Procedure per il rilevamento fenologico nei Giardini Italiani - Cra-Cma

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Gruppo di
"1\'Oro
nazionale per i Giardini fenologici
Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici
PROCEDURE PER IL RILEVAMENTO FENOLOGICO NEI GIARDINI ITALIANI a cura di
Andrea Malossini
Servizio Produzioni agricole, Assessorato Agricoltura Regione Emilia-Romagna ottobre 1993 Progetto grafico di copertina:
Bianca Maria Rizzoli
Regione Emilia-Romagna
Coordinamento redazionale:
Andrea Malossini
Regione Emilia-Romagna
Seconda edizione: ottobre 1993
CO - Regione Emilia-Romagna - Bologna 1993
Stampato presso il Centro Stampa della Giunta regionale - Viale Silvani 6 - 40122 Bologna
in caratteri CO Caslon
INDICE l U n a rete di Giardini fenologici
Italia: finalità e criteri.
Paolo Mandrioli.
II III IV V
VI In
pago 5
I Giardini fenologici internazionali.
Andrea Malossini, Tommaso Ristori.
pago 9
I Giardini fenologici italiani.
Andrea Malossini, Gaddo Cavenago
Bignami, Aldo Coletti, Tommaso
Ristori, Valeria Sacchetti, Donatel/a
Spano.
pag.17
Criteri per il rilevamento fenologico:
Angiosperme.
Giovanna Puppi Branzi.
pag.29
Il rilevamento
Conifere.
Paolo Grossoni.
pag.41
fenologico
nelle
Costituzione e gestione del Giardino
fenologico.
Andrea Malossini.
pag.51
Clonazione di specie indicatrici per i
Giardini fenologici Italiani.
Aldo Ranfa.
pag.57
VIII La
misura
dei
parametri
meteorologici
nel
Giardini
fenologici: indicazioni per la scelta
delle stazioni.
Lucio Botarel/i, Angelo Salsi.
pag.61
VII I
UNA RETE DI GIARDINI FENOLOGICI IN ITALIA: FINALITA' E CRITERI Paolo Mandrioli
Istituto FISBAT, Consiglio Nozionaledelle Ricm:he, Bologna
1
INTRODUZIONE
Quando dieci anni fa, nel 1982, nell'ambito di una collaborazione con il Dipartimento
Attività Produttive, Agricoltura e Alimentazione della Regione Emilia-Romagna, demmo
inizio al progetto di realizzazione di un Giardino fenologico presso la Base Meteorologica di
San Pietro Capofiume (BO), l'obiettivo primario fu di preparare una stazione di osservazione
fenologica che potesse rappresentare l'Italia, del tutto assente, nella rete europea dei Giardini
Fenologici Internazionali (IPG) coordinati dal Servizio Meteorologico Tedesco.
Dopo un avvio non facile durato alcuni anni per consentire l'attecchimento di piante
provenienti da ambienti climaticamente molto differenti da quello padano orientale,
decidemmo di affiancare alla lista delle piante suggerite dalla rete IPG, un certo numero di
piante indicatrici, diffuse comunemente nel nord Italia, scelte fra quelle di maggior interesse
agrario e forestale, creando cosÌ una "sezione italiana" accanto a quella "internazionale".
Grazie all'interessamento ed alla tenacia di coloro che hanno collaborato in questa
impresa in tutti questi anni, il Giardino fenologico di San Pietro Capofiume, al quale è stato
assegnato il codice internazionale 80, ha già prodotto cinque anni di dati e, altrettanto
importante ed ancor più significativo, ha giocato concretamente il ruolo di punto di
riferimento e di stimolo per il progetto e la realizzazione nel nostro Paese di altri Giardini
fenologici (Fig. 1).
Si sono così create, quasi naturalmente, le condizioni per la costituzione di un Gruppo
di Lavoro nazionale avente la funzione di coordinare l'attività delle singole stazioni (gestite
autonomamente) e, soprattutto, di definire un protocollo comune delle osservazione
fenologiche e del trattamento dei dati. A questo Gruppo collaborano alcuni Enti appartenenti
alle Amministrazioni di alcune Regioni, la Società Botanica Italiana, l'Associazione di
Aerobiologia ed alcuni Istituti Universitari.
L'attività di ciascun Giardino fenologico e l'attività di Rete, debbono poter rispondere
alle domande poste qui di seguito.
Quali sono le caratteristiche principali di un Giardino fenologico rispetto ad un Orto
Botanico o ad una stazione di osservazione? Il Giardino fenologico svolge la propria attività
attraverso personale preparato alla osservazione fenologica su piante scelte ad hoc, a seconda
del programma di lavoro, e messe a dimora con precisi criteri. Parallelamente alla raccolta delle
osservazioni fenologiche vengono eseguite, nello stesso sito, le misure microclimatiche
riguardanti come minimo le misure dei parametri meteorologici di base.
Una Rete di Giardini Fenologici coordina l'attività di più punti di osservazione
attraverso un protocollo comune riguardante le modalità di impianto, l'elenco delle piante da
considerare, la metodologia di osservazione, l'archiviazione ed il trattamento dei dati.
5
2
OBIETTIVI DI UNA RETE FENOLOGICA
Oltre all'interesse legato più strettamente allo studio dei ritmi stagionali, caratteristici
della attività vegetativa e riproduttiva delle piante, vi sono altri obiettivi che possono essere
raggiunti attraverso le informazioni fornite da una rete fenologica partendo dal concetto che le
risposte ritmiche della vegetazione sono determinate sia dalle caratteristiche genetiche di ogni
pianta, sia dall'impatto di numerosi parametri ambientali (terreno, clima, pratiche colturali,
inquinamento del suolo e dell'aria, fitopatogeni) sulla vegetazione stessa.
Potremmo suddividere le finalità di una rete fenologica in finalità scientifiche e
finalità applicative: le prime sono soprattutto centrate verso una migliore conoscenza dei
processi connessi alle fenofasi ed alla individuazione di piante potenzialmente interessanti
come indicatori biologici; le seconde concernono l'utilizzo di piante indicatrici, non solo come
sensori delle variazioni climatiche, ma anche come sensori della qualità dell'ambiente,
soprattutto dell'aria, nei riguardi di sostanze inquinanti.
Per meglio esemplificare questo ultimo aspetto, sottolineando ancora che la pianta in
questo caso viene considerata come strumento in grado di integrare risposte complesse
derivate dall'impatto con l'ambiente in cui vive e si sviluppa, possiamo evidenziare alcune
applicazioni in agricoltura, nel monitoraggio ambientale e nei riguardi della salute dell'uomo.
In agricoltura e selvicoltura: la valutazione dell'impatto delle variazioni del clima e del
tipo di suolo sugli eventi fenologici, in piante di importanza agricola o forestale, per ricavarne
indicazioni utilizzabili nella programmazione della gestione delle colture. In questo settore
vengono utilizzate piante, predittori stagionali dell'andamento climatico.
Nel monitoraggio ambientale: le risposte della pianta sottoposta all'azione di agenti
chimici e fisici di origine non naturale, come gas, particelle inquinanti e radiazioni, osservando
non solo le modificazioni dei ritmi biologici ma anche quelle, almeno a livello macroscopico, di
tipo patologico. Ovviamente la scelta dei bioindicatori sarà rivolta particolarmente a quelle
piante più sensibili agli agenti inquinanti.
Riguardo alla salute dell'uomo, le osservazioni fenologiche si affiancano a quelle sui
fitoallergeni aerodispersi, responsabili di patologie respiratorie che oggi interessano il 12-15%
della popolazione che vive nelle grandi città. La previsione di date di inizio fioritura di una
specie allergenica, permette a medici e pazienti di meglio programmare terapie ed attività
fisica.
