Miscellanea
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Thomas Milholt
Le opere dimenticate
del melodramma italiano
(1800-1850)
Un capitolo di storia della musica da riscrivere
Traduzione di
Paola Polito
Volume pubblicato con il contributo di
e delle Fondazioni
Den Bøhmske Fond, Operaens Venners Fond af 1984
Edizione originale:
Italiensk opera i guldalderen 1800-1850
Copyright © 2014 Multivers
Edizione italiana:
Copyright © 2016 Giorgio Pozzi Editore
Via Carraie, 58 – Ravenna
Tel. 0544 401290 - fax 0544 1930153
www.giorgiopozzieditore.it
[email protected]
ISBN: 978-88-96117-63-7
In copertina:
Rappresentazione di un’opera al Teatro alla Scala in un dipinto del XIX secolo
Indice
Prefazione
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Capitolo 1. L’opera lirica nel vortice della storia
Capitolo 2. Florimo e Mercadante . .
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9
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Capitolo 3. Florimo e le “quattro stelle” .
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Capitolo 4. Il pubblico
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. 53
Capitolo 5. Quando cambiò il gusto
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Capitolo 6. Lo spirito del tempo
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Capitolo 7. La caccia al genio . . . . . . . 123
Capitolo 8. L’eredità del Romanticismo
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Capitolo 9. L’ombra di Wagner .
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. 159
Capitolo 10. L’opera italiana in Danimarca . . . . . 169
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Epilogo. Il tesoro perduto
Tavole
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Tavola I. Le opere più rappresentate in Italia (1830-1837) .
. 191
Tavola II. I compositori più rappresentati in Italia (1825-1845) . 193
6
indice
Tavola III. Allestimenti e rappresentazioni al Teatro alla Scala
(1810-1909) .
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. 195
Tavola IV. Allestimenti e rappresentazioni al Teatro di San Carlo
(1810-1909) .
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. 213
Tavola V. Rappresentazioni al Teatro di Corte di Copenaghen
(1841-1854) .
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Bibliografia citata
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Bibliografia di approfondimento
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Prefazione
Questo libro risponde all’intento di incoraggiare l’interesse per l’opera
lirica facendo luce su un tesoro di opere italiane sconosciute che forse
meriterebbero di essere riscoperte e rappresentate. È mio auspicio che
la presente trattazione motivi il pubblico degli appassionati a ricercare, e i teatri lirici ad allestire, opere cadute nell’oblio, che potrebbero
invece rivelarsi eccellenti.
Applicando al pubblico del passato la moderna teoria della ricezione,
tenterò qui di dare risposta al quesito se gran parte delle opere liriche
italiane scritte fra il 1800 e il 1850 sia scomparsa dalle scene teatrali
perché di scarsa qualità o non piuttosto per cambiamenti di gusto determinati da ragioni politiche e culturali. Inoltre, una concezione del
“genio” aggiornata rispetto a quella romantica, che ebbe conseguenze
nefaste sul destino di molti compositori italiani, mi pare possa giovare
alla rivalutazione di non poche esperienze artistiche.
Questo è un lavoro iniziato oltre dieci anni or sono, quando, grazie
al generoso patrocinio della radiotelevisione di Stato danese (DR), mi fu
offerto un lungo soggiorno presso l’Accademia di Danimarca a Roma,
che mi ha permesso di sviluppare il progetto originario.
Vorrei rivolgere un particolare ringraziamento alle Fondazioni danesi Den Bøhmske Fond, Oticon Fonden, Augustinus Fonden e Operaens
Venners Fond af 1984 per il supporto finanziario, e alla Den Jyske Operas
Venner per il grande interesse mostrato al progetto e per l’assistenza
prestata alla pubblicazione del libro nell’edizione danese. Grazie anche
a Finn Nielsen per il suo inestimabile sostegno morale e al redattore
Henrik Borberg, della casa editrice danese Multivers, per l’eccellente
collaborazione. La mia gratitudine va inoltre all’Università Europea di
Firenze, presso la quale trascorsi molte ore nel 2004 durante un mio
soggiorno nel capoluogo toscano, a Per Lykke, Werner Svendsen, Valdemar Lønsted, Lilo Sørensen e soprattutto alla mia compagna Cathrine
Hasse, i quali hanno contribuito al mio lavoro con letture e consigli
preziosi. Grazie di cuore a Niels Birger Wamberg e Seth Chaiklin per la
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prefazione
feconda ispirazione e a Inez Gilvad, Peter Wang, Henrik Engelbrecht
e Steen Frederiksen per la loro fiducia nel progetto.
