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Corriere del Ticino
MARTEDÌ 17 FEBBRAIO 2009
PRIMO PIANO
3
Idee
) L’ARGOMENTO
Una magica saga in sette volumi
venduta in oltre 400 milioni di copie
w Quando terminò la stesura della prima avventura di
Harry Potter, nel 1995, la scrittrice britannica Joanne Rowling era disoccupata e al beneficio dell’assistenza pubblica, oltre ad essere in cura per una forma di depressione. Oggi, con un patrimonio superiore a mezzo miliardo di sterline, è classificata al
12. rango tra le donne più ricche del Regno Unito.
L’idea di raccontare le vicende di un giovane mago
si era affacciata alla sua mente nel 1990, durante
un viaggio in treno da Manchester a Londra.
w Harry Potter è un giovane orfano, di cui viene seguita la formazione nella Scuola di magia di Hogwarts.
Con l’aiuto dei suoi amici Hermione e Ron, il protagonista comprende di portare dentro di sé un potere speciale – di cui reca sin dall’infanzia i segni sulla pelle – e con esso la capacità di fronteggiare
l’oscuro signore Voldemort, il cui piano diabolico è
di assoggettare al suo volere sia il mondo magico
sia quello dei «babbani» (così vengono chiamate le
persone sprovviste di poteri magici). I sette volumi
della saga sono stati pubblicati tra il 1997 e il
2007 e nel corso della prossima estate dovrebbe
giungere nelle sale il sesto film della serie, «Harry
Potter e il principe mezzosangue».
UNIONE DI FORZE Un fotogramma del film «Harry Potter e la pietra filosofale» tratto dal primo romanzo di J.K. Rowling.
(foto archivio CdT)
La filosofia nel mondo di Harry Potter
Quando il pensiero accademico si misura con le opere della cultura popolare
Simone Regazzoni, docente all’Università Cattolica di
Milano, ha dedicato un saggio ai temi nascosti nella saga
del maghetto di Hogwarts; un percorso tra etica, estetica, apertura verso l’altro e rapporto tra bene e male
L’INTERVISTA
’’
) In principio era stato Gregory
House, l’eccentrico medico protagonista di una serie televisiva dal
successo planetario. Ora tocca a
Harry Potter – che, decisamente,
non ha bisogno di presentazioni
– e, dopo, il maghetto creato dalla penna di J. K. Rowling, sarà ancora il turno della televisione e
più precisamente dei naufraghi
precipitati sull’isola di Lost.
Perché Simone Regazzoni, docente all’Università Cattolica di
Milano, ha deciso di lavorare affinché il suo campo di studio, la
filosofia, ci aiuti a comprendere
meglio quali siano i significati
meno evidenti dei racconti che ci
appassionano nella nostra vita
quotidiana; così, nei suoi libri, lo
studioso ha cominciato ad analizzare – tenendo a portata di mano i classici del pensiero occidentale, antico e contemporaneo –
alcuni tra i prodotti di maggiore
successo della cultura popolare.
Regazzoni, la prima domanda che
emerge, davanti a un tipo di lavoro come il suo, è sempre la stessa: esiste
davvero tutta questa profondità di significato, in un’opera «commerciale»
come i libri di Harry Potter o la serie
televisiva Dr. House?
«Assolutamente sì. La filosofia, o
almeno una nuova generazione
di filosofi, dovrebbe mettere da
parte i pregiudizi contro la cultura di massa o pop per cominciare a confrontarsi seriamente con
essa e usarla in modo inedito.
Tanto più che la vecchia opposizione di cultura alta e cultura bassa si è decostruita nel corso del
Novecento: si pensi all’amore del
compositore Luciano Berio per i
Beatles, per fare un esempio».
Quindi?
«Oggi, un filosofo degno di questo
nome dovrebbe muoversi al di là
di queste vecchie opposizioni, se
non a costo di non pensare il proprio tempo. Se un filosofo come
Arthur Danto può scrivere sull’arte di Jeff Koons, non vedo perché
la filosofia non dovrebbe interrogare opere come Dr. House, Lost o
Harry Potter. Sono opere d’arte
che escono dalla cornice dell’ar-
te “canonizzata”, ma che hanno
grande potenza e complessità
narrativa, in grado di produrre effetti di senso di vasta portata nella nostra società. La saga di Harry Potter genera quella che Heidegger chiamava una “messa in
opera della verità” molto più di
quanto non faccia l’ultima provocazione dell’artista di turno celebrato dai mercanti d’aura».
E allora, venendo proprio al suo ultimo libro, a quale «messa in opera della verità» assistiamo nella saga di
Harry Potter?
