a 3 anni di un singolo centro. Materiali e metodi. Da settembre 2007 ad ottobre 2010 c/o la Divisione di Cardiologia degli Spedali Civili di Brescia sono stati valutati 240 pazienti consecutivi affetti da stenosi aortica severa, sintomatica, con controindicazione chirurgica o ad elevato rischio cardiochirurgico. Il 55% presentava criteri clinico-anatomici compatibili per l’impianto di bioprotesi aortica tipo CoreValve (Medtronic, Minneapolis). Abbiamo valutato la mortalità per tutte le cause e cause cardiovascolari, l’outcome clinico (riospedalizzazioni per scompenso cardiaco, classe NYHA) ed ecocardiografico (gradiente trans valvolare, leak paraprotesici, frazione di eiezione). Risultati. 133 pazienti consecutivi sono stati sottoposti a TAVI con CoreValve ReValving System (Medtronic, Minneapolis). Il 59% era di sesso femminile con età media di 83±9 anni, Logistic EuroSCORE di 22±15% con LVEF media 52±12%, affetti da stenosi aortica severa (area valvolare aortica indicizzata 0.3±0.09 cm2/m2) sintomatici (96% in classe NYHA III-IV). La mortalità totale è stata del 22% con una mortalità per cause cardiovascolari del 4.5% Durante il follow-up il 12% ha avuto riospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Dal punto di vista ecocardiografico si è ottenuta un riduzione significativa dei gradienti trans valvolari aortici (ΔP picco preTAVI 84±25 mmHg vs postTAVI 15±7 mmHg; p<0.001) rimasti stabili nel corso del follow-up (a tre anni: ΔP picco 17±6 mmHg); i leak paraprotesici si sono mantenuti di grado lieve-moderato. In soli due casi è stato necessario un posizionamento di seconda valvola (valve in valve technique) per un peggioramento di leak paraprotesici di grado moderato. Miglioramento statisticamente non significativo è stato osservato anche per la LVEF (55±11%, rispetto al basale, p=0.06). Conclusioni. Nella nostra esperienza il trattamento percutaneo con bioprotesi aortica tipo CoreValve in una popolazione ad elevato rischio chirurgico è risultata positiva con buoni risultati a breve e lungo termine. P208 RISULTATI A BREVE-MEDIO TERMINE DELL’IMPIANTO PERCUTANEO DI BIOPROTESI VALVOLARI AORTICHE Tommaso Piva1, Elisa Nicolini2, Gabriele Gabrielli1, Andi Mucaj1, Massimiliano Serenelli1, Giuseppe Rescigno3, Giorgio Breccia Fratadocchi1, Alessandro Capucci2, Lucia Torracca3, Giampiero Perna4, Alberta Pangrazi1 1 SOD Emodinamica, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona, 2Clinica di Cardiologia, Ospedali Riuniti di Ancona, 3SOD Cardiochirurgia, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona, 4SOD Cardiologia, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona Obiettivi. Analisi retrospettiva dei risultati dell’impianto di TAVI presso il Presidio di Alta Specializzazione Cardologica “G.M. Lancisi” degli Ospedali Riuniti di Ancona. Materiali e metodi. Nel periodo dal 13 ottobre 2009 al 30 novembre 2010, 31 pz, donne, uomini, età media EuroSCORE logistico additivo medio con stenosi aortica severa non suscettibili di correzione chirurgica tradizionale sono stati candidati a TAVI. In considerazione dei rischi e dei costi procedurali, in particolare in tempi di limitatezza delle risorse, nel Nostro Centro la selezione è stata effettuata da un’unità di valutazione specifica, composta da un cardiochirurgo, un emodinamista ed un cardiologo clinico. Sono stati valutati i risultati procedurali, intraospedalieri ed al follow-up ad 1, 3, 6 e 12 mesi. Risultati. Il successo tecnico è stato ottenuto in tutte le 31 procedure e sono state impiantate 24 Corevalve 26 mm e 7 CoreValve 29 mm. Le procedure sono state effettuate attraverso accesso percutaneo femorale in 26 casi, con accesso succlavio dx in 1 (3.2%), succlavio sn in 1, con arteriotomia femorale in 2 (6.4%). Si è registrato un gradiente residuo di rilievo nell’unico di valve in valve (25 mmHg), mentre si è osservato un rigurgito residuo di grado minimo in 9 casi (29%) di grado 1 + in 7 casi (22.5%). Le complicazioni intraprocedurali sono state le seguenti: 1 FV, durante valvuloplastica, risolta con DC shock; 3 complicazioni vascolari (9.7%), delle quali 1 ematoma retroperitoneale per fissurazione dell’a. fem comune dx è stato riparata con impianto di stent ricoperto, 1 dissezione estesa a. iliaca est sn è stata trattata con revisione chirurgica e stent ed 1 fallimento del sistema di emostasi Prostar è stato risolto con sutura diretta. Le complicazioni intra-ospedaliere, osservate prevalentemente nei primi 15 casi trattati, sono state: 2 perforazioni da elettrocatetere (>48 h), delle quali una ha avuto una risoluzione spontanea e l’altra ha determinato tamponamento cardiaco ed arresto CC, complicato da ischemia intestinale e decesso; 1 insufficienza respiratoria acuta; 1 CIN transitoria. È stato necessario impiantare un PM in 8 pz (25.8%), per BAV insorti tra la prima e la 5° giornata. Al follow-up (medio 9.4±5.5 mesi), la sopravvivenza è del 93.4%, in quanto un ulteriore decesso si è verificato al 6 mese per scompenso cardiaco, in pz di74 aa affetta da fibrosi polmonare, ipertensione polmonare, rigurgito tricuspidalico severo ed insufficienza mitralica ingravescente. Un leak paravalvolare, inizialmente di lieve entità, è peggiorato al punto da richiedere un’ulteriore dilatazione con pallone a 6 mesi di distanza dall’impianto. La sopravvivenza libera da nuovi ricoveri è 90.3%. Un miglioramento della classe funzionale significativo si è osservato in 21/29 pz (72.4%). Nei restanti 9 soggetti, tutti già in classe NYHA I o II, non si sono avute modificazioni. Conclusioni. La TAVI si conferma una valida opzione terapeutica per pazienti non candidabili alla chirurgia convenzionale, anche se, particolarmente nei pazienti più fragili, essa non è scevra da complicazioni 88S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 intra e periprocedurali, la cui incidenza tende ad essere contenuta dall’esperienza. Il miglioramento funzionale soggettivo dopo il trattamento è sensibile e appare stabile nei primi mesi, ma la mancanza di dati sui risultati a lungo termine e relativi a popolazioni ampie impongono un follow-up clinico-strumentale rigoroso, a tempo indeterminato. P209 EFFICACY OF LEARNING PROGRAM FOR PERCUTANEOUS VALVE IMPLANTATION Tommaso Piva1, Elisa Nicolini2, Gabriele Gabrielli1, Giuseppe Rescigno3, Andi Mucaj1, Massimiliano Serenelli1, Fabrizio Schicchi1, Giorgio Breccia Fratadocchi1, Lucia Torracca3, Alessandro Capucci2, Giampiero Perna4, Alberta Pangrazi1 1 SOD Emodinamica, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, 2Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, 3SOD Cardiochirurgia, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona, 4 SOD Cardiologia, Presidio Cardiologico G.M. Lancisi, Ospedali Riuniti di Ancona, Ancona Aims. Achieving confidence with a new interventional technique is often challenging, not only for the execution of procedures, but also for the management of patients during the hospital stay. The lack of experience is particularly worrying when facing the first cases without assistance of operators with expertise on the specific technique. We sought to analyze the effectiveness of learning program for TAVI on short and mid-term results of percutaneous aortic revalving in our patient series. Methods. We have organized an “aortic team”, composed by interventional, clinical cardiologists and cardiac surgeons for selection of patients, analysis of cases and follow-up. From October 2009 to November 2010 treated 32 patients with percutaneous CoreValve revalving system. Among them, the first 15 (group A) have been implanted with an experienced proctor, and the following17 (group B) without. We compared in-hospitals and follow-up outcomes of two groups, in terms of technical results (success and implantation in the right position), in-hospital complications and death, length of hospital stay. Kaplan Meier estimates of survival, and freedom from recurrent hospitalization have been calculated, and differences regarding NYHA functional class have been evaluated. Results. All patients have been implanted successfully, and the valve has been delivered in a slightly low position in 5/15 cases in group A and in 7/16 in group B (OR 1.5, 95% CI, p=0.55). There were no differences between two groups with regard to need for permanent pacemaker, (33.3% vs 23.1%; OR 0.46, 95% CI, p=0.36), procedural or in-hospital complications (OR 1.5, 95% CI, p=0.68) or death. Length of in-hospital stay was 9.4±3.1 and 8.2±3.5 days (p=0.1), with a trend to shorter stay in the second group. Survival rate (93.1 vs 94.1%, p=0.9, HR 0.87, 95% CI) and freedom from rehospitalisation were similar for both groups (86.7 vs 100%, p=0.2), with 2 patients of group A needing respectively balloon dilatation of the prosthetic valve and treatment for heart failure. Patient of both groups underwent to a stable improvement of NYHA functional class. Conclusions. Our series is small and we are still at the beginning of the learning curve, but our data show that there have been no significantly different results among procedures performed with and without the presence of an experienced proctor. Furthermore our data are similar to those of the current literature, confirming the effectiveness of the learning program for TAVI. Cardiochirurgia P210 PROSTHESIS ENDOCARDITIS SIX MONTHS AFTER TRANSCATHETER AORTIC VALVE IMPLANTATION Giuseppe Santarpino, Steffen Pfeiffer, Theodor Fischlein Klinikum Nürnberg, Klinik für Herzchirurgie, Nuremberg, Germany Endocarditis susceptibility for transcatheter aortic valve implantation (TAVI) is not yet reported. We present the first reported acute aortic prosthetic endocarditis in a patient undergoing transapical TAVI. In November 2009 an 83-year-old woman underwent TAVI (Edwards SAPIEN 23 mm) with a normal postoperative course. After 6 months despite optimal diuretic therapy - the patient was readmitted because of pleural effusion and pulmonary infiltration. She had haemoculture positive for Enterococcus faecalis and we find out an unsubtle endocarditis: fluctuating vegetation with subvalvular abscess. She developed cardiogenic shock, requiring orotracheal intubation. We performed an abscess closure with a pericardial patch and an aortic valve replacement with a biological stented valve (Sorin Mitroflow 23 mm) through a standard operation with cardiopulmonary bypass (CPB). Following intraoperative hemofiltration and inotropic support for weaning from CPB, the patient was extubated on postoperative day 5, and was able to leave the intensive care unit after 18 days. Any surgical procedure entails a risk of infection, especially in patients with significant comorbidities who are candidates for TAVI, and current guidelines for the prevention of infective endocarditis should be followed strictly. Despite the high surgical risk, in our patient the infected valve was replaced successfully, but larger series are warranted to validate this therapeutic option in selected cases. Objectives. Methods. POSTER Results. failure, advanced age, recent myocardial infarction, depressed LVEF, P211 diabetes) were the main predictors (logistic regression). Late mortality was WHICH IS THE PLACE OF HYBRID MYOCARDIAL REVASCULARIZATION IN associated with severely depressed LVEF, diabetes and renal failure (Cox THE MANAGEMENT OF CORONARY ARTERY DISEASE? IMPLICATIONS OF regression). Kaplan-Meier curves for overall survival evidenced that: a) TIME INTERVAL BETWEEN CABG AND PCI both the use of two internal mammary grafts and the total arterial P211 Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, revascularization IN is associated with a late survival Giuseppe Visicchio, Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale WHICH IS Flavio THE PLACE OF HYBRID MYOCARDIAL REVASCULARIZATION THE MANAGEMENT OFadvantage vs. one single mammary graft plus venous grafts (Figure 1A and 1B); b) there is no DivisionCORONARY of Cardiac Surgery, GVMDISEASE? Hospitals ofIMPLICATIONS Care and Research, ARTERY OFBari TIME INTERVAL BETWEEN CABG AND PCIsurvival among patients receiving statistical difference in terms of late Objective. Combined left mammary artery-to-left anterior descending total arterial revascularization or two internal mammary artery grafts artery bypass grafting plus percutaneous coronary intervention for the (Figure 1C). remaining targets (hybrid revascularization) is an emerging option for Conclusions. The data strongly support the practice of using two arterial multivessel coronary disease. We sought to ascertain whether a Conclusions. conduits rather than one even in the current patient population. The differential outcome exists for patients who had a longer (>48 hours, Objective. operative and late results of coronary surgery with arterial conduits are “staged” protocol) vs. shorter (<48 hours, “simultaneous” protocol) time optimal and should serve as a current benchmark for the comparison with interval between CABG and PCI. state-of-the-art percutaneous and hybrid interventions. Methods. We retrospectively analyzed a total of 3761 hybrid revascularization procedures from a multi-Institutional electronic database of prospectively collected data. Following propensity-matching, we compared 708 vs 708 patients who received either a “staged” or a Methods. “simultaneous” protocol during the same hospital stay (Figure 1). Results. Unsuitability for grafting of the non-left anterior descending coronary targets and unclampable ascending aorta were the most common indications to hybrid revascularization. The rate of adverse cardiac events occurring between the two procedures was comparable Results. among the study groups (0.6 vs 0.9%). No statistically significant differences could be evidenced in terms of 30-days mortality and morbidity. At a mean 4.1±2 years of follow-up, the overall survival and the event-free survival were comparable among patients who received the “staged” or the “simultaneous” protocol (Kaplan-Meier survival analysis) (Figure 2). Only patient-related factors (advanced age, compromised systolic function, previous myocardial infarction and diabetes) rather than procedure-related factors were predictors of followup mortality (Cox hazards regression). Conclusion. Hybrid revascularization may develop as a powerful tool to manage patients having increased operative risk and suitable anatomic Conclusion. features. Provided that CABG and PCI are performed during the same hospital stay, the clinician may adjust the time interval between the two procedures depending on the individual patients’ condition and the local settings.. . P213 P212 EARLY AND LONG-TERM RESULTS OF CORONARY ARTERY BYPASS SURGERY: THE IMPACT OF ARTERIAL REVASCULARIZATION IN 13 047 PATIENTS Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, Giuseppe Visicchio, Flavio Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale Division of Cardiac Surgery, GVM Hospitals of Care and Research, Bari Objectives. We aimed to analyse the results of myocardial revascularization with arterial conduits. A debate over alternative therapeutic strategies for multivessel coronary disease is currently ongoing. Methods. We retrospectively reviewed the electronic records of 13 047 patients undergoing isolated coronary bypass surgery within our hospitals group in the 2003-2008 period. Coronary surgery was indicated on the basis of the current guidelines. Operative results and follow-up results (mean: 37.4 months, range: 72 to 3 months) were available. Results. Additive EuroSCORE was 0-5 in the 68.8% of cases, 6-9 in 25.4% and 10-14 in 5.25%. Two mammary artery grafts were employed in the 32.6% of cases, total arterial revascularization was accomplished in 28.2%. Overall operative mortality was 2.8%. Patient-related factors (renal PAZIENTI INSTABILI TRATTATI MEDIANTE ANGIOPLASTICA CAROTIDEA E INTERVENTO CARDIOCHIRURGICO ESEGUITI IN STRETTA SUCCESSIONE. ESPERIENZA CONSOLIDATA IN UN SINGOLO CENTRO Paolo Pantaleo, Roberto Coppola, Alberto Lavorgna, Sandro Mazzantini Dipartimento Cardiologia Medica e Chirurgica, ICLAS-Istituto Clinico Ligure Alta Specialità, Rapallo Il trattamento delle stenosi carotidee significative durante intervento di cardiochirurgia può determinare, oltre al prolungamento del tempo complessivo dell’intervento, eventi ischemici cerebrali o, a seguito di bradicardie ed ipotensioni indotte dalla manipolazione del glomo carotideo, instabilizzazioni emodinamiche o eventi ischemici miocardici. È consuetudine di molti centri, qualora si presenti il caso, sottoporre i pazienti dapprima a trattamento chirurgico o percutaneo della stenosi carotidea e, dopo un mese, procedere all’intervento di cardiochirurgia. Il trattamento differito tuttavia non è applicabile ai casi, non infrequenti, nei quali i pazienti vengono riferiti all’atto chirurgico in condizioni cliniche instabili o comunque indifferibili. Da oltre cinque anni il nostro Centro ha consolidato per questa tipologia di pazienti, un trattamento sequenziale, che prevede, laddove l’anatomia carotidea risulti adeguatamente favorevole, dapprima l’angioplastica carotidea e, subito dopo, trasferimento in sala operatoria per eseguire l’intervento cardiochirurgico. Nessun trattamento antiaggregante è stato somministrato prima della procedura percutanea per scongiurare eccessivi rischi emorragici; dopo il primo carico di eparina non frazionata (70 UI/kg), verificato il tempo di attivazione della coagulazione (ACT), ed eventualmente corretto al fine di raggiungere un valore superiore ai 250 secondi, i pazienti sono stati trattati sempre con protezione cerebrale mediante sistema di clampaggio endovascolare (Mo.Ma. Ultra, proximal cerebral protection device, Medtronic Inc.). G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 89S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Nessun paziente ha lamentato eventi ischemici cerebrali dopo la procedura percutanea in tutta la nostra casistica, né dopo l’atto chirurgico, tranne un solo caso, con deficit di lato non pertinente col vaso trattato ed evidenza eco-doppler di pervietà dello stent. Alla terapia eparinizzante preliminare, veniva fatta seguire eparina a basso peso molecolare al rientro in terapia intensiva, aspirina in vena, 500 mg, dopo 6 ore e clopidogrel (carico 300 mg il primo giorno e 75 mg nei giorni seguenti) dopo la rimozione dei tubi di drenaggio, generalmente entro 48 ore dall’intervento. A tutti i pazienti è stata verificata la corretta espansione degli stent carotidei mediante controllo eco-doppler tra le 24 e le 48 ore dopo l’intervento chirurgico con esito favorevole. Conclusioni. La coesistente presenza di lesioni carotidee in pazienti affetti da gravi quadri coronarici e/o valvolari può esser corretta mediante angioplastica coronarica e sistema di protezione prossimale preliminarmente all’atto chirurgico riducendo tempi operatori e rischi di danno neurologico e cardiologico con efficacia. P214 CONTEMPORARY RESULTS OF CONVENTIONAL AORTIC VALVE REPLACEMENT. INSIGHTS FROM 3178 PATIENTS OF THE RERIC REGISTRY (REGIONE EMILIA ROMAGNA INTERVENTI CARDIOCHIRURGIA) Marco Di Eusanio1, Fortuna Daniela2, Rossana De Palma2, Mauro Lamarra3, Donald Cristell4, Claudio Zussa4, Giovanni Contini5, Tiziano Gherli5, Florio Pigini6, Peppino Pugliese6, Davide Pacini1, Roberto Di Bartolomeo1 1 Dipartimento Cardiochirurgia, Ospedale S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi, Bologna, 2Agenzia Sanitaria e Sociale della Regione Emilia Romagna, Bologna, 3Dipartimento Cardiochirurgia, Ospedale Villa Maria Cecilia, Cotignola, 4Dipartimento Cardiochirurgia, Ospedale Salus, Reggio Emilia, 5Dipartimento Cardiochirurgia, Università degli Studi, Parma, 6Dipartimento di Cardiochirurgia, Ospedale Villa Torri, Bologna Objective. To evaluate outcome and to identify predictors of hospital and mid-term mortality after primary isolated aortic valve replacement. To compare early and mid-term survival of patients older and younger than 80 years, and to assess mortality and morbidity of octogenarians with Logistic EuroSCORE >15%. Methods. Data from 3178 patients undergoing primary isolated aortic valve replacement between January 2003 and December 2009 were prospectively collected in a Regional Registry (RERIC) and analysed to estimate hospital and mid-term results. Results. Overall hospital mortality was 2.5%. Age >80 years, NYHA III-IV, CCS III-IV, pulmonary artery pressure >60 mmHg, infective endocarditis and severe chronic obstructive pulmonary disease emerged as independent predictors of hospital mortality on multivariate analysis. At 6 years the survival rate was 79.9%. Age >80, NYHA III-IV, pulmonary artery pressure >60 mmHg, EF 30-50%, cerebrovascular disease, creatinine >2 mg/dl and chronic obstructive pulmonary disease emerged as independent risk factors for 6-year mortality. Six-year survival of patients in class I-II was higher than survival of patients operated in NYHA class IIIIV and comparable to expected survival of age- and sex-matched 2006 regional population. As compared to younger patients, octogenarians had higher hospital mortality rate (4.5 vs 2.0%; p=0.0003) and a reduced 6year survival rate (81.7 vs 67.5%; p<0.001). Six-year survival of octogenarians was similar to the expected survival of age- and sexmatched 2006 regional population. The observed mortality rate in octogenarians with logistic EuroSCORE >15% (mean: 23.1%) was 8.2% (p<0.001). Conclusions. This study provides contemporary data on characteristics and outcome of patients undergoing first-time isolated aortic valve replacement. P215 CLINICAL RESULTS OF ELECTIVE THORACIC AORTIC SURGERY IN THE ELDERLY Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, Giuseppe Visicchio, Flavio Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale Division of Cardiac Surgery, GVM Hospitals of Care and Research, Bari Objectives. Increasing age is a feature of the patients population currently subjected to cardiac surgery. It has been previously suggested that routine cardiac operations can be performed in the elderly and in the very elderly, provided that accurate selection and multifactorial risk evaluation are performed. Nonetheless, there are very scarce data available to validate this concept in thoracic aortic surgery, which usually represents a category of more complex operations than conventional isolated coronary or valvular surgery. Herein we analyse our experience with elective thoracic surgery in the elderly. Methods. We queried our electronic database in order to identify all patients who received surgery on the thoracic aorta (with or without surgery of the aortic valve) in the 1992-2008 period, and aged at least 79 years. Data were prospectively included in the database by eight cardiac surgery divisions. We excluded patients undergoing nonelective surgery. Selection for operation was based on a multimodality evaluation protocol and on the DASI score. Results. A total of 343 patients underwent thoracic aortic surgery; of these, 161 received nonelective operation. Thus, the final study population was composed by 182 individuals. Mean age was 82.9±6.1 years. In 158 90S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 cases, the operation was limited to ascending aortic or root replacement (with or without aortic valve plasty/replacement). In the remaining 24 cases, replacement of the proximal arch or of the entire arch was accomplished by means of hypothermic arrest and retrograde or antegrade cerebral perfusion. Overall operative mortality was 5.6% (12.5% among patients receiving hypothermic arrest). The rate of minor postoperative complications was 11.9% among patients who received surgery involving the arch and 8.6% among patients whose operation was limited to the proximal aorta (p=0.03). Mortality and major morbidity were comparable among these subgroups. At an average 5.9-year followup, overall survival was 89.5% in the global population. Survival free from adverse aortic events (reoperation, acute aortic events, metachronous aneurysm) was 87.6%. Patients who received moderate hypothermia (2425°C degrees rectal temperature) showed a significantly lower rate of postoperative complications compared with those who had deeper hypothermia for completion of aortic surgery (21-22°C rectal temperature). Conclusions. Thoracic aortic surgery in the elderly patients is feasible in selected patients, provided that a multimodality protocol is employed for both preoperative evaluation and integrated postoperative management. Maintenance of moderate hypothermia with concomitant use of antegrade selective cerebral perfusion is preferable to deeper hypothermia plus retrograde cerebral perfusion for neurological protection, in order to minimize the morbidity related to hypothermia. P216 PERCEVAL SUTURELESS AORTIC VALVE PROSTHESES: EASY, FAST AND SAFE Giuseppe Santarpino, Steffen Pfeiffer, Theodor Fischlein Klinikum Nürnberg, Klinik für Herzchirurgie, Nuremberg, Germany Objective. There is an increase of elderly patients who need aortic valve surgery. Especially in this age group a lot of new less invasive strategies are proposed (e.g. TAVI). We show our first experience with a new sutureless aortic valve. Methods. The Sorin Perceval Aortic Valve is a biological pericardial valve, assembled in a metal stent (Nitinol) and implanted intraannularly without the need of suturing. As part of pre-marketing multicenter study (Cavalier Study), 34 patients were screened for a Perceval implantation. All patients underwent cardiopulmonary bypass (CPB) and mini-invasive approach (partial upper sternotomy). Results. 14 patients were excluded due to standardized criteria (bicuspid valve or aortic annulus >25 mm). 20 patients received a 21 mm valve (2 patients) or 23 mm valve (6 patients) or 25 mm (12 patients), respectively. X-clamp time was 20.6±7.6 min, implantation time was 8.6±3.1 min. Intraand postoperative echocardiography showed no paravalvular leakage, low gradients (max 9.4±3.1 mmHg, mean 3.4±2.7 mmHg) and 2 patient with an intra-prosthesis reflux (1 patient with 1/4+, 1 patient with 2/4+). All patients were discharged without intra-hospital complications (ICU stay 1.4±0.5 days, hospital stay 7±0.7 days). Conclusions. The sutureless Perceval aortic valve is hemodynamically excellent and - in selected patients - a safe prosthesis. Due to a simple and fast implantation technique, this valve could guarantee a shorter operation time in combination with a mini-invasive approach. P217 IMPIANTO VALVOLARE AORTICO TRANS-APICALE (TAAVI) Giampaolo Luzi, Federico Ranocchi, Brenno Fiorani, Vincenzo Polizzi, Rosario Fiorilli, Roberto Violini, Francesco Musumeci Division of Cardiac Surgery, San Camillo-Forlanini Hospital, Roma Introduzione. Il trattamento chirurgico della stenosi valvolare aortica nel paziente anziano ad alto rischio è l’opzione terapeutica di scelta, ma gravata da alta mortalità. La TAAVI può essere una opzione terapeutica meno invasiva rispetto l’intervento convenzionale in questa categoria di pazienti. Materiali e metodi. Dal giugno 2009 al gennaio 2011, 49 pazienti sono stati sottoposti a TAAVI nella nostra U.O. In tutti i casi è stata impiantata valvola Edwards Sapien (19 n° 23, 30 n° 26). Età media 82.1 anni (30-92) ds 4.4. 20 maschi e 29 femmine. 47 pazienti erano in classe NYHA III, 2 pazienti in classe IV. EuroSCORE medio logistico 32% (14-46). FE media 43% (35-60). Comorbilità: BPCO 21 pazienti, insufficienza renale cronica 22, diabete 27, vasculopatia periferica 24, ipertensione polmonare 11 cardiopatia ischemica 7, obesità 14, osteoporosi con crollo vertebrale 4 (1 morbo di Paget). 4 reinterventi 2 urgenza. Tutte le procedure sono state eseguite nella SO cardiochirurgica ibrida con collaborazione tra cardiochirurghi ed emodinamisti, sotto controllo agiografico e ecocardiogramma TEE. L’impianto della valvola è stato in minitoracotomia sinistra attraverso l’apice del ventricolo sinistro, senza utilizzare la circolazione extracorporea (CEC). Risultati. Non si sono verificati decessi intraoperatori, né conversioni ad intervento per via sternotomica. 4 decessi ospedalieri. 1 impianto di PMK definitivo, 2 pazienti sottoposti a CVVH post operatoria con successivo ripristino della funzione renale. 5 pazienti sono stati operati da svegli per grave BPCO. 32 pazienti sono stati estubati in sala operatoria. AVA preoperatoria 0.5 cm2, AVA postoperatoria 1.7 cm2. FE post operatoria 48%. Tempo di degenza media in terapia intensiva 36 h. Tempo di degenza medio in reparto di degenza 6.5 giorni. Al follow-up ad un anno 2 pazienti sono deceduti. 1 per insufficienza respiratoria dopo sei mesi, e il secondo dopo un anno per polmonite. Conclusions. POSTER Conclusioni. La TAAVI risulta una valida opzione terapeutica in pazienti anziani e ad alto rischio chirurgico. La mortalità osservata di 4/49 pazienti (8.1%) è ben inferiore a quella attesa secondo l’EuroSCORE logistico (32%). La procedura è stata ben tollerata in tutti i pazienti. La valvola impiantata è risultata ben funzionante garantendo una AVA soddisfacente (1.7 cm2). Il follow-up ad un anno evidenzia dei risultati incoraggianti. Ulteriori esperienze ed un follow-up più lungo sono necessari per confermare l’efficacia della procedura, e per considerarla una opzione alla chirurgia convenzionale. P218 COMBINED HEART AND KIDNEY TRANSPLANTATION: REPORT ON TEN CASES Giuseppe Bruschi1, Tiziano Colombo1, Luca Botta1, Ghil Busnach2, Giovanna Pedrazzini1, Aldo Cannata1, Francesca Macera1, Cosimo Sansalone3, Roberto Paino1, Maria Frigerio1, Luigi Martinelli1 1 Cardiology and Cardiac Surgery Department, 2Nephrology Unit, 3 Kidney-Pancreas Transplantation Unit, Niguarda Ca’ Granda Hospital, Milan Objective. Combined heart-kidney transplantation (HKTx) is an accepted therapeutic option for patients with end-stage heart disease associated with severely impaired renal function. Methods. Since April 1989 ten of the 850 heart transplanted patients underwent combined simultaneous HKTx at our Center, with allografts harvested from the same donor. Eight patients were males (mean age 44.2±10.12 years); eight patients were on dialysis at the time of transplantation. Cause of heart failure was ischemic in six patients; renal failure was secondary to interstitial nephritis in 3 patients. Results. Eight donors were male, mean age 31.3±16.2 years (range 18 to 69 years). Surgical procedures were uneventful in all patients. One patient died in the intensive care unit 41 days after transplantation. During longterm follow-up, three patients died: one due to infection and multiorgan failure 148 months after HKTx, one due to a lung neoplasm after 6 years, and one, a cerebral stroke at 34 months after transplantation. Only one patient experienced renal allograft failure secondary to hypertension and cyclosporine nephrotoxicity at 10 years after HKTx with the need for renal replacement therapy. Last estimated glomerular filtration rate of all other patients was 59.3±17.4 ml/min. There have been a total of 4 rejection episodes in a total cumulative follow-up period of 1159 graft-months patients. Conclusions. In selected patients, with coexisting end-stage cardiac and renal failure, combined HKTx with an allograft from the same donor proved to give satisfactory short- and long-term results, with a low incidence of both cardiac and renal allograft complications. P219 SINGLE CENTRE 25 YEARS HEART TRANSPLANTATION CLINICAL EXPERIENCE Giuseppe Bruschi, Tiziano Colombo, Luca Botta, Aldo Cannata, Francesca Macera, Giovanna Pedrazzini, Fabio Turazza, Fabrizio Oliva, Roberto Paino, Maria Frigerio, Luigi Martinelli Cardiology and Cardiac Surgery Department, Niguarda Ca’ Granda Hospital, Milan Background. Heart transplantation still is the gold-standard therapy for patients affected by end-stage cardiomyopathy. We report our single center 25 years clinical experience. Patients and method. By November 1985 in our Department 890 heart transplants have been done, we exclude from the present analysis 13 retransplant patients and 14 pediatric cases. Patients’ characteristics are reported in Table I. Mean age at heart transplantation (HTx) was 49.7±11.5 years (range 15-69 years). Mean donor age was 36.6±14.7 years (range 1069 years). 76 (8.8%) patients were bridged to HTx by ventricular assist device support. Ten patients underwent combined heart and kidney transplantation. Results. Hospital mortality was 10.8%, main cause of death was primary graft failure. 768 have been discharged after successful HTx, mean followup time was 6679 patient-year. During follow-up 256 (33.3%) patients died, main causes of death were neoplasm in 82 patients (32%) and graft failure in 78 patients (30%). 110 patients (13.8%) experienced severe renal failure; 480 (62.5%) patients were treated for at least one episode of acute rejection; 71 (9.2%) patients underwent a percutaneous coronary intervention procedure for coronary allograft vasculopathy; in 130 patients (16.9%) a solid neoplasm was diagnosed, 44 patients experienced a PTLD. 310 patients have had a survival over 10 years and 25 patients over 20 years. Overall actuarial survival was 77.6±2.2% and 63.3±2.9% at 5 e 10 years, respectively. Conclusions. Heart transplantation remains an effective treatment for end-stage heart failure patients. The results achieved at our institution reflect the current state of HTx performed worldwide with acceptable hospital mortality and excellent long-term results. Table I. Table I. Patients’ characteristics. Male Dilated cardiomyopathy Ischemic cardiomyopathy Cardiac index (l/min/m2) Redo patient at HTx VAD bridge to HTx In-hospital mortality Mortality at follow-up Chronic hemodialysis pts Pts >2 rejections treated Coronary allograft vasculopathy Pacemaker implant Solid neoplasm Follow-up >15 years Patients % or SD 703 81.6 366 42.5 348 40.4 2.0±0.6 (range 0.6-4.1) 339 39.3 52 6 93 10.8 256 33.3 58 22.6 159 20.7 245 31.9 72 9.3 86 11.2 130 16.9 P220 L’ECMO NEL TRATTAMENTO DELL’ARRESTO CARDIACO E DELLO SHOCK CARDIOGENO REFRATTARI Andrea Sori, Chiara Lazzeri, Pasquale Bernardo, Marco Chiostri, Cristina Giglioli, Gian Franco Gensini, Serafina Valente Dipartimento Cuore e Vasi, Careggi, Firenze Introduzione. I pazienti con shock cardiogeno o arresto cardiaco sottoposti ad assistenza cardio-circolatoria con extracorporeal membrane oxygenation (ECMO) hanno una sopravvivenza media del 25% con ampie variazioni (dal 4 al 64%) nelle casistiche pubblicate. Obiettivo del nostro studio è quello di valutare l’efficacia dell’ECMO come supporto circolatorio in questi pazienti. Materiali e metodi. Da ottobre 2007 a dicembre 2010, 11 pazienti con shock cardiogeno o arresto cardiaco refrattari ai trattamenti standard sono stati sottoposti ad assistenza circolatoria mediante ECMO e ricoverati nella nostra Unità di Terapia Intensiva Cardiologica. I dati clinici, bioumorali e strumentali sono stati prospetticamente raccolti ed elaborati in un data base dedicato. Risultati. I pazienti avevano un’età media di 54 anni con un rapporto maschi/femmine di 8/3. Il motivo dell’impianto dell’ECMO è stato lo shock cardiogeno in due pazienti e l’arresto cardiaco nei restanti 9. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a ventilazione meccanica, contropulsazione intra-aortica e terapia sostitutiva renale continua. Nei pazienti in arresto cardiaco la latenza media tra inizio delle manovre rianimatorie e impianto dell’ECMO è stata di 57 minuti (range 22-110). La durata media dell’assistenza con ECMO è stata di 198 ore (range 24-504). Durante il supporto con ECMO un paziente è stato sottoposto ad intervento cardiochirurgico per rottura della parete libera del ventricolo sinistro, uno a bypass aorto-coronarico a cuore battente e due pazienti sono stati trattati con angioplastica coronarica. Le complicanze ECMO-correlate sono state: sanguinamento massivo (7 pazienti), unloading del ventricolo sinistro (1 paziente) dissezione arteria iliaca (1 paziente). Sei pazienti sono deceduti durante l’assistenza: 2 per morte cerebrale, 1 per emorragia polmonare massiva, 1 per ischemia intestinale, 1 per recidiva di rottura di cuore ed 1 per shock emorragico. Cinque pazienti su 11 sono stati svezzati dall’ECMO: Due pazienti sono stati dimessi. Tre pazienti, invece, sono deceduti dopo lo svezzamento dall’ECMO (1 per FV refrattaria, 1 per emorragia cerebrale e il terzo per shock settico). Conclusioni. Dalla nostra esperienza, per quanto limitata ed eterogenea, emerge che il trattamento con ECMO nell’arresto cardiaco e shock cardiogeno refrattari è fattibile ed efficace ma necessita di un team “dedicato e motivato” e di un’organizzazione ben strutturata per garantire il proseguimento adeguato delle cure nei pazienti che sopravvivono. P221 VARIABILI DEMOGRAFICHE E CLINICHE ASSOCIATE A MORTALITÀ PRECOCE A 30 GIORNI IN PAZIENTI CON SINDROMI ACUTE DELL’AORTA DI TIPO A: L’ESPERIENZA DI 17 ANNI A SALERNO Antonello Panza, Rodolfo Citro, Lucia Tedesco, Antonio Longobardi, Paolo Masiello, Rocco Leone, Marco Mirra, Anna Battimelli, Severino Iesu, Eduardo Bossone, Giuseppe Di Benedetto Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia. A.O.U. “Scuola Medica Salernitana”, Salerno Introduzione. Le sindromi acute dell’aorta (SAA) specie di tipo A sono un’emergenza gravata da un’elevata morbilità e mortalità che richiedono una diagnosi rapida e un trattamento tempestivo. Non vi sono dati definitivi in letteratura sull’incidenza degli eventi avversi, inclusa la mortalità intra-ospedaliera (variabile dal 7 al 30%), né sui fattori predittivi ad essi associati. Obiettivi. Valutare l’impatto prognostico delle variabili cliniche e demografiche sulla mortalità a breve termine nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico urgente per SAA di tipo A presso la cardiochirurgia di Salerno. Metodi. Sono state archiviate numerose variabili inerenti le caratteristiche demografiche, cliniche, anamnestiche, sintomi alla presentazione, esame obiettivo, risultati di test di “imaging”, procedure mediche e/o chirurgiche. Sono stati valutati gli eventi avversi e la mortalità, durante la G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 91S P221 VARIABILI DEMOGRAFICHE E CLINICHE ASSOCIATE A MORTALITÀ PRECOCE A 30 GIORNI IN PAZIENTI CON SINDROMI ACUTE DELL’AORTA DI TIPO A: L’ESPERIENZA DI 17 ANNI A SALERNO 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Introduzione. degenza ospedaliera e ad un follow-up a 30 giorni ed è stata eseguita una correlazione con gli eventi al follow-up. Le variabili che ad una preventiva analisi univariata differivano (p<0.05) tra il sottogruppo con eventi e Obiettivi. quello senza eventi, sono state inserite come covariate in un modello di regressione di Cox. Risultati. Da marzo 1993 a dicembre 2010 sono stati sottoposti ad Metodi. intervento chirurgico per SAA di tipo A 200 pazienti (dissezione aortica acuta 182, ematoma intramurale 14, ulcera penetrante dell’aorta 4, maschi 156; età 61±12 anni). La mortalità a 30 giorni è stata del 28% (57 pz). Le principali variabili associate a mortalità nella popolazione totale, Risultati. nei pazienti sopravvissuti ed in quelli deceduti sono elencate in tabella. All’analisi multivariata sono risultati come predittori indipendenti di mortalità: 1) l’esordio della sintomatologia con shock o tamponamento [HR= 0.42; IC 0.189-0.949; p=0.03]; 2) il tamponamento cardiaco preoperatorio [HR=0.453; IC 0.204-1.008; p=0.05] e 3) la presenza di uno o più deficit di polso alla presentazione [HR=0.504; IC 0.254-1.000; p=0.05]. Variabile Età media, aa SD Età ≥70 aa Età ≥75 aa Pregressa chirurgia cardiaca Dolore toracico migrante Deficit di almeno un polso Scompenso cardiaco Nuovo deficit neurologico Tamponamento cardiaco Shock o tamponamento esordio Disfunzione ventricolare sn in sala operatoria Intervallo sintomi-chirurgia ore (h) Intervallo <12h Intervallo >12<24 h Intervallo >36 h Tempo perfusione cerebrale min (media±SD) Rivascolarizzazione miocardica associata Degenza gg Totale (n=200) Sopravvissuti (n=143) Decessi (n=57) p 46 (23%) 30 (15%) 16 (8%) 83 (41%) 49 (24%) 21 (10%) 36 (18%) 29 (14%) 34 (17%) 19 (9%) 24±34 121 (60%) 31 (15%) 41 (20%) 75 (37%) 27 (13%) 15±19 60±12 28 (20%) 20 (10%) 7 (5%) 53 (37%) 29 (20%) 10 (7%) 17 (12%) 16 (16%) 18 (13%) 5 (4%) 21±33 81 (56%) 22 (15%) 24 (17%) 32±26 15 (10%) 17±19 64±11 18 (31%) 10 (7%) 9 (16%) 30 (52%) 20 (35%) 11 (19%) 19 (33%) 13 (23%) 16 (28%) 14 (24%) 32±38 30 (52%) 9 (16%) 17 (30%) 43±29 12 (21%) 8±16 0.,03 0.05 0.02 0.01 0.04 0.02 0.01 0.00 0.03 0.01 0.00 0.04 0.6 0.8 0.03 0.01 0.04 0.001 Conclusioni. Conclusioni. La revisione della nostra esperienza ha evidenziato che i parametri clinici espressione della severità del quadro clinico (shock o tamponamento) e dell’estensione della lesione a carico dell’albero vascolare (deficit multipli dei polsi) sono predittori indipendenti di mortalità operatoria, piuttosto che la scelta della strategia chirurgia adottata. Casi clinici 1 P222 SINDROME DI SAPHO E MALATTIA CORONARICA ACUTA: NUOVA ASSOCIAZIONE O SEMPLICE COINCIDENZA? Stefano Bardari, Alberto Pivetta, Ilaria Puggia, Silvia Magnani, Rita Salamè, Eda Zakja, Gianfranco Sinagra Dipartimento di Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti”, Trieste Un uomo di 46 anni, con un solo fattore di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa), presenta storia di immunodeficienza comune variabile in terapia cronica con immunoglobuline e.v., colite ulcerosa in fase quiescente, pregressa timectomia con pleuropericardite postintervento e pregresso linfoma polmonare tipo MALT chemiotrattato. Da diversi anni il paziente lamenta un’importante limitazione funzionale per artrite polidistrettuale per la quale è in trattamento discontinuo con corticosteroidi e methotrexate. Nel 2001, in seguito all’esame clinico, alle radiografie e alla scintigrafia ossea, viene diagnosticata la sindrome di SAPHO (Synovitis, Acne, Pustulosis, Hyperostosis, Osteitis). Il paziente, infatti, presenta chiari segni di infiammazione articolare, sacroileite e dolori muscoloscheletrici diffusi. Sulla cute si evidenziano chiazze psoriasiche pustolose e la scintigrafia con tecnezio 99m mostra aree di heavy uptake a livello dello sterno, della clavicola e di altre porzioni scheletriche. L’uomo giunge presso la nostra Struttura per infarto miocardico acuto antero-laterale, trattato con stenting diretto della coronaria interventricolare anteriore prossimale e PTCA del primo ramo diagonale. All’ecocardiogramma si ipo-acinesia del setto anteriore, con frazione di eiezione conservata. Il CPK massimo raggiunto è di 615 U/I e la troponina I massima è di 8.71 microg/l. Il paziente viene dimesso dopo cinque giorni, in buon compenso emodinamico e con l’indicazione a sottoporsi a periodici controlli cardiologici, ad evitare, per quanto possibile, l’assunzione di corticosteroidi, antiinfiammatori non steroidei e terapia immunosoppressiva. In letteratura vi sono molti casi di associazione di Sindrome di SAPHO con le Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), con la malattia di Behcet e un recente caso di associazione con amiloidosi renale e versamento pleurico. Nessun caso è stato mai descritto di associazione tra questa Sindrome e Infarto miocardico acuto. È questa una semplice coincidenza o una vera nuova associazione? Questo case report è la prima descrizione di una Sindrome coronarica acuta in associazione con la Sindrome di SAPHO, entrambe con tutti i criteri diagnostici soddisfatti. Per quanto possa essere una coincidenza, il nostro obiettivo è quello di è sensibilizzare l’attenzione dei clinici su una sindrome recentemente descritta e non ancora del tutto conosciuta ed una sua possibile associazione con la malattia coronarica acuta. 92S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P223 ST-ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION IN A SEVERELY ANEMIC PATIENT: A CLINICAL CHALLENGE Mario Fanelli1, Nicola Marchese2, Carlo Vigna2, Raffaele Fanelli2 1 Department of Cardiology, University of Foggia, Foggia, 2 Department of Cardiology, Casa Sollievo della Sofferenza Hospital IRCCS, San Giovanni Rotondo A male patient, 69 years old, with hypertension and dyslipidemia, but without history of coronary disease, complained of typical and prolonged chest pain. At emergency room of our hospital, he presented with tachycardia (110 bpm) and hypotension (80/60 mmHg). Urgent routine laboratory tests were rapidly obtained and a 12-lead ECG (fig. 1) showed signs of inferior ST-elevation myocardial infarction. The patient was promptly referred to the coronary care unit and, subsequently, to the catheterization laboratory. Before coronary angiography, the results of laboratory tests showed a severe anemia (haemoglobin at 3.5 g/dl). After accurate anamnesis, the patient reported a prior gastric ulcer (10 years before) and black stool since 5 days. What to do? First, to start coronary angiography or to wait for blood transfusion in the hypothesis that anemia represented the main cause of myocardial ischemia? Second, if coronary angiography was performed, in the case of coronary occlusion, to plan stent deployment or not? More, which antiplatelet and antithrombotic regimen was preferable? We decided to start coronary angiography. Left anterior descending coronary presented a non critical stenosis. The right coronary was occluded in the mid portion (fig. 2). The guide wire was introduced and, considering the great thrombotic burden. Diver catheter was used, with good result in terms of thrombosis reduction. In the cath lab activated clotting time-guided (targeted to the lower acceptable level) dose of sodium heparin was administered. After, balloon angioplasty, with increasingly greater balloon size (until 3.0 mm inflated for 2 minutes at 8 atm), was performed to achieve the RCA patency (fig. 3). Chest pain disappeared and ST-elevation resolution was obtained, with persistence of widespread ST-depression (fig. 4) that persisted until good haemoglobin levels were reached (fig. 5). After, only clopidogrel was administered, and gastric bleeding was confirmed by endoscopic diagnosis of active ulcer. At 6-month follow-up, the patient was asymptomatic and transthoracic echocardiography demonstrated normal global and regional left ventricle contractility. The clinical case is very interesting since several problems needed to be faced like: 1) the choice of initial strategy (invasive vs more conservative); 2) the use of coronary stenting or not; 3) the anticoagulant/antiplatelet therapy to balance risks and benefits; 4) the sub-acute clinical management. POSTER P224 AN UNUSUAL MYOCARDIAL INFARCTION Sara Di Michele1, Mario Mallardo2, Sabino Carbotta3, Diana Lama4, Conclusioni. Cristina Capogrosso5, Carlo Gaudio1, Domenico Galzerano2 1 Dipartimento Cuore e Grossi Vasi “A. Reale”, Università “La Sapienza”, Roma, 2Divisione di Cardiologia, Ospedale San Gennaro, Napoli, 3 Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università “La Sapienza”, Roma, 4 Dipartimento di Geriatria, Seconda Università, Napoli, 5Divisione di Cardiologia, Ospedale San Gennaro, Napoli A 74-year-old male was admitted to emergency for chest and epigastric pain radiated to the left arm developed 3 hours before; he was affected by a chondrosarcoma (CHS) of right arm with amputation of the right arm with metastasis to lungs treated by chemotherapy, laryngectomy, chronic obstructive pulmonary disease. ECG showed (fig. 1) ST elevation in precordial leads from V1 to V5 and right bundle block; cardiac enzymes were abnormal. An STEMI was diagnosed; therefore the pt was sent to another hospital for a primary angioplasty. Angiography showed a not significant stenosis of LAD (50%); the right and circumflex artery showed only mild atherosclerosis. The pt was discharged the day after with suggestion of performing an echocardiogram. He underwent echocardiography in an outpatient lab showing normal LV size and function with impairment of diastolic function; mild sclerosis of aortic and mitral valve leaflets; mild dilation of left atrium; normal right ventricle. ECG showed increase in elevation of precordial leads (fig. 2). A Chest CT scan with contrast medium for assessing lung metastasis was performed. It showed multiple metastases of the lung. No description of the heart was reported; one month after, during a scheduled routinary oncologic checkup, an ECG was required. It showed increase in further ST elevation in precordial leads. Therefore the patient was referred for a transthoracic echocardiogram. It revealed (fig. 3): presence in apical 4-chamber view, of a large, heterogeneous, echo-dense mass that occupies the entire right ventricular cavity. The mass extends to the right ventricular apex. The structure measured approximately 5x3 cm and was occupying the apical half of the right ventricular cavity. The contraction of the interventricular septum was significantly reduced presumably due to tumor growth into it. The entire whole myocardial apex showed increase in echogenicity. A revision of the chest CT scan was done and it showed the rather large tumor located in the right ventricle and appears to engage both the wall of the right ventricle and the apex and the interventricular septum. Cardiac tumors may present ECG changes mimicking myocardial infarction; chondrosarcoma is a rare oncologic rare tumor most commonly found in the lower extremities, limb girdles, distal extremities, and trunk; just a single case of CHS metastatic to the heart has been reported. According to clinical pattern, a STEMI was suspected and the patient was referred for angiography. Further echocardiography was not performed during the admission and probably not well interpreted in the outpatient clinic; the heart examination in CT scan performed for oncologic purpose was ignored. Finally for a new checkup, an echocardiogram was performed and we got diagnosis. We underline the importance to perform echocardiography and to think about cardiac tumors in the clinical arena of myocardial infarction management. P225 INFARTO MIOCARDICO ACUTO ANTERIORE ED EMBOLIZZAZIONE DISTALE: IL FRONTE D’ONDA ISCHEMICO ALLA LUCE DELLA RISONANZA MAGNETICA CARDIACA Manuel De Lazzari1, Luisa Cacciavillani1, Massimo Napodano1, Martina Perazzolo Marra1, Giuseppe Tarantini1, Francesco Corbetti2, Sabino Iliceto1 1 Clinica Cardiologica, Dipartimento di Scienze Cardiache, Toraciche e Vascolari, Università degli Studi, Padova, 2Divisione di Radiologia, Azienda Ospedaliera di Padova, Padova Introduzione. La risonanza magnetica cardiaca (RMC) è diventata un potente strumento di indagine di caratterizzazione tissutale, già validato da studi di correlazione anatomo-patologici. La presenza di aree di deposito tardivo di mezzo di contrasto (late enhancement, LE) permette di identificare aree di edema/necrosi e, attraverso la loro localizzazione, di distinguere una etiologia ischemica dalle forme non ischemiche. Caso clinico. Paziente, maschio, di 49 anni, affetto da ipertensione arteriosa, giungeva al pronto soccorso per la comparsa dopo sforzo di lieve intensità di dolore retrosternale, a carattere oppressivo, associato a dispnea, preceduto nei giorni precedenti da episodi di angina preinfartuale. Un elettrocardiogramma (ECG) mostrava sopraslivellamento del tratto ST in sede infero-laterale per cui veniva sottoposto a coronarografia urgente che evidenziava unica placca ulcerata realizzante stenosi critica a carico del ramo discendente anteriore I tratto con evidente embolizzazione distale, trattata con stenting medicato. Il picco di troponina I risultava pari a 25 ug/L in prima giornata, successivamente in costante calo, nella norma dosaggi di VES e la conta leucocitaria e gli altri indici di flogosi. Un ecocardiogramma mostrava ipocinesia inferiore, normale la funzione sistolica complessiva. In quarta giornata eseguiva RMC (fig. 1) che rilevava ipocinesia del segmento medio ed apicale della parete inferiore, nelle sequenze T2-pesate edema a livello dei segmenti apicali in toto, parete anteriore media, parete inferiore media, nelle sequenze tardive dopo contrasto presenza di LE epicardico a livello di parete inferiore e inferolaterale (media e apicale); non vi era evidenza di LE subendocardico. L’ECG alla dimissione mostrava onde Q in sede inferiore. Conclusioni. L’utilità e la validità della RMC nella pratica clinica nel differenziare un dolore di natura ischemica da una miocardite sono ormai consolidate. Tuttavia il confine tra le due entità nosografiche non è sempre ben definito. Come dimostra il caso sopradescritto, la clinica ed i tradizionali strumenti diagnostici, correlati ai dati di caratterizzazione tissutale ottenuti tramite RMC, permettono di avanzare nuove ipotesi. La presenza di una lesione focale, in sede tributaria di una coronaria malata, può far sospettare un’idea nuova definibile come transmuralità inversa. Il fronte d’onda ischemico risparmierebbe in questi casi lo strato endocardico coinvolgendo gli strati intermedi ed epicardici. Non esiste attualmente nulla in letteratura in merito a tale