Infine, tengo a esprimere un ringraziamento davvero speciale alla
traduttrice, Paola Polito, per il suo inestimabile aiuto, all’editore Giorgio Pozzi per aver reso accessibile il volume al pubblico italiano, e alle
fondazioni Statens Kunstfond (Danish Arts Foundation), Den Bøhmske
Fond e Operaens Venners Fond af 1984 per aver patrocinato e sostenuto
finanziariamente la traduzione e la pubblicazione italiana.
Thomas Milholt
Capitolo 1
L’opera lirica nel vortice della storia
Il 19 agosto 1819 il pubblico napoletano affluì numeroso alla serata di
gala nel capiente Real Teatro di San Carlo, situato a due passi dal porto, vicino al maestoso Palazzo Reale. A quel tempo la città di Napoli,
fra le più grandi d’Europa, era la capitale del Regno delle Due Sicilie,
e da lì il re Ferdinando I 1 e la sua famiglia governavano tutto il Sud
della penisola 2 e la Sicilia. Il teatro era stato preparato per ospitare le
celebrazioni per la nascita del principe ereditario, Sua Altezza Reale
il Duca di Calabria, e la sala a forma di ferro di cavallo, con i molti
palchi, i rivestimenti azzurri e le decorazioni in oro, scintillava alla luce
di migliaia di candele.
Il giovane e talentuoso compositore Saverio Mercadante (1795-1870),
allievo del locale Real Collegio di Musica, il conservatorio di San Pietro
a Majella, guardava con ansia alle ore imminenti. Infatti, alla presenza
dei Reali, stava per aver luogo il suo debutto in qualità di compositore
d’opera. La grande occasione gli era stata offerta in seguito all’esecuzione al San Carlo di una sua cantata in onore di Carlo IV di Spagna,
lavoro che aveva impressionato Gioachino Rossini (1792-1868), direttore
artistico del teatro, e l’impresario Domenico Barbaja (1777-1841). I due
avevano così deciso di affidare al giovane compositore, che godeva fra
l’altro di ottima reputazione al conservatorio, il compito di scrivere la
1. Ferdinando I di Borbone (1751-1825) – re di Napoli con il nome di Ferdinando IV e re di Sicilia con il nome di Ferdinando III – dopo il periodo di potere
napoleonico restaurò il proprio dominio nel Meridione, istituendo il Regno delle
Due Sicilie (1816-1825).
2. Cfr. Martin Clark, The Italian Risorgimento, London, Addison Wesley
Longman Limited, 1998, p. 29. Secondo Clark, nella prima metà del diciannovesimo secolo Napoli era la più grande città italiana e una delle più grandi d’Europa.
Anche nella Gyldendals Musikhistorie, diretta da Knud Ketting, København,
Gyldendal, 1983, vol. 3, p. 184, troviamo conferma che Napoli era la terza più importante città europea dopo Londra (un milione di abitanti) e alla pari con Parigi
(circa cinquecentomila abitanti).
10
capitolo
1
sua prima opera proprio per i festeggiamenti del 19 agosto. Non che
Rossini e Barbaja non avessero interpellato maestri più esperti, ma
i compositori evitavano di tenere a battesimo le proprie opere nelle
occasioni festive presiedute dalla famiglia reale. In quelle circostanze,
infatti, c’era troppa agitazione in sala, ed era sempre il re a decidere,
battendo per primo le mani, quando la gente dovesse applaudire. Per
questo motivo i maestri preferivano serate in cui gli spettatori fossero
liberi di concentrarsi sulle opere in scena e di decidere autonomamente
se e come esprimere il proprio entusiasmo, che solo così sarebbe stato
sincero e significativo.
Per un compositore al debutto come Mercadante l’offerta era però
una grande occasione per dimostrare il proprio valore. Come se la
scrittura di un’intera opera non bastasse, un altro compito importante
gli spettava in quella serata per lui così decisiva: era infatti costume
che ad ogni nuova opera il compositore dovesse guidare l’orchestra
durante le prime tre esecuzioni. Dal suo posto al clavicembalo, Mercadante avrebbe potuto avere una visione d’insieme dell’orchestra,
del palcoscenico e del pubblico. Così quella sera, una volta che tutti si
furono seduti e i Reali accomodati nel loro palco, l’opera ebbe inizio.
