Progetto didattico LA “ MEMORIA” GENETICA DELL’ORTO LIGURE Il “ sapore” del DNA ligure DNA fingerprinting per l’accertamento dell’identità genetica dell’Asparago violetto d’Albenga Università degli Studi di Genova COOP Liguria Beatrice Zanini QUADRO GENERALE DELL’ATTIVITA’ MODULO DI GENETICA MOLECOLARE: Laboratorio di bioinformatica Laboratorio di Genetica molecolare MATERIALE: Copie del testo Testi in PP TECNICHE UTILIZZATE IN LABORATORIO Estrazione di DNA da cellule vegetali PCR Gel Elettroforesi del DNA ADATTA PER : Triennio della scuola superiore PREREQUISITI 1. La struttura del DNA. 2. Dal DNA al cromosoma 3. Aploidia/Diploidia 4 Gene/Locus/Allele 5. Genotipo/Fenotipo 6. Duplicazione del DNA 7. Trascrizione del mRNA 8. Traduzione 9. 10. 11. 12. 13. 14. Struttura dei geni Regolazione dell’espressione genica Il promotore Splicing Polimorfismi Cellula vegetale CONCETTI CHIAVE Gene/Locus/Allele Controllo dell’espressione genica Polimorfismo allelico Marcatori molecolari RAPDs, SSR TEMPO DI REALIZZAZIONE 2 ore di Laboratorio di Bioinformatica 8 ore Lab hands-on ATTIVITA’ W EBSITE http://learn.genetics.utah.edu/ Virtual lab DNA Learning Center - Cold Spring Harbor http://www.dnalc.org GUIDA PER IL DOCENTE A. INTRODUZIONE ALL’ATTIVITA’ pag. 4 B. OBIETTIVI DELL’APPRENDIMENTO C. STRATEGIA D’INSEGNAMENTO D. ABSTRACT E. BACKGROUND DI CONOSCENZE DI BIOLOGIA MOLECOLARE 1. Trascrizione e maturazione dell’RNA. 2. Struttura ed espressione dei geni. Il promotore. Regolazione della trascrizione. 3. Dal DNA al cromosoma. 4. Replicazione del DNA. 5. I polimorfismi del DNA 2 pag. 5 F. FOOD GENOMICS E MARCATORI MOLECOLARI Marcatori molecolari Tecniche di analisi molecolare per i marcatori pag. 9 G. TECNICHE UTILIZZATE IN LABORATORIO PER IL FINGERPRINTING Estrazione del DNA PCR Termociclatori Taq polimerasi Scelta dei primer - Tecnica RAPD - Tecnica SSR - Elettroforesi su gel di agarosio Principio di base del fingerprinting Metodi per l’identificazione varietale: - Analisi del fenotipo - Analisi del genotipo Perche’ serve l’analisi genetica varietale? pag.11 H. IL “SAPORE” DEL DNA LIGURE. DNA FINGERPRINTING PER L’ACCERTAMENTO DELL’IDENTITÀ GENETICA DELL’ASPARAGO VIOLETTO D’ALBENGA Cenni storici e domesticazione dell’asparago violetto di Albenga Un po’ di botanica della specie Origine, diffusione e importanza economica I. PROTOCOLLO DI LABORATORIO Attività di Bioinformatica Attività hands-on in laboratorio pag.15 pag.17 pag.20 pag.25 GUIDA PER LO STUDENTE - Unità di misura usate in laboratorio - Diluizioni - Soluzioni da preparare - Pre-Test - Post-Test - Glossario - Bibliografia - Strumentazione e materiale a disposizione - Norme generali di sicurezza in laboratorio pag.26 3 GUIDA PER IL DOCENTE A. INTRODUZIONE ALL’ATTIVITÀ Questa modulo didattico introduce gli studenti alla Genetica Vegetale al fine di conoscere e capire l’approccio molecolare allo studio della diversità di specie vegetali. L’utilizzo delle tecniche di analisi del DNA oggi costituisce lo strumento più adeguato e moderno per la salvaguardia della qualità e dell’unicità dei prodotti tipici e per la tracciabilità. B. OBIETTIVI DELL’APPRENDIMENTO Gli studenti impareranno a impostare una ricerca scientifica condurranno un esperimento utilizzando tecniche complesse e controlli potranno applicare i risultati di questi esperimenti ad argomenti scientifici imposteranno i calcoli per predisporre le soluzioni necessarie dovranno comprendere ed eseguire la tecnica di estrazione del DNA la Reazione di Polimerizzazione a Catena (PCR) la tecnica di elettroforesi su gel di Agarosio dovranno definire il concetto di food genomics il concetto di marcatore molecolare il concetto di fingerprinting le caratteristiche genetiche della cultivar ligure dovranno descrivere il processo di estrazione del DNA il processo di reazione di polimerizzazione a catena il ruolo della Genetica nella valorizzazione delle cultivar come e perché si definisce la tracciabilità di un prodotto i contributi significativi delle biotecnologie alla società, specialmente al settori dell’agroalimentare C. STRATEGIA D’INSEGNAMENTO: Laboratorio di Bioinformatica Abstract Gli studenti navigano nel Modulo ”Percorso di Bioinformatica” per compiere una ricerca web e per imparare l’approccio metodologico di un lavoro di ricerca Materiale: Computers con accesso a Internet e Videoproiettore Durata: 2 ore Laboratorio di Genetica Molecolare Abstract Lo studio della diversità genetica di specie selvatiche e coltivate attraverso i marcatori molecolari rappresenta un importante capitolo della Genetica vegetale moderna. L’uso di questa diversità ha trovato impiego nelle strategie innovative di accertamento dell’identità varietale, importante parametro della qualità. Il fingerprinting del DNA consente di monitorare la variabilità genetica presente a livello dell’acido nucleico attraverso l’uso di uno o più marcatori che caratterizzano il genoma ed identificano genotipi diversi anche se molto vicini. Materiale: Laboratorio didattico CBA attrezzato Kit di estrazione del DNA e PCR Kit Elettroforesi Durata: 8 ore 4 D. BACKGROUND DI CONOSCENZE E CONCETTI CHIAVE STRUTTURA DEL DNA La molecola del DNA è un polimero, ossia è un insieme di tanti monomeri: i nucleotidi. Ogni nucleotide è costituito da tre componenti: un gruppo fosfato, uno zucchero (desossiribosio) e una base azotata. La molecola di DNA è formata da due catene polinucleotidiche avvolte l’una intorno all’altra con andamento destrorso. Le due catene sono antiparallele, cioè i due singoli filamenti sono orientati uno in direzione 5’->3’ e l’altro 3’->5’. Gli scheletri zucchero –fosfato si trovano all’esterno, le basi azotate all’interno. Le basi delle due catene sono unite tra loro mediante legami a idrogeno. Le basi sono complementari e il loro appaiamento: A - T Adenina-Timina G - C Guanina - Citosina L’informazione genetica risiede nella sequenza di basi. REPLICAZIONE DEL DNA La replicazione del DNA in tutte le cellule viventi, dai batteri all’uomo, è un processo complesso, che richiede l’intervento di più di una dozzina di enzimi diversi. La replicazione comincia in corrispondenza di siti detti origine di replicazione . In questi siti, alcune proteine srotolano la doppia elica di DNA, rompendo i legami a idrogeno tra le basi dei filamenti complementari. L’allineamento e unione tra loro dei nucleotidi complementari avviene per azione della DNA polimerasi che procede solo in direzione 5’-> 3’. La DNA polimerasi, per iniziare il processo, ha anche bisogno di un innesco (detto anche primer), a cui attaccarsi e procedere con la polimerizzazione a intervalli lungo i cromosomi. Durante la replicazione del DNA, il primer è costituito da una corta sequenza polinucleotidica di RNA. La replicazione è semiconservativa: ogni emi-elica (singolo filamento) della molecola madre serve da stampo per la sintesi di un nuovo filamento, per cui ogni doppia elica figlia sarà costituita da un filamento vecchio e da un filamento nuovo. Le molecole risultanti sono copie esatte dell’originale. Da una doppia elica madre derivano due doppie eliche figlie uguali tra loro e uguali alla molecola madre. DAL DNA AL CROMOSOMA Alla molecola di DNA sono associati gli istoni (proteine basiche), essenziali per permettere l’avvolgimento e il ripiegamento del DNA in strutture estremamente compatte, vale a dire i cromosomi, visibili solo durante la divisione cellulare. Il cromosoma: Unità strutturale e colorabile che porta i geni disposti in modo lineare. E’ considerato anche come un insieme di geni - o gruppo di associazioneorganizzati secondo una successione lineare che tendono ad essere ereditati insieme. 5 STRUTTURA ED ESPRESSIONE DEI GENI Dal punto di vista della Genetica Molecolare per gene s’intende una sequenza di DNA potenzialmente trascrivibile in RNA funzionalmente attivo. Tale RNA può svolgere direttamente una funzione strutturale e/o catalitica (rRNA, tRNA) oppure trasportare l’informazione per la sintesi di una proteina (mRNA). Nel genoma umano si stima che siano presenti circa 23.000 geni codificanti proteine e 1000-2000 geni codificanti RNA strutturali. Da recenti studi emergerebbe però l’esistenza di diverse migliaia (o decine di migliaia) di trascritti non codificanti che potrebbero non avere alcuna funzione o, viceversa, svolgere un ruolo fondamentale nella regolazione della conformazione della cromatina e della trascrizione di geni codificanti proteine. TRASCRIZIONE E MATURAZIONE DEGLI RNA L’informazione genetica contenuta nelle sequenze del DNA viene trasferita all’RNA e dall’RNA al polipeptide corrispondente. Durante la trascrizione, un complesso proteico, comprendente l’enzima RNA polimerasi, sintetizza le molecole di RNA sullo stampo delle sequenze di DNA che costituiscono le unità di trascrizione. La RNA polimerasi si lega al sito d’inizio della trascrizione insieme ad altre proteine, dette fattori di trascrizione. Questi fattori, mediante l’interazione con brevi sequenze di DNA presenti nella regione a monte dell’inizio della trascrizione (promotore), servono a posizionare la RNA polimerasi nel sito giusto e a separare i due filamenti di DNA per formare la bolla di trascrizione. L’enzima usa come stampo uno dei due filamenti di DNA in direzione 5’->3’, catalizzando il legame fosfodiestere tra il gruppo ossidrilico legato al C3’ del ribonucleotide precedente e il fosfato del nuovo ribonucleotide. Il processo continua fino a che la polimerasi incontra una sequenza di arresto. A questo punto si stacca e libera la catena di RNA, mentre la bolla di trascrizione si richiude e il DNA riassume la conformazione a doppia elica. L’RNA neosintetizzato ha la sequenza di basi identica a quella di uno dei due filamenti di DNA (il filamento senso), anche se la Timina è sostituita dall’Uracile. Da uno stesso gene possono essere trascritte consecutivamente numerose copie di RNA e il livello di trascrizione dipende da complessi meccanismi (vedi la regolazione della trascrizione). E’ importante ricordare che le cellule eucariotiche possiedono tre tipi di RNA polimerasi: RNA polimerasi I trascrive i geni degli RNA ribosomiali RNA polimerasi II trascrive i geni che codificano proteine sintetizzando i precursori degli RNA messaggeri e anche alcuni piccoli RNA • RNA polimerasi III trascrive i geni di tutti gli RNA transfer, un RNA ribosomiale e altri piccoli RNA. I precursori degli mRNA neosintetizzati (trascritti primari) devono subire una serie di modificazioni prima di essere trasferiti nel citoplasma per venire tradotti sui ribosomi. Questo processo di maturazione degli mRNA include le seguenti modificazioni: • • • • • Aggiunta all’estremità 5’ di un cappuccio (cap). Al primo nucleotide all’estremità 5’ della molecola di RNA nascente viene rimosso il fosfato terminale e viene aggiunta una molecola di Guanosina monofosfato (GMP) metilata in posizione 7’. Il capping serve per proteggere il trascritto dall’attacco delle esonucleasi che lo degraderebbero, e per facilitare il trasporto dal nucleo al citoplasma. Rimozione di alcune sequenze che non vengono tradotte (processo di splicing). Quasi tutti i geni eucariotici sono divisi in sequenze codificanti, chiamate esoni, e sequenze non tradotte, dette introni. Questi ultimi vengono rimossi dai trascritti primari mediante il processo di splicing. Gli introni sono quindi sequenze di DNA, situate tra due esoni, le quali sono trascritte ma non tradotte. Salvo rare eccezioni, gli introni iniziano sempre con i nucleotidi GT e terminano con i nucleotidi AG (regola GT-AG). Nel processo di splicing si verifica prima la scissione all’inizio dell’introne (5’), poi l’estremità libera dell’introne si ripiega su se stessa formando una struttura simile ad un laccio e infine avviene il taglio a livello della giunzione 3’ dell’introne. Quindi i due esoni si uniscono mentre l’introne va perso. Una struttura macromolecolare (costituita da varie subunità di molecole di piccoli RNA nucleari, gli snRNP, e da una serie di proteine specifiche) promuove e controlla le reazioni dello splicing. Aggiunta all’estremità 3’ di una coda poli-A. La maggior parte delle unità di trascrizione hanno una breve sequenza (AAAAA) che specifica il sito di termine della trascrizione. Circa 15-30 nucleotidi a valle di questo sito, l’RNA neosintetizzato viene scisso da un enzima, una endonucleasi, e alla molecola di RNA vengono aggiunti circa 200 residui di Adenosina monofosfato (AMP). Questa coda di poli-A ha lo scopo di stabilizzare le molecole degli mRNA maturi e di facilitare il loro trasporto dal nucleo al citoplasma. 