Così dicendo abbiamo ampliato il concetto e la funzione canonica del Giardino
fenologico suggerendo un possibile programma di lavoro che permetterebbe di produrre dati
ed informazioni utili ed interessanti, non solo a livello strettamente scientifico, fin dai primi
momenti di costituzione del giardino stesso, in attesa di raggiungere l'equilibrio, necessario al
nuovo impianto, per poter effettuare osservazioni affidabili.
6
Figura 1
*
Giardini esistenti
{;:{ Giardini in progettazione
Situazione giugno 1993
7
BIBLIOGRAFIA
Arboreta Phaenologiea. Injormotion oj tlle fll)orking group oj Intemotionol Phenologicol Gordens,
Hann. Munden and Offenbaeh.
Mandrioli P.; Malossini A.; Negrini M.G.; Ventre A. 1982. Fenologio e Agricolturo - Lo stozione
fenologico di S. Pietro Copofiume, Bologna, Regione Emilia-Romagna.
1
Sehnelle F. 1955. Plontphenology - Problems in Bioc/imotology, VoI. 3 Leipzig, E. Germany.
Sehnelle F.; Volkert E. 1964. Intemotionole Phonologische Gorten, Agrie. Met. 1:22-29.
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I GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI
Andrea Malossini 1, Tommaso Ristori z
ISeroi:tio Produ:tioni ogricole, Assessorato Agricolturo, Regione Emilio-Romogno
21stituto lATA, Consiglio Nozionok delle Ricetrhe, Firenze
1
INTRODUZIONE
L'osservazione degli eventi fenologici, almeno di quelli principali, risale agli antichi
cinesi. Per arrivare però alla fenologia come disciplina scientifica, ed alla connessione tra essa e
la climatologia, bisogna attendere il XVII secolo. Prima Linneo e poi Reamur, si
pronunciarono sulle grandi possibilità di questa materia, innescando un processo evolutivo che
portò nella seconda metà del XIX secolo allo studio sistematico delle piante come indicatori
biologici. Il botanico svedese ebbe il merito di proporre per primo uno schema comune,
secondo il quale le osservazioni fenologiche andavano eseguite. Il fisico francese propose
invece il concetto di unità termica, nel tentativo di correlare la temperatura allo sviluppo delle
piante.
Nella seconda metà del XIX secolo, quasi tutti gli Stati europei disponevano di serie
storiche abbastanza accurate delle fasi fenologiche delle principali specie. Inghilterra, Svezia,
Germania e Francia erano le nazioni più organizzate, ma anche l'Italia disponeva di queste
informazioni. Tra il 1880 e il 1890 vennero pubblicati numerosi importanti lavori di fenologia.
Il tedesco Hoffmann calcolò l'arrivo della primavera (Aprilbliihten) per l'intera Europa, il
francese Angot determinò la distribuzione di alcuni fenomeni fenologici in base alla latitudine
e lo svedese Hult, per primo, definì con una certa precisione il rapporto tra gli eventi
meteorici e l'andamento dei fenomeni fenologici.
La nascita dei Giardini fenologici, almeno nel significato mederno del termine, è
avventa intorno al 1953. In quell'anno Erik Volkert, presidente dello Hannoversh Munden
Lehrforstandt, ebbe l'idea di allestire dei Giardini fenologici.
2
GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI
All'idea di Volkert credette il Prof. Schnelle, con il quale nel 1957, con la
pubblicazione «Suggestion for the establishment of international phenological gardens as a
station in a network for International Phenological observations», diede l'avvio ufficiale alla
rete dei Giardini Fenologici Internazionali (IPG)
L'obbiettivo principale fu quello di indagare sull'importanza e gli effetti del clima
sullo sviluppo delle piante con l'unica variante, al1'inizio, della differenza di latitudine delle
varie stazioni.
Il primo Giardino fu quello di Offenbach, cittadina dell'Assia situata sulle sponde del
fiume Meno, nel quale, nel 1959, vennero iniziati anche i primi rilievi fenologici.
Con la successiva diffusione dei Giardini, l'IPG si organizzò negli anni seguenti a fare
in modo che fossero disponibili, per tutti, esemplari clonati dalle stesse piante madri. A questo
compito si dedicò dapprima l'Istituto di Genetica Forestale di Wachtersbach, presieduto dal
Dott. Hertmuller, che nel 1964 iniziò la distribuzione, poi l'Istituto Forestale di Bassa Sassonia
9
presieduto dal Dott. Frohlich, che sempre nel 1964 creò due cloni di Picea abies, uno precoce
e uno tardivo. Dal 1964 il centro di Wachtersbach divenne l'unico autorizzato a produrre i
cloni per l'IPG.
Successivamente anche l'Istituto di Hannoversh-Munden
parteciparono attivamente alla propagazione delle piante.
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Completata la prima fase, i Giardini fenologici presero piede anche in altre nazioni
oltre alla Germania: Regno Unito, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Austria e Jugoslavia
furono tra le più attive.
Nel 1967 vennero pubblicate per la prima volta le osservazioni fenologiche fino ad
allora compiute (i primi 9 anni), dalla rivista Arboreta Phaenologica, organo ufficiale dell'IPG.
Nel 1973 il fondatore Volkert cessò di fatto la collaborazione attiva nella propagazione
delle piante, e tutta l'attività venne trasferita all'Istituto di Schmalenbech, nei pressi di
Amburgo. Con il passaggio di tale settore a questo centro, l'attività ebbe un nuovo slancio,
rendendo possibile la nascita di nuovi Giardini. Verso la fine del 1978 si raggiunse infatti il più
alto numero di Giardini fenologici attivi (poco più di 60). Da quella data le cose cambiarono,
anche se molto lentamente, e pur con nuove adesioni, i Giardini calarono come numero. Nel
1981 chiuse ad esempio il Giardino di Londra.
Nel 1983 vennero comunque festeggiati i 25 anni di osservazioni ininterrotte, e su
Arboreta Phaenologica comparve un dettagliato resoconto della situazione e l'evoluzione dei
Giardini. Tre anni più tardi si svolse a Vienna il Simposio Internazionale di Fenologia, durante
il quale si discusse delle attività svolte e, soprattutto, dei programmi futuri. Era ormai chiaro
che la vecchia impostazione data dai fondatori, non soddisfava più le diverse esigenze, ed
anche grazie al Prof. Helmut Lieth, si iniziò a ridiscutere le vigenti norme.
Lieth divenne poi anche l'erede ufficiale della parte scientifica dell'attività al
momento della morte del Dott. Schnelle, avvenuta nel luglio del 1990. Per il settore tecnico­
scientifico invece era, e rimane tutt'oggi quale punto di riferimento, la Dott.ssa Erika Fritag di
Offenbach.
Attualmente la Rete dei Giardini fenologici Internazionale conta circa 50 Giardini attivi
e 4 o 5 in via di completamento, anche se, causa la guerra in corso, quelli dell'ex-Jugoslavia da
tempo non inviano regolari informazioni (tabella 1)
3
GESTIONE DEI GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI
I Giardini fenologici della rete IPG non si differenziano di molto da quelli italiani,
salvo per alcune norme molto rigide riguardanti la gestione del giardino ed, ovviamente, per le
diverse specie presenti.
3.1
SPECIE INDICATRICI
Molte delle specie consigliate dall'IPG sono in realtà comuni anche nei Giardini
italiani, anche se di diversa provenienza ed origine. Altre invece, come si può notare
dall'elenco che segue, sono tipiche delle regioni centro-settentrionali dell'Europa.
Larix decidua; Pinus sylvestris; Picea abies, Ribes alpinum, Salix acutifolia, aurita,
glauca, smithiana, viminalis; Sambucus nigra; Betula pubescens; Fagus sylvatica, Populus
canescens, tremula; Prunus avium; Quercus robur; Robinia pseudoacacia; Sorbus aucuparia;
Tilia cordata.
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Normalmente nei diversi Giardini non compaiono tutte le specie consigliate, ma solo
alcune, anche perchè in questi ultimi anni le difficoltà dell'IPG a consegnare cloni, ha
provocato una riduzione del numero di nuovi impianti.