«Cominciamo dalla magia, visto
che, almeno in apparenza, sembra quanto di più distante ci possa essere dal Logos, cioè dalla ragione che governa la filosofia. In
verità, se si guarda alla storia della filosofia, non è così. Basti pensare a Giordano Bruno, mago e
filosofo. Ma lo stesso Socrate era
definito mago da Platone, per non
parlare dei maghi-filosofi del Rinascimento».
E i romanzi della Rowling come si collegano a questa dimensione magica
della filosofia?
«Attraverso la magia, che non è
altro che il potere di fare cose
con le parole – la magia non funziona senza la giusta formula
magica –, la saga di Harry Potter
non fa l’elogio dell’irrazionalità,
ma ci mostra all’opera la verità
stessa del linguaggio. Siamo abituati a pensare che le parole dicano le cose».
E invece?
«In realtà, come il filosofo Austin ha mostrato parlando di “atti linguistici”, le parole fanno le
cose, producono degli effetti, delle trasformazioni. E più radicalmente: aprono mondi. Ecco una
verità con cui si misura la saga
in termini molto profondi e articolati, mostrando come la formazione dei giovani maghi sia
una formazione che passa attraverso l’educazione a un uso responsabile e consapevole di
quello strumento magico, magnifico e pericolosissimo, che è
il linguaggio. Ma non c’è solo
questo in Harry Potter».
Mi spieghi.
«C’è anche una profonda riflessione sull’etica intesa non come
semplice zelo, come cieca obbedienza a regole, ma come coraggio della decisione responsabile:
che risponde dell’altro e all’altro,
in nome di una giustizia che non
coincide con la mera legge, costi
quel che costi. Più in generale si
può dire, contro coloro che come
Piergiorgio Odifreddi hanno definito Harry Potter “diseducativo
per la razionalità”, che la saga ci
mostra la verità di una ragione
aperta, anti-dogmatica, che non
ha paura di confrontarsi anche
con la parte irrazionale che la abita, che sa vegliare anche sulla propria follia, una ragione a venire
che ci spinge a coltivare la nostra
legittima stranezza, cioè la nostra
singolarità».
Più in generale, ora, la filosofia è da
tempo alle prese con il problema di
trovare il suo posto, nel mondo di oggi: con la smisurata mole di saperi
strumentali a nostra immediata disposizione, è ancora sensata l’ambizione di una forma di sapere che si
propone come guida per la nostra esistenza quotidiana?
«Di fronte al problema della propria collocazione e del proprio
ruolo la filosofia, che si sente minacciata da altri saperi, è tentata di chiudersi nella cittadella accademica, secondo una strategia di professionalizzazione e
specializzazione del proprio sapere. Ma così è destinata a soccombere come filosofia, cioè come quella forma specialissima
di sapere aperto all’interrogazione radicale e alle più diverse forme di scrittura».
Esiste una via d’uscita?
«Credo che la filosofia debba
uscire fuori da questa sorta di rassicurante prigione, e con nuove
vesti. Il pensatore americano
Stanley Cavell ha parlato di nuove vesti più democratiche della
filosofia intesa come “scrittura fra
le scritture” e credo abbia ragione. La filosofia deve trovare nuovi modi e nuove strategie per circolare con le sue disturbanti questioni nello spazio pubblico, preoccupandosi della nostra esistenza in tutte le sue forme».
Nell’introduzione al suo volume su
Harry Potter lei parla di un «Occidente antimagico», e sceglie come
citazione d’apertura un passo di Frie-
‘
drich Nietzsche, secondo cui un’interpretazione scientifica del mondo
– come quella oggi dominante – «è
tra le più sciocche e povere di senso». Esistono forse alternative a nostra disposizione?
«Credo esistano sempre delle alternative, altre vie da praticare,
per quanto nascoste o appena visibili. La filosofia, piuttosto che
diventare l’ancella della scienza,
dovrebbe sondarle con cura e rigore. Non si tratta di fare un discorso antiscientifico, perché sarebbe sciocco, come sarebbe
sciocco ripetere semplicemente
con Heidegger che la scienza non
pensa».
Come affrontare, allora, il tema?
«La scienza pensa, ma non è
l’unica forma di pensiero rigoroso né la via di accesso privilegiata alla verità. Si tratta allora di battersi perché il discorso scientifico
non assuma lo statuto di sola interpretazione vera del mondo. Il
discorso scientifico non è che uno
dei modi di leggere il mondo, o –
per dirla con Nelson Goodman –
di produrre un “mondo-versione” che sta accanto ad altri, che
hanno la stessa dignità proprio
perché nessuno ha accesso al
“mondo in sé”».
In diversi passi del suo libro, lei sottolinea in effetti che l’«apertura all’altro» è un tema ricorrente e fondamentale nei libri di Harry Potter. È un messaggio controcorrente – per questa
nostra epoca di crescente diffidenza
e chiusura – oppure l’ennesima spinta verso un relativismo buonista?