ipotesi ed ulteriori studi sono sicuramente necessari per identificare le ipotesi patogenetiche alla base di questo epifenomeno. P226 A CASE OF INTRACORONARY STENT IMPLANTED IN A PATIENT WITH CIRRHOSIS AND THROMBOCYTOPENIA Claudia Pandolfi, Carla Boschetti, Alberta Cifarelli, Giacomo Di Bona, Roberto Violini U.O. di Cardiologia Interventistica, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma Thrombocytopenia (platelet count <150 000/mm3) is a common complication in patients with chronic liver disease that has been observed in up to 76% of patients. Thrombocytopenia can impact routine care of patients with coronary disease because percutaneous coronary interventions require the prevention of both intracoronary thrombosis with antiplatelet agents and bleeding after the procedure. A 66-year-old man with HCV-related cirrhosis and type II diabetes was admitted for unstable angina. His blood count revealed 24 000 platelets/mm3. Coronary angiography showed obstruction of 90% of proximal left descending coronary artery (LAD). According to the haematologist, 3 days after a daily regimen of clopidogrel 75 mg and six unit of platelet transfusion, in order to increase platelet levels >50 000/mm3, a direct bare metal stent was successfully implanted in the LAD ostium. Aspirin was not administered because dosage of thromboxane A2 demonstrated low level. Clopidogrel was continued for 15 days that is the minimum period reported in the literature, six units of platelet were transfused each day for 3 days. No bleeding was observed after the procedure and platelet count remained stable at 30 000/mm3. After 6 months, no MACE was observed and treadmill testing resulted negative. This case report suggests that coronary bare metal stent implantation in patients with thrombocytopenia is a safe procedure, provided that prophylactic and postoperative platelet transfusions are performed, associated with thromboxane A2 level dosage to decide aspirin administration. P227 ANEURISMI CORONARICI MULTIPLI CON COINVOLGIMENTO DEL TRONCO COMUNE IN SOGGETTO GRANDE ANZIANO AD ELEVATO RISCHIO CARDIOCHIRURGICO. UNA STRATEGIA TERAPEUTICA CONDIVISA Leonardo Di Ascenzo1, Filippo Falco2, Edlira Zakja3, Alessandro Cattelan2, Loredano Milani4, Francesco Di Pede3 1 U.O.C. Cardiologia P.O. San Donà di Piave, ULSS 10, San Donà di Piave (VE), 2U.O.S. Emodinamica, ULSS 10 “Veneto Orientale”, San Donà di Piave (VE), 3U.O.C. di Cardiologia Interventistica, ULSS 10 “Veneto Orientale”, Portogruaro (VE), 4U.O.C. di Cardiologia, P.O. di San Donà di Piave (VE), ULSS 10 “Veneto Orientale”, San Donà di Piave (VE) Introduzione. Gli aneurismi coronarici (ac) sono osservati dallo 0.3 al 4.9% dei pazienti (pz) sottoposti a coronarografia; tra questi quelli coinvolgenti il tronco comune della coronaria sinistra (TC) si riscontrano in solo lo 0.1%. L’eziopatogenesi degli ac comprende la più frequente malattia aterosclerotica, forme infettive, malattie sistemiche di natura immunologica, anormalità congenite e complicanze di procedure interventistiche. Il presente caso ha lo scopo di suggerire un percorso di valutazione e trattamento di un pz con aneurisma del TC. Caso clinico. Un maschio 79enne, con pregresso infarto miocardico decorso asintomatico, iperteso, diabetico, con BPCO ed ipergammaglobulinemia è giunto alla nostra osservazione per un primo evento di scompenso cardiaco acuto secondario a BPCO riacutizzata. Un ecocardiogramma evidenziava un ventricolo sinistro con VTD di 92 ml/m2, FE del 43% per G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 93S GRANDE ANZIANO AD ELEVATO RISCHIO CARDIOCHIRURGICO. UNA STRATEGIA TERAPEUTICA CONDIVISA 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Introduzione. PMK in VVIR a frequenza di 90 b/min. Al controllo dopo un mese ipocinesia diffusa più marcata a livello del setto anteriore in presenza di l’ecocardiogramma mostrava normalizzazione della cinesi segmentaria stenosi valvolare aortica con area di 1.08 cm2, I.M. lieve-moderata e del ventricolo sinistro con FE 60%, all’inibizione del PMK si evidenziava pressioni polmonari di 30-35 mmHg. Il pz riacquistava un discreto ritmo giunzionale sempre a QRS stretto con QTc 440msec, il PMK veniva compenso emodinamico e veniva sottoposto a studio coronarografico, che quindi riprogrammato in VVIR a frequenza di 70b/min. Un allungamento Caso clinico. evidenziava la presenza di una malattia coronarica trivasale con aneurisma dell’intervallo QT nei pazienti con cardiomiopatia takotsubo è ben sacciforme del tronco comune (16x22 mm), stenosi del 90% del II tratto documentato in letteratura ma pochi sono i casi descritti con TdP e si dell’interventricolare anteriore con subocclusione del I ramo diagonale, tratta per lo più di pazienti con sindrome del QT lungo slatentizzata stenosi dell’80% paraostiale dell’arteria circonflessa seguita da dilatazione dalla cardiomiopatia acuta. aneurismatica (fig. 1), ampio aneurisma (20x12 mm) all’ostio della coronaria destra (fig. 3) seguito da occlusione con vaso a valle riabitato da circolo collaterale intercoronarico. Si eseguivano: le prove di funzionalità respiratoria che evidenziavano P229 P229 modesta ostruzione e riduzione della diffusione del CO, un eco color MALFUNZIONAMENTO DELL’ELETTROCATETERE DEL DEFIBRILLATORE MALFUNZIONAMENTO DELL’ELETTROCATETERE DEL DEFIBRILLATORE Doppler dei TSA, che evidenziava una carotidopatia non critica bilaterale BIVENTRICOLARE IN PAZIENTE CON OCCLUSIONE DELLA VENA CAVA BIVENTRIC mentre normale risultava la funzione renale. PAZIENTE CON OCCLUSIONE VENA CAVA SUPERIORE TRATTATO SUPERIOREDELLA TRATTATO CON ANGIOPLASTICA. DESCRIZIONE DI UN CASO CON ANGI Il caso veniva presentato ai colleghi cardiochirurghi i quali, pur Raffaele Luise1, Angelo Vladimir Giordano2, Giovanni De Berardinis1, DESCRIZIONE DI UN CASO esprimendosi sulla possibilità tecnica di intervento di by-pass aortoSabrina Cicogna1 coronarico e di sostituzione valvolare aortica, ne evidenziavano l’elevato 1 U.O. di Cardiologia-UTIC, Ospedale San Salvatore, ASL de L’Aquila, rischio operatorio sia per l’anatomia coronarica sia per le copatologie. L’Aquila, 2Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Università de Si è ritenuto quindi di proporre, in modo informato e condiviso, la L’Aquila, L’Aquila prosecuzione della sola terapia medica che al controllo ambulatoriale a sei L’occlusione della vena cava superiore (SVCO) non neoplastica è di mesi ha trovato un pz in buon compenso emodinamico, asintomatico per frequente osservazione nei pazienti, con sindrome della vena cava angina, sincopi ed episodi di cardiopalmo in classe funzionale stabile superiore, portatori di pacemaker, specialmente dei defibrillatori (ICD) con NYHA II. elettrocateteri con doppia spirale. Conclusioni. Le complicanze più comuni degli ac sono le trombizzazioni Paziente, maschio, di 60 anni, affetto da cardiomiopatia dilatativa con con embolizzazioni coronariche periferiche mentre anedottica è la circolo coronarico indenne, frazione di eiezione 25%, in III classe NYHA e Conclusioni. rottura. Non vi è un’indicazione elettiva al trattamento cardiochirurgico con recente ipertiroidismo, e con pregressi interventi appropriati del nemmeno quando gli aneurismi coinvolgano il TC sebbene siano descritti defibrillatore per tachicardia ventricolare rapida, pervenne alla nostra anche casi di efficace trattamento per via percutanea. A guidare la scelta osservazione per malfunzionamento del catetere dell’ICD dopo una terapeutica dovrà essere la clinica del pz e l’eventuale sintomaticità della recente sostituzione effettuata presso altro centro (impedenze di shock malattia coronarica, che quando silente può è essere trattata con sola >200W e del catetere sinistro unipolare >3000W). Dopo incannulazione terapia medica con antiaggregazione e/o anticoagulazione, soprattutto in selettiva della succlavia sinistra, per posizionamento di un nuovo pz ad elevato rischio cardiochirurgico. elettrocatetere, la SVCO, imprevista, non ha consentito la procedura. In una seconda sessione fu eseguita l’angioplastica (PTA) via vena basilica dal braccio destro, con catetere di diametro di 4 mm e quindi successivamente, dalla vena succlavia sinistra con guida idrofilica ed introduttore lungo peel away 8F, un nuovo elettrocatetere fu impiantato sull’apice del ventricolo destro. Al termine della procedura fu eseguita l’induzione della fibrillazione ventricolare con sensing, detezione e cardioversione a 24 joule ottimali. La SVCO nel nostro paziente non era associata alla sindrome della vena cava ed era una osservazione imprevista. Il circolo collaterale della vena azygos, come maccanismo di compenso, garantiva il drenaggio venoso al cuore destro, ma nel nostro paziente il malfunzionamento del catetere dell’ICD, con precedenti interventi, rendeva indispensabile l’impianto di un nuovo elettrocatetere. L’unica possibilità era la PTA della SVCO e l’impianto di un nuovo elettrocatetere attraverso la vena dilatata. P228 CASO CLINICO DI CARDIOMIOPATIA TAKOTSUBO (TRANSIENT LEFT VENTRICULAR APICAL BALLOONING) ASSOCIATO A QT LUNGO E TORSIONE DI PUNTA Stefania Angela Di Fusco, Nadia Aspromonte, Marco Tubaro, Vincenzo Pasceri, Maurizio Russo, Barbara Magris, Enrica Golia, Furio Colivicchi, Massimo Santini Dipartimento di Cardiologia, Ospedale San Filippo Neri, Roma La cardiomiopatia takotsubo è una condizione clinica caratterizzata da una alterazione transitoria della cinesi segmentaria del ventricolo sinistro spesso innescata da eventi stressanti, in assenza di stenosi o spasmo coronarico dimostrabile ed associata ad anomalie della fase di ripolarizzazione ventricolare all’ECG e/o incremento della troponina. Nella maggior parte dei casi l’esordio clinico è caratterizzato da segni e sintomi che mimano una sindrome coronarica acuta (dolore toracico e/o dispnea e anomalie ECG). Riportiamo un caso atipico con sincope all’esordio in assenza di dolore toracico o dispnea. Una donna di 73 anni con storia di ipertensione e fibrillazione atriale permanente in trattamento anticoagulante, portatrice di PMK bicamerale (programmato in VVIR), è giunta in Pronto Soccorso in seguito ad episodio sincopale senza prodromi, accaduto al termine di una riunione di condominio. All’arrivo in PS la paziente era asintomatica ed in buon compenso emodinamico. L’ECG all’ingresso mostrava fibrillazione atriale con ritmo ventricolare elettrostimolato a frequenza di 70 b/min con QTc 490 msec, numerose extrasistoli ventricolari talora in coppia. All’interrogazione del PMK parametri di sensing e pacing nella norma, impedenze e tensione nei limiti, all’inibizione del PMK evidenza di ritmo giunzionale a QRS stretto a frequenza di 50 b/min con QTc 710 interrotto da episodi di torsione di punta autolimitantisi. Il PMK è stato quindi riprogrammato in VVIR a 90 b/min. Agli esami ematochimici non squilibri elettrolitici, minimo incremento della troponina 0.10 ng/ml e moderato incremento del BNP 515 pg/ml, INR 2.54. Trasferita in UTIC all’ecocardiogramma si evidenziava un ventricolo sinistro lievemente ipertrofico di normali dimensioni cavitarie con acinesia dell’apice in toto ed ipercontrattilità dei segmenti medio-basali, FE 45%. È stata quindi eseguita coronarografia che mostrava coronarie epicardiche angiograficamente indenni ed alla ventricolografia si confermava l’aspetto “ballooning” dell’apice. Nel corso del ricovero in UTIC, confermata la terapia domiciliare con ACE-inibitore associato a Solfato di magnesio ev, non venivano registrate aritmie ventricolari al monitoraggio ECG. Dopo 72 ore dall’ingresso all’inibizione del PMK emergeva un ritmo giunzionale a frequenza di 50 b/min con QRS stretto e QTc 460 msec. Alla dimissione veniva lasciata la programmazione del 94S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P230 ASISTOLIA ASSOCIATA A REAZIONE VASOVAGALE DURANTE PUNTURA VENOSA: RIFLESSIONI SU UN CASO CLINICO Gennaro Ratti, Gregorio Covino, Vincenzo Rizzo, Mario Volpicelli Pietro Belli, Cristina Capogrosso, Mario Iannaccone, Francesco Buono, Paolo Capogrosso UOC di Cardiologia-UTIC, Ospedale S. Giovanni Bosco, Napoli Background. Pazienti spesso riferiscono in occasione della visita cardiologica episodi di precedenti “malori” in relazione ad un evento traumatico, doloroso o alla vista del sangue; questi identificati come risposta vasovagale, sono purtroppo, spesso ignorati o sottovalutati. Tuttavia, sono descritti in letteratura casi di asistolia associati a reazione vaso-vagale durante emoprelievo. Caso clinico. Descriviamo il caso di una donna di 45 anni con familiarità per cardiopatia ischemica e un caso di morte improvvisa come fattori di rischio cardiovascolare che doveva essere sottoposta ad intervento (a basso rischio) di chirurgia non cardiaca. La paziente riferiva alla visita cardiologica episodi di perdita di coscienza anamnestici. Per tali sintomi era stata qualche anno prima, sottoposta a studio elettrofisiologico ed angiografia coronarica risultati negativi. L’elettrocardiogramma (ECG) a riposo presentava un ritmo sinusale e normale conduzione atrioventricolare ed intraventricolare. L’esame ecocardiografico risultava normale, il test ergometrico massimale risultava negativo; è stato eseguito anche un ECG dinamico per 24 ore secondo Holter; durante ound. inico. ione. POSTER tale esame, in concomitanza di un emoprelievo di routine, fu osservato iniziale blocco atrio-ventricolare (BAV) di II grado, successivo BAV di grado avanzato ed asistolia realizzante pausa di circa 29 secondi e ricomparsa di ritmo sinusale spontaneo (Fig. 1). Durante tale episodio la paziente manifestava sincope risoltasi con la posizione di Trendeleburg; l’evento veniva regolarmente descritto dal personale medico sul diario clinico. Discussione. La sincope vaso-vagale è una causa comune di sincope. Il meccanismo vasodepressore è controverso; secondo alcuni Autori potrebbe risiedere in una produzione eccessiva di epinefrina con stimolazione dei barocettori ed intensa risposta vagale, oppure, come teoria alternativa, essere dovuto ad un riflesso di Bezold-Jarish. Qualunque esso sia, un esame clinico di routine può essere insufficiente, anche se spesso è proprio l’anamnesi a guidare alla diagnosi. La prognosi è generalmente benigna, anche se esistono dei casi associati ad asistolia prolungata e ricorrente. Il trattamento per le forme con associata cardioinibizione può essere rappresentato dall’impianto di pacemaker temporaneo durante le procedure a rischio. Nel caso da noi presentato, anche in base alla familiarità per morte improvvisa ed in assenza di malattia aterosclerotica coronarica e di anomalie di origine e decorso delle arterie coronarie la paziente è stata trattata con impianto di pacemaker definitivo. P231 REGRESSIONE DOPO REIDRATAZIONE DI TACHICARDIA PAROSSISTICA SOPRAVENTRICOLARE ADRENERGICA IN GRAVIDA: CASO CLINICO Angela Potenza1, Francesco Massari1, Giovanna Rodio1, Cosimo Cardano1, Nicola Laterza1, Michele Clemente2, Vincenzo Nuzzolese1 1 Cardiologia-UTIC, Altamura (BA), 2Cardiologia-UTIC, Matera La gravidanza può rappresentare una condizione predisponente alla comparsa di tachicardia sopraventricolare con importanti limitazioni nell’uso acuto e/o cronico di farmaci antiaritmici, i quali sono potenzialmente tossici per il feto soprattutto nel primo trimestre di gravidanza. Nel marzo 2009, giungeva alla nostra osservazione una donna di 26 anni alla 13a di gravidanza per comparsa nella settimana precedente di episodi palpitazione associati a lieve lipotimia. La paziente non assumeva farmaci e all’ECG è stata diagnosticata una tachicardia sopraventricolare con frequenza ventricolare di 180/min. L’aritmia presentava un “drive adrenergico”: compariva con l’ortostatismo e scompariva con il clinostatismo. La pressione arteriosa, gli esami di laboratorio, l’ecocardiogramma e le condizioni fetali erano nella norma. L’ECG Dinamico sec. Holter documentava una distribuzione dell’aritmia esclusivamente nelle ore diurne. Il farmaco ottimale in questa condizione poteva essere il betabloccante (profilo di rischio FDA C). Ma, nell’anamnesi emergeva che, nelle settimane precedenti, la paziente aveva ridotto l’introito di liquidi senza alcun motivo. Abbiamo, quindi, valutato lo stato idrico mediante bioimpedenziometria corporea totale (Cardio-EFG, Akern, Firenze) e documentato uno stato di disidratazione sia attraverso un’analisi semiquantitativa (BIAVECTOR: polo superiore del 75° percentile; figura punto 1) che quantitativa (71% di idratazione della massa magra). Pertanto, abbiamo avviato infusione di 500 cc di soluzione fisiologica al 5% di NaCL al dì e invitato la paziente a bere acqua. Progressivamente, lo stato di idratazione si è normalizzato (BIAVECTOR in figura punti 2 e 3, e idratazione al 73%) e l’aritmia è regredita con beneficio clinico. Le variazioni del volume plasmatico ottenute mediante le variazioni dell’emoglobina ed ematocrito (Dill e Costill, J Appl Physiol 1974) documentavano un incremento percentuale del 10 e 38% rispettivamente al terzo e quarto giorno di idratazione. In seguito, la donna ha partorito normalmente senza terapia antiaritmica e senza ricomparsa dei sintomi riferiti in precedenza. In conclusione, questo singolare caso focalizza come le aritmie adrenergiche possano derivare da condizioni di disidratazione (ed ipovolemia) che non possono essere diagnosticate clinicamente se non con l’ausilio di esami strumentali facili, rapidi, sicuri e poco costosi come la bioimpedenziometria corporea. Tali conoscenze e metodiche hanno evitato in questo caso l’utilizzo di farmaci potenzialmente tossici per il feto. P232 LOCALIZZAZIONE DISTALE DELL’ATEROSCLEROSI CORONARICA IN GIOVANE DONNA CON PREGRESSA RADIOTERAPIA PER ADENOCARCINOMA MAMMARIO SINISTRO Dario Formigli1, Vitangelo Franco1, Carmen Moriello2, Stefano Capobianco1, Vincenza Procaccini1, Francesco Moscato1, Saverio Santopietro1, Ettore Maria De Fortuna1, Teresa Pironti2, Marino Scherillo1 1 Dipartimento di Cardioscienze, 2U.O.C. di Radioterapia, A.O. Gaetano Rummo, Benevento Background. L’aumento della sopravvivenza a lungo termine dalla malattia neoplastica ha portato a identificare effetti collaterali cardiaci indotti da radiazioni che possono verificarsi dopo radioterapia di tumori mediastinici, della gabbia toracica o della mammella. L’aterosclerosi accelerata, conseguente ad un danno vascolare con disfunzione endoteliale, è una delle manifestazioni della malattia cardiaca indotta da radiazioni e può essere potenziata dalla cardiotossicità degli agenti chemioterapici usati nel trattamento antitumorale e riconosce come causa principale cambiamenti proinfiammatori microvascolari come evidenziato da studi pre-clinici. Il protocollo di radioterapia conformazionale tridimensionale (3D-CRT) utilizzante campi tangenti contrapposti è quello utilizzato maggiormente nel trattamento dell’adenocarcinoma mammario in fase iniziale e garantisce una irradiazione completa del territorio mammario con minimizzazione della dose ricevuta dagli organi toracici (cuore, polmoni e coronarie). La localizzazione sinistra però, rispetto alla destra, è associata ad un rischio di insorgenza di infarto acuto del miocardio circa 8 volte maggiore negli anni successivi. Anche in donne con storia di patologia cardiaca precedente alla radioterapia, si è osservato come la localizzazione sinistra sia gravata da una maggiore mortalità cardiovascolare, infarto acuto del miocardio, scompenso cardiaco o coronaropatia a distanza. Tale riscontro sembra essere dovuto al fatto che l’irradiazione sinistra comporti una maggior esposizione delle arterie coronarie, descritto in passato soprattutto per la discendente anteriore, ai raggi X. Caso clinico. Riportiamo il caso di una giovane donna di 45 anni senza fattori di rischio cardiovascolare (diabete, ipertensione, dislipidemia, abitudine tabagica o familiarità) giunta al Pronto Soccorso della nostra azienda ospedaliera per dolore antero-toracico prolungato irradiato all’arto superiore sinistro ed in sede infrascapolare. All’anamnesi si segnala circa un anno prima la diagnosi di carcinoma duttale infiltrante del quadrante infero interno della mammella sinistra T1cN1G3, con positività per i recettori estrogeni e progestinici trattato mediante intervento di quadrantectomia infero interna sinistra e svuotamento linfonodale ascellare e tre cicli di chemioterapia adiuvante con 5-fluorouracile, epirubicina e ciclofosfamide. Successivamente la paziente è stata sottoposta a trattamento radioterapico su parenchima mammario residuo. Il treatment planning ha previsto l’utilizzo di due campi contrapposti tangenti alla parete toracica con fotoni da 6 MV prodotti da acceleratore lineare più l’ausilio di due campi, per l’ottimizzazione della distribuzione di dose, con tecnica field in field. La dose totale erogata è stata di 50 Gy sull’intera ghiandola in 25 frazioni di 2 Gy. Come si evince dalle immagini la distribuzione della dose è omogenea e conformata sul target con pieno rispetto delle norme ICRU nei punti di massima e minima dose (95%-107%). La conformazione anatomica della paziente ha consentito una geometria dei fasci radianti tale da ottenere che solo il 3% del volume cardiaco, la porzione più periferica del cuore, rientrasse nell’isodore del 10%, pari a 5 Gy per l’intero trattamento (Figura 1). Al momento del ricovero la paziente era in trattamento farmacologico con enantone e tamoxifene. L’elettrocardiogramma (ECG) all’ingresso in Pronto Soccorso evidenziava un sopraslivellamento del tratto ST in sede inferiore (0,2 mv in D2, D3 ed aVF) con sottoslivellamento reciproco in D1 ed aVL (Figura 2). L’ecocardiogramma (ECO) evidenziava un ventricolo sinistro di normali dimensioni e spessori con ipocinesia dei segmenti postero-laterale ed inferiore medio. All’ingresso in UTIC si registrava un episodio di tachicardia ventricolare regredito con amiodarone. Lo studio coronarografico eseguito in emergenza evidenziava un’ateromasia del tratto distale della Circonflessa, che appariva caratterizzata da una lesione lunga, concentrica inducente stenosi emodinamicamente non significativa (<50%) con diffusa riduzione del blush miocardico (grado 1) perilesionale per rarefazione dei collaterali con occlusione del suo ramo terminale (Figura 3). In considerazione dell’interessamento estremamente distale G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 95S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO onclusioni. non veniva posta indicazione a rivascolarizzazione mediante angioplastica coronarica. Veniva intrapresa terapia con acido acetil-salicilico (ASA), clopidogrel, eparina a basso peso molecolare, statina e beta-bloccante. Veniva raggiunto in prima giornata un picco enzimatico di 933 UI/L di CPK, 100 UI/L di CPK-MB e 14.6 ng/ml di Troponina I. Il decorso clinico è stato regolare ed in quinta giornata la paziente è stata dimessa con terapia farmacologica caratterizzata da ASA, clopidogrel, atorvastatina, acidi grassi polinsaturi omega-3 e congescor. Tre giorni dopo la dimissione la paziente si presenta nuovamente al Pronto Soccorso per analogo episodio di dolore antero-toracico prolungato. L’EGC evidenziava la presenza di onda Q e sopraslivellamento del tratto ST in sede inferiore (0,2 mv in D2, D3 ed aVF) ed in sede laterale (0,1 mV in V5-V6) con sottoslivellamento reciproco in D1 ed aVL. L’ECO evidenziava una progressione dell’estensione dell’ipocinesia all’apice inferiore. Veniva eseguito un nuovo studio coronarografico che confermava la presenza della lesione ateromasica della Circonflessa distale sopra descritta, ricanalizzazione completa del tratto distale precedentemente occluso e sub-occlusione con flusso TIMI 1 di un collaterale di 2° ordine precedentemente pervio (Figura 4). Anche in questo caso veniva posta indicazione a terapia medica. Il picco enzimatico a 24 ore è stato di 412 uI/L di CPK, 50 UI/L di CPK-MB e 10.3 ng/ml di troponina I. Il decorso clinico è risultato regolare e la paziente è stata dimessa in ottava giornata con terapia farmacologica caratterizzata da ASA, prasugrel, rosuvastatina, congescor, isosorbide mononitrato e acidi grassi polinsaturi omega-3. Conclusioni. Il caso clinico presentato mostra a nostro avviso due aspetti di notevole interesse: 1) la localizzazione (solamente al tratto distale del ramo Circonflesso), le caratteristiche dell’ateromasia coronarica (malattia concentrica diffusa con riduzione del blush miocardico perilesionale con tendenza evidente a sviluppare trombosi del microcircolo) e la dinamicità della malattia stessa (occlusione trombotica di piccoli collaterali di 2° ordine afferenti allo stesso tratto di circonflessa distale malato determinanti due episodi di infarto acuto del miocardio a presentazione ST sopraelevato a distanza di 10 giorni l’uno dall’altro), fanno ipotizzare in prima istanza una disfunzione endoteliale coronarica localizzata; 2) la radioterapia conformazionale tridimensionale (due campi tangenti contrapposti secondo tecnica field in field) precedentemente eseguita, che ha portato ad un assorbimento di dose localizzato solamente al pericardio infero-posteriore (dose assorbita stimata pari a 5 Gy dall’analisi dei volumi di trattamento della Tomografia Assiale Computerizzata Figura D), può aver determinato una disfunzione endoteliale coronarica localizzata. La correlazione tra radioterapia per adenocarcinoma mammario sinistro e alterazioni ECGgrafiche silenti o difetti di perfusione miocardica successive al trattamento è stata riportata in letteratura in numerosi casi clinici e studi retrospettivi e prospettici. Spesso tali pazienti non vengono sottoposti ad uno studio coronarografico per assenza di indicazione. L’incidenza di infarto miocardio acuto è comunque estremamente bassa (<2% nella casistica più numerosa). Il nostro caso è peculiare nel dimostrare la stretta associazione tra radioterapia mammaria sinistra ed aterosclerosi coronarica localizzata. Infarto miocardico acuto: il fattore tempo P233 INDAGINE ESPLORATIVA DEI FATTORI PSICOLOGICI CHE INFLUENZANO IL TEMPO DECISIONALE DEL PAZIENTE CON STEMI Francesca Noli1, Giulia Acquistapace2, Paola Sepe2, Claudio Panciroli3, Fabio Lissoni2, Egidio Marangoni2 1 Associazione Amici del Cuore, Lodi, 2U.S.C. Cardiologia, Lodi, 3 U.S.S. Emodinamica, Lodi Background. Nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), il tempo decisionale (TD) del paziente influenza in maniera importante il ritardo evitabile preospedaliero. Scopo dello studio. Indagine esplorativa dei fattori psicologici che possono influenzare il TD nei pazienti con STEMI. Casistica e metodi. Sono stati studiati i pazienti ricoverati per STEMI dal 1.4.2009 al 30.6.2010 che hanno dato il consenso informato, esclusi i pz non valutabili per demenza o patologia psichiatrica invalidante. Si sono calcolati il TD, tempo tra inizio sintomi e primo contatto medico, ed il profilo psicologico dei pazienti mediante test psicodiagnostici (CBA-H e DS-14) e colloquio con psicologa. Risultati. Da un totale di 150 pazienti consecutivi con STEMI, 95 sono risultati arruolabili: età media 62 anni (range 33-91), 69.5% maschi. Il TD medio è stato di 274.02 minuti (mediana 90 min, minimo 5 min, massimo 3 giorni). Mediante colloquio e test sono state analizzate le seguenti caratteristiche psicologiche: reazioni emotive post-infarto (ansia di stato, eccessive paure sanitarie, reazione depressiva); stato emotivo antecedente l’infarto (deflessione del tono dell’umore, malessere psicofisico, percezione di stress); caratteristiche di tratto e di personalità (introversione, estroversione, nevroticismo, ansia sociale, ostilità, incapacità a rilassarsi, difficoltà interpersonali, competitività, irritabilità, fretta e impazienza, ipercoinvolgimento, inibizione sociale, affettività negativa) e alcuni pattern di personalità e comportamentali (pattern stress, pattern ansia, pattern depressione, pattern alessitimico, esaurimento vitale, tratti di personalità di tipo A e D). Sono state analizzate inoltre le abitudini ed i comportamenti dei pazienti (affettività, caratteristiche lavoro, eventi stressanti, relazioni sociali). L’analisi statistica bivariata tra le variabili soprariportate ed il TD ha evidenziato una correlazione significativa solo con le variabili nevroticismo ed esaurimento vitale (tempo minore) e significatività vicino alla soglia per i pazienti con ipercoinvolgimento (tempo maggiore). Nell’area delle abitudini di vita il tempo decisionale è correlato con l’abitare da soli (tempo maggiore) e la monotonia lavorativa (tempo minore). Conclusioni. Il nostro studio evidenzia che alcune caratteristiche psicologiche, di personalità e alcune abitudini comportamentali influenzano il tempo decisionale del paziente all’esordio dello STEMI. I pazienti con stabilità emozionale critica (alti valori di nevroticismo) e con percezione di stress ed esaurimento nel periodo precedente l’infarto hanno tempi di decisione minori; i soggetti ipercoinvolti nelle attività quotidiane e lavorative o che abitano da soli si attivano con maggiore ritardo per cercare soccorso. P234 L’ESPERIENZA DI INTEGRAZIONE FRA UN CENTRO CARDIOLOGICO SPOKE E L’EMERGENZA TERRITORIALE 118, NELLA DIAGNOSI E TRATTAMENTO DELLA SCA STEMI, MEDIANTE L’UTILIZZO DELLA TELECARDIOLOGIA Giuseppe Bianchino, Floriana Botticella, Carmela Dragonetti, Francesco Ferrara, Pietro Guarino, Carmenita Lo Conte, Gianvito Manganelli, Vincenzo Pellecchia, Emilia Ragno, Gennaro Bellizzi U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale Ariano Irpino, ASL Avellino, Ariano Irpino (AV) Background. Quando la distanza è ancora un fattore critico è necessario pensare ad un modello organizzativo, con protocolli prefissati e condivisi, di telecardiologia al fine di prevedere una corsia preferenziale per il trattamento delle emergenze cardiologiche (ischemiche e/o aritmiche), valida anche per un esteso territorio di 1929 km2, a tratti ancora impervio, come quello dell’ASL AV1. In particolare per la patologia ischemica cardiaca e soprattutto per l’IMA STE, il maggior determinante prognostico è noto essere il tempo trascorso fino al trattamento riperfusivo. Il miglior trattamento, infatti, dell’IMA STE si ottiene, fornendo nella maniera più rapida possibile la migliore terapia riperfusiva, appropriata al singolo caso. Scopo. L’impegno del nostro progetto è stato proprio quello di ridurre al minimo il tempo del ritardo evitabile. Dal 2005 (data di inizio del progetto) a tale scopo è nato il progetto “TELESOCCORSO CARDIOLOGICO”, coordinato dall’UTIC del PO di Ariano I. (AV). Dai dati raccolti in questi anni di lavoro d’equipe telecardiologica si è rilevato che per il pz l’esecuzione e l’interpetrazione del I° ECG 12 der. È il miglior predittore per un trattamento rapido ed efficace. Metodi. Al fine di garantire un tempestivo cardiosoccorso l’UTICCardiologia del PO di Ariano I., coordina un programma di assistenza che integra il Servizio di emergenza territoriale.- Centrale Operativa Provinciale del 118 - n. 6 sedi SAUT - Emodinamica h24 Osp. Moscati di Av. Il servizio di emergenza territoriale teletrasmette (Sistema Cardiotelefono: n. 9 Monitor Def. LIFPACK 12 con teletrasmissione - Centrale di Rilevazione ECG - n. 9 telefoni portatili GSM), l’ECG del pz con sospetta SCA e/o aritmia con immediata attivazione del teleconsulto. Per i pz con diagnosi di IMA STE confermata, in assenza di controindicazioni viene praticata trombolisi 96S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER in dose unica. Se questa non possibile o fallisce, il pz viene inviato immediatamente in sala Emodinamica h24. Risultati. Nel solo periodo gennaio 2009-marzo 2010 sono stati teletrasmessi 230.ECG di altrettanti pz. Di questi 46 pz sono stati fatti afferire al PS per una migliore definizione diagnostica; 82 pz sono stati ricoverati direttamente in UTIC (22 avevano rivìcevuto trombolisi preospedaliera, 34 pz avevano IMA NSTE; 26 pz presentavano aritmie di vario genere - ipercinetiche SV e V. e bradiaritmie). Solo 8 pz sono stati avviati a coronarografia in emergenza. Il tempo medio di arrivo del 118 al domicilio del pz e il teleconsulto è risultato essere di 10 minuti. Il tempo medio del I° contatto con il pz e la terapia riperfusiva è risultato di 15 minuti per la trombolisi e di 80 minuti per la coronarografia. Rispetto al tempo di ischemia, di 160 mediana minuti di registrati in Campania (gennaio 2009/marzo 2009) dal progetto ICARO-ANMCO Campania, si è osservata una significativa riduzione del ritardo evitabile. Conclusioni. Il progetto di “TELESOCCORSO CARDIOLOGICO”, con un costo affrontabile, consente di ridurre il tempo evitabile, fornendo percorsi pribvilegiati dopo il primo soccorso, nonché una tempestiva ed appropriata terapia, evitando ritardi intermedi inopportuni. amici/parenti non presenti, 11.7% si è rivolto al Medico Curante. Motivi per cui non è stato chiamato il 118: 75.7% non ha riconosciuto i sintomi o li ha confusi con altro; 10% pensava che passassero; 11.7% si è rivolto al Medico Curante. D’altra parte, la maggior parte dei pz (90.6%) sapeva che chiamare il 118 è strategia efficace in caso di infarto. L’analisi statistica bivariata tra le variabili soprariportate ed il TD ha evidenziato una correlazione significativa solo con il primo infarto (TD maggiore) e una tendenza alla significatività per i pz non sposati (TD maggiore). Il TD è correlato con la strategia di chiamare il 118 (TD minore) rispetto a recarsi in Pronto Soccorso o chiamare il Medico Curante; il TD è correlato con il non aver avvertito sintomi o non averli riconosciuti come infartuali (TD maggiore); sapere che si deve chiamare il 118 in caso di infarto non ha influenzato significativamente il TD. Conclusioni. Il nostro studio evidenzia che alcuni fattori socio-demografici e le strategie di coping e attivazione influenzano il tempo decisionale del pz all’esordio dell’infarto. La strategia corretta della chiamata precoce del 118 non rappresenta ancora la modalità prevalente di risposta all’esordio dei sintomi. La difficoltà di molti pz a riconoscere i propri sintomi come quelli di esordio dell’infarto condizionerebbe maggiormente il ritardo nella ricerca del contatto medico; questo elemento non dovrebbe essere trascurato nei programmi educazionali per la popolazione. P235 NARRATIVE BASED MEDICINE: IL RITARDO DECISIONALE NELLA SCA STEMI. STUDIO QUALITATIVO DELLE NARRAZIONI DI PAZIENTI POSTANGIOPLASTICA PRIMARIA E/O RESCUE S. Selmi1, F. Mattarei1, F. Lenzi1, G. Vergara2 1 U.O. di Psicologia 2, 2U.O. di Cardiologia, Ospedale Santa Maria del Carmine, Rovereto Introduzione. Ritardi decisionali e scarsa aderenza alle terapie rappresentano due dei maggiori problemi in tema di prevenzione primaria e secondaria della sindrome coronarica acuta nella popolazione italiana. Le numerose campagne di prevenzione e sensibilizzazione non sembrano essere significativamente efficaci nell’attenuazione di queste condotte disfunzionali. Presso l’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di S. Maria del Carmine di Rovereto è in corso uno studio qualitativo, secondo il modello della Narrative Based Medicine, che prendendo spunto dalle evidenze dell’esistenza di un quadro psicologico caratteristico premorboso, si pone lo scopo di comprendere i processi psicologici che influenzano i ritardi decisionali e l’orientamento delle scelte relative alla propria salute. Metodo. Lo studio preliminare è stato condotto su 20 pazienti, 10 uomini e 10 donne, intervistati nelle 72 ore successive all’intervento di angioplastica primaria e/o rescue. Il campione è sequenziale, stratificato per sesso ed età (45<P<64 e P>65). Le narrazioni così raccolte sono state analizzate attraverso il pacchetto informatico di analisi del testo ATLAS-ti. Risultati. Dall’analisi preliminare dei risultati è emersa una “teoria” che assegna ai significati che la persona dà “all’infarto” un ruolo centrale nella precocità della richiesta di intervento medico e ricorso alle strutture sanitarie. Cruciali nell’orientamento delle scelte relative alla propria salute si sono mostrate, inoltre: le credenze personali circa la possibilità di agire concretamente in prima persona sulla propria salute e la presenza di un caregiver. Conclusioni. La comprensione dei processi che regolano l’adozione di comportamenti e scelte relative alla salute, ci permette di effettuare alcune proposte operative per migliorare gli interventi di prevenzione primaria e secondaria della SCA che non guardano solo agli interventi prettamente psicologici, ma anche alla strutturazione di efficaci campagne di prevenzione e alla comunicazione operatore sanitario-paziente, operatore sanitario-caregiver. P236 STUDIO DEI FATTORI CHE CONDIZIONANO IL TEMPO DECISIONALE NEI PAZIENTI CON STEMI Egidio Marangoni1, Francesca Noli2, Giulia Acquistapace1, Paola Sepe1, Claudio Panciroli3, Fabio Lissoni1 1 U.S.C. di Cardiologia, Lodi, 2Associazione Amici del Cuore, Lodi, 3 U.S.S. di Emodinamica, Lodi Background. Nei pazienti (pz) con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), il tempo decisionale (TD) del pz rappresenta una componente del ritardo evitabile preospedaliero fondamentale e ancora poco indagata. Scopo dello studio. Valutazione dei fattori socio-demografici e delle strategie di coping e attivazione che possono influenzare il TD nei pz con STEMI. Casistica e metodi. Sono stati studiati tutti i pz ricoverati per STEMI dal 1.4.2009 al 30.6.2010. Si sono calcolati il TD, tempo tra inizio dei sintomi e primo contatto medico, le caratteristiche socio-demografiche e le strategie di coping e di attivazione mediante questionario autocompilato e/o colloquio clinico. Risultati. Da un totale di 150 pz consecutivi con STEMI, 95 sono risultati valutabili per lo studio: età media 62 anni (range 33-91), 69.5% maschi, 77.8% con licenza media, 43% pensionati, 71.6% coniugati. Si trattava del primo ricovero cardiologico nel 79.8% dei pz e del primo infarto nell’85% dei pz. Il TD medio è stato di 274.02 minuti (mediana 90 min, minimo 5 min, massimo 3 giorni). Le strategie di coping e di attivazione dei pz (cosa è stato fatto all’esordio dei sintomi) sono state le seguenti: 26.6% ha chiamato il 118, 23.4% ha continuato a svolgere le proprie attività, 19.1% si è recato in Pronto Soccorso, 14.9% si è rivolto ad P237 GESTIONE DELLO STEMI NELLE UTIC DELL’AREA BRIANZA: RISULTATI DI MORTALITÀ OSPEDALIERA E AD 1 ANNO DEL REGISTRO OSSERVAZIONALE PROSPETTICO “STEMI-BRIANZA” Alessandro Bozzano1, Simone Tresoldi2, Renata Rogacka2, Pietro Vandoni2, Virgilio Colombo3, Ivan Calchera3, Laura Valagussa3, Stefano Garducci4, Fabrizio Bassani4, Tiziana Zaro4, Pietro Delfino5, Gian Piera Rossi6, Angelo Rovati3 1 U.O. di UTIC, A.O. San Gerardo di Monza, Monza, 2U.O. di Emodinamica, Ospedale di Desio, A.O. di Desio e Vimercate, Desio, 3 U.O. di Emodinamica, A.O. San Gerardo di Monza, Monza, 4U.O. di Emodinamica e U.O. di UTIC, Ospedale di Vimercate, A.O. di Desio e Vimercate, Vimercate, 5U.O.C. di Cardiologia, Policlinico di Monza, Monza, 6AAT 118 Monza e Brianza, Monza Obiettivo. Nel 2006, nell’area della Prov. Monza e Brianza (800.000 ab., 2000 ab./km2), è stata implementata una rete per la gestione dello STEMI. Per valutarne l’efficienza è stato creato un database concordato tra le 4 Cardiologie con emodinamica (H San Gerardo di Monza, H di Desio, H di Vimercate e H Policlinico di Monza) e il SSUEm 118 Brianza. Si descrivono le caratteristiche cliniche, i trattamenti e gli outcome di 527 casi consecutivi registrati dal 1/6/ 2007 al 30/6/2008. Metodi. Sono stati esaminati tutti gli STEMI <24h dall’insorgenza dei sintomi, afferenti alle 4 Cardiologie dell’Area. I dati sono stati immessi in un CRF elettronico (http://mednetwork.org) sponsorizzato dalla Onlus Brianza per il Cuore. Risultati. Di 527 pazienti, il 73.7% erano uomini, l’età media 64.4±12 anni, con 115 pazienti (21.4%) >75 anni. Le donne avevano maggiore età media (71.5±11.8 vs 61.8±12.2 anni, p<0.0001), erano più spesso ipertese (68.1 vs 49.5%, p<0.0001), più raramente fumatrici (24.8 vs 45.7%, p<0.0001). Il diabete era noto nel 16.8% casi. Il sistema 118 è stato usato nel 41.6% casi, nel 40% casi vi è stata autonoma presentazione in PS e nel 16.6% casi il paziente era trasferito da un Centro Spoke. La sede ECG è stata anteriore nel 46.9% casi, inferiore nel 44.1%, laterale nel 27.2%. Il 50.3% dei pazienti era ad alto rischio (5.6% pazienti in ACC alla presentazione, il 4.3% in shock cardiogeno, il 23.3% con STEMI >5 derivazioni, il 13.8% in classe Killip >1, il 3.8% con GCS <8). Entro 24h dalla presentazione il 94.8% dei pazienti è stato trattato con aspirina e l’85.7% con tienopiridine. 2/3 pazienti sottoposti a PCI primaria hanno ricevuto antiIIb/IIIa (abciximab nel 78.1%). La PCI primaria è stata usata nel 65% casi, la fibrinolisi nel 18.4% casi (nel 13.1% di essi in ambulanza) e di essi 1/3 ha ricevuto rescue PCI. 79 pazienti (14.7%) non hanno ricevuto trattamenti riperfusivi immediati. Nel 56% casi la presentazione è stata entro 2h dai sintomi. I tempi mediani di riperfusione sono stati di 25.5 min [IQR 15, 40.3] per la fibrinolisi e di 85 min [IQR 55, 133] per la PCI primaria. Circa la metà della popolazione (45.3%) (n=243) ha ricevuto un trattamento di riperfusione meccanica entro 120 min dall’arrivo in ospedale. Nel 96.6% dei casi trattati con PCI è stato applicato uno stent, in prevalenza (76.3%) BMS. Outcome. La mortalità ospedaliera è stata del 2.6% (n=14), l’incidenza di complicanze emorragiche è stata del 2.2%, l’incidenza cumulativa ospedaliera di MACE (morte, reinfarto non fatale, ictus non fatale, sanguinamenti maggiori) è stata 6% (n=32). La mortalità ad 1 anno è stata del 6.9% (n=36). Sono risultati predittori di mortalità l’età >75 anni, l’insufficienza renale cronica, il diabete, un pregresso infarto, un pregresso bypass coronarico, l’insufficienza cardiaca cronica e la presenza di sintomi neurologici all’arrivo in ospedale, ma non il tipo di trattamento riperfusivo. Conclusioni. Nell’area Brianza i candidati ad interventi di rivascolarizzazione miocardica per STEMI sono circa 650/milione di abitanti/anno. Il sistema 118 è usato nel 40% casi ed il primo contatto medico avviene nella maggior parte dei casi precocemente. L’uso del trattamento riperfusivo è frequente e prevalentemente con PCI primaria, con tempi rapidi di gestione. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 97S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P238 (periodo 118, PTCA-P, Rete). Tre gruppi di pz costituiscono l’oggetto dello studio: gruppo A (n=178): anno 1997; gruppo B (n=174): anno 2005; TIME TO REPERFUSION AND OUTCOME OF PRIMARY PCI, IMPACT OF ONgruppo C (n=147): anno 2010. Sono stati comparati: le variabili HOUR VERSUS OFF-HOUR INTERVENTIONS demografiche, i ritardi temporali, le modalità di trasporto in ospedale, il Gabriele Crimi, Davide Bartolini, Sandro Bellotti, Alessandro Iannone, trattamento e il door-to-balloon (DTB), inteso come intervallo di tempo tra P238 Paolo Rubartelli il first medical contact TIME TO REPERFUSION AND OUTCOME OF PRIMARY PCI, IMPACT OF ON-HOUR VERSUS OFF- (FMC) e il gonfiaggio del pallone. Ospedale Villa Scassi, ASL3 Genovese, Genova Risultati. Le variabili demografiche sono risultate sovrapponibili nei tre HOUR INTERVENTIONS Background. Patients who undergo primary PCI (pPCI) for ST-elevation gruppi. Pz con FMC <2 ore dall’esordio dei sintomi: gruppo A 18% myocardial infarction (STEMI) might have different outcome according to (32/178); gruppo B 37.9% (66/174); gruppo C 52.4% (77/147); (p<0.01 tra their presentation during normal duty hours versus weeknights or tutti i gruppi). Pz con FMC >12 ore dall’esordio dei sintomi: gruppo A weekends. Conflicting data are reported in literature. Background. 22.5% (40/178); gruppo B 16.2% (28/174); gruppo C 10.2% (15/147); (C vs Purpose. To evaluate performance of primary PCI (pPCI) during daytime onA: p<0.01). Trasporto con ambulanza/118 nei pz con esordio dei sintomi hour service (ON-h) and the off - hour call service (OFF-h) in our h24/7d Cath Lab. P238 entro 12 ore: gruppo A 31.2% (43/138); gruppo B 49.3% (72/146); gruppo Methods and results. We included 777 consecutive patients (mean age Purpose. TIME TO REPERFUSION AND OUTCOME OF PRIMARY PCI, IMPACT ON-HOUR VERSUS OFF- (66/132); (B e C vs A: p<0.01). Trattamento riperfusivo nei pz con C 50% 67.1±12.6, years, male gender 72%) that underwent pPCI OF within 12 hours HOUR INTERVENTIONS esordio dei sintomi entro 12 ore: gruppo A 65.2% (90/138); gruppo B since the and symptoms Methods results.onset, in the period between the 1st January 2006 86,3% (126/146); gruppo C 97.7% (129/132); (p<0.01 tra tutti i gruppi). and 31st December 2010. Interventions performed between 8.00 a.m. and Trattamento riperfusivo nei pz con età >75 aa: gruppo A 46.6%, gruppo 20.00 pm were defined ON-h; between 20.00 pm and 8.00 am and during Background. B 84.6%, gruppo C 100% (p<0.01 per tutti i gruppi). DTB: gruppo B 130±51 public holidays, were defined OFF-h. Patients received intervention and min (mediana 125); gruppo C (trasporto del pz in UTIC) 121±36 min antithrombotic therapy according to the international guidelines, unless (mediana 119); gruppo C (trasporto del pz direttamente in Emodinamica) specifically contraindicated. Main population characteristics are outlined Purpose. 81±25 min (mediana 82); (gruppo C-UTIC vs gruppo B: p=ns; gruppo Cin table 1. EMO vs gruppo B: p<0.01; gruppo C-EMO vs gruppo C-UTIC: p<0.01). Table1. Methods and results. Conclusioni. Nel corso degli anni è significativamente aumentata la quota Table 1. di pz che giunge precocemente all’osservazione medica; parallelamente Description OFF-h ON-h p sono diminuiti i pz con presentazione tardiva. Il numero di pz trasportati (431, 55.5%) (n=346. 44.5%) dal 118 è rimasto stabile nei rilevamenti dal 2005 al 2010. Il trattamento Age (years) 66.8±13.0 67±12.1 0.51 Male gender (%) 72 75 0.64 riperfusivo è significativamente aumentato nel corso degli anni, Diabetes mellitus (%) 25.5 26.3 0.82 soprattutto negli anziani. Il DTB degli STEMI trasportati in PS/UTIC è TIMI risk score median (IQR) 3 (1-4) 3 (1-4) 0.30 rimasto stabile nel tempo, senza sostanziali riduzioni dovute alla gestione Table1. Killip classes 3-4 (%) 3.5 3.3 0.78 in rete dello STEMI. Come atteso, il DTB dei pz giunti direttamente in Anterior MI (%) 39.1 38.4 0.15 emodinamica è invece significativamente inferiore rispetto a quello degli 1st medical contact-balloon 86 (70-107) 83 (59-112) 0.54 median min (IQR) STEMI trasportati in PS/UTIC. Symptom onset - 1st medical contact median min (IQR) In-hospital mortality (%) Final flow TIMI3 (%) 100 (50-191) 115 (50-278) 0.12 6.3 84.1 8.4 84-3 0.26 0.21 55.5% of pPCI are performed OFF-h in our population, indicating the absence of logistic interference on the choice of reperfusion. Overall there are no significant differences between the two group regarding reperfusion time, final TIMI flow and in-hospital mortality (Table 1). OFFh patients are characterized by higher dispersion in first medical contact to balloon time (coeff F 10.4, p<0.01) as it is showed in figure 1, most of Conclusions. outliers in reperfusion time are found in night hours. Conclusions. More than half primary PCIs are performed during on-call off-hour serice in hour Cath Lab. OFF-h interventions have similar delay Conclusions. and results as as ON-h PCIs. P239 GESTIONE E TRATTAMENTO DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO (STEMI): 15 ANNI DI ESPERIENZA DELLA UNITÀ DI TERAPIA INTENSIVA CARDIOLOGICA (UTIC) DI UN CENTRO HUB CON EMODINAMICA H24 Giampaolo Scorcu1, Annarita Pilleri1, Emanuela Serra1, Luigi Valentino1, Bruno Loi2, Francesco Sanna1, Pierpaolo Sori3, Daniela Boscarelli3, Giuseppe Iasiello4, Giancarlo Pinna5, Maurizio Porcu1 1 S.C. di Cardiologia-UTIC, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari, 2S.C. di Emodinamica, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari, 3Azienda Mista OspedalieroUniversitaria, Cagliari, 4Centrale Operativa 118, Cagliari, 5Sistema Territoriale dell’Emergenza 118, Cagliari Introduzione. Negli ultimi anni il passaggio dalla riperfusione farmacologica a quella interventistica con angioplastica primaria (PTCA-P) ha rappresentato un notevole progresso nel trattamento dello STEMI. Contemporaneamente si è sviluppato il sistema gestionale ed organizzativo: il 118 ha garantito il trasporto protetto del paziente (pz), la rete territoriale attraverso la diagnosi preospedaliera e la teletrasmissione dell’ECG ha favorito una rapida ed efficace terapia riperfusiva. Questo studio analizza gli aspetti gestionali dello STEMI in tre periodi diversi e ne descrive l’impatto sulle strategie diagnostiche, terapeutiche e sui tempi di trattamento. Materiali e metodi. I dati dei pz con STEMI ricoverati consecutivamente in UTIC e arruolati in due registri epidemiologici degli anni 1997 (periodo pre-118, pre-PTCA-P, pre-Rete) e 2005 (periodo 118, PTCA-P, pre-Rete) sono stati confrontati con i dati dei pz ricoverati consecutivamente nel 2010 98S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P240 LA RETE DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO ST SOPRASLIVELLATO (STEMI): TELETRASMISSIONE DELL’ECG E IMPATTO SUI TEMPI DI RIVASCOLARIZZAZIONE Giampaolo Scorcu1, Annarita Pilleri1, Emanuela Serra1, Luigi Valentino1, Bruno Loi2, Francesco Sanna2, Pierpaolo Sori3, Daniela Boscarelli3, Giuseppe Iasiello4, Giancarlo Pinna5, Maurizio Porcu1 1 S.C. di Cardiologia-UTIC, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari, 2S.C. di Emodinamica, A.O. “G. Brotzu”, Cagliari, 3Azienda Mista OspedalieroUniversitaria, Cagliari, 4Centrale Operativa 118, Cagliari, 5Sistema Territoriale dell’Emergenza 118, Cagliari Introduzione. Le linee guida per il trattamento dello STEMI della Società Europea di Cardiologia enfatizzano l’importanza di un sistema di emergenza articolato su una organizzazione di rete integrata interospedaliera ed ospedale-territorio finalizzata a migliorare l’outcome del paziente. I cardini di questo sistema che dovrebbe garantire la più rapida ed efficace terapia riperfusiva sono la diagnosi pre-ospedaliera e il trasferimento del paziente nella struttura più appropriata. Questo studio descrive i percorsi organizzativi del sistema di rete e il loro impatto sui tempi di rivascolarizzazione nei pazienti con STEMI ricoverati nell’UTIC di un centro Hub con emodinamica h24. Materiali e metodi. Sono stati valutati prospetticamente tutti i pazienti con STEMI ricoverati consecutivamente entro 12 ore dall’esordio dei sintomi dal 01/01/2008 al 27/12/2010. Sono stati esaminati la provenienza e i ritardi temporali nella fase pre ed intra-ospedaliera. In particolare, nei pazienti trasportati dal 118, è stato calcolato il door-to-balloon (DTB), inteso come l’intervallo di tempo intercorso tra il first medical contact (FMC) e il gonfiaggio del pallone. Il FMC è stato riferito alla registrazione del primo ECG diagnostico. Dall’analisi sono stati esclusi i pazienti trasferiti da altri centri. Risultati. Nei 3 anni dello studio sono stati ricoverati 402 pazienti con STEMI. Il 118 ne ha trasportato in totale 182 (45.3%), rispettivamente 58 nel 2008 (41.7%), 59 nel 2009 (44%), 65 nel 2010 (50.4%). La teletrasmissione all’UTIC è stata effettuata in 148 casi (81.3%); 45 nel 2008 (77.6%), 42 nel 2009 (71.2%), 61 nel 2010 (93.8%). Dei 148 pazienti con teletrasmissione dell’ECG, 8 (5.4%) sono stati trasportati in Pronto Soccorso, 76 (51.3%) in UTIC e 64 (43.3%) direttamente in sala di emodinamica. L’accesso diretto in emodinamica è avvenuto in 14 casi (31.1%) nel 2008, 15 (35.7%) nel 2009 e 35 (57.4%) nel 2010. Il DTB degli STEMI con teletrasmissione dell’ECG trasportati in PS/UTIC è risultato significativamente inferiore al DTB dei pazienti senza teletrasmissione (media 121 ± 38 minuti, mediana 113, vs 156±55 minuti, mediana 139; p<0.03). Come atteso il DTB dei pazienti trasportati direttamente in emodinamica è significativamente inferiore rispetto a quello degli STEMI trasportati in PS/UTIC (media 84±28 minuti, mediana 83, vs 121±38 minuti, mediana 113; p<0.0001). Conclusioni. Nella nostra esperienza il ricorso al 118 è aumentato costantemente nel corso dei tre anni di studio ed attualmente rappresenta la modalità preferenziale di accesso in ospedale dei pazienti con STEMI. L’ottimizzazione del sistema di rete garantisce oggi la teletrasmissione dell’ECG nella quasi totalità dei pazienti trasportati dal 118. Contestualmente sono cresciuti gli accessi diretti in sala di emodinamica che rappresentano la maggioranza dei casi teletrasmessi. I nostri dati confermano che l’accesso diretto in emodinamica garantisce il più breve DTB, consente il rispetto dei parametri di tempo raccomandati dalle linee guida per l’attuazione della terapia riperfusiva e rappresenta la migliore strategia per la riduzione del ritardo evitabile. POSTER P241 L’EREDITÀ DEL PROGETTO INFARTO.NET: ESPERIENZA DI UN CENTRO HUB M. Pugliese, M.S. Fera, L. De Lio, A. Terranova, P. Celli, E. Natale E. Giovannini Cardiologia I-UTIC, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale San Camillo, Roma La UTIC dell’Ospedale S. Camillo è attiva come centro Hub nell’ambito del Conclusioni. progetto infarto.net. Tale progetto è partito nel 2005 ed ha avuto un durata di 3 anni, con lo scopo di realizzare, implementare e sensibilizzare all’uso del sistema di telemedicina nella rete dell’emergenza coronarica nella Regione Lazio. Anche dopo il termine del progetto il centro Hub ha continuato a ricevere le chiamate in tele cardiologia dalle ambulanze del 118. Oltre alle sindromi coronariche acute (SCA) che afferiscono normalmente in UTIC indipendentemente dal progetto infarto.net (in media oltre 550 casi/anno), il centro ha il compito di indirizzare i pazienti con SCA STEMI verso l’ospedale più vicino o verso lo stesso centro Hub. Scopo. Analizzare la quantità e la tipologia degli interventi richiesti al centro Hub nell’arco temporale degli ultimi due anni. Metodi. Il centro Hub è dotato di un sistema ricevente Medtronic, abilitato alla ricezione in tempo reale degli ECG effettuati sulle ambulanze del 118. All’arrivo dell’elettrocardiogramma il cardiologo contatta immediatamente il personale di bordo dell’ambulanza per ottenere tutte le informazioni cliniche del caso. Un paziente con SCA STEMI viene giudicato ad alto rischio in caso di shock cardiogeno o controindicazione alla trombolisi o almeno una delle seguenti condizioni: età >75 aa, PAS <100 mmHg, FC >100/m, classe Killip >1, sopraslivellamento del tratto ST in 6 o più derivazioni. Risultati. Nell’arco degli ultimi due anni la nostra UTIC ha ricevuto in qualità di centro Hub 131 chiamate. L’età media dei pazienti valutati in teleconsulto è stata di 70±18 anni. Il 94.7% delle chiamate ha riguardato casi di dolore toracico in atto o recenti. In 7 casi (5.3%) le chiamate erano motivate da altre problematiche (3 casi di sincope/presincope, due casi di dispnea, 1 crisi ipertensiva, 1 caso di dolore epigastrico). Vi sono stati 27 pazienti (20.6%) considerati ad elevato rischio che sono stati accolti direttamente in UTIC. Il protocollo prevedeva in tali casi l’allerta immediata dell’emodinamica già prima dell’arrivo del paziente, l’esecuzione di un ecocardiogramma, di un prelievo ematico per i marker di necrosi miocardica e la ripetizione di un ECG. I tempi necessari per l’effettuazione dei primi esami di conferma diagnostica hanno richiesto al massimo 10 minuti (9±1 min). Il tempo di latenza massimo tra l’arrivo del paziente in UTIC e l’ingresso in emodinamica è stato di 15 min. 104 (79.3%) pazienti non ad alto rischio sono stati avviati presso il PS più vicino, che in oltre la metà dei casi era lo stesso DEA del S. Camillo; 57 pazienti (43.5% del totale) sono comunque giunti in UTIC dopo essere stati valutati presso il nostro DEA. Dei 57 pazienti giunti in UTIC direttamente o tramite DEA, il 92.9% (53 pz) è stato avviato in emodinamica per una CVG diagnostica ed un’eventuale PCI. Conclusioni. I dati raccolti confermano la validità del sistema di telecardiologia applicato all’emergenza. Sarebbe auspicabile un potenziamento delle risorse per amplificare i primi risultati del progetto infarto.net. P242 TRATTAMENTO DELL’INFARTO MIOCARDICO SENZA SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST IN PAZIENTI ULTRASETTANTACINQUENNI: TIMING DELLA STRATEGIA INVASIVA E PROGNOSI INTRAOSPEDALIERA Maria Zaccaria, Pietro Palmisano, Domenico Zanna, Filippo Masi, Donato Quagliara, Stefano Favale Dipartimento di Cardiologia, Università degli Studi, Bari Introduzione. Nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST una strategia invasiva eseguita entro le 48-72h ha un effetto positivo sulla prognosi. Recenti studi hanno dimostrato che in questi pazienti una strategia precocemente invasiva (<24h) non sembra offrire vantaggi sostanziali rispetto ad una strategia invasiva differita (comunque entro 48-72h) tranne che per i pazienti ad alto rischio. L’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) è una frequente manifestazione della sindrome coronarica acuta nei pazienti anziani. In questo sottogruppo di pazienti spesso le comorbilità associate condizionano la scelta del trattamento e ritardano l’approccio invasivo. Obiettivo di questo studio è stato di valutare l’impatto della strategia invasiva e del suo timing, in una popolazione dei pazienti ultrasettantacinquenni con NSTEMI. Materiali e metodi. Sono stati studiati 189 pazienti ultrasettantacinquenni (49% maschi, età media di 83±5 anni) ammessi nel nostro Centro con diagnosi di NSTEMI. Per verificare l’impatto prognostico a breve termine della strategia invasiva e del suo timing è stata valutata l’incidenza intraospedaliera di eventi cardiaci avversi maggiori (MACE). Risultati. 