3.2
NORME PER LA GESTIONE E IL RILEVAMENTO
Le norme previstedall'IPG per la gestione dei Giardini, sono come detto scarse e
molto rigide. Le specie indicatrici devono ad esempio essere piantate a tre metri di distanza le
une dalle altre, ed essere presenti in almeno tre esemplari ciascune. Il terreno deve essere
mantenuto a prato rasato, tranne la zona circostante le piante che va lavorata.
Concimazioni, irrigazioni, potature, trattamenti antiparassitari ed ogni qualsiasi altra
cura colturale, non vanno eseguite. Unica precauzione, due ispezioni all'anno per verificare gli
eventuali danni provocati da avversità atmosferiche o da potogeni.
Anche le osservazioni fenologiche non sono particolarmente accurate; il programma di
minima prevede infatti la registrazione di sole 2 o 3 fasi fenologiche, per specie, durante
l'intera stagione (figure 2 e 3). La scheda proposta da Schnelle e Volkert nel 1964,
normalmente adottata, propone 6 fasi: apparizione foglie; inizio fioritura; piena fioritura; primi
frutti maturi; foglie completamente ingiallite; foglie completamente cadute. Nulla vieta però,
a seconda delle esigenze locali, la possibilità di integrarle con altre osservazioni.
11 Figura 1
Internationale Phlinologische Glirten International Phenological Gardens 'oIIOf\auo
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International Phenological Garden • • • • •
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1.2.2 Picea abiel (late,tardiTe,spat)
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2.1.1 Betula pubelcenl
2.2.1 Fagul Iylvatica Har
2.2.2 Fagus sylvatica Dud
2.2.' Fagul sylvatica 1'ri
2.;.1 Populul canelcenl
2.}.5 Populul tremula
2.4.1 Prunul aviua Bov
2.4.2 Pru;nul avium Lut
2.5.1 Quercus petraea Zell
2.5.6 Quercul robur Wol
2.5.7 Quercus robur Bar
2.6.1 Rob1n1a pseudoacacia
2.7.1 Sorbus aucuparia
2.8.1 1'ilia cordata
;.1.1 Ribes alpiDUIl
;.2.1 Salix aurita
;.2.; Salix acutifolia
;.2.4 Sa11x sllithiana
;.2.5 Salix glauca
;.2.6 Salix villina11s
;.;.1 Sambucul nigra
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Schnelle F.; Volkert E. 1964. Intemotionole Phonologische Gorten, Agric. Met. 1:22-29.
15
III I GIARDINI FENOLOGICI ITALIANI Andrea Malossinio, Gaddo Cavenago Bignamil, Aldo Colettil, Tommaso Ristori 2, Valeria SacchettiO, Donatella Span03 °Seroi:uo ProduRioni ogricole, Assessoroto Agricoll'llro, Regione Emilio-Romogno lEnte Regionele di Sviluppo Agricolo del Veneto, 2lstil'llto lATA, Consiglio No:uonole delle Ricerche, Firmu 3lstituto di Coltivo:uoni orbo"e, Università di Sossori 1
INTRODUZIONE
Benché l'Italia abbia una buona tradizione nel campo della fenologia, la costituzione di
Giardini fenologici nel nostro paese è un fatto abbastanza recente, almeno nel significato
corrente del termine. II primo Giardino fu infatti costituito verso la fine del 1982. In quel
periodo, con lo sviluppo delle discipline legate all'agrometeorologia, vennero avviati in Emilia­
Romagna numerosi programmi di collaborazione tra le Amministrazioni locali ed Enti di
ricerca. Uno di questi, stipulato tra l'Assessorato Agricoltura della Regione e l'Istituto Fisbat
del Consiglio Nazionale delle Ricerche, prevedeva la costituzione di una Stazione fenologica.
I primi passi vennero mossi cercando di seguire le indicazioni dettate dall'International
Phenological Garden (IPG), allora da oltre vent'anni impegnata in questa attività. Le rigide
norme fissate da questo organismo, riguardo la gestione dei Giardini, crearono ben presto
numerosi problemi al primo Giardino italiano, tanto che, parzialmente in contrasto con l'IPG,
il Giardino costituito a San Pietro Capofiume fu costretto ad adattarle alla situazione locale,
caratterizzata da un'agricoltura intensiva ed un clima certamente più favorevole all'insorgenza
di fitopatie di quelli dell'Europa centro-settentrionale. II primo gruppo di piante fu allora di
provenienza locale, ben presto integrato dai cloni inviati dall'IPG.
Completata la fase preparatoria, durante la quale al Giardino venne affiancata una
stazione meteorologica automatica, incominciarono i primi rilievi fenologici. Utilizzando
schede di rilevamento direttamente derivate da quelle proposte da Valenziano per le fasi
generali e Marcello per la fioritura, a partire dal 1989 le osservazioni divennero regolari.
Pochi anni dopo l'esperienza di San Pietro Capofiume, precisamente nel 1985, anche
l'Istituto di Coltivazioni Arboree dell'Università di Sassari avviò un'esperienza simile,
costituendo, vicino ad Oristano, il secondo Giardino italiano. Questo Giardino, come del resto
quelli creati successivamente, non poté beneficiare della fornitura di cloni da parte dell'IPG,
già in quegli anni in notevole difficoltà e optò dunque per piante di provenienza quasi
esclusivamente locale.
Nel 1989 l'Ente Regionale di Sviluppo Agricolo del Veneto costituì, nei pressi di
Mogliano, il terzo Giardino fenologico italiano. In origine il Giardino veneto si dedicò
principalmente allo studio della fenologia delle specie frutticole; successivamente, per
consentire un migliore collegamento con l'impostazione dell'IPG e con quella dei Giardini
italiani, vennero sostituite numerose piante frutticole con specie arboree ed arbustive di
interesse locale.
Nel 1992 infine, a sud di Firenze, l'Istituto lATA del CNR fondò il quarto Giardino
della serie.
17
2
IL GRUPPO DI LAVORO NAZIONALE PER I GIARDINI FENOLOGICI
II 1992, oltre ad aver visto nascere il quarto Giardino italiano, è stato l'anno nel quale è
stato costituito il Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici.
Le diverse esperienze fino ad allora condotte in Italia nel settore della fenologia,
avevano posto il problema del coordinamento tra gli Enti, le Associazioni e i Gruppi che,
ciascuno per proprio conto, già operavano autonomamente su queste problematiche.
La prima mossa venne fatta in un incontro organizzato nel settembre 1991
dall'Associazione Italiana di Aerobiologia, presso il Centro del Dipartimento di Biologia
veget~le dell'Università di Perugia del monte Terminillo.
In quell'occasione, benché i temi trattati sfiorassero solo la problematica dei Giardini
fenologici, ci si ripromise di riunire al più presto quanti già operavano nel settore, al fine di
consentire, anche alle nuove iniziative, di confluire in un unico programma.
Fu così che i componenti del «Gruppo del Terminillo», spronati dal compianto Prof.
Lorenzoni, iniziarono, ognuno per proprio conto, a diffondere le proposte scaturite
dall'incontro.
L'idea trovò interesse, tanto che, il 13 maggio 1992, venne organizzata a Bologna la
prima riunione del futuro Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici. In questa
occasione, ancora molto informale, vennero decise le principali norme relative alla costituzione
e alla gestione dei Giardini fenologici italiani, nonché i programmi futuri del Gruppo.
La data di nascita ufficiale risale però al 16 ottobre 1992. In quel giorno, in occasione
del Congresso Nazionale di Aerobiologia, svoltosi a Montecatini Terme, si decise di
formalizzare l'attività del Gruppo, affidandone il coordinamento all'Assessorato Agricoltura
della Regione Emilia.Romagna, che fin dall'inizio si era attivato per promuovere l'iniziativa.