6 Maturazione del mRNA Sito d’inizio della trascrizione +1 segnale di poliA sito poliA promotore ATG CG CG box box codone di stop CAAT TATA box box GT 5’UTR esone 1 GT AG introne 1 esone 2 AG introne 2 esone3 3’UTR >>>>>>>>>>>>> TRASCRIZIONE direzione di lettura del gene GT precursore dell’mRNA AG GT AG CAP AAA SPLICING mRNA MATURO CAP AAAAA AAA IL PROMOTORE La regione a monte del sito d’inizio della trascrizione è detta promotore. La numerazione dei nucleotidi inizia da -1, che corrisponde al nucleotide che precede il sito d’inizio della trascrizione (indicato con +1). In questa regione, di lunghezza variabile, si trova una serie di brevi sequenze che vengono riconosciute e legate da fattori di trascrizione. I fattori di trascrizione favoriscono il legame dell’RNA polimerasi al sito giusto per iniziare la sintesi di RNA. I geni che presentano elevati livelli di trascrizione, presentano nel promotore delle sequenze specifiche ( i TATA box a circa -25 bp dal sito d’inizio della trascrizione; il CAAT box a -80 bp dal sito d’inizio della trascrizione). Accanto a sequenze comuni a molti promotori vi sono elementi che sono riconosciuti da fattori di trascrizione tessuto-specifici. Anche i geni che mostrano un’espressione tessuto-specifica vengono spesso trascritti a livelli molto bassi in tutte le cellule. Vi sono altre sequenze che vengono riconosciute da fattori di trascrizione quali gli elementi di risposta, localizzati nel promotore o nella regione 5’ del gene, e gli elementi indicati come enhancer (intensificatori), che servono per aumentare i livelli basali della trascrizione e sono localizzati a distanza variabile dal gene, talvolta anche a valle del sito d’inizio della trascrizione, vale a dire all’interno della regione trascritta. REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE Due sono le condizioni perché si abbia una efficace trascrizione. La presenza nella cellula di specifici fattori di trascrizione che interagiscono con brevi sequenze nel promotore del gene e con sequenze enhancer e consentono l’assemblaggio del complesso di trascrizione 2. Una conformazione della cromatina del gene “aperta”, ovvero i nucleosomi non compattati e, possibilmente, il DNA non associato agli istoni nel promotore. 1. Il controllo dell’espressione genica avviene mediante il legame di fattori proteici con le sequenze di regolazione; è estremamente complesso e coinvolge numerosi fattori che possono essere 7 grossolanamente distinti in fattori ubiquitari e tessuto-specifici. L’interazione di fattori specifici con gli elementi enhancer è importante per l’espressione genica tessuto-specifica. ELEMENTI REGOLATORI DELLA TRASCRIZIONE 1. fattori di trascrizione 2. elementi cis-acting 3. elementi di regolazione distanti anche 1 Mb 4. promotori alternativi/multipli 5. modificazioni in DNA e istoni (acetilazione o metilazione)/accessibilità alla cromatina 6. piccoli RNAs-di tanti tipi. Enhancers Gli enhancers sono sequenze nucleotidiche cis-agenti che esplicano la loro funzione aumentando notevolmente (fino a 200 volte) la frequenza di trascrizione del gene che controllano. Dal punto di vista strutturale, un enhancer non differisce molto da un promotore. Gli enhancers non devono necessariamente essere vicini ai promotori: è possibile infatti trovare degli enhancer a parecchie centinaia di migliaia di paia di basi di distanza a valle o a monte del sito d’inizio della trascrizione. POLIMORFISMI DI SEQUENZA DEL DNA Il termine polimorfismo significa “esistenza di forme diverse”. In Genetica, il polimorfismo può essere analizzato sia a livello proteico che di materiale genetico. In questo secondo caso, le forme diverse, ossia le varianti genetiche possono riguardare un gene, vale a dire un tratto di DNA codificante una proteina, oppure un tratto di DNA non codificante. Queste varianti si definiscono polimorfismi e dato che più del 98% del DNA umano è DNA non codificante, e che quindi la maggior parte di queste differenze è localizzata in sequenze non codificanti, il fenotipo di un polimorfismo di sequenza del DNA non è riconoscibile dall’esterno (es. nei gruppi sanguigni). Dato l’elevato numero di loci polimorfici, i polimorfismi in sequenze non codificanti sono molto più frequenti dei polimorfismi delle sequenze codificanti (gruppi sanguigni, albinismo, colore degli occhi, ecc..) e conseguentemente più utili nella ricerca biologica e medica. E’ stato osservato che il DNA di due individui differisce per circa un nucleotide ogni 500/1000. Quando un polimorfismo interessa una sequenza riconosciuta da un enzima di restrizione, la variazione, creando o distruggendo il sito di restrizione, darà luogo a differenze nei siti di taglio di quel dato enzima all’interno della popolazione. Digerendo con quell’enzima il DNA di individui diversi, si osserva quindi un polimorfismo di lunghezza dei frammenti di restrizione – RFLP - e cioè dal DNA di individui diversi si generano frammenti di restrizione diversi. Come tutti i polimorfismi, i RFLP possono essere equiparati ad alleli codominanti di un locus mendeliano: la presenza o assenza di uno o dell’altro allele può essere riconosciuta in ogni individuo, consentendo la distinzione in omozigoti ed eterozigoti. Il fenotipo di un RFLP è evidenziabile in termini di differenze di numero e/o dimensione dei frammenti di DNA ottenuti con la digestione con un certo enzima di restrizione. I frammenti sono visibili dopo migrazione elettroforetica su un gel. L’avvento della Genetica Molecolare ha permesso di identificare i polimorfismi del DNA, che sono diventati i marcatori genetici più comunemente usati. Sono: i Polimorfismi di Lunghezza dei Frammenti di Restrizione, o RFLP i Polimorfismi a Singolo Nucleotide, o SNP 8 i Polimorfismi di Lunghezza di Sequenze Semplici, o SSLP, che vengono poi distinti in VNTR (Variable Number of Tandem Repeats) o minisatelliti, STR (Simple Tandem Repeats ) o SSR o microsatelliti. I polimorfismi del DNA sono utili come identificatori individualita’nei seguenti casi: • Controllo relazioni parentali in famiglie con malattie mendeliane • Genetica di popolazione • Indagini di paternità • Indagini di medicina legale • Tracciabilità dei prodotti animali e/o dei GMO • Studi di epidemiologia • Miglioramento delle specie vegetali ed animali. I marcatori genetici e l’analisi di linkage permettono anche: • L’identificazione di geni-malattia ( diagnosi portatore) • Il mappaggio sia genetico (ordinamento dei geni sui cromosomi) che fisico (distanza fisica tra i geni) I marcatori molecolari rappresentano per la ricerca genetica degli strumenti eccezionali, poiché consentono di identificare specifiche sequenze nucleotidiche e quindi di analizzare polimorfismi di particolari geni o regioni cromosomiche. F. FOOD GENOMICS E MARCATORI MOLECOLARI Per food genomics si intende l’applicazione degli studi genetico-molecolari sugli organismi da cui si ricavano le materie prime degli alimenti per stabilirne l’autenticità. Gli sviluppi delle metodologie molecolari hanno permesso di individuare differenze nel DNA tra individui appartenenti a popolazioni, varietà, specie e generi differenti che consentono la loro identificazione o classificazione. Tali sequenze identificative sono dette “marcatori molecolari”. Analizzando i residui di DNA presenti nell’alimento (fresco o trasformato) è possibile risalire all’organismo che ha fornito la materia prima e stabilire la conformità con quanto dichiarato dal produttore. MARCATORI MOLECOLARI Un marcatore molecolare può essere definito come un locus genetico, rilevabile mediante sonde (probe) o inneschi (primer) specifici che individua in maniera inequivocabile il tratto cromosomico con il quale si identifica e le regioni che lo circondano alle estremità 5’e3’. I marcatori molecolari si basano quindi sulla rilevazione diretta di differenze (polimorfismi) nella sequenza nucleotidica del DNA che costituisce il genoma di ogni individuo (dovute a delezioni, traslocazioni, duplicazioni, mutazioni puntiformi, ecc.). All’interno di una specie gli individui si diversificano l’uno dall’altro per un numero più o meno elevato di caratteri (alleli) e ciò mette nella condizione di poter rilevare i polimorfismi (mutazioni) nelle regioni di DNA omologhe (loci). √ Vantaggi dei marcatori molecolari: 1) non subiscono l’influenza dell’ambiente 2) coprono qualsiasi parte del genoma (trascritta e non, quindi anche introni e regioni di regolazione) 3) non presentano effetti epistatici o pleiotropici ed in molti casi hanno espressione codominante permettendo così di distinguere l’individuo omozigote dall’eterozigote 4) nella maggior parte dei casi i polimorfismi molecolari sono neutri: una variazione allelica nel locus marcatore, cioè, non ha altri effetti a livello fenotipico (e quindi eventualmente a livello selettivo) se non quello di permettere di determinare il genotipo. √ Perchè si usano? Una prima applicazione dei marcatori molecolari è rappresentata dall’identificazione varietale : dall’analisi dei profili genetici si è in grado di riconoscere le diverse varietà coltivate. Una seconda applicazione è quella relativa allo studio filogenetico in quanto confrontando i profili genetici di specie coltivate con quelle di specie selvatiche simili si è in grado di stabilire quali siano le specie progenitrici delle specie attualmente utilizzate e diffusamente coltivate. I marcatori molecolari possono, come già detto, essere impiegati sia per la creazione di mappe genetiche sia nei programmi di selezione varietali. 