108 (57%) pazienti hanno ricevuto una strategia invasiva, di questi: 38 (35%) entro 24h dall’insorgenza dei sintomi, 32 (30%) tra 2472h, 38 (35%) oltre le 72h. Nel corso della degenza 62 (33%) pazienti hanno presentato MACE: 53 (86%) scompenso cardiaco acuto; 3 (5%) angina post-infartuale; 2 (3%) reinfarto; 5 (8%) morte cardiaca. Il grafico mostra l’incidenza intraospedaliera di MACE nei sottogruppi di pazienti divisi in base al tipo di trattamento ricevuto e in base al timing della strategia invasiva. I pazienti che hanno ricevuto una strategia invasiva entro le 72h hanno avuto globalmente un’incidenza di MACE intraospedalieri inferiore rispetto ai pazienti che hanno ricevuto una strategia conservativa (13 vs 46%; p<0.001). Mentre i pazienti che hanno ricevuto una strategia invasiva oltre le 72h hanno avuto un’incidenza di MACE intraospedalieri non diversa dai pazienti che hanno ricevuto una strategia conservativa (45 vs 46%; p=NS). Nell’ambito dei pazienti che hanno ricevuto una strategia invasiva entro le 72h, i pazienti che l’hanno ricevuta entro le 24h hanno avuto un’incidenza di MACE intraospedalieri significativamente inferiore rispetto ai pazienti che l’hanno ricevuta oltre le 24h (5 vs 22%; p=0.039). Conclusioni. I nostri dati indicano che, quando eseguita entro le 72h, anche nei pazienti anziani con NSTEMI la strategia invasiva migliora la prognosi a breve termine. In questi pazienti il ricorso precoce (entro le 24h) alla strategia invasiva sembrerebbe migliorare ulteriormente la prognosi a breve termine. Infarto miocardico acuto P243 CONFRONTO TRA EFFICACIA E TOLLERABILITÀ DI DUE TERAPIE TROMBOLITICHE IN PAZIENTI STEMI TRATTATI IN UNA UTIC SENZA SERVIZIO DI EMODINAMICA Giuseppe Picardi, Renato Cocchia, Eugenio Stampati, Francesco Scafuro U.O. di Cardiologia-UTIC, P.O. Santa Maria della Pietà, Nola (NA) La terapia farmacologica trombolitica rappresenta la terapia riperfusiva di primo impiego in una UTIC come la nostra priva di servizio di emodinamica in situ. I farmaci a disposizione per tale terapia sono rappresentati dagli attivatori del plasminogeno tissutale come l’alteplase (ALT) e un suo derivato come il tenecteplase (TNK). Dal gennaio 2006 al dicembre 2010 sono giunti alla nostra osservazione 782 STEMI, di questi sono stati sottoposti a terapia trombolitica 459 (58.7%), mentre 60 (7.7%) sono stati inviati ad un centro di emodinamica per una terapia trombolitica meccanica (PTCA primaria). Dei pz. sottoposti a terapia trombolitica farmacologica 218 (47.5%) sono stati trattati con ALT e 241 (52.5%) con TNK. In 162 pz pari al 35.4% dei pz trombolisati non si è raggiunto il risultato della riduzione di oltre il 50% del sopraslivellamento del tratto ST per cui i pz sono stati trasferiti per praticare una PTCA rescue. Dei 215 pz trattati con ALT il 28.8% sono stati trasferiti per una PTCA rescue mentre dei 242 pz trattati con TNK il 41.3% sono stati trasferiti per una procedura di salvataggio. Il 27.5% dei pz trattati con ALT erano di sesso femminile contro il 15.3% dei pz trattati con TNK. Il 17.4% dei pz trattati con ALT erano di età >75 anni contro l’8.3% di quelli trattati con TNK. Il 48% dei pz con IMA anteriore trattati con ALT sono stati trasferiti per angioplastica rescue contro il 65% dei pz con la stessa estensione infartuale trattati con TNK. Tale differenza di comportamento tra i due gruppi di trattamenti ci ha lasciato perplessi circa quale sia la migliore terapia da utilizzare in pz ospedalizzati. Il risultato della nostra casistica è presumibilmente da ricercarsi nell’arruolamento dei pz. ad uno dei 2 farmaci. L’ALT è stato preferito nelle donne, nei soggetti di età avanzata, nelle presentazioni più tardive. Il TNK è stato utilizzato invece soprattutto nei soggetti giovani, con presentazioni precoci. Rispetto all’estensione dell’IMA i pz trattati con TNK sembrerebbero essere trasferiti per un trattamento invasivo con maggiore frequenza. I pz trattati con TNK sono sicuramente più a rischio e ciò giustifica il fallimento più frequente della terapia fibrinolitica e il loro maggior ricorso all’angioplastica di salvataggio. Il dato confortante della nostra casistica è la rarissima incidenza di complicanze emorragiche gravi (4 pz in 5 anni con emorragie subaracnoidee) con entrambe le terapie a conferma della relativa sicurezza degli attivatori del plasminogeno tissutale se utilizzati in accordo con le linee guida internazionali. P244 COME TRATTIAMO L’INFARTO MIOCARDICO ACUTO IN UNA UTIC SENZA SERVIZIO DI EMODINAMICA. ESPERIENZA DEGLI ULTIMI 9 ANNI Giuseppe Picardi, Renato Cocchia, Eugenio Stampati, Francesco Scafuro U.O. di Cardiologia-UTIC, P.O. Santa Maria della Pietà, Nola (NA) La nostra U.O. di Cardiologia e UTIC è il polo cardiologico di riferimento di un vasto territorio che raccoglie una utenza di oltre 350.000 abitanti. Sono stati ricoverati in UTIC dal gennaio 2002 al dicembre 2010 n. 2969 pz con diagnosi di IMA. L’incidenza annua di IMA nelle nostra popolazione è dunque di circa 0.1%. I maschi sono stati 1904 (64%) e 1065 (36%) le femmine. L’età media è stata di 65,25 aa. (range età 30-92 anni). L’età media dei maschi è stata significativamente più bassa 61.2 anni rispetto ai G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 99S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO 71.25 anni dell’età media delle femmine. L’orario di presentazione dei pz disease (CAD) detected by angiography have a substantial risk of al PS e di ricovero è stato lievemente maggiore nelle ore notturne (55% subsequent coronary events within one-year. However, the prognosis of degli IMA dalle ore 20 alle 8). Il quadro ecgrafico evidenziava these patients in the real world setting has been poorly investigated. The sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) in 1331 pz (44.83%), mentre non aim of this study was to evaluate the long-term outcome of patients with era presente sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) in 1638 pz. ACS presenting with non-obstructive CAD and the rate of prescription at (55.17%). Nei nove anni della nostra osservazione abbiamo notato una discharge of aspirin and clopidogrel according to guideline progressiva riduzione di circa il 10% all’anno dei casi di STEMI a fronte di recommendations. Methods. ACS patients presenting at our Institution and undergoing un incremento di oltre il 20% dei casi di NSTEMI. La necrosi ha interessato coronary angiography were screened. ACS was defined according to la parete anteriore nel 51.2% e nel restante 48.8% sono state coinvolte le ACC/AHA criteria. Non-obstructive CAD was defined as angiographic pareti posteriore, inferiore e/o laterale. I pz STEMI (1331) sono stati trattati findings of <50% diameter stenosis in any major epicardial artery. These in 866 (65%) con terapia riperfusiva trombolitica con alteplase o patients were further stratified into 2 groups according to their tenecteplase. Solo 8 pz. in 9 anni pari allo 0.96% hanno presentato episodi angiographic findings: Group A (0% stenosis) and Group B (>0 and <50% emorragici maggiori (emorragie subaracnoidee). Il 28.2% non sono stati stenosis). Patients were followed-up for 2 years. Major adverse cardiac sottoposti ad alcuna terapia riperfusiva a causa sia del ritardo di events (MACE), defined as death, ACS leading to hospitalization, and nonpresentazione che delle controindicazioni alla terapia farmacologica. Solo fatal stroke were recorded. il 6.8% dei pz. è stato inviato a praticare PTCA primaria. I pz. NSTEMI Results. A total of 2157 ACS patients were screened, of whom 261 (12%) (1638) sono stati trattati nel 93.5% con clopidogrel e nel 44.7% anche con antagonisti delle glicoproteine IIb/IIIa (tirofiban). Anche in questi pazienti presented non-obstructive CAD defined according to study criteria. solo circa il 25% riesce ad essere sottoposto a esame coronarografico nelle Groups A and B were composed of 123 (47.1%) and 138 (52.9%) prime 48 ore come da linee guida. La degenza media dei pz con IMA in patients, respectively. The overall MACE rate at 2 years was 6.5%, with UTIC è stata di 3.2 giorni, quella degli stessi pz in reparto di cardiologia è a numerical increase, albeit not statistically significant among group B stata di 4 giorni. versus group A patients (9.2 vs 3.3%, p=0.20). During follow-up, group In conclusione si è notata una progressiva riduzione dei tempi di degenza B patients were more frequently hospitalized for ACS and underwent per IMA negli ultimi nove anni in accordo con quanto accade da anni coronary revascularization compared with group A patients (7.0 vs 1.1%, anche in altri paesi europei ed un incremento dell’incidenza di infarti non p=0.04). Despite guideline recommendations, only 49% of patients with P247 Q. La mancanza di un laboratorio di emodinamica in situ e di una rete ACS and non-obstructive CAD were prescribed with dual antiplatelet Patients on aspirin were 87% and 54%, cardiologica regionale con protocolli gestionali adeguati condiziona POLIMORFISMO DELLAtherapy. MTHFR C677T EDor clopidogrel EVENTI alone CARDIOVASCOLARI: respectively. significativamente le scelte terapeutiche in tema di terapia riperfusiva. Nonostante ciò si è osservata una sempre CLINICO maggiore aderenza negli anni Conclusions. ACS patients with non-obstructive CAD have a low use of alle linee guida con un persistente progressivo miglioramento degli dual antiplatelet therapy and remain at high risk for long-term recurrent standard terapeutici. ischemic events, underscoring the need for aggressive medical management in these patients. P245 Background. CHEST PAIN PATIENTS WITH KNOWN CORONARY DISEASE EVENTUALLY P247 HAVE HIGH-RISK PROFILE FOR CORONARY EVENT NONETHELESS THEY POLIMORFISMO DELLA MTHFR C677T ED EVENTI CARDIOVASCOLARI: PRESENT WITH NONDIAGNOSTIC ECG POTENZIALE IMPIEGO CLINICO Sonia Vicidomini, Alberto Conti, Simone Vanni, Giuseppe Pepe, Marco Marini1, Matteo Francioni1, Maria Vittoria Paci1, Yuri Mariannini, Aurelia Guzzo, Emiliano Lotti, Erica Canuti, Salvatore Amoroso2, Gian Piero Perna1 1 Cristina Nanna, Riccardo Pini, Claudio Poggioni, Claudia Casula Cardiologia, Ospedali Riuniti Umberto I-Lancisi-Salesi di Ancona, Department of Critical Care Medicine and Surgery, Careggi University Ancona, 2Farmacologia Clinica, Università Politecnica delle Marche, Hospital, Florence Ancona Aim. To evaluate risk profile of chest pain patients with known existing Background. L’iperomocisteinemia è un fattore di rischio indipendente P245 coronary disease as compared to patients without who present with per malattie cardiovascolari. Peraltro se è vero che una severa CHEST PAIN PATIENTS WITH KNOWN CORONARY HIGH-RISK PROFILE normal EKG and first-line nondiagnostic work-up. DISEASE EVENTUALLY HAVE iperomocisteinemia si associa a aumentato rischio trombogeno ed a Methods. Low-riskEVENT patients with normalTHEY ECG PRESENT and Troponin admission aumentata incidenza di CAD, stroke, TVP, è anche vero che il significato di FOR CORONARY NONETHELESS WITHon NONDIAGNOSTIC ECG underwent observation or stress testing by unstandardized clinical iperomocisteinemie più modeste è molto dubbio. Probabilmente solo le Metodi. judgment. Patients who experienced recurrent angina or positive ECGs or iperomocisteinemie legate a mutazione della MTHFR C677T hanno un troponins during observation or patients with positive stress testing were significato clinico, ma è improponibile uno screening del rischio basato admitted and considered for angiography; otherwise they were discharged. sulla ricerca di tale mutazione, il cui ruolo clinico è pertanto ancora da Aim. definire. Scopo del nostro studio è stato studiare se esistano correlazioni Endpoint. Coronary stenoses ≥50% at angiography or coronary events at tra eventi cardiovascolari maggiori e presenza di iperomicisteinemia e follow-up Methods. including cardiovascular death, myocardial infarction, revascularisation, and rehospitalisation for angina. mutazione genica. Results. Out of 5656 patients considered, 1732 with abnormal ECG were Metodi. Abbiamo perciò valutato il polimorfismo della MTHFR C677T in admitted, 2860 with atypical chest pain and normal ECG were gruppi di soggetti così selezionati: discharged; 1064 low-risk were enrolled. Patients with known vascular - Gruppo A: 26 pazienti (età media 31±4) con CAD documentata da eventi Endpoint. disease, older age, female gender, diabetes mellitus, and lower chest pain cardiaci maggiori senza fattori di rischio convenzionali score were likely managed with observation. The global management - Gruppo B: 34 pazienti (età media 40±5) con CAD documentata da eventi Results. showed 23% patients reached the endpoint; the negative predictive value cardiaci maggiori con fattori di rischio convenzionali Risultati. was 96%. Patients with known coronary disease as compared to patients - Gruppo C: 20 soggetti (età media 36±6) senza CAD e senza eventi cardiaci without reached the endpoint in 15 vs 8%, respectively, p<0.0001, as maggiori con fattori di rischio convenzionali follows: 26 v 12%, respectively, p<0.0001, during in-hospital stay; 7 vs 2%, Risultati. Una mutazione della MTHFR C677T (omozigote o eterozigote) è respectively, p<0.0001, at 9.9±4.9 month follow-up. The negative stata rilevata in tutti i pazienti del gruppo A, nel 9% dei pazienti del predictive value was 90 vs 98%, respectively, p<0.0001. gruppo B e nello 0% dei pazienti del gruppo C (vedi figura 1). Nel gruppo Conclusions. One-third of chest pain patients with known existing A la percentuale di mutazioni omozigoti era del 40% circa. I nostri dati coronary disease and nondiagnostic first-line work-up eventually was sembrano perciò suggerire che sia utile eseguire una valutazione del Conclusions.as having coronary event. Thus, noninvasive management of recognized polimorfismo della MTHFR C677T esclusivamente in pazienti in cui non si patients with known existing coronary disease could be unreliable in the rilevi un’eziologia “standard” dell’evento coronario, e che la valutazione real world. possa essere utile per le scelte terapeutiche successive. Negative predictive value Endpoint during hospital stay Endpoint at follow-up Total 95.8% 198 (18.6%) 49 (4.6%) Known CAD 90.1% 126 (26.4%) 35 (7.3%) Unkonwn CAD 98.1% 72 (12.3%) 10 (1.7%) p <0.0001 <0.0001 <0.0001 P246 ACUTE CORONARY SYNDROME AND NON-OBSTRUCTIVE CORONARY ARTERY DISEASE: LONG-TERM PROGNOSIS Roberta Rossini1, Giuseppe Musumeci1, Corrado Lettieri2, Davide Capodanno3, Ugo Limbruno4, Paolo Calabria4, Paola Mantovani2, Andrea Micheli4, Tamar Nijaradze1, Luca Tomasi2, Laurian Mihalcsik1, Luigi Fiocca1, Matteo Baroni1, Giulio Guagliumi1, Orazio Valsecchi1, Dominick Angiolillo5, Antonello Gavazzi1 1 Ospedali Riuniti, Bergamo, 2Ospedale Carlo Poma, Mantova, 3Ospedale Ferrarotto, Università degli Studi, Catania, 4Ospedale della Misericordia, Grosseto, 5University of Florida-Shands Jacksonville, Jacksonville, USA Background. Data from clinical trials have demonstrated that patients with acute coronary syndrome (ACS) and non-obstructive coronary artery 100S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POTEN POSTER P248 RUOLO DELLA RIVASCOLARIZZAZIONE COMPLETA E DEL FLUSSO FINALE TIMI 3 IN PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO CON SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST E SHOCK CARDIOGENO Dario Formigli, Francesco Moscato, Vitangelo Franco, Stefano Capobianco, Fortunato Scotto di Uccio, Paolo Silvestri, Marino Scherillo Dipartimento di Cardioscienze, Azienda Ospedaliera “Gaetano Rummo”, Benevento Background. L’angioplastica coronarica primaria (PPCI) è il trattamento di rivascolarizzazione percutanea indicato nei pazienti con infarto acuto del miocardio a presentazione con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Lo shock cardiogeno può presentarsi all’esordio in una percentuale non trascurabile di pazienti con STEMI ed è gravato da un’alta mortalità intraospedaliera e da un’elevata insorgenza di eventi cardiaci maggiori a distanza di tempo. Obiettivo di questo studio è quello di valutare l’efficacia e l’outcome intraospedaliero ed a 30 giorni della PPCI nei pazienti con STEMI complicato da shock cardiogeno all’esordio. Disegno dello studio. Da gennaio 2008 a novembre 2010 abbiamo valutato retrospettivamente 48 pazienti consecutivi (38 maschi e 10 femmine; età media 66.4±13.0 anni) trattati mediante PPCI per infarto acuto con sopraslivellamento del tratto ST complicato all’esordio da shock cardiogeno ricoveratisi presso il nostro reparto. Abbiamo raccolto i dati clinici, angiografici e la mortalità intra-ospedaliera ed a breve termine (30 giorni). I pazienti sono stati classificati in due gruppi in base alla sopravvivenza ospedaliera (Gruppo A, n=28, 58%) o meno (Gruppo B, n=20, 42%). Risultati. I pazienti non sopravvissuti (Gruppo B) rispetto ai sopravvissuti (Gruppo A) erano più anziani (età media 72.7±8.8 vs 62.0±13.8; p=0.004); presentavano una maggior incidenza di arresto cardiaco all’esordio (50 vs 21%; p=ns) e localizzazione antero-laterale dell’infarto (60 vs 36%; p=ns). All’angiografia basale i pazienti del Gruppo B presentavano una maggior estensione della malattia coronarica caratterizzata da interessamento trivasale e/o del tronco comune (60 vs 50%; p=ns); ed una lesione “culprit” interessante la discendente anteriore e/o il tronco comune (60 vs 36%; p=ns). Per quanto riguarda le caratteristiche procedurali, si è osservato come la rivascolarizzazione completa (20 vs 71%; p=0.001) e la perfusione coronarica ottimale valutata mediante flusso TIMI 3 all’angiografia finale (30 vs 76%; p=0.002), fossero presenti in maniera significativamente inferiore nel Gruppo B rispetto al Gruppo A. Nel Gruppo A a distanza di 30 giorni non si sono avuti eventi cardiaci maggiori. Solo 4 pazienti (14%) hanno eseguito un’ulteriore rivascolarizzazione percutanea mediante angioplastica coronarica, 3 casi per restenosi ed 1 caso per progressione della malattia. La rivascolarizzazione incompleta (OR 10, 95% CI 2.5-39; p=0.001) ed il flusso finale TIMI <3 (OR 6.4, 95% CI 1.8-22.5; p=0.006) sono risultati predittori indipendenti di mortalità intraospedaliera. Conclusioni. Nella nostra casistica si conferma che l’infarto acuto del miocardio con sopraslivellamento del tratto ST complicato all’esordio da shock cardiogeno è gravato da un’elevata mortalità intraospedaliera. I predittori sono rappresentati da un flusso TIMI <3 all’angiografia finale e dalla rivascolarizzazione incompleta. P249 IL DOLORE TORACICO IN UN DEA AD ALTO VOLUME DI ACCESSI: UTILITÀ DEL TEST DA SFORZO NEL RULE OUT DEI PAZIENTI Andrea Ciolli1, Maurizio Di Lorenzo1, Carmelo Ribis1, Giovanni Lo Sardo1, Donatella Livoli2, Cinzia Cancrini2, Alessandra Revello2, Giuliano Altamura1, Francesco Rocco Pugliese2 1 Divisione di Cardiologia, 2DEA, Ospedale Sandro Pertini, Roma Materiali. Sono stati considerati i pazienti adulti di competenza medica giunti al PS dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma tra 1/1/2008 e 31/10/2008 (GR1) e tra 1/1/2010 e 31/10/2010 (GR2). In assenza di controindicazioni e di alterazioni elettrocardiografiche o enzimatiche suggestive di SCA, i pazienti del GR2 a rischio intermedio di SCA eseguivano routinariamente a TE dopo 12 ore di osservazione e dopo almeno 6 ore dall’ultima manifestazione del dolore. Solo un numero esiguo di pz del GR I veniva sottoposto a TE. Il TE, limitato dai sintomi, era effettuato al treadmill sec. il protocollo di Bruce modificato. I pz con TE positivo venivano ricoverati nel reparto di Cardiologia d’Urgenza, di Cardiologia o di Medicina d’Urgenza, mentre quelli con TE negativo erano inviati a domicilio. In caso di controindicazione al TE, di risultato dubbio o non conclusivo, i pz venivano ricoverati per eseguire eco stress (ES). Tutti i pz con TE o ES positivo eseguivano coronarografia. Risultati. I pz del GR I sono stati 56 820 di cui 2.442 (42.9%) con DT, quelli del GR II sono stati 54 616 di cui 2.382 con DT (44.36%). Nel GR I sono stati effettuati 54 TE di cui 3 risultati positivi per ischemia da sforzo (5.5%), mentre i TE effettuati nel GR II sono stati 334 di cui 12 positivi (5.5%). In entrambi i gruppi non sono state registrate complicanze. Dei pz giunti per DT è stata fatta in PS diagnosi di SCA in 512 pz (20.9% dei pz con DT) del GR I e in 481 pz (20.1%) GR II (ns), altre diagnosi (pericardite, embolia polmonare, dissezione aortica, pneumotorace) sono state poste in 78 pz (3.2%) del GR I e in 82 pz (3.4%) del GR II (ns). Sono stati ricoverati con diagnosi di DT i pz con TE positivo (da avviare a coronarografia) e quelli che non avevano eseguito il TE. I pz ricoverati con diagnosi di DT sono stati complessivamente 449 (19,1%) nel GR I e 98 (4.1%) nel GR II (p<0.005). La diagnosi di dimissione dall’Ospedale era di angina pectoris in 86 pz (19.1% dei pz ricoverati per DT) del GR I e in 78 pz (79.6%) del GR II (ns), mentre diagnosi di DT era posta in 343 pz (76.4% dei pz ricoverati per DT) nel GR I e 20 pz (20.4%) nel GR II (p<0.001). Accessi totali Accessi per DT TE effettuati Complicanze TE + Pz ricoverati con diagnosi di DT Pz dimessi con diagnosi di angina Pz dimessi con diagnosi di DT GR1 56 820 2442 54 0 3 449 86 343 GR2 54 616 2382 334 0 12 98 78 20 p ns ns <0.001 ns <0.001 <0.005 ns <0.001 Conclusioni.Il TE eseguito in PS nei pz con DT in un centro a elevato Conclusioni. numero di accessi si conferma un test sicuro e utile per ridurre i ricoveri e per aumentarne l’appropriatezza. P250 I DUE ESTREMI DEL PERCORSO “DOLORE TORACICO” IN PRONTO SOCCORSO Donatella Livoli1, Cinzia Cancrini1, Alessandra Revello1, Antonio Simone1, Carmelo Ribis2, Andrea Ciolli2, Francesco Rocco Pugliese1 1 U.O.C. di Pronto Soccorso Medicina d’Urgenza, 2U.O.C. di Cardiologia, Ospedale Sandro Pertini, Roma Un appropriato iter diagnostico del DT in un PS ad elevato numero di accessi deve necessariamente riuscire ad individuare rapidamente i pazienti che richiedono un percorso di priorità per trattamento assicurare il miglior percorso clinico-assistenziale a tutti gli altri. Scopo del lavoro. Verificare la sensibilità del percorso “Dolore Toracico” nell’individuare tempestivamente tra tutti “tale sintomo di presentazione” quelli che richiedono un percorso di priorità (STEMI) e analizzare il ruolo del Test Ergometrico in PS per i pazienti potenzialmente dimissibili. Materiali e metodi. Sono stati confrontati i dati relativi al I semestre 2009 rispetto allo stesso periodo 2010 per valutare l’appropriatezza dell’applicazione e la sensibilità del percorso per il paziente con “dolore toracico”. Il percorso attivato dalla nostra UOC prevede l’esecuzione dell’ECG a 12 derivazioni al momento della valutazione al triage, interpretato dal medico della sala d’emergenza; nel caso di un riscontro di “ST sopraslivellato” il codice di priorità del paziente è “rosso” e si attiva il percorso di valutazione congiunta medico d’urgenza/cardiologo. Gli altri pazienti proseguono il percorso clinico diagnostico; i pazienti potenzialmente dimissibili con medio e basso rischio eseguono un test ergometrico in PS. Risultati preliminari. L’Ospedale Sandro Pertini (300 posti letto, UTIC 8 PL e laboratori di emodinamica attivo 24/7, ma in reperibilità notturna e festiva) registra circa 87000 accessi/anno in pronto soccorso, di questi circa il 4.3% si presenta riferendo come sintomo principale “dolore toracico”. Nel 2009 n. 83 cartelle sono state chiuse come STEMI; i tempi di chiusura, presi come riferimento per l’avvio all’emodinamica, sono stati 56 minuti di media. Nel 2010, a fronte di un numero di accessi per dolore toracico sovrapponibile, si sono registrati 87 STEMI i cui tempi di avvio in emodinamica sono risultati inferiori: tempo medio 52 minuti. L’età media 65 anni e mortalità 0.0602. I pazienti con medio e basso rischio sono stati sottoposti a T.E. predimissione. Nel 2009 sono stati chiusi 1582 pazienti con diagnosi dolore toracico; di questi 109 eseguivano T.E., 4 (3.6%) risultavano positivi. Nel 2010 dei 1437 pazienti con dolore toracico 206 eseguivano T.E. e 11 (5.3%) risultavano positivi. Conclusioni. L’esecuzione di ECG al triage e l’aderenza ai protocolli, consentono di ridurre i tempi di invio del paziente al percorso adeguato, con un out-come positivo, in particolare per i casi di STEMI. L’esecuzione del T.E. in PS ha aumentato la percentuale delle dimissioni in sicurezza (2009 il 32%, nel 2010 il 46%), ha ridotto la percentuale di ricoveri (2009 il 22%; 2010 il 20%) e ha permesso di identificare la bassa percentuale dei pazienti con ischemia inducibile (3.6%-2009; 5.2%-2010). P251 UN NUOVO TRATTAMENTO PER PAZIENTI CON ANGINA REFRATTARIA: RIVASCOLARIZZAZIONE MIOCARDICA MEDIANTE UTILIZZO DI ONDE D’URTO (EXTRACORPOREAL SHOCKWAVE MYOCARDIAL REVASCULARIZATION, ESMR) Gianluca Alunni, Maurizio D’Amico, Ilaria Meynet, Monica Andriani, Armando Deberardinis, Mario Campana, Elena Giraudi, Sebastiano Marra Azienda Universitario-Ospedaliera San Giovanni Battista, Torino Introduzione. Il trattamento corrente della malattia coronarica (CAD) ha tre opzioni terapeutiche: angioplastica coronarica percutanea (PCI), bypass (CABG), terapia farmacologica. La prognosi, ma soprattutto la qualità di vita dei pazienti sintomatici con una grave CAD, senza più indicazione del PCI o CABG, rimane comunque un problema in continuo aumento. Ad oggi, oltre la terapia medica, diverse terapie alternative sono emerse per alleviare i sintomi anginosi e la perfusione miocardica di questa pazienti, ma solo pochi dati hanno evidenziato una vera efficacia e sicurezza. Scopo. Valutare la perfusione miocardica distrettuale mediante SPECT dopo trattamento con onde d’urto a 3-6-12 mesi rispetto al pretrattamento (endpoint primario). Valutare inoltre il miglioramento della classe funzionale (CCS), della frazione d’eiezione (EF), consumo di trinitrina e ricoveri ospedalieri (endpoint secondari). G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 101S roduzione. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO po. todi. ultati. nclusioni. Metodi. Abbiamo trattato 15 pazienti con severa malattia coronarica, senza indicazione di una possibile PCI o CABG (età media 71±5.6 DS, 3 femmine e 12 maschi) mediante utilizzo di onde d’urto (ESMR) (200 colpi/spot a 0.09 mJ/mm per 20-40 punti, 3 volte alla settimana, con intervalli di 4 settimane per un totale di 3 mesi, nove trattamenti a paziente in totale). La zona ischemica da trattare veniva sistematicamente ricercata con scintigrafia miocardica da stress dipiridamolo (SPECT). Ogni paziente veniva sottoposto a un controllo pre-trattamento (basale e dopo stress) ed a 6 mesi dal trattamento (basale e dopo stress). Il follow-up dei pazienti è stato a 1, 3 clinico e a 6-12 clinico e strumentale (SPECT). Risultati. La terapia con onde d’urto cardiaca ha portato: - miglioramento dei sintomi (Canadian Cardiovascular Society, dal 2.8 (media) a 1.73 a 3 mesi a 1.27 a 6 mesi a 1.27 a 12 mesi; p<0.0001 sia a 3 che a 6 che 12 mesi); - non più utilizzo di nitrati a 3 e 6 mesi e nessuno ricovero a 3 e 6 mesi (p<0.001 per entrambi); - ha migliorato la perfusione miocardica globale a 6 mesi (+34% nel confronto tra i basali, p<0.021 e +42% p<0.0009 nel confronto tra gli stress test). Tale evidenza è stata confermata anche quando si sono analizzati i sottogruppi dei diversi gradi di perfusione scintigrafica (riduzione del 54% della classe 3 p<0.01 e del 75% della classe 4 p<0.01 nel confronto tra gli stress test pre e post-trattamento). Questi effetti positivi si sono protratti per 12 mesi. Nessuna complicazione procedurale o effetti avversi sia durante che nel follow-up. Conclusioni. La terapia con onde d’urto ha portato ad un significativo miglioramento della perfusione miocardica e di conseguenza ad un significativo miglioramento dei sintomi anginosi. Si è rivelata un trattamento efficace e non invasivo per pazienti con grave malattia coronarica in fase terminale. P252 ANGINA VARIANTE AL RECHALLENGE CON CAPECITABINA Veronica Dusi1, Marianna Aita2, Giuseppe Aprile2, Fabio Puglisi2, Chiara Lestuzzi3, Maria Grazia Baldin4 1 Dipartimento di Cardiologia Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università degli Studi, Pavia, 2Dipartimento di Oncologia, Ospedale Universitario di Udine, Udine, 3U.O. Cardiologia, Centro di Riferimento Oncologico, IRCCS, Aviano (PN), 4S.O.C. di Cardiologia, Ospedale di Palmanova, Palmanova (UD) Introduzione. La capecitabina (CAPE) è un analogo orale del 5fluorouracile, con profilo di tossicità cardiologica, a presumibile eziologia vasospastica, molto simile. Nelle pazienti con carcinoma mammario si associa ad un’incidenza complessiva del 3-9% di angina, infarto miocardico, aritmie ventricolari, morte cardiaca improvvisa. Si descrive un caso di angina variante al rechallenge con CAPE. Caso. Una donna di 46 anni in premenopausa viene valutata per rechallenge di chemioterapia (CT) con CAPE per recente (4.02.10) progressione epatica di carcinoma mammario duttale infiltrante. La paziente era stata sottoposta nel 2006 a 4 cicli di CT neoadiuvante con doxorubicina e ciclofosfamide, senza segni né sintomi di cardiotossicità; in data 16.11.06 aveva iniziato il primo dei 4 cicli previsti di paclitaxel e CAPE (1850 mg/m2/die). Il 21.11 accesso al DEA per dolore toracico atipico; all’ECG sopra-ST da V4 a V6 e in DI-aVL; troponina I (TnI) picco 0.27 ng/ml (normalità <0.09 ng/ml). L’ecocardiogramma evidenzia ipocinesia inferodorsale con frazione d’eiezione conservata. L’angiocardioscintigrafia del 23.11 non mostra discinesie. Il quadro è ritenuto compatibile con miopericardite: si interrompe CAPE e si somministra ASA per un mese, con risoluzione dei sintomi e normalizzazione dell’elettrocardiogramma e dell’ecocardiogramma. La paziente riceve quindi trastuzumab adiuvante, e a seguire trastuzumab come terapia di prima linea per metastasi sternali. Considerati il dato anamnestico e le segnalazioni di letteratura, al rechallenge si programma stretto monitoraggio cardiaco, con dosaggio della CAPE ridotto a 1000 mg/m2/die. I primi ECG, a distanza di 2 e 3 giorni dall’avvio della CT (1.03.10), non mostrano alterazioni, la paziente è asintomatica. Il 5.03 esegue monitoraggio Holter 24 ore (H-Scribe Mortara 102S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 12 canali) con evidenza di 2 episodi (da 20:37 a 20:40 e da 20:50 a 21:08) di appiattimento dell’onda T/onda U prominente in sede laterale (associati a sensazione di costrizione epigastrica) e un episodio asintomatico (da 7:20 a 7:32) di sopra-ST inferiore e antero-laterale (max 4 mm). La paziente riceve in DEA amlodipina, nitrati e ASA. ECG, curva TnI ed ecocardiogramma sono negativi. In accordo con l’oncologo di riferimento sospende definitivamente CAPE e inizia CT di seconda linea con vinorelbina+trastuzumab. A completamento diagnostico si eseguono angio-TC coronarica (17.06: coronarie indenni) e cardio-RMN (27.07: non late enhancement né segni di miocardite). Si ipotizza pertanto che anche il primo episodio di cardiotossicità sia stato su base ischemica acuta con danno miocardico minore. Conclusione. La tossicità da CAPE con manifestazioni ischemiche acute e clinica spesso atipica è un effetto collaterale cardiaco frequente, anche se poco conosciuto e verosimilmente sotto diagnosticato. In assenza di linee guida condivise, l’ECG sec. Holter 24-48 ore su 12 canali eseguito in 4-6 giornata dall’inizio della CT si dimostra un esame ad alta resa diagnostica anche per episodi di ischemia silente. Come segnalato in letteratura il rechallenge pur a dose ridotta è ad alto rischio di recidiva e, se ritenuto indispensabile, necessita di stretto monitoraggio. P253 ACS DETECTION BY ECHO: LV WALL MOTION ASSESSMENT BY ECHO AS PRINCIPAL TOOL TO DIAGNOSE LCX-RELATED ACS Domenico Delfino, Manrico Partemi, Stenio Amabili, Emidio Nardini, Vito Maurizio Parato Chest Pain Unit and Echolab, Cardiology Unit, Mazzoni Hospital, Ascoli Piceno Introduction. The role of echocardiography in acute coronary syndrome (ACS) today is considered very important. Generally, the diagnosis of ACS is based on the medical history data, ECG and cardiac enzymes. Furthermore, echocardiography is an accurate, inexpensive, rapid and noninvasive test, with a high diagnostic and prognostic value, able to detect complications in ACS. By localizing and quantifying segmental wall motion abnormalities, echocardiography can identify the location and extent of the ischemia. But there is currently no consensus on the use of resting echocardiography for monitoring of patients with chest pain and suspected Acute Coronary Syndrome (ACS). We performed a study with the aim to assess the ability of resting echocardiography to detect an acute coronary syndrome (ACS) before the occurrence of ischemic ECG changes or Troponin-T elevation. Materials and methods. 403 patients who presented to the ER with chest pain, normal ECGs, and normal Troponin T levels were admitted to the cardiologist-run CPU for further monitoring. They underwent serial resting echocardiography for monitoring of left ventricle (LV) wall motion, ECG telemetry monitoring, and serial Troponin-T measurements. Results. An ACS was detected in 49 patients (12.1%). These 49 patients were then subdivided into 3 different groups, based on the initial mode of detection of their ACS. In group A, 16/49 (32.6%) of the patients had ACS shown by echocardiographic detection of LV wall-motion abnormalities. In group B, 24 out of 49 (48.9%) of patients had an ACS detected by ischemic ECG changes. In group C, 9 out of 49 (18.3%) patients had an ACS detected by Troponin T elevations. The shortest time interval between CPU-admission and ACS detection occurred in group A (A vs B p<0.03 and A vs C p<0.01). In group A, cardiac angiogram showed that the culprit coronary lesion was more frequently in the circumflex artery (11 out of 16; 68.7%) (LCx vs LAD p<0.02; LCx vs RCA p<0.001) and of these 11 patients with circumflex lesions, the ECG was normal in 8 (72.7%). Conclusion. This investigation demonstrates the usefulness of LV wallmotion monitoring by serial echocardiography as part of a diagnostic protocol that can be implemented in a CPU. Furthermore, echocardiography could become an essential tool used in the diagnosis of ACS secondary to circumflex lesions. P254 EFFETTI DIASTOLICI DELL’IVABRADINA NEL CORSO DEL FOLLOW-UP DI PAZIENTI INFARTUATI M. Pugliese, M.S. Fera, F. De Santis, R.L. Putini, A. Fiorella, E. Natale, P. Pino, G. Minardi, E. Giovannini Cardiologia I- UTIC, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale San Camillo, Roma È noto che il flusso miocardico subendocardico tende a diminuire anche in assenza di stenosi significative con l’aumentare della frequenza cardiaca, con la possibilità di determinare a frequenze molto elevate (>200 b/min) un disequilibrio tra domanda e offerta. Se presenti stenosi coronariche, ciò avviene anche per valori di frequenza cardiaca non particolarmente elevati. Tutto ciò può avere una conseguenza immediata sulla funzione diastolica del ventricolo sinistro. Scopo. Sono state analizzate le modifiche della funzione diastolica nel corso del follow-up dei pazienti (pz) infartuati, trattati con ivabradina. Tale farmaco riduce in modo selettivo la frequenza cardiaca, agendo attraverso una inibizione selettiva e specifica della corrente pacemaker cardiaca If. Metodi. Abbiamo studiato 40 pz, omogenei per età e sesso, tutti con storia di infarto miocardico negli ultimi 6 mesi, sottoposti a rivascolarizzazione coronarica (dell’arteria responsabile) mediante PCI e con FE compresa tra 40-50% e frequenza cardiaca rilevata al momento dell’arruolamento 74±4 POSTER Materiale e metodo. Da un database in cui sono stati inseriti dal 1998 tutti i pazienti consecutivi afferenti ad un ambulatorio specialistico cardiologico dell’ASP, sono stati selezionati i pazienti che erano stati dimessi da strutture ospedaliere con diagnosi di angina instabile o IMA. Sono stati esclusi i pazienti con documentazione incompleta e/o con terapia effettuata non nota. Sono stati presi pertanto in considerazione 907 pazienti, di cui 559 maschi, età media 70 anni, 418 con pregresso IMA, 277 sottoposti a rivascolarizzazione di cui 147 con PCI. Dei 480 pazienti che avevano avuto nell’ambulatorio due o più controlli nel tempo, è stato preso in considerazione l’ultimo controllo. Risultati e conclusione. Su 907 pazienti 49 (5.4%), di cui 9 dimessi con diagnosi di pregresso IMA, non utilizzavano nessuno dei 4 farmaci raccomandati; 141 pazienti ne utilizzavano 1; 271 2 farmaci; 274 3 farmaci; 172 tutti e 4 i farmaci. Dividendo i pazienti per anno di osservazione dal 1998 ad oggi è stato osservato un trend di crescita di aderenza alle LG portandosi nel 2009 al 65% nell’utilizzo di 3 o 4 farmaci ed al 78% per i primi 10 mesi del 2010. Per la tipologia del farmaco è stato osservato per l’ASA e/o tienopiridinici un utilizzo nel 2010 del 96%, per l’ACE-I/sartano del 76%, per le statine del 75%, per i betabloccanti del 68%. L’implementazione del trattamento secondo le LG è condizionata da un importante incremento dal 2008 dei pazienti rivascolarizzati in evidente rapporto con l’attivazione dell’emodinamica e dell’h24 nell’Azienda ospedaliera a cui afferisce il territorio. Infatti nei controlli effettuati nei primi 10 mesi del 2010 35 pazienti avevano effettuato PCI e 26 by-pass Ao-C, il 47% di tutti i pazienti post SCA venuti in osservazione di cui il 90% era in trattamento con 3 o 4 farmaci contro il 67% degli ischemici non rivascolarizzati. Dividendo la popolazione studiata in due gruppi di cinque anni 1999-2003 e 2004-2008, escludendo pertanto gli ultimi due anni, in cui i pazienti rivascolarizzati più o meno si presentavano nello stesso numero anno per anno, è strato trovato che i pazienti con trattamento con 3 o 4 farmaci era salito dal 34 al 54%. P255 Il trend in crescita dell’utilizzo di combinazioni di farmaci indicati dalle VARIAZIONE DELL’ADERENZA PRESCRITTIVA SECONDO LE LINEE GUIDA LGDOPO evidenzia una ZIONE DELL’ADERENZA PRESCRITTIVA SECONDO LE LINEE GUIDA IN PAZIENTI SCA INprogressiva e maggiore attenzione nella prescrizione IN PAZIENTI DOPO SCA IN CONTROLLI SUCCESSIVI nei pazienti post SCA, con un miglior trattamento per i pazienti con OLLI SUCCESSIVI Gianfranco Parise pregresso IMA, che diventa ancora maggiore per quelli sottoposti a Cardiologia, Poliambulatorio di Quattromiglia, ASP Cosenza, Rende (CS) rivascolarizzazione. Scopi della ricerca. Verificare nel tempo l’aderenza al trattamento con la terapia prevista e ai consigli sullo stile di vita secondo le linee guida (LG) della ricerca.nei pazienti con cardiopatia ischemica cronica post SCA ritornati in successivi controlli. Circolo coronarico e periferico Materiale e metodo. Da un database in cui sono stati inseriti dal 1998 tutti i pazienti consecutivi afferenti ad un ambulatorio specialistico cardiologico P257 ale e metodo. dell’ASP sono stati selezionati 275 pazienti con diagnosi di angina instabile RUOLO DEL TNF-α IN MODELLO SPERIMENTALE DI DIABETE DI TIPO II o IMA alla dimissione da strutture ospedaliere, che non avevano mai avuto Stefano Capobianco1, Xue Gao2, Cuihua Zhang2, Dario Formigli1, controlli precedenti all’evento acuto e che avevano avuto dopo il primo un Marino Scherillo1 successivo controllo a distanza non inferiore all’anno. Sono stai esclusi 1 Cardiology Department, Gaetano Rummo Hospital, Benevento, quelli con documentazione incompleta e/o con terapia effettuata non 2 Department of Veterinary Physiology and Pharmacology, nota. 171 pazienti sono maschi, 104 femmine, età media 67 anni al primo Texas A&M University, College Station, Texas, USA controllo 72 anni all’ultimo, 75 rivascolarizzati di cui 51 con BPCA. È stata Background. Abbiamo ipotizzato che la citochina tumor necrosis factor-α valutata l’aderenza prescrittiva all’utilizzo dei farmaci raccomandati dalle (TNF-α) produca disfunzione endoteliale nel diabete di tipo II (NIDDM). LG, ASA e/o tienopiridinico, ACE-I o sartano, statina, betabloccante e agli Materiali e metodi. Abbiamo utilizzato animali da esperimento (mice) stili di vita. di età compresa tre le 20 e le 24 settimane, in gruppi così suddivisi: Risultati e conclusione. I pazienti che non utilizzavano i farmaci gruppo eterozigote di controllo (m Lepr-db mice; n=20), omozigote ti e conclusione. raccomandati sono diminuiti dal primo all’ultimo controllo da 22 a 9, diabete tipo II (Lepr-db mice; n=20) e omozigote diabete tipo II “null” quelli che ne utilizzavano uno solo da 65 a 33, due farmaci da 104 a 84, per TNF (dbTNF-/dbTNF- mice; n=20). Abbiamo prelevato dal cuore degli mentre i pazienti che utilizzano tre farmaci sono aumentati da 56 a 86, e animali sacrificati delle arteriole coronariche di diametro compreso tra quelli con quattro da 28 a 63. L’utilizzo dell’aspirina ha avuto un 40 e 100 μm e, dopo averle incannulate ad entrambi gli estremi incremento di +7.30%; i betabloccanti del +12.18%; l’ACE-I o sartano e le mediante pipette di vetro, le abbiamo pressurizzate mediante un sistema statine rispettivamente del +17.58 e del +19.45%. I pazienti che non chiuso ad una pressione endoluminale di 60 cmH2O. Il vaso incannulato hanno sospeso il fumo sono passati da 28 a 23; la media dell’indice di veniva successivamente adagiato in una vaschetta piena di soluzione massa corporea è rimasta immodificata intorno al 28.6. fisiologica contenente BSA all’1% e mantenuto ad una temperatura Il trend in crescita dell’utilizzo di combinazioni di farmaci indicati dalle costante di 37ºC. Dopo avere indotto il tono vascolare nominale LG evidenzia una progressiva e maggiore attenzione nella prescrizione mediante endotelina-I, abbiamo testato la risposta vasomotoria sotto nei pazienti post SCA, con una implementazione della terapia nell’arco di differenti stimoli. (SNP, acetilcolina, iperemia attiva). tempo medio di circa 5 anni negli stessi pazienti, con scarsi risultati sulle Risultati. Nel gruppo controllo (m Lepr-db), il nitroprussiato di sodio (SNP) modifiche dello stile di vita. e l’acetilcolina (Ach) inducevano vasodilatazione dose-dipendente e la b/min. Età media 71±9 anni. Tutti erano trattati con terapia piena mediante ace-inibitori o sartanici, beta-bloccanti, statine, antiaggreganti, diuretici. In 20 pz (gruppo A) è stata aggiunta ivabradina in terapia al dosaggio di 5 mg bid fino a 7.5 mg bid, al fine di raggiungere una FC pari a 60/m. Il trattamento con ivabradina è iniziato ad un mese dall’infarto ed in condizioni di stabilità clinica. Nessun paziente era affetto da insufficienza epatica o renale di grado severo. In nessun caso vi era malattia del NSA. I pz erano tutti in classe NYHA I-II. Nessun paziente riferiva sintomatologia anginosa nell’ultimo mese. Non vi erano problemi di QT lungo nei pz considerati. È stata valutata la funzione diastolica mediante l’eco-Doppler (E/A e DT) e la tecnica TDI (rapporto E/e’) in tutti i pz, al momento dell’arruolamento ad 1 mese e dopo 3 mesi. È stata effettuata l’analisi statistica mediante il test T di Student ad 1 coda sui due gruppi di pz: gruppo A (20 pz con terapia standard con ivabradina), gruppo B (20 pz. con terapia standard senza ivabradina). Risultati. Il confronto delle medie (gruppo A vs gruppo B) dei valori del rapporto E/e’ nelle varie fasi dello studio, ha dato tali risultati: basale (10 vs 9.9) p=0.46; 1 mese (7.7 vs 9.2) p=0.03; 3 mesi (8 vs 9.2) p=0.07. Riguardo al pattern eco-Doppler transmitralico il confronto delle medie dei valori del rapporto E/A e del DT ha mostrato un miglioramento a favore del gruppo A sia ad 1 mese che a 3 mesi (p=0.04). L’utilizzo dell’ivabradina nei pz con una frequenza cardiaca non ottimale si è dimostrato efficace nel migliorare il pattern eco-Doppler e TDI di funzione diastolica. Il risultato positivo sul miglioramento della funzione diastolica è stato registrato già ad 1 mese di follow-up, ed è stato mantenuto a 3 mesi. Conclusioni. Tali risultati pur con la limitazione della numerosità campionaria, confermano gli effetti positivi dell’ivabradina nel migliorare la funzione diastolica dei pazienti ischemici. P256 TREND DELL’ADERENZA PRESCRITTIVA DOPO SCA NELL’ULTIMO DECENNIO IN UNA POPOLAZIONE Gianfranco Parise Cardiologia, Poliambulatorio di Quattromiglia, ASP Cosenza, Rende (CS) Scopi della ricerca. Verificare l’andamento dell’aderenza prescrittiva dopo SCA nell’ultimo decennio in una popolazione della Media Valle del Crati nell’azienda territoriale di Cosenza. L’aderenza si riferiva all’utilizzo di uno o più farmaci raccomandati dalle linee guida (LG): ASA e/o tienopiridinico, ACE-I o sartano, statina, betabloccante. dilatazione indotta dall’acetilcolina era bloccata dalla NG-monometil-Larginina, un inibitore della NO-sintasi. Nel gruppo Diabete (Lepr-db), la vasodilatazione indotta dall’iperemia e dall’acetilcolina era ridotta rispetto al gruppo controllo, ma il nitroprussiato di sodio causava una dilatazione quantitativamente comparabile a quella ottenuta nel gruppo controllo (p<0.05). Nell’animale diabetico senza TNF (dbTNF-/dbTNF-), la vasodilatazione indotta dall’iperemia e dall’acetilcolina era maggiore rispetto al gruppo diabetico (Lepr-db) e paragonabile al gruppo controllo (m Lepr-db) (p<0.05). La concentrazione plasmatica di TNF era significativamente aumentata nel gruppo diabetico (Lepr-db) quando comparata con quella rilevata nel gruppo controllo (m Lepr-db). La Real Time-PCR e il Western blotting mostravano che la concertazione di mRNA e l’espressione proteica del TNF e del fattore nucleare-kb (NF-kB) erano aumentati nel gruppo diabetico (Lepr-db) rispetto al gruppo controllo (m Lepr-db) (p<0.05). La somministrazione di anticorpo anti-TNF e di sRAGE (receptor for advanced glycosylation end products) riduceva l’espressione di NF-kB e di TNF nel gruppo diabetico (Lepr-db) (p<0.05). L’immunostaining mostrava che il TNF era localizzato prevalentemente nelle cellule muscolari lisce vascolari piuttosto che nei miocardiociti e nelle cellule endoteliali. La produzione di anione superossido era elevata nei microvasi del gruppo diabetico (Lepr-db) mentre era quasi nulla nel gruppo controllo (Lepr-db) (p<0.05). La somministrazione di superoxidescavengers (TEMPOL), di inibitore della NADPH (apocinina) o di anticorpo anti-TNF ripristinava la vasodilatazione endotelio-dipendente nel gruppo G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 103S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO diabetico (Lepr-db).L’attività della NAD(P)H ossidasi, l’espressione proteica di nitrotirosina e la produzione di perossido di idrogeno erano aumentate nel gruppo diabetico (Lepr-db) rispetto al gruppo controllo (m Lepr-db), ma queste variabili erano riportate ai livelli di controllo dalla somministrazione di anticorpo anti-TNF. Conclusioni. Il signaling e i pathway coinvolgenti AGE/RAGE e NF-kB giocano un ruolo di fondamentale importanza nell’espressione di TNF attraverso l’aumento di produzione (sistemica e locale/vascolare) di TNF nel topo affetto da diabete mellito di tipo II (NIDDM). L’aumento della produzione e dell’espressione proteica di TNF-α induce l’attivazione della NAD(P)H ossidasi e la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) che portano a disfunzione endoteliale in modelli di diabete mellito tipo II. ma tale risposta era significativamente attenuata nel gruppo diabetico rispetto al gruppo controllo (p<0.05). La vasodilatazione acetilcolinodipendente in presenza di L-NAME e di indometacina (inibitori rispettivamente dell NO sintasi e della prostaglandina-sintasi) era quasi completamente abolita nel gruppo controllo (m Leprdb) e non veniva, per converso, ulteriormente ridotta nel gruppo diabetico (Leprdb) (p<0.05). Questa funzione endoteliale residua e indipendente dall’NO è da ascrivere alla attività, anche essa endotelio-dipendente, dell’EDHF. Conclusioni. L’EDHF gioca un ruolo di fondamentale importanza nel mantenere un certo grado di funzione endoteliale nel diabete di tipo II. P260 P258 ENDOTHELIAL-DEPENDENT VASOMOTOR DYSFUNCTION AS A PATHOGENETIC MECHANISM OF STRESS-INDUCED ISCHEMIC CARDIOMYOPATHY (TAKO-TSUBO SYNDROME) Edoardo Verna, Andrea Pozzi, Sergio Ghiringhelli, Chiara Minoia, Stefano Provasoli, Jorge Salerno-Uriarte U.O di Cardiologia I, Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Università degli Studi dell’Insubria, Varese Background. There is a general consensus considering stress-induced transient left ventricular apical ballooning syndrome (tako-tsubo syndrome, TTS) as a form of post-ischemic myocardial stunning. However, its etiology remains unclear. Patients and methods. We evaluated coronary vasomotor function and intravascular ultrasound vessel histology (IVUS) in 27 consecutive patients (17 women and 4 men, mean age 68 years) in the acute phase of stressrelated TTS (6±2 hours from symptom onset). Results. Occult atherosclerosis with different degree of plaque formation was found in all but one patient despite normal angiographic appearance. The virtual histology characteristics of “thin cup fibroatheroma” was observed in 12 (41%) patients. Selective administration of the endothelium-dependent vasodilator Acetylcholine resulted in a paradoxical vasoconstriction of the epicardial vessel in 24 (88.5%) patients. An attenuation of the hyperemic response of the coronary microcirculation to the non-endothelium dependent vasodilator adenosine was found in 22 (76%) patients. Four patients also showed intramyocardial course of the mid left anterior descending artery by IVUS imaging with an obstructive Doppler flow pattern. Recovery of regional left ventricular wall motion by echocardiography was observed in all patients. Conclusions. In TTS patients occult atherosclerosis and endothelial dysfunction are common. Stress induced catecholamine-mediated sustained paradoxical coronary vasoconstriction due to endothelial dysfunction may be the pathophysiological mechanism of severe transient post-ischemic myocardial stunning in TTS. LA DIVERSA REATTIVITÀ VASCOLARE ALL’ADENOSINA MODIFICA I CRITERI DI VALUTAZIONE DELLA FFR NELL’UOMO E NELLA DONNA? Massimo Fineschi1, Tommaso Gori2, Giuseppe Guerrieri3, Elisabetta Palmerini3, Carlo Pierli1, Sergio Mondillo3 1 U.O.C. di Emodinamica, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Siena, 2 Klinikum der Johannes Gutenberg, Universität Mainz, Mainz, Germany, 3 U.O.C. di Cardiologia Universitaria, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Siena Background. L’utilizzo della fractional flow reserve (FFR) permette di indagare il significato funzionale di una stenosi coronarica di grado intermedio. Dal momento che l’uso della FFR richiede il raggiungimento dell’iperemia massimale, questa metodica è basata sull’assunto che la risposta microvascolare ai vasodilatatori sia omogenea in tutti i pazienti. Diversi studi, al contrario, hanno dimostrato che fattori come il sesso o la presenza di comorbilità modificano in modo significativo la reattività del microcircolo ai vasodilatatori normalmente utilizzati. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’influenza del genere maschile e femminile sulla misurazione della FFR. Metodi e risultati. Sono state valutate 138 stenosi angiograficamente intermedie (40-70%) in 113 pazienti (38 donne, 33%). La severità della lesione veniva determinata con l’angiografia coronarica quantitativa. Non c’era differenza tra maschi e femmine nella severità angiografica della stenosi, nei valori di pressione arteriosa, età, presenza di comorbilità e fattori di rischio cardiovascolare (p>0.2 per tutti). Il rapporto al basale tra la pressione distale alla stenosi (Pd) e la pressione prossimale alla stenosi (Pa) risultava simile nei due gruppi (uomini: 0.93±0.05; donne 0.93±0.05). Il valore di Pa durante l’infusione di adenosina risultava sensibilmente, ma non significativamente, più basso negli uomini (uomini: 86±17 mmHg; donne: 90±15 mmHg; p=0.2); al contrario, il valore di Pd risultava significativamente più basso negli uomini (67±15 mmHg contro 75±14 mmHg; p<0.001). In accordo con questo dato, sia la FFR (uomini: 0.79±0.01; donne: 0.84±0.01; p<0.001) sia il delta tra il Pd/Pa di base e il Pd/Pa dopo iperemia (uomini: 0.13±0.07; donne: 0.09±0.07; p<0.001) risultavano significativamente differenti nei due gruppi. Conclusioni. Il sesso ha una forte influenza sulla risposta microcircolatoria a vasodilatatori come l’adenosina. Allo stesso modo, esso ha un impatto significativo sui valori di FFR nelle stenosi coronariche di grado intermedio. P259 RUOLO COMPENSATORIO DELL’EDHF NELLA DISFUNZIONE ENDOTELIALE IN MODELLO SPERIMENTALE DI DIABETE DI TIPO II Stefano Capobianco1, Yoonjung Park2, Cuihua Zhang2, Dario Formigli1, Vitangelo Franco1, Marino Scherillo1 1 Cardiology Department, Gaetano Rummo Hospital, Benevento, 2 Department of Veterinary Physiology & Pharmacology, Texas A&M University, College Station, Texas, USA Background. L’EDHF (endothelium-derived hyperpolarizing factor) sembra giocare un ruolo di fondamentale importanza nel mantenere la funzione endoteliale quando quella NO-dipendente sia ridotta o abolita in presenza di diabete mellito. Nella nostra osservazione abbiamo esplorato il ruolo dell’EDHF in animali da esperimento (Mice) affetti da Diabete mellito di tipo II valutando la risposta vasomotoria endotelio dipendente ed endotelioindipendente di vasi di resistenza coronarici (40-100 μm) prelevati dai cuori e sottoposti a studio funzionale in vitro in presenza di inibitore dell’NOsintasi NG-nitro-L-arginina-metilestere (L-NAME) e dell’inibitore della prostaglandina-sintasi, indometacina (Indo, Cox inhibitor). Materiali e metodi. Abbiamo utilizzato animali da esperimento (mice) di età compresa tre le 20 e le 24 settimane, in gruppi così suddivisi: gruppo eterozigote di controllo (m Lepr-db mice; n=20), omozigote diabete tipo II (Lepr-db mice; n=20) e omozigote diabete tipo II “null” per TNF (dbTNF-/dbTNF- mice; n=20). Abbiamo prelevato dal cuore degli animali sacrificati delle arteriole coronariche di diametro compreso tra 40 e 100 μm e, dopo averle incannulate ad entrambi gli estremi mediante pipette di vetro, le abbiamo pressurizzate mediante un sistema chiuso ad una pressione endoluminale di 60 cmH2O. Il vaso incannulato veniva successivamente adagiato in una vaschetta piena di soluzione fisiologica contenente BSA all’1% e mantenuto ad una temperatura costante di 37ºC. Dopo avere indotto il tono vascolare nominale mediante endotelina-I, abbiamo testato la risposta vasomotoria sotto differenti stimoli (acetilcolina, SNP). Risultati. Le arteriole coronariche isolate dal gruppo controllo (m Leprdb) e dal gruppo diabetico (Leprdb) mostravano una risposta vasodilatatoria al sodio nitroprussiato (SNP, un vasodilatatore endotelio-indipendente) assolutamente identica e concentazione-dipendente. Al contrario, le arteriole coronariche isolate dal gruppo controllo (m Leprdb) e dal gruppo diabetico (Leprdb) mostravano una risposta vasodilatatoria concentrazionedipendente all’Acetilcolina (Ach, un vasodilatatore endotelio-dipendente) 104S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P261 MYOCARDIAL TISSUE ABNORMALITIES UNDERLYING VALUES OF CORONARY FLOW RESERVE IN PATIENTS WITH ACUTE MYOCARDIAL INFARCTION. A STUDY PERFORMED BY CARDIAC MAGNETIC RESONANCE Martina Perazzolo Marra1, Francesco Tona1, Luisa Cacciavillani1, Roberta Montisci2, Giuseppe Tarantini1, Francesco Corbetti3, Manuel De Lazzari1, Lalenis Charalampos1, Paolo China1, Sabino Iliceto1 1 Clinical Cardiology, Department of Cardiac, Thoracic and Vascular Sciences, University of Padova, Padova, 2Clinical Cardiology, University of Cagliari, Cagliari, 3Division of Radiology, Padova Background. Contrast-enhanced magnetic resonance imaging (CE-MRI) allows characterization of the myocardial and microvascular injury after acute myocardial infarction (AMI). Moreover, coronary flow reserve (CFR) measurements by transthoracic echocardiography may provide functional assessment of the microvasculature despite coronary artery flow restoration by primary percutaneous intervention (PCI) in AMI. Aim. The aim of this study was to detect the capability of CE-MRI to detect structural determinants of CFR, in particular evaluating the relationship between different CFR values and necrosis, microvascular damage on CEMRI in patients with reperfused anterior AMI. Methods. CFR by transthoracic echocardiography in the left anterior descending coronary artery and CE-MRI were studied in 68 patients (57 males, aged 58±13 years) with anterior AMI, who underwent PCI. CFR ≤2.5 was considered abnormal. On CE-MRI myocardial infarction was labelled as transmural necrosis (TN) if hyperenhancement was extended to ≥75% of the thickness of at least 2 contiguous segments; microvascular impairment was evaluated both as first pass defects and as delayed hypoenhancement. Infarct size index (ISI) was assessed as fraction of the sum of score in each 17 segments. Results. Median pain–to–balloon time was 165 min. Multiple linear regression analysis showed that TN (P<0.05) and previous myocardial infarction (P<0.05) were the only independent determinants of CFR. Multiple logistic regression analysis showed that only TN (p=0.035; OR 3.29, 95%CI 1.087-9.954) and first pass defects (p=0.05;OR 2.89, 95%CI 1.002-8.358), but no delayed hypoenhancement (p>0.05) were predictors of CFR ≤2.5. The highest probability for patients with anterior AMI having a CFR ≤2.5 occurred in patients with higher ISI (Figure). ons. P263 DISSEZIONE CORONARICA SPONTANEA: UN DILEMMA TERAPEUTICO Introduzione. POSTER Conclusions. Transmurality and first pass defects on CE-MRI are independent determinants of microvascular damage detected by echoderived CFR in anterior AMI patients. Highest ISI increase the probability to have a pathologic CFR (≤2.5). Metodi. Dei 1252 pazienti consecutivi sottoposti a coronarografia presso il nostro laboratorio di emodinamica per sindrome coronarica acuta dal gennaio 2009 al dicembre 2010 sono stati identificati 5 casi di DCS. Sono stati analizzati parametri demografici, clinici, strumentali e terapeutici Metodi. all’ingresso e al controllo clinico-strumentale. Risultati. Nel periodo di osservazione stati individuati 5 casi di DCS che rappresentano lo 0,4% dei casi di sindrome coronarica acuta sottoposta a coronarografia. In tabella sono riportate le caratteristiche della popolazione Risultati. in esame, il tipo di trattamento intrapreso e l’outcome clinico/strumentale. Età (anni) Sesso Presentazione clinica Comorbilità Postpartum Coronaria coinvolta Interessamento multivaso P262 CORONARY MICROVASCULAR DYSFUNCTION IN OBESE PATIENTS WITH LOW FRAMINGHAM RISK SCORE AND WITHOUT OBSTRUCTIVE CORONARY DISEASE: NEW EVIDENCE OF THE RELATIONSHIP BETWEEN SYSTEMIC INFLAMMATION AND CORONARY MICROVASCULOPATHY Leonardo Di Ascenzo1, Roberto Serra2, Elena Osto1, Alessandro Scarda2, Roberto Fabris2, Roberta Montisci3, Andrea Giovagnoni4, Roberto Vettor2, Sabino Iliceto1, Francesco Tona1 1 Department of Cardiological, Thoracic and Vascular Sciences, University of Padova, Padova, 2Department of Medical and Surgical Sciences, University of Padova, Padova, 3Department of Cardiological and Neurological Sciences, University of Cagliari, Cagliari, 4Department of Radiology, Abano Terme Hospital, Abano Terme Background. Several evidences show that obesity is associated with structural and functional changes in the heart and it is independently associated with increased cardiovascular risk. However, possible mechanisms through which early obesity affects coronary microvascular function remain uncertain. Methods and results. 86 obese subjects (62F, aged 44±12 years, BMI 41±8) without clinical evidence of heart disease and 48 lean controls matched for age and gender were studied. Coronary flow velocity in the left anterior descending coronary artery was detected by transthoracic Doppler echocardiography at rest and during adenosine infusion. Coronary flow velocity reserve (CFVR) was the ratio of hyperaemic diastolic flow velocity (DFV) to resting DFV. CFVR ≤2.5 was considered abnormal and patients with abnormal CFVR underwent to multislice computed tomography (MSCT) in order to exclude an epicardial coronary stenosis. CFVR was abnormal in 27 (31%) obese subjects and in 2 (4%) controls (p<0.0001). All subjects with abnormal CFVR were normal at MSCT. At multivariable linear regression analysis, IL-6 and TNF-a were the only determinants of CFVR (p<0.02 and p<0.02, respectively). At multivariable logistic regression analysis, IL-6 and TNF-a were the only determinants of CFVR ≤2.5 (p<0.03 and p<0.03, respectively). Conclusions. CFVR is often reduced in obese subjects without clinical evidence of heart disease, suggesting a preclinical coronary microvascular impairment. This microvascular dysfunction seems to be related to an inflammatory chronic process, enlarged by adipocytokines. Our findings may explain the increased risk of cardiovascular disease in obesity, independently of body mass index. P263 DISSEZIONE CORONARICA SPONTANEA: UN DILEMMA TERAPEUTICO Alberto Roman-Pognuz, Margherita Cinello, Matteo Cassin, Franco Macor, Riccardo Neri, Fauzia Vendrametto, Gianluigi Rellini, Valeria Leonelli, Gian Luigi Nicolosi Cardiologia, ARC, A.O. S. Maria degli Angeli, Pordenone Introduzione. La dissezione coronarica spontanea (DCS) è caratterizzata dalla formazione di un ematoma intramurale o, più raramente, da una lesione intimale con dissezione secondaria della parete del vaso. La DCS è una causa rara, ma potenzialmente fatale di sindrome coronarica acuta (SCA) (0.2% circa), che colpisce più frequentemente le donne e di queste il 30% nel periodo peripartum. Tra le altre cause sono riportate condizioni quali l’uso di contraccettivi orali, cocaina, ciclosporina, patologie autoimmuni, il trauma toracico e la patologia aterosclerotica. Nel sospetto di DCS, il gold standard è ancora la coronarografia, ma spesso per la diagnosi conclusiva sono necessarie altre metodiche diagnostiche quali l’ecografia intravascolare (IVUS) e la tomografia a coerenza ottica (OCT). Attualmente non esistono delle linee guida specifiche di trattamento e la gestione terapeutica è sovrapponibile a quella delle SCA su base aterosclerotica. Le incertezze maggiori riguardano l’utilizzo della terapia anticoagulante ed antiaggregante che può essere controproducente. Scopo di questo lavoro è presentare la casistica del nostro centro relativa all’ultimo biennio con particolare riferimento all’outcome clinico e strumentale, correlandolo al trattamento intrapreso. ASA Clopidogrel GpIIbIIIa Eparina Fibrinolisi Indagine diagnostica PTCA/CABG Follow-up (FU) clinico FU strumentale Caso 1 Caso 2 Caso 3 Caso 4 Caso 5 31 F STEMI 60 F NSTEMI 45 F STEMI 56 F NSTEMI 59 F NSTEMI Nessuna Epatite B, gastrite cronica Fenomeno Raynaud Tiroidine cronica autoimmune Si Discendente anteriore No Circonflessa No Discendente anteriore No Circonflessa Ipertensione arteriosa importante No Discendente anteriore No No No No No Si No No Si No Coronarografia, IVUS No Si Si No Si No Si Si No Si No Si No No Si No Coronarografia Coronarografia Coronarografia No No No Si No No Si No Coronarografia, IVUS No 12 mesi 6 mesi 2 mesi 12 mesi 12 mesi 3 mesi. Risoluzione completa. 1 mese. Progressione angiografica. TIMI 3 1 mese. Progressione angiografica. TIMI 3 / 1 mese. Risoluzione completa. Conclusioni. Conclusioni. - Si conferma anche nella nostra casistica l’incidenza riportata in letteratura (0.4%). - In nessun caso è stata eseguita angioplastica coronarica, intervento chirurgico, fibrinolisi. - Il follow-up clinico è stato in tutti i casi favorevole. - I pazienti trattati con singolo antiaggregante (ASA) hanno mostrato una risoluzione completa del quadro angiografico, mentre i casi trattati con doppia antiaggregazione hanno mostrato una progressione del quadro. P264 AGE AT MENARCHE INDEPENDENTLY INCREASES CAROTID INTIMA-MEDIA THICKNESS IN OVERWEIGHT/OBESE WOMEN Giovanni De Pergola1, Maria Teresa Porcelli2, Marco Matteo Ciccone3, Rosa Carbonara3, Pietro Scicchitano3, Michele Gesualdo3, Annapaola Zito3, Pasquale Caldarola4 1 DETO, Sezione Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi, Bari, 2Divisione di Cardiologia, Ospedale Sarcone, Terlizzi (BA), 3 DETO Sezione Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi, Bari, 4Divisione di Cardiologia, Ospedale San Paolo, Bari Objective. It is not known whether age at menarche is determinant for cardiovascular risk. We aimed to determine whether menarcheal age is an independent predictor of common carotid artery intima-media thickness (CCA-IMT) in adulthood. Methods. We examined the associations of CCA-IMT with menarcheal age, BMI, central fat accumulation (indirectly measured by waist circumference), and other well known cardiovascular risk factors such as blood pressure levels, fasting serum insulin, glucose, and lipid (cholesterol, HDL-cholesterol, and triglyceride) concentrations, and the level of insulin resistance (estimated by homeostasis model assessment for insulin resistance [HOMAIR]) in a sample of 403 women, mainly overweight and obese patients, aged 18-72 years. Results. CCA-IMT was significantly and positively correlated with age, age of menarche, waist circumference, systolic and diastolic blood pressure, and fasting blood glucose, triglyceride and total cholesterol levels and negatively associated with HDL cholesterol. In a multivariable analysis in which these risk factors were mutually adjusted for, only age and age at menarche maintained an independent positive relationship with the CCA-IMT. Conclusion. This study shows that age at menarche is positively associated with the CCA-IMT, independently of age and common cardiovascular risk factors (adverse glucose and lipid levels, higher blood pressure, insulin resistance, body fatness and central body fat). These findings suggest that a delay in the age at menarche is “per se” an independent cardiovascular risk factor. P265 IS THERE A CORRELATION AMONG DURATION, SEVERITY OF OSAS DISEASE AND INCREASED CAROTID ARTERY INTIMA-MEDIA THICKNESS? Marco Matteo Ciccone1, Massimo Ruggiero2, Onofrio Resta3, Pierluigi Carratù3, Gianfranco Mitacchione1, Maria Teresa Porcelli4, Pietro Scicchitano1, Annapaola Zito1, Michele Gesualdo1, Pasquale Caldarola2 1 DETO Sez. Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi, Bari, 2Divisione di Cardiologia, Ospedale San Paolo, Bari, 3 Dipartimento di Pneumologia, Università degli Studi, Bari, 4Divisione di Cardiologia, Ospedale Sarcone, Terlizzi (BA) Introduction. Obstructive sleep apnoea syndrome (OSAS) is a common G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 105S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO airways disease recognized as an independent cardiovascular risk factor. This pathology is often associated to obesity, diabetes and dyslipidemia, and through its patho-physiological consequences, such as hypoxia, hypercapnia, micro arousals, sympathetic hyperactivity, oxidative stress, systemic inflammation and hypercoagulability, it has been involved in the development of hypertension, endothelial dysfunction, higher values of intima-media thickness (IMT), i.e., all elements able to bring to atherosclerosis. Nowadays the relationship between higher degree of OSAS severity and higher values of IMT (a parameter of atherosclerosis risk) is largely known. The aim of our study was to demonstrate a relationship between the time of onset of OSAS and the values of intimamedia thickness. Methods. We enrolled 156 patients (125 men and 31 women, mean age: 60±12 years) affected by OSAS of different severity, not all in continuous positive airways pressure (CPAP) therapy, some of them also affected by hypertension, dyslipidemia and diabetes. Patients underwent evaluation of carotid artery IMT and answered a questionnaire investigating the time of onset of disease (this last was also submitted to a person that knew the older sleeping habits of the patient). Results. Data obtained from this study demonstrated the statistically significant presence of an higher IMT value in the patients who have an older onset of disease (p<0.01). Conclusions. Our study clearly shows that the time of pathology onset is an important data correlating with higher values of IMT and then with an elevated atherosclerosis risk in those patients. P266 PROCEDURAL SUCCESS AND CLINICAL FOLLOW-UP IN ENDOVASCULAR TREATMENT FOR TASC II C AND D LESIONS IN FEMOROPOPLITEAL ARTERIAL DISEASE Alessandro Furgieri1, Fausto Castriota2, Giuseppe Cagnazzo1, Marianna Miranda1, Giancarlo Biamino2, Alberto Cremonesi2, Armando Liso1 1 Interventional Cardio Angiology Unit, GVM Care and Research, Lecce, 2 Interventional Cardio Angiology Unit, GVM Care and Research, Cotignola Aim. To assess the technical success and clinical follow-up after endovascular treatment of femoropopliteal arterial disease TASC II C and D lesions in patients suffering of critical limb ischemia (CLI) and lifestylelimiting claudication (IC) in a single expert centre. Methods. From January 2009 to December 2009 106 consecutive limbs in 95 patients with femoropopliteal segment TASC II C (n=39) and D (n=67) lesions were treated. Endovascular treatment consisted of percutaneous transluminal angioplasty (PTA), subintimal recanalization and PTA, and stent graft if needed. Patients were evaluated at 30 days, 6, 12, 18 months by clinical examination and a color duplex ultrasound. Results. 58% of procedures were performed on patients with IC (Rutherford clinical category III) and 42% were performed for CLI (Rutherford clinical categories: IV-VI). Technical success, defined as successful recanalization and treatment of occluded vessel, was achieved in 92.5% (96 of 106) of cases. Stenting was performed in 48% (n=51) of successful procedures. No death occurred in the perioperative period, while the 30 day mortality was 2.8% (3 of 106) all deaths occurred in the CLI groups. Complications occurred in 5.6% of all procedures (n=6): three arterial perforation (2.8%), two femoral artery pseudo-aneurysms (1.9%) and one arterio-venous fistula (0.9%). One year follow-up was achieved 82%. The primary and secondary patency at 1 year was 79.6 and 83% respectively. Amputations have been 4.7% (5 of 106) all performed in CLI groups. Conclusion. PTA for TASC II C and D femoropopliteal lesions showed a high procedural success, low complications and good one-year vessel patency. The endovascular treatment can delay amputation, preserving the native vessel and does not impede surgical bypass if needed. The endovascular treatment may be the first choice treatment even in femoropopliteal artery disease TASC II C and D lesions. P267 MID-TERM RESULTS OF ILIAC TASC C-D ANGIOPLASTY IN A SINGLE CENTER EXPERIENCE Marianna Miranda1, Fausto Castriota2, Alessandro Furgieri1, Daniale Oliviero1, Alberto Cremonesi2, Giancarlo Biamino1, Gerardo Di Matteo1, Armando Liso1 1 Città di Lecce Hospital, Lecce, 2Villa Maria Cecilia Hospital, Cotignola (RA) Aaim. Evaluation of percutaneous recanalization and mild-term followup of TASC C-D iliac stenosis, in patients with peripheral arterial obstructive disease. Material and methods. From March 2009 to December 2010, 52 consecutive patients with iliac lesions (30 stenoses, 22 occlusions) were treated by percutaneous transluminal angioplasty (PTA). According to Transatlantic Inter-Society Consensus (TASC) classification, 21 limbs (40%) were in Type C and 31 (60%) in Type D. Overall 66 stents were implanted (nitinol self-expanding stents 30; nitinol balloon-expandable 36). In the study population the rate of predictive risk factors in terms of current smoking, diabetes, dyslipidemia, hypertension and renal failure was 77%, 52%, 77%, 98% and 19% respectively. CAD association was 38.5%. A follow-up period of 13±7 months post-procedure was obtained using 106S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 clinical examination, ankle-brachial index (ABI) score, and in symptomatic patients with ABI <0.9 Doppler ultrasound and possibly angiography. Results. The overall primary technical success rate was 82.7%. There was no perioperative death. One death (1.9%) was reported during hospital stay due to multiorgan failure. 4 patients (7.7%) had subsequent stent placement for recurrent stenosis. Minor complications (hematoma, distal emboli and vessel dissection) were documented in 4 patients (7.7%). The primary and secondary patency rate was 94.24% and 98.1% respectively. Conclusion. Endovascular treatment of extensive aortoiliac disease (TASC C-D) can be performed successfully by experienced interventionists in selected patients with high primary and secondary patency rates can be achieved. P268 INTERVENTIONAL THERAPY IN DIABETIC FOOT: RISK FACTORS, CLINICAL EVENTS AND PROGNOSIS AT ONE YEAR FOLLOW-UP (A STUDY OF 103 CASES) Marco Matteo Ciccone1, Francesco Tota2, Alfredo Marchese3, Aikaterini Generali3, Cataldo Loiodice3, Pietro Scicchitano1, Michele Gesualdo1, Annapaola Zito1, Maria Teresa Porcelli4, Pasquale Caldarola2 1 DETO Sez. Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università degli Studi, Bari, 2Divisione di Cardiologia, Ospedale San Paolo, Bari, 3 C.C. Anthea Hospital, Bari, 4Divisione di Cardiologia, Ospedale Sarcone, Terlizzi (BA) Background. Diabetic foot disease is an important health problem worldwide because of the high incidence of diabetes in the general population and the close association with major and minor vascular events, resulting in a poor quality of life and high mortality rate in the short term. Aim of our study was to investigate the outcome, the incidence of clinical events, the number of recurrent ulcers and the risk factors for adverse events in patients with diabetic foot during 1 year follow-up after PTA revascularization. Methods. From January 2007 to August-2009, we recruited to this study 103 diabetic patients (type 2) with diabetic foot undergoing revascularization of a lower limb by angioplasty. All patients were evaluated at 1 year follow-up from the revascularization treatment to assess the incidence of major events: death, stroke and MI, and minor events: deep vein thrombosis, renal failure, clinical vascular restenosis. We also investigated the incidence of recurrent ulcers. We finally searched for predictive elements of all these events. Data were analyzed and crossed, evaluating statistically significant correlations. Results. At 1 year follow-up the incidence of major and minor events was 15% and 34%, respectively. Among the major events (15%): deaths accounted for 5%, stroke for 1%, and MI for 9% of cases. Among the “minor” events (34%) renal failure occurred in 11%, deep vein thrombosis in 9% and restenosis in 14% of cases. Among the factors analyzed obesity, high blood levels of LDL and distal arterial lesions (at posterior tibial artery in particular) were statistically significantly associated with major events. On the other hand among these factors only obesity resulted statistically associated with more minor events. Finally, high levels of CPR had a statistically significant relationship with the recurrence of ulcers (21%) while distal arterial obstructions showed a trend toward significance. Conclusions. Especially in view of the mortality rate, our study underlines the importance of a prompt diagnosis and of appropriate revascularization treatment in diabetic foot, to improve the natural prognosis characterized by high mortality and morbidity rates. Currently no certain predictive factors of risk are available and other studies are needed to ascertain these. P269 SCREENING DELL’ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE IN AMBULATORIO VASCOLARE Maurizio Fisicaro, Michela Casson, Antonella Cherubini, Andrea Di Lenarda Centro Cardiovascolare, ASS1 Trieste, Trieste Premesse. La maggior parte degli aneurismi dell’aorta addominale (AAA) decorre in modo asintomatico. La rottura di un AAA comporta una mortalità ospedaliera superiore al 50%, a fronte di un rischio inferiore al 3% per l’intervento in elezione. Vari studi hanno dimostrato la semplicità e l’efficacia dello screening ecografico per AAA. I risultati dimostrano una riduzione della mortalità del 42% rispetto al non screening. Gli studi finora sono stati eseguiti prima su ampie popolazioni non selezionate e successivamente, in modo mirato, su soggetti ad alto rischio (maschi di età >65 anni, fumatori o ex fumatori). Un miglior rapporto costo/beneficio dello screening dell’AAA si potrebbe ottenere estendendolo a quelle strutture che già utilizzano apparecchiature ecografiche per diagnostica vascolare o ecocardiografica per aumentare le occasioni di osservazione ma senza incidere sui costi e tempi dell’indagine. All’ambulatorio di diagnostica vascolare del Centro Cardiovascolare di Trieste (ASS1) afferiscono pazienti con arteriopatia periferica (AP) nota o sospetta. Scopo dello studio è stato: 1) verificare l’incidenza di AAA in una popolazione ad alto rischio di sesso maschile; 2) la fattibilità di uno screening rapido ecografico contestuale all’esame eco color-Doppler (ECD) (carotideo o degli arti inferiori) già programmato; 3) assegnare percorsi diversi in base alla presenza di aneurisma e delle sue dimensioni. Materiali e metodi. Da maggio a dicembre 2010 sono stati sottoposti a POSTER screening ecografico (ecografo Hitachi H21 Vision) per la ricerca di un AAA 84 pazienti maschi di età 65-75 anni fumatori o ex, senza diagnosi pregressa di AAA. È stata raccolta l’anamnesi per gli altri principali fattori di rischio. I pazienti sono stati poi stratificati in gruppi con percorsi diversi a seconda o meno della presenza di AAA e delle sue dimensioni: diametro dell’aorta addominale <3 cm no follow-up; diametro tra 3-3.9 cm: controllo ecografico annuale; diametro tra 4-4.9 cm: controllo ecografico semestrale; >5 cm o espansione >1 cm/anno: invio a diagnostica radiologica (angio TAC) ed eventuale trattamento chirurgico o con endoprotesi vascolare. Risultati. Dei 84 soggetti esaminati 34% erano fumatori, 66% ex fumatori, 41% diabetici, 61% ipertesi, 59% dislipidemici. Il 36% era affetto da cardiopatia ischemica ed il 47% da arteriopatia periferica. Sono stati identificati 3 AAA (incidenza 3.5%) con diametro medio 3.3 cm. In 3 casi (3.5%) l’esame è risultato non valutabile per obesità. I tre casi con riscontro di AAA sono stati inseriti in un programma di follow-up ad un anno. Il tempo massimo dello screening, aggiuntivo rispetto all’esame ECD è stato di 5 minuti. Conclusioni. Questo studio preliminare ha evidenziato la fattibilità, senza eccessivi tempi aggiuntivi dello screening per AAA in una struttura dedicata alla diagnostica dell’AP. La prevalenza riscontrata di AAA è sovrapponibile a quella di analoghe popolazioni a rischio. È stato attivato un percorso di presa in carico dei pazienti con AAA diverso a seconda o meno della presenza di aneurisma e delle sue dimensioni. Cardiologia interventistica: STEMI P270 IS RADIAL APPROACH BETTER THAN FEMORAL ONE DURING PRIMARY CORONARY ANGIOPLASTY? INSIGHTS FROM PAPRICA-OUTCOMES DATABASE PARMA PRIMARY CORONARY ANGIOPLASTY Luigi Vignali1, Emilia Solinas1, Alberto Menozzi1, Maria Alberta Cattabiani1, Iacopo Tadonio1, Barbara Bordini2, Diego Ardissino1 1 Divisione di Cardiologia Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma, 2 Laboratorio di Tecnologia Medica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna Background. Trans-radial approach (TRA) during primary coronary angioplasty (pPCI) has been associated with similar rates of procedural success, while offering a significant lower incidence of bleeding complications when compared with the trans-femoral one (TFA), and this benefit may have an effect on MACE and mortality. Methods. A prospective observational cohort study was designed to collect data from all consecutive pts with STEMI, undergoing pPCI in Parma University Hospital Cath Lab and compare TRA versus TFA in the incidence of MACE, overall mortality and bleeding complications at one year follow up. The project started in March 2009, and preliminary data are available up to date about 289 pts with 98% of complete short term and 80% of 1 year follow up. Date were compared with Kaplan Meier survival analysis, and Cox model for logistic regression was performed to adjust for possible confounders. All comparisons were made at pre-specified 5% p level of significance. Results. A total of 161 pts out of 289 (55.7%) underwent right TRA pPCI, while 128 pts underwent right TFA (44.3%). Switch from TRA to TFA was required in 8 pts (2.8%). TFA-pts exhibited a worse risk profile with higher frequency of peripheral vascular disease (21.1 vs 10.5%, p=0.02), cerebrovascular disease (7 vs 1.9%, p=0.04), shock at presentation (12.5 vs 0%, p<0.001) and left main disease (7 vs 1.2%, p=0.01). Procedural success was similar in the two groups (p NS), whereas mean radioscopy time was significantly lower with TFA (12.3±7.4 vs 14.3±7.4 min, p=0.02). Cumulative incidence of MACE at 1 year follow up in overall population was 11.8%, with all-cause mortality of 8%, 3.8% of non fatal MI with TVR, and 0.3% of stent thrombosis. When comparing TFA with TRA the incidence of 1 year MACE was significantly higher (8.1 vs 17.1%, p=0.02), mainly due to higher mortality (2.5 vs 16.4%, p=0.001). Higher incidence of major bleeding was evident for TFA vs TRA, but not reaching statistical significance (0.85 vs 2.3%, p=0.62). Adjusted risk of 1 year MACE was significantly associated with TFA (HR 2, 95% CI 1.0-3.9, p=0.017) as well as adjusted risk of 1 year mortality (HR 7.7, 95% CI 2.2-27.2, p=0.0015). Conclusion. TRA for STEMI pts undergoing pPCI is safe and effective when compared with TFA. Adjusted data suggest that TRA may be associated with lower rates of long term MACE and mortality, but do not confirm that the benefit could be explained by the reduced incidence of major bleeding, rather than the preferred TFA for pPCI in higher risk patients. P271 THE IMPACT OF RENAL INSUFFICIENCY ON MORTALITY AND ROLE OF ABCIXIMAB IN PATIENTS UNDERGOING PRIMARY PERCUTANEOUS CORONARY INTERVENTION FOR ST-SEGMENT ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION Francesco Giannini1, Andrea Perkan1, Giancarlo Vitrella1, Giulia Barbati2, Marco Cinquetti1, Sara Santangelo1, Serena Rakar1, Erica Della Grazia1, Alessandro Salvi1, Gianfranco Sinagra1 1 Cardiovascular Department, “Ospedali Riuniti” and University of Trieste, Trieste, 2Department of Environmental Medicine and Public Health, University of Padua, Padova Background. Renal insufficiency was shown to be associated with a worsened prognosis in patients with ST-segment elevation acute myocardial infarction (STEMI) treated with PCI and there is an increasing recognition that patients with chronic renal failure receive less aggressive treatment than patients with normal renal function. The benefit of abciximab in this subset of patients is not clear. Aim. We analyzed the outcomes of STEMI patients with renal insufficiency treated using primary percutaneous coronary intervention and evaluated the effect of abciximab on mortality in this subset of pts. Methods. 701 (76% male, mean age 66±12 years) consecutive patients with acute myocardial infarction treated with primary angioplasty were included in our single center retrospective registry. Abciximab was given at the physician’s discretion. Renal insufficiency at admission was defined by a value of estimated glomerular filtration rate (eGFR) <60 ml/min. Results. Renal insufficiency was present in 187 patients (27%). Patients with renal dysfunction were significantly older (72±12 vs 64±12, p<0.001), more frequently in Killip class III-IV at admission (25 vs 7%, p<0.001) and most often develop heart failure after PCI (34 vs 17%, p<0.001) than patients with normal renal function. Moreover, they had a higher incidence of in-hospital mortality (14 vs 4%, p<0.001) and of combined end-point of death and re-infarction rate at 30 days (19 vs 8%, p<0.001). At multivariate analysis, abciximab treatment was found to be associated to a lower at 30 days mortality in patients with renal failure, while in the group of patients without chronic renal failure the use of abciximab was not associated to improved outcome measures. Conclusions. In our study patients with renal impairment treated with primary PCI for STEMI had a worse in-hospital and 30-days outcome than patients with normal renal function. Adjunct pharmacologic treatment with abciximab was significantly associated with a better prognosis only in the group of patients with renal dysfunction. P272 SPONTANEOUS REPERFUSION PREDICTORS IN PATIENTS WITH ACUTE STELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION: RESULTS FROM THE AVACAS REGISTRY Emilio Di Lorenzo1, Rosario Sauro1, Giannignazio Carbone1, Michele Capasso1, Alfredo Casafina1, Luigi Sauro1, Ciro Mariello2, Giovanni Stanco2, Giuseppe Rosato2 1 Laboratorio di Emodinamica, 2U.O.C. di Cardiologia-UTIC, AORN S. Giuseppe Moscati, Avellino Background. Patients with acute ST-elevation myocardial infarction (STEMI) candidate to an invasive strategy are sometimes observed to have already been reperfused even before percutaneous coronary intervention (PCI). This phenomenon, called spontaneous reperfusion (SR) is associated with a better clinical outcome, but its incidence is unclear. Methods. We analyzed data from our AVellino Acute CoronAry Syndromes Registry. From January 2003 to December 2009 a total of 1067 patients with STEMI underwent primary PCI. SR incidence, predictive factors, and relation to major adverse cardiac event (MACE) were analyzed. SR was defined as TIMI 2-3 flow at the time of primary coronary angiography. Results. The rate of SR in our population was 14.5% (n=155); a post PCI TIMI 3 flow was observed in 98.7% of patients with SR and 90.7% of patients with no SR (p<0.01). Patients without SR had higher baseline blood low-density lipoprotein (LDL) cholesterol levels (SR 121.2±34.6, noSR 153.4±39.3, p<0.01). A complete ST resolution post-PCI was more frequent in patient with SR than those without SR. Patients with SR showed good hospital survival rates (100 vs 96.1%, p<0.01) and lower MACE rates at 1 month (18.0 vs 24.4%, p<0.01), 6 months (19.3 vs 26.9%, p<0.01), and 12 months (21.2 vs 31.9%, p<0.01). Conclusion. These results suggest that SR is associated with comparable subsequent epicardial flow post-PCI. P273 IMPATTO DELL’APPROCCIO TRANSRADIALE SULLA COMPONENTE PROCEDURALE DEL RITARDO EVITABILE DURANTE PCI PRIMARIA: ANALISI MONOCENTRICA DI FATTIBILITÀ Antonio Zingarelli, Francesco Abbadessa, Corinna Giachero, Massimo Vischi, Alberto Valbusa, Roberto Delfino, Francesco Chiarella U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino, Genova Premessa. Tra i fattori che influenzano il ritardo evitabile al trattamento riperfusivo dopo diagnosi ECGrafica di infarto miocardico acuto ST-elevato (STEMI), vi è la componente procedurale, operatore- e team-dipendente, della PCI primaria (pPCI), cioè il tempo intercorrente tra l’arrivo del paziente in Sala di Emodinamica (CatLab) e la ricanalizzazione del vaso coronarico colpevole. La recente introduzione nell’interventistica coronarica dell’accesso transradiale (rPCI), volto a minimizzare gli eventi vascolari indesiderati (emorragici e non) correlati al tradizionale accesso femorale, pone tuttavia dubbi sulla efficacia (in termini di tempestività e di fattibilità) dell’impiego di tale metodica in corso di PCI d’emergenza, in particolare in CatLab a basso volume complessivo di rPCI (<50% PCI totali). Metodi e scopi. Analisi retrospettiva nel quadriennio 2007-2010, su 583 consecutivi STEMI <12 ore trattati con pPCI in un centro Hub appartenente alla rete genovese dell’Emergenza. Le pPCI erano effettuate in accesso elettivo transfemorale (f-pPCI) o transradiale (r-pPCI) a discrezione dell’operatore. Le r-pPCI incluse nell’analisi risultavano ad appannaggio di un solo operatore ad alto volume (>50% rPCI/PCI totali x operatore). Escluse dall’analisi le f-pPCI effettuate in corso di shock cardiogeno (sempre eseguite in accesso femorale). Considerato come end-point principale dell’analisi, l’indicatore di “performance” temporale [tempo G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 107S Metodi e scopi. 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO tra l’arrivo al CatLab e la prima ricanalizzazione del vaso con pallone o tromboaspiratore (in caso di vaso occluso) o attraversamento del filoguida (in caso di vaso pervio) (CatLab Door-to-Balloon, (C)D-to-B)]; valutata anche l’incidenza di switch dell’accesso (contro-laterale o eteroaccesso) e il successo procedurale/angiografico. Risultati. Nell’ambito delle consecutive 583 pPCI eseguite in tale arco Risultati. temporale, 54 f-pPCI furono escluse dall’analisi in base ai criteri sopraindicati. Tra le restanti 529 pPCI, 475 (90%) furono effettuate elettivamente in f-pPCI e 54 (10%) in r-pPCI. Non esistevano sostanziali differenze tra le caratteristiche cliniche generali nei due gruppi; inoltre risultavano sovrapponibili i principali dati procedurali (pretrattamento con inibitori piastrinici IIb/IIIa, vaso coronarico trattato, incidenza di vaso colpevole occluso, utilizzo di sistemi di tromboaspirazione ed impiego di stent). L’end-point di performance relato alla componente procedurale del ritardo evitabile [mediana (Me); range interquartile (RIQ)] e gli altri indicatori procedurali sono riassunti nella tabella seguente: frequentemente sfuggivano alle maglie di una rete “h12”. Nel passaggio ad attività h24, al di là degli aspetti numerici, appare evidente come il vantaggio si esplichi sulla qualità dell’assistenza vista la crescente evidenza di reclutamento di pazienti “high risk” maggiore del passato. P275 IMPATTO DELLA TROMBOASPIRAZIONE ESEGUITA DURANTE ANGIOPLASTICA PRIMARIA NELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO COMPLICATO DA SHOCK CARDIOGENO Francesco Tomassini, Andrea Gagnor, Vincenzo Infantino, Sara Giolitto, Rosario Tripodi, Maria Cristina Rosa Brusin, Emanuele Tizzani, Ferdinando Varbella Ospedale di Rivoli, Rivoli P275 Introduzione. L’angioplastica primaria (PPCI) come trattamento IMPATTO DELLA TROMBOASPIRAZIONE ESEGUITA DURANTE ANGIOPLASTIC dell’infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) può essere NELL’INFARTO MIOCARDICO di ACUTO COMPLICATO DA SHOCK CARDIOGENO complicato da embolizzazione materiale aterotrombotico sia spontanea sia indotta dalla PPCI. Alcuni studi hanno evidenziato che la f-pPCI r-pPCI p tromboaspirazione (TA) durante la PPCI era associata con una migliore (n=475) (n=54) perfusione miocardica e con una maggiore sopravvivenza, ma non è chiaro (C)D-to-B (min) [Me; RIQ] 21;9 25;10 0.10 Introduzione. se questi benefici siano estesi nello STEMI complicato da shock cardiogeno Switch accesso (%) 1 4 0.32 (CS). In questo studio retrospettivo abbiamo valutato la fattibilità, Successo procedurale (%) 98 98 NS l’efficacia e l’impatto sulla sopravvivenza della TA in questa popolazione Successo angiografico (TIMI 3) (%) 90 94 NS ad alto rischio. Metodi. Da marzo 2003 ad ottobre 2008 sono stati raccolti I dati di Conclusioni. pazienti (pz) consecutivi ricoverati per STEMI entro 12 ore e complicato Conclusioni. In base ai nostri dati, l’accesso transradiale nelle pPCI da CS sottoposti a PPCI. La TA è stata eseguita a discrezione dell’operatore. rappresenta un’opzione efficace in termini di performance procedurale, Sono state analizzate le caratteristiche cliniche e procedurali dei pz con tempi di ritardo alla ricanalizzazione coronarica (componente Metodi. sottoposti a TA ed in quelli sottoposti a PCI convenzionale così come la procedurale del ritardo evitabile) comparabili alle pPCI in accesso mortalità in ospedale ed a lungo termine in questi 2 gruppi di pz. transfemorale, purché eseguita da operatori ad alto volume di PCI Risultati. La PPCI è stata eseguita in 140 pz con STEMI complicate da CS transradiale. (17.3% di tutte le PPCI). Di questi, 71 pz sono stati sottoposti a TA e 69 pz a PCI convenzionale. I pz nel gruppo TA erano più giovani (66±12 vs 71±12 Risultati. anni, p=0.015) ed avevano un flusso coronarico pre-PCI peggiore (TIMIP274 grade flow ≥2 in 8.5 vs 27.5%, p=0.01). La TA era associata ad una più alta ASPETTI ASSISTENZIALI NELL’ALLESTIMENTO DI UNA RETE PROVINCIALE incidenza di trombo alla coronarografia (100 vs 65%, p<0.0001), ad una PER LE EMERGENZE CARDIACHE: ESPERIENZA DI UN ANNO DI ATTIVITÀ minore presenza di malattia multivasale (55 vs 77%, p=0.01) e del tronco DELLA P274 PROVINCIA DI VITERBO comune (1.5 vs 16%, p=0.006), ad un uso più esteso di inibitori delle Emanuele Bruno1, Luca Golino1, Giorgia Caferri1, Fabiana Piccioni1, glicoproteine IIb/IIIa vs 62%, p=0.003) e di contropulsatore aortico (90 ASPETTISerra ASSISTENZIALI NELL’ALLESTIMENTO DISommariva UNA RETE PROVINCIALE PER(85LE EMERGENZE 1 1 1 Francesco , Pietro Scrimieri , Vincenzo Affinito2, Luigi vs 75%, p=0.036) and e ad un minore utilizzo di stent medicati (4 vs 16%, 1 CARDIACHE: ESPERIENZA DI UN ANNO DI ATTIVITÀ DELLA PROVINCIA DI VITERBO U.O.C. UTIC/Emodinamica/Cardiologia, Ospedale Belcolle, Viterbo, p=0.04). Successo della TA (definito come ripristino di flusso anterogrado 2 Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia Pediatrica, Ospedale con o senza rimozione di frammenti trombotici) è stato del 91%. Il followBambino Gesù, Roma up mediano è stato di 34 mesi (range 5-69). Gli eventi principali Introduzione. Le reti ospedaliere, strutturate con il modello hub e spoke, intraospedalieri ed a lungo termine sono presentati nella tabella. rappresentano il modello più diffuso per la gestione STEMI. La rete STEMI della provincia di Viterbo è costituita da un centro hub (Ospedale Belcolle diIntroduzione. Viterbo) dotato di emodinamica H24 e da 5 centri spoke (Montefiascone, Ronciglione, CivitaCastellana, Tarquinia, Acquapendente). L’elemento distintivo rispetto alle linee guida della società europea di cardiologia, riguarda i pazienti (pz) sottoposti a trombolisi (TL) che vengono comunque trasferiti al centro hub indipendentemente dal profilo di rischio e dall’efficacia della TL (Protocollo Transfer-AMI) per essere sottoposti o ad angioplastica di salvataggio o a coronarografia ed angioplastica “sistematica” a 12-24 ore dalla TL. Questa strategia è frutto di due aspetti: i centri spoke non posseggono reparti UTIC al loro interno e sono obbligati al trasferimento; l’utilizzo della TL si impone nei pz selezionati visto che i tempi di trasferimento sono condizionati da una rete stradale non ad alto scorrimento. Scopo dello studio. Scopo del presente lavoro è di verificare se l’estensione temporale dell’attività di emodinamica h24 7/7, con una simile Scopo dello studio. organizzazione provinciale, costituisca un fatto meramente quantitativo (incremento n. PCI) rispetto ad uno status h12 5/7, o piuttosto non mostri presenti riflessi di tipo qualitativo (incremento trattamento in pz ad alto rischio). Metodi. Sono stati confrontati 2 distinti periodi dell’attività di Metodi. emodinamica dell’ospedale Belcolle di Viterbo: aprile/dicembre 2009 (gruppo A) - aprile/dicembre 2010 (gruppo B). Il primo periodo con attività h12 5/7, il secondo h24 7/7. Il profilo di rischio dei pz è stato calcolato utilizzando il TIMI risk index (TRI). Risultati. La popolazione è composta da 52 pz sottoposti a PTCA primaria Risultati. (pPCI) e 24 pz sottoposti a PTCA rescue (rPCI) nel gruppo A e da 103 pz sottoposti a pPCI e 16 pz sottoposti a rPCI nel gruppo B. Età TIMI risk index 2009 pPCI 64±13 25±12 2010 pPCI 66±13 28±14 2009 rPCI 61±12 22±13 2010 rPCI 66±13 28±14 p NS 0.01 Conclusioni. Conclusioni. Nessuna differenza statisticamente significativa delle età tra i due gruppi sebbene fossero statisticamente diversi i TRI. Quello che emerge è la differenza statisticamente significativa nel confronto rPCI tra i due anni messi a confronto. Questo aspetto potrebbe trovare spiegazione nel fatto che una maggior quota di pazienti che giungeva ai centri spoke e che prima o non veniva trattata per condizioni cliniche o comorbilità o doveva essere esclusivamente trasferita per pPCI, immersi in una situazione strategica definita, riceve comunque un trattamento riperfusivo precoce e successivamente inviata al centro hub per evitare il dispendio temporale che la logistica impone. Questo conferma la particolare attenzione verso i pazienti “high risk”, che proprio in un sistema a limitazione temporale (h12), erano quelli che più 108S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Morte Reinfarto Target vessel failure Stroke Eventi avversi cardiaci maggiori Sanguinamenti maggiori Trombosi di stent* In ospedale, % TA (+) TA (-) p 26 43 <0.0001 0 0 3.5 0 0.2 1.4 0 0.99 30.9 43 0.24 0 1.4 0.99 1.4 0 0.99 Lungo termine, % TA (+) TA (-) p 29.5 50.7 0.02 1.4 0 0.99 11.3 1.4 0.04 1.4 0 0.99 43.6 52.1 0.4 0 1.4 0.99 4 1.4 0.6 *ARC definita e probabile Conclusioni. Conclusioni. Nella nostra esperienza la TA during PPCI in pz con STEMI complicato da CS è fattibile con buona efficacia in circa metà dei casi consistente principalmente in pz con malattia coronarica meno complessa e con una maggiore presenza di trombo. TA, quando eseguita, potrebbe ridurre gli eventi in una popolazione selezionata, ma ulteriori studi sono necessari per confermare questa ipotesi. P276 LACTATE CLEARANCE IN PATIENTS WITH CARDIOGENIC SHOCK FOLLOWING ST ELEVATION MYOCARDIAL INFARCTION Paola Attanà, Claudio Picariello, Chiara Lazzeri, Marco Chiostri, Gian Franco Gensini, Serafina Valente Intensive Cardiac Coronary Unit, Heart and Vessel Department, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze Background and aim. Recent studies documented that serial lactate measurements over time or lactate clearance may be clinically more reliable for risk stratification in different pathological conditions ranging from sepsis to trauma. No data are available on lactate clearance in cardiogenic shock following acute myocardial infarction. The aim of present investigation was to assess the role of lactate level on ICCU admission and lactate clearance (at 6 and 12 hours from ICCU admission) for early death in 51 consecutive patients with cardiogenic shock following ST-elevation myocardial infarction submitted to primary percutaneous coronary intervention. Methods and results. Fifty-one consecutive patients with cardiogenic shock following STEMI were enrolled. The in-ICCU mortality rate was 49% (25/51). Admission lactate (p=0.004) were higher in CS patients who died (p=0.004), while no difference was detectable in 6 hours lactate clearance between the two subgroups. At 12 hours from admission, lactate clearance was higher in survivors (p=0.013). Admission lactate and 12h lactate clearance <10% were independent predictors for early death. Conclusion. In patients with cardiogenic shock following STEMI, submitted to optimal treatment (primary PCI and stent implantation, use of glycoprotein POSTER IIb/IIIa inhibitors, intra-aortic balloon pump, mechanical ventilation and ultrafiltration, when needed) 12h lactate clearance, together with admission lactate, was an independent predictor for early death. P277 P279 IMPIEGO E RISULTATI DELLA TROMBOASPIRAZIONE MANUALE NELLO STEMI. A DOUBLE-CENTER EXPERIENCE Francesco Greco1, Massimo Siviglia2, Mimma Cloro1, Roberto Caporale1, Federico Battista1, Giuseppe Tassone2, Francesco Ciancia2, Giuseppe Ielasi2, Ferdinando Fascetti1 1 Ospedale Civile SS. Annunziata, Cosenza, 2Ospedali Riuniti, Reggio Calabria La tromboaspirazione (TA) manuale impiegata nel trattamento percutaneo dello STEMI migliora la perfusione miocardica e l’outcome clinico. Su 139 pazienti con STEMI (104 maschi, 35 femmine, età media 63.8 anni) sottoposti consecutivamente ad angioplastica primaria da gennaio a maggio 2010, in 2 laboratori h24, è stato valutato l’impiego del tromboaspiratore manuale Export AP F6 - Medtronic. Il 78% dei pazienti presentava pre-trattamento una IRA con un flusso TIMI 0/1. La TA è stata impiegata in 81 pazienti (58.2%) con un tasso di “failure”, i.e. impossibilità nel raggiungere o superare il sito dell’occlusione, pari al 24.6% (20 pazienti). Cinquantotto pazienti (41.7%) non sono stati trattati con TA. Il gruppo di 20 pazienti con “failure” della TA rispetto al gruppo con impiego tecnicamente efficace della TA aveva un età media più avanzata (70.5 vs 58.8 - p.001), l’IRA era più frequentemente rappresentata dalla coronaria DX, aveva una coronaropatia più estesa (40 vs 14.7%; p.004) e un tempo di ischemia più prolungato (55 vs 36%). Il 35% dei pazienti terminava la procedura con una perfusione miocardica peggiore (MBG 0/1, 35 vs 8% - p.0001) rispetto al gruppo di pazienti in cui la TA era stata impiegata con successo tecnico. Infine, non sono state osservate differenze significative in termini di FE media valutata in ecocardiografia predimissione e MACE a 30 giorni, verosimilmente per la bassa numerosità del campione in esame e il limitato periodo di follow-up. Il ricorso alla TA, nonostante le evidenze ad oggi favorevoli a supporto della tecnica nel trattamento percutaneo dello STEMI, è limitato, nel gruppo in esame, a poco più della metà dei pazienti. L’impossibilità del dispositivo di raggiungere o superare il sito dell’occlusione risulta sorprendentemente alto (24%) e impatta significativamente sulla perfusione miocardica. Appare ragionevole implementare l’impiego della TA durante le procedure di angioplastica primaria e poter disporre di dispositivi maggiormente performanti. RELATIONSHIP OF BLOOD TRANSFUSION AND CLINICAL OUTCOME IN PATIENTS TREATED WITH PRIMARY ANGIOPLASTY FOR ACUTE MYOCARDIAL INFARCTION Renato Valenti, Guia Moschi, Ruben Vergara, Alberto Santini, Angela Migliorini, Nazario Carrabba, Guido Parodi, Giampaolo Cerisano, David Antoniucci Divisione di Cardiologia Invasiva I, Ospedale di Careggi, Firenze Background. Few data exist about the prognostic impact of blood transfusion (BT) in patients treated with primary percutaneous coronary intervention (PCI) for acute myocardial infarction (AMI). The aim of the study was to assess the impact of BT on cardiac mortality and ischemic related events (IE) in patients treated with primary PCI for AMI. Methods. From 1995 to 2007, 2771 patients underwent primary PCI. Ninety-three (4.1%) patients received BT. Indication for BT was a hemoglobin value <9 g/dl. The impact of BT on 6-month cardiac mortality and IE (composite of ischemic related cardiac death and nonfatal reinfarction) were assessed by multivariate Cox regression analysis and with a propensity-score adjusted multivariate analysis. Results. Median hemoglobin value in the BT group was 8.1 g/dl (IQ range 7.6-8.5). There were significant differences (p<0.05) in baseline clinical and angiographic characteristics between the BT group (n=93) and the nonBT group (n=2678): mean age 73±10 vs 65±12 years; male 49 vs 76%; diabetes 19 vs 15%; previous myocardial infarction 18 vs 11%; cardiogenic shock on admission 28 vs 11%; ischemia time (h) 4.8±2.6 vs 4.0±2.3; multivessel disease 65 vs 49%. The primary PCI success rate was similar in both groups (97.9 vs 98.3%). In-hospital major bleeding (TIMI criteria) and vascular complication were significantly higher in BT group: 0.3 vs 39% (p<0.001) and 1.8 vs 28% (p<0.001) respectively. The 6-month follow-up rate was 100%. Six-month cardiac mortality rate was 26.9% in BT group and 6.9% in nonBT group (p<0.001) and IE were 9.7 vs 2.2% respectively (p<0.001). Multivariate analysis showed BT to be an independent predictor of cardiac death (HR 2.33, 95% CI 1.49-3.64; p<0.001) and cardiac P280 IE (HR 4.58, 95% CI P280 2.24 - 9.37; p<0.001), also adjusting for the propensity-score STUDIO(c-statistic RETROSPETTIVO OUTCOME DIDIOUTCOME PAZIENTI DIABETICI TRATTATI CON ANGIOPLASTI STUDIO DI RETROSPETTIVO DI PAZIENTI DIABETICI TRATTATI 0.92): HR 2.07 (p=0.048) for cardiac mortality and HR 5.26 (p=0.001) for IE. CORONARICA CON ANGIOPLASTICA CORONARICA Conclusions. BT is associated with unfavorable characteristics and a poor P280 Alba Milanese1, Matteo Cassin2, Eugenio Cervesato2, Franco Macor2, outcome in patients treated with primary PCI. However, BT remains an 2 1 RETROSPETTIVO DI 1OUTCOME DI PAZIENTI DIABETICI CON ANGIOPLASTIC Riccardo Neri , Fauzia Vendrametto , Gian Luigi Rellini2,TRATTATI Renata Mimo , independent predictor of mortality also with a restrictedSTUDIO use to patients 1 1 2 Alberto Roman-Pognuz , Margherita Cinello , Gian Luigi Nicolosi CORONARICA with severe anemia. Probably cardiac IE play a key role to explain the 1 2 S.O.C. di Cardiologia, S.O.C. di Cardiologia-ARC, A.O. S. Maria degli worse prognosis. Angeli, Pordenone Background. È noto che il diabete mellito (DM) rappresenta uno dei più Background. importanti fattori di rischio cardiovascolare. Allo scopo di valutarne P278 l’influenza, sia nella forma insulinodipendente (DM ID) sia non EARLY PERCUTANEOUS CORONARY INTERVENTION AFTER SUCCESSFUL insulinodipendente (DM NID), sull’outcome dei pazienti avviati a PTCA, Background. THROMBOLYTIC THERAPY FOR STEMI: RESULTS FROM THE AVACAS abbiamo esaminato retrospettivamente la nostra casistica consecutiva REGISTRY relativa al periodo 2005-2007. Emilio Di Lorenzo1, Rosario Sauro1, Michele Capasso1, Metodi. Metodi. I dati sono stati ricavati dall’analisi delle SDO, registro UTIC ed Giannignazio Carbone1, Alfredo Casafina1, Giuseppe Amoroso2, Emodinamica e dal sistema informatico di gestione clinica. Il follow-up è 2 Luigi Sauro1, Francesco Rotondi2, Fiore Manganelli2, Giovanni Stanco , Metodi. stato eseguito con valutazione clinica oppure mediante contatto telefonico. Giuseppe Rosato2 Risultati. Nel periodo sono state effettuate complessivamente 1477 PTCA; Risultati. 