Scopo principale del nascituro Gruppo fu, e rimane, quello di promuovere, avviare e sostenere
lo sviluppo dei Giardini fenologici in Italia.
Dopo il battesimo di Montecatini il Gruppo intensificò l'attività, riunendosi più volte,
allo scopo di poter disporre, per la campagna 1993, di schede di rilevamento e chiavi
fenologiche comuni.
II 29 e il 30 marzo infine, presso il Giardino fenologico di San Pietro Capofiume, si
tenne un Workshop sulla «Costituzione e gestione del Giardino Fenologico».
Attualmente fanno parte del Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici
rappresentanti delle Università di Bologna, Camerino, Firenze, Perugia, Pisa, Sassari e
Viterbo; degli Istituti Fisbat di Bologna e lata di Firenze, del Consiglio Nazionale delle
Ricerche; delle Regioni Emilia.Romagna e Puglia; degli Enti Regionali di Sviluppo agricolo
dell'Umbria e del Veneto; del Servizio Meteorologico della Regione Emilia-Romagna e del
Centro Sperimentale Agricolo Forestale di Roma.
Sull'onda dell'attività del Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici, i
progetti di nuovi Giardini si sono moltiplicati. E' prossima la costituzione di Giardini in
Toscana, Umbria, Lazio e Puglia.
18 3
GIARDINO DI SAN PIETRO CAPOFIUME
Istituto responsabile:
Regione Emilia-Romagna, Assessorato Agricoltura, Servizio Produzioni agricole, viale Aldo
Moro 38,40127 Bologna BO.
Referente:
Per. Agr. Andrea Malossini
Rilevatore:
Ec. Diet. Valeria Sacchetti
Indirizzo:
Base Meteorologica regionale "Giorgio Fea", Via Idice Abbandonato 20, 40062 San Pietro
Capofiume, Molinella, Bologna.
Dati geografici:
longitudine 110 37' 25" E
altitudine
10m
latitudine
440 39' 17" N
Situazione geografica:
Il giardino è situato nella zona centrale della Pianura padana orientale e il clima presenta
caratteristiche di tipo continentale. Si trova a circa 30 km a nord-est dall'inizio dell'Appennino
tosco-emiliano e a circa 60 km a nord-est del crinale appenninico centro-settentrionale.
Suolo:
Terreno di origine alluvionale, limo-argilloso e sabbioso con caratteristiche basiche (pH 8).
Disponibilità idrica:
Precipitazione media annua di 650 mm, esiste per il vivaio un impianto di irrigazione a goccia.
Sesto d'impianto:
Le piante sono disposte su sette filari di circa 100 m di lunghezza ciascuno, distanziati tra di
loro da un minimo di 3 m a un massimo di 5 m. La distanza lungo le file varia da un minimo di
3 m ad un massimo di 6 m.
Specie presenti
n.
1
4
3
4
3
2
4
3
2
4
6
8
3
3
4
4
3
5
3
3
1
3
n.
5
3
5
3
4
2
2
2
1
1
4
2
2
2
3
2
2
1
2
2
3
3
specie
Betula pubescens Ehrh.
Cornus mas L.
Cornus sanguinea L.
Corylus avellana L.
Crataegus monogyna Jacq.
Cytisus scoparius L.
Fagus sylvatica L.
Laburnum anagyroides L.
Larix decidua L.
Ligustrum vulgare L.
Picea abies Link.
Pinus sylvestris L.
Populus canescens Aiton
Populus tremula L.
Prunus avium L.
Prunus cerasifera Ehrh.
Quercus robur L.
Ribes alpinum L.
Robinia pseudoacacia L.
Salix acutifolia Willd.
Salix caprea L.
Salix smithiana Willd.
19 specie
Salix viminalis L.
Sambucus nigra L ..
Sorbus aucuparia L.
Spartium junceum L.
Tilia cordata Mill.
Albicocchi cv Precoce d'Imola
Albicocchi cv Reale d'Imola
Albicocchi cv Boccuccia
Ciliegio acido cv Montmorency
Ciliegio dolce cv Bigarreau Moreau
Meli cv Golden delicious B
Meli cv Red delicious
Meli cv Florina
Peri cv Conference
Peri cv William
Peri cv Abate Fetel
Peschi cv Redhaven
Pesco cv Stark red gold
Susini cv Shiro
Susini cv Bluefre
Vite v. Fortana nera
Vite v. Trebbiano Romagnolo
4
GIARDINO DI FENOSU
Istituto responsabile: Università degli Studi di Sassari, Istituto di Coltivazioni Arboree, Via De Nicola 1, Sassari, SS. Referente: Dott.ssa Donatella Spano Indirizzo: Azienda sperimentale dell'Istituto di Coltivazioni Arboree, Università degli Studi di Sassari, Fenosu, Oristano. Dati geografici: latitudine
39°53'42" N longitudine 08°37'01" E altitudine
Il m Situazione geografica: Il giardino è situato nella pianura del Campidano di Oristano e il clima presenta caratteristiche di tipo temperato-caldo. Suolo: Terreno di origine alluvionale, caratterizzato da un profilo i cui i primi 30 cm mostrano una tessitura franco-sabbiosa, mentre i successivi (30-60 cm), franco-sabbioso-argilloso, (pH 7,48). Disponibilità idrica: L'irrigazione avviene per infiltrazione. Sesto d'impianto: Le piante sono disposte su sette filari, distanziati tra di loro da un minimo di 4 m ad un massimo di 8 m. La distanza lungo le file varia da un minimo di 4 m ad un massimo di 8 m. Specie presenti:
n.
1
3
4
4
4
2
1
4
4
4
4
4
4
4
1
2
4
4
specie
Aesculus hippocastanum L.
Arbutus unedo L.
Cassia tomentosa L.
Celtis australis L.
Cercis siliquastrum L.
Ilex aquifolium L.
Juglans nigra L.
Myrtus communis L.
Olea europea L.
Pistacia lentiscus L.
Populus tremula L.
Quercus ilex L.
Robinia pseudoacacia L.
Salix babilonica x alba
Sambucus nigra L.
Spartium junceum L.
Tilia cordata Miller
Yacaranda mimosaefolia D.Don. (Y. ovalifolia R.Br.)
20 5
GIARDINO DI BONISIOLO
Istituto responsabile:
Ente Regionale di Sviluppo Agricolo del Veneto, Settore Assistenza Tecnica Specialistica, via
Uruguay 45, Padova PD.
Referente:
Dott. Gaddo Cavenago Bignami
Rilevatore:
Per. Agr. Aldo Coletti
Indirizzo:
Azienda "Diana" ESAV Veneto, Via Altinia 14, Bonisiolo di Mogliano Veneto, TV
Dati geografici:
latitudine
45° 34' 54" N
longitudine 12° 18' 29" E
altitudine
8m
Situazione geografica:
Il Giardino è situato nella pianura del Veneto orientale, a circa 15 km a est di Venezia, il clima
presenta caretteristiche di tipo continentale.
Suolo:
Terreno argilloso-limoso, ben drenato (pH 8).
Disponibilità idrica:
Precipitazione media annua di 900 mm.
Disponibilità impianto irriguo.
Sesto d'impianto: Le piante sono disposte in quinconce in sette filari di circa 100 m di lunghezza, distanziati tra di loro di 6 m. La distanza lungo le file varia da un minimo di 3 m ad un massimo di 6 m. Specie presenti:
n.
3
4
4
4
5
4
4
4
4
6
4
4
4
5
3
4
5
4
4
4
specIe
Acer campestre L
Alnus incana L.
Betula pubescens Ehrh.
Carpinus betulus L.
Celtis australis L.
Comus mas L.
Corylus avellana L.
Crataegus monogyna Jacq.
Fagus sylvatica L.
Fraxinus sp.
Labumum anagyroides L
Morus sp.
Platanus sp.
Prunus avium L.