9 TECNICHE DI ANALISI MOLECOLARE PER I MARCATORI Nella Tabella è riportato un elenco delle principali tecniche di analisi molecolare di marcatore molecolare. Il numero di marcatori molecolari oggi a disposizione sempre più in aumento per la continua messa a punto di tecniche di analisi identificano con sigle diverse marcatori molecolari studiati con tecniche molto simili poco si diversificano e/o sono state messe a punto in laboratori diversi. Classe marcatore AFLP (amplified fragment length polymorphism) AP-PCR (arbitrarily primed PCR) ARMS (amplification refractory mutation system) ASAP (arbitrary signatures from amplification) ASH (allele-specific hybridisation) ASLP (amplified sequence length polymorphism) ASO (allele specific oligonucleotide) CAPS (cleaved amplified polymorphic sequence) CAS (coupled amplification and sequencing) DAF (DNA amplification fingerprint) DGGE (denaturing gradient gel electrophoresis) GBA (genetic bit analysis) IRAP (inter-retrotransposon amplified polymorphism) ISSR (inter-simple sequence repeats) ISTR (inverse sequence-tagged repeats) MP-PCR (microsatellite-primed PCR) OLA (oligonucleotide ligation assay) RAHM (randomly amplified hybridizing microsatellites) RAMPO (randomly amplified microsatellite polymorphisms) RAMPs (random amplified microsatellite polymorphisms) RAMS (randomly amplified microsatellites) RAPD (random amplified polymorphic DNA) RBIP (retrotransposon-based insertion polymorphisms) REF (restriction endonuclease fingerprinting) REMAP (retrotransposon-microsatellite amplified polymorphism) RFLP (restriction fragment length polymorphism) SAMPL (selective amplification of polymorphic loci) SCAR (sequence characterised amplified regions) SNP (single nucleotide polymorphism) SPAR (single primer amplification reactions) SPLAT (single polymorphic amplification test) S-SAP (sequence-specific amplification polymorphisms) SSCP (single strand conformation polymorphism) SSLP (simple sequence length polymorphism) STS (sequence- tagged- site) STMS (sequence- tagged microsatellite site) TGGE (thermal gradient gel electrophoresis) VNTR (variable number tandem repeats) e conseguente classe è molto numeroso e del DNA. Spesso si tra loro, che talvolta Una prima distinzione tra i marcatori molecolari può essere fatta considerando le tecniche utilizzate per le loro analisi e quindi: a) tecniche basate sulla restrizione ed ibridazione di acidi nucleici: - RFLP(Restriction Fragment Length Polymorphism) - VNTR (Variable Number of Tandem Repeat) b) tecniche basate sulla PCR (Polymerase Chain Reaction): - SSR (Simple Sequence Repeat) - SNP (Single Sequence Polymorphism) - RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA) - AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism). In base al numero di loci saggiati è possibile distinguere le seguenti classi di marcatori: a) marcatori “multi-locus”: basati sull’analisi simultanea di molti loci genomici, che implicano l’amplificazione di tratti cromosomici casuali mediante primer oligonucleotidici a sequenza nota arbitraria (AFLP, I-SSR, RAPD). Sono definiti marcatori dominanti in quanto ad ogni locus è possibile evidenziare la presenza o l’assenza della banda, ma non distinguere la situazione eterozigote (a/A) da quella omozigote per lo stesso allele (a/a). b) marcatori “singolo-locus”: prevedono l’impiego di sonde o primer specifici per determinati loci genomici al fine di ibridare o amplificare tratti cromosomici a sequenza nota. Sono definiti marcatori co-dominanti in quanto permettono di distinguere i loci omozigoti (a/a e b/b) da quello eterozigote (a/b) rappresentati rispettivamente da una banda (l’uno o l’altro allele) e da due diverse bande (entrambi gli alleli marcatori). Il marcatore ideale dovrebbe possedere caratteristiche di semplicità di analisi, ridotti costi di applicazione, elevata capacità discriminante, buona riproducibilità entro e tra laboratori, produzione di un elevato numero di marcatori in tempi brevi, necessità di bassi quantitativi di DNA; inoltre non dovrebbe richiedere particolari conoscenze iniziali relative al genoma degli organismi in studio e permettere una analisi di zone del DNA uniformemente distribuite su tutto il genoma. Ovviamente non è possibile che un’unica classica soddisfi tutti questi requisiti! 10 G. TECNICHE UTILIZZATE IN LABORATORIO PER L’ANALISI MOLECOLARE DEL DNA 1. ESTRAZIONE DEL DNA Il DNA può essere estratto da qualunque cellula nucleata sia animale che vegetale. L’isolamento del DNA richiede l’utilizzo di enzimi capaci di distruggere le membrane cellulari e nucleari e di solventi organici in grado di separare le proteine dagli acidi nucleici. Nella procedura si usa un kit provvisto di tali soluzioni e di colonnine provviste di una membrana in grado di legare selettivamente il DNA. La determinazione quantitativa della concentrazione del DNA estratto viene effettuata mediante corsa elettroforetica su gel di Agarosio. 2. LA TECNICA DELLA PCR L’introduzione della PCR, la tecnica che consente di amplificare selettivamente un tratto di DNA, ha rivoluzionato la genetica molecolare e le sue applicazioni sono praticamente infinite. Uno degli ambiti di utilizzo è la diagnosi di malattie genetiche mediante analisi di RFLP. L’utilizzo della PCR semplifica molte cose. Ad esempio, la PCR consente di analizzare uno specifico tratto di DNA, invece di dover lavorare su tutto il DNA nucleare di una cellula, ossia sul DNA genomico. La PCR (Polymerase Chain Reaction) è una tecnica di amplificazione in vitro di un frammento di DNA di cui si conosca la sequenza nucleotidica delle regioni terminali. Il principio è molto semplice. Data una sequenza di DNA genomico a doppio filamento e due corte sequenze oligonucleotidiche (primer), di cui una complementare ad un tratto di filamento a una estremità del DNA da amplificare (forward primer), l’altra complementare ad un altro tratto posto all’altra estremità (reverse primer), in presenza di una DNA polimerasi termostabile ( Taq polimerasi, isolata dal batterio Thermus Aquaticus che vive nelle sorgenti termali ad alta temperatura) e di una miscela di desossinucleotidi trifosfati (dNTPs), in appropriate condizioni di reazione, è possibile copiare numerosissime volte (30-40 volte) il tratto compreso tra i due primer, semplicemente facendo variare ciclicamente la temperatura di reazione. Infatti, raggiunta la temperatura di denaturazione (92-95°C), la doppia elica si apre (fase di denaturazione), rendendo disponibile lo stampo per la sintesi delle catene complementari. Se la temperatura si abbassa, in virtù delle loro minori dimensioni e della loro concentrazione, i primer si legheranno (fase di appaiamento o annealing ) al DNA stampo prima che si rinaturi e in presenza di una DNA polimerasi con un optimum di temperatura elevato (circa 72°C), inizierà la sintesi di DNA a partire dai primer (fase di sintesi del DNA o extension ), procedendo lungo i filamenti singoli. Al termine del primo ciclo di PCR da una doppia elica di DNA se ne ottengono due. Ripetendo il ciclo denaturazione – annealing – extension numerose volte (in genere da 30 a 40 volte), si ottiene una massiccia amplificazione specifica di un dato tratto di DNA, corrispondente a DNA in quantità tale da essere visualizzabile in un gel di agarosio mediante colorazione specifica. Scelta dei primer. Per ogni PCR, è necessario usare due primer (forward e reverse). La scelta della coppia di primer è critica per una buona riuscita della PCR, ovvero per ottenere l’amplificazione di un tratto di DNA in modo specifico. I primer devono essere “disegnati” a monte e a valle dei siti di restrizione. Si tratta di oligonucleotidi , con dimensioni comprese tra le 15 e le 30 basi che ibridano su filamenti opposti in posizioni fiancheggianti la regione di interesse del DNA. Per minimizzare la formazione di artefatti è importante che le loro sequenze non contengano basi complementari (all’interno dello stesso primer o tra i due primer); inoltre la Temperatura di fusione dei due oligonucleotidi deve essere identica, o almeno molto vicina. Il metodo di analisi del DNA mediante PCR presenta vantaggi molto evidenti: 1. è molto rapido (da 60 a 90 minuti) 2. la manualità è semplicissima 3. è automatizzato 4. i risultati sono visualizzabili con facilità La PCR ha rivoluzionato la genetica molecolare. Le applicazioni della PCR sono praticamente infinite. I termociclatori Il successo della PCR è dovuto in gran parte alla possibilità di far avvenire l’intero processo in modo 11 automatico all’interno di strumenti detti termociclatori (thermal cyclers) in grado di variare ciclicamente la temperatura tra le varie fasi di ogni ciclo di PCR. Un esempio di profilo di amplificazione standard impostato mediante un termociclatore è il seguente: Denaturazione iniziale : 5 min. a 94°C - denaturazione del DNA: 30 sec. a 94°C - appaiamento (annealing) dei primer: 30 sec. a 50°-60°C - 35 cicli - sintesi (extension) di DNA: 30 sec-5 min. a 72°C Extension finale: 10 min. a 72°C 3. TECNICA RAPD La tecnica (Random Amplified Polymorphism DNA) è stata elaborata nel 1990 in due distinti laboratori. La novità consiste proprio nell’arbitrarietà della sequenza dei primer, in contrasto con le tecniche di PCR classica, ove i primer sono sintetizzati sulla base di specifiche informazioni di sequenza. Nel protocollo descritto da Williams et al. (1990), per le ridotte dimensioni dei primer (decameri), la probabilità (P) che essi trovino casualmente, in un genoma, sequenze omologhe cui appaiarsi, è abbastanza elevata (teoricamente P = dimensione del genoma in paia di basi/410). Gli unici requisiti che i primer devono soddisfare sono: 1) la mancanza d’estremità coesive, per impedirne l’autoappaiamento; 2) un contenuto in G+C pari a 60-70% tale da conferire una certa stabilità al complesso primer-DNA stampo. L’amplificazione di una specifica sequenza avviene quando il primer si appaia a due siti diversi sui due filamenti di DNA stampo, purchè la distanza tra i due siti sia inferiore a quella massima amplificabile dalla polimerasi (tale distanza, dipendente dal tipo di enzima, normalmente risulta pari a circa 2000-2500 bp). Ogni prodotto di amplificazione include un tratto cromosomico di sequenza non nota, le cui regioni fiancheggianti sono complementari alla regione del primer, in un filamento, e omologhe a questa nell’altro filamento. I prodotti di amplificazione sono poi separati su un gel di agarosio mediante elettroforesi e rivelati con un colorante DNA specifico. La numerosità dei polimorfismi ottenuti per primer è compresa generalmente tra 6 e 12 e varia comunque a seconda della complessità del genoma dell’organismo preso in esame. I polimorfismi RAPD, osservati come presenza o assenza della banda, sono dovuti a: 1) Sostituzioni nucleotidiche, delezione o inserzione al sito d’appaiamento del primer 2) Inserzioni o delezioni che modificano la lunghezza del segmento amplificato. Questa tecnica viene molto utilizzata nello studio della variabilità genetica nelle popolazioni naturali e sperimentali. 