1 Laboratorio di Emodinamica, 2U.O.C. di Cardiologia-UTIC, AORN maschi 1077 età media 63.5±11.2 anni, femmine 400 età media 71.6±11.2 S. Giuseppe Moscati, Avellino anni. Sono stati valutati gli eventi avversi durante la degenza e nel followRisultati. Background. Elective PCI after successful thrombolysis is still controversial. up di durata massima di 24 mesi. In case an invasive strategy is chosen, how early a PCI should be performed is not known. The aim of this study was to assess the safety and benefits Indicazione alla PTCA Follow-up Casi con Copatologia of early, elective percutaneous coronary intervention (PCI) after successful (mesi) eventi CIS STEMI NSTEMI altro thrombolytic therapy for ST elevation myocardial infarction (STEMI). DM ID 28 28 16 4 17.3±1.1 37 (49%) Methods. We analyzed data from our AVellino Acute CoronAry Syndromes DM NID 93 77 71 5 17.6±0.6 98 (40%) Registry. From January 2003 to June 2008 a total of 676 patients with no DM 404 295 450 6 18.9±0.3 319 (28%) STEMI who underwent elective PCI within two weeks of successful thrombolytic therapy were grouped based on time between thrombolysis CIS=cardiopatia ischemica stabile. DM vs no DM p<0.001 DM ID vs DM NID p=NS. and PCI: group 1: <24 hours (n=153, 68 men, 63.5±11.7 years of age); group 2: 24-48 hours (n=167, 73 men, 62.1±12.5 years); group 3: 48-72 La classificazione degli eventi (con possibile incidenza multipla sui casi) è hours (n=171, 82 men, 61.2±12.7 years); group 4 >72 hours (n=185, 70 stata: IMA non fatale 127, decesso 97, ristesosi con rePTCA 86, ricovero men, 62.7±11.5 years). Primary study outcomes include major adverse per scompenso cardiaco acuto 77, aritmie maggiori 39, STEMI 32, bypass cardiac events (MACE: cardiac death, MI, new revascularization) at one, six aortocoronarico 32, complicanza locale 24, dissezione coronarica 18, and 12 months after the index procedure. Secondary end points include arresto cardiaco 11, ictus 9. Il grafico Kaplan-Meier riporta la probabilità major bleeding complications. Conclusioni. cumulativa di non avere eventi avversi. Results. There were no significant differences between groups in the Conclusioni. Nella nostra casistica la copatologia diabetica si conferma baseline and angiographic characteristics. Symptom onsetConclusioni. to needle time causa di aumentata incidenza di eventi avversi nel follow-up della PTCA was similar between the four groups: 3.1±2.9 hours in group 1; 3.8±3.2 e di riduzione di qualità della vita. hours in group 2; 4.1±3.6 hours in group 3; and 4.2±3.4 hours in group 4, p=0.342. There were no differences in the major bleeding rate, in-hospital mortality. We observed a non significant difference in one month incidence of MACE. At 6 and 12 months, MACE were significantly lower in patients who underwent PCI within 48 hours of thrombolytic therapy, compared with those who underwent PCI later: 6-month MACE: 1.3% group 1; 1.7% group 2; 7.8% group 3; 8.6% group 4, p<0.05 group 1 and 2 vs group 3 and 4); 12-month MACE: 1.9% group 1; 3.5% in group 2; 10.5% group 3; 10.8% group 4, p<0.05 group 1 and 2 vs group 3 and 4). Conclusion. Our study shows that an invasive strategy with elective PCI within 48 hours of successful thrombolytic therapy for STEMI is safe and associated with a significant reduction of major cardiac events compared with PCI performed later. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 109S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Cardiologia interventistica: stent bare e medicati/palloni medicati P281 GENDER DIFFERENCE IN CLINICAL OUTCOME FOLLOWING SIROLIMUSELUTING STENT IMPLANTATION. A LONG-TERM (UP TO 5 YEARS) FOLLOW-UP Daniela Trabattoni, Piero Montorsi, Franco Fabbiocchi, Giuseppe Calligaris, Alessandro Lualdi, Stefano Galli, Giuseppe Calligaris, Giovanni Teruzzi, Antonio Bartorelli Centro Cardiologico Monzino, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università degli Studi, Milano Background. Coronary stenting in women has been associated with worse results in terms of morbidity, mortality and restenosis rate in the baremetal stent era, due to higher risk profile and smaller coronary vessels. Although drug-eluting stents have equalized clinical results, no data are available on long-term outcomes between gender. Objectives. To evaluate the role of gender in acute, mid- and long-term clinical outcome after sirolimus-eluting stent (SES) implantation. Methods. We retrospectively evaluated 1186 patients, 970 (81.8%) men and 216 (18.2%) women treated with SES implantation between April 2002 and December 2005. Results. Women were older (p=0.049), more hypertensive (43.5 vs 33.7%, p=0.006) and more frequently received small (≤2.75 mm) vessel stenting (39.3 vs 28.2%, p=0.001) for single-vessel disease (63.9 vs 42.5%, p=0.03) and unstable angina (16.6 vs 9.2%, p=0.001). The two groups were well matched for lesion and procedural characteristics. Overall, stent thrombosis rate was 0.4% (0.5% in women vs 0.3% in men, p=ns). At sixmonth follow-up, no significant difference in MACE was observed. Longterm follow-up (median time 33.2 months), available in 180 (83.3%) women and 720 (75%) men, showed higher angina recurrence rate (17.7 vs 11%, p=0.013), rePCI (16.1 vs 8.7%, p=0.001) and TVR (3.9 vs 0.9%, p=0.001) in women compared to men. Late stent thrombosis, need for CABG and mortality were similar in both groups. Conclusions. No gender difference was observed in acute and 6-month outcome after SES implantation despite older age, more unstable clinical presentation and more frequent small vessel stenting in women. However, long-term clinical follow-up (up to 5 years) in women showed higher symptoms recurrence and TVR rate but no difference in overall MACE. P282 IS XIENCE V STENT BENEFICIAL ON CLINICAL OUTCOMES IN DIABETIC COMPARED TO NON-DIABETIC PATIENTS? A TWO-YEAR, SINGLE-CENTER ANALYSIS Daniela Trabattoni, Franco Fabbiocchi, Piero Montorsi, Giovanni Teruzzi, Stefano Galli, Stefano De Martini, Luca Grancini, Paolo Ravagnani, Antonio Bartorelli Centro Cardiologico Monzino, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università degli Studi, Milano Background. Spirit IV trial demonstrated significantly better safety and efficacy of Xience V (XV Abbott Vascular, Illinois, USA) compared to Taxus (Boston Scientific, Natick, MA, USA) stent. The outcome difference was not present in diabetic (D) patients. Aim of the study. To compare clinical outcomes in real-world D and nondiabetic (ND) patients treated with XV. Methods. Between November 2006 and December 2008, 1319 patients (81% male, mean age 65±9 years) undergoing XV implantation were enrolled and followed for up to 3 years. D (n=168, 12.7%) patients were compared to ND (n=1151). Results. D pts were more hypertensive (72.6 vs 45.5%, p<0.001) and more often had stable angina (82 vs 71%, p=0.004). Coronary stenting in D was performed mainly in 2/3 vessel disease (69.6 vs 47.2%, p<0.001), long lesions (>30 mm: 53 vs 54%, p=0.92), and small vessels (<2.5 mm: 38% D vs 27% ND, p=0.005). Mean stented segment length per patient and per lesion was similar in both groups. Two early stent thromboses occurred in ND (0.17%) group. Cumulative in-hospital MACE was 12% in D vs 5.8% in ND (p=0.065), mainly due to post-procedural non-Q MI (> x 3 CK-MB) (8.9% in D vs 5.3% in ND, p=0.067). Six-month TLR and cumulative MACE were very low and comparable in both groups. These positive results were maintained on long-term (mean 27.7±13 months) follow-up with a cumulative MACE rate of 8.2% in D vs 4.5% in ND (p=0.06) patients. TLR and TVR were low even at 24-month follow-up, but significantly higher in D patients (3 vs 0.6% ND, p=0.007). One late stent thrombosis was observed in ND while no very late stent thrombosis occurred at all. Conclusions. Treatment of real-world coronary lesions with XV is safe and associated with similar and excellent immediate and 6-month clinical outcomes in D and ND. At 24-months, D showed a moderate but significantly higher rate of TLR/TVR compared to ND. P283 ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO SENZA CARDIOCHIRURGIA IN SEDE NELL’UTILIZZO DI STENT MGUARD IN CORSO DI ANGIOPLASTICA PRIMARIA SU VASI CON IMPORTANTE COMPONENTE TROMBOTICA Francesco Tomassini, Andrea Gagnor, Maria Cristina Rosa Brusin, Paolo Giay Pron, Vincenzo Infantino, Emanuele Tizzani, Sara Giolitto, Ferdinando Varbella Ospedale di Rivoli, Rivoli Scopo del lavoro. Valutare i risultati e la fattibilità di angioplastica primaria 110S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 di lesioni con importante componente trombotica utilizzando lo stent dedicato MGUARD che è uno stent in acciaio a celle chiuse rivestito di Dacron che garantisce una ridotta embolizzazione di materiale trombotico a livello del letto vascolare distale. Materiali e metodi. Analisi retrospettiva (da gennaio 2008 a maggio 2010). Risultati. Dal 2008 sono state eseguite 1816 PCI, di cui 440 angioplastiche primarie (24.2%). Il protocollo in corso di infarto acuto prevede l’utilizzo di device di tromboaspirazione subito dopo l’angiografia diagnostica in caso di occlusione completa del vaso o in caso di vaso pervio ma con evidente formazione trombotica. Lo stent MGUARD è stato impiantato in tutti i pazienti in cui era presente importante componente trombotica dopo tromboaspirazione e in cui non esistevano controindicazioni a terapia con doppio antiaggregante e in cui non fossero coinvolti nella lesione rami di biforcazione. Lo stent MGUARD è stato utilizzato in 39 pazienti. 31 pazienti erano uomini, 21 presentavano età <70 anni, 3 >80 anni. Alla presentazione FE >60% era presente in 6 pazienti, <35% in 2. Nell’88% dei casi è stata trattata la coronaria destra, l’11% dei pazienti era diabetico. L’8.3% dei pazienti era in shock al momento della procedura. Il tempo medio inizio dei sintomi/apertura del vaso è risultato 120 minuti. In tutti i pazienti era stata eseguita tromboaspirazione (EXPORT Medtronic) prima dell’impianto, nel 58.9% dei pazienti è stato necessario predilatare la lesione. Nel 30.7% dei pazienti è stata effettuata postdilatazione dello stent con pallone non compliante a bassa atmosfere per subottimale espansione dello stent. In tutti i pazienti il flusso finale è risultato essere TIMI 3; per quanto riguarda i parametri di perfusione miocardica MBG 3 era presente nell’81.4%, MBG 2 nel rimanente 18.6. In nessun paziente MBG è risultato <2. Regressione del sopraslivellamento ST >70% all’ECG a 15 minuti dalla procedura si è registrato nel 70.3%, tra 30 e 70% nel rimanente 29.7%. In nessun paziente la regressione del sopraslivellamento ST è risultata inferiore al 30%. Non si sono registrate complicanze immediate o intraricovero nei pazienti trattati con MGUARD né si sono registrati eventi (morte, infarto o trombosi di stent) al followup clinico. In 6 pazienti è disponibile follow-up angiografico (recidiva di ischemia in pazienti con malattia multivasale); in tutti i casi lo stent MGUARD non presentava ristenosi significativa e la lesione colpevole era su altro vaso. Conclusioni. L’utilizzo di stent dedicato MGUARD in corso di angioplastica primaria su vaso con importante componente trombotica residua dopo tromboaspirazione è sicuro ed efficace e sembrerebbe garantire una migliore perfusione tissutale (valutata con criteri angiografici ed elettrocardiografici) rispetto a serie storiche di pazienti trattati con angioplastica convenzionale. P284 GLI STENT GENOUS - REGISTRO “LANCISI” Andi Muçaj, Tommaso Piva, Massimiliano Serenelli, Gabriele Gabrielli, Fabrizio Schicchi, Pietro Boscarato, Nicolò Schicchi, Giorgio Breccia, Alberta Pangrazi U.O. di Emodinamica, Presidio “G.M Lancisi”, Ospedali Riuniti, Ancona Introduzione. L’avvento dei DES, con una netta riduzione della restenosi e dei eventi clinici ad essa correlati, ha cambiato radicalmente l’atteggiamento dell’emodinamista espandendo il suo campo verso quello della chirurgia. Dall’altra parte, la trombosi subacuta intrastent ha sollevato il problema della sicurezza, in quanto tale evento rimane gravato da un’alta mortalità e i DES potrebbero favorire la trombosi per lo stimolo all’aggregazione piastrinica dimostrato in vitro. Gli stent GENOUS, in grado di catturare le cellule progenitrici dell’endotelio si sono dimostrati efficaci rispetto agli stent tradizionali metallici sia in termini di riduzione della restenosi, sia della trombosi intrastent. L’accelerata riparazione del vaso dopo l’impianto dello stent rende questi ultimi di particolare importanza in quella fascia della popolazione che presenta una scarsa compliance o delle controindicazioni alla duplice terapia antiaggregante (DAT) per un periodo di un mese tradizionalmente seguito per i BMS. Materiali e metodi. 32 pazienti (21maschi e 11 donne) arruolati nel nostro Registro venivano sottoposti presso la nostra U.O. di Emodinamica, ad una procedura di PTCA ed impianto di almeno uno stent GENOUS nel periodo dal luglio 2008 a ottobre 2010. L’età media della popolazione era di 72±10 anni (9 pazienti avevano superato gli 80 anni). Dell’intera popolazione 29 pz si ricoveravano per una SCA nelle 24 ore precedenti alla procedura, 6 pz erano affetti da neoplasia maligna, 1pz da emorragia cerebrale posttrombolisi, 3 pz da disturbi di coagulazione, 3 pz risultavano allergici all’ASA, 3 pz avevano eseguito un intervento recente di chirurgia maggiore. Nell’intera popolazione 40 lesioni (diametro 3.2±0.43 mm, lunghezza 14.1±4.5 mm) venivano trattate con 45 stent GENOUS mentre in 5 pazienti venivano impiantati anche 5 BMS (di cui due per tentativo inefficace di impianto GENOUS). Il successo periprocedurale dell’impianto dei stent GENOUS risultava 95%, e non si verificavano complicanze periprocedurali in nessun caso. Durante la degenza si sono verificati due decessi (6%), rispettivamente ad 1 gg (per insufficienza multiorgano) ed a 18 giorni dopo (per aritmia). Tutti gli altri pazienti erano dimessi con la DAT. Risultati. Dal nostro follow-up telefonico, eseguito sull’intera popolazione, abbiamo rilevato che 6 pazienti hanno seguito la DAT per meno di un mese (3 pz prima di BAC per malattia del TC, 1 pz per l’emorragia cerebrale, 1pz per allergia all’ASA e 1 pz per ematemesi) e di questi 2 per meno di 15 gg. Durante il periodo intercorso dalla dimissione al contatto telefonico, che varia da 3 a 26 mesi, non si e verificato nessun MACE POSTER events (MACE, i.e. the composite of death, myocardial infarction and repeat revascularization). Results. We included a total of 1598 patients, 1090 (68%) with long lesion stenting (mean stent length 45±23 mm) and 508 (32%) with short lesion stenting (mean stent length 13±4 mm). The two groups significantly differed for age (67±11 vs 65±11 years, p<0.001) and prevalence of diabetes (32 vs 24%, p<0.01) as well as for DES usage (41 vs 26%, p<0.001) and number of stents implanted (3.0±1.4 vs 1.1±0.2, p<0.001). The 30-day MACE rate was similar for both groups (6.4 vs 5.5%, p=0.53). However, after a mean follow-up of 53 months, the risk for MACE was increased in long lesion group compared with the short lesion group (51.9 vs 41.7%, p<0.001). Similarly, the long term rate of death (17.7 vs 13.2%, p=0.04) P285 and the need for repeat coronary revascularization (36.6 vs 27.9%, DES NEI PAZIENTI DIABETICI: OUTCOME A LUNGO TERMINE E p=0.002) were significantly higher in patients with longer lesions. Finally, CONFRONTO CON PAZIENTI NON DIABETICI myocardial infarction and definite stent thrombosis occurred in 8.41 vs C. Auguadro, E. D’Elia, V. Casali, F. Scalise, M. Manfredi, G. Specchia 8.37% (p=0.98) and 2.5 vs 2.0% (p=0.59), respectively. U.O. di Cardiologia, Policlinico di Monza, Monza Conclusions. Despite the introduction of first-generation DES, long Background. Il diabete mellito rappresenta un noto fattore di rischio per P285 coronary lesions still remain at higher risk of unfavorable clinical outcome pazienti a procedura di rivascolarizzazione percutanea (PCI), CON PAZIENTI DES NEI candidati PAZIENTI DIABETICI: OUTCOME A LUNGO TERMINE E CONFRONTO NON after PCI. Whether new generation DES can sensibly improve outcomes in poiché si associa non soltanto ad una maggiore predisposizione ad DIABETICI this patient population at higher risk of death as well as non-fatal adverse aterosclerosi severa e rapidamente progressiva, ma anche ad un maggior events is still uncertain. rischio di restenosi omosede a seguito di impianto di stent, sia esso medicato (DES) o non medicato (BMS). I dati finora disponibili in Background. letteratura non sono esaustivi in merito all’impatto dei DES sull’outcome a lungo termine dei pazienti diabetici. Il nostro lavoro si propone di P287 valutare la sicurezza e l’outcome a lungo termine di DES versus BMS in PERCUTANEOUS CORONARY INTERVENTIONS WITH ENDOTHELIAL pazienti diabetici e non diabetici. PROGENITOR CELL CAPTURE STENTS (EPC) FOR HIGH RISK PATIENTS WITH Metodi e popolazione. La popolazione oggetto di questo studio è NO OPTION FOR DRUG-ELUTING STENTS costituita da 1201 pazienti, 370 diabetici e 831 non diabetici, sottoposti a Paolo Scacciatella1, Emanuele Meliga2, Maurizio D’Amico1, PCI per motivi clinici. Stent a rilascio di farmaco (DES) sono stati utilizzati Gianluca Amato1, Mauro Pennone1, Federico Conrotto1, Ilaria Meynet1, Metodi e popolazione. in 122 pazienti diabetici e in 249 non diabetici; nei restanti pazienti sono Sebastiano Marra1 1 stati utilizzati stent metallici. Tutti i pz sono stati seguiti in follow-up con Interventional Cardiology Department, San Giovanni Battista Hospital, controlli clinici e strumentali. Gli eventi presi in considerazione nel corso Turin, 2Interventional Cardiology Unit, Ordine Mauriziano Hospital, del follow-up sono stati la mortalità totale, la morte per causa cardiaca e Turin non cardiaca e i MACE (morte cardiaca, ospedalizzazioni per infarto Aims. Drug-eluting stents (DES) are currently considered the gold standard miocardico e/o angina instabile). for reducing restenosis of coronary artery lesions. Owing to their effect on Risultati. the healing process, DES use requires mandatory prolonged dual Risultati. Il follow-up medio è stato di 4±2 anni. In tabella 1 è riportata l’incidenza degli eventi presi in considerazione nei singoli gruppi. antiplatelet therapy (DAT). The endothelial progenitor cell (EPC) capture stent, attracting circulating EPCs, promotes vascular healing and allows a No diabete BMS No diabete DES Diabete BMS Diabete DES p short post-procedural period of DAT. The aim of the present study was to (n=582) (n=248) (n=249) (n=122) evaluate the short and long term clinical outcomes of the use of the Mortalità totale 5.15% 2.02% 10.44% 0.82% 0.00003 Genous R stentTM in a selected high risk population with “no option” for Morte cardiaca 3.1% 1.61% 6.43% 0.82% 0.006 DES. Morte non cardiaca 2.07% 0.40% 3.61% 0.0% 0.02 MACE 6.53% 4.9% 11.2% 4.9% 0.02 Methods and results. From December 2005 to October 2008, 61 high risk patients with clear contraindications to a prolonged period of DAT who underwent PCI with EPC capture stent implantation in our institution were Tra i pazienti trattati con BMS, i diabetici hanno una più alta incidenza di prospectively selected and analyzed. Technical success rate was 100%. mortalità totale (10.4 vs 5.1%, p=0.005) e morte per causa cardiaca (6.4 vs Procedural success rate was 95.1%. After two years, major adverse 3.1%, p=0.02) rispetto ai non diabetici. L’utilizzo di DES ha portato ad una cardiovascular events (MACE) free survival was 80.6%. According to the riduzione significativa della mortalità totale sia nei diabetici che nei non Academic Research Consortium definitions, cardiac death occurred in 1.6% diabetici mentre la riduzione della morte per causa cardiaca è risultata of patients, and re-infarction, target lesion revascularization (TLR) and significativa solo nei pz diabetici (0.8 vs 6.4%, p=0.01). D’altra parte target vessel revascularization (TVR) occurred in 6.6%, 9.8% and 11.5% l’utilizzo dei DES non ha modificato l’incidenza di morte per causa non of patients, respectively. Definite stent thrombosis occurred in one patient cardiaca, sia tra i diabetici che i non diabetici. L’incidenza di MACE è Conclusione. and was acute (specifically 20 hours after the procedure). In patients who risultata più alta nei pz diabetici trattati con BMS rispetto ai non diabetici underwent surgery, no post-procedural MACE and no stent thrombosis (11.2 vs 6.5%, p=0.02); l’utilizzo di DES ha ridotto significativamente were recorded. l’incidenza di MACE solo nei pz diabetici (4.9 vs 11.2%, p=0.04). Conclusions. EPC capture stent implantation in high risk patients with no Conclusione. I nostri dati confermano che i pazienti diabetici sottoposti a option for DES seems encouraging, with satisfactory clinical outcomes PCI hanno un più alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori in corso di both at short and long term follow-up. follow-up rispetto ai non diabetici. L’utilizzo di stent a rilascio di farmaco si è associato ad una riduzione significativa di mortalità in tutti i pazienti ma in particolare nei pazienti diabetici ove il beneficio è apparso maggiore in termini di riduzione percentuale. Il dato ancora più saliente P288 è il riscontro di una riduzione significativa dell’incidenza di morte per IMPROVED EVENT-FREE SURVIVAL AFTER DRUG-ELUTING STENTING IN causa cardiaca nei pz diabetici trattati con DES. Questi dati supportano PATIENTS WITH CHRONIC KIDNEY DISEASE l’utilizzo sempre più estensivo di stent a rilascio di farmaco nei pz Chiara Resmini1, Flavia Ballocca1, Marco Di Cuia1, Giorgio Quadri1, diabetici. Mario Bollati1, Claudio Moretti1, Filippo Sciuto1, Pier Luigi Omedè1, Giuseppe Biondi Zoccai2, Fiorenzo Gaita1, Imad Sheiban1 1 Division of Cardiology, University of Turin, Turin, 2Division of Cardiology, University of Modena and Reggio Emilia, Modena P286 Background. Coronary artery disease represents the most important cause LONG-TERM CLINICAL OUTCOME OF CORONARY STENTING ACCORDING of mortality and morbidity in chronic kidney disease (CKD). Despite TO LESION LENGTH 1 1 1 1 continuous improvements in percutaneous coronary intervention (PCI), Giorgio Quadri , Giada Longo , Fabrizio D’Ascenzo , Anna Gonella , 1 1 1 1 CKD is still associated with more adverse events after PCI. As there are Mario Bollati , Alberto Pullara , Claudio Moretti , Filippo Sciuto , limited data on the long-term effectiveness of drug-eluting stents (DES) in Pier Luigi Omedè1, Giuseppe Biondi Zoccai2, Fiorenzo Gaita1, patients with CKD, we performed a retrospective study to compare bare Imad Sheiban1 1 metal stents (BMS) versus DES in subjects with CKD. Division of Cardiology, University of Turin, Turin, 2Division of Methods. We included all patients undergoing PCI at our center from July Cardiology, University of Modena and Reggio Emilia, Modena 2002 to December 2004 with CKD, defined as creatinine clearance <60 Background. Lesion length has been implicated as an important predictive ml/min. Patients who received only DES were compared to those who factor for restenosis after percutaneous coronary intervention (PCI) in the received only BMS. The primary end-point was the long-term rate of major balloon and bare metal stent eras. Although drug-eluting stents (DES) adverse cardiac events (MACE, i.e. the composite of death, myocardial have markedly improved early and mid-term findings of PCI even in long infarction and repeat revascularization). lesions, data on clinical outcome according to the lesion length several Results. We included a total of 150 patients with chronic renal failure out years after implantation of first-generation DES are still limited. of a total of 1606 patients, with 123 (82%) receiving BMS and 27 (18%) Methods. We retrospectively collected baseline, procedural and outcome DES. Significant baseline differences were found for age (73±10 vs 66±10, data from all patients undergoing PCI from July 2002 to December 2004 p=0.001) and previous PCI (15 vs 33%, p=0.03). After a mean follow-up of at our center. Two groups were distinguished according to the length 48 months, the MACE rate was significantly higher in patients treated with of the lesion covered by stent: long lesions (treated by one or more BMS (68 vs 37%, p=0.05). A similarly increased risk with BMS were found stents whose total length was ≥20 mm) versus short lesions (treated by for death (45 vs 21%, p=0.03), whereas the rates for repeat coronary one or more stents whose total length was <20 mm). The primary endrevascularization (24 vs 22%, p=0.8), myocardial infarction (16 vs 4%, point of the study was the long-term rate of major adverse cardiac (inteso come morte per cause cardiache, re-IMA o TLR). Due pazienti hanno eseguito una PTCA su un altro vaso e 3 di loro hanno eseguito ricoveri per episodi di scompenso. Sono verificate 4 morti per neoplasia ma nessuno di loro aveva manifestato sintomi cardiaci prima dell’exitus. Conclusioni. Dalla nostra iniziale esperienza e pur con un numero limitato di pazienti, gli stent ad accelerata endotelizzazione sono dimostrati efficaci in una popolazione ad altissimo rischio di sanguinamenti con un tasso di MACE a lunga distanza simile alla popolazione tradizionalmente trattata con BMS. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 111S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO con il gonfiaggio prolungato (almeno 60 secondi) del pallone medicato scelto in base ad un rapporto di 1 ad 1 con il diametro del vaso. Materiale. In circa due anni su 1210 PTCA eseguite, le procedure portate a termine con il metodo descritto sono state 62. La decisione relativa al tipo di trattamento della biforcazione è sempre stata presa all’inizio di ogni procedura. Di queste 62, 43 hanno riguardato biforcazioni coinvolgenti IVA e diagonale e 19 IVP e PL della coronaria destra. I pazienti erano di età media pari a 66 anni, prevalentemente di sesso maschile, 51 giunti per test da sforzo positivo e 11 per sindrome coronarica acuta senza P289 sopralivellamento del tratto ST. I rami collaterali erano tutti coinvolti ESPERIENZA INIZIALE DELL’UTILIZZO DI PALLONI MEDICATI PER IL all’ostio da stenosi significative focali ed avevano una distribuzione e TRATTAMENTO DELLA RISTENOSI INTRASTENT. RISULTATI ACUTI E A diametro tali da essere ritenuti degni di essere trattati. Il successo MEDIO TERMINE procedurale è stato del 100%, con aumento significativo anche se Stefano Galli, Cristina Ferrari, Piero Montorsi, Paolo Ravagnani, contenuto degli enzimi miocardiospecifici in 8 pz. In 9 casi è stata accettata Daniela Trabattoni, Franco Fabbiocchi, Alessandro Lualdi, una stenosi residua del ramo collaterale del 40%. In nessun caso è stato Giovanni Teruzzi, Stefano De Martini, Antonio L. Bartorelli necessario completare la PTCA con stent della coronaria secondaria. Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Istituto di Cardiologia, Risultati. Il follow-up a 8-12 mesi ha riguardato tutti i pazienti. In 23 è Università degli Studi, Milano P289 stato eseguito mediante coronarografia, negli altri con test provocativo. Introduzione. Il trattamento di scelta della ristenosi intrastent (ISR) è ESPERIENZA INIZIALE DELL’UTILIZZO DI PALLONI MEDICATI PER IL TRATTAMENTO DELLA Nel primi il controllo angiografico ha evidenziato la persistenza di un attualmente l’impianto di stent medicati in stent. Tale soluzione tuttavia RISTENOSI INTRASTENT. RISULTATI A MEDIO TERMINEspecie nel ottimo risultato angiografico a carico del ramo collaterale con restenosi non è risultata altrettanto efficace inACUTI caso diE recidiva di ristenosi, massime del 40%. Gli altri pazienti hanno mostrato un test provocativo caso di stent medicati. I risultati preliminari dell’uso dei palloni medicati negativo sia per dato clinico che ecgrafico e/o ecocardiografico. Non si sia in ambito coronarico che periferico, potrebbero rendere tale device sono avuti decessi né ulteriori ricoveri per cardiopatia ischemica. una possibile soluzione soprattutto in caso di multiple recidive di ISR. Conclusioni. Da questo studio retrospettico non è ovviamente possibile Scopo dello studio è valutare l’efficacia a breve e a lungo termine Introduzione. trarre conclusioni definitive circa il trattamento sistematico con pallone dell’utilizzo di palloni medicati per il trattamento dell’ISR. medicato di stenosi del ramo collaterale. Secondo noi rappresenta Metodi. Dal settembre 2010 sono stati arruolati consecutivamente 31 pz comunque un’esperienza significativa, in considerazione sia dell’efficacia che presentavano rispettivamente 36 ISR, trattate con utilizzo di palloni 2 riscontrata ma anche della semplicità della procedura. medicati con paclitaxel 3 mg/mm (Pantera Lux, Biotronik). Il protocollo prevede il trattamento di tutte le morfologie di ristenosi mediante Scopo dello studio predilatazione con pallone convenzionale o debulking con cutting balloon cui doveva seguire dilatazione con pallone medicato del diametro pari a Cardiologia interventistica Metodi. quello dello stent, con singolo gonfiaggio protratto per almeno 60 sec. È stato consentito cross-over ad impianto di stent in stent in caso di P291 dissezione, occlusione acuta o flusso ridotto. Il duplice trattamento ANGIOPLASTICA DEL TRONCO COMUNE NON PROTETTO: UNA RECENTE antiaggregante (ASA+clopidogrel) è mandatorio per almeno 3 mesi. Il ESPERIENZA TRIENNALE MONOCENTRICA follow-up prevede controllo clinico-angiografico a 6 mesi. Antonio Mugnolo, Paolo Pasoli, Michele Pighi, Antonio Rigamonti, Risultati. I pz presentavano le seguenti caretteristiche cliniche: età media Massimiliano Manfrin, Luca Donazzan, Giacomo Mugnai, 67.8±9.6 anni; diabete 22.5%; pregresso IMA 41% e pregresso CABG nel Gabriele Pesarini, Flavio Luciano Ribichini, Corrado Vassanelli 20% dei casi. L’indicazione alla PCI è elettiva nel 72% mentre per sindrome Divisione di Cardiologia, Dipartimento di Scienze Biomediche e coronarica acuta nel 28% dei casi. Le sedi di ISR erano: 16 IVA; CFx 10; CD Risultati. Chirurgiche, Università degli Studi, Verona 8 e SVG 2 casi. La classificazione sec. Mehran della ISR era: tipo 1A=0; 1B=2; Scopo dello studio. Report monocentrico di procedure percutanee di 1C=18; 1D=2; tipo 2=12; 3=1 e 4=1 caso. Inoltre la ISR interessa in 8 casi angioplastica coronarica e stenting del tronco comune della coronaria stent BMS; in 26 DES ed in due casi DES in BMS. La lunghezza della ISR è sinistra (TCCS) non protetto con successivo follow-up clinico ed 14.6±10.6 mm mentre la percentuale di stenosi 76.7±14.3%. mm. Per il angiografico a medio termine. trattamento delle 36 ISR sono stati utilizzati 39 palloni (1.08 DEB/ISR) con Metodi. Tra gennaio 2007 e dicembre 2010, i pazienti sottoposti ad diametro medio di 3.04±0.5 mm; lunghezza media di 21.2±7.2 mm; intervento di angioplastica e stenting del TCCS non protetto presso il utilizzando una pressione di gonfiaggio medio di 11.6±2.6 atm mantenuta laboratorio di emodinamica della Divisione Clinicizzata di Cardiologia per protocollo per almeno 60” (tempo di gonfiaggio medio 58±25 sec); in dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona sono entrati a far parte di un un solo caso non è stato raggiunto il tempo di protocollo per ischemia registro interno. In questi pazienti l’ipotesi chirurgica è stata esclusa per associta a ipotensione. I risultati strumentali acuti e clinici a 30 gg sono l’elevato rischio stimato dal cardiochirurgo oppure rifiutata dagli stessi rappresentati in tabella: pazienti. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a controllo clinico ed ecocardiografico a 6 mesi dalla procedura, ed a follow-up clinico a 16 8 Successo tecnico 36/36 (100%) Mortalità 0/36 (0%) mesi dalla procedura. Inoltre 25 pazienti hanno eseguito anche un Cross-over stent 0/36 (0%) Trombosi stent/TLR 0/36 (0%) controllo angiografico ad un follow-up medio di 11±2 mesi. Dissezioni 0/36 (0%) IMA CK-MB massa >3 vv 1/36 (2.7%) Risultati. 42 pazienti (32 maschi-76% e 10 femmine-24%) sono stati Prolasso di placca 1/36 (2.7%) Picco CK-MB Post 2.84±7.5 ng/mL sottoposti ad angioplastica coronarica (PTCA) ed impianto di 22 BMS Successo clinico 35/36 (97.3%) Picco Tn-I Post 0.47±0.87 ng/mL (48%) e 24 DES (52%) a livello del TCCS. Di questi device 15 (36%) avevano come landing-zone l’IVA prossimale e 7 (16%) la CX prossimale. Due I risultati clinici ed angiografici a 6 mesi saranno presentati al termine del pazienti hanno eseguito V-stenting con DES della biforcazione DA-CX. Conclusioni. follow-up. Ulteriori 24 stents (14 BMS e 10 DES) sono stati utilizzati per il trattamento Conclusioni. I risultati preliminari di questo studio evidenziano come il di lesioni differenti in altre sedi coronariche. Sei pazienti (14%) trattamento della ISR mediante utilizzo di palloni medicati risulta sicura presentavano malattia del TCCS isolato, 4 presentavano lesioni al TCCS + ed efficace anche a medio termine. Sembra inoltre efficace anche nelle 1 vaso (9.5%), 20 pazienti (47%) avevano patologia di TCCS + 2 vasi ed morfologie di ristenosi più complesse, come nelle recidive multiple di ISR infine 12 pazienti (29.5%) di TCCS + 3 vasi. L’indicazione più frequente di DES in stent. all’intervento era costituita da NSTEMI/Angor instabile (29 pz-69%), mentre 8 pazienti (19%) erano stati sottoposti a rivascolarizzazione d’urgenza per STEMI o scompenso cardiaco acuto refrattario alla terapia P290 medica. In 11 pazienti (26%) è stata utilizzata la contropulsazione aortica UTILIZZO DEL PALLONE A RILASCIO DI PACLITAXEL NEL TRATTAMENTO periprocedurale mentre in 5 (12%) il device utilizzato era l’Impella LP 2.5: DELLE BIFORCAZIONI tali ausili sono stati mantenuti per una media di 2 giorni nel postM. Cacucci, A. Catanoso, P. Valentini, A. Lodi Rizzini, P. Agricola, operatorio. L’EuroSCORE medio nei nostri soggetti era di 19.2±4.2%, G. Inama mentre il Syntax Score calcolato era di 33±5.1. Gli eventi in-hospital erano Dipartimento Cardio-Cerebro-Vascolare, Ospedale Maggiore, Crema costituiti da morte cardiaca (4 pz-9.5%), IMA periprocedurale (1 pz-2.4%), Background. Il trattamento delle biforcazioni coronariche rappresenta sanguinamento maggiore (1 pz-2.4%). Alla dimissione, avvenuta in media una delle principali problematiche della cardiologia interventistica. Il loro 12.2±4.7 giorni dopo l’ingresso, i pazienti erano in terapia medica ottimale approccio è difatti più frequentemente gravato da restenosi e da un secondo le ultime linee guida per le condizioni cliniche e tutti hanno aumentato rischio di trombosi e la ricerca di specifici device sempre più seguito la doppia terapia anti-aggregante per almeno 12 mesi. La frazione semplici ed efficaci è in continuo divenire. Negli ultimi anni è stato di eiezione media a 6 mesi dalla procedura nei pazienti viventi era di prodotto un pallone in grado di rilasciare in modo efficiente un farmaco 44±10.2%. Gli eventi rilevati al follow-up sono stati i seguenti: morte (2 pzantiptoliferativo estremamente lipofilo: il placlitaxel. Il suo utilizzo è stato 5.2%, di cui 1 cardiaca), re-IMA (3 pz-7.9%), nuova rivascolarizzazione prevalentemente rivolto al trattamento della restenosi intrastent sia su ischemia-guidata (2 pz-6.5%). BARE che su DES. Da circa due anni nel nostro Laboratorio abbiamo Conclusioni. Nella nostra esperienza sul trattamento percutaneo del TCCS utilizzato questo pallone anche nel trattamento sistematico, nell’ambito non protetto, in pazienti a rischio chirurgico intermedio-elevato, il di biforcazioni, di stenosi ostiali e focali del ramo collaterale di dimensioni successo procedurale è stato del 91.5% e la mortalità a 16 mesi è stata del comprese fra 2 e 3 mm (Medina class.: 1,1,1; 1,0,1; 0,1,1). 16%, con un’incidenza combinata di eventi maggiori (morte, infarto Metodi. La procedura inizia con la preparazione della biforcazione, miocardico e necessità di nuova rivascolarizzazione) del 35.5%. mediante dilatazione con pallone semplice in kissing o su ciascun vaso. Quindi prosegue con il posizionamento dello stent medicato sul vaso principale. Dopo redilatazione efficace del ramo collaterale, si procede p=0.1) and stent thrombosis (3 vs 0%, p=0.2) were not significantly different. Conclusions. Compared with BMS, use of DES in patients with CKD is associated with significantly fewer long-term clinical events and lower mortality, and they should thus be the default stent choice in subjects with renal dysfunction. 112S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER P292 P294 PERCUTANEOUS LEFT MAIN CORONARY DISEASE TREATMENT WITHOUT ON-SITE SURGERY BACK-UP IN PATIENTS WITH ACUTE CORONARY SYNDROMES: IMMEDIATE AND 2-YEAR OUTCOMES Andrea Gagnor1, Francesco Tomassini1, Enrico Romagnoli2, Sara Giolitto1, Emanuele Tizzani1, Paolo Giay Pron1, Vincenzo Infantino1, Ferdinando Varbella1 1 Ospedale di Rivoli, Rivoli, 2Policlinico Casilino, Roma Background. Best revascularization strategy in patients with acute coronary syndromes (ACS) and unprotected left main (ULM) coronary disease is still debate reflecting lack of convincing data. Objectives. Io assess clinical feasibility and efficacy of ULM percutaneous coronary intervention (PCI) in patients with ACS and describe the practice of a center without on-site surgical back-up over a 7-year period. Methods. Data on high-risk patients with ACSs undergoing percutaneous ULM treatment were prospectively collected in an independent registry. Primary end-points of this study were immediate and long-term outcomes expressed as target lesion failure (TLF, composite of cardiac death, myocardial infarction and target lesion revascularization). Results. Between January 2003 and January 2010, 200 consecutive patients were included in this study. Angiographic success was obtained in 95% of patients and in-hospital procedural success was 87%. At median follow-up of 26 months (IQ 10-47), the overall TLF rate was 28.5%, with 16.0% of cardiac death, 7.0% of myocardial infarction and 10.5% of clinically-driven target lesion revascularization rates. Cumulative definite/probable stent thrombosis was 3.5%. Elevated EuroSCORE value and pre-procedural hemodynamic instability were the strongest predictors of TLF. Temporal trend analysis showed a progressive but not significant improvement for both immediate (p=0.110) and long term (p=0.073) outcomes over the study period. Conclusion. This single-center study based on current clinical practice in patient with ULM disease and ACS demonstrated PCI as feasible revascularization strategy in absence of on-site cardio-thoracic support. Nevertheless, the outcome of these high-risk patients is still hampered by a significant in-hospital mortality rate. TREATMENT OF CORONARY BIFURCATION LESIONS WITH PROVISIONAL APPROACH USING BOTH BARE AND DRUG ELUTING STENTS. TWO YEARS OF CLINICAL FOLLOW-UP Luca Golino1, Emanuele Bruno1, Giorgia Caferri1, Fabiana Piccioni1, Francesco Serra1, Maria Pina Madonna1, Vincenzo Affinito2, Luigi Sommariva1 1 U.O.C. UTIC/Emodinamica/Cardiologia, Ospedale Belcolle, Viterbo, 2 Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma Background. Coronary bifurcation lesions (CBL) account for up to 15% of all percutaneous coronary interventions (PCI) and are one of the most challenging lesions in interventional cardiology. The treatment strategies so far proposed have improved the prognosis although is still present an high risk of restenosis. The optimal strategy to face CBL remains matter of of debate. Single-stent approach appear to be superior to systematic 2stent strategies with bare-metal stents (BMS); drug-eluting stents (DES) have low rates of restenosis and might offers improved outcomes with complex stenting techniques. Aim of the study is to investigate clinical outcome (two years of follow-up) in patients (pts) admitted to our cath lab with CBL (true bifurcation) and/or lesions close but not involving a bifurcation (false bifurcation) that need a “bifurcation lesion-like approach”. All pts were treated with provisional approach (PA). Methods. From January 2007 to January 2009 were recruited all pts with CBL and treated with simple strategy (one stent approach even followed by postdilatation of side branch (SB)). Post dilatation of SB followed stent deployment if residual stenosis ≥60% or TIMI flow grade <3 was present. True (TB) and false bifurcation (FB) were defined according with Medina classification as follows: TB (111, 101, 011); FB (110, 100, 010, 001). Results. 71 pts with CBL underwent PCI and PA. 53 (74.6%) were male, and 18 (25,4%) were female. Diabetes mellitus (DM) was present in 13% (6.6% IDDM). Pre-post procedural angiographic characteristics were: TB represented 57.3% and FB represented 42.7% of total lesions. Reference vessel diameter (RDV) in the MB, 3.08 mm and 2.6 in the SB. The mean minimal lumen diameter (MLD) in the MB was 0.34 mm and in the SB was 0.29 mm, lesion length was, in the MB 15.7 mm and in the SB 4.71 mm. Direct stenting of MB, was performed in 34% of pts. The rate of final residual stenosis of the SB was 30.4%. The rate of post-dilatation on the ostium of side branch was 60.67%. Final kissing balloon was performed in 7.86% of patients. Median follow up was 24 months for 93% of pts (n=66). Overall MACCE rate was 6.9%, cardiac death 0.7% (n=1), TVR 1.4% (n=2) and TLR 0.7% (n=1). Non cardiac death occurred in 1 pts (0.7%). No cases of stroke were recorded. No acute and subacute stent thrombosis occurred. Probable late stent thrombosis occurred in 1 pts (0.7%) at 10 months. The adherence to double antiplatelet therapy (DAT) in our population was very high at 12 months (98%). Conclusion. In our single center experience PA with “single stent”, was effective, even in DM pts, a population at higher risk of restenosis. Sequential post-dilatation of SB also appears to provide encouraging results in terms of prognosis even if associated with a limited use of “final kissing balloon”. In addition only 68.3% of pts were treated by DES placement because of the low DM rate (13%), the high DVR values (3.1 mm) along with a discrete FB lesions rate (42.7%). Thus, we can also conclude that in a population at low risk (no DM, large RVD and FB) - 32% of our study population - the use of BMS instead of DES, did not affect clinical prognosis of CBL. P293 PERCUTANEOUS CORONARY INTERVENTION IN SMALL CORONARY VESSELS: A VERY LONG-TERM FOLLOW-UP STUDY Giorgio Quadri1, Giada Longo1, Mario Bollati1, Fabrizio D’Ascenzo1, Anna Gonella1, Alberto Pullara1, Filippo Sciuto1, Pier Luigi Omedè1, Claudio Moretti1, Giuseppe Biondi Zoccai2, Fiorenzo Gaita1, Imad Sheiban1 1 Division of Cardiology, University of Turin, Turin, 2Division of Cardiology, University of Modena and Reggio Emilia, Modena Background. Despite continuous improvement in percutaneous coronary intervention (PCI), small coronary vessel disease is still associated with an increased risk of adverse events in comparison to larger reference vessel diameters. Most studies focusing on this object are limited by a short-term follow-up or emphasis on the pre-drug eluting stent (DES) era. We thus performed a retrospective study to appraise very long-term (>3 years) outcomes of PCI in small vessels. Methods. We included all patients undergoing PCI at our centre from July 2002 to December 2004. They were divided in two groups according to the size of the vessels: small vessels (treated with a ≤2.75 mm stent) and large vessels (treated with a ≥3.0 mm stent). The primary end-point of the study was the long-term rate of major adverse cardiac events (MACE, i.e. the composite of death, myocardial infarction and repeat revascularization). Results. A total of 1599 patients were included, 419 (26.2%) with small vessel stenting and 1180 (73.8%) with large vessel stenting. Previous PCI (30.1 vs 23.7%, p=0.02) and diabetes (38.8 vs 25.8%, p<0.001) were more frequent in small vessel stenting group. Moreover, there were significant differences between groups in the prevalence of DES usage (45.5 vs 33.2%, p<0.001). At 30 days, the two groups did not differ significantly in the rate of MACE (8.3 vs 6.1%, p= 0.14), as well as of all cause death (2.5 vs 1.6%, p=0.29). At a mean follow-up of 53 months the MACE rate was significantly higher in small vessel stenting group in comparison to the large vessel stenting group (54.8 vs 46.7%, p<0.01), with death occurring in 17.1 vs 15.8% (p=0.57), myocardial infarction in 8.19% vs 8.88% (p=0.70), repeat revascularization in 41.5 vs 31.4% (p<0.001), including target vessel revascularization in 27.2 vs 20.0% (p<0.01) and definite stent thrombosis in 2.11 vs 1.89% (p=0.80). Conclusions. Small vessels disease still carries an important burden of complications, driven from higher rates of target vessel revascularizations: thus intensive medical and interventional strategy should be offered to reduce these adverse outcomes. P295 ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO SENZA CARDIOCHIRURGIA IN SEDE NEL TRATTAMENTO PERCUTANEO DI OCCLUSIONI CORONARICHE CRONICHE (>3 MESI): FATTIBILITÀ E RISULTATI Andrea Gagnor, Francesco Tomassini, Emanuele Tizzani, Maria Cristina Rosa Brusin, Rosario Tripodi, Sara Giolitto, Vincenzo Infantino, Paolo Giay Pron Ospedale di Rivoli, Rivoli Scopo del lavoro. Valutare la fattibilità di PCI, i risultati e le caratteristiche dei pazienti con CTO in un laboratorio di emodinamica non dotato di cardiochirurgia in sede. Materiali e metodi. Analisi retrospettiva (1/2004-5/2010). Risultati. Sono state eseguite 5514 PCI, 502 (9.1%) in pazienti che presentavano CTO >3 mesi (78% uomini). Nel 43% dei casi l’età era <65 anni, nell’8.1% >80 anni. 26.8% presentava occlusione dell’IVA, 48.2% della destra. Malattia monovasale era presente in 79 pazienti, 236 trivasale e 15 del tronco comune. FE normale era presente nel 44.6%, FE <35% nel 13.3%. La lunghezza della lesione era >20 mm nel 67.9%. LE CTO sono passate dal 6.3% delle PCI totali nel 2004 al 10.1% nell’anno in corso (p=0.02), con una percentuale di successo che è passata dal 61.3% all’attuale 81.4% (p<0.0001) nonostante un aumento della complessità dei casi trattati, anche grazie all’utilizzo di tecniche più “aggressive” (9.9% di iniezione controlaterale fino al 2007 contro 40.6% nel triennio successivo, 2.8% parallel wire nel 2005 contro 19.3% nel triennio 200810). L’approccio anterogrado resta il più utilizzato (97.0% su dati complessivi, 93% nell’ultimo anno). In tre casi è stato utilizzato rotablator. 17 pazienti (3.3%) hanno presentato complicazioni al termine della procedura; in 5 pazienti si è verificata perforazione coronarica maggiore con necessità in 4 casi di impianto di stent ricoperto (3 casi con necessità di pericardiocentesi). 1 paziente ha presentato insufficienza renale acuta e ci sono state 9 perforazioni da guida risolte protamina. In due pazienti G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 113S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO è stato necessario eseguire angioplastica su TC per dissezione iatrogena. In due casi si è manifestato arresto cardiaco (1 irreversibile) dopo riperfusione efficace in assenza di complicanze coronariche. L’utilizzo di stent medicati (DES/disostruzioni con successo) è stata del 59.0% (47.2% fino al 2007, 76.3% dal 2008 al 2010, p<0.0001). I pz sono stati sottoposti a follow-up clinico a almeno 6 mesi con un decesso improvviso domiciliare; 30 pz hanno presentato ristenosi sintomatica di vaso sede di disostruzione: 20 di BMS (10 focali), 5 di DES (3 focali) e 5 di POBA (2 focali); 29 pazienti sono stati trattati con nuova PCI con ottimo esito. 