E per come andarono le cose, il giovane esordiente poté ritenersi
soddisfatto. Il «Giornale del Regno delle Due Sicilie» scrisse che l’opera
prima di Saverio Mercadante, L’apoteosi d’Ercole, era stata apprezzata
da Sua Maestà:
Il Re, augusto proteggitore delle arti belle, incoraggiò il giovine compositore, vivamente applaudendo ad un suo vaghissimo terzetto. Alla fine
dell’opera, Mercadante fu chiamato sul palco scenario dalle voci concordi
di quanti erano spettatori: quando il modesto giovine si mostrò al pubblico,
apparve sì vivamente commosso, che può ben sperarsi, che gli allori colti
in questo primo cimento non serviranno in lui di fomento all’orgoglio, ad
ogni sapere nemico, ma di sprone a bella emulazione, la quale lo inciti a
proseguire la nobile carriera sui vestigi de’ nostri grandi maestri […] 3.
Non è un caso che il giornale di Napoli esprimesse l’auspicio che la
giovane speranza cittadina potesse in seguito degnamente rivaleggiare
con gli altri compositori del Regno: in effetti ce n’erano molti, e se ne
presentavano costantemente di nuovi. La prima del 1819 al San Carlo
3. «Giornale del Regno delle Due Sicilie», n. 198, venerdì 20 agosto 1819.
l’opera lirica nel vortice della storia
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Il Real Teatro di San Carlo, a Napoli, come appariva quando Gennaro D’Aloysio lo
dipinse nel 1819, anno del debutto operistico di Mercadante. Il teatro fu ricostruito
dopo l’incendio del 1816.
era soltanto una delle tante. Mercadante si sarebbe dovuto confrontare
con la concorrenza costituita, oltre che dalle circa cinquemila opere
scritte nel Settecento, anche dalle duemila, duemilacinquecento che
avrebbero visto la luce nella prima metà dell’Ottocento, il periodo più
produttivo della sua carriera 4.
A dimostrazione di come gli anni fra il 1800 e il 1850 abbiano costitui­
to un periodo d’oro per l’opera italiana, basti pensare che già all’epoca
del debutto di Saverio Mercadante tutte le principali città della penisola
ospitavano famosi teatri lirici. La costante produzione di nuove opere
da parte di quella che il musicologo inglese John Rosselli ha definito
4. [Voce] Italy, in The New Grove Dictionary of Opera, a cura di Stanley Sa-
die, London, Macmillan, 4 voll., 1992, vol. 2, p. 840. Secondo il Grove, nel periodo
1700-1850 in Italia vennero scritte in media cinquanta opere all’anno.
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capitolo
1
una vera e propria industria 5, rappresentò per i cittadini un beneficio
non solo artistico ma anche economico. Intorno al 1850 andava a teatro
un pubblico borghese sempre più consistente, e il numero di esecuzioni
annuali delle molte opere prodotte raggiunse il proprio picco. In questo
periodo, a costituire il repertorio della penisola erano quasi esclusivamente opere italiane. I grandi teatri lirici e i numerosi piccoli teatri di
tante città italiane davano lavoro non soltanto ai compositori, ma anche
a cantanti, musicisti, scenografi e librettisti, per non parlare di pittori,
falegnami, sarte, venditori di biglietti e chiunque contribuis­se con la propria funzione ad assicurare agli spettatori una piacevole serata fuori casa.
Oltre al repertorio del San Carlo, i napoletani potevano scegliere anche opere di carattere più allegro, in una varietà di altri teatri. Potevano,
ad esempio, andare al famoso Teatro Nuovo, o frequentare il più piccolo
dei due teatri regi della città, il Teatro del Fondo, ora conosciuto come
Teatro Mercadante, in piazza del Municipio. All’epoca la fama dell’opera lirica era paragonabile a quella dell’attuale mondo del cinema 6.
Tutti i teatri, lirici e non, erano pubblici; chiunque poteva acquistare
un biglietto e assistere alle rappresentazioni nella propria città.
I melomani, seduti nei palchi o in platea, avevano le idee chiare su
ciò che volevano: una nuova opera doveva adeguarsi alle convenzioni
del tempo sia nella musica che nell’azione drammatica. Inoltre, il lavoro
doveva essere concepito ed eseguito a regola d’arte: ci s’aspettava che
il compositore soddisfacesse i requisiti tecnici previsti dalla sua formazione, che gli orchestrali suonassero in modo professionale e i cantanti
non fossero da meno. C’era anche un certo margine per il rinnovamento,
ma solo in parte, in quanto il pubblico tendeva a confrontare le nuove
opere con quelle viste nella stagione precedente e non tollerava troppe
trasgressioni 7. Era l’interazione tra il gusto del pubblico e il coraggio,
l’esperienza e la reputazione del compositore a decidere il grado di
novità ammissibile nelle singole opere. Le conseguenze potevano essere serie: se non si vendevano abbastanza biglietti, le opere uscivano
dalla programmazione; e se i fiaschi si susseguivano, il compositore
rischiava la carriera.