12 Limiti della tecnica RAPD: 1. Ripetitività dell’amplificazione, legati al tipo d’estrazione del DNA, alla concentrazione dei reagenti, alla qualità del materiale utilizzato, e alle basse condizioni di “stringenza” delle reazioni di amplificazione (la temperatura di annealing generalmente adottata con i primer decamerici è di 37°C). 2. I RAPD sono marcatori dominanti e quindi non discriminano tra individui eterozigoti ed omozigoti: il locus eterozigote per il sito di attacco del primer produce una sola banda come il locus omozigote; anche se il prodotto di amplificazione è teoricamente in quantità minore tuttavia il polimorfismo è di tipo qualitativo, per cui la rilevazione si basa sulla presenza/assenza della banda. 4. TECNICA SSR I marcatori SSR (Simple Sequence Repeat) sono comunemente noti con il nome di microsatelliti. Questa tecnica, come i VNTR, permette di mettere in evidenza i polimorfismi a livello delle sequenze di DNA ripetute. Nel genoma di ogni organismo sono presenti sequenze ripetute molto semplici come (CA)n, (GCC)n, (GATA)n, definite microsatelliti . Esse differiscono dai VNTR in quanto la loro lunghezza è solo di poche basi. I polimorfismi vengono messi in evidenza utilizzando dei primer specifici disegnati in modo da essere complementari alle sequenze fiancheggianti i microsatelliti che risultano essere altamente conservate. Le differenze non riguardano il motivo ripetuto bensì il numero di volte che questo è presente nel segmento di DNA amplificato. I prodotti ottenuti mediante la tecnica della PCR sono sottoposti ad elettroforesi su gel di poliacrilammide in quanto solo questa matrice permette di mettere in evidenza polimorfismi di poche basi (2-5 bp). I microsatelliti risultano essere una tipologia di marcatori molto utilizzata in quanto: a) sono molto abbondanti (in media ogni 50Kb) b) sono estremamente polimorfici c) sono co-dominanti permettendo quindi di distinguere la condizione omozigote da quella eterozigote d) risultano essere facilmente riproducibili all’interno della stessa specie o di specie tassonomicamente molto vicine. ( Un marcatore è detto riproducibile quando, utilizzato su un organismo diverso, può essere riprodotto (amplificato) con gli stessi primer mantenendo lo stesso polimorfismo). Le maggiori difficoltà nella messa a punto degli SSR sono legate al lungo lavoro necessario per l’individuazione dei microsatelliti nel genoma, il loro sequenziamento ed il disegno dei primer da utilizzare; questa metodologia prevede pertanto (almeno all’avvio) alti costi di messa a punto. In ogni caso, hanno trovato ampia applicazione nella costruzione di mappe di linkage, in studi di genetica di popolazione, in analisi di pedigree e fingerprinting ed in programmi di selezione MAS (Marker Assisted Selection). Questa tecnica è da scegliersi quando si voglia descrivere una nuova varietà in fase di domanda di brevetto della stessa. I microsatelliti sono estremamente interessanti non solo per la loro distribuzione lungo tutto il genoma, ma anche per il loro altissimo grado di polimorfismo che corrisponde alla variazione del numero di ripetizioni dei motivi all’interno di diversi individui della stessa specie. Mentre una sequenza di microsatellite non è specifica per un dato locus, le sequenze fiancheggianti lo sono. Oggi, comunque, è possibile automatizzare il test ricorrendo all’uso di sequenziatori automatici. In quest’ultimo caso, l’analisi si articola nelle seguenti fasi: • estrazione del DNA dalle foglie della pianta 13 • • • • amplificazione con la tecnica PCR-multiplex di alcuni microsatelliti elettroforesi capillare dei microsatelliti usando un sequenziatore automatico analisi dei risultati mediante software stesura della ‘carta di identità genetica’ della pianta in esame: di ciascun microsatellite analizzato vengono fornite le esatte lunghezze degli alleli (espresse in numero di basi azotate) rilevati nella pianta. Questi dati identificano la pianta in modo univoco e inequivocabile, tutelando in questo modo il coltivatore della stessa da eventuali frodi. 5. ELETTROFORESI SU GEL DI AGAROSIO AL 3% E’ una tecnica che consente di separare in base alle loro dimensioni (peso molecolare) molecole dotate di carica, facendole migrare su un gel in presenza di un campo elettrico. Il gel può essere immaginato come una rete tridimensionale attraverso le cui maglie migrano le molecole sotto l’azione di un campo elettrico. Il campo elettrico è generato da un apparecchio, detto alimentatore. Per separare molecole di DNA si usano gel di agarosio o di poliacrilamide. Le molecole di DNA sono cariche negativamente per la presenza di gruppi fosfato e migrano dal polo negativo (catodo) verso il polo positivo (anodo). Per un certo intervallo di pesi molecolari, la velocità di migrazione è funzione del loro peso molecolare: tanto più grande è la molecola di DNA, tanto minore è la velocità di migrazione. E, viceversa, tanto più piccola è la molecola di DNA, tanto più velocemente migra. Le molecole di DNA di diversa lunghezza vengono pertanto separate in base alla diversa velocità di migrazione. Per poter determinare la lunghezza delle molecole di DNA in esame separate mediante elettroforesi, vengono “caricati” sul gel anche i cosiddetti marcatori di peso molecolare , ossia una miscela di frammenti di DNA di cui è noto il peso molecolare. Confrontando la posizione dei frammenti a peso molecolare noto con quella dei frammenti di DNA in esame, è possibile calcolarne il peso molecolare, ossia la lunghezza. Dato che il peso molecolare di un frammento di DNA è proporzionale al numero di coppie di nucleotidi (basi) che lo costituiscono, di solito esso viene espresso in paia di basi (bp). La separazione elettroforetica dura circa solitamente 20 min., ma nel caso dei RAPDs almeno tre ore. I frammenti di DNA, essendo incolori, possono essere visualizzati, con particolari sistemi di colorazione. In questa procedura si utilizza il Blue Loading Dye e come intercalante EuroSafe, una molecola che, legando il DNA, lo rende visibile all’UV. Il DNA delle diverse classi di peso molecolare è visibile sotto forma di bande distinte: sono le cosiddette bande di DNA. Alla fine della corsa, le bande si visualizzano esponendo il gel alla luce ultravioletta. PRINCIPIO DI BASE DEL FINGERPRINTING 14 Il termine ‘fingerprinting’ (impronta genetica) viene correntemente utilizzato per indicare l’identificazione e la distinzione di una pianta rispetto alle altre sulla base dei suoi profili del DNA. Lo studio della diversità genetica di specie selvatiche e coltivate attraverso i marcatori molecolari rappresenta un importante capitolo della genetica vegetale moderna. L’uso di questa diversità trova numerose applicazioni nel miglioramento genetico convenzionale e non. Più recentemente, ha trovato impiego nelle strategie innovative di accertamento dell’identità varietale, importante parametro della qualità. Infatti uno dei controlli della qualità delle colture dipende essenzialmente dalla precoce identificazione del materiale vegetale in allevamento o in moltiplicazione per accertarne l’appartenenza alla varietà dichiarata. Il fingerprinting del DNA consente di monitorare la variabilità genetica presente a livello dell’acido nucleico attraverso l’uso di uno o più marcatori che caratterizzano il genoma ed identificano genotipi diversi anche se molto vicini. Esso rappresenta un sistema efficace di identificazione varietale utilizzabile sulle ortive in semenzaio o sui fruttiferi molto prima della fruttificazione. METODI PER L’IDENTIFICAZIONE VARIETALE 1. ANALISI DEL FENOTIPO I controlli sul fenotipo consistono nel rilevare i caratteri morfologici, fenologici ed agronomici della pianta, il ché viene fatto solitamente compilando le schede pomologiche. Anche se questo tipo di analisi è fondamentale ai fini dell’identificazione varietale, la stessa presenta comunque alcuni limiti. Il fenotipo della pianta può essere infatti fortemente influenzato da numerosi fattori, come lo stato sanitario (es. presenza/assenza di virus), l’ambiente esterno (es. il clima, le tecniche agronomiche di coltivazione, il suolo,...) e i fattori epigenetici (es. fenomeni di ringiovanimento, di inerzia ormonale,...). Inoltre, i rilievi condotti sul fenotipo sono il più delle volte complessi e onerosi, richiedono tempi relativamente lunghi e possono essere eseguiti solo in determinati momenti dell’anno. Solo per fare alcuni esempi: l’epoca di fioritura di una pianta può essere stabilita solo nella stagione primaverile, oppure i caratteri del frutto possono essere rilevati solo una volta superata la fase iniziale improduttiva. Da qui la necessità di affiancare all’analisi del fenotipo, quella del genotipo (fingerprinting), basata essenzialmente sull’analisi del DNA delle piante con tecniche di biologia molecolare quali RFLP, RAPD, microsatelliti e AFLP. 2. ANALISI DEL GENOTIPO La tecnica attualmente usata presso i laboratori per effettuare il test del DNA è quella dei RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA) che ben si presta per le analisi di confronto (controlli di rispondenza, risoluzione casi di sinonimia e omonimia). La Fig. qui sotto riporta a titolo di esempio i profili RAPD ricavati da alcune accessioni di melo. Facciamo l’esempio di un confronto tra due piante, A e B. Analizzando i loro profili del DNA, prodotti ad esempio con la tecnica dei RAPD, i risultati possibili sono di due tipi: Se vengono trovate delle differenze nei profili come di seguito illustrato, allora con certezza si potrà affermare che le due accessioni sono diverse. Al contrario, i profili delle due piante potrebbero risultare uguali, come di seguito illustrato: Ciononostante, in questo caso non sarà possibile affermare con assoluta certezza l’identità delle due piante, perché il test del DNA ha ‘fotografato’ solo una parte del loro genoma, non tutto. L’identità tra 15 A e B può dunque essere solo ipotizzata con una probabilità di commettere un errore tanto più bassa quanto maggiore è il numero dei profili del DNA analizzati e quanto maggiore è la variabilità genetica esistente all’interno della specie cui le due piantine afferiscono. L’analisi del DNA affianca quindi l’analisi del fenotipo nei controlli di rispondenza del materiale vegetale nelle varie fasi della sua propagazione vivaistica: dai repositori, dove viene conservato il materiale di fonte, ai centri di pre-moltiplicazione e di moltiplicazione, fino ai vivai. PERCHE’ SERVE L’ANALISI GENETICA ? L’analisi del DNA è utile per: • verificare se le piantine moltiplicate dal vivaista corrispondono esattamente alla varietà di