1 (0.2%) paziente ha presentato trombosi subacuta di stent medicato (con infarto STEMI) ed è stato sottoposto ad angioplastica primaria con ottimo successo immediato e al follow-up a 1 anno. Conclusioni. La rivascolarizzazione percutanea di occlusioni coronariche croniche in centro di emodinamica non dotato di cardiochirurgia è sicuro ed efficace nonostante l’utilizzo di tecniche apparentemente “aggressive” ma che in realtà consentono un trattamento più sicuro grazie alla miglior visualizzazione del vaso distale. Nelle procedure eseguite con successo il successo clinico al follow-up nel medio periodo è stato molto alto. P296 LONG-TERM FOLLOW-UP OF PCI IN OCTOGENARIANS Giada Longo1, Giorgio Quadri1, Anna Gonella1, Fabrizio D’Ascenzo1, Mario Bollati1, Alberto Pullara1, Claudio Moretti1, Filippo Sciuto1, Pier Luigi Omedè1, Giuseppe Biondi Zoccai2, Fiorenzo Gaita1, Imad Sheiban1 1 Division of Cardiology, University of Turin, Turin, 2Division of Cardiology, University of Modena and Reggio Emilia, Modena Background. Octogenarians are the fastest growing population and face an increased early and late risk after percutaneous coronary intervention (PCI). However, their very late outlook has not been adequately studied in the drug-eluting stent (DES) era. We investigated the very long-term outcomes of elderly patients undergoing PCI in the DES era. Methods. All patients undergoing bare metal stent (BMS) or (DES) implantation at our center between July 1, 2002, and December 31, 2004, were included. We distinguished subjects older than 80 years and those younger than 80 years. The primary end-point was the long-term rate of major adverse cardio and cerebrovascular events (MACCE, i.e. the composite of death, myocardial infarction, repeat revascularization, or stroke). We also investigated stent thrombosis according to the Academic Research Consortium definitions. Results. We identified a total of 1606 patients, 9.0% octogenarians and 90.9% under 80 years. There were significant differences across groups in prevalence of male gender (respectively, 54 vs 79.7%, p<0.001), smoking (2.0 vs 13.9%, p<0.001), history of prior PCI (11.7 vs 21.9%, p=0.004) and DES usage (7.5 vs 22.7%, p=0.004). The elderly were also at higher risk regarding renal failure, dyslipidemia, impaired left ventricular function and peripheral arterial disease (all p<0.05). 30-day MACCE occurred in 11.0% of patients older than 80 years vs 5.2% of younger (p=0.004), with death in 4.8 vs 1.2% (p=0.001), myocardial infarction in 3.4 vs 0.9% (p=0.008) and stroke in 0 vs 0.1% (p=0.8). 30-day stent thrombosis occurred in 2.7 vs 0.6% (p=0.010). After a median follow-up period of 53 months, MACCE occurred in 46.9% of elderly patients vs 38.6% of younger (p=0.051), with death in 32.4 vs 10% (p<0.001), myocardial infarction in 3.5 vs 4.9% (p=0.4), repeat revascularization in 13.7 vs 25.2% (p=0.002), stroke in 5.5 vs 1.8% (p=0.004), and stent thrombosis in 0 vs 1.1% (p=0.21). Conclusions. This very long-term study demonstrates the very high risk of short and long-term adverse events faced by elderly patients undergoing PCI in the DES era, emphasizing the need for new and more effective therapeutic strategies for this population. P297 ANGIOPLASTICA CORONARICA CON SUPPORTO CARDIOPOLMONARE. TECNICA COMPLESSA MA EFFICACE PER CASI PARTICOLARMENTE CRITICI. ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO P. Pantaleo, R. Coppola, G. Tartaglia, M. Fedele, M. Gucciardo, A. Morelli, A. Pasquè, S. Mazzantini Dipartimento Cardiologia Medica e Chirurgica, ICLAS-Istituto Clinico Ligure Alta Specialità, Rapallo I continui progressi tecnologici e professionali hanno permesso di continuare ad estendere i campi di applicazione sia dell’angioplastica coronarica (PTCA) che dei bypass aortocoronarici. Tuttavia residuano casi, seppur di numero molto limitato, che, per la peculiare combinazione del quadro clinico e delle lesioni anatomiche, non risultano adeguatamente attribuibili a nessuna delle due metodiche di rivascolarizzazione considerate singolarmente né con tecniche ibride. In questi scenari, la PTCA in corso di assistenza cardio-polmonare, consente di rivascolarizzare distretti che con il solo supporto meccanico della contropulsazione aortica o di dispositivi di assistenza ventricolare, non risulterebbero adeguatamente protetti. Descriviamo l’esperienza del nostro Centro che in 5 anni ha arruolato 25 pazienti considerati a rischio eccessivo per PTCA, parimenti esclusi dall’opzione cardiochirurgica per controindicazioni cliniche e/o anatomiche ad un panel congiunto di cardiologi, cardiochirurghi e rianimatori. Abbiamo trattato 18 maschi e 7 femmine, età media 71 anni, 41% diabetici, frazione d’eiezione media 40%; il 48% aveva avuto precedente infarto miocardico; il 12% era già stato bypassato ed il 24% era già stato trattato con PTCA. Il 60% dei pazienti era stato ricoverato per sindrome coronarica acuta. 114S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 La gravità del quadro clinico è stata valutata mediante EuroSCORE: 41.5% logistico e 13.7 standard. La complessità delle lesioni coronariche, valutata mediante SYNTAX score, era mediamente di 29. La media dei vasi trattati per paziente è stata 2.5; nel 44.5% era coinvolto il tronco comune. Tutti i pazienti sono stati trattati con stent medicati (media stent/paziente: 2.8). Le procedure sono risultate tecnicamente efficaci e complete nel 100% dei casi; la durata media delle PTCA è stata di 92 minuti con tempi medi di assistenza extracorporea di 81 minuti; 22 pazienti (88%) sono stati trasferiti vivi dalla sala di emodinamica in Terapia Intensiva; 18 (72%) sono stati dimessi vivi dal Reparto di Cardiologia. Dei pazienti deceduti in Reparto, uno è morto per aritmie maligne recidivanti refrattarie, seppur in assenza di trigger ischemici ai tracciati ecgrafici ed uno per scompenso terminale. Due pazienti hanno avuto problematiche emorragiche legate all’accesso vascolare del supporto cardiopolmonare; 14 hanno ricevuto emotrasfusioni. Conclusioni. La PTCA con supporto cardiopolmonare, per quanto di infrequente utilizzo, è una metodica efficace ed affidabile per il trattamento di pazienti considerati a rischio particolarmente elevato, già esclusi spesso per molteplici cause dall’opzione chirurgica; ciò è possibile grazie alla velocità e alla duttilità della procedura percutanea unita alla protezione, non sempre surrogabile con altri presidi, della circolazione extracorporea. La collaborazione di differenti professionisti, cardiologi, cardiochirurghi, rianimatori e perfusionisti implica la necessità di eseguire queste procedure in Centri dotati di unità cardiochirurgica in loco, con ambienti dedicati che, insieme con gli alti costi procedurali, può parzialmente spiegare la mancata diffusione di tale metodica. P298 DEFER PCI ON FFR BASIS: 4-YEAR FOLLOW-UP IN A SINGLE CENTER RETROSPECTIVE STUDY Stefania Uguccioni, Lucia Uguccioni, Lucia Marinucci, Rosario A. Parisi U.O.C. Emodinamica Interventistica, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord, Pesaro Background. Coronary stenosis causing myocardial ischemia induces angina and ischemic cardiac events. Otherwise non significant coronary lesions can be safely managed by medical therapy. Percutaneous coronary intervention (PCI) is useful for relieve myocardial ischemia and treat angina while lowering coronary ischemic event rates. Recent evidence show that multivessel fractional flow reserve guided-PCI (FFR-guided PCI) significantly reduce MACE, still after two years of follow-up, when compared with angio-guided PCI. The aim of the study is to investigate mid and long term outcome of treated and untreated angiographic intermediate coronary stenosis on the basis of FFR evaluation in the real world contest. Methods. Our cath-lab operators are used to assess coronary lesions of uncertain functional meaning by FFR. Today about 12% of PCI in our center is made with pressure wire aid. From June 2005 to July 2006, 108 patients with at least one intermediate coronary stenosis (≥50%) underwent FFR evaluation during angiography (7% of total PCI). 30 of these patients (A Group) underwent PCI or CABG because the result of FFR was <0.80; in 47 patients (B1 Group) no revascularization was performed on the basis of FFR results ≥0.80, while 31 patients (B2 Group) in whom FFR measurement on the intermediate lesion was ≥0.80 underwent anyway PCI on other vessels. Clinical outcome of the three groups of patients was verified by phone interview. MACE were considered as: new onset angina, myocardial infarction, new revascularization and death. Myocardial infarction and new revascularizations were classified as vessel-related or non vessel-related regarding the vessel on which FFR evaluation was performed. Results. Clinical characteristics were similar in the three groups except for dyslipidemia that was more frequent in the B2 Group (p=0.03). The three vessel disease was most represented in the B2 Group 48,39% in comparison with A Group (23,3%) and B1 Group (19.1%) (p=0.0001). Mean follow-up was 47 months and was completed in 92.52% of patients. Event free survival was similar in the three groups of patients (A Group: 85.2%, B1 Group: 88.6%, B2 Group 75.9%) (p=0.26). No statistically significant differences were found in vessel-related events (A Group: 11.1%, B1 Group: 6.8%, B2 Group 13.8%) (p=0.56). Conclusions. FFR-guided PCI of moderate coronary stenosis in the real world setting is safe in terms of event free survival for mid and long-term follow-up. Most of ACS and new revascularizations occurred because of progression of the disease in other vessels (not evaluated by FFR). Coronary ischemic event risk caused by a non hemodynamic significant stenosis cannot be reduced by stent placing. P299 L’UTILIZZO DI GUIDA IVUS DURANTE GLI INTERVENTI CORONARICI PERCUTANEI MIGLIORA L’OUTCOME CLINICO A BREVE E LUNGO TERMINE. ANALISI A BREVE E LUNGO TERMINE DI 7616 PCI IN UN SINGOLO CENTRO Stefano Galli, Piero Montorsi, Paolo Ravagnani, Massimo Mapelli, Daniela Trabattoni, Franco Fabbiocchi, Cristina Ferrari, Luca Grancini, Giovanni Teruzzi, Antonio L. Bartorelli Centro Cardiologico Monzino, IRCCS, Istituto di Cardiologia, Università degli Studi, Milano Background. La diffusione degli interventi coronarici percutanei (PCI) ha portato i cardiologi interventisti ad affrontare pz. e lesioni sempre più complessi. L’utilizzo dell’IVUS per ottimizzare il risultato delle PCI è tuttora P299 L’UTILIZZO DI GUIDA IVUS DURANTE GLI INTERVENTI CORONARICI PERCUTANEI MIGLIORA L’OUTCOME CLINICO A BREVE E LUNGO TERMINE. ANALISI A BREVE E LUNGO TERMINE DI 7616 POSTER PCI IN UN SINGOLO CENTRO Risultati. limitato, nonostante in letteratura ci siano sempre più evidenze di un miglior outcome delle PCI condotte con guida IVUS, specie nei multivaso, Background. biforcazioni; tronco comune non protetto; SYNTAX score elevato ecc. Scopo e metodi. Scopo dello studio è pertanto rivalutare retrospettivamente i risultati a breve e lungo termine di PCI eseguite con guida IVUS oppure solo con valutazione angiografica. Dal 2005 al 2009 sono state valutate tutte le procedure consecutive eseguite presso il ns Centro, PCI primarie incluse,eemetodi. divise in due gruppi: con guida IVUS (G1) e solo Angio (G2). Il Scopo follow-up clinico è stato condotto con visita o contatto telefonico a 30 gg, 1, 2 e 3 anni. I criteri di ottimizzazione IVUS sono stati eseguiti da ogni singolo operatore. Angioplastiche complesse erano definite: TC non protetto, biforcazione con due stent, ricostruzione >50 mm; più di 5 stent impiantati e CTO. Risultati. Sono stati arruolati 7616 pz consecutivi: 1108 (15%) (G1) con guida IVUS e 6508 (85%) solo Angio (G2). Le caratteristiche cliniche, i fattori di rischio ed i precedenti cardiovascolari nei due gruppi erano simili; Risultati. in particolare: diabete 16.1% in G1 vs 15.8% in G2; insufficienza renale 6.9% in G1 vs 6.8% in G2; IMA pregresso 31% in G1 vs 30.9% in G2; pregressa PCI 40.1% in G1 vs 39.8% in G2. Differivano invece per: età media 63.6±10 in G1 vs 65.4±9.8 in G2, p<0.05; procedure complesse 35% in G1 vs. 15% in G2, p<0.01; indicazioni elettiva 70% in G1 vs 55% in G2 e di contro per sindromi acute 30% in G1 vs 45% in G2, p<0.04. Non vi erano differenze significative tra i due gruppi nel numero di vasi trattati; nell’utilizzo di DES (>80% in entrambi) e completamento della rivascolarizzazione (70%) nei due gruppi mentre differivano per numero di stent/pz 2.0±0.5 in G1 vs. 1.3±0.5 in G2, p<0.01 e per stent/lesione 1.5±0.5 in G1 vs 1.2±0.5 in G2, p<0.05. Nella tabella sono mostrati i MACCE a breve e a lungo termine compresi anche di trombosi di stent. Mortalità in-hospital (%) IMA (inclusi CK >3 vv) in-hospital (%) MACCE a 30 gg (%) Trombosi stent a 30 gg (%) MACCE a 30 gg in PCI complesse (%) Event free survival a 2 anni (%) Event free survival a 3 anni (%) G1 (n=1108) 9 (0.8) 126 (11.4) n=1084 41 (3.6) 7 (0.6) 11 (2.8) n=1005 98 (9.7) n=805 50 (6.2) G2 (n=6508) 40 (0.6) 920 (14.1) n=6318 365 (5.7) 85 (1.3) 62 (6.4) n=6150 617 (10.5) n=5003 358 (7.1) in una giovane donna di 45 anni con BMI pari a 21; l’eco-Doppler, effettuato il giorno dopo la procedura, ha escluso una formazione pseudoaneurismatica e documentato una buona pervietà del vaso per cui l’ematoma è stato trattato con beneficio mediante compressione manuale e bendaggio elastico. In nessun paziente si è verificato ischemia della mano né complicanze maggiori. Conclusioni. La coronarografia con approccio transradiale, associata o non a Conclusioni. cateterismo cardiaco dx, appare fattibile e sicura in regime di day-hospital. Tale modalità di ricovero potrebbe rappresentare una valida alternativa per gli esami diagnostici, riducendo le liste di attesa e i costi di ricovero. Tabella 1. Caratteristiche della popolazione. Tabella 1. Età (anni) Maschi (n, %) Femmine (n, %) BMI (kg/m2) Fumatori (n, %) Ipertensione arteriosa (n, %) Ipercolesterolemia (n, %) Diabete mellito (n, %) Familiarità per CAD (n, %) Presentazione clinica (n, %) Ipertensione polmonare Insufficienza mitralica Cardiomiopatia dilatativa Cardiomiopatia restrittiva p p 61±10 11 (52) 10 (48%) 25±3 5 (24) 11 (52) 7 (33) 0 (0) 7 (33) 15 (71) 1 (5) 3 (14) 1 (5) p 0.04 0.01 0.02 0.05 0.05 0.23 0.56 Conclusioni. I risultati di quest’ampia serie mostra un outcome migliore Conclusioni. nei pz sottoposti a PCI con guida IVUS. La riduzione significativa degli eventi si registra a 30 gg ma si mantiene nel FU a lungo termine, anche nel sottogruppo PCI complesse, a significare un impatto favorevole su i re interventi tardivi. L’IVUS consente una significativa riduzione della trombosi subacuta di stent che poi si mantiene nel tempo. P300 LA CORONAROGRAFIA E IL CATETERISMO CARDIACO DESTRO IN REGIME DI DAY-HOSPITAL: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO Maria Alberta Cattabiani, Cinzia Galizia, Anna Rita Maurizio, Walter Serra, Iacopo Tadonio, Alberto Menozzi, Luigi Vignali, Diego Ardissino U.O. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma Introduzione. Il progresso nelle tecniche e le “facilities” delle strutture hanno reso possibile i ricoveri dei pazienti in regime di day-hospital per un gran numero di patologie cardiologiche (scompenso cardiaco, cardioversione elettrica della FA, ecc.) riducendo i costi di ricovero ed aumentando il comfort del paziente. Tuttavia pochi dati esistono attualmente sulle procedure invasive (coronarografia, cateterismo cardiaco) effettuate in regime di day-hospital. Obiettivi. L’obiettivo dello studio è stato verificare la fattibilità e la sicurezza della coronarografia (associata o non a cateterismo cardiaco) in regime di day-hospital effettuata con approccio transradiale. È stata valutata la fattibilità della procedura, così come le complicanze locali (ematomi, aneurismi, pseudoaneurismi) e le complicanze cardiache maggiori. Metodi. Da luglio 2008 a settembre 2010, 21 pazienti consecutivi sono stati sottoposti a cateterismo cardiaco dx e coronarografia (13, 62%) o solo cateterismo cardiaco dx (5, 24%) o solo coronarografia (3 14%) in regime di day-hospital presso la Cardiologia di Parma. In tutti i pazienti la coronarografia veniva eseguita con approccio transradiale dx mentre il cateterismo destro veniva eseguito pungendo la vena femorale dx. Le caratteristiche della popolazione sono mostrate in Tabella 1. 11 pazienti (52%) erano in TAO; il warfarin veniva sospeso 24 ore prima della procedura e il valore medio dell’INR era 1.5±0.4 il giorno dell’angiografia/cateterismo. In tutti i pazienti veniva effettuato il test di Allen per valutare la pervietà della vascolarizzazione dell’arcata palmare prima di pungere l’arteria radiale. L’introduttore veniva rimosso in tutti i casi al termine della procedura e in tutti i pazienti veniva applicata una medicazione compressiva in sede di arteria radiale e di vena femorale, che veniva poi allentata progressivamente 1h e 6h dopo la procedura stessa e rimossa completamente il giorno seguente. Tutti i pazienti venivano mobilizzati dopo 4 ore dalla procedura ed invitati a tornare in ospedale la mattina seguente per un controllo. Risultati. In tutti i pazienti la coronarografia è stata portata a termine per via radiale, senza necessità di shift di accesso radiale>femorale. Tra le complicanze locali è stato documentato solo 1 ematoma radiale comparso P301 MID-TEM FOLLOW-UP AFTER PERCUTANEOUS TRANSCATHETER CLOSURE OF PATENT FORAMEN OVALE FOR CRYPTOGENIC CEREBRAL ISCHEMIA Pasquale Antonio Scopelliti, Giovan Battista Antongiovanni, Davide Personeni, Antonio Saino, Antonio Silvestro, Chiara Angeletti, Andrea Cafro, Paolo Peci, Tiberio Nicoli, Maurizio Tespili U.O. di Cardiologia, A.O. Bolognini, Seriate (BG) Patent foramen ovale (PFO) is an embryonic defect in the interatrial septum which presence may occur even in adult life. In the population with cryptogenic stroke aged <55 years, the incidence of PFO was documented to be higher (up to 56%) than in patients with stroke of known cause (18%) or in general adult population (~25%). In the last years percutaneous transcatheter closure of PFO has raised to wide clinical utilization, particularly in prevention of recurrent cerebral ischemic events in cryptogenic stroke high-risk patients, due to very low incidence of periprocedural complications and good long-term clinical results, although the last guide-lines suggests caution in patient selection. Objective. The aim of this study was to evaluate the recurrence of ischemic events in patients with cryptogenic recurrent cerebral ischemia who successfully underwent percutaneous transcatheter closure of PFO in our catheterization laboratory. Methods and results. During a period of 45 months, transesophageal echocardiographic examination (TEE) was performed in 152 patients with recurrent cryptogenic stroke or TIA referred to our Centre. In 71 patients (47%) PFO and paradoxical right-to-left atrial shunt (spontaneous or during Valsalva manoeuvre) were documented with the injection of a contrast media in the left antecubital vein. Percutaneous PFO closure was performed under sedation and TEE guidance in 62 of 71. They were 36 male and 26 female, mean age 52 (±11) years. The implantation was successful in all patients; in 1 patient the implantation was obtained in a second setting because of troublesome anatomic approach (severe kyphoscoliosis) clarified by cardiac NMR. Fifty-eight patients received an Amplatzer PFO occluder and four patients received a Biostar device. There were no periprocedural major complications (death, device embolization, need for surgery, pericardial effusion), nor minor. In 12 patients a residual trivial right-to-left shunt through the device was documented by echocontrast at the end of the procedure. Follow-up consisted in clinical evaluation and transthoracic echocardiogram performed between 6 and 12 months, then once a year. Mean follow-up was 20 (±10) months. No events or complications have been evidenced at the follow-up (stroke recurrence, late displacement of the device, mechanical injury of the aortic wall). Conclusions. Our experience confirms that the current disposable technology is safe and effective. Our follow-up is actually event-free. P302 INFLUENCE OF PATENT FORAMEN OVALE MORPHOLOGICAL CHARACTERISTICS ON LONG TERM RESIDUAL SHUNT AFTER PERCUTANEOUS CLOSURE WITH AMPLATZER OCCLUDER DEVICE. A TRANSCRANIAL DOPPLER AND INTRACARDIAC ECHOCARDIOGRAPHY STUDY Nicola Marchese1, Carlo Vigna1, Michele Pacilli1, Vincenzo Inchingolo2, Raffaele Fanelli1, Francesco Loperfido3 1 Department of Cardiology, Casa Sollievo della Sofferenza Hospital IRCCS, San Giovanni Rotondo, 2Department of Neurology, Casa Sollievo della Sofferenza Hospital IRCCS, San Giovanni Rotondo, 3Department of Cardiology, Catholic University Medical School, Rome Background. Patent foramen ovale (PFO), particularly when atrial septal aneurysm (ASA) is associated, has been identified as a potential risk factor G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 115S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO d. for cryptogenic stroke. The procedural success rate varies widely among the studies and is influenced by device type, interventional technique and echographic method to evaluate residual right-to-left (RLS) shunt. Aim. We sought to evaluate the impact of morphological characteristics of PFO evaluated with intracardiac echocardiography in regard to the residual RLS assessed by transcranial contrast color Doppler. Methods. 125 consecutive patients with cryptogenic cerebral ischemia and spontaneous or provoked high degree right-to-left shunt underwent percutaneous PFO closure with Amplatzer occluder. The PFO and fossa ovalis dimensions were obtained by mechanic intracardiac echocardiography (ICE). Transcranial contrast color Doppler (TCCD) was performed after 12 months. Results. We observed a significant (>1 grade at TCCD) residual RLS in 17 patients (14). The subgroup of patients with residual RLS had higher longitudinal (24.3±3.8 vs 18.6±4.9 mm, p<0.001) and transversal (19.7±4.4 vs 15.4±4.7 mm, p<0.001) dimensions of fossa ovalis, and more frequently a device >25 mm (29 vs 4%, p=0.002) and ASA (82 vs 23%, p<0.001) compared with the subgroup of patients without residual RLS. Fig 1 illustrates in depth the results of TCCD at 3 and 12 months according to the presence of ASA or not. Using ROC curves, we derived the cutoff of longitudinal (20.8 mm, sensitivity and specificity 95% and 71% respectively), and transversal fossa ovalis dimensions (16.9 mm, sensitivity and specificity 77% and 71%). At multivariable analysis, only the presence of ASA (odds ratio 7.6; 95%CI 1.38 to 42.35; p=0.02) and the longitudinal fossa ovalis dimension >20.8 mm (odds ratio 8.5; 95%CI 1.55 to 46.95; p=0.014) were independently and directly related with the presence of residual RLS. Conclusion. The presence of ASA and the large size of fossa ovalis are related to greater residual RLS in patients undergoing percutaneous PFO closure. P303 PERCORSO CLINICO-DIAGNOSTICO E TERAPIA DEL FORAME OVALE PERVIO: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO Roberta Rosso1, Sara Bacchini1, Lorenzo Coppo2, Mirella Corebellini1, Laura Plebani1, Francesco Monaco2, Carolina Monaco3, Angelo Sante Bongo1 1 Cardiologia Ospedaliera, 2Clinica Neurologica, 3Servizio di Anestesia II, Ospedale Maggiore della Carità, Novara Il forame ovale pervio (PFO) definisce un’anomalia cardiaca in cui l’atrio destro comunica con il sinistro a livello della fossa ovale tra septum primum e il septum secundum. Statisticamente interessa all’incirca il 2530% della popolazione adulta. Anche se attualmente non c’è alcuna prova sicura di un rapporto causa-effetto, numerosi studi hanno comunque confermato una forte associazione tra la presenza di un PFO e il rischio di embolia paradossa o di episodi di ischemia cerebrale. In circa 5 anni nel nostro ambulatorio cardio-neurologico abbiamo visitato circa 1500 pazienti provenienti da ambiti neurologici: pazienti con stroke criptogenetico e pazienti con emicrania con aura. Di questi solo il 10% ha trovato indicazione alla chiusura percutanea. La chiusura è avvenuta solo nei pazienti che corrispondevano ai seguenti criteri: Doppler transcranico positivo per shunt dx-sx, ecocardiogramma con iniezione di fisiologica sonicata positivo per shunt dx-sx a livello del PFO (eventuale eco transesofageo in caso di impossibilità di diagnosi con eco TT) e RMN encefalo positiva per multiple lesioni di tipo ischemico cardioembolico. L’intervento è stato eseguito, in sedazione profonda, con successo nel 99% dei casi. In un caso non si è riusciti a passare in atrio sinistro con il catetere giuda. In acuto si è verificata una sola complicanza (1%): un caso di apposizione trombotica su dispositivo trattata con eparina in infusione ed anticoagulante orale per 6 mesi. In 2 casi sono stati posizionati più di un dispositivo per la chiusura completa del difetto del setto atriale. I dispositivi utilizzati: 50% Amplatzer PFO occluder, 40% Cardia Atria Sept, 10% Premere Saint Jude. Alla dimissione tutti i pazienti hanno ricevuto doppia antiaggregazione per tre mesi (clopidogrel + acido acetilsalicilico) seguita da terapia con solo ASA per altri 3 mesi, poi la terapia è stata modulata in base alla patologia di base di ogni paziente. 116S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Nel mese successivo alla chiusura 4 pazienti (2.6%) hanno presentato un episodio di fibrillazione atriale persistente trattata con amiodarone. Dopo tre mesi tutti i pazienti sono stati sottoposti a controllo cardioneurologico: visita + ECG, ecodoppler transcranico (DTC) ed ecocardiogramma transtoracico (ETT) con infusione di microbolle. L’80% al controllo non ha più mostrato shunt residuo con assenza clinica di recidive e nella maggior parte dei casi miglioramento della sintomatologia cefalgica. Il rimanente 20% è stato rivalutato a 6 mesi, in considerazione della presenza di uno shunt dx-sx residuo: risultato ottimale in 25 casi su 30 con 5 shunt residui che in taluni casi hanno necessitato di un nuovo intervento di chiusura. Al follow-up circa il 3% dei pazienti hanno ripresentato problematiche neurologiche: recidive di ischemie cerebrali sintomatiche; in tutti questi pazienti non vi era shunt residuo e sono stati trattati con TAO. Nel caso di pazienti con emicrania con aura: il 20% ha presentato accentuazione dei sintomi, il 60% miglioramento dei sintomi ed il 20% nessuna modificazione della sintomatologia. In conclusione la chiusura percutanea di PFO, eseguita in un centro di esperienza, è una tecnica sicura ed efficace. Gioca un ruolo fondamentale per il successo procedurale la corretta selezione del paziente. P304 STENOSI DELLE ARTERIE RENALI IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A PRECEDENTE TRAPIANTO CARDIACO: PREVALENZA E RISULTATI A LUNGO TERMINE DEL TRATTAMENTO CON ANGIOPLASTICA PERCUTANEA Marco Ferlini, Giuseppe Alessandrino, Laura Ferrero, Laura Scelsi, Claudia Raineri, Giovanni Bertazzoli, Maurizio Ferrario, Umberto Canosi, Alessandra Repetto, Barbara Marinoni, Stefano Ghio, Ezio Bramucci, Luigi Oltrona Visconti Cardiologia, Dipartimento Cardio-toraco-vascolare, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia L’insufficienza renale cronica (IRC) e l’ipertensione arteriosa (IPT) sono due condizioni cliniche frequenti in pazienti sottoposti a trapianto cardiaco (TX). L’eziopatogenesi dell’IRC nel paziente cardiotrapiantato è verosimilmente multifattoriale, e si associa a un incremento del rischio di morte di 4-5 volte. Una stenosi angiograficamente significativa (≥50%) dell’arteria renale può rappresentare un riscontro occasionale, oppure essere associata IPT e disfunzione renale: il loro trattamento percutaneo con impianto di stent (PTA) in soggetti non-cardiotrapiantati ha dato risultati contrastanti sia sulla pressione arteriosa che sulla funzione renale. Non è noto quale sia la reale prevalenza di stenosi delle arterie renali nei pazienti sottoposti a TX, né quale sia l’effetto sulla funzione renale e sulla pressione arteriosa del trattamento percutaneo di tali stenosi. Metodi e risultati. Dal 2003 al 2009 presso il nostro Laboratorio di Emodinamica, 118 pazienti (78% maschi, età 53±14 anni) precedentemente sottoposti a TX, sono stati sottoposti ad amgiografia delle arterie renali, nel contesto di uno studio coronarografico programmato. In 12 pazienti è stata riscontrata una stenosi ≥50% a carico di almeno una delle arterie renali (Gruppo A), che è stata trattata mediante PTA, senza complicanze. I pazienti con stenosi presentavano una pressione arteriosa sistolica (PAs) basale di 144±18 mmHg, e valori basali di creatinina plasmatica significativamente più alti rispetto ai pazienti senza stenosi renale (Gruppo B): 1.91±0.7 vs 1.46±0.4 mg/dl, p<0.05. È stato quindi eseguito un follow-up ambulatoriale per i pazienti di entrambi i gruppi a 3, 6, 12, 24, 36, 48 e 60 mesi con valutazione clinica e misurazione di creatinina e PAs. In entrambi i gruppi si è verificato un aumento non significativo dei valori di creatinina rispetto al basale: Gruppo A (1.91±0.7 vs 2.15±1.0 mg/dl a 60 mesi), Gruppo B (1.46±0.4 vs 1.62±0.6 mg/dl a 60 mesi). Nel Gruppo A si è verificata una significativa riduzione di PAs a 36 mesi rispetto al basale (144±18 vs 125±13 mmHg, p=0.03), Conclusioni. Nella nostra casistica i pazienti cardiotrapiantati presentano una prevalenza del 10% di stenosi delle arterie renali che si associa ad una significativo aumento dei valori di creatinina basale. Il trattamento di tali stenosi ad un follow-up a 5 anni sembra solo limitare una ulteriore progressione del danno renale, mentre sembra avere un ruolo favorevole sui valori di PAs. P305 TRATTAMENTO DELLA SINDROME CORONARICA ACUTA CON ANGIOPLASTICA CORONARICA NELLA POPOLAZIONE DI “GRANDI ANZIANI” OVER 85 M. Dallago, G. Braito, A. Menotti, S. Muraglia, R. Bonmassari U.O. di Cardiologia, Ospedale S. Chiara, Trento L’invecchiamento della popolazione con buona qualità della vita di molti soggetti anziani ha portato ad affrontare problematiche inaspettate solo un decennio fa modificando anche da questo punto di vista l’approccio alla terapia della sdr coronarica acuta (SCA). Scopo dello studio. Valutazione dei risultati del trattamento con angioplastica coronarica (PCI) della SCA in pazienti (pz) “grandi anziani”, ultraottancinquenni. Materiali e metodi. Dal gennaio 2009 al dicembre 2010 sono stati sottoposti a PCI presso il nostro Laboratorio di Emodinamica (LabEm), centro h24 ad alto volume, 52 pz consecutivi ultraottantacinquenni, nel 54% dei casi per via arteria radiale, ricoverati per una SCA, 36% maschi età media 86.7 aa (range 85-91 aa). Risultati. 20 pz sono stati sottoposti a PCI primaria per infarto miocardico acuto ST sopra (STEMI), in 3 posizionando contropulsatore aortico, 32 a PCI POSTER per angina instabile refrattaria alla terapia medica massimale. 5 erano i pz oltre i 90 aa. Nel 95% si è proceduto a PCI con posizionamento di stent, nel 5% ad angioplastica con solo pallone. Nel 63% dei pz sono stati posizionati 2 o più stent, 75% bare metal stents (BMS), e 25% drug eluting stents (DES). Il 71% è stato sottoposto a trattamento di un singolo vaso coronarico, il 29% a 2 o 3 vasi, 3 pz a PCI su bypass aortocoronarico in vena safena, 4 pz su tronco comune della coronaria sx non protetto. L’utilizzo del solo DES è stato nel 4% dei pz, del solo BMS nel 96%: di questi 8 pz (17%) sono stati sottoposti a nuova PCI con impiego di DES, 3 per restenosi clinica intrastent (6%). Il successo procedurale è stato del 94%. I pz con SCA non STEMI provenienti da altri reparti, venivano ritrasferiti dopo PCI immediatamente o entro 24 ore. La mortalità intraospedaliera totale è stata del 5.7%, riguardante solo i pz con STEMI (1 pz per shock irreversibile in LabEm, 2 in UCI per dissociazione elettromeccanica). Conclusioni. Nella nostra esperienza l’angioplastica coronarica, anche multivasale e per via radiale si è dimostrata una procedura sicura, praticabile ed efficace nella SCA anche in una popolazione over 85. L’età si conferma non essere una controindicazione alla PCI, che rimane la terapia di scelta nei “grandi anziani” con SCA refrattaria alla terapia medica massimale. Cardiochirurgia P306 EMATOMA INTRAMURALE AORTICO: EVOLUZIONE NATURALE INTRAOSPEDALIERA Angelo Sasso, Marco Boccalatte, Carlo Bitello, Fabio Esposito, Crescenzo Materazzi, Ciro Mauro Cardiologia-UTIC, AORN A. Cardarelli, Napoli L’ematoma intramurale è una grave patologia dell’aorta, prevalentemente ascendente, caratterizzata dalla rottura dei vasa vasorum, con conseguente emorragia intraparietale. L’evoluzione naturale della malattia è caratterizzata da una mortalità a tre mesi di circa il 90%. Il trattamento terapeutico, tranne nei rari casi di ematoma intramurale dell’aorta discendente è esclusivamente chirurgico. Per tale motivo una rapida diagnosi è fondamentale per un miglioramento della prognosi. Attualmente le metodiche strumentali utilizzate per la diagnosi di ematoma intramurale sono l’ecocardiografia trans esofagea, l’angioTAC toraco-addominale e la RM. L’angiografia aortica è utilizzata solo in casi selezionati. Un paziente di anni 64 giunge alla nostra osservazione proveniente da altra struttura ospedaliera, per dolore toracico e riscontro di versamento pericardico moderato all’ecocardiogramma. All’anamnesi presenza di aneurisma dell’aorta ascendente e addominale. All’ingresso viene praticata un’angio-TAC che risulta negativa per malattia acuta dell’aorta, con dimensione degli aneurismi sovrapponibili agli esami precedenti. Essendo il paziente allergico agli antinfiammmatori, viene iniziato un trattamento con cortisonici. Controlli ecocardiografici trans toracici a due e quattro giorni evidenziarono riduzione del versamento pericardico, ma incremento di una insufficienza aortica, che lieve all’ingresso, dopo quattro giorni era diventata moderata. Con il paziente completamente asintomatico, si decide di praticare d’urgenza un’ecocardiografia transesofagea, che diagnostica un esteso ematoma intramurale dell’aorta ascendente. Il paziente viene trasferito d’urgenza in cardiochirurgia dove viene sottoposto con successo a impianto di protesi in aorta ascendente. Il caso descritto ci offre lo spunto per due importanti considerazioni. La prima è che le patologie dell’aorta per il cardiologo del dipartimento di emergenza rappresentano una patologia sempre molto difficile da riconoscere. Il paziente del caso descritto, nei giorni successivi al ricovero rimase completamente asintomatico e in ottimo stato generale nonostante la progressione rapida della malattia. La seconda è che proprio perché estremamente subdola come patologia, l’intervento diretto del cardiologo con un eco transesofageo è preferibile, secondo noi, a un angio-TAC, dove spesso il radiologo non è a conoscenza della sintomatologia clinica del paziente e può non essere esperto di patologie dell’aorta. Nel caso descritto il paziente aveva praticato una tac sia all’ingresso che dopo la diagnosi ecografica transesofagea. La progressione della malattia era chiara; ma, anche la prima indagine, associata all’anamnesi e ai segni clinici poteva evidenziare una piccola lesione da far sospettare una patologia acuta dell’aorta. P307 LA CRIOABLAZIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE E LA CHIRURGIA DELLA VALVOLA MITRALE POSSONO ESSERE EFFETTUATE CON SUCCESSO PER VIA MINITORACOTOMICA Giovanni Marchetto1, Suad El Qarra1, Eliana Raviola1, Laura Bergamasco2, Mauro Rinaldi1 1 Divisione e Cattedra di Cardiochirurgia, Azienda Ospedaliero Universitaria San Giovanni Battista, Torino, 2Dipartimento di Fisica, Università degli Studi, Torino Obiettivo. Valutare la fattibilità e l’efficacia della crioablazione della fibrillazione atriale (FA) in concomitanza a chirurgia della valvola mitrale mediante accesso minitoracotomico. Metodi. Dall’ottobre 2006 al novembre 2010, 26 pazienti con valvulopatia mitralica (età media 63.9±10.7 anni; M/F 10/16, 11 ad eziologia reumatica, 10 degenerativa e 5 cardiomiopatie dilatative) e storia di FA (17 persistenti di lunga durata, 4 persistenti e 5 parossistiche) sono stati sottoposti ad intervento combinato di crioablazione della FA e chirurgia della valvola mitrale per via minitoracotomica (IV spazio intercostale destro; incisione cutanea di 5.3±0.6 cm). Sito di cannulazione e tipo di clampaggio aortico sono stati scelti in base alle caratteristiche cliniche dei pazienti (4/26 clamp endovascolare centrale, 13/26 clamp endovascolare periferico e 9/26 cannulazione femorale e clampaggio diretto transtoracico dell’aorta). In tutti i pazienti si è utilizzato il sistema di crioablazione Cryomaze (Medtronic, Minneapolis, MN, USA) e si è eseguita l’ablazione della FA mediante uno schema che includeva l’isolamento endocardico delle vene polmonari e la linea mitralica. Risultati. L’accesso minitoracotomico si è dimostrato adeguato in tutti i casi trattati. In 15 dei 26 pazienti si è eseguita una chirurgia conservativa della valvola mitrale; 5 dei 26 pazienti sono stati sottoposti anche a chirurgia della valvola tricuspide. Il tempo medio di clampaggio aortico è stato di 93.9±20.3 minuti. Non abbiamo osservato complicanze correlate alla procedura, né mortalità ospedaliera. 24 dei 26 pazienti sono stati dimessi in ritmo sinusale (RS). Ad un follow-up medio di 19.1±13.9 mesi nessun paziente è stato rioperato, 22/25 (88%) sono in RS stabile, nessun paziente ha necessitato dell’impianto di pacemaker; si è verificato un evento cerebrovascolare acuto transitorio ed un decesso (8 mesi dall’intervento, polmonite). Conclusioni. La crioablazione della fibrillazione atriale e la chirurgia della valvola mitrale possono essere effettuate con successo per via minitoracotomica. L’approccio mini-invasivo dovrebbe essere quindi preso in considerazione anche nei pazienti con storia di FA che necessitano di chirurgia della valvola mitrale. P308 SURGICAL REDUCTION OF GIANT LEFT ATRIUM IN PATIENTS UNDERGOING MITRAL VALVE SURGERY MAY IMPROVE CLINICAL RESULTS AND REDUCE THROMBOEMBOLIC EVENTS Enrica Bosisio, Paolo Vanelli, Giovanni Cagnoni, Guido Gelpi, Andrea Mangini, Carlo Antona Cardiovascular Department, A.O. Polo Universitario Luigi Sacco, Milan Objectives. To evaluate echocardiographic and clinical results of surgical left atrial (LA) volume reduction with concomitant mitral valve surgery. Methods. From 2008 to 2010, 14 patients were admitted (M/F 5/9, mean age 70.3±5.7 years). Twelve patients showed degenerative mitral valve regurgitation, the other two patients had a rheumatic mitral valve stenosis. Permanent atrial fibrillation (AF) was present in 11 cases. The mean LA diameter was 51±10 mm and mean LA area was 39±8 mm. We performed a bi-dimensional reduction of LA, during mitral valve repair in 9 cases, and mitral valve replacement in other 5. Surgical ablation of AF was done in 10 cases. All patients received LA appendage closure. All patients received warfarin for at least 3 month and discontinued if not contraindicated. Results. The postoperative course was uneventful without major bleeding referred. There was one late death not cardiac related. Thirteen patients were discharged with restoration of left atrial volume and area. At the follow up (247.7±300.8 days) all patients were alive: 10 in 2nd and 3 in 3rd NYHA functional class. Transthoracic echocardiography showed a reduction of LA area (24.4±9 mm). No neurological major events were referred. Conclusion. LA volume reduction in patients with giant left atrium is an uncomplicated procedure that improve clinical results and reduce risk of thromboembolic events in patients underwent mitral surgery and ablation of AF. P309 CAN EuroSCORE PREDICT INTENSIVE-CARE-UNIT LENGTH OF STAY AFTER CARDIAC SURGERY? A REGRESSION MODEL OF COMPETING RISKS BASED ON PSEUDO-VALUES OF THE CUMULATIVE INCIDENCE FUNCTION Fabio Barili, Antonio Capo, Enrico Ardemagni, Nicoletta Barzaghi, Claudio Grossi Departments of Cardiac Surgery and Anaesthesia, Ospedale S. Croce, Cuneo Background. There is no consensus in the estimation of intensive care unit (ICU) length of stay (LOS), as variable ICU is generally dichotomized and not considered as continuous. A preoperative risk algorithm specifically designed to predict the need for intensive care resources in cardiac surgery is yet lacking. The aim of this study was to design a specific ICU-LOS risk model. Materials and methods. From January, 1st 2004 to December, 31th 2009, data on 3263 consecutive heart surgery patients were prospectively collected by 2 trained M.D. ICU length of stay is a time-to-event variable in a competing risks framework with death as competing event. Effect of covariates on cumulative incidence function was modeled using pseudovalues from a jack-knife of the non-parametric estimate of the crude cumulative incidence. A flexible parametric model was adopted, resorting to regression splines to estimate baseline function. Results. Sixty-eight patients died in ICU, 3142 were discharged and 53 were right censored. The median ICU-LOS was 1 day. At univariate analysis, all categorical factors but gender were significant and were considered in the initial model. Age was not found related to ICU-LOS (p>0.8) while its logarithm had a significant p value (p=0) and was selected for the model. The method for selecting the subset of covariate was purposeful selection G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 117S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO of all variables significant in the bivariate analysis. Post-infarct septal rupture, unstable angina and recent myocardial infarction had a p value >0.05 at Wald test and were eliminated one term at the time. All the other EuroSCORE factors remained in the algorithm. A significant Wald test for the time-dependent effect was shown for all factors but chronic pulmonary disease, neurological dysfunction, pulmonary hypertension and surgery for the thoracic aorta. All EuroSCORE factors in the model prolonged the ICU LOS with a relative risk (RR) <1, ranging from 0.9 to 0.35. In the final model, factors that mostly affect ICU-length of stay were critical preoperative state (RR 0.33), serum creatinine >200 microMol/L (RR 0.49), poor left ventricular dysfunction (RR 0.42) and emergency (RR 0.35). The median ICU-LOS for patients with factor “emergency” is 2.6 times those non-emergency patients. Conclusions. The algorithm developed through time-to-event modeling can estimate the ICU-LOS starting from preoperative EuroSCORE factors. P310 ANULOPLASTICA RIDUTTIVA CON UN MINI-BAND MONODIMENSIONALE IN PTFE NELL’INSUFFICIENZA MITRALICA ISCHEMICA: UNA TECNICA SEMPLICE, ECONOMICA ED EFFICACE Antonio Panza1, Severino Iesu1, Paolo Masiello1, Ornella Priante1, Antonio Longobardi1, Francesco Itri1, Rocco Leone1, Generoso Mastrogiovanni1, Rodolfo Citro2, Giuseppe Di Benedetto1 1 S.C. di Cardiochirurgia, 2S.C. di Cardiologia, A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, Salerno Introduzione. Un anello mitralico incompleto e flessibile preserva le caratteristiche sfinteriche degli anuli mitralico ed aortico (fisiologica variazione sisto-diastolica della loro area valvolare). Studi anatomici hanno dimostrato che il diametro dell’anulus e l’altezza del lembo anteriore di una mitrale ischemica hanno una scarsa variabilità (100 e 27 mm rispettivamente). Un band posteriore di 62 mm sommato ad uno spazio libero intertrigonale (in genere 2.2 mm nelle mitrali ischemiche), formando una circonferenza di circa 84 mm, determina un diametro settolaterale di 20 mm. Essendo il lembo anteriore mitralico di circa 27 mm, tale riduzione del diametro settolaterale produrrà una coaptation length ottimale (>5 mm). In questo lavoro, presentiamo la nostra esperienza nel trattamento dell’insufficienza mitralica ischemica (IMI) mediante l’uso di un mini-band posteriore e monodimensionale (62 mm) in PTFE ed impianto trigono-trigono. Metodo. Dal gennaio 2009 a dicembre 2010, 45 pazienti consecutivi (età media 66.3±8.7 anni; uomini 65%) erano sottoposti a chirurgia per IMI. Tutti i pazienti ricevano un emianello costituito da un tubo di PTFE lungo 62 mm e confezionato artigianalmente, che veniva impiantato da trigono a trigono. La FE preoperatoria media era 45±9.1%, con un EuroSCORE logistico medio di 12. Tutti i pazienti presentavano una IM >2+ ed una IM 4+ era presente nel 60% dei casi. Tutti i target coronarici ischemici adeguati venivano rivascolarizzati, preferendo la tecnica del cuore battente. Risultati. La mortalità operatoria era dell’8.8%. Tutti i pazienti ricevevano una rivascolarizzazione miocardica (graft /paziente = 2.2 in media). Alla dimissione nessun paziente presentava una IM >2+ (IM media preoperatoria 3.4±0.5 e postoperatoria 1.2±0.8, p<0.001). Al follow-up a breve termine solo un paziente presentava una IM 2+. L’area valvolare mitralica media prima e dopo chirurgia passava dal 6.7±4.3 al 2.9±0.5, rispettivamente. La classe NYHA media si riduceva da 3.3±0.5 a 2.2±0.6 (p<0.001). Conclusioni. L’anuloplastica con emianello di dimensioni standard garantisce ottimi risultati a breve tempo. La sua riproducibilità, semplicità ed economicità la rendono una tecnica attraente. Un follow-up adeguato è necessario per definirne l’efficacia nei risultati a distanza. P311 A NEW EXTRACORPOREAL VACUUM-ASSISTED DEVICE TO OPTIMIZE CARDIOPULMONARY BYPASS. COMPARISON WITH CONVENTIONAL SYSTEM Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, Giuseppe Visicchio, Flavio Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale Division of Cardiac Surgery, GVM Hospitals of Care and Research, Bari Objective. The conventional cardiopulmonary bypass circuits are associated with significant morbidity. The miniaturized systems, though more biocompatible, are limited by scarce adaptability to the spectrum of all cardiac surgical operations. We evaluated a versatile cardiopulmonary bypass system (EVADO) based on the elimination of roller pumps, separation of extracavitary suctioned blood and state-of-the-art technology for oxygenator systems and digital control. Methods. We randomized 165 patients undergoing a variety of cardiac operations to either EVADO or conventional CPB. Intraoperative haemolysis was assessed (free haemoglobin, FHb, and haptoglobin, HPT). Postoperative blood loss, haemoglobin levels, need for transfusions and perioperative clinical results were assessed. Results. In all patients randomized to EVADO, surgery could be completed without conversion to conventional CPB. The use of EVADO significantly reduced the intraoperative haemolysis (lesser increase in FHb levels, p<0.001 vs control, and lesser decrease in HPT levels, p=0.001 vs control). Among patients undergoing surgery with EVADO, we observed a lesser total postoperative bleeding (p=0.004 vs control), reduced requirement of transfusions of blood products (p=0.046), reduced rate of revision for 118S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 bleeding (p=0.03), lesser rate of postoperative atrial fibrillation (p=0.007), shorter time to extubation (p=0.02) and ICU stay (p=0.04). Conclusions. Compared with a conventional system, the application of EVADO is associated with a reduction of haemolysis, lesser haemodilution and blood loss, and lesser transfusions requirements. The clinical benefits associated with the EVADO may be due to better end-organ perfusion, lesser impairment of the coagulation and inflammatory reaction. Dedicated studies are required to these issues. P312 ANULOPLASTICA MITRALICA E SOSPENSIONE DEI MUSCOLI PAPILLARI (RING + STRING) NELLA INSUFFICIENZA MITRALICA FUNZIONALE GRAVE: SOLUZIONE DEL PROBLEMA O ILLUSIONE? Valentino Borghetti1, Daniella Bovelli2, Giulia Camilli2, Marco Patella2, Paolo Fiaschini3, Francesco Fioriello1, Marco Bazzucchi2, Stefano Bergonzini2, Chiara Marini2, Alessandro Pardini1 1 S.C. di Cardiochirurgia, 2S.C. di Cardiologia, A.O. “S. Maria”, Terni Introduzione. Studi clinici hanno dimostrato che l’anuloplastica mitralica restrittiva isolata (RING), nella insufficienza mitralica funzionale (IMF), non previene le recidive a distanza né impedisce la persistenza di insufficienza mitralica, in quanto non riduce l’apicalizzazione dei lembi mitralici secondaria alla dilatazione del ventricolo sinistro (VS). Recentemente è stata proposta una tecnica chirurgica aggiuntiva di sospensione transventricolare dei muscoli papillari (STRING) che ha il presupposto di ridurre stabilmente la distanza di tethering mitralico, ripristinando la coaptazione fisiologica, in modo da prevenire la recidiva di IMF secondaria al rimodellamento del VS. Lo scopo di questo studio è quello di validare l’efficacia a breve termine dell’associazione di RING + STRING mitralico nella riduzione del tethering e del rigurgito mitralico nella IMF grave. Materiali e metodi. Nel periodo maggio-dicembre 2010, 5 pazienti (pz) di sesso maschile, età media di 66±11 anni (54-75 anni), affetti da IMF grave (4+/4+) sono stati sottoposti a RING + STRING mitralico. L’IMF era di origine ischemica in 4 pz e dilatativa in 1 pz. L’ecocardiogramma preoperatorio documentava una FE media 35±2% (25-55%), DTD medio 64±3 mm (54-70 mm), VolTD medio 232±84 ml (158-320 ml). Il RING mitralico è stato effettuato mediante l’impianto di un anello rigido completo tipo St. Jude Saddle-Ring n. 28 in tutti i pz. Lo STRING mitralico è stato effettuato, per via transvalvolare aortica, sospendendo entrambi i muscoli papillari, ancorati con due suture in politetrafluoroetilene 4-0 rinforzate con pledgets, esteriorizzate a livello della continuità mitro-aortica ed annodate, per via ecoguidata ed a cuore battente, in assistenza circolatoria extracorporea parziale. L’obiettivo tecnico è stato quello di abolire l’IMF intraoperatoria ottenendo una profondità di coaptazione inferiore a 10 mm. In 2 pz è stata associata una rivascolarizzazione miocardica completa. Risultati. Non vi sono stati decessi intraospedalieri né a distanza. In 1 pz si sono verificate aritmie ventricolari maligne recidivanti, risoltesi con terapia farmacologia antiaritmica ad elevati dosaggi. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un controllo ecocardiografico ad un follow-up (FU) breve di 2.2±1 mesi che ha dimostrato, confrontando i parametri preoperatori con i postoperatori, una riduzione: dell’entità della insufficienza mitralica da 4+ a 1+/2+ o triviale in tutti i pz, della profondità di coaptazione da 14±2 mm a 9±0 mm, dell’area di tenting da 41±7 mm2 a 22±0 mm2, del VolTD del VS da 232±84 ml a 191±77 ml e una riduzione della classe NYHA da IIIIV a I-II in tutti i pz. Conclusioni. Il RING+STRING mitralico si dimostra una tecnica chirurgica promettente nella riduzione, a breve termine, del rigurgito mitralico e della profondità di coaptazione in pz affetti da IMF con miglioramento consensuale della classe funzionale. Un’osservazione a medio e lungo termine è necessaria allo scopo di stabilire se tali risultati permangano stabili nel tempo e soprattutto possano favorire un rimodellamento inverso del VS. P313 INCREMENTAL BENEFITS OF THE LEFT VENTRICULAR PASSIVE CONTAINMENT DEVICE (CorCap) COUPLED WITH CARDIAC RESYNCHRONIZATION THERAPY Giuseppe Nasso, Vito Romano, Felice Piancone, Raffaele Bonifazi, Giuseppe Visicchio, Flavio Fiore, Katerina Generali, Giuseppe Speziale Division of Cardiac Surgery, GVM Hospitals of Care and Research, Bari Objectives. Heart failure is a leading cause of morbidity and mortality in the Western world, and accounts for a considerable number of repeated hospitalizations with ensuing social costs. The cardiac resynchronization therapy (CRT) is a valuable option in patients with dilated cardiomyopathy and intraventricular dyssynchrony (gain in left ventricular ejection fraction and functional improvement over time is achievable). In the same patients, the use of the left ventricular passive containment device (CorCap) has been associated with a statistically significant reduction of cardiac dimensions, improved functional capacity and improved quality of life. The present investigation is aimed at ascertaining whether an incremental benefit can be obtained with the coupling of these two strategies. Methods. In a randomized study, we enrolled patients with left ventricular end-diastolic diameter ≥60 mm, left ventricular ejection fraction ≤30% and >10%, NYHA III symptoms of heart failure despite optimal medical therapy, and QRS duration ≥120 msec. Patients with more than mild mitral regurgitation, indication to coronary surgery and life expectancy shorter than 1 year due to any comorbidity were excluded. Patients were assigned to Group A (CRT plus CorCap) to Group B (CRT alone). POSTER Results. Forty-seven patients were enrolled in each group. Baseline characteristics, including echocardiographic parameters were comparable between groups. The CorCap device could be implanted off-pump in all Group A patients without any instance of operative mortality or major morbidity. At the end of an average 12.5 months, in both groups we could demonstrate a statistically significant reduction in the average enddiastolic diameter, volume and volume index (p<0.001 all). The mean sphericity index and ejection fraction of the left ventricle were increased at the end of the follow-up in both groups (p<0.01 both). Nonetheless, the average left ventricular diameter, volume and volume index were statistically lower at the end of the follow-up in Group A vs Group B. The SF-36 domains contributing to the Physical Health score were significantly higher in Group A. NYHA functional class improved by a mean 1.9 classes in Group A and 1.2 classes in Group B (p=0.013). Kaplan-Meier analysis showed that patients enrolled in Group A had an improved survival free from hospitalization for heart failure vs. Group B patients (log-rank p=0.005). Conclusions. The present data indicate that the use of the left ventricular passive containment device in conjunction with CRT confers incremental clinical benefits in patients with dilated cardiomyopathy and desynchronization vs patients subjected to CRT alone. P314 LONG-DISTANCE BRIDGING OF PATIENTS ON MECHANICAL CIRCULATORY SUPPORT (MCS); THE “HUB AND SPOKE” MODEL Massimo Maiani1, Giorgio Guzzi1, Vincenzo Tursi1, Cristian Daffarra1, Luigi Vetrugno2, Flavio Bassi2, Rodolfo Muzzi2, Ugolino Livi1 1 CardioThoracic Dept, University General Hospital, Udine, 2 Anesthesiology, Resuscitation and Intensive Care Dept, Udine Objective. Regional referral networks (so called hub-and-spoke) have been extensively created to facilitate transfer of critically-ill patients. This model is not well established for those on mechanical circulatory support (MCS), even if improving results with ventricular assist devices forwards their wider clinical application. Materials and methods. Between 2005 and 2010, 6 patients [5 males, mean(median) age 56(58)±6 years (range 46-62)] were transferred to our Institution supported by MCS; Intraaortic balloon pump counterpulsation (IABP) + extracorporeal membrane oxygenation (ECMO) in 2, left centrifugal pump after IABP/ECMO in 3, and ECMO alone in 1. Indications for MCS were cardiogenic shock following acute myocardial infarction in 3 patients and post cardiotomy in 1, dilated cardiomyopathy in 1, and H1N1-related respiratory failure in 1. Mean distance was 487(264)±488 km (range 84-1100); 4 patients transferred by ground, 2 by air+ground. After referral, 2 centrifugal pumps were bridged to pulsatile left ventricular assist devices (LVADs). All but one were on mechanical ventilation; 2 patients required continuous veno-venous hemofiltration (CVVH)/dialysis before referral, 2 afterwards. Results. During transportation, all patients were hemodynamically stable, no problems occurred. One patient died after overall 40 days of assistance for multi-organ failure due to sepsis. Four patient were successfully transplanted 20(2)±38 days (range 0-76); H1N1 patient was weaned by ECMO after 11 days. At 35(40)±24 months follow-up, all patients are alive and well but the female, died for neoplasia 34 months after transplant. Conclusions. Our experience seems to validate the hub-and-spoke model for management of these critically ill patients. Key of success of this approach is presence of skilled teams and a close collaboration among peripheral (spoke) and experienced (hub) centers. P315 TRAPIANTO DI CUORE IN PAZIENTI GIOVANI E IN PAZIENTI ANZIANI. CONFRONTO TRA DUE POPOLAZIONI OMOGENEE. ESPERIENZA DEL CENTRO TRAPIANTI DI TORINO Luca Checco1, Massimo Boffini2, Riccardo Saviolo3, Marco Ribezzo2, Tullio Usmiani1, Riccardo Bonato2, Erika Simonato2, Suad El Qarra2, Davide Ricci2, Mauro Rinaldi2, Sebastiano Marra1 1 Cardiologia Ospedaliera, 2Cardiochirurgia, 3Cardiologia Universitaria, Azienda Universitaria Ospedaliera S. Giovanni Battista Molinette, Torino Razionale. Confrontare 2 diverse popolazioni di pazienti, sottoposti a trapianto di cuore presso il Centro Trapianti di Torino, ordinati per età anagrafica: pazienti con età <35 anni (gruppo A) e pazienti con età >60 anni (gruppo B) per evidenziare caratteristiche diverse di popolazione, di evoluzione di quadro clinico e di sopravvivenza a lungo termine, che possano condizionare eventuali scelte gestionali-terapeutiche successive del Centro Trapianti. Materiali e metodi. Dal 03 aprile 1990 al 15 gennaio 2011, sono stati trapiantati presso il nostro Centro Trapianti Cuore 479 pazienti, con età compresa tra 14 e 70 anni (media 57.3±11). 