«L’altro è traumatico. Ecco cosa il
relativismo buonista dimentica
sempre – dimenticando così l’altro. Non è facile rapportarsi all’altro, e l’etica non è in fondo, che
questo difficile lavoro per riconoscere l’altro contro ogni tentazione di chiusura. La saga di Harry
Potter su questo punto è straordinaria: ci mostra l’altro in tutta
la sua alterità spesso disturbante, ma ci dice anche che non c’è
giustizia senza riconoscimento
dell’altro».
Mi aiuti con qualche esempio.
«L’altro è Hagrid, un mezzo gigante che alleva creature pericolose;
Simone Regazzoni
Nato a Genova nel 1975, è autore di vari saggi, ed ha partecipato al volume «La filosofia del
Dr. House – Etica, logica ed epistemologia di un eroe
televisivo»
l’altro è Dobby, un elfo disturbante che arriverà a rompere un braccio a Harry. L’altro è Remus Lupin, un lupo mannaro. Aprirsi all’altro, cosa che Harry e i suoi amici fanno, significa fare un lavoro e
uno sforzo notevole per rapportarsi al lato minaccioso e perturbante che l’altro porta con sé, in
quanto altro, e che non può essere semplicemente rimosso per
dar vita all’ideale di un altro edulcorato e normalizzato, di un altro talmente simile a noi da non
essere più altro».
Nel raccontare la battaglia di Harry
Potter contro i «soggetti oscuri» del
mondo magico, lei utilizza chiavi di
lettura elaborate in origine per comprendere il fascismo, ma mostra anche come i confini tra eroi e antieroi,
tra il bene e il male, non possano sempre essere tracciati nettamente: una
visione complessa, in forte contrasto
rispetto al dibattito quotidiano nel
suo Paese, dove sulle vicende del passato prevalgono posizioni nettamente
meno sfumate.
«Credo che quando la filosofia
tratta questi temi debba sempre
evitare le semplificazioni. L’analisi – come mostra anche la saga di Harry Potter – deve sempre esser sfumata, articolata, e
non cedere alle sirene della semplificazione. Questo però non significa che il giudizio etico e politico non debba essere netto, come è netta nel mio testo la condanna del fascismo. Anzi è proprio nella misura in cui c’è un
chiaro giudizio etico-politico
condiviso da una comunità su
un passato doloroso e traumatico che ci si può aprire senza riserve e senza paure a rileggerlo
con la giusta attenzione per le
sfumature».
Guardando al futuro, abbiamo già
anticipato che lei ha in programma
di lavorare sul serial televisivo americano Lost, trasmesso anche dalla
nostra televisione. Cosa può dirci in
proposito?
«Ho terminato proprio in questi
giorni il mio libro su Lost; una serie straordinaria, una vera e propria opera d’arte televisiva che
destabilizza i canoni della narrazione filmica e pone questioni filosofiche di grande complessità.
Lost pone questioni estreme sulla verità, il mondo, il soggetto, il
tempo: io non ho fatto altro che
seguirne le tracce a partire da un
suggerimento di Gilles Deleuze,
secondo cui un libro di filosofia
dovrebbe assomigliare a un romanzo di fantascienza».
Oliver Broggini
) PASSI SCELTI
w IL GIOCO DEI MONDI «La saga
di Harry Potter [...] inizia con la
messa in questione radicale
della credenza secondo cui esisterebbe un solo mondo: il presunto mondo normale, antimagico e razionale [...]. Non a caso la questione del male, incarnata dal Signore oscuro, Lord
Voldemort, si presenta come il
sogno – o meglio, l’incubo dai
precisi tratti nazisti – di un unico mondo come totalità, purificata da ogni alterità: un mondo
di maghi purosangue».
w MAGIA E TECNICA «Il mondo
magico di Harry Potter è un
mondo in cui la tecnica non si è
sviluppata come nel mondo
babbano.Non ci sono computer,
telefoni,televisori,automobili,
nel mondo dei maghi.E non c’è
nemmeno energia elettrica.[...]
In esso,infatti,la magia – si tratti
di incantesimi o di oggetti magici,incantati – supplisce infatti alla tecnica,mentre nel mondo
babbano accade il contrario».
w IL GIUSTO... «La saga di Harry
Potter ci dice, con chiarezza e
radicalità, che non c’è etica né
possibilità di giustizia, [...] se
non là dove un soggetto si spinge al di là dei limiti del semplice
dovere. Non c’è nulla di etico infatti nel fare semplicemente
quello che si deve fare».
w ... E L’INGIUSTO «C’è solo ingiustizia [...] là dove la paura e il
disprezzo dell’altro prendono il
posto del suo riconoscimento;
là dove ricompare la schedatura
etnica; là dove qualcuno decide
– come scriveva Hannah Arendt
facendo riferimento alla politica
nazista – che per il tutto è meglio eliminare una sua parte».