partenza; consente al vivaista di controllare la corretta etichettatura del materiale moltiplicato, cioè che il nome della pianta moltiplicata sia corretto. • Risolvere le sempre più frequenti controversie commerciali, ovvero i casi di sinonimia e omonimia. E’ già successo infatti che alcuni vivaisti scaltri abbiano moltiplicato sotto falso nome piante e fiori già brevettati da altri. In commercio si possono dunque trovare piantine morfo-fenologicamente molto simili, ma sotto diverso nome varietale. Il test del DNA potrà allora essere usato per mettere a confronto queste accessioni al fine di verificare se si tratti o meno di casi di frode. • Effettuare il ‘fingerprinting’ delle nuove varietà in fase di brevettazione delle stesse. Quando un Costitutore brevetta una nuova varietà, è indubbiamente molto utile descrivere la stessa sia usando le schede pomologiche sia usando il test del DNA. Così, disponendo di una serie di profili del DNA, è come se si fosse prodotto una sorta di ‘carta di identità’ della nuova varietà che permetterà al Costitutore di cautelarsi da eventuali frodi che potranno essere commesse da terzi nei suoi confronti. Concludendo….. Stando a quanto detto finora, l’approccio molecolare è uno strumento molto valido per la certificazione genetica del materiale vegetale moltiplicato in vivaio. Molti sono infatti i vantaggi, di cui si è già parlato, ma restano tuttavia alcuni limiti oltre i quali queste tecniche non possono andare. Esistono, ad esempio, alcune specie vegetali coltivate caratterizzate da una bassissima variabilità genetica. Tra le arboree, il pesco ne è l’esempio eclatante perché la maggior parte delle sue varietà deriva da un comune e lontano progenitore, ‘Chinese Cling’. La base genetica di partenza assai ristretta, l’impiego di poche linee parentali nei programmi di miglioramento genetico e l’autofertilità che caratterizzano questa specie frutticola hanno fatto sì che le varietà di pesco oggi diffuse siano molto simili nel loro patrimonio genetico. Per specie vegetali come questa sarà dunque sempre necessario analizzare un numero assai elevato di profili del DNA qualora si vogliano distinguere con certezza le singole accessioni coltivate. 16 DNA FINGERPRINTING PER L’ACCERTAMENTO DELL’IDENTITÀ GENETICA DELL’ASPARAGO VIOLETTO D’ALBENGA ORIGINE, DIFFUSIONE E IMPORTANZA ECONOMICA Dalla sua area di origine, la Mesopotamia, l’asparago si diffonde in epoca antica, come pianta officinale più che alimentare, prima in Grecia, da qui presso i Romani, poi in tutta Europa ed oggi è largamente coltivato in tutto il mondo. I Greci prima e poi i Romani importarono e fecero proprie le tecniche di coltivazione dell’asparago dai paesi dell’est, da cui presero l’antico termine iraniano “sparega”, che significa punta, dentello; diventato poi rispettivamente in greco e latino “aspargos” e “asparagus”. Una delle prime dettagliate guide su come coltivare l’asparago risale a circa il 65 A.C. ad opera del Romano Columella. I Romani diffusero la coltura dell’asparago in tutto il loro impero in Europa; ci sono anche evidenze che dimostrano come semi di asparago siano stati trasportati dai crociati dai paesi Arabi alla valle del Reno nel 1212. In tutta Europa, eccetto che in Spagna, il declino dell’impero romano portò anche ad un declino della sua coltivazione che è stata quindi confinata in alcuni feudi o all’interno dei giardini di vari monasteri, ma solo come pianta medicinale; solo nel Rinascimento l’asparago è stato riscoperto come un ortaggio di valore. La coltura dell’asparago nel Savonese è attestata fin dai primi anni del XIX secolo da Gilbert Chabrol de Volvic, il prefetto inviato da Napoleone a Savona nel 1806 per organizzare il dipartimento di Montenotte, una delle tre circoscrizioni dell’ex Repubblica di Genova, annessa alla Francia nel 1805. Il fascicolo provinciale di Savona del catasto agrario, che riporta superfici e produzioni medie rilevate negli anni 1923-29, citando anche il prof. Allegri, allora titolare della locale Cattedra ambulante di agricoltura, recita: “Nella piana albenganese si producono a profusione le più squisite primizie orticole e gli ortaggi di grande coltura che alimentano i principali mercati dell’Italia settentrionale…”. Complessivamente la produzione provinciale di asparagi somma mediamente in quegli anni oltre 7.720 tonnellate. Da una relazione della Società Anonima Cooperativa l’Ortofrutticola di Albenga, datata 6 marzo 1944, si apprende che gli asparagi di Albenga “… a causa della contrazione dei prezzi ufficiali la coltura degli asparagi è molto diminuita nella ns/ provincia con grave danno della economia agricola, nonché con grave danno per il futuro probabile lavoro di esportazione sui mercati francesi quando le condizioni saranno ritornate normali.” Nel 1964 la coltura dell’asparago occupa in provincia di Savona, solo più 208 ettari, con una resa media di 12 tonnellate per ettaro, per una produzione totale limitata a circa 2.520 tonnellate. Attualmente la massima parte della produzione di asparago violetto di Albenga, stimata in circa 160 t/anno, è concentrata in non più di quaranta aziende in tutta la provincia di Savona, per la massima parte nell’Albenganese, su una superficie di circa otto ettari. UN PO’ DI BOTANICA DELLA SPECIE Tra le tante specie, alcune sono usate per il valore ornamentale della loro parte aerea (Asparagus plumosus, A. densiflorus, A. virgatus), o per le loro proprietà medicinali (A. racemosus, A. verticillatus, A. adscendens), ma una di loro, in particolare (A. officinalis), è utilizzata per l’alimentazione. Recenti studi molecolari hanno rivelato nuovi aspetti nelle relazioni filogenetiche delle specie appartenenti al genere Asparagus, portando all’ipotesi che le specie euroasiatiche si siano originate da un comune progenitore di origine Sud Africana. L’Asparago coltivato appartiene alla famiglia delle Liliacee: Classe: Liliopsida Ordine: Asparagales Fam.: Liliaceae Gen.: Asparagus Sp.: officinalis In passato esistevano popolazioni di Violetto d’Albenga diverse per intensità della colorazione e diametro dei turioni; purtroppo molte di esse attualmente sono irrimediabilmente perdute a causa della drastica riduzione del numero degli asparagicoltori. Dal punto di vista sistematico la varietà Violetto d’Albenga appartiene alla specie Asparagus officinalis L.; essendo però tetraploide (4n = 40 cromosomi) l’incrocio con le normali varietà diploidi origina progenie triploidi praticamente sterili. 17 Oltre che per il genoma tetraploide, l’asparago Violetto d’Albenga si caratterizza per i turioni di colore viola intenso uniforme, calibro elevato, scarsissimo contenuto in fibra, gusto leggermente dolce e delicato, apice molto chiuso, brattee grandi, particolarmente aderenti; emissione relativamente tardiva in primavera. Viene coltivato per raccogliere i giovani germogli commestibili (turioni). Le varietà commerciale è diploide (2n = 20 cromosomi) e dioica; questo significa che le piante sono distinte in femminili (differenziano solo carpelli femminili che evolvono in bacche contenenti semi) e maschili (i fiori producono solo polline). I moderni ibridi sono generalmente maschili. La pianta dell’asparago è formata da una porzione ipogea e da una epigea e dal punto di vista agronomico nel ciclo biologico dell’asparago si possono distinguere una fase di assimilazione, nel periodo estivo, espletata dalla parte aerea della pianta, una successiva fase di accumulo dei materiali elaborati nel rizoma ed infine il consumo di questi materiali per la produzione di gemme e quindi dei turioni. La porzione ipogea è il turione: verso la fine dell’inverno, con il conseguente aumento della temperatura, dalle gemme carnose si sviluppa il turione che è però soltanto un primo stadio di sviluppo dello stelo nella pianta. La crescita dei turioni è in parte sotterranea e in parte aerea; la diversità di colorazione (bianchi, rosati, violetti e verdi) dipende soprattutto dal loro periodo di crescita e quindi dal momento della loro raccolta (che può avvenire prima che spuntino dal terreno, appena spuntati o quando hanno già raggiunto una certa altezza). È perciò il sistema di coltura più che la varietà a determinare le caratteristiche (in particolare la colorazione ma non solo) del turione. La colorazione del turione è strettamente collegata alla presenza di clorofilla, quindi all’esposizione al sole e alla luce. I turioni sono bianchi e tozzi per il periodo in cui rimangono sotto terra, per divenire rosati appena spunta l’apice, poi violetti ed infine verdi, mutando perfino la forma e divenendo più cilindrici ed affusolati. Il procedere dello sviluppo non si limita ad inverdire il turione, ma ne indurisce anche i tessuti a causa dell’esposizione al sole che favorisce l’accumulo della clorofilla e l’aumento della cellulosa, caratterizzando l’asparago con un sapore amarognolo dovuto alla decomposizione dell’asparagina. La crescita del turione è influenzata dall’umidità, dalla pressione radicale, dalla respirazione intracellulare e dalla temperatura. L’accrescimento inizia quando la temperatura esterna media si aggira sui 10-12°C; più veloce è la crescita dell’asparago più il suo sapore si rivela tenero e delicato, mentre se la crescita è stentata diventa amarognolo. La velocità di sviluppo e la lunghezza raggiunta dal turione prima che inizi la ramificazione è direttamente proporzionale all’andamento della temperatura. La temperatura minima per la crescita dell’asparago è di 10°C circa, mentre quella ottimale si aggira sui 15-30°C, la massima invece è di 32°C. Se i turioni non venissero raccolti il loro sviluppo continuerebbe, dando origine alle parti aeree della pianta, le asparagine. Caratteristiche fenotipiche: I caratteri distintivi dell'asparago violetto di Albenga sono rappresentati dal colore viola del turione, dalla dimensione medio-grossa, dal sapore più delicato rispetto alle razze comuni e dal vigore della pianta. Caratteristiche genotipiche: E’ l’ unica varietà mondiale con genoma tetraploide (a livello genetico vuol dire che le sue caratteristiche rimangono costanti con qualsiasi incrocio). Questi sono comunque caratteri influenzati fortemente dalle tecniche di coltivazione e dalla natura del terreno sia che vengano a mutare le condizioni ecologiche più propizie, sia che non si provveda alla sistematica selezione delle piante madri e quindi del seme. La maturazione è di tipo scalare, cioè non contemporanea. Si esegue comunque una coltivazione di tipo primaverile - precoce, con periodo di raccolta relativamente breve e una coltivazione media e tardiva, la cui raccolta si prolunga per diversi giorni. È in realtà un asparago bianco che riesce a fuoriuscire dal suo sito e, vedendo la luce e quindi attuando la fotosintesi, acquista un colore lilla abbastanza uniforme. Ha un sapore molto fruttato, con un delicato retrogusto amarognolo. 