405 pazienti (84%) erano di sesso maschile, 74 (16%) di sesso femminile. Il gruppo A (<35 anni) era composto da 46 pazienti (31 maschi - 67% e 15 femmine - 33%), con età compresa tra 14 e 35 anni (media 26.3±6); il gruppo B (>60 anni) era composto da 94 pazienti (78 maschi - 83% e 16 femmine - 17%), con età compresa tra 60 e 70 anni (media 62.9±3). Nel confronto dei 2 gruppi sono state considerate come variabili valutative: eziologia della malattia iniziale, gruppo sanguigno, terapia immuno-soppressiva post-trapianto, episodi di rigetto acuto (nel primo anno) o cronico (inteso come disfunzione ventricolare sinistra o segni di scompenso destro), evoluzione del profilo emodinamico destro, co-morbilità, sopravvivenza nel posttrapianto, mortalità e cause di morte. Risultati. Confrontando i 2 gruppi, l’eziologia prevalente era quella idiopatica/virale/post-gravidica nel gruppo A (71%), mentre nel gruppo B oltre a quella idiopatica/virale/post-gravidica (45%) era numerosa anche quella ischemica (42%), non vi erano differenze di distribuzione del gruppo sanguigno nei 2 gruppi: 0 (48%), A (32%), B (15%), AB (5%), né nella terapia immuno-soppressiva post-trapianto (con associazione prevalente ciclosporina + everolimus dopo il primo anno), né nelle comorbilità post-trapianto, né nel rigetto cronico (valutato attraverso la comparsa di segni di disfunzione ventricolare sinistra o destra all’ecocardiogramma, o la comparsa di segni clinici di scompenso sinistro o destro): 12% nel gruppo A e 19% nel gruppo B. Si sono riscontrate invece differenze statisticamente significative nel confronto del rigetto acuto entro il primo anno (inteso come riscontro alla BEM di grado >ex 2 sec. la working formulation), che è stato del 41% nel gruppo A e del 21% nel gruppo B (p=0.03) e nella sopravvivenza nel post-trapianto: gruppo A 14.6 anni verso gruppo B 9.1 anni (p=0.02). Le cause di morte sono state per entrambi i gruppi prevalentemente legate a rigetto acuto evoluto in MOF nei decessi entro il primo anno, e alla comparsa di neoplasie in organi solidi nei decessi oltre il quinto anno. Con un’analisi del sottogruppo della popolazione femminile del gruppo B (16 pazienti) si è osservato che le caratteristiche erano simili a quelle del gruppo A per eziologia (idiopatica/virale/post-gravidica: 61%, p=0.04), per la percentuale di rigetto acuto (31%, p=0.03) e per la sopravvivenza nel post-trapianto (10.6 anni, p=NS). Conclusioni. L’età dei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco, a causa della differente eziologia della malattia di base e delle co-morbilità presenti al momento del trapianto, rappresenta un indice prognostico negativo per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti. L’unico dato a favore della popolazione più anziana è rappresentato dal minor numero di rigetti acuti (e di morti per MOF) nel primo anno. Il sesso femminile, nel gruppo ad età più avanzata, sembra invertire tale tendenza, e rendere tali pazienti del tutto sovrapponibili ai pazienti del gruppo ad età più giovane. P316 LONG-TERM MECHANICAL SUPPORT WITH THE HEARTMATE II LVAS Antonio Loforte, Andrea Montalto, Federico Ranocchi, Paola Lilla Della Monica, Angela Lappa, Carlo Contento, Francesco Musumeci Department of Cardiac Surgery and Transplantation, S. Camillo Hospital, Rome Background. The HeartMate II LVAS is an implantable axial-flow pump, which is designed to support the left ventricle for extended periods of time. We report our experience with the device. Materials and methods. Between 2002 and 2010, 27 patients were supported on HeartMate II LVAS at our institution. The cohort included 23 men with a mean age of 56±9.7 years (range 31-69). Primary indications for implantation were ischemic cardiomyopathy (n=18) and idiopathic cardiomyopathy (n=9). At time of implantation Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support (INTERMACS) score was 2 in two patients and 3 in the rest. Two of them had undergone prior open heart surgery. Results. Mean support time was 267±262.3 days (range, 1–902). Early (30day) mortality was 27.7% (n=6) mainly due to multiple organ failure. Bleeding requiring reoperation occurred in 9 cases (33.3%). Cerebral hemorrhage occurred in 1 case. Ten patients (37%) required primary temporary right ventricular support. Nineteen subjects (70.3%) were successfully discharged home. Five implants resulted to be a permanent support. Two patients died after 660 and 480 days of support, respectively. Device failure occurred in one patient who got recovery and successfull explant of the pump. Overall, 12 patients (44.4%) underwent transplantation and 3 are awaiting a suitable organ. At latest follow-up, the survival rate after transplantation is 75% (n= 9). Conclusions. Long-term HeartMate II LVAS can successfully bridge patients to heart transplantation. Good mid- and long-term results support the use of this device even as permanent solution. P317 LEVITRONIX CENTRIMAG THIRD-GENERATION MAGLEV CONTINUOUS FLOW PUMP AS BRIDGE TO SOLUTION Antonio Loforte, Andrea Montalto, Federico Ranocchi, Paola Lilla Della Monica, Angela Lappa, Carlo Contento, Francesco Musumeci Department of Cardiac Surgery and Transplantation, S. Camillo Hospital, Rome Introduction. The Levitronix ventricular assist device (VAD) is a magnetically levitated rotary pump designed for temporary extracorporeal support. The aim of this study is to report our early results with the device. Materials and methods. Between 02/2004 and 10/2010, 42 consecutive adult patients were supported with Levitronix at our institution (32 men; age 62.3±10.5, range 31-76 years). Indications for support were: (Group A, n=37) failure to wean from the cardiopulmonary bypass in the setting of post-cardiotomy (n=23), primary donor graft failure (n=4) or right ventricular failure after axial LVAD placement (n=10); and (Group B, n=5) refractory heart failure after acute myocardial infarction. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 119S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Results. The mean support time was 11.2±6.8 days (range 3 to 43 days) in Group A and 8.6±4.3 days (range 5 to 11 days) in Group B. In the postcardiotomy cohort (Group A), eleven (47.8%) patients were weaned from support as all supported graft failure patients. Eight patients of axial LVAD cohort were weaned from RVAD with removal of the temporary pump performed through a right mini-thoracotomy in 6 of them. One patient was bridged to heart transplantation (Htx). Overall 13 (35.1%) patients died on support in Group A. In Group B, one patient was bridged to Htx and four died on support. Overall bleeding requiring re-operation occurred in 15 (35.7%) cases and cerebral major events in 4 (9.5%). There were no device failures. Overall twenty-five (59.5%) patients were discharged home. Conclusions. Levitronix CentriMag proved to be effective as a bridge to decision in patients with refractory acute cardiogenic shock in several clinical scenarios. Insufficienza cardiaca 1 insufficiency (GFR <60 ml/min) in 28.9 and 24.3%, peripheral vascular disease in 21.6 and 23.1% and anemia (Hb <12 g/dl) in 9.9% and 11.6%. During the same period echocardiogram was performed in 1028 pts (61%). LVEF was ≤40% in 33% of pts, >40% in 50.5% and not available in 16.5%. BB were prescribed in 66.5% of pts with LVEF ≤40% and in 59.7% in those with LVEF >40%. In pts with LVEF ≤40%, those on ACE or AII inhibitors were 95% in pts on BB while 76.6% in pts not on BB. In cases with atrial fibrillation anticoagulants were given in 71%. Rest HR ≥70 was present in 30.4% of pts treated with BB (48.3% on ≤50% of target doses) and 47.8% of those who were not on BB, complete bundle branch block in 25.8 and 27.1%, 2nd or advanced AV block in 2.2 and 2.8%, sick sinus syndrome in 2.3 and 1.8%, atrial fibrillation in 51.3 and 52.6%, syncope in 7.2% and 8.1% and previous electrical device implantation in 29.5 and 26.4%. The recall of all “SHIFT” patients is on course to reconsider the indication and dose titration of BB (1st choice) or eventually to start ivabradine (2nd choice). Conclusions. Clinical performance evaluation may be useful to plan specific interventions and track changes overtime for continuous quality improvement of patient care. The results of specific intervention to improve treatment of HF targeted to heart rate will be presented. P318 PROGRESSIONE DELLA DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA E DEL RIMODELLAMENTO VENTRICOLARE NELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO IN TERAPIA MEDICA OTTIMALE: RUOLO DEL BACKGROUND GENETICO INDIVIDUALE Marzia Rigolli, Mariantonietta Cicoira, Corinna Bergamini, Andrea Chiampan, Andrea Rossi, Corrado Vassanelli Divisione Clinicizzata Cardiologia, Dipartimento di Medicina, Università degli Studi, Verona Background. I sistemi neuro-ormonali giocano un ruolo fondamentale nello scompenso cardiaco cronico. A causa dell’eterogeneità interindividuale nella risposta alla terapia si potrebbe ipotizzare che i polimorfismi genetici dei sistemi neuro-ormonali influenzino il rimodellamento e la funzione sistolica del ventricolo sinistro. Scopo dello studio è quello di valutare se il background genetico di una popolazione di pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in terapia ottimale possa predire variazioni di volumi e funzione sistolica del ventricolo sinistro. Metodi. È stata condotta un’analisi prospettica su 131 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in terapia ottimale da almeno 6 mesi. Sono state eseguite valutazioni ecocardiografiche complete all’arruolamento e a distanza di 12 mesi. Sono stati inoltre tipizzati tramite analisi genetica i polimorfismi per i geni ACE I/D, Beta1AR Arg389Gly, Beta2 Arg16Gly e Beta2 Gln27Glu. Risultati. Tra i sottogruppi genetici non sono state constatate differenze significative nelle caratteristiche basali della popolazione. È stato riscontrato che il polimorfismo ACE II è predittore significativo di variazione di volume telediastolico e telesistolico del ventricolo sinistro (p= 0.003 e p= 0.002 rispettivamente) ma non di frazione d’eiezione, mentre Beta1AR GlyGly è risultato correlato al miglioramento di frazione d’eiezione (p=0.02) e di volume telesistolico (p=0.01) del ventricolo sinistro. Il valore predittivo di questi polimorfismi è risultato significativo anche dopo correzione per gli altri predittori clinici significativi (p<0.05). Conclusione. I polimorfismi genetici ACE I/D e Beta1AR Arg389Gly sono predittori indipendenti di rimodellamento inverso e di miglioramento di funzione sistolica nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico in terapia medica ottimale. P319 INTERVENTION PLAN TO IMPROVE PRESCRIPTION AND DOSAGE OF BETABLOCKERS IN HEART FAILURE PATIENTS WITH HEART RATE MORE THAN 70 BPM Giulia Russo1, Antonella Cherubini1, Giorgio Faganello1, Laura Massa2, Marco Merlo2, Matteo Dal Ferro2, Francesca Brun2, Antonio Di Chiara3, Monica Bonin3, Gianfranco Sinagra2, Andrea Di Lenarda1 1 Centro Cardiovascolare, ASS1 Triestina, Trieste, 2Dipartimento Cardiovascolare, Ospedali Riuniti, Trieste, 3Cardiologia, ASS3 Tolmezzo, Tolmezzo Background. Heart failure (HF) is a growing health problem, with significant impact on quality of life and outcome, health care organization and resource utilization. The measure of “real world” clinical performance in outpatient care of HF may be useful for quality improvement activities within physician practices. Three Cardiology Centers (CC) of Friuli Venezia Giulia (North-East Italy) participate to a Cardiovascular Registry, an integration of an intranet based electronic medical charts. Methods. From January 1, 2010 to December 31, 2010, all clinical data were collected and encoded in medical charts. Integration of health care database was empowered using Business Object. We present the preliminary results of a descriptive cross-sectional study of patients (pts) with history of HF and not treated with beta-blockers (BB) evaluated in Outpatient Clinics of CC. Results. 3357 cardiologic evaluations (2/patient-pt) were performed in 1685 pts with diagnosis of HF according to ESC criteria (males 61.9%, age 74.2±11.2 years). 1010 pts were treated with BB (59.9%), while 675 (40.1%) were not. In the history, ischemic heart disease was present in 48.2% of patients treated with BB, and 45.8% in not treated (myocardial infarction in 27.7 and 26.4% respectively), valvular HD in 16.4 and 21%, arterial hypertension in 76.7 and 72.3%, “cardiomyopathies” in 23.3 and 12%. Among comorbidities, COPD was present in 16.3% of those treated with BB and 28.8% of those who were not, diabetes in 32.1 and 29.2%, renal 120S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P320 RISPOSTA CLINICA ED EMODINAMICA ALLA SOMMINISTRAZIONE DI LEVOSIMENDAN IN PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO RIACUTIZZATO: È SEMPRE POSITIVA? Emanuele Cecchi, Salvatore Mario Romano, Marco Chiostri, Valentina Spini, Emma Gelera, Gian Franco Gensini, Cristina Giglioli Subintensiva Cardiologica Medico-Chirurgica, Dipartimento del Cuore e dei Vasi, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze Introduzione. La terapia dei pazienti con scompenso cardiaco riacutizzato (SCR) è volta ad ottenere l’euvolemia ed è costituita principalmente dai diuretici endovenosi e dalla terapia sostitutiva renale continua. Un ruolo cardine è inoltre svolto dagli inotropi tra cui il levosimendan, un calciosensibilizzante, è risultato associato ad un miglioramento clinico in questi pazienti. Scopo. Valutare se pazienti con SCR trattati efficacemente con diuretici endovenosi o ultrafiltrazione, possano ricevere un ulteriore beneficio clinico ed emodinamico dalla somministrazione di levosimendan. Metodi. 31 pazienti (età media 69.4±10.6 anni) con SCR (classe NYHA IIIIV) sono stati trattati con diuretici endovenosi (n=15) o ultrafiltrazione (n=16), ottenendo una riduzione significativa dei segni e sintomi di ipervolemia, e successivamente con infusione di levosimendan per almeno 24 ore. Sono stati misurati con il PRAM, un sistema di monitoraggio minimamente invasivo, la pressione sistolica, diastolica, dicrota e media, le resistenze vascolari sistemiche (RVS) e alcuni indici sia della contrattilità cardiaca [cardiac output (CO), stroke volume (SV), dP/dtmax, cardiac power output (CPO)] che della performance globale del sistema cardiovascolare [cardiac cycle efficiency (CCE)] in condizioni di base, alla fine del trattamento e 36 ore dopo la somministrazione di levosimendan. Risultati. Un aumento significativo di CCE, CO, SV, dP/dtmax ed una diminuzione significativa della pressione diastolica, dicrota e delle RVS sono stati osservati alla fine del trattamento con levosimendan e 36 ore dopo rispetto ai valori basali. È stata inoltre osservata con l’aggiunta del levosimendan un’ulteriore significativa riduzione dei segni e sintomi di scompenso cardiaco e della classe NYHA (3.65±0.49 all’ingresso vs 3.00±0.58 36 ore dopo somministrazione di levosimendan; p<0.001). Cinque pazienti hanno mostrato un andamento opposto di alcuni parametri emodinamici in assenza di un significativo miglioramento clinico e sono stati definiti come “non-responsivi”. Conclusioni. Nella maggior parte dei pazienti con SCR trattati con diuretici endovenosi e ultrafiltrazione, il levosimendan determina un ulteriore miglioramento clinico e di alcune variabili emodinamiche indicative della contrattilità cardiaca e della performance globale del sistema cardiovascolare. Tuttavia, un sottogruppo di pazienti non beneficia dell’aggiunta di levosimendan, probabilmente per esaurimento della loro riserva contrattile miocardica; la caratterizzazione di questi ultimi potrà permettere di ottimizzare l’impiego di questo farmaco, anche nell’ottica di un’attenta valutazione del rapporto costo-beneficio. P321 IVABRADINA: EFFICACIA E TOLLERABILITÀ NEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO ACUTO POST-INFARTUALE Ilaria Jacomelli, Federica Giordano, Mariano Pellicano, Tania Dominici, Concetta Torromeo, Francesca Moschella Orsini, Gennaro Petriello, Francesco Barillà Dipartimento Cuore e Grossi Vasi, Policlinico Umberto I, La Sapienza Università, Roma Background. La modulazione della frequenza cardiaca nei pazienti con SCA consente di ridurre il lavoro cardiaco, il consumo miocardico di ossigeno e di migliorare la perfusione miocardica per l’allungamento del tempo di diastole. L’ivabradina è un farmaco che determina un calo della FC senza alterare l’inotropismo cardiaco: possiede quindi effetti antianginosi e anti-ischemici associati con la riduzione dose dipendente della frequenza cardiaca. Il più recente studio internazionale che ha valutato efficacia e tollerabilità dell’ivabradina nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica è lo SHIFT. L’esito di questo trial dimostra una riduzione significativa del numero di morti per cause cardiovascolari e ricoveri per scompenso cardiaco. POSTER Scopo dello studio. Valutare l’efficacia e la tollerabilità della somministrazione di ivabradina nei pazienti con scompenso cardiaco acuto post-IMA. Materiali e metodi. Sono stati arruolati 20 pazienti (gruppo A) con SCA complicata da scompenso cardiaco acuto. Per 3 mesi hanno assunto ivabradina (da 2.5 mg a 7.5 mg x 2). L’efficacia del trattamento è stata confrontata con un altro gruppo (B) di 20 pazienti con scompenso cardiaco acuto trattati con terapia convenzionale. Sono stati valutati i parametri emodinamici (PA e FC), i giorni di trattamento con inotropi positivi ed eseguiti ecocardiogramma e dosaggio del pro-BNP ai tempi 0 (T0), 7 giorni (T1), 1 mese (T2), 3 mesi (T3) dall’IMA. Risultati. Nel gruppo A la riduzione della frequenza cardiaca al di sotto di 70 bpm è stata raggiunta in una settimana, un target non raggiunto nel gruppo B. La FE risultava ridotta in entrambi i gruppi al tempo T0 (A 38% vs B 36%). L’uso di inotropi positivi si è reso necessario, in media, per 5 giorni nel gruppo A rispetto ai 10 del B. Il recupero della FE a 7 giorni dall’evento (T1) è stato maggiore nel gruppo A rispetto al B (40 vs 38%), a 3 mesi (T3) la FE risultava del 45% nel gruppo A, rispetto al 39% del gruppo B. I valori sierici del pro-BNP al tempo T0 erano simili nei due gruppi (T0 3597 vs 3660 pg/ml), mentre nei tempi successivi c’è stata una riduzione più marcata nel gruppo A rispetto al gruppo B (T1 1368 vs 2316; T2 806 vs 1930; T3 303 vs 973 pg/ml). Conclusioni. I dati dello studio mostrano che il trattamento con ivabradina nei pazienti con scompenso cardiaco acuto è ben tollerato ed efficace nel ridurre la FC. Inoltre, favorisce il recupero della funzione ventricolare sinistra. P322 ARITMIE VENTRICOLARI MALIGNE DURANTE TERAPIA CON IVABRADINA IN PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO REFRATTARIO IN TERAPIA ENDOVENOSA CON AMINE Lorenzo Costantini1, Veronica Dusi1, Simona Damiano1, Keren Zildman1, Gaetano M. De Ferrari2 1 Dipartimento di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Università degli Studi, Pavia, 2Dipartimento di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Introduzione. L’ivabradina è un inibitore specifico di If che riduce la frequenza cardiaca senza agire sui beta-recettori. Gli studi clinici hanno dimostrato un effetto favorevole nei pazienti con scompenso cardiaco cronico. Queste due considerazioni hanno portato a proporre l’uso di ivabradina anche in pazienti con scompenso cardiaco severo trattati con amine. Non esistono tuttavia dati di sicurezza del farmaco in pazienti con scompenso cardiaco in classe NYHA IV ricoverati in terapia intensiva. Caso. Donna di 40 anni, 45 kg di peso, con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (FE 20%) e insufficienza renale cronica da glomerulosclerosi focale da connettivite indifferenziata. Portatrice di ICD in prevenzione primaria, mai rilevate aritmie ventricolari sostenute. In seguito a sindrome nefrosica complicata da marcata instabilizzazione del compenso con severa disfunzione biventricolare ed anuria, ricoverata il 21/09/2010 in Unità Coronarica. Si tratta con dopamina 3 gamma/kg/min, dobutamina 5 gamma/kg/min, e ultrafiltrazione a giorni alterni, con progressivo miglioramento del compenso. Il 29/9 si inizia terapia con fluconazolo 150 mg/24h per vulvovaginite micotica. In seguito peggioramento delle condizioni generali, con puntate febbrili, emocolture negative e quadro TAC polmonare suggestivo per focolai broncopneumonici multipli; si inizia terapia con imipenem 500 mg/24h e vancomicina 500 mg/24h. Peggioramento della funzione renale con necessità di dialisi a giorni alterni. Accentuazione della tachicardia sinusale a 128-130 bpm con segni di bassa portata cardiaca e marcata sintomatologia per palpitazioni. Al monitoraggio continuo mai extrasistoli ventricolari, neppure isolate. Il 30/9 si decide di somministrare ivabradina 5 mg/die; il 2/10 sospende fluconazolo. La frequenza cardiaca si riduce, con marcato beneficio soggettivo, fino al minimo di 87 bpm alle ore 2 del 3 ottobre. A ciò si associa la comparsa e l’accentuazione progressiva di extrasistolia ventricolare polimorfa sino alla comparsa nei giorni 2 e 3/10 di 5 episodi di torsione di punta sintomatici per sincope, in due casi degenerati in FV trattata efficacemente dall’ICD I. L’intervallo QRS era di 150 ms, il QT di 420 ms a 100 bpm (rispetto ad un valore pre-farmaco di 320 ms a 125 bpm). Gli elettroliti erano normali. Viene quindi sospesa ivabradina osservando la scomparsa in 24-36 ore delle aritmie ventricolari. Nei successivi 15 giorni di monitoraggio neppure un’extrasistole ventricolare isolata. Conclusioni. L’uso “off-label” di ivabradina (associata a uso di fluconazolo) in una paziente con scompenso refrattario in terapia con amine ha causato l’insorgenza di aritmie ventricolari maligne. Alte dosi di catecolamine (circolanti od infuse) hanno effetti sia sul miocardio ventricolare che sul nodo del seno. È ipotizzabile che ivabradina bloccando la tachicardizzazione ma lasciando inalterati gli effetti ventricolari aumenti significativamente il rischio di aritmie ventricolari polimorfe. Questo caso invita, in attesa di necessari dati clinici accurati in questa casistica, ad una grande cautela nell’uso di ivabradina in pazienti con scompenso severo, in particolare se trattati con amine. P323 RUOLO DELLA SINDROME METABOLICA COME EQUIVALENTE DEL DIABETE MELLITO IN TERMINI DI RIDUZIONE DELLA PERFORMANCE VENTRICOLARE DESTRA Mario Gregori1, Francesco Paneni1, Giuliano Tocci1, Giovanna Viola1, Giuliana Capretti1, Michela D’Agostino1, Giuseppino Massimo Ciavarella1, Andrea Ferrucci1, Luciano De Biase1, Massimo Volpe1,2 1 U.O.C. di Cardiologia, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Sapienza”, Ospedale Sant’Andrea, Roma, 2IRCCS Neuromed, Polo Molisano, Pozzilli Introduzione. Il diabete mellito di tipo II (DM II) è risultato associato a modificazioni della geometria ventricolare sinistra con conseguente compromissione degli indici di funzione sistolica ed aumento del rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Negli ultimi anni, anche nel paziente con sindrome metabolica (SM) si è osservata una disfunzione subclinica del ventricolo sinistro. Scopo del presente studio è stato quello di valutare l’impatto della SM, del DM II, o della loro associazione, sullo sviluppo di disfunzione ventricolare destra (DVD). Metodi. 225 pazienti ipertesi, di età compresa tra i 30 e i 70 anni (età media 54.79±10.71), sono stati inclusi nello studio e sottoposti a misurazione standard della pressione arteriosa (PA), routine ematochimica con dosaggio della PCR-hs ed ecocardiogramma transtoracico sia con metodica convenzionale che Doppler tissutale (TDI). In base ai criteri ATP III ed alla presenza del DM II abbiamo suddiviso la popolazione in 4 gruppi: 1)controlli sani [n=120] 2)SM senza DM II [n=84], 3)DM II senza SM [n=49], 4)SM e DM II [n=92]. La disfunzione ventricolare destra è stata definita come un valore di average myocardial performance index (aMPI) superiore a 2 deviazioni standard rispetto al valore medio derivato dal gruppo di controllo. Risultati. I 4 gruppi non differivano significativamente per età e sesso, mentre differivano per i valori di PA sistolica (PAS) e diastolica (PAD) e di BMI. La velocità Em, misurata sulla parete libera del ventricolo destro, era significativamente ridotta nel gruppo SM + DM (gruppi 1-4: 0.19±0.05 vs 0.16±0.02 vs 0.17±0.03 vs 0.13±0.03; p<0.001), al contrario la velocità Am era progressivamente aumentata (gruppi 1-4: 0.15±0.03 vs 0.18±0.04 vs 0.18±0.04 vs 0.22±0.04; p<0.001). L’aMPI risultava significativamente più elevato nei pazienti con SM e DM II (gruppi 1-4: 0.47±0.04 vs 0.55±0.17 vs 0.54±0.07 vs 0.62±0.11; p<0.001), mentre la prevalenza di DVD risultava progressivamente maggiore nei 4 gruppi considerati (5 vs 25.4 vs 32.4 vs 73.9%; p<0.001). All’analisi multivariata, la glicemia (beta=0.19; p=0.03) e la circonferenza addominale (beta= 0.28; p=0.03) correlavano direttamente con l’aMPI, mentre una correlazione inversa è stata osservata con i livelli di HDL (beta=-0.14; p=0.02). In regressione logistica, corretta per età, sesso, BMI, PAS e PAD, sia la presenza di SM o DM II che la loro associazione è risultata significativamente ed indipendentemente correlata con lo sviluppo di DVD [rispettivamente OR 5.08 (95% IC 2.69.7); 3.34 (95% IC 1.56-7.17); 5.83 (95% IC 2.1-8.76); p<0.01]. Conclusioni. La prevalenza di DVD nei pazienti con SM è risultata simile a quella dei pazienti con DM II e maggiore nei pazienti diabetici con SM rispetto a quelli con DM II senza SM. I nostri dati suggeriscono che il paziente con SM presenta alterazioni subcliniche della funzione sistodiastolica del VD pari a quelle osservate nel soggetto diabetico. Inoltre, nel paziente diabetico con SM, tali alterazioni risultano maggiormente evidenti. P324 PREVALENZA DI DIABETE MELLITO TIPO 2 TRA I PAZIENTI RICOVERATI PER SCOMPENSO CARDIACO ACUTO IN UNA CARDIOLOGIA DELLA SARDEGNA. QUALI DIFFERENZE CLINICO-TERAPEUTICHE RISPETTO AI NON DIABETICI Francesco Uras, Antonella Brundu, Pierfranco Terrosu Divisione di Cardiologia, Ospedale Civile “SS. Annunziata”, Sassari Background. In Sardegna il diabete mellito tipo 2 rappresenta il 90% di tutti i casi diagnosticati. Tra le complicanze diabetiche figura lo scompenso cardiaco che, al pari del diabete, è in continua espansione epidemiologica. Scopo. Valutare la prevalenza di diabete tipo 2 in 161 pazienti (pz) consecutivi ricoverati nel 2009 presso il reparto di cardiologia per scompenso cardiaco acuto (AHF), senza storia nota di cardiopatia ischemica e confrontare i diabetici con i “non” per tutta una serie di parametri. Materiali e metodi. Esaminare le relazioni di degenza di 161 pz ricoverati per AHF, selezionando quelli con diabete tipo 2, confrontarli con i 130 non affetti (gruppo di controllo) e valutare: parametri demografici (età, sesso, giorni di degenza), strumentali (FE%, coronarografia), laboratoristici (dosaggio di troponina e BNP), presenza di fattori di rischio (ipertensione, fumo, ipercolesterolemia,) e l’uso, alla dimissione, della posologia dei farmaci anti-scompenso per evidenziare differenze significative. I test statistici utilizzati sono: il t di Student per le medie ed il Chi quadro per i valori percentuali(significatività statistica: p≤0.05). Risultati. 31pz (M/F 21/10) affetti da diabete tipo 2 sono stati confrontati con 130 “non” (M/F 87/43) ed è emerso che i diabetici sono più anziani (età media di 67.4±11.28 vs 59.2±8.8 anni, p=0.000), ipertesi (80 vs 54%, p=0,002), dislipidemici (65 vs 15%, p=0.002), fumatori (85 vs 14%, p=0.000), con valori pressori meno controllati (PA sistolica media di 138.5±29.3 vs 121.1±14.5 mmHg con p=0.000 e PA diastolica media di 87.0±15.3 vs 76.6±8.0 mmHg con p=0.000). Su 11 diabetici che hanno eseguito la coronarografia, 9 (82%) avevano stenosi emodinamicamente significative (≥50%) mentre su 62 controlli solo 9 (15%) presentavano G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 121S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO coronaropatia significativa (p=0.000). Nessuna differenza (p≥0.05) per troponina (0.39±1.24 vs 0.27±1.29 ng/ml), BNP (563.7±482 vs 812.5±892.3 pg/ml), giorni di degenza (7.1±4.0 vs 7.6±5.3) e FE% (40.3±13.4 vs 39.5±15.6%) ed un uso pressoché analogo della posologia dei farmaci: infatti a 19 diabetici (61.5%) vs 84 “non”(65%) erano stati prescritti i betabloccanti (dosaggio medio di 7.0±8.4 vs 8.7±10.8 mg). 23 diabetici (75%) assumevano ACE-I vs 78 controlli (60%) con una media di 8.2±6.6 vs 10.3±8.4 mg; 28 diabetici (90.5%) diuretici vs 114 controlli (87.5%), soprattutto furosemide con una media quasi equivalente: 52.6±33.3 vs 54.2±40.0 mg. 16 diabetici (52%) risparmiatori di K+ contro 75 “non” (58%) con media di 51.5±26.2 vs 52.6±27.4 mg. 11 diabetici (36%) la digitale vs 41 “non” (32%), con media di 0.181±0.06 vs 0.187±0.065 mg (p=NS). Conclusioni. Nella nostra casistica, si conferma lo stretto legame tra diabete e coronaropatia, pur trattandosi di pz non ischemici. La scarsa “aggressività terapeutica” nel diabetico per alcuni farmaci potrebbe essere dettata dal timore delle possibili ripercussioni sul profilo glicidico. Uno degli obiettivi da raggiungere potrebbe essere quello di prevedere una gestione personalizzata (esempio: adeguamento terapeutico in base all’andamento metabolico) mediante il coinvolgimento di un pool di esperti (cardiologo, diabetologo, nefrologo) per cercare di prevenire riacutizzazioni di malattia. P325 EFFETTI DEL PERNOTTAMENTO IN ALTITUDINE (2880 m) IN CARDIOPATICI CON DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA Giorgio Mazzuero1, Antonio Mazzuero2, Liliana Perini1, Lara Baduena3, Pantaleo Giannuzzi1 1 Divisione di Cardiologia Riabilitativa, Fondazione S. Maugeri, IRCCS, Veruno (NO), 2Cardiologia e Unità Coronarica, Ospedale S. Biagio, Domodossola (VB), 3Clinica Cardiologica, A.O.U. Maggiore della Carità, P326 Università del Piemonte Orientale, Novara RUOLO DEL TUMOR NECROSIS FACTOR-α NEL PREDIRE IL L’esposizione all’altitudine genera ipertensione polmonare, di grado RIMODELLAMENTO VENTRICOLARE SINISTRO E LA PROGNOSI NEI variabile fra individui. L’architettura del sonno è alterata in altitudine in PAZIENTI SOTTOPOSTI A TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA P326 soggetti sani non acclimatati, presentando sia periodismo respiratorio, sia 1 1 1 Laura Striuli , Roberto Rordorf , Antonio Sanzo1, Simone RUOLO DEL TUMOR NECROSIS FACTORNEL Savastano PREDIRE , IL RIMODELLAM P325 ostruttive. Il cardiopatico con disfunzione ventricolare sinistra e apnee Mara De Amici2, Cristina Torre2, Alessandro Vicentini1, Barbara Petracci1, EFFETTItolleranza DEL PERNOTTAMENTO IN ALTITUDINE (2880 m) IN CARDIOPATICI DISFUNZIONE SINISTRO E 1, LA PROGNOSI SOTTOPOSTI A TERAPIA DI buona allo sforzo è già stato studiato in esposizione acuta a CON Enrico Chieffo Edoardo Gandolfi1,NEI LucaPAZIENTI Ballerini1, Luca Poggio1, VENTRICOLARE SINISTRA quote fino a 3000m, a riposo e durante attività fisica, senza complicanze. CARDIACA Maurizio Landolina1, Luigi Oltrona Visconti1 Non ci sono dati riguardo agli effetti del trascorrere la notte in altitudine 1 Dipartimento di Cardiologia, 2Clinica Pediatrica, Fondazione IRCCS in tali pazienti (pz). Policlinico San Matteo, Pavia Abbiamo selezionato 10 pz con disfunzione ventricolare sinistra (frazione Background. L’attivazione neuroumorale e immunitaria è implicata nella di eiezione [FE] <45%), pressione arteriosa polmonare sistolica (PAPs) <50 fisiopatologia dello scompenso cardiaco. La concentrazione delle citochine mmHg, indice di apnee/ipopnee (apnea hypopnea index, AHI) <30/h, proinfiammatorie è inversamente correlata con la prognosi ed in particolare saturazione arteriosa di ossigeno (SaO2) media notturna >90%, ilBackground. tumor necrosis factor-α (TNF-α) ha un ruolo nella progressione della clinicamente stabili. I pz sono stati studiati a bassa quota (350m) e in malattia poiché è coinvolto nella cascata apoptotica e nei processi di altitudine (2880m) mediante ecocardiogramma e polisonnografia, allo rimodellamento cardiaco. Scopo del presente studio è quello di valutare scopo di evidenziare alterazioni legate all’ipossia. la correlazione tra la concentrazione basale di TNF-α plasmatico e la Contrariamente a quanto atteso, i valori di PAPs erano più bassi all’arrivo risposta alla terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) in termini di in altitudine e dopo pernottamento, rispetto ai valori misurati a bassa rimodellamento ventricolare sinistro e di follow-up clinico a lungo termine. quota, nonostante la prevedibile riduzione della SaO2 sia diurna sia Metodi. 91 pz con scompenso cardiaco cronico (età 63±9. classe NYHA notturna (Fig. 1). La FE del ventricolo sinistro è significativamente 2.6±0.5, QRS 161±28 msec, FE 25±6%, BNP 388±380pg/ml) sono stati aumentata all’esposizione acuta all’ipossia, con modesto ritorno verso i sottoposti Metodi. a dosaggio del TNF-α e dell’IL-6 plasmatici prima della CRT. Un valori basali il giorno successivo. ecocardiogramma per la valutazione del volume telediastolico (VTD), del L’architettura del sonno in altitudine ha mantenuto il modello osservato volume telesistolico (VTS) e della frazione di eiezione (FE) è stato a bassa quota (7 pz con prevalenza di apnee centrali e 3 con prevalenza effettuato in tutti i pz in basale e a 6 mesi. I pazienti sono stati seguiti per di ostruttive), ma è peggiorata: l’AHI (Fig. 2) e l’indice di desaturazione un follow-up mediano di 27 mesi (min 7, max 52 mesi). Endpoint dello di ossigeno (oxygen desaturation index >4% dal basale, ODI) sono studio è stato considerato l’insieme della mortalità cardiaca, delle aumentati e la minima desaturazione media (MDM) è diminuita in tutti ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e dei trapianti di cuore. i pz; in particolare i valori più elevati di AHI sono stati osservati negli Risultati. È stata dimostrata una correlazione inversa statisticamente unici due pz la cui PAPs è aumentata in quota. È stata osservata significativa tra il TNF-α basale e la percentuale di riduzione del VTS a 6 Risultati. correlazione diretta fra valori di AHI a bassa e ad alta quota (r2=0.56; mesi dopo CRT (r=-0.3, p<0.01). La popolazione è stata suddivisa in terzili p<0.05). Nessun paziente ha avuto complicanze cardiorespiratorie, né in base al valore di TNF-α pre-CRT: TNF-α basso (<0.67 pg/ml, n=30), TNF-α ha sofferto di mal di montagna. intermedio (0.67-2.17 pg/ml, n=31) e TNF-α alto (>2.17 pg/ml, n=30). Si è osservata una differenza significativa nei 3 gruppi per quanto riguarda la Valori mediani (range) 350m 2880m – 2880m – p riduzione percentuale del VTS e del VTD e l’incremento assoluto di FE giorno 1 giorno 2 dopo 6 mesi di CRT (vedi tabella). Durante il periodo di follow-up 4 pz PAPs (mmHg)* 37 (24-47) 28 (23-41) 27 (22-39) 0.01 hanno avuto una morte cardiaca, 20 un’ospedalizzazione per scompenso SaO2 diurna (%) 97 (94-98) 89 (82-91) 89 (85-95) <0.0001 cardiaco e 3 un trapianto cardiaco. L’incidenza dell’endpoint principale è FE (%) 38 (30-42) 43.5 (36-47.5) 42.5 (34-51) 0.002 Frequenza cardiaca (b/min)* 66 (59-79) 76.5 (61-91) 70 (56-82) 0.05 risultata significativamente più alta nel terzile alto rispetto a quello Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 120 (110-140) 130 (110-150) 125 (100-140) 0.03 intermedio e basso (rispettivamente 50% vs 16% vs 13%, p<0.01). La *n=9 pz. sopravvivenza libera da eventi nei pazienti del terzile alto è risultata significativamente inferiore rispetto al resto della popolazione (p=0.03). Valori mediani (range) 350m 2880m p AHI (eventi/h) 16 (3-34) 28 (10-78) 0.005 All’analisi multivariata il TNF-α alto (>2,17 pg/ml) e il QRS basale sono ODI (eventi/h) 6.5 (0,3-23) 18 (6,5-83) 0.045 risultati predittori indipendenti dell’endpoint principale (TNF-α: RR 3.98, MDM (%) 90.5 (84-93) 83.5 (73-91) 0.002 IC95% 1.4-11, p=0.01; QRS: RR 0.98 IC95% 0.96-0.99, p=0.01). 94 (92-96) 87.5 (82-93) 0.0001 SaO2 media notturna (%) Conclusioni. Valori plasmatici elevati di TNF-α identificano i pazienti a Conclusioni. maggior rischio di eventi cardiovascolari dopo la CRT. I livelli di TNF-α Il pernottamento a 2880m non sembra costituire rischio aggiuntivo in plasmatici influenzano l’entità del rimodellamento ventricolare sinistro pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, pressioni polmonari <50 inverso nei pz trattati con CRT e potrebbero indicare uno stato avanzato mmHg, clinicamente stabili. In tale gruppo di pazienti l’esposizione acuta di malattia con scarsa probabilità di risposta alla terapia. diurna e notturna all’altitudine non ha provocato incremento delle pressioni polmonari. Il numero di episodi di apnee ed ipopnee è TNF-Į basso TNF-Į intermedio TNF-Į alto significativamente aumentato in tutti i pazienti, proporzionalmente al (n=30) (n=31) (n=30) numero di eventi documentato a bassa quota. Riduzione VTS a 6 mesi (%) 31±28*# 18±17 9±22 Riduzione VTD a 6 mesi (%) Incremento FE 22±24* 9±8*† 14±15° 3±6 4±18 4±8 *p<0.01 vs TNF-α alto;°p<0.05 vs TNF-α alto; †p<0.01 vs TNF-α intermedio, #p<0.05 vs TNF-α intermedio. 122S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 POSTER P327 MORTALITÀ ED OSPEDALIZZAZIONI NELLO SCOMPENSO CARDIACO TRATTATO CON CARDIORESINCRONIZZAZIONE: CONFRONTO TRA SOGGETTI CON INDICAZIONE IA ALL’IMPIANTO VS IMPIANTI CON INDICAZIONE DI CLASSE II O NON CONVENZIONALE Salvatore Pezzullo1, Vittorio Palmieri2, Fernando Coltorti2, Vincenzo Tavoletta2, Piero Scarnera2, Antonello Langella2, Donato Tartaglione2, Giovanvirgilio Cimmino2, Antonietta Buonomo2, Aldo Celentano2 1 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università “Federico II”, Napoli, 2U.O.C. di Cardiologia, P.O. dei Pellegrini, ASL Napoli 1, Napoli In termini di indicazione alla resincronizzazione cardiaca/defibrillatore automatico (CRT-D), la pratica clinica affronta spesso contesti non pienamente contemplati negli studi sperimentali. Abbiamo ipotizzato che in contesto clinico di scompenso cardiaco, i soggetti con indicazione alla CRT-D in classe IA possano trovare maggior beneficio rispetto a coloro che ricevono impianto con indicazione non IA, tra cui in particolare soggetti in fibrillazione atriale (FA), e pazienti che presentano dissincronia elettomeccanica all’ecocardiogramma ma QRS stretto. Metodi. Abbiamo eseguito un’analisi retrospettiva degli eventi fatali per tutte le cause, delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, della % di responder a CRT secondo criteri clinici (incremento della classe NYHA), e delle complicanze post-procedurali, in un campione di pazienti consecutivi affetti da scompenso cardiaco cronico sottoposti ad impianto di CRT-D entro un periodo di 3 anni (2006-2008) con follow-up medio di 3 anni (fino a dicembre 2010). I pazienti sono stati suddivisi sulla base dell’indicazione all’impianto: G0=classe IA: NYHA III-IV, ritmo sinusale, QRS>120 msec, FE ≤35%; G1=classe II: NYHA III-IV, QRS ≥120 msec, FE ≤35% ma in FA; G2=non convenzionale: NYHA III-IV, ritmo sinusale, FE ≤35%, ma QRS <120 msec e dissincronia intraventricolare all’ecocardiogramma. Risultati. Nel periodo in esame, sono stati selezionati 108 pazienti di cui 65 in G0, 27 in G1, 12 in G2. L’età media era maggiore in G1 vs. G0: (media±DS): G0: 67±10; G1: 72±10; G2: 71±10 (p<0,05 per G0 vs. G1). La prevalenza di donne (G0: 26%; G1: 17%; G2: 8%) e quella di eziologia ischemica (G0: 66%; G1: 59%; G4: 92%) erano simili tra i gruppi (p=ns). La proporzione di eventi fatali (G0: 22%; G1: 23%; G2: 20%, p=ns), quella di ricoverati per scompenso cardiaco (G0: 30%; G1: 33%; G3: 22%, p = ns), e quella di responder (G0: 78,3%; G1: 77,8; G2: 77,8%, p=ns) sono risultati comparabili tra i gruppi. Problemi di dislocazione degli elettrocateteri, di stimolazione frenica o di infezione hanno reso necessario un intervento di revisione dell’impianto in: G0: 15,3%; G1: 18,5%; G2: 25% dei pazienti (p=ns). In particolare, la prevalenza di infezioni correlate all’impianto di CRT-D è stata pari a: G0: 4,6%; G1: 11,1%; G2: 8,3% (p=ns). Tutte le complicanze osservate non hanno avuto alcun impatto clinico rilevante sulla popolazione in studio. Conclusioni. Le categorie di pazienti in cui è stato effettuato un impianto di CRT-D non in classe IA, ovvero per FA o per QRS stretto ma presenza di dissincronia elettromeccanica all’eco, hanno mostrato un beneficio clinico (mortalità, reospedalizzazione, risposta clinica) non inferiore a quello riscontrato in pazienti sottoposti ad impianto di CRT-D con indicazione di classe IA. Tuttavia, la possibilità di una revisione dell’impianto necessaria in follow-up pone problemi non trascurabili di ordine economico, particolarmente in soggetti con indicazioni “non convenzionali” ad impianto di CRT-D. P328 FISTOLA AORTA-ATRIO DESTRO: RARA CAUSA DI SCOMPENSO CARDIACO Angelo Sasso, Luigi Raffaele Elia, Antonio Ruocco, Celestino Sardu, Crescenzo Materazzi, Ciro Mauro Cardiologia-UTIC, AORN A. Cardarelli, Napoli Introduzione. La fistola aorta-atrio destro è una rara patologia le cui cause sono rappresentate più frequentemente da un aneurisma del seno di Valsalva, congenito o causato da endocardite, da una dissezione aortica, da esiti di interventi di cardiochirurgia. L’evoluzione di tale patologia, se non trattata chirurgicamente, è verso lo scompenso cardiaco irreversibile. Il caso da noi presentato si riferisce a un uomo, senza precedenti patologie significative, che si presenta alla nostra osservazione con i segni clinici di uno scompenso cardiaco. Caso clinico. Un uomo di anni 40, con anamnesi personale negativa per precedenti patologie degne di nota, giunge alla nostra osservazione per dispnea progressivamente ingravescente, tosse secca e stizzosa ed edemi declivi arti inferiori. Al torace presenza di rumori umidi in campo mediobasale bilaterale. All’ascoltazione cardiaca presenza di un soffio continuo 4/6 su tutti i focolai cardiaci, più intenso sul II spazio intercostale di sinistra. All’ECG presenza di segni di sovraccarico ventricolare destro. L’esame ecocardiografico evidenziava al 2D dilatazione delle cavità destre e del tronco dell’arteria polmonare, con presenza di dilatazione aneurismatica del seno di Valsalva omolaterale, e, al color Doppler, un flusso continuo tra aorta e atrio destro come da tragitto fistoloso. Discussione. La fistola aorta-atrio destro è una patologia molto rara e proprio per questo non sempre facilmente diagnosticabile. La presenza di un soffio intenso, continuo, sul II spazio intercostale di sinistra può orientare la nostra diagnosi, ma è solo l’esame ecocardiografico, transtoracico, o più frequentemente transesofageo, a darci la conferma del sospetto della presenza della comunicazione atrio-aorta. Nel caso da noi presentato l’estrema chiarezza delle immagini dell’esame transtoracico ci ha consentito di fare la diagnosi senza necessità di ulteriori esami, permettendoci di indirizzare rapidamente il paziente alla valutazione cardiochirurgica. Conclusioni. L’esame clinico, con la presenza di un soffio continuo sui focolai della base cardiaca, in un paziente con i sintomi di uno scompenso cardiaco, può orientare la nostra diagnosi verso la presenza di una comunicazione aorto-atriale. La conferma di tale diagnosi può essere effettuata solo con l’esame ecocardiografico, transtoracico o transesofageo, che ci permette di indirizzare il paziente all’unico trattamento definitivo di tale patologia, la terapia chirurgica. Insufficienza cardiaca 2 P329 THE T.O.S.CA. PROJECT Francesco Ferrara1, Emanuele Bobbio2, Andrea Salzano2, Graziella Malizia3, Vincenzo Cirrincione4, Giuseppe Limongelli5, Olga Vriz6, Armando Mazzeo7, Vincenzo De Paola8, Rodolfo Citro9, Luigi Caliendo10, Alberto Marra2, Michele Arcopinto2, Tommaso Generali11, Alessandro Frigiola11, Andrea Ballotta12, Eduardo Bossone13, Antonio Cittadini2 1 Divisione di Cardiologia, Ospedale di Ariano Irpino, Ariano Irpino (AV), 2 Dipartimento di Medicina Clinica, Scienze Cardiovascolari ed Immunologiche, Università “Federico II”, Napoli, 3Divisione di Endocrinologia, A.O. Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello, Palermo, 4 Divisione di Cardiologia, A.O. Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello, Palermo, 5Dipartimento di Cardiologia, Seconda Università degli Studi, Napoli, 6Divisione di Cardiologia, Ospedale di San Daniele, San Daniele del Friuli (UD), 7T.O.S.CA Project Team, Napoli, 8Direzione Sanitaria, Ospedale di Cava de’ Tirreni-Costa d’Amalfi, Cava de’ Tirreni (SA), 9 Dipartimento Medico-Chirurgico-Torre Cuore, Azienda Ospedaliera Universitaria “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, Salerno, 10 Divisione di Cardiologia, Ospedale San Leonardo, Castellammare di Stabia (NA), 11Divisione di Cardiochirurgia, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI), 12Unità di Terapia Intensiva PostCardiochirurgica, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI), 13Divisione di Cardiologia, Ospedale di Cava de’ Tirreni-Costa d’Amalfi, Cava de’ Tirreni (SA) Despite recent and exponential improvements in diagnostic-therapeutic pathways, an existing “GAP” has been revealed from the “real world care” and the “optimal care” of patients with heart failure (HF). We present the T.O.S.CA Project (Trattamento Ormonale dello Scompenso CArdiaco), an Italian multicenter initiative aiming to explore the HF “metabolic pathophysiological model” and to improve the quality of care in HF. Research/Aims. a) To give reference values for the diagnosis of Low IGF-1 syndrome in HF patients and to evaluate the prevalence of low GH/IGF-1 activity in this population; b) To monitor HF progression with respect to change in IGF-1 activity in a 2-years multicenter longitudinal study, in order to evaluate IGF-1 as a possible prognosis marker for HF; c) To identify the correlations between IGF-1 and other hormonal values (thyroid hormones, androgen axis, insulin-resistance), as well as the correlations between IGF1 and morphological (ventricular volumes, ventricular mass) and functional indexes (ergospirometric parameters) in HF patients; d) To study the relation between histological parameters, myocardial gene expression profile, and the anabolic/catabolic balance in endomyocardial biopsies of HF patients undergoing cardiac surgery; e) To evaluate GH therapy in HF patients with low IGF-1 levels and a good response to IGF-1 generation test, in a multicenter, randomized, placebo-controlled trial; f) To investigate possible multiple replacement therapies (GH, testosterone) and to test clinically the multiple hormonal and metabolic deficiency syndrome (MHD) model. Education/Aims. To improve the quality of care of HF patients (timeliness, efficiency and effectiveness) in different clinical settings. It consists of a specialized education continuing medical (ECM) meta-model designed by a dedicated multidisciplinary team and applied through an intensive educational year. Care/Aims. To develop a structured HF Management Program (HFMP) on the area of Amalfi Coast in Southern Italy as a continuum between the community hospital and the territorial health system serving 110.000 habitants among 13 cities. The HF out-patient clinic represents the platform of the Amalfi Coast HFMP, directed by clinical cardiologist and coordinated by registered nurse, along with multidisciplinary team (Fig. 1). Conclusions. The mission of the T.O.S.CA Project is to expand the bridge between research, education and care sharing best practices and resources in HF. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 123S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P330 P332 GESTIONE DEI PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO MEDIANTE IL COUNSELLING TELEFONICO IN UN AMBULATORIO DEDICATO Alessandro Sbardellini, Mara Mozzone, Mariagrazia Parola, Patrizia Pirra, Enrico Lombardo, Camillo Taglieri, Salvatore Piccolo, Mauro Feola Cardiovascular Rehabilitation-Heart Failure Unit, Ospedale SS. Trinità, Fossano I pazienti con scompenso cardiaco cronico (SCC) sono spesso costretti a continue ospedalizzazioni. Il presente studio si propone di valutare l’efficacia del nostro modello di counselling telefonico su un campione di pazienti di moderato/elevato rischio attraverso telefonate periodiche e l’analisi dei parametri d’allarme. Materiali e metodi. 