5. John Rosselli, The Opera Industry in Italy from Cimarosa to Verdi, Cambridge, Cambridge University Press, 1984.
6. Ivi, p. 15.
7. [Voce] Italy, in The New Grove Dictionary of Opera (1992), cit., vol. 2,
p. 840.
l’opera lirica nel vortice della storia
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Saverio Mercadante scrisse cinquantasette opere, lasciandone due
incomplete per il sopraggiungere della morte, nel 1870. The New Grove
Dictionary of Music and Musicians (1980) lo designa come il più grande
rivale di Giuseppe Verdi (1813-1901) rimasto in lizza dopo la scomparsa
di un altro grande compositore, Gaetano Donizetti (1797-1848) 8. Ma
oggi, a quasi duecento anni dal debutto, nessuna delle opere di Saverio
Mercadante è più eseguita, sebbene ai suoi tempi egli abbia goduto di
profondo rispetto da parte di spettatori, impresari e concorrenti.
Le sue opere, tuttavia, non sono le uniche ad essere cadute nell’oblio.
Solo una piccola parte delle molte opere che in Italia furono scritte nel
periodo d’oro del primo Ottocento è nota al pubblico odierno. Molti
teatri vennero chiusi nel corso del Novecento, all’avvento del sonoro,
e sostituiti dai cinematografi. Anche se ancora oggi ha un’evidente
diffusione in Italia e in tutto il mondo, la lirica è ritenuta una forma
d’arte sempre meno popolare e sempre più colta, e purtroppo soltanto
alcune specifiche opere – tutto sommato relativamente poche – sono
considerate espressione d’arte suprema. Eppure, visto che nei teatri
lirici del Novecento andarono in scena soprattutto opere italiane degli
anni 1800-1850, cioè del periodo in cui una notevole concorrenza aveva
spinto i compositori al massimo sforzo per scrivere le cose migliori, ci si
sarebbe potuti aspettare che il pubblico odierno avesse a disposizione,
nel repertorio eseguito sui palcoscenici di tutto il mondo, alcune centinaia di opere di quello stesso periodo. Ma non è così. Sono piuttosto
le opere italiane della seconda metà dell’Ottocento a occupare il posto
di maggior rilievo nei repertori teatrali mondiali di oggi.
Opere scomparse
Questo libro avanza una possibile risposta al perché Mercadante e
oltre un centinaio di altri compositori del periodo fra il 1800 e il 1850
siano scomparsi dalle scene teatrali e dalla vasta letteratura dedicata
alla tradizione lirica italiana.
Lo scopo non è tanto di valutare la qualità delle loro opere, quanto
di sottolineare come i cambiamenti nelle correnti politiche e culturali
8. The New Grove Dictionary of Music and Musicians, a cura di Stanley Sadie,
London, Macmillan Publishers Limited, 20 voll., 1980, vol. 13, p. 564.
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capitolo
1
abbiano portato all’oblio di ciò che in un altro periodo era stato invece
ritenuto espressione di somma arte.
La storia di Mercadante illustra tale evoluzione in modo esemplare.
La popolarità del musicista napoletano subì un duro colpo alla fine
dell’Ottocento, quando, dopo una prestigiosa carriera e nonostante
fosse stato considerato uno dei compositori italiani di punta, egli venne
declassato a compositore di secondaria importanza. Il sigillo di questa
perdita di prestigio è nell’edizione riveduta del Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli, l’allora accreditatissima opera storiografica che
Francesco Florimo, musicista, storico e bibliotecario del conservatorio
napoletano, aveva consacrato alla fine degli anni Sessanta a numerosi
maestri formatisi a Napoli, tra cui Mercadante. Una ventina d’anni
dopo, nel redigerne una nuova versione intitolata La scuola musicale
di Napoli e i suoi conservatorî, egli doveva essersi reso conto che ormai
Mercadante non era più ai vertici della classifica dei compositori italiani
del primo Ottocento 9, e modificò drasticamente il giudizio precedentemente espresso sul Maestro.
L’affievolirsi di interesse per ciò che era accaduto sui palcoscenici
della penisola nella prima metà del secolo precedente continuò anche
agli inizi del Novecento: storici, impresari teatrali, esperti di musica e
pubblico trascurarono in larga misura gli anni 1800-1850 italiani. Per
molto tempo caddero nell’oblio persino i grandi compositori che il
pubblico odierno considera ancora dei maestri. Nella prima parte del
Novecento, infatti, quasi tutte le opere di Gioachino Rossini, Vincenzo
Bellini (1801-1835) e Gaetano Donizetti scomparvero dal repertorio.