18 La zona di produzione è la piana e le alture pianeggianti dell’albenganese dove i terreni alluvionali sono perfetti grazie al profondo strato sabbioso e limoso e al microclima. La coltivazione del Violetto è completamente manuale e la raccolta avviene da metà marzo ai primi di giugno. E’ una varietà unica al mondo, tipica del nostro territorio. Inutili i tentativi di brevetto in California e di coltivazione in Nuova Zelanda, in Australia e negli Stati Uniti. Nel mondo sono stati costituite altre varietà/ibridi di colore viola, pertanto nonostante la sua tipicità, il Violetto d’Albenga ed il suo fingerprinting va studiato per consentire la distinzione tra tale varietà ed altre di minor pregio. La varietà di asparago Violetto d’Albenga è stata selezionata e conservata per molte generazioni dagli asparagicoltori albenganesi attraverso una metodologia ancora oggi in uso. In asparagiaie di almeno cinque anni, all’inizio del periodo produttivo sono individuate le piante (10-20 per 1000 m2) che producono i turioni con le caratteristiche desiderate: calibro grosso, numero possibilmente elevato e colore viola intenso. Le piante selezionate, di cui alcune sono femminili ed altre maschili, e che fioriscono in un periodo anticipato rispetto a quelle da cui i turioni vengono raccolti, si inter-incrociano ad opera di insetti impollinatori. Poiché tutti gli agricoltori adottano criteri selettivi simili, la fecondazione con polline esterno all’azienda, non pregiudica l’obiettivo della selezione, anzi evita l’eccessiva consanguineità, negativa ai fini produttivi. L’agricoltore, per i nuovi impianti utilizza esclusivamente il seme raccolto dalle proprie piante, ottenendo, dopo alcuni cicli, la propria popolazione di Violetto d’Albenga. Come già detto, l’incrocio tra l’asparago violetto - con genoma tatraploide - con le normali varietà diploidi origina progenie triploidi praticamente sterili. Progenie pienamente fertili si ottengono invece dall’incrocio con la specie tetraploide A. scaber Brign. sinonimo di A. maritimus Miller e di A. amarus De Candolle, spontaneo in diversi litorali del Mediterraneo e coltivato sul litorale del Cavallino in provincia di Venezia; la varietà è denominata Montina. In Europa una varietà tradizionale di asparago con turioni tendenzialmente viola, che deriva sicuramente da ibridazione tra A. officinalis ed A. scaber è “Morado de Huétor”, coltivato nell’omonima località dell’Andalusia in Spagna. Anche in questo caso la distinzione genetica (fingerprinting) dal Violetto d’Albenga è possibile e va perseguita per fini commerciali sia dai produttori italiani che spagnoli. Anche la varietà Violetto d’Albenga potrebbe quindi derivare da ibridazione tra le due specie avvenuta probabilmente nel XVII secolo. Il lungo periodo di selezione, seguendo i criteri prima descritti, avrebbe permesso di eliminare i caratteri genetici indesiderati (es. gusto amarognolo, diametro piccolo dei turioni) e fissare quelli che oggi la caratterizzano, compreso il numero tetraploide di cromosomi. Come per altre produzioni tipiche locali, il futuro della coltura dell’asparago Violetto d’Albenga è legato alla capacità di far conoscere ed apprezzare le qualità peculiari del prodotto. Si può ragionevolmente prevedere che la registrazione dell’Indicazione Geografica Protetta per l’asparago Violetto d’Albenga, possa portare ad un raddoppio del consumo, stimato attualmente in 160 tonnellate, rendendo la coltura stessa economicamente conveniente e competitiva nei confronti delle colture concorrenti sul territorio della zona tipica di produzione. 19 BIOINFORMATICA Premessa Le Banche dati biologiche Una banca dati biologica è una raccolta di informazioni e dati derivanti dalla letteratura e da analisi effettuate sia in laboratorio (in vitro e in vivo) sia mediante strumenti bioinformatici (analisi detta in silico). Ciascuna banca dati è organizzata attorno ad un elemento centrale (nelle banche dati di sequenze nucleotidiche ad esempio questo elemento è rappresentato dalle sequenze di DNA o di RNA). Attorno all’elemento centrale viene costruita la “entry” della banca dati, che comprende tutte le annotazioni utili a classificare (ad esempio, il nome della sequenza, la specie di appartenenza, ecc) e a caratterizzare (ad esempio, la funzione della sequenza, le referenze bibliografiche ecc.) l’elemento stesso. Le informazioni contenute nelle voci di una banca dati vengono in genere scritte sotto forma di “flat file” ovvero file di testo nei quali le informazioni sono scritte in maniera sequenziale in linee identificate da un codice a sinistra che caratterizza gli attributi contenuti nella linea stessa. Il formato flat file è molto utilizzato perchè analizzabile mediante programmi per estrarre dalla banca dati informazioni biologiche specifiche. La diffusione di internet ha portato all’inserimento nelle voci delle banche dati di riferimenti crociati mediante hypertext link che consentono di navigare fra le diverse banche dati in un sistema integrato di informazioni. Le banche di acidi nucleici (DNA e RNA) vengono spesso definite di primo livello in quanto contengono solo informazioni molto generiche associate alla sequenza, necessarie per identificarla dal punto di vista specie-funzione. Le principali banche di acidi nucleici sono tre: EMBL datalibrary (Europa) GenBank (USA) DDBJ (Giappone) Fra le tre banche dati è stato stipulato un accordo internazionale per cui il contenuto dei dati di sequenza presenti è quasi del tutto coincidente e le informazioni vengono scambiate fra le tre banche dati giornalmente. Qualsiasi ricercatore può depositare (attraverso un apposito sistema on line di invio dei dati) le proprie sequenze, che, dopo essere state controllate, vengono inserite nella banca dati. Le banche dati di secondo livello svolgono la funzione di integrare le informazioni contenute in diverse banche dati rendendo ancora più veloce l’accesso alle informazioni. Esistono banche dati specializzate, che raccolgono informazioni specifiche (ad esempio banche dati di enzimi di restrizione, banche dati di sequenze di regolazione dei promotori, banche dati di mutazioni ecc.). Alcune di queste possono essere estremamente specializzate (ad esempio una banca dati che raccolga le informazioni su uno specifico gene), altre invece contengono informazioni più ampie (ad esempio banche dati di strutture tridimensionali, banche dati di motivi e domini proteici). Alcune banche dati biologiche sono: http://www.ncbi.nlm.nih.gov NCBI (National Biotechnology Institute, NIH) ha creato un database pubblico e ha sviluppato software per analizzare i dati del genoma. http://www.ensembl.org Ensembl (il nome ricorda la parola francese “ensemble” e al contempo “EMBL” European Molecular Biology Laboratory) è un database nato dalla collaborazione dell’ EMBL – European Bioinformatics 20 Institute (EBI) e il Wellcome Trust Sanger Institute (WTSI) per sviluppare un sistema di software che produce e gestisce in modo automatico le annotazioni su alcuni genomi eucariotici. http://www.expasy.org/sprot/sprot-top.html Swiss Prot è un database di sequenze proteiche che contiene un gran numero di annotazioni (come la descrizione della funzione di una proteina, I suoi domini, le modificazioni post-trascrizionali, le varianti,….), un livello molto basso di ridondanza e un alto livello di integrazione con gli altri databese biologici. http://smart.embl-heidelberg.de/ SMART (Simple Modular Architecture Research Tool) è basato sul principio che le proteine in natura sono modulari, per esempio contengono moduli funzionali (I domini) che sono rintracciabili perchè si conservano evolutivamente. SMART permette di identificare I domini proteici e di analizzarne la struttura; sono stati classificati più di 500 famiglie di domini coinvolti in fattori di trascrizione, proteine associate alla cromatina o extracellulari. Tutti questi domini sono annotati rispettando la distribuzione filogenetica, la classe funzionale, la struttura terziaria e i residui funzionali più importanti http://genome.ucsc.edu/cgi-bin/hgBlat?db=mm2 BLAT (BLAST-Like Alignment Tool), è un algoritmo ottimizzato per confrontare sequenze di cDNA (senza introni) con sequenze genomiche (che contengono introni). BLAT on DNA è utile per trovare velocemente sequenze simili per più del 95% della loro lunghezza. http://arbl.cvmbs.colostate.edu/molkit/translate/index.html Questo strumento permette di inserire sequenze di acidi (i cDNA o mRNA) per ottenere tutte le possibili forme di traduzione in sequenze amminoacidiche. Sistemi di interrogazione delle banche dati biologiche La consultazione e l’analisi delle informazioni contenute nelle banche dati si realizza attraverso la disponibilità di sistemi informatici avanzati disegnati per la ricerca e l’estrazione dei dati. I più conosciuti fra questi strumenti sono SRS (banca dati europea) e Entrez (banca dati americana). Esistono differenze sostanziali nell’uso dei due sistemi; per es. il numero di sequenze che si ottengono attraverso i due sistemi è diverso a causa di un diverso aggiornamento delle banche dati utilizzate dai due sistemi di interrogazione. L’interrogazione di una banca dati può essere effettuata in maniera molto semplice mediante l’utilizzo di una finestra di ricerca in cui si immette un testo (similmente a quanto si effettua con i motori di ricerca) oppure compilando apposite form (schede) organizzate secondo la struttura dei dati su cui si intende effettuare la ricerca. ALLINEAMENTI DI SEQUENZE Gli acidi nucleici e le proteine sono costituiti, rispettivamente, da catene polimeriche di nucleotidi (4 possibili A, C, G e T) e di amminoacidi (20 possibili). Gli amminoacidi possono essere rappresentati con una nomenclatura a una lettera o con una nomenclatura a tre lettere che corrispondono alle prime tre lettere del loro nome esteso (Tab.1). Tab. 1: nomenclatura a 3 lettere e a 1 lettera dei venti amminoacidi esistenti Queste macromolecole sono quindi in genere rappresentate come sequenze di lettere dove ogni lettera rappresenta un residuo diverso. Le risultanti stringhe di caratteri possono essere facilmente analizzate utilizzando metodi informatici che consentono, ad esempio, di identificare delle specifiche sequenze o di effettuare allineamenti fra sequenze diverse. 