Quercus ilex L.
Quercus pubescens L.
Quercus robur L.
Salix alba L.
Sorbus aucuparia L.
Tilia platyphillos Scopo
n.
2
2
2
2
lO
4
3
lO
6
3
1
8
2
3
9
4
1
16
3
9
21 specIe
Albicocchi cv San Castrese
Ciliegi cv Sunburst
Ciliegi cv New Star
Ciliegi cv Van
Meli cv Golden delicious
Meli cv Ozark gold
Meli cv Renetta grigia
Meli cv Red Chief
Meli cv Summerred
Meli cv Granny Smith
Pero cv Conference
Peri cv William
Peri cv Passa Crassana
Peschi cv Redhaven bianco
Peschi cv Flavorcrest
Peschi cv Suncrest
Pesco cv K2
Peschi cv Springlady
Susini cv Florencia
Susini cv Burbank
6
GIARDINO DI MONTEPALDI
Istituto responsabile: Istituto I.A.T.A. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Piazzale Cascine 18,50144 Firenze FI. Referente: Dott Tommaso Ristori. Indirizzo: Università di Firenze, Facoltà di Agraria, Azienda Agricola "Montepaldi'\ San Casciano Val di Pesa, Firenze. Dati geografici: latitudine
43 40'16" N longitudine 11 0 09'08" E altitudine
250/270 m Situazione geografica: Il giardino è situato nella fascia collinare a sud di Firenze e il clima presenta caratteristiche di tipo continentale. Si trova a circa 30 km a ovest dal crinale dell'Appennino tosco-emiliano e a circa 70 km a est del mare Tirreno. Suolo: argilloso, ricco di scheletro. Disponibilità idrica: Precipitazione media annua di 850 mm, disponibilità di un impianto di irrigazione. Sesto d'impianto: Le piante sono disposte su filari di lunghezza variabile. La distanza lungo le file e tra le file varia dai 3 m ai 6 m. 3 m per le specie arbustive e 6 m per quelle arboree. 0
Specie presenti:
n.
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
specie
Alnus glutinosa L.
Cistus salvifoli us L.
Comus mas L
Cytisus scoparius L.
Eriobotrya japonica LindI.
Juniperus communis L.
Prunus avium L.
Prunus spinosa L.
Robinia pseudoacacia L.
Spartium junceum L.
Syringa persica L.
Syringa vulgaris L.
Tilia cordata Miller.
Ulex europaeus L.
22 7
SPECIE INDICATRICI
Per i Giardini fenologici italiani, come appare evidente dalle specie presenti, non
esisteva un elenco comune di piante indicatrici, ed il materiale disponibile non deriva, come
dovrebbe, da materiale ottenuto per propagazione vegetati va dalle stesse piante madri.
Per questo motivo il Gruppo di lavoro si è attivato per poter stabilire, in tempi brevi,
l'elenco delle specie da utilizzare in questi casi.
In realtà gli elenchi predisposti sono diventati tre: il primo indicante le specie comuni a
tutti i Giardini e ottenute dalle piante madri conservate a San Pietro Capofiume per
propagazione vegetati va; il secondo indicante le specie comuni a tutti i Giardini, ma reperite
in loco e perciò non provenienti da una stessa pianta madre; il terzo elenco, o meglio una terza
possibilità, comprendente tutte quelle piante che, per interesse locale o per altro motivo,
possono essere messe a dimora nei Giardini italiani.
Del primo elenco fanno parte le seguenti specie: GrotoegtlS monogyno, Gory/ui avellono,
Ligustrom vu/gore, Robinio pseudoococio, SombUCIIS nigro, Solix ocutifo/io, So/ix smithiono e So/ix
f)imino/is.
Le tre diverse specie di salice, derivate dalle piante madri conservate in Germania
dall'LP. G., consentiranno il collegamento con la Rete fenologica internazionale.
Il secondo elenco è composto da: Gomus mos, Gomus songuineo, Popu/us conescens,
Pronus avium, Spottium junceum e Ti/io cordoto.
Del terzo elenco fanno parte tutte le specie non comprese nei primi due.
Per maggior completezza, di seguito, sono allegate delle schede sintetiche sulle
principali caratteristiche morfologiche delle specie comprese nei due primi elenchi.
DESCRIZIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE INDICATRICI
Salix acutifolia Willd. Famiglia Salicaceae Fiorisce tra marzo e aprile, prima della fogliazione. Arbusto dioico di grosse dimensioni o, raramente, albero. Foglie lunghe 6-15 cm, 5 volte più lunghe che larghe, lanceolate o lineari-Ianceolate, acuminate, serrate; grigio chiaro e lucide superiormente, opache grigio-verdi e pallide inferiormente. Picciolo lungo circa 15 mm. Stipole lanceolate, acuminate e serrate. Gli amenti sono coperti da una lunga e lucente peluria biancastra, prima della fioritura; peduncolo corto. Salix smithiana Willd. (Salix X dasyclados Wimm.) (Salix viminalis X caprea) Famiglia Salicaceae Fiorisce tra marzo e aprile, prima della fogliazione. Arbusto o piccolo albero (4-6 m) dioico, a rami fittamente bianco-pubescenti, glabri e bruno scuri a maturità. Foglie lanceolate, lunghe 13-25 cm, a margine debolmente revoluto, crenulato o crenulato­
dentato, di sopra glabre o glabrescenti, sulla pagina inferiore dapprima pubescenti, infine glabre. Picciolo lungo circa l/IO del lembo. Amenti cilindrici, lunghi 4-5 cm, bianco villosi, provvisti di peduncoli con 2-4 foglie. Brattee ovali o largamente lanceolate, bicolori, brunastre, più scure all'apice. Fiori maschili e femminili con un solo nettario. Filamenti glabri. Capsula ovale, lunga fino a 4 mm, brevemente stipitata, densamente bianco-pubescente. Preferisce i terreni sabbiosi lungo le sponde dei corsi d'acqua di pianura. 23 Salix viminalis L. Vimine, Vetrice Famiglia Salicaceae E' diffuso in pianura e prima collina, raramente fino ai 1500 m. Vigoroso arbusto (2-10 m), dioico, a rami allungati, grigio pubescenti, poi glabri, opachi, giallo verdastri o bruno grigiastri, a corteccia internamente verde. Foglie lineari o lineari-Ianceolate ovvero strettamente lineari, lunghe fino a 15 cm, 8-18 volte più lunghe che larghe, attenuate all'apice, cuneate alla base, a margine revoluto, intero od oscuramente sinuato-dentato, di sopra verdi scure, inferiormente bianco sericee. Picciolo lungo fino a 1 cm, pubescente. Amenti pittosto tozzi, con peduncolo densamente pubescente, provvisto di qualche foglia, i maschili lunghi 3-3,5 cm, eretti, i femminili lunghi 3 cm, più o meno arcuati, densiflori. Brattee ovali, bicolori, bruno scure all'apice, più chiare in basso, lungamente grigio-villose. Stami a filamenti lunghi fino a 3 volte la brattea, glabri; antere gialle. Capsula ovoidale, sessile, lunga fino a 5-6 mm, fittamente pubescente. Stilo lungo più della metà dell'ovario. Predilige terreni umidi e inondati. Populus canescens Aiton Pioppo canescente Famiglia Salicaceae Albero caducifoglio alto fino a 20 m; corteccia dapprima liscia, di colore grigio verdognolo o bruno verdognolo, poi screpolata. Foglie di 3-8 cm, rotondeggianti, con margine sinuato dentato, di colore