Fino al 1950 solo un piccolo numero delle loro oltre cento opere fu
rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Se oggi le possiamo
ascoltare è perché molte di esse nella seconda metà del Novecento
rientrarono nella programmazione teatrale o vennero incise su disco.
Alcune rimasero chiuse negli archivi per più di cento anni. Persino
le prime opere di Giuseppe Verdi finirono per un certo periodo nel
dimenticatoio.
Consultando la letteratura di settore si può notare che, curiosamente,
le rassegne forniscono un quadro in cui spiccano pochi nomi ricono9. Francesco Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorî, Napoli, Stabilimento tipografico di Vinc.[enzo] Morano, 1880-1882, 4 voll. in 8°, ora
in copia anastatica Bologna, Arnaldo Forni Editore, «Bibliotheca Musica Bononiensis», sezione III, n. 9, 2002, vol. 3, p. 123.
l’opera lirica nel vortice della storia
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Saverio Mercadante (1795-1870) ritratto da Vincenzo Roscioni. Litografia.
sciuti come “grandi stelle” degli anni 1800-1850, trascurando invece
molti altri compositori italiani e le loro opere.
A tutt’oggi il materiale biografico raccolto su certi musicisti è scarso,
e le loro opere restano sconosciute al grande pubblico. Praticamente
nulla è stato scritto sul motivo per cui tanti compositori sono scomparsi,
e sul perché invece altri, ben pochi, sono stati rivalutati.
Il quadro tratteggiato dalla storiografia dell’opera italiana per gli
anni 1800-1850 assomiglia a un paesaggio in cui siano visibili solo le
più alte vette. La vista può essere bella e spettacolare, ma nasconde le
cime minori, non mostra nulla del paese tra le montagne o della vita
quotidiana dei valligiani. Un ampio e inesplorato materiale è in attesa
di essere riportato alla luce da musicologi e storici della musica, che
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capitolo
1
avranno da scavare a fondo negli archivi per recuperare il passato, così
da poterlo esaminare e mostrare al pubblico. Solo in questo modo riusciremo ad avere una visione completa del ricco panorama dell’opera
ottocentesca, quando un gran numero di compositori italiani scrisse
opere eseguite con successo in tutta Italia e nel mondo.
Gusto o qualità
Visto che sappiamo così poco del panorama operistico italiano, viene da
chiedersi se ci ricorderemo per sempre delle opere che oggi definiamo
“le migliori” dal punto di vista compositivo e drammaturgico.
È forse il condizionamento culturale del gusto a far sopravvivere
una composizione quale opera d’arte riconosciuta, o non sarà piuttosto la qualità artistica a decidere della sua permanenza nel tempo?
La risposta più semplice potrebbe essere che molti compositori sono
stati dimenticati perché le loro opere erano scadenti. Secondo questa
ipotesi si potrebbe sostenere che solo i lavori di elevata qualità artistica
riescono a resistere al vortice della storia, mentre tutti gli altri sarebbero
destinati a scomparire. È un pensiero dotato di logica. Tuttavia, non
mancano argomenti a suggerire che anche le correnti culturali svolgono
un ruolo decisivo nel determinare la sopravvivenza o meno delle espressioni artistiche. Non può trattarsi, o non può trattarsi soltanto, di una
questione di qualità, perché lo stesso oblio ha colpito in passato anche
opere scritte da compositori che godono attualmente di fama mondiale.
Per quasi centosettant’anni, molte delle opere di Georg Friedrich
Händel (1685-1759) mancarono dalle scene, finché nel 1920 non venne
di nuovo allestita Rodelinda. La musica di Johann Sebastian Bach
(1685-1750), ritenuta troppo antiquata dopo la morte dell’artista, venne
in gran parte dimenticata fino all’esecuzione, nel 1829, della Passione
secondo Matteo, e in seguito godette di una rinascita universale. Gran
parte della musica di Antonio Vivaldi (1678-1741) non si poté ascoltare
nelle sale da concerto e nei teatri per moltissimo tempo.
Questo fenomeno si è registrato anche nel mio Paese, in Danimarca,
dove compositori tardoromantici come Rued Langgaard (1893-1952),
Asger Hamerik (1843-1923), Ludolf Nielsen (1876-1939) e Louis Glass
(1864-1936) furono trascurati per la maggior parte del Novecento, messi
in ombra da Carl Nielsen (1865-1931). Benché sia legittimo pensarlo, è
difficile sostenere che si trattava di cattivi compositori e che la loro mu-