21 L’allineamento di sequenze nucleotidiche o amminoacidiche di una stessa specie o di specie diverse (anche molto distanti filogeneticamente) consente di mettere in luce l’esistenza di similarità di sequenza, che vengono “misurate” in base alla percentuale di identità fra le due (o più) sequenze allineate. La percentuale di identità non è altro che la frazione di residui identici in posizioni corrispondenti sul totale dei residui delle sequenze allineate. Ad esempio volendo allineare le due parole CANCELLO e PANNELLO CANCELLO :: :::: PANNELLO riscontreremo una percentuale di identità pari a 6/8 x 100 = 75% Allineando le due parole PANNELLO e PENNELLO PANNELLO : :::::: PENNELLO riscontreremo una percentuale di identità pari a 7/8 x 100 = 87,5% I metodi di allineamento delle sequenze nucleotidiche e amminoacidiche si distinguono essenzialmente in due tipi: • allineamenti globali • allineamenti locali Dal confronto di due o più sequenze si possono quindi ricavare più allineamenti locali significativi, anche parzialmente sovrapposti fra di loro. Esempio: nell'allineamento delle due sequenze amminoacidiche sotto riportate l’inserimento di gap in una delle due sequenze porta a una sovrapposizione più significativa TACSTWGCTAGTCTWSTGTAGTC : : : : : : : : : : : CCGTACSTWGCWSCTCTTGTC TACSTWGCTAGTCTWSTGTAGTC ::::: : : : : :::: 11 sovrapposizioni ::: TACSTWGC------ WSTGT-GTC 16 sovrapposizioni con gap L’inserimento di gap è un’esigenza irrinunciabile in quanto nel corso dell’evoluzione si possono avere processi di inserzione e/o delezione che comportano una diversa lunghezza di sequenze omologhe. Si possono inserire gap in entrambe le sequenze: allineando le due sequenze originali sottoriportate si contano 10 appaiamenti esatti. IPLMTRWDQE QESDFGHKLP IYTREWCTRG |||||||||| CHKIPLMTRWDQ QESDFGHKLP VIYTREW Inserimento di 1 gap per sequenza si contano 25 appaiamenti esatti. IPLMTRWDQEQESDFGHKLP-IYTREWCTRG ||||||||| |||||||||| |||||| CHKIPLMTRWDQ-QESDFGHKLPVIYTREW A cosa servono gli allineamenti di sequenza ? Gli scopi per cui è utile analizzare la similarità fra due sequenze nucleotidiche o amminoacidiche sono molteplici: 1) identificazione di regioni conservate: sequenze di regolazione dell’espressione genica (ad esempio elementi regolatori a funzione nota nei promotori); motivi funzionali nelle proteine (ad esempio il motivo legante gli ioni calcio); 2) attribuzione di una funzione, identificazione di un nuovo gene/proteina; 3) homology modeling, ovvero elaborazione di una struttura tridimensionale per una proteina in base alla 22 omologia con proteine di cui sia già stata determinata la struttura 3D; 4) classificazione dei geni in famiglie ed identificazione di nuovi membri di famiglie multigeniche; 5) studi di filogenesi molecolare, per ricostruire le relazioni evolutive fra le specie; 6) studi di tassonomia molecolare (ad esempio classificazione tassonomica degli organismi in base alle sequenze degli rRNA); 7) studi di genetica di popolazione (migrazioni delle popolazioni umane, relazioni fra le razze umane); 8) identificazione di mutazioni mediante confronto fra la sequenza mutata e la sequenza di riferimento wild type. FINGERPRINTING DEL DNA DELL’ASPARAGO VIOLETTO DI ALBENGA Andiamo sul sito dell’NCBI. Cerchiamo su “Genome” e scriviamo Asparagus officinalis. Si apre la pagina con le informazioni sul genoma dell’asparago. In questo itinerario cercheremo i marcatori utilizzati per la caratterizzazione molecolare dell’asparago violetto d’Albenga, i microsatelliti. Non sono ancora pubbicati e reperibili nel database dei microsatellite. Quindi partiamo da una pubblicazione nella quale troviamo i codici dei microsatelliti. (EST–SSR markers for asparagus genetic diversity evaluation and cultivar identification. Marco Caruso Æ Claire T. Federici Æ Mikeal L. Roose, Mol Breeding) Li troviamo indirettamente, in quanto non ancora inseriti nei database. Conoscendo il codice col quale sono stati classificati in una recente pubblicazione scientifica si risale alla loro posizione nel genoma. 1. Il genoma dell’Asparagus officinalis 2. Ricerca dei microsatelliti. Andiamo su EST e riportiamo una sequenza di quelle sotto trascritte SSR#u%lizza%#in#Asparagus(( Nome%% Forward%primer%(5’03’)%% % % Reverse%Primer%(5’03’)%% % Repeat%% Amplificati% Caruso'et'al.'2008'–'Molecular'Breed.'21:1958204' EST8SSR'A.'officinalis' TC1$$$ AGGTGGAGAACAAATGGCTG$$ $ CGAGCTCAATTGAAATCCATAA$$ (TC)12$ $ +$ AAT1$$ CTTTTGCTTCTGAACGCTCC$$ $ TTGAAGGAGCCGTAAACTGG$$ (AAT)9$$ $ ,$ AG3$$ TCCACCCCACAAAAAGAAAG$$ $ AGAAGTTGACGCCGTTGTCT$$ (AG)10$$ $ +$ TC3$$ CACCATTTCAAATCCCCACT$$ $ GAGGCTAGAGCTCCGCTCAT$$ (AG)13$$ $ +$ AG5$$ GATTAATAAAGCGCCGCTGA$$ $ ACATAAGCCCATACTTGCGG$$ (TC)18$$ $ +$ AG6$$ TCATCTGAAATGGCATCAGC$$ $ CGAGGCCTAGTGTGTGTTGA$$ (GA)9$$ $ ,$ Aceto'et'al.'2003'–'Molec.'Ecol.'Notes'3:2428243'' SSR'A.'acutifolius' AA01$$ GAGCGGAGAGGGTGTCCTCGACGC$$$ GACGGATAAGAGTTTGACCGTACC$ (GA)10$$ $ +$ AA02$$ CCGTGAGGAAAGCTTGAAGA$$ $ CTCTCCCTTGTCCTCATTGC$$ (GA)8$$ $ ,$ AA03$$ CGTGGATTAGCTGGCAGCTTGGCA$$ $ CTCGTCGCCTTCATCTCGTCGACT$$ (GA)8$$ $ +$ AA04$$ GAGGTCAACAAACGGCAAAT$$ $ TTGCTATTTGTGCTCGTCGT$$ (AAC)13$$ ,$ AA05$$ TCATCCTCATCGTCATTTCCTTCAC$$ $ GCCCACTCTCTAACTCAAATCAAG$$ (GA)13(T)(GA)8$$ ,$ AA06$$ TGTGGAGTATGCCAATGAGTAGC$$ $ TTGCGTGTAGTCCTCTGATCG$$ (AAC)7(AAC)3$ ,$ AA07$$ ACGGTATTTGATGGGAGAG$$ $ TGTCAATGTAGCCTCTGCA$$ (CT)35$$ $ ,$ Fischer'e'Bachmann'2000'–'Theor.'Appl.'Genet.'101:1538164' 'SSR'Allium'cepa' AMS01$$ TCTTCCTATAATCTTCTCCTTTTGA$ $ TTCTAACACTTTTGTGCACTCAA$ (TGTA)5$(TG)9$$ ,$ AMS02$$ GCATTAACTATCTAAAACATTG$$ $ CCATCAACTCATAACAGGT$$ (CCACA)2(CA)2$ +$ AMS03$$ TAACCCTAGGATGAGTTGAG$ $ GGATTTCCTCTTGAGATGA$$ (GT)21$ $ +$ $ IL 1° SSR è classificato come CV291193.1 REPEAT (TC)12. Nella pagina è pubblicata la sequenza del filamento complementare, quindi la sequenza ripetuta sarà (GA) SEQUENCE GGGCGAGCTCAATTGAAATCCATAAAGACAGACACATCAACAAATCACCTATATCCGAGT GAGAGAGAGAGAGAGAGAGAGAGAACACCATGATATATAATTTTAGGGTCTGCTTTTAGC ATGCTTCAAGCTGTTGGGGTTGCCTCTGGCTTTTCGGTATCCATAGATTCAGCGGCAGGT 23 GGCTGGGTGCCTTGCGCAGTTTCTTCAGCCATTTGTTCTCCACCTTCTTGCTCTTGTTGA GATTGCTGCTCAGCCGGTTGTGGTTGAGGAGGGGACTCAGTTGGCGGAGGTGTCTGAGGC TTGGCAGGTGCAGGTCTAGGCTTGGTCATTATTGGCCTGCAGAACCTGTCCAGTGCCTCA GCCTTTCTCTTGATATCAGCCGAAAAAAGAGCAGGAGTGGCATGTTTTGGTAAGCCATCC TGCTGCTGCTTTTTCTCCCTTAGCCATGCTTCAGCTTCCCCACACTCATTGACAACCTTC TGCTTTTCTGCCAAATCAATGTGGTCAAATTTCGCATCTTTAGATAGTGCTGCCTCTCTA TAACTGTTGATACAGTAGTTAAGTTGATTACTAGCTGGTTCTCTCTCCGTCCACTCCTTA TAACGCTCCTCAATAGGATCACCTTGCTTTTTGAGCTCGTCAAGCTTCGCAATATAGACA CCCTTTGTCTCATCCTCACCATCTTCATACAGCCAATCCTCAACCTCCTGAAGTTTTGCA ATCAACTCATCCTTTTCACCAGCCGTTACAAATTCCTCATACTTGTCATGAAGCTTGTTG CGCATGTCATAGACGTACGCCTCCACAGCATTCTTCTTGTCTTTGGTTTCTTCCATAACC CGGTCTTGTAGAGCCATTTCAAATTCCTTCTNCACAGCTTTCTGCAAATCTGCAGTCGCC AGGCCTCCATAAACTA Cerchiamo il 3° SSR: è CV290795.1 REPEAT (AGA)11 SEQUENCE GGCTTAGTTGGTCAAGCAGCCCCTAAAATGAAGGGAAAAATTTCTCGATCTCTTGCAGCA AAGACTGCGCTAGCCATCCGATACGATGCTCTTGGCGATGGCCAAGACAACTCTATGGGT CTTGAGAATCGAGCCAAGCTTGAAGCTCGTTTGAGGGTTCTTGAGGGTAGAGAATTAAGC AAGTCTGCTGGATCTGTGAAAGGAAAGCCTAAGATTGAAGTGTATGACAAAGATAGAAAG AAGGGTGCCGGTGCTTTGATTACTGCTGCAAAGAGTTACAATCCTTCATCTGATTTAGTA TTGGGAAGGGCTACAGAGCAAGATATCGAGATGCTGACTAATGGACAAGAATCAGTAGCT TCGAAAAAGAGGAAGCACGAGGAAGAAGAGGCTACTGAGGCTCAAGAGAGGGTCGATGAA GATGGAGAGAAGAAGAAGAAGAAGAAGAAGAAGAAGAAGACTGAGGTAGAGAATGGCAAT GCGCAAGATGATGATCAAGTTGCCGAAGCTAAAGAAGTGAAGGAAGAGGAGAGGGAAAAG AAGAAGAAGAAAAAGAAGGCAGAAGCTGAAGAGGCAGAACAAGTTGAAGAGCCAAGCAAG GAAAAGAAGAAGAAGAAAAAGAAGGCAGAAGCTGAAGAGGCAGAACAAATTGAAGAGCCA AGCAAGAAAGACGAGAAGAAGAAGAAACATGCAGAAGAAGAAGAAGCTCAAGCTGGAACA GAGAGCAAGAAGAAGGACAAGAAAAAGAAGAGAAGTGAATGATGATGGTAATGTAAGGGA AGAAGCGGTTGTTGTGTTATTTGCGTGCGTGAGCAAGCCAAAATGTGTTGCTGATGC Da queste pagine si può andare al programma per disegnare i primer. 24 PROTOCOLLO DI LABORATORIO 1. ESTRAZIONE DEL DNA L’estrazione del DNA per le analisi molecolari si può effettuare utilizzando semi o foglie giovani conservate a –80°C. Il DNA è stato isolato a partire da 2 g di materiale vegetale che è stato triturato e ridotto in polvere in azoto liquido, all’ interno di un mortaio, con l’ aiuto di un pestello. GENELUTE PLANT GENOMIC DNA KIT Preparazione della colonnina: Aggiungere 500 µl. di sol. di preparazione della colonnina con il filtro rosso. Centrifugare a 12.000 x g per 1 min. Buttare via il liquido. 1. A 100 mg. di macinato aggiungere: 350 µl. Lysis Sol A + 50 µl. Lysis Sol.B. Vortexare e invertire la provetta per mescolare bene. 2. Incubare a 65°C per 10 min. 3. Aggiungere 130 µl. di Sol. di Precipitazione. Mescolare bene invertendo la provetta. 4. Incubare in ghiaccio per 5 min. 5. Lasciare che si formi il pellet centrifugando per 5 min. 6. Trasferire il sopranatante nella provetta con la colonnina blu 7. Centrifugare a 13.000 x g per 1 min. 8. Aggiungere 700 µl. di Binding buffer al filtrato. Agitare bene 9. Trasferire 700 µl. della miscela nella colonnina 10. Centrifugare a 13.000 x g per 1 min. 11. Buttare via il liquido. 12. Prelevare la parte restante della miscela e trasferirla nella colonnina 13. Centrifugare a 13.000 x g per 1 min. 14. Trasferire la colonnina in una nuova provetta pulita 15. Aggiungere 500 µl. di wash sol. 16. Centrifugare a 13.000 x g per 1 min. 17. Trasferire la colonnina in una nuova provetta pulita 18. Aggiungere di nuovo 500 µl. di wash sol. 19. Centrifugare a 13.000 x g per 3 min. 20. Trasferire la colonnina in una nuova provetta 21. Aggiungere 100 µl. di Elution buffer ( pre-riscaldato a 65°C) 22. Centrifugare a 13.000 x g per 1 min. 23. Aggiungere altri 100 µl. di Elution buffer ( pre-riscadato a 65°C) 2. CHECK DNA Preparare un gel allo 0,8%. Caricare i pozzetti con 50 ng/ µl. (2 µl) di DNA estratto. In un pozzetto caricare il marcatore d’intensità “fago lambda”, 50 ng/ µl . 3. PCR Mix Solution: VOL.TOT = 20 µl Buffer 2 µl MgCl2 0,6 mM ( stock 25 mM) dnTPs 0,2 µl ( stock 2 mM) Taq 0,2 µl (1U) ( stock 5U/ml) Primers 1 µl H2 O 14 µl DNA 2 µl Denat. 94° x 5 min. 95° x 1 min 36° x 1 min 72° x 2 min 35 cicli Ext. 72° x 7 min. Store 4°C 4. ELETTROFORESI Preparare un gel di agarosio al 3%. Caricare i campioni di amplificato nei pozzetti. In un pozzetto mettere il marcatore di 100 bp. Far correre per circa 3 ore per permettere a tutti i frammenti di distendersi. Osservare il gel al transilluminatore. 