39 soggetti (22 maschi) di età 75 anni, affetti da SCC a rischio moderato/elevato, sono stati reclutati per il counselling telefonico dopo dimissione da RBC (15%); dimissione da USC (57%), visita cardiologica nell’ambulatorio (28%). I soggetti sono stati monitorati costantemente per un periodo di 13 mesi tramite contatti telefonici prefissati da parte del personale infermieristico, con cadenza quindicinale o mensile. Il paziente poteva contattare la struttura. La gravità dei pazienti con SCC e quindi la convocazione ad una visita ambulatoriale entro le 24 ore, è stata valutata con i seguenti parametri: peggioramento classe NYHA di almeno una classe; polso aritmico o frequenze cardiache <40 o >110 b/min; sospetta angina pectoris o sincope; aumento ponderale di 2-3 kg; incremento degli edemi declivi e oliguria (<500 ml/die). Risultati. Sono state effettuate 201 telefonate. I pazienti nei quali si riportavano parametri d’allarme e quindi convocati ad una visita ambulatoriale sono stati 9 (23%), 3 dei quali ricoverati in Unità Scompenso. Invece le telefonate spontanee da pazienti giunte all’ambulatorio per peggioramento delle condizioni cliniche sono state 16 e la successiva rivalutazione del paziente ha portato 12 ricoveri di cui 3 in regime di DH (23%). L’11% dei soggetti ha chiamato in media 1.9 volte con altrettanti ricoveri. A completamento del follow-up (13 mesi) è stato registrato 1 decesso (2.8%) e 2 pazienti allontanatosi dal counselling. Considerando i parametri di allarme l’incremento ponderale e l’oliguria posseggono la migliore sensibilità e specificità (85.7% e 100% per aumento ponderale; 100% e 75% per oliguria) mentre la classe NYHA e frequenza cardiaca posseggono la peggiore sensibilità e specificità (50% e 60% per la classe NYHA; 66.6% e 57.1% per la frequenza cardiaca). Conclusioni. Il counselling telefonico tra i pazienti affetti da SCC ha creato un filo diretto con la struttura ospedaliera, dato sicurezza al paziente che ha individuato precocemente i problemi, riducendo le ospedalizzazioni per instabilizzazione clinica (6/39 in 13 mesi di follow-up). SVILUPPO DI MASSA VENTRICOLARE INAPPROPRIATA E DISFUNZIONE VENTRICOLARE SINISTRA NEL PAZIENTE IN TRATTAMENTO DIALITICO Mario Gregori1, Francesco Paneni1, Giuliano Tocci1, Giovanna Viola1, Giuliana Capretti1, Michela D’Agostino1, Giuseppino Massimo Ciavarella1, Andrea Ferrucci1, Giorgio Punzo2, Paolo Menè2, Luciano De Biase1, Massimo Volpe1,3 1 U.O.C. di Cardiologia, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Sapienza”, Ospedale Sant’Andrea, Roma, 2U.O.C. di Nefrologia, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Sapienza”, Ospedale Sant’Andrea, Roma, 3IRCCS Neuromed, Polo Molisano, Pozzilli Introduzione. L’insufficienza cardiaca è responsabile di un’importante riduzione della sopravvivenza nei pazienti con insufficienza renale cronica in trattamento dialitico. Infatti, in questi pazienti, la funzione ventricolare sinistra risulta alterata e tale reperto rappresenta un predittore indipendente di mortalità a lungo termine. Negli ultimi anni la massa ventricolare inappropriata (MVSI) è risultata associata allo sviluppo di disfunzione ventricolare sinistra (DVS). Scopo dello studio è stato quello di valutare la prevalenza di MVSI e la sua relazione con la funzione sistolica del ventricolo sinistro in una popolazione di pazienti in dialisi. Materiali e metodi. Sono stati arruolati consecutivamente 184 soggetti suddivisi in 3 gruppi: 1) controlli sani [n=90]; 2) dialisi peritoneale (DP) [n=31]; 3) emodialisi (ED) [n=63]. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad ecocardiogramma transtoracico sia con metodica Doppler convenzionale che tissutale miocardica (TDI). La massa ventricolare sinistra inappropriata è stata espressa come rapporto tra massa osservata/massa predetta x 100 (%MVSP). La presenza di massa ventricolare sinistra inappropriata (MVSI) è stata definita come un valore di %MVSP >128%. Sono stati inoltre calcolati l’accorciamento circonferenziale centroparietale (MFS) e lo stress circonferenziale telesistolico (cESS). Risultati. La velocità Sm, misurata sulla parete libera del ventricolo sinistro, risultava progressivamente ridotta nei 3 gruppi considerati (0.17±0.03 vs 0.15±0.04 vs 0.13±0.03; p<0.001), cosi come il MFS (19.4±2.8 vs 16.4±3.0 vs 13.7±2.7; p<0.001) e la ratio cESS/ESVi (6.1±1.4 vs 5.3±1.6 vs 4.3±1.2; p<0.001). I pazienti in emodialisi presentavano una più alta prevalenza di MVSI rispetto al gruppo dei pazienti in dialisi peritoneale e a quello di controllo (rispettivamente 93.7 vs 71 vs 16.7%; p<0.001). All’analisi multivariata, la MVSI correlava inversamente con FE (beta=-0.29, p<0.05), FS (beta=-0.39, p<0.001); velocità Sm (beta=-0.22, p<0.05) stress-corrected MFS (beta=-0.48, p<0.0001) e ratio cESS/ESVi (beta=-0.51, p<0.001), indipendentemente dalla geometria ventricolare sinistra. In regressione logistica l’emodialisi era indipendentemente associata allo sviluppo di MVSI [OR 5.3 (95% CI 1.10-25.0; p<0.05)]. Conclusioni. Gli indici di funzione sistolica del ventricolo sinistro, calcolati a livello centroparietale, risultano maggiormente ridotti nei pazienti in ED, paragonati a quelli in DP. La prevalenza di MVSI è maggiore nei pazienti in emodialisi rispetto a quelli in dialisi peritoneale e risulta associata ad una riduzione della performance ventricolare sinistra. L’eccessivo aumento della massa ventricolare determina una riduzione diretta della contrattilità centroparietale del ventricolo sinistro nel paziente in trattamento dialitico. P331 HOME MONITORING IN PAZIENTI PORTATORI DI DEVICE E SCOMPENSO CARDIOCIRCOLATORIO: UN’ESPERIENZA DI ORGANIZZAZIONE MEDICOINFERMIERISTICA Vittorio Giudici1, Alessandro Locatelli1, Bruno Casiraghi1, Paola Neri1, Serena Gilardi2, Patrizia Rocca3, Luigina Viscardi3, Claudio Malinverni3, Maria Teresa Villa3, Mirna Pisoni3, Sandra Peccati1, Domenica Bettinelli1 1 U.O. di Cardiologia, A.O. Bolognini, Seriate, 2Medtronic, Sesto S. Giovanni, 3U.O. di Riabilitazione Cardiologica, A.O. Bolognini, Seriate Scopo. Riportiamo la nostra esperienza che ha coinvolto medici aritmologi, clinici dello scompenso e infermieri dei rispettivi ambulatori nella gestione mediante home monitoring (HM) di pazienti (pz) con scompenso cardiocircolatorio e portatori di ICD-CRTD. Metodi. Nel febbraio 2009 abbiamo iniziato a utilizzare un sistema di HM (Medtronic CareLink Network) nei pz portatori di device e abbiamo riorganizzato la nostra attività ambulatoriale. Le Infermiere dell’ambulatorio di Aritmologia hanno avuto il compito di insegnare ai pz l’uso dei monitor di trasmissione, di confermare la regolarità delle trasmissioni e di controllare quotidianamente i possibili allarmi CareAlert, coinvolgendo nel processo di revisione delle trasmissioni il team dell’aritmologia e dello scompenso. Se necessario, i pz erano chiamati telefonicamente dal medico/infermiera aritmologo/scompensologo per la valutazione dei sintomi, delle variazioni di peso, della PA e della compliance terapeutica. Se necessario veniva cambiata telefonicamente la terapia o programmata una visita ambulatoriale. Risultati. L’ambulatorio scompenso dal febbraio 2009 ha arruolato 352 pz (77% M, 66.31±17 aa, 24% NYHA III-IV, EF 33.48%), dei quali 102 (28.9%) con un device (ICD/CRTD); 75 in HM con CareLink Network. Dopo un follow-up medio di 18.4±7.2 mesi, abbiamo ricevuto 398 trasmissioni: 62 (in 28 pz) di tipo automatico e dovute all’Optivol Alert (possibile accumulo di liquidi) e 12 (in 5 pz) secondarie a episodi di fibrillazione atriale (FA) di nuovo riscontro. Gli allarmi Optivol nel 48% dei casi sono stati gestiti mediante un contatto telefonico con l’infermiera dell’Ambulatorio scompenso; nei restanti casi sono stati coinvolti i medici. Nel 28% dei casi è stata programmata una visita ambulatoriale. Gli episodi di FA sono stati gestiti dagli aritmologi. Sono state registrate aritmie ventricolari in 7 pz ma non sono stati erogati shock (9 episodi risolti con burst). Conclusioni. L’introduzione di un sistema di monitoraggio remoto offre una opportunità di adottare nuove strategie di organizzazione del lavoro con una migliore collaborazione tra l’Ambulatorio Scompenso e di Aritmologia, con la possibilità di ottenere migliori risultati nella gestione dei pz. 124S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 P333 ACCURATEZZA DELL’ANALISI CORPOREA BIOMPEDENZIOMETRICA (BIAVECTOR) NELLA DIAGNOSI DI CONGESTIONE PERIFERICA NELLO SCOMPENSO CARDIACO Francesco Massari1, Giovanna Rodio1, Angela Potenza1, Nicola Laterza1, Diletta Torres1, Michele Clemente2, Massimo Iacoviello3, Gaspare Parrinello4 1 Cardiologia-UTIC, Altamura (BA), 2Cardiologia-UTIC, Matera, 3Istituto di Cardiologia, Bari, 4Medicina Interna, Palermo Background. La congestione clinica gioca un ruolo centrale nella diagnosi, prognosi e terapia dello scompenso cardiaco (SC) acuto e nella forma subclinica può preludere a riacutizzazione dello SC cronico. Pertanto, risulta strategico graduare e oggettivare lo stato dei fluidi nei pazienti con SC e la bioimpedenziometria corporea a tal fine sta emergendo come un utile e facile strumento diagnostico. Scopo dello studio. È stato quello di valutare l’utilità dell’analisi corporea bioimpedenziometrica mediante analisi vettoriale (BIVA) nella diagnosi di congestione periferica (edemi declivi) in pazienti con scompenso cardiaco. Materiale e metodo. Abbiamo valutato lo stato idrico in maniera semiquantitava (BIVA) e quantitativa mediante sistema tetrapolare (Cardio-EFG, Akern, Firenze) in 500 pazienti (pz) consecutivi ricoverati per SC acuto (n=214) o cronico (n=286) con età 75±11 anni, classe NYHA 2.8±0.9, FEVS 42±12%, creatininemia 1.3±0.8 mg/dl e BNP 951±1592 pg/ml; medie±SD). La congestione bioimpedenziometrica è stata graduata analizzando l’elissoide di confidenza nel polo inferiore come severa (<95° percentile), moderata (95°-75°) e lieve (75°-50°), mentre l’assenza di congestione è stata definita per valori compresi nell’ellisoide del 50° percentile o oltre il suo polo superiore. Lo stato idrico, inoltre, è stato valutato in modo quantitativo come percentuale di idratazione della massa magra. Risultati. Gli edemi declivi (31% della popolazione), sono risultati presenti rispettivamente nel 85% (34/40 pz), 56% (52/93 pz) e 40% (26/65 pz) dei pazienti con congestione severa, moderata e lieve, e nel 18% (43/302 pz) dei pazienti senza congestione al BIVA. Utilizzando i cut-off di congestione BIVA inferiori al 95°, 75° e 50° percentile, i valori predittivi positivi e POSTER negativi sono risultati rispettivamente del 85 e 74%, 65 e 81%, 57 e 86% (AUC=0.78; 95% CI 0.74-0.81; p=0.0001). Valori di percentuale di idratazione maggiore del 75.6% diagnosticava la congestione periferica con un potere predittivo positivo del 65% e negativo del 82% (AUC=0.79; 95% CI 0.75-0.82; p=0.0001). La performance delle due valutazioni (semiquantitativa vs quantitativa) è risultata sovrapponibile, poiché le loro curve ROC risultavano senza differenze statisticamente significative (p=0.5). Conclusioni. L’analisi bioimpedenziometrica corporea consente una rapida e facile determinazione della congestione periferica nei pazienti con scompenso cardiaco sia attraverso una valutazione semiquantitativa che quantitativa. Tale metodica potrebbe rappresentare una nuova possibilità di valutazione della congestione senza l’intervento medico diretto. P334 ELEVATA CORRELAZIONE FRA IMPEDENZA INTRA- E TRANSTORACICA IN PAZIENTI CON SCOMPENSO CARDIACO AVANZATO: IMPLICAZIONI PER LA GESTIONE DOMICILIARE Gabriella Malfatto1, Alessandra Villani1, Francesco Della Rosa1, Roberto Brambilla1, Eva Balla1, Mario Facchini1, Giovanni B. Perego1, Gianfranco Parati2 1 Divisione di Cardiologia, Ospedale San Luca, Istituto Auxologico Italiano IRCCS, Milano, 2Dipartimento di Medicina Clinica, Prevenzione e Biotecnologie Sanitarie, Università Milano-Bicocca, Milano Razionale. Nei programmi di telesorveglianza dei pazienti (pz) con scompenso cardiaco (SCC) è prevista la trasmissione di parametri vitali o segnali biologici (ECG, PA, ecc.). Recentemente uno studio randomizzato ha messo in dubbio la reale utilità della telesorveglianza con trasmissione di dati nel modificare la prognosi. Una possibile causa di tale risultato sconfortante potrebbe risiedere nella scelta di teletrasmettere dati non realmente utili alla gestione di pz con SCC. Infatti, i parametri usati in telemedicina (peso, diuresi, PA, FC) non mirano a segnalare la presenza di congestione polmonare, che spesso determina le instabilizzazioni cliniche. In pz con ICD e/o PM biventricolare di ultima generazione, la riduzione di impedenza rilevata dai cateteri intratoracici può associarsi a congestione polmonare prima che compaiano sintomi. La telesorveglianza dell’impedenza intratoracica potrebbe consentire la gestione a lungo termine dei pz con SCC avanzato, ma non tutti sono portatori di un device di ultima generazione, ed in molti l’impianto di PM-ICD non è indicato. Esistono in commercio apparecchi per il monitoraggio emodinamico non invasivo che misurano l’impedenza transtoracica. In alcuni studi, la misura di impedenza transtoracica (Z0) o del suo reciproco conduttanza (TFC) ha permesso la diagnosi precoce di episodi di SCC, anche se è discussa la relazione fra impedenza/conduttanza toracica e pressioni di riempimento ventricolare misurate invasivamente. Metodi. Sia in condizioni di stabilità clinica che nel corso di allarmi del sistema, abbiamo valutato la correlazione tra valori di impedenza (Z0 IT = Ω) e conduttanza intratoracica (TFCIT = 1/Z0 IT = 1/Ω) da un lato, e valori di impedenza (Z0 TT = Ω) e conduttanza transtoracica (TFCTT = 1/Z0 TT = 1/Ω) dall’altro (apparecchio NiccomoLDT). Abbiamo studiato 35 pz (73±9 anni; classe NYHA 2.6±0.4, FE 29±6%, BNP plasmatico 561±192 pg/ml; terapia ottimizzata secondo le linee guida); 6 pz sono stati valutati durante un allarme Optivol e dopo la sua risoluzione con terapia diuretica. In ogni pz è stato anche misurato il BNP plasmatico (Triage, BioSite). Risultati. Si è rilevata elevata correlazione tra impedenza transtoracica ed intratoracica (R2 = 0.62, p<0.0001) e tra conduttanza transtoracica ed intratoracica (R2 = 0.64, p<0.0001). Inoltre, dopo terapia diuretica le variazioni nei parametri esaminati erano dello stesso ordine di grandezza e consensuali (Z0: R2 = 0.59, p<0.0001; TFC: R2 = 0.60, p<0.0001). Conclusioni. La misura domiciliare di impedenza/conduttanza transtoracica (come indice di probabile congestione polmonare) potrebbe integrare o sostituire altre variabili nel percorso di telesorveglianza dello SCC. P335 TREND DELLE PRINCIPALI CARATTERISTICHE CLINICHE IN PAZIENTI TRATTATI CON TERAPIA DI RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA IN UN SINGOLO CENTRO NEL QUADRIENNIO 2004-2008 Mauro Toniolo, Gabriele Zanotto, Andrea Rossi, Corrado Vassanelli Divisione di Cardiologia, Università degli Studi, Verona Background. La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) è attualmente considerata un’importante crocevia nel trattamento di pazienti selezionati con scompenso cardiaco refrattario in terapia farmacologica ottimale. Tuttavia i predittori di morbilità e mortalità ed il tempo di recupero della funzione contrattile ventricolare sinistra rimangono parametri scarsamente studiati. Materiali e metodi. Abbiamo studiato le caratteristiche cliniche di 157 pazienti consecutivi con scompenso cardiaco refrattario sottoposti a CRT presso la nostra Divisione tra l’agosto 2004 ed il febbraio 2008. Il followup medio è stato di 39±11 mesi. Le caratteristiche cliniche studiate sono state l’età, il sesso, il ritmo sinusale, la frazione di eiezione (FE) ventricolare sinistra, la durata del QRS, l’eziologia, la classe funzionale NYHA, la terapia farmacologica e la posizione degli elettrocateteri. Potendo disporre di un follow-up così lungo, abbiamo inoltre confrontato i benefici della CRT nei primi 3 anni dall’impianto rispetto ai benefici della CRT dopo 3 anni dall’impianto. Abbiamo considerato come NYHA responders i pazienti che incrementavano almeno di 1 punto la loro classe NYHA e come FE responders i pazienti che incrementavano la FE di almeno il 5%. Risultati. Nel nostro registro, l’eziologia ischemica è risultata il solo fattore predittivo indipendente di mancata risposta ecocardiografica alla CRT (42% dei responders vs 78% dei non responders; p<0.005). La sopravvivenza libera da trapianto cardiaco e da riospedalizzazione per scompenso cardiaco è risultata invece significativamente correlata con l’incremento della FE ventricolare sinistra dopo CRT (95% degli FE responders vs 38% degli FE non responders; p<0.005). Nei primi 3 anni dalla CRT abbiamo ottenuto una buona risposta clinica (46% di NYHA responders) contro una scarsa risposta ecocardiografica (36% di FE responders); viceversa dopo tre anni dalla CRT abbiamo ottenuto un’ottima risposta ecocardiografica (55% di FE responders) contro un peggioramento della risposta clinica (23% di NYHA responders) (p<0.005). Conclusioni. In questo registro, l’eziologia ischemica risulta il solo parametro predittivo indicativo di pessima risposta alla CRT prima dell’impianto. Dopo l’impianto, il mancato incremento della FE è correlato con una pessima prognosi. I pazienti con scompenso cardiaco sottoposti a CRT traggono i maggiori benefici clinici nei primi 3 anni dall’impianto, ma la quota maggiore di rimodellamento inverso ventricolare sinistro si manifesta dopo 3 anni dall’impianto. P336 LA DIETA IPOSODICA NELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO: OSSERVAZIONI SU UN CAMPIONE MULTICENTRICO DI PAZIENTI AFFERENTI AGLI AMBULATORI DELLO SC Carlo Ammendolea1, Sara Giacomelli2, Paola Russo1, Emanuele Carbonieri3, Giovanni Cioffi4, Stefania De Feo5, Luigi Tarantini1 1 U.O.C. di Cardiologia, Ospedale S. Martino, Belluno, 2U.O.C. di Cardiologia, Ospedale di Treviso, Treviso, 3U.O. di Cardiologia, Bussolengo, 4U.O. di Cardiologia, Casa di Cura Villa Bianca, Trento, 5 U.O. di Cardiologia, Casa di Cura Pedersoli, Peschiera del Garda Background. Le linee guida (LG) internazionali considerano la terapia non farmacologica dello scompenso cardiaco (SC) essenziale per la cura ottimale del paziente. In tale prospettiva, la dieta iposodica è un aspetto fondamentale spesso utilizzato come indicatore di qualità della cura dello SC. È risaputo, tuttavia che, le raccomandazioni delle LG nella pratica clinica dello SC sono soventemente disattese. Obiettivo. Valutare: 1) il grado di consapevolezza ed aderenza alla dieta iposodica, 2) le abitudini relative al consumo di liquidi, 3) lo spettro delle comorbilità rilevanti da un punto di vista clinico e “dietologico”, in un campione casuale multicentrico di pazienti affetti da SC, inviati dal proprio curante per valutazione cardiologica presso gli ambulatori dello SC. Metodi. Somministrazione di un questionario di auto-valutazione a pazienti con SC ed ai loro “caregivers” relativo a: Grado di conoscenza sull’importanza ed il ruolo del sodio nello SC e Grado di conoscenza sull’importanza ed il ruolo del consumo dei liquidi nello SC. Risultati. Il campione di 216 pazienti (età media 73±9 anni, 30.5% età >80 anni, 70% maschi) presentava un notevole carico di comorbilità (42% diabete mellito, 21% obesità intesa come BMI >30, 22% alterazioni renali, 57% affetti da ipertensione arteriosa, 34% affetti da ipercolesterolemia) e con lunga durata di malattia (solo il 24% <1 anno) e con ricoveri precedenti per SC nell’82% del campione. Su una importante percentuale di pazienti è stata rilevata una scarsa informazione sull’uso dei diuretici (Fig. 1), la maggior parte erano convinti che la dieta fosse importante per la loro patologia ma pochi erano stati educati sul tipo di dieta dai sanitari, una buona percentuale non sapeva quali alimenti fossero ricchi di sale e la metà del campione aggiungeva sale alle pietanze (Fig. 2) infine il 40% del campione beveva più di 1.5 litri di acqua anche in presenza di poca sete (Fig. 3). Conclusioni. Relativamente agli aspetti dietetici della terapia non farmacologica dello SC, dalla nostra esperienza preliminare, emerge che in comunità il quadro è desolante. Vi è una diffusa sottostima del problema relativo alla dieta ed alla “complessità” dei pazienti con SC anche da parte dei “caregivers” e degli operatori sanitari. Anche dal punto di vista del consumo di liquidi e dell’utilizzo di diuretici la situazione non è migliore soprattutto riguardo all’utilità nella propria patologia. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 125S CONVERTING ENZYME INHIBITORS AND/OR BETA-BLOCKERS DURING ADJUV CHEMOTHERAPY IN EARLY BREAST CANCER: DATA FROM THE “REAL WORD” 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO P338 Background. Aims. Methods. Results. P337 A NOCTURNAL NON DIPPING HEART RATE IDENTIFIES DEVELOPING HEART FAILURE IN PATIENTS WITH ATRIAL FIBRILLATION Maria Vittoria Matassini1, Federico Guerra1, Laura Cipolletta1, Simone Maffei1, Stefano De Luca2, Giuseppe Pupita1, Alessandro Capucci1 1 Clinica di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona, 2 U.O. Pneumologia, Ospedale di Osimo, Osimo Aim. Sleep-disordered breathing (SDB) is a frequent finding in patients (pts) with atrial fibrillation (AF). SDB could influence the natural history of AF through the alteration in sympatho-vagal balance due to hypoxemia, acidosis and arousals. The aim of theConclusions. study is to assess the impact of SDB in AF pts, with or without tachycardiomyopathy (TCM). Methods. 30 consecutive pts with persistent/permanent AF were investigated at baseline with clinical and echocardiographic evaluation, polysomnography, 24h-ECG-recording with HRV analysis. At 3 months follow-up visit clinical and echocardiographic assessment was repeated. Among all patients, 18 of them had TCM whereas 12 had not. Results. At baseline evaluation, pts with TCM compared with people with only AF have lower EF (40 vs 59%), greater LVESd (44.8±12.2 vs 34.9±4.1) and higher PAPs and BNP (all p<0.05). On 24h-ECG-recordings, patients with TCM have higher mean HRs (86.3±18.1 vs 70.2±15.1) and narrower mean SDaNN (146±50 vs 196±74) especially significant during night-time period (p≤0.02). Patients with TCM do not have the physiologic nocturnal dipping of HRs, instead present in AF patients, showing persistent sustained HRs all long the day. The prevalence of central sleep-apnea (CSA) is higher in pts with TCM (CSA 50%, OSA 6%) whereas pts with only AF have more frequently obstructive sleep-apnea (OSA 42%, CSA 17%). Patients with OSAS has higher EF (57.3±10.6 vs 42.9±14.2), lower PAPs as well as higher OHI (all p≤0.03). Patients with CSA have higher HRs (92±2 vs 76±2; p=0.013) as well as higher AHI and CAI (all p≤0.01). At 3 months follow-up visits pts with TCM and CSA show an improvement of EF (increase of 10%) and lower HRs (reduction of 37 bpm) compared with baseline values while pts with only AF do not have significant changes in EF and HRs. Conclusions. Patients with AF and TCM compared with patients with AF only have different patterns of SDB: the formers show a higher prevalence of CSA, the latters of OSA. Patients with CSA and TCM have a worse profile characterized by higher BNP, lower EF, higher HRs, lack of nocturnal HRs dipping; nonetheless, they show a significant improvement after three month follow-up thanks to appropriate and effective rate or rhythm control. 126S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 RELATIONSHIP BETWEEN CHANGES IN LEFT VENTRICULAR EJECTION AND USE OF ANGIOTENSIN-CONVERTING ENZYME INHIBITORS AND/OR BETABLOCKERS DURING ADJUVANT TRASTUZUMAB CHEMOTHERAPY IN EARLY BREAST CANCER: DATA FROM THE “REAL WORD” Stefano Oliva1, Lidia Boccardi2, Silvia Frattini3, Francesco Giotta4, Chiara Lestuzzi5, Nicola Maurea6, Giuseppe Di Tano7, Stefania Gori8, Giovanni Cioffi9, Andrea Di Lenarda10, Luigi Tarantini11 1 U.O. di Cardiologia, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari, 2Divisione di Cardiologia I, Ospedale San Camillo, Roma, 3Dipartimento di Cardiologia, Spedali Civili, Brescia, 4U.O. di Oncologia Medica e Sperimentale, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari, 5Divisione di Cardiologia, Centro Riferimento Oncologico, Aviano, 6S.C. di Cardiologia, Istituto Pascale, Napoli, 7Divisione di Cardiologia, Azienda Istituti Ospitalieri, Cremona, 8Dipartimento di Oncologia, Ospedale S. Maria della Misericordia, Azienda Ospedaliera di Perugia, 9Divisione di Cardiologia, Casa di Cura “Villa Bianca”, Trento, 10Centro Cardiovascolare, ASS1 “Triestina”, Trieste, 11Dipartimento di Cardiologia, Ospedale San Martino, Belluno Background. Adjuvant trastuzumab chemotherapy (aTrastC) improves disease free survival of patients with breast cancer and overexpression of epidermal growth factor receptor 2. However, due to potential aTrastC-induced cardiotoxicity, cardiovascular complication (CV) such as heart failure (HF) or significant left ventricular ejection fraction (LVEF) reduction may appear especially in those patients at increased CV risk. Aims. To evaluate the relationship between the use of angiotensinconverting enzyme inhibitors/receptor blockers (ACEi/ARB) and/or betablockers (BB), appearance of HF symptoms and/or changes in LVEF during 1-year aTrastC. Methods. 253 women who had undergone aTrastC for early breast cancer in 7 italian oncologic centers during the period 2008-2009 entered in a multicenter registry and were retrospectively studied. They were divided in 4 subgroups according to the treatment with ACEi and/or BB. Occurrence of symptoms of HF and/or decrease in 10 points % of LVEF were recorded during the follow up. LVEF was measured at baseline and 3-6-9-12 months. Results. Symptoms of HF occurred in 2% of patients who did not take either ACEi/ARB or BB. HF event-rate was similarly increased in patients receiving one or both medications, partially justified by the increased CV risk in these subgroups. Prevalence of decrease in LVEF >10 points % was similar in all study subgroups. Trends in LVEF were characteristics for each study subgroup (See Figure): at 3-month evaluation a significant decrease in LVEF was detected in ACEi/ARB and ACEi/ARB + BB group. Multiple logistic regression analysis showed that combined ACEi/ARB + BB therapy depended on history of hypertension (OR 36.7, CI 4.3-315.5) and reduction of LVEF from baseline to 3-month evaluation (OR 0.88, CI 0.78-0.97) (best prediction - 3.5 points %, AUC 0.78, IC 0.65-0.91). Conversely, no association was found between changes in LVEF and ACEi/ARB or BB therapy alone, which use was predicted for both medications only by history of hypertension. LVEF recovery from 3 to 12month evaluation was inversely related to the changes in LVEF from baseline to 3-month evaluation and the restart of trastuzumab therapy was significantly higher in the group of pts with ACEi/ARB + BB although the significant reduction of LVEF in the first 3 months of therapy. Conclusions. In clinical practice, a history of hypertension and changes in LVEF during the first 3 months of aTrastC for early breast cancer influence the use of ACEi/ARB and BB. The recovery of LVEF and the possibility to restart trastuzumab seem to suggest a protective effect of ACEi/ARB+BB. POSTER p=0.003) and LVEF at baseline (69±6 vs 63±5%; p<0.001) and received P339 more frequently doxorubicin (18 vs 9%; p=0.01) than patients who did HYPONATREMIA THIAZIDE-RELATED DUE TO OVERZEALOUS SEQUENTIAL not experienced cardiotoxicity. Sixty% of the cardiotoxic events occurred SALURETIC THERAPY: AN EMERGENT PROBLEM IN THE MANAGEMENT OF during the first 3 months of follow up. At univariate analysis RD was DIURETIC-RESISTANT CHRONIC HEART FAILURE strongly associated with events. ROC analysis showed the best cut-off Renato De Vecchis1, Giuseppina Di Biase2, Antonio Ciccarelli2, 1 1 1 1 point of GFR for predicting cardiotoxicity = 82 (AUC 0.68 [95%IC 0.57Carmela Cioppa , Anna Giasi , Adelaide Fusco , Carmelina Ariano , 1 0.79]. Multiple logistic regression analysis revealed that a GRF lower than Salvatore Cantatrione 1 82 ml/min/1.73m2 was the strongest predictor of cardiotoxicity (OR 3.19 Cardiology Unit, Presidio Sanitario Intermedio “Elena d’Aosta”, Napoli, 2 [CI 1.04-9.74]), independent of doxorubicin treatment (OR 3.16 [CI 1.06Neurorehabilitation Unit, Casa di Cura “S. Maria del Pozzo”, 9.39]). Lowered LVEF from baseline to 3-month follow up was predicted Somma Vesuviana (NA) by a reduced GFR (beta=0.23, p=0.003), doxorubicin treatment (beta=0.16, Background. Chronic hyponatremia is frequently found in some p=0.03) and lack of combined treatment ACEi + betablocker (beta=0.29, syndromes characterized by widespread edema coupled to impairment in p<0.001). arterial effective circulating volume, such as congestive chronic heart Conclusion. In patients with EBC and indication to aTrastC the presence failure (CHF). In this setting, it is unclear whether the hyponatremia itself of RD represents a condition at higher risk for developing cardiotoxicity makes this condition worse or whether it represents a simply marker of at 12-month follow up together with doxorubicin treatment and decompensation. The factors responsible for development of combined therapy with ACEi + beta-blockers seems to confer a hyponatremia in CHF have not exhaustivelyP341 been elucidated yet. protective effect. Purpose. To ascertain whether some laboratory, clinical and therapeutical FEASIBILITY OF TRASTUZUMAB-BASED ADJUVANT CHEMOTHERAPY FOR EARLY BREAS factors are able to predict occurrence of hyponatremia in CHF patients INout WOMEN WITH INCREASED CARDIOVASCULAR RISK: ECHOES FROM “REAL WORLD” Methods. A case-control study was carried by recruiting 57 CHF patients, whose 19 characterized by hyponatremia (serum Na+ <135 P341 mEq/l) and 38 controls, matched for age, sex, etiology of CHF, time elapsed FEASIBILITY OF TRASTUZUMAB-BASED ADJUVANT CHEMOTHERAPY FOR since beginning of both symptoms and diuretic therapy. Eligibility criteria EARLY BREAST CANCER IN WOMEN WITH INCREASED CARDIOVASCULAR included right or biventricular heart failure in NYHA class III, absence of RISK: ECHOES FROM “REAL WORLD” hyponatremia at the first visit and therapy at enrollment with oral dose Georgette Khoury1, Giulia Russo2, Fausto Tuccia3, Giuseppe Catania4, not less than 175 mg per week of furosemide or equivalent weekly dose Chiara Lestuzzi5, Agnese Maria Fioretti6, Daniella Bovelli1, of torsemide. Exclusion criteria were electrostimulation therapies Edda Simoncini7, Pompilio Faggiano8, Gianfranco Alunni9, (pacemaker or cardiac resynchronization therapy), documented episodesStefania Gori10, Giovanni Cioffi11, Luigi Tarantini4 one or more- of infective gastroenteritis or diarrhea and use of any drug 1 Department of Cardiology, Santa Maria Hospital, Terni, 2Centro influencing neuroendocrine mechanisms of arginin-vasopressin (AVP) Cardiovascolare, ASS1 “Triestina”, Trieste, 3Divisione di Oncologia, secretion, such as opiates, tetracyclines, phenothiazines, lithium, serotonin Ospedale San Martino, Belluno, 4Dipartimento di Cardiologia, Ospedale selective reuptake inhibitors (SSRIs) et cetera. San Martino, Belluno, 5Divisione di Cardiologia, Centro Riferimento Results. At univariate analysis, intensive intravenous (iv) therapy with Oncologico, Aviano, 6U.O. di Cardiologia, Istituto Tumori “Giovanni furosemide (one or more courses), ascites, mixed regimen with thiazide Paolo II”, Bari, 7Dipartimento di Oncologia, Spedali Riuniti, Brescia, diuretic plus furosemide, high (<3 ng/ml/h) plasma renin activity, serum 8 Dipartimento di Cardiologia, Spedali Civili, Brescia, 9Dipartimento di creatinine ≥2.2 mg/dl and oligoanuria were shown to be associated with Malattie Cardiovascolari, Ospedale S. Maria della Misericordia, Azienda hyponatremia. At multivariate analysis a role of predictor of hyponatremia Ospedaliera di Perugia, 10Dipartimento di Oncologia, Ospedale S. Maria Background. was maintained by combined therapy with thiazide diuretic plus della Misericordia, Azienda Ospedaliera di Perugia, 11Divisione di furosemide (OR 35.68 95%CI: 2.83-449.37, p=0.0057) as well as by intensive Cardiologia, Casa di Cura “Villa Bianca”, Trento iv furosemide therapy (OR 12.44 95%CI: 1.207-128.27, p=0.0342). Background. Adjuvant trastuzumab chemotherapy (aTrastC) for human Conclusions. Inhibition of free water clearance by thiazides may account HER2++ breast cancer exposes patients (pts) to develop heart failure; high for association found between their use and hyponatremia development CV risk pts are under-represented in randomized clinical trials. Aims of the in congestive CHF setting. Even though loop diuretics are known to present investigation is to verify: 1) the feasibility of aTrastC in high CV risk Methods. promote free water excretion, in our experience hyponatremia might pts; 2) if the management of CV risk factors may influence the aTrastChave been favored by iv furosemide high doses, because drop in effective induced cardiotoxicity. circulating volume and further impairment in arterial underfilling due to Methods. 499 women consecutively admitted to aTrastC for early breast overzealous iv loop diuretic administration are able to foster AVP non cancer in 10 Italian hospitals during 2008-2009. A probability > 5% of osmotic release, thereby leading to hemodilution hyponatremia. cardiac events in the following 10 years according to the score of ESC was Results. P340 ROLE OF RENAL FUNCTION ON DEVELOPMENT OF CARDIOTOXICITY ASSOCIATED WITH TRASTUZUMAB-BASED ADJUVANT CHEMOTHERAPY FOR EARLY BREAST CANCER Matteo Casavecchia1, Giovanni Cioffi2, Francesco Laveder3, Paola Russo4, Paolo De Bonis1, Erberto Carluccio5, Silvia Frattini6, Maria Cristina Lombari7, Michele De Laurentiis8, Donatella Severini9, Domenico Gabrielli10, Giulia Russo11, Luigi Tarantini4 1 Department of Cardiology, Santa Maria Hospital, Terni, 2Divisione di Cardiologia, Casa di Cura “Villa Bianca”, Trento, 3Divisione di Oncologia, Conclusion. Ospedale San Martino, Belluno, 4Dipartimento di Cardiologia, Ospedale San Martino, Belluno, 5Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, Ospedale S. Maria della Misericordia, Azienda Ospedaliera di Perugia, 6 Dipartimento di Cardiologia, Spedali Civili, Brescia, 7S.C. di Cardiologia, Istituto Pascale, Napoli, 8S.C. di Oncologia Medica Senologica, Istituto Pascale, Napoli, 9U.O. di Cardiologia. Città di Castello (PG), 10U.O. di Cardiologia-UTIC, Ospedale A. Murri ZTL11, Fermo, 11Centro Cardiovascolare, ASS1 “Triestina”, Trieste Background. The addition of trastuzumab to adjuvant early breast cancer (EBC) in combination with or following chemotherapy including doxorubicin and taxanes consistently resulted in significant increases of both disease-free and overall survival in patients whose tumor overexpresses human epithelial receptor (HER-2/neu). These drugs do not present with potential nephrotoxicity and do not require dose reduction in patients with renal dysfunction (RD). However, RD may make the myocardium more sensible to the insult of these chemotherapic agents. Aim. To verify the role of RD on the development of cardiotoxicity associated with transtuzumab-based adjuvant therapy (aTrastC) for early breast cancer. Methods. Clinical and echocardiographic data of 499 women who had undergone to aTrastC for EBC in 10 Italian oncologic centers during the period 2008-2009 were retrospectively analyzed. At 12-month evaluation were recorded the following events: a) a decrease in 10 points % of left ventricle ejection fraction (LVEF) (grade I cardiotoxicity), b) a decrease of LVEF ≥20% or below the lower limit of normality (grade II cardiotoxicity), c) occurrence of signs and symptoms of HF (grade III cardiotoxicity). Results. Cardiotoxicity was recognized in 130 patients (26%; grade I=20%; II=3%; III=3%). These patients were older (57±11 vs 55±11 years; p=0.03), had lower glomerular filtration rate (GFR) (76±15 vs 83±19 ml/min/1.73m2; the definition of high CV risk. At 12-month evaluation, any occurrence of symptoms of HF and/or decrease in 10 points % of left ventricular ejection fraction (LVEF) were recorded. Results. Out of 499 pts 77 (15.4%) patients presented an high CV risk, they were older (63±8 vs 54±11 years), more frequently with hypertension (79 vs 17%), diabetes (35 vs 0%), dyslipidemia (66 vs 5%), current smokers (34 vs 12%) and with an history of coronary artery disease (10 vs 0%) than those with low CV risk (all p<0.01). The former received more frequently ACE-inhibitors/ARBs (53 vs 12%), beta-blockers (38 vs 7%), and statins (32 vs 3%) than the latter. Chemotherapy did not differed between two groups although pts presented similar LVEF at baseline (65±7 vs 65±6%) and at 12-month evaluation (63±6 vs 63±6%, both p=ns), high CV risk pts presented a significant early reduction of EF (see figure). Conclusion. Women at increased CV risk represent a sizeable portion of pts with indication to aTrastC and present more frequently early cardiotoxicity. A proper pharmacological management of traditional CV risk factors seems to confer a protective effect and consent to complete the chemotherapy. G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 127S 42° CONGRESSO NAZIONALE DI CARDIOLOGIA DELL’ANMCO Cardiologia clinica P342 PREVALENCE OF VENTRICULAR REPOLARIZATION ABNORMALITIES IN TRAINED YOUNG ATHLETES F. Guarracini1, F. Sperandii2, E. De Ruvo1, F. Quaranta3, L. Sciarra1, A. Spataro3, L. De Luca1, E. De Marchis3, M. Rebecchi1, Z. Lazarevic3, L.M. Zuccaro1, A.M. Martino1, A. Fagagnini1, M. Minati1, L. Mattioli4, E. Lioy1, F. Pigozzi3, L. Calò1 1 Department of Cardiology, Policlinico Casilino, Rome, 2Sport Medicine Institute, Villa Stuart, Rome, 3University of Rome, Foro Italico, Rome, 4 Division of Cardiology, University “La Sapienza”, Rome Background. Recent data showed a high prevalence of ventricular repolarization abnormalities in inferior and lateral ECG leads in the general population and even more frequent in trained young athletes. An association between early repolarization with QRS slurring or notching in the inferior or lateral ECG leads and the increased risk of idiopathic ventricular fibrillation was demonstrated by several authors. Methods. We retrospectively analyzed a database of 418 young males trained athletes (12±3 years). We defined early repolarization as an elevation of QRS-ST junction of at least 0.1 mV from baseline in two consecutive inferior or lateral leads assessing the prevalence of slurring or notching on the terminal QRS. Results. Isolated early repolarization was condition present in 59 (14%) athletes. The association with the presence of QRS slurring or notching is present in 60 (14%) subjects. Inferior, lateral, and inferior-lateral QRS notching was associate to J-point elevation in 17 (4%), 15 (3%) and 28 (7%) subjects respectively. In our database we identified 1 prolonged QTc interval and 12 subjects with echocardiographic pathological alteration with marked ECG abnormalities in a case (hypertrophic cardiomyopathy). Conclusion. The evidence of J point elevation and QRS slurring or notching was frequent in trained young subjects. If these “abnormalities” are the sign of increased risk of dangerous ventricular arrhythmias will be evaluated during the follow-up. P343 VALUTAZIONE NON INVASIVA DEL RISCHIO DI ATEROSCLEROSI CORONARICA SIGNIFICATIVA ATTRAVERSO L’ANALISI MATEMATICA DELLE COMPONENTI SPETTRALI DEL SEGNALE ECG CON COMPARAZIONE AI DATI CORONAROGRAFICI IN PAZIENTI SINTOMATICI: PRIMA ESPERIENZA ITALIANA Guido Canali1, Giulio Molon1, Daniele Marangoni2, Enrico Barbieri1 1 U.O. di Cardiologia, Ospedale Sacro Cuore, Negrar, Verona, 2 Ingegnere Consulente, Verona La tecnica di Analisi Matematica MultiFunzione delle Componenti Spettrali del segnale ECG (Multifunction CardioGraphy, MCG) permette di estrarre dal segnale ECG tutto il contenuto di informazioni presente anche a livello di microVolt, rilevando la presenza di microischemia miocardica anche a riposo, non valutabile sul tracciato ECG standard. La nostra esperienza (prima in Italia) è di circa 8 mesi su oltre 110 pazienti già selezionati per la coronarografia (CGF) ed ha l’unicità della sequenzialità dei test, l’analisi della presenza di circoli collaterali alla CGF e l’analisi in dettaglio delle patologie inerenti la maggior parte dei pazienti risultati falsi positivi/negativi in modo da stabilire i limiti del test. L’analisi MCG consiste nel rilevamento a riposo di alcuni segnali elettrocardiografici per un tempo di circa 5 minuti: un segnale viene utilizzato come segnale di riferimento (Input/Reference) ed uno come segnale di uscita (Output). Secondo la teoria dei Sistemi la crosscorrelazione nel dominio della frequenza tra questi 2 segnali fornisce informazioni relative al Sistema (Modello Cardiovascolare) analizzato. I segnali registrati vengono inviati ad un Server matematico (Premier Heart, USA) che esegue 5 analisi matematiche in parallelo. I risultati vengono comparati con un database di 40 000 pazienti analizzati con la stessa metodica e confrontati con la CGF. I risultati sono accessibili tramite Web criptato. Risultati relativi ai 111 pazienti con CGF di confronto Sono stati esclusi: - pazienti con altre patologie concomitanti (valvolari, CMPD grave, ecc.): 9 - pazienti borderline (nei quali il valore di occlusione è al limite in assenza di altre indagini tipo IVUS): 5 - pazienti con tracciato MCG di qualità scadente: 3. Pazienti totali inclusi: 93 Pazienti con test MCG positivo/negativo: 58/35 Sensibilità: 92.1% Specificità: 73.8% Il valore di sensibilità è più elevato in raffronto con lavori pubblicati precedenti (sensibilità 88-90%) perché abbiamo usato un criterio più sensibile (valore soglia di positività/negatività - score 3 invece di 4) come suggerito recentemente a Medicare ma mai testato. Il valore di specificità è mediamente più basso (rispetto agli altri dati MCG pubblicati - 80%) ma abbiamo rilevato che i pazienti risultati falsi positivi sono pazienti per la maggior parte diabetici e quindi con verosimili problemi microcircolatori (in cui la MCG segnala microischemia). È stata anche analizzata la presenza di circoli collaterali in pazienti che risultavano positivi alla CGF (>70% occlusione coronarie o >50% tronco comune) ma negativi alla MCG (che quindi non rilevava problemi di flusso alla microcircolazione). Molti dei pazienti con risultati contradditori tra CGF e MCG presentavano circoli collaterali visibili. 128S G ITAL CARDIOL | VOL 12 | SUPPL 1 AL N 5 2011 Il metodo Multifunction CardioGraphy (MCG) è un metodo rapido, semplice da usare, senza rischi per il paziente e a costi molto contenuti. I dati di sensibilità consentono di ritardare la coronarografia (e/o di eseguire altri esami non invasivi per una decisione finale) per una migliore gestione del paziente sintomatico senza segni elettrocardiografici o biochimici di infarto. P344 ROLE OF ELECTROCARDIOGRAPHY IN EARLY DIAGNOSIS OF LOEFFLER’S ENDOCARDITIS Gaia Tallerini1, Maria Chiara Gatto2, Igino Genuini2, Massimo Delfino1 1 Dipartimento di Medicina Clinica, 2Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche, Policlinico Umberto I, Roma Objective. To report a case of Loeffler’s endocarditis without clinical evidence of heart disease and outcome. Material and methods. A 73-year-old man, retired wood carpenter, exsmoker, with hypertension and history of asthma was referred to our institution from surgical department where was programmed a total thyrodectomy for thyroid multinodular goiter manifested as mediastinal syndrome. The reason for the transfer was the persistent elevation of leucocyte eosinophil count in pre-operative routine’s analysis. Preoperative electrocardiogram (EKG) was normal. Further diagnostic studies were performed. Results. Leucocyte count was: WBC 19.070/mcL with 4.950/mcL eosinophils on the first day, and WBC 30.160/mcL with 14.830/mcL eosinophils on the second day. Physical examination showed blood pressure 130/70, pulse was 65 beats/min, regular; temperature was normal; the patient was asymptomatic for chest pain and other signs of heart failure; peripheral pulses were normal. Chest auscultation revealed no rales or wheezes. The first and second heart sounds were normal and the patient had no murmur. Were ruled out all causes of hypereosinophilia. A following control of 12-lead ECG, showed normal PR and QRS configuration, inverted T waves in II, aVF and from V3 to V6 without any cardiac symptoms. Markers of myocardial damage and serum electrolytes were normal. Blood tests showed HB 13.5 mg/dl, platelets: 248 000/mcL, fibrinogen 431 mg/dl, CRP 800 mmol/L, D-dimer 830 ng/dl, total serum IgE (PRIST) was 1061 IU/ml and specific serum IgE (RAST) did not reveal any additional information. Serum autoantibodies as ASMA, ANA, ENA and p-ANCA were negative. Functional respiratory test showed a moderate obstructive ventilatory deficit. Transthoracic echocardiography showed increased left ventricular size; no regional wall motion abnormalities, normal systolic function, mild mitral and tricuspid insufficiency. Due to recent and persisting inverted T waves at ECG a coronary angiography was performed: no significant coronary artery disease was found. Ventriculography examination revealed an apical minus image. Cardiac magnetic resonance (CMR) showed apical stratified parietal small thrombus; administration of gadolinium showed a delayed enhancement due to inflammation with involvement of endocardial tissue. Two weeks later, after corticosteroid therapy and low molecular weight heparin administration, laboratory tests showed a normal eosinophil count. At 5 weeks after starting treatment, ECG showed T-waves normalization, but ventricular bigeminism probably due to endocardial involvement arose. Three months later ECG was normalized and a control CMR showed cardiac damage improvement with thrombus size reduction. Patient continued oral corticosteroid treatment for another three months. Conclusion. This unusual case report and outcome, suggests that Loeffler’s endocarditis can develop in a first stage as asymptomatic disease and that, as in this case, electrocardiogram was the spot light that allow an early diagnosis and treatment, determining an improvement of cardiac damage. The 12-lead ECG continues to provide vital information and still remains the cardiologist’s best friend. P345 FOLLOW-UP A BREVE TERMINE DOPO CARDIOVERSIONE DI FIBRILLAZIONE ATRIALE: VALORE PROGNOSTICO DELL’ECTOPIA SOPRAVENTRICOLARE E RUOLO DELLA DIAGNOSTICA STRUMENTALE Gennaro Ratti1, Gregorio Covino1, Cristina Capogrosso2, Mario Iannaccone1, Diletta Castaldo2, Paolo Tammaro1, Cosimo Fulgione2, Carlo Tedeschi2, Paolo Capogrosso1 1 U.O.C. di Cardiologia-UTIC, Ospedale San Giovanni Bosco, Napoli, 2 U.O.C. di Cardiologia, Ospedale San Gennaro, Napoli Background. I pazienti sottoposti a cardioversione (CV) per il primo episodio di fibrillazione atriale (FA) persistente, in assenza di cardiopatia organica, non vengono sottoposti a terapia antiaritmica preventiva, perché sono in genere considerati a basso rischio.. Tuttavia, la recidiva di FA in questi soggetti è in genere bassa, ma non assente. Risulta però, difficile identificare il setting clinico in cui potrebbe essere, comunque, utile un trattamento farmacologico. È stato già osservato come vi possano essere delle relazioni fra ectopia sopraventricolare ed eventuali recidive di FA precedentemente cardiovertite. Scopo. Abbiamo voluto valutare non solo se la presenza ed il numero di battiti ectopici sopraventricolari (BESV) possa essere indice di recidiva me se le metodiche comunemente usate nel follow up a breve termine, quali ECG dinamico secondo Holter (ECG-H) e test ergometrico (TE), possano aiutarci ad identificare quei pazienti che possono essere più a rischio. Materiali e metodi. Abbiamo selezionato ed analizzato retrospettivamente, POSTER 51 pazienti sottoposti a CV per primo episodio di FA (28M e 23F) (età media 47±11 anni). Sono stati considerati criteri di esclusione la presenza di: diabete, ipertensione arteriosa, evidenza di vasculopatia o cardiopatia organica. Tutti i pazienti in base alla presenza di una recidiva nei 3 mesi successivi alla CV, sono stati divisi in 2 gruppi: Gruppo A (15 pazienti che avevano presentato una recidiva) e Gruppo B (36 pazienti che non avevano presentato recidiva). Di questi sono state quindi, valutate le registrazioni ECG-H ed i tracciati del TE (praticati nel follow-up post-dimissione, a 4 settimane). All’ECG-H sono stati considerati il numero totale di BESV isolati oppure il numerso e la durata massima di eventuali runs (SVT) nelle 24 ore, mentre al TE sono stati considerati il numero/minuto di BESV ed il numero totale e la durata massima di SVT durante l’esercizio e nella fase di recupero. I dati sono stati espressi come medie ± DS. Per l’analisi statistica è stato usato il test T di student per dati non appaiati. Valori di p<0.05 sono stati assunti come limite di significatività statistica. Risultati. All’ECG-H non sono state rilevate differenze statisticamente significative nei due gruppi per quanto riguarda il numero di BESV isolati (Gruppo A 138±179 vs Gruppo B 101±121; p=NS), differenze invece sono state osservate per quanto riguarda il numero (Gruppo A 10±12 vs Gruppo B 3±4; p <0,05) e la durata (Gruppo A 9±7 battiti vs Gruppo B 4±6 battiti; p<0.05) degli episodi di SVT. Al TE invece sono state osservate differenze statisticamente significative sia per quanto riguarda il numero di BESV (Gruppo A 11±13 vs Gruppo B 3±9; p<0.05) sia per quanto riguarda il numero (Gruppo A 1.4±1.9 vs Gruppo B 0.25±0.65; p<0.05) e la durata (Gruppo A 2.2±2.8 battiti vs Gruppo B 0.68±1.5 battiti; p<0.05) di episodi di SVT insorti durante lo sforzo. Discussione. È molto importante per il cardiologo clinico identificare i soggetti a rischio di recidiva di FA. La presenza e il numero di BESV costituiscono elementi di importante significato prognostico. Tuttavia, sembra che per tipizzare le sottopopolazioni a rischio di recidiva, la metodica che risulta più utile sia il TE, mentre poco affidabile si rivela l’ECG-H. Per quanto riguarda l’evidenza di SVT, sembra che questa abbia un peso prognostico comunque sia rilevata (con ECG-H o con TE). Conclusioni. I risultati dimostrano che le tecniche strumentali di comune impiego nel follow-up di questi pazienti, possono aiutarci ad identificare, anche se con diversi gradi di affidabilità, quei soggetti che potrebbero beneficiare di un trattamento antiaritmico preventivo da assumere almeno per i primi mesi dopo la CV. P346 CARDIAC ADAPTATIONS IN SPINAL CORD INJURY PATIENTS Olga Vriz1, Arianna Ius1, Daniela Pavan2, Emiliana Bizzarrini3, Eduardo Bossone4, Francesco Antonini-Canterin5 1 Cardiologia, San Daniele del Friuli, 2Cardiologia, San Vito al Tagliamento, 3Riabilitazione Gervasutta, Udine, 4Cardiochirurgia, Polclinico San Donato, Milano, 5Patologia Cardiovascolare e Aterosclerosi, Pordenone Background. Modifications in physical activity lead to marked changes in cardiac structure, ranging from the “physiologic” hypertrophy of the endurance trained athletes to the “physiologic” atrophy of chronically deconditioned patients. Aim of our study was to assess the effect of chronic deconditioning on cardiac dimensions and function in subjects with spinal cord injury (SCI), who represent a human in-vivo model of extreme inactivity. Methods. The study population consisted of 130 male subjects free of over cardiovascular disease: 47 SCI cases (mean age 43.89± 11.9 years, permanently on manual wheelchair, mean time since injury 22.12±14.5 years) and 83 able bodied persons (ABP) (mean age 45.44±12.2 years; p= ns). No subjects were on dugs except for bladder control medications in the SCI group. By transthoracic echocardiography the following parameters were measured: left ventricle end-diastolic and end-systolic diameters, diastolic thickness of intraventricular septum, and posterior wall, LV mass index (LVMI), relative wall thickness (RWT), end-systolic (ESV) and end-diastolic volumes, ejection fraction (EF), stroke volume (SV), cardiac output (CO), Sm by TDI on mitral annulus, LV end-systolic elastance (Ees: ESP/ESV, where ESP is 0.9xSBP) and Ea/Ees ratio index of ventricular-arterial coupling where Ea, arterial elastance, was calculated as ESP/SV. Results. LVMI was similar in the two groups (108±26 vs 107±24 g/m2; p=ns, SCI vs ABP respectively) but RWT was higher in the SCI group (36±8 vs 33±5; p=0.01). LV function was characterized by similar EF and SV, but SCI subjects had higher Sm (9±2 vs 10±2 cm/s, p=0.002), and lower Ea/Ees (0.51±0.16 vs 0.64±0.28, p=0.002). Conclusions. SCI is associated with a concentric remodeling of the left ventricle. Resting longitudinal systolic function appeared increased in SCI group while Ea/Ees was reduced. The knowledge of these findings could be useful for understanding the pathophysiology of the cardiac adaptation to physical inactivity. P347 UN CASO ATIPICO DI CARDIOMIOPATIA TAKO-TSUBO RECIDIVANTE Nicola D’Amato, Maria Grazia Campagna, Francesca Bux, Carlo D’Agostino U.O.C. di Cardiologia, Ospedale “Di Venere”, Bari Background. La cardiomiopatia tako-tsubo (CTT) è una rara sindrome solitamente indotta da stress, che esordisce spesso con caratteristiche simili alla sindrome coronarica acuta (SCA), ed è caratterizzata da disfunzione transitoria della contrattilità del ventricolo sinistro (VS) e coronarie angiograficamente normali. La prognosi nella maggior parte dei casi è favorevole, ma la CTT può recidivare. Sono segnalati, però, anche sporadici casi di CTT atipici per modalità di presentazione. Descrizione del caso. Descriviamo un caso di CTT in una donna di 81 anni, che si ricovera in UTIC per sospetto STEMI complicato da shock cardiogeno, esordito con dispnea a riposo non accompagnata da dolore toracico. È presente febbre (37.8°C). L’elettrocardiogramma (ECG) all’ingresso mostra tachicardia sinusale a 124/min, sopralivellamento del tratto ST di 2 mm in sede anteriore estesa. L’ecocardiogramma bidimensionale (ECO) mette in evidenza: FE 25%, acinesia dei segmenti medio-apicali del VS ed ipercinesia compensatoria dei segmenti basali (apical ballooning). L’analisi ECO 2D-strain (XStrain Esaote) documenta in modo quantitativo i parametri della deformazione contrattile del VS, che risulta alt