grigio-tomentose di sotto; picciolo cmpresso. Le foglie dei polloni sono di forma triangolare-ovata. Specie dioica; fiori disposti in amenti. Bratte fiorali lacinate. Amenti fruttiferi lunghi fino a 12 cm. I frutti sono piccole capsule che contengono numerosi semi lungamente pelosi. Fiorisce da marzo a maggio e fruttifica da maggio a luglio. Diffuso in montagna e collina, localmente anche in pianura. Eliofilo, tollera però l'ombra. Preferisce un clima temperato, fresco e umido. Assai frugale, si adatta a terreni poveri, con umidità stagnante, ma mal tollera la presenza di calcare. Sporadico, cresce nei boschi misti con carpino, castagno, frassino e salice. Si propaga per seme per polloni radica ti, mentre difficile è la propagazione per talea, salvo l'applicazione di metodi specifici, con l'impiego di ormoni. Corylus avellana L. Nocciolo Famiglia Corylaceae Fiorisce tra gennaio e marzo e fruttifica tra agosto e settembre. Diffuso nella fascia collinare e in quella montana inferiore (O - 1700 m) Arbusto o alberello a foglie caduche alto fino a 6-8 m. Corteccia liscia di colore bruno-grigio, lucida, cosparsa da macchie più chiare. Gemme ellittiche, glabre, verdi; foglie quasi orbicolari, acuminate, doppiamente seghettate, cordate alla base, a volte vagamente lobate; Specie monoica; fiori maschili raggruppati in amenti penduIi, lunghi fino a 8 cm: fiori femminili piccoli, nascosti nelle gemme e mostranti al momento della fioritura solo gli stimmi, che sono simili a peluzzi rossi o violacei. L'infruttescenza è composta da 1 a 4 noci di 1,5 - 2 cm ciascuna, quasi completamente avvolte da 2 brattee fogliacee pubescenti e sfrangiate. Specie mediamente lucivaga, abbastanza frugale: adattabile al substrato, preferisce comunque terreni profondi e sciolti, rifuggendo da quelli troppo compatti. Il Nocciolo si trova al margine o dentro boschi di diverso tipo della fascia collinare, submontana e montana. Si propaga per seme o per polloni radicati. 24
Crataegus monogyna J a.cq. Biancospino Famiglia Rosaceae Fiorisce tra maggio e giugno e fruttifica in estate. E' diffuso sia in pianura che in collina. Arbusto spinoso o piccolo albero, alto fino a 6 m, con chioma espansa ed intricata: rami giovani scuri, glabri, con spine acute alla base dei rami abbreviati. Foglie alterne (o quasi opposte), su esile picciolo lungo 2-3 cm, a lamina coriacea lunga 3-5 cm, romboidale e profondamente lobata a 3-5 (7) lobi, a margine sinuoso-crenato o grossolanamente dentato. Infiorescenza ad ombrella con peduncoli dritti, verdi: calice campanulato con 5 brevi e sottili denti: corolla con 5 petali bianchi e subrotondi; 20 stami ed l stilo. Frutto ovale o globoso, di 6-9 mm di diametro, rosso e ceroso, con polpa farinosa ed un solo seme giallo. Specie frugale, eliofila e moderatamente xerofila, il Biancospino si trova in siepi e boschi luminosi; prende parte ai cespuglieti di ricostituzione dei boschi a Querce caducifoglie. Prunus avium L. Ciliegio selvatico Famiglia Rosaceae Fiorisce tra marzo ed aprile e fruttifica tra giugno e luglio. E' spontaneo in montagna e collina, coltivato in pianura. Albero alto fino a 30 m, con tronco eretto, cilindrico e rami che formano una chioma piramidale e rada. La corteccia, rosso-bruna a maturità, si distacca in strisce orizzontali. Le foglie, i fiori ed i frutti, sono portati all'apice da rametti laterali con internodi raccorciati (brachiblasti). Le foglie, alterne e lungamente picciolate, sono a lamina, da ovato-oblunga ad obovata (12-15 x 5-7 cm), cuneata alla base ed a margini doppiamente dentati; verde scuro, glabre superiormente e più o meno pelose, chiare, sulla pagina inferiore. Fiori ermafroditi con lungo peduncolo e riuniti in gruppi da 2 a 6; i 5 petali sono bianchi, rotondato-smarginati. Il frutto (drupa) è globoso, rosso scuro o nero-purpureo a maturità, lucido, dolce, con epicarpo aderente alla polpa ed endocarpo (nocciolo) globoso e liscio. Spartium junceum L. Ginestra odorosa Famiglia Leguminosae Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica tra agosto e settembre. E' diffuso nella bassa e media collina. Arbusto inerme, alto 0,5-3 m, con rami eretti giunchiformi e rametti cilindrici verdi; le foglie precocemente caduche, sono rade, opposte e subsessili, Iineari-lanceolate. Fiori grandi (lunghi circa 20 mm) in radi racemi terminali; calice verde, piccolo e corolla papilionacea giallo-brillante; il vessillo è subrotondo con ali ristrette aderenti alla carena, che è sottile ed acuminata; stami 10, concresciuti fino a 2/3 attorno allo stilo, che è peloso alla base. Il legume è eretto, leggermente falciforme, lungo 4-8 cm e largo 5-7 mm, compresso, peloso per peli sericei, quasi nero a maturità, semi da 10 a 14. Specie decisamente eliofila e xerofila, forma densi popolamenti nelle basse e medie colline, anche su suolo argilloso; entra a far parte, in stazioni particolarmente aride e su suolo povero, dei popola menti di cespugli interpretabile come stadio di passaggio verso i querceti della fascia submediterranea. 25 Robinia pseudoacacia L.
Robinia
Famiglia Leguminosae
Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica tra luglio e settembre. E' comune dalla pianura alla
bassa montagna, subspontanea e coltivata.
Albero alto sino a 20 m, armato di robusti spini originati dalle stipole fogliari.
Il tronco è eretto, i rami sono lisci, i rametti angolosi e bruno-rossastri; corteccia rugosa, bruna
e fessurata longitudinalmente.
Le foglie sono imparipennate con 4-10 paia di foglioline glabre, brevemente picciolate, ovali o
bislunghe (4,5 x 2,5 cm), a margine intero, con piccolo mucrone apicale; sono verdi
superiormente e grigio-verdi inferiormente.
Fiori in grappoli di 15-25, odorosi; il calice è campanulato, verde chiaro e peloso, a brevi denti
triangolari: la corolla è papilionacea, bianca, precocemente caduca, con vessillo ampio ad apice
da arrotondato a debolmente rostrato.
Il legume è coriaceo, lineare (lungo fino a 20 cm), compresso, deiscente, rosso bruno a
maturità; i semi da 3 a 10, sono duri e bruno-nerastri, oblungo-reniformi.
La Robinia è specie eliofila, ampiamente adattabile e spontanea sia in stazioni calde ed
assolate sia in luoghi più o meno freschi ed umidi.
E' originaria dell'America settentrionale-orientale ed è stata importata in Europa nel XVII
secolo. La sua diffusione è stata, anche eccessivamente, favorita dalle attività umane.
Si propaga per seme, per talea e per polloni radicati.