25 GUIDA PER LO STUDENTE 1. UNITA’ DI MISURA 2. DILUIZIONI Spesso quando si preparano soluzioni in laboratorio è conveniente preparare una soluzione madre o stock più concentrata e diluirla al momento dell'uso. In questo modo non sarà necessario pesare ogni volta la polvere, ma basterà diluire opportunamente lo stock per ottenere la concentrazione voluta. La concentrazione dello stock può essere indicata nel suo valore assoluto (es. 2.5 M) oppure in modo relativo alla concentrazione d'uso, indicando quante volte lo stock è più concentrato della concentrazione d'uso. Ad es. 5X (leggi: "5 per") vuol dire che lo stock è 5 volte più concentrato del necessario. Per arrivare alla concentrazione corretta (1X) si dovrà diluire 5 volte, o 1:5. Questa notazione relativa è particolarmente utile quando si utilizzano soluzioni di più composti per cui non ha senso definire la concentrazione assoluta. Ad esempio, non è possibile definire la molarità per una soluzione come il PBS (Phosphate Buffered Saline), che contiene 137 mM NaCl, 10 mM fosfato e 2.7 mM KCl; si parlerà invece di PBS 1X (concentrazione d'uso) o di PBS 3X, 5X, 10X in caso di soluzioni stock più concentrate. Ovviamente è anche possibile ottenere, ad esempio, una soluzione 0.5X, diluendo 2 volte la soluzione 1X, anche se in questo caso non si potrà più tornare alla soluzione 1X. Ad esempio, se una soluzione viene utilizzata a 1mM e si parte da uno stock 10mM, si può dire che lo stock è 10X, cioè è 10 volte più concentrato. Lo stock andrà quindi diluito 1:10. Questo vuol dire prendere 1 parte della soluzione di partenza per 10 parti di volume finale, ovvero 1 parte di iniziale più 9 di solvente. (NON 1 parte di stock + 10 di solvente!!!). NOTA: Per diluizioni più alte, ad esempio 1:1000 il volume di stock da aggiungere è trascurabile rispetto al volume di soluto, quindi si può approssimare mettendo 1 parte di stock + 1000 di solvente (invece di 1 parte di stock + 999 di solvente). E' anche possibile diluire più volte lo stock per ottenere la soluzione finale. Diluizioni seriali (scalari): sono diluizioni fatte in serie, si parte da una soluzione iniziale e la si diluisce poi da questa si prende una parte e la si diluisce ulteriormente, e così via fino a formare una serie di diluizioni. Ad es. posso fare diluizioni seriali 1:10, 1:5, 1:2... Quando le diluizioni seriali vengono fatte diluendo sempre una parte della soluzione precedente in 2 parti di soluzione totale (1 parte di soluzione + 1 parte di solvente) vengono dette diluizioni al raddoppio. Esempi: diluizione seriale 1:10 26 N° Diluizione 1 Indiluita 2 1:10 preparata facendo una diluizione 1:10 dalla provetta 1 3 1:100 preparata facendo una diluizione 1:10 dalla provetta 2 Una formula comunemente usata in laboratorio è la seguente: con : Vi = volume iniziale Ci = concentrazione iniziale Vf = volume finale Cf = concentrazione finale Vi x Ci = Vf x Cf In questo caso, conoscendo tre dei quattro parametri, è possibile ricavare il quarto. Ad esempio: Vogliamo ottenere 100 ml di una soluzione 50 mM a partire da una soluzione stock 1M. Quanto stock dobbiamo usare? Conosciamo Ci = 1M = 1000 mM, Cf = 50 mM e Vf = 100 ml N.B. è importante utilizzare unità di misura coerenti. Ad esempio si devono esprimere i valori o tutti in L. o tutti in ml. o in µl. Troviamo Vi = Vf x Cf / Ci = 100 x 50 / 1000 = 5 ml Dovremo quindi prendere 5 ml di stock e portarli a 100 ml di volume finale aggiungendo 95 ml di H2O (o dell'opportuno solvente). E' possibile applicare questa formula anche nel caso in cui le concentrazioni siano espresse in altro modo, ad es. X (per), N (normale) o anche %v o %m. 3. SOLUZIONI DA PREPARARE √ TAE BUFFER Il buffer TAE a disposizione per l’elettroforesi è concentrato 50x. Per preparare il gel di Agarosio serve il TAE 1x. Servono 3 L. di TAE 1x per riempire l’apparato e per preparare i gel. Come si prepara la soluzione TAE 1x ? Bisogna fare una diluizione 1:50 60 ml. TAE 50x + 2,94 L. di Acqua distillata √ GEL DI AGAROSIO AL 3% Aggiungere 3 g. di polvere di Agarosio a 100 ml di Buffer TAE 1x in una beuta di vetro pyrex. Sciogliere bene l’Agarosio riscaldando in forno microonde per qualche min., agitando ogni tanto, fino a che la soluzione non risulterà perfettamente trasparente. Far raffreddare un po’ ed aggiungere 5 µl di intercalante. Colare in una “slitta” provvista del pettine, chiusa opportunamente con scotch di carta. Se devi preparare 60 ml. di una soluzione di Agarosio al 0,8%, quanti g. di Agarosio dovrai pesare? √ SOLUZIONE Master MIX per PCR: Vol. TOT = 25 µl Buffer 2,5 Mg ? dnTPs 0,5 (10nm) Forward/Primer Reverse ? H2 O ? Taq polimerasi 0,15 Tot. 23 DNA 2 µl Avendo a disposizione soluzioni stock calcola: - Quanti µl della stock di Mg2+ (50 mM) dovrai prelevare se la [Mg2+] deve essere 1,4 mM in un Vol. finale di 20 µl - Quanto deve essere diluita la stock di F/R [100 pmol/µl] se nella mix devono essere [10 pmol/µl] ? E della soluzione diluita, quanti µl ne devo prendere per un Vol. Tot. di mix di 20 µl ? 4. TEST DI VALUTAZIONE DI CONOSCENZE E COMPETENZE 27 5. GLOSSARIO Allele Annealing Aploide Basi azotate Cellula germinale Cellula somatica Cofattore una delle possibili forme alternative che un gene, localizzato in uno specifico sito cromosomico, può assumere. (appaiamento) formazione di molecole ibride di acidi nucleici basata sulla complementarietà delle basi. I primers si appaiano ai singoli filamenti di DNA dopo la denaturazione. cellula o individuo con una sola copia (n) di ciascun cromosoma molecole contenenti azoto, costituenti il filamento del DNA insieme allo zucchero deossiribosio e al gruppo fosfato. Sono quattro e si classificano in basi puriniche (A e G) e pirimidiniche (T e C) o gamete Cellula aploide (n) deputata alla riproduzione (cellula uovo e spermatozoo) Cellula diploide (2n) destinata alla formazione del corpo (in greco “soma”) di un organismo e contrapposta a quella della linea germinale, deputata alla riproduzione Ione o piccola molecola necessaria ad un enzima per funzionare correttamente, la Taq DNA polimerasi richiede Mg2+. Il Mg2+ è considerato un cofattore. Cromosoma Struttura generalmente allungata, costituita da cromatina, visibile al cellulare e contenente i geni in successione lineare Cromosomi omologhi Coppie di cromosomi di forma generalmente simile, che contengono informazioni per gli stessi caratteri. Portano gli stessi geni, non necessariamente gli stessi alleli. Si appaiano alla meiosi. Denaturazione Il processo di separazione di due filamenti complementari di DNA per rottura dei legami idrogeno tra le basi azotate. La denaturazione in vivo è resa possibile dagli enzimi; nella reazione di PCR (in vitro), la denaturazione avviene per effetto del calore. Diploide Cellula o organismo avente due copie di ciascun cromosoma dell’assetto (2n) abbreviazione di acido deossiribonucleico. DNA Il DNA costituisce il materiale genetico di tutti gli organismi ( ad eccezione di alcuni virus). E’ costituito da due catene polinucleotidiche avvolte a doppia elica DNA Genomico L’intero DNA che si trova all’interno di una cellula DNA polimerasi enzima che sintetizza DNA unendo insieme nucleotidi e usando un singolo filamento di DNA come stampo. DNasi Enzima che degrada il DNA. dNTPs Comunemente usati con l’abbreviazione che indica tutti e 4 Ideossinucleotidi trifosfati (dATP, dTTP, dGTP, dCTP) usati nella sintesi di DNA. Elettroforesi tecnica che consente di separare molecole caricate elettricamente, mediante la migrazione in un campo elettrico Enzima Proteina che catalizza (accelera) una specifica reazione chimica di una via metabolica in un sistema vivente. Ha azione specifica, in quanto riconosce il substrato su cui agire Enzima di restrizione detto anche endonucleasi di restrizione o forbice molecolare; enzima che taglia il DNA a doppia elica (e non quello a singolo filamento!), in corrispondenza di sequenze specifiche dette siti di restrizione Esoni Le regioni codificanti di un mRNA trascritto che si legano insieme e lasciano il nucleo per la traduzione in sequenze proteiche. Eterozigote Organismo o cellula diploide, in cui sono presenti due alleli diversi di uno stesso gene (Aa) Extension Allungamento di un primer per aggiunta di dNTPs (deossinucleotidi trifosfati — dATP, dTTP, dCTP, dGTP) ad opera della DNA polimerasi. La extension avviene con l’appaiamento delle basi e procede in direzione 5’-> 3’. Fenotipo Insieme delle caratteristiche visibili di un organismo, che risultano dall’interazione tra genotipo e ambiente Introne Regione di mRNA trascritto che viene tagliata via durante lo splicing e quindi non è tradotta in proteina Lisi Il processo di rottura della cellula e di rilascio dei suoi costituenti. Nucleotide L’unità fondamentale del DNA o RNA. Consiste di uno zucchero (deossiribosio o ribosio), un fosfato, una base azotata (adenina, citosina, guanina, timina, o uracile). PCR Polymerase chain reaction. Un processo usato per amplificare (sintetizzare) grandi quantità di DNA in provetta a partire da un piccolo campione. Primer Una corta sequenza di nucleotide (16–24 basi) che fornisce una estremità libera alla DNA polimerasi per l’extension. I primers per la PCR sono disegnati (sintetizzati in un laboratorio) per essere complementari a specifiche sequenze vicine alla sequenza di DNA target, in modo da”ancorarsi” al templato e fornire un punto d’inizio per la DNA polimerasi che deve copiare la regione di interesse. Taq DNA polimerasi DNA polimerasi termostabile isolata dal batterio Thermus aquaticus (termoresistente). E’ comunemente usata nella PCR Templato Il DNA che contiene la sequenza da copiare in una reazione di sintesi del DNA. Il DNA a doppio filamento serve come templato per la replicazione di copie di se stesso. Un DNA a singolo filamento, può servire come templato per sintetizzare copie della sua sequenza complementare e non copie di se stesso. 28 microscopio ottico durante la divisione 6. BIBLIOGRAFIA 1. Asparago violetto d’Albenga Andrea Allavena, Enrico Dosoli, Agostino Falavigna 2. EST–SSR markers for asparagus genetic diversity evaluation and cultivar identification -Marco Caruso Æ Claire T. Federici Æ Mikeal L. Roose Mol Breeding 2007 3. Genetic characterization of asparagus doubled haploids collection and wild relatives- Paolo Riccardi,, P. Emilio Casali,Francesco Mercati, Agostino Falavigna,Francesco Sunseri Scientia Horticulturae 2011 4. RAPD and SCAR markers linked to the sex expression locus M in asparagus - Chunxiao Jiang & Kenneth C. Sink Euphytica, 1997 7.STRUMENTAZIONE E MATERIALE A DISPOSIZIONE 8.NORME GENERALI DI SICUREZZA IN LABORATORIO Operazioni preliminari √ per chi ha i capelli lunghi: legarsi i capelli con un elastico √ prima di cominciare a lavorare, lavarsi le mani √ prima di cominciare l’esperimento, lo studente verrà familiarizzato con la strumentazione che dovrà utilizzare, in modo particolare con le micropipette Qui di seguito sono elencate alcune norme elementari di sicurezza, che devono essere tassativamente rispettate: • • • • • • • • • • • • Entrando in laboratorio, individuare le vie di fuga, indicate dalla segnaletica verde. In laboratorio indossare sempre il camice. Non introdurre in laboratorio borse, zaini o altro materiale non necessario. Indossare guanti monouso. I guanti si sfilano rovesciandoli e vanno gettati negli appositi contenitori. I guanti vanno tolti, quando si usino strumenti di qualsiasi natura (telefono, tastiera, strumenti scientifici, maniglie, ecc.). Lavare le mani routinariamente. Lavare sempre le mani prima di lasciare il laboratorio. In laboratorio è vietato mangiare, bere, fumare, portare oggetti alla bocca ed applicare cosmetici. Non pipettare mai con la bocca, ma utilizzare le apposite propipette. Seguire scrupolosamente le indicazioni di sicurezza riportate nei protocolli di esperimento. Decontaminare e pulire sempre, al termine del loro utilizzo, le apparecchiature scientifiche e, al termine della attività, i piani di lavoro. Mettere il materiale disposable (pipette, fiasche ecc.) venuto a contatto con materiale biologico in un sacco apposito, il biobox. Stante i costi elevati dello smaltimento, ridurre il più possibile l’uso del materiale disposable. Segnalare immediatamente al personale docente qualsiasi incidente o la mancanza di materiale di protezione 29 30