Tilia cordata Miller. Tiglio Famiglia Tiliaceae Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica a settembre. Spontaneo in collina e bassa montagna, coltivato al livello del mare. Il Tiglio è un albero d'alto fusto. Le foglie sono larghe, tendenzialmente cordate e più o meno asimmetriche e con apice bruscamente ristretto. Fiori, con 5 petali, riuniti in infiorescenze di 2-5 fiori, pendenti, all'ascella di una foglia e con una brattea molto evidente in parte saldata al peduncolo. Il frutto con pericarpo legnoso, fragile, con coste longitudinali. Il Tiglio è mesofilo, tendenzialmente sciafile; preferisce terreni fertili e profondi. E' diffuso nei boschi di lati foglie dell'Europa centrale e in Italia è presente in gran parte del territorio, esclusa la Sardegna; la Calabria e la Sicilia. Si propaga per seme, per talea o per polloni radicali. ComusmasL. Corniolo maschio Famiglia Cornaceae Fiorisce tra febbraio e aprile e fruttifica tra agosto e settembre. Diffuso normalmente tra il livello del mare fino a 400 m, ma eccezionalmente arriva anche fino a 1.400 - 1.800 m. E' un arbusto o alberetto alto da 1 a 6 m, con corteccia grigia con crepe rossastre; gemme avvolte da 2 squame acute (2 x 6 mm), carenate, pubescenti. Foglie opposte, ovato-acuminate, fiori gialli in ombrelle ascellari che compaiono prima delle foglie, avvolte da brattee cuoriformi-acuminate. Il frutto è una drupa oblunga, di colore rosso a maturità, liscio e lucido. In boschi e siepi soprattutto nell'Italia settentrionale e centrale. 26
Comus sanguinea L. Sanguinello Famiglia Cornaceae Fiorisce tra aprile e giugno e fruttifica tra agosto e settembre. E' diffuso tra la pianura e i 1200 metri. Arbusto a foglia decidua, alto sino a 4 - 6 metri, con rami allungati di color rossastro, vistosi soprattutto in inverno. Foglie ovali o ellittiche, opposte, di color verde chiaro, in autunno diventano rosse. I fiori, che sbocciano dopo le foglie, sono bianchi, a quattro petali, riuniti in corimbi terminali. I frutti, drupe sferiche della dimensione di un pisello e di colore purpureo-nerastra a maturità, sono riuniti in dense infruttescenze. Cresce in suoli profondi e fertili, di preferenza calcarei, nei cespuglieti, nelle siepi, ai bordi dei boschi o nel sotto bosco. Ligustrum vulgare L. Ligustro Famiglia Oleaceae Fiorisce tra aprile e giugno, fruttifica in settembre. E' diffuso dal livello del mare fino a 1300 m. E' un arbusto alto 2-3 m con corteccia scura e liscia e rami flessibili. I rami giovani sono leggermente pelosi. Le foglie sono intere, opposte, di forma ellittica o lanceolata e sono solitamente persistenti. I fiori sono bianchi, riuniti in pannocchie terminali compatte. I frutti sono bacche nere, rotonde, grosse come piselli, con polpa violetta, persistenti tutto l'inverno. Si trova in boschi caducifogli termofili, soprattutto al margine, nei boschi degradati, nei cespuglieti e nelle siepi. Sambucus nigra L.
Sambuco
Famiglia Caprifoliaceae
Fiorisce tra aprile e luglio e fruttifica a settembre. E' presente tra il livello del mare e i 1800
m. Pianta legnosa di 1-8 m con odore fetido; rami giovani verdi con lenti celle longitudinali, corteccia bruna con fratture longitudinali e solchi profondi. Foglie opposte imparipennate con 5 - 7 segmenti ellittici e lanceolati, acuminati, i maggiori seghettati. I fiori sono bianco-lattei con odore molto forte, riuniti in infiorescenze cimose lungamente peduncolate con i rami primari quinati, stami con antere gialle; i frutti sono drupe nero­
violacee, lucide. Il Sambuco si trovano in boschi e in siepi e in ambienti di reinsediamento della vegetazione forestale, anche un poco ruderali, su suoli umidi. 27 BIBLIOGRAFIA AA.VV. 1983. Alberi e arbusti dell'Emilio-Romagna, Bologna, Azienda Regionale delle Foreste
dell 'Emilia-Romagna.
AA.VV. 1964. Floro Europoeo, Cambridge, Cambridge University Presso
Fiori A. 1969. NuO'Vo Flora Analitico d'Italia, Bologna, Edagricole.
Mandrioli P.; Malossini A; Negrini M.G.; Ventre A. 1982. Fenologia e Agricoltura - Lo stazione
fenologico di S. Pietro Copofiume, Bologna, Regione Emilia-Romagna.
Martini F.; Paiero P. 1988.1 salici d'Italia, Trieste, Lint Ed.
Pignatti S. 1982. Floro d'Italia, Bologna, Edagricole.
Puppi Branzi G. 1989. RillJVomenti fenologici su piante dello flora spontaneo, Quaderni
metodologici n. 12 - Metodi di rilievo e di rappresentazione degli stadi fenologici, Roma,
CNR - IPRA.
28 IV CRITERI PER IL RILEVAMENTO FENOLOGICO: ANGIOSPERME Giovanna Puppi Branzi
Dipartimento di Biologio Evoluz.ionistico Sperimento/e Università di Bologno 1
PREMESSA
In questo contributo intendo puntualizzare le problematiche inerenti il rilevamento
fenologico in generale, con particolare riguardo alle Angiosperme, trattando soprattutto alcuni
aspetti relativi alle chiavi fenologiche che non avevo sviluppato in un precedente scritto di
argomento analogo (Puppi Branzi, 1989)
Innanzitutto è bene precisare quali sono i criteri informatori della metodologia di
rilevamento fenologico.
A)
Il rilevamento deve essere effettuato in modo da permettere di
RAPPRESENTARE UN EVENTO FENOLOGICO nei suoi tratti essenzialì: deve permettere ad
esempio di ricostruire l'andamento della fioritura o della fogliazione di una o più specie in una
determinata stazione. Questo si ottiene adottando una frequenza di rilevamenti e una chiave
fenologica appropriate, come verrà illustrato più avanti.
B)
Il rilevamento deve rispondere a criteri di OBIETTIVITÀ per permettere il
confronto dei dati provenienti da diversi rilevatori: si deve fare attenzione che la metodologia
adottata per effettuare i rilievi lasci poco spazio a interpretazioni soggettive del rilevatore.
C)
Il rilevamento deve permettere di VALUTARE LA VARIABILITÀ fenologica tra
piante della stessa specie per poter sottoporre i dati rilevati ad elaborazioni statistiche. I rilievi
vanno dunque effettuati con i metodi e criteri della FENOLOGIA QUANTITATIVA, che consiste
nella registrazione delle quantità di individui di una certa specie che si trovano nelle diverse
fenofasi. Quando gli individui sono molto numerosi e non possono essere osservati tutti, tali
quantità possono essere stimate in vario modo: con valutazioni cumulative mediante
percentuali (Tab.l) riferite alla copertura della specie nella stazione (vedi scala di
Braun-Blanquet in Tuxen, 1962) o al numero di individui (vedi la scala quantitativa in Kriisi,
1981) oppure con valutazioni analitiche mediante conteggi fino ad un limite numerico
massimo (vedi Puppi e Speranza, 1983).
2
LE CHIAVI DI RILEVAMENTO
Le fenofasi vengono registrate usualmente mediante delle chiavi fenologiche: queste
consistono in serie di stadi fenologici (o fenofasi) sinteticamente descritti che rappresentano
nei tratti essenziali lo svolgersi di un evento fenologico, quale la fioritura, fruttificazione o
fogliazione. Le chiavi fenologiche possono essere di tipo QUALITATIVO quando le descrizioni
delle fenofasi sono esclusivamente di tale tipo (vedi ad es. Valenziano e Miscetti, 1983),
oppure QUANTITATIVE quando le fenofasi rappresentano stadi di un unico fenomeno graduale
di sviluppo (ad esempio lo srotolamento e distensione delle fronde delle felci) e richiedono
valutazioni quantitative (generalmente in termini percentuali). Per lo più le chiavi fenologiche
29 sono a carattere misto, con alcune fenofasi qualitative e altre quantitative, come nella note
chiavi di Ellenberg (1954) e di Dierschke (1972) (Tab. 2 e 3).
2.1
DETIAGLIO
Il dettaglio deve essere proporzionato agli scopi prefissi. Le chiavi fenologiche possono
essere composte da pochi. stadi (come la chiave generale della rete IPG: vedi Schnelle e
Volkert, 1964) o anche da numerosissimi microstadi. L'adozione di chiavi poco dettagliate può
essere adeguata per certi scopi ma in altri casi può risultare insufficiente e fornire informazioni
lacunose o addirittura inutilizzabili; d'altra parte chiavi di dettaglio troppo elevato rispetto agli
scopi comportano un inutile aggravio di lavoro.
2.2
SOGGETIIVITÀ ED ERRORI DI RILEVAMENTO
La obiettività del metodo di rilevamento, requisito indispensabile per poter
confrontare i dati, si consegue con l'adozione di chiavi di rilevamento standard che abbiano
fenofasi FACILMENTE INDIVIDUABILI e NON AMBIGUE. Grande importanza ha dunque la
definizione delle fenofasi, che devono essere fatte in modo da evitare errori di rilevamento o
interpretazioni differenti da parte di rilevatori diversi. Anche le valutazioni quantitative in
certi casi possono essere fonte di errori di rilevamento.
Ad esempio, nella chiave proposta da Ellenberg (Tab. 2), le fenofasi relative alla
distensione fogliare, espresse in percentuali delle dimensioni finali delle foglie, possono dare
luogo ad errori di valutazione: infatti le dimensioni finali delle foglie di una pianta non sono
costanti, ma dipendono da vari fattori, tra cui, l'età della pianta, la posizione della foglia, la
densità delle piante circostanti ed inoltre da vari fattori ambientali come temperatura, acqua,
luce.
Difficoltà ed errori nel rilevamento possono essere legate anche alla dimensione degli
organi. Se non c'è difficoltà nell'attribuire la giusta fenofase di fioritura ad una pianta con fiori
grandi (ad es. Ciliegio), questo può risultare meno agevole in casi di infiorescenze con fiori
piccoli (Sambuco, Corniolo) e molto difficile nel caso di infiorescenze formate da fiori
minuscoli non distinguibili a occhio (amenti di Salice o Nocciolo, capolini di Composite): in
questi ultimi casi è conveniente utilizzare chiavi con descrizioni ad hoc che permettano di
valutare lo stadio di fioritura della infiorescenza nel suo complesso (vedi Tab. 4, da Puppi et
al., 1988).
Anche il pericolo di ambiguità delle fenofasi non è certo da sottovalutare: più volte è
capitato di riscontrare, anche per chiavi molto collaudate, che due diversi rilevatori
interpretino una certa fenofase in modo assai diverso. A questo proposito è consigliabile agire
in modo empirico, favorendo incontri tra i rilevatori e mettendoli a confronto in campo, al fine
di individuare eventuali ambiguità delle chiavi adottate.
2.3
SPECIFICITÀ
Le chiavi di rilevamento possono essere GENERALI, quando sono applicabili a grandi
gruppi di specie (ed es. Angiosperme e Gimnosperme, oppure anche latifoglie, erbe ecc.),
oppure SPECIFICHE quando si riferiscono a singoli generi o specie e le descrizioni delle
fenofasi sono strettamente aderenti alle relative caratteristiche morfologiche e
morfogenetiche. E' da notare che nell'ambito dei grossi gruppi (ad es. Angiosperme) si
riscontrano rilevanti differenze strutturali e di sviluppo tra organi omologhi, che non possono
essere trascurate nelle descrizioni delle fenofasi, come ad esempio fiori con perianzio
30 sviluppato rispetto a fiori con perianzio ridotto o mancante oppure fiori distinti rispetto a
infiorescenze e pseudanzi con l'aspetto di singoli fiori (vedi Tab. 4).
Chiavi generali e specifiche hanno differenti vantaggi e svantaggi. Le chiavi generali
sono adottate soprattutto nei lavori di sinfenologia e di fenologia generale, perché rendono
immediatamente confrontabili i cicli fenologici di specie diverse; d'altro lato però possono
presentare difficoltà di applicazione e possibilità di errori di valutazione, perché in certi casi le
descrizioni sono poco aderenti alla realtà delle singole specie e richiedono sforzi interpretativi.
Le chiavi specifiche sono adatte soprattutto per lavori di fenologia applicata, in cui è
necessario individuare con grande precisione il momento di manifestazione di determinate
fenofasi di interesse applicativo.
Queste chiavi sono generalmente di agevole applicazione e non richiedono
interpretazione da parte del rilevatore; la elevata specificità però non sempre permette un
raffronto diretto tra cicli fenologici di specie diverse.
2.4
MODALITÀ DI RILIEVO E TIPI DI CHIAVI
Le chiavi possono essere distinte in due categorie a seconda che i relativi stadi
corrispondano a fenofasi ISOLATE (PUNTIFORMI) oppure a fenofasi SEQUENZIALI (INTERVALLI
CONSECUTIVI).
Nelle chiavi a fenofasi isolate vengono descritti solo alcuni eventi del ciclo
vegetativo o riproduttivo delle piante. Ne consegue che i rilevamenti devono essere
concentrati nei momenti in cui si verificano le fenofasi indicate, mentre nel resto del ciclo
vegetativo o riproduttivo non si effettua nessun rilievo. Inoltre le modalità di rilevamento
prevedono la registrazione della data di INIZIO e di FINE o COMPLETAMENTO di ciascuna
fenofase (Tab. 5 e 6). A questo proposito si può far cenno ad alcuni problemi relativi alla
individuazione dell'inizio e della fine di un fenomeno.
A)
Alcuni autori fanno riferimento a numeri assoluti: ad esempio l'inizio della fioritura di
una pianta corrisponderebbe alla apertura del primo fiore. Questo metodo è di facile
applicazione ma non ha valore statistico ed inoltre la data varia a seconda del numero di fiori
prodotti.
Questi inconvenienti si possono evitare facendo riferimento a percentuali (ad esempio
1-10%)
E' bene inoltre puntualizzare la differenza tra fine e completamento di un fenomeno.
Per FINE di un fenomeno si intende quella fase in cui il fenomeno si è appena
manifestato ma ormai non è più presente o quasi sulla pianta osservata: ad esempio fine della
fioritura è il momento in cui sfioriscono gli ultimi fiori.
Per COMPLETAMENTO invece si intende il momento in cui il fenomeno si è
manifestato in tutte le parti della pianta: ad esempio il completamento della antesi si verifica
quando tutti i fiori sono sbocciati e quindi non ci sono più fiori in boccio (possono esserci o no
fiori appassiti). E' evidente che il completamento della antesi si verifica in un momento
precedente a quello della fine.
Nel caso di chiavi a fenofasi sequenziali tutto il ciclo fenologico viene suddiviso
in intervalli e a ciascun intervallo corrisponde una fenofase (Tab.7): le fenofasi non hanno
necessariamente la stessa lunghezza, anzi spesso coesistono fenofasi brevi con altre lunghe.
B)
Ne consegue che in qualunque momento dell'anno è possibile attribuire una fenofase
alla pianta osservata e quindi si possono effettuare rilevamenti anche a cadenza regolare
31
(settimanale o decadale): comunque c'è una certa elasticità nella programmazIOne dei
rilevamenti senz'altro superiore a quella del caso precedente.
In conclusione le chiavi a fenofasi isolate permettono di studiare con maggior
precisione alcuni fenomeni ma esigono una precisa programmazione dei rilievi che devono
essere mirati alla individuazione dei momenti di inizio e fine delle fenofasi e quindi molto
frequenti in certi periodi dell'anno che però variano da specie a specie.
Le chiavi a fenofasi sequenziali sono consigliabili nei casi in cui la campagna di rilievi
per vari motivi non possa rispondere ai requisiti di cui sopra.
3
LA VARIABILITÀ FENOLOGICA
La variabilità fenologica si esplica a diversi livelli
tra
tra
tra
tra
tra
C. RIPRODUTTIVO
C. VEGETATIVO
TIPO DI VARIAZIONE
popolazioni
piante
infiorescenze
fiori
stami/ovari
popolazioni
piante
rami
gemme
foglie
casuale
casuale
non casuale
non casuale
non casuale
Il comportamento fenologico di una pianta può essere visto come quello di una
popolazione di fiori o foglie. Poiché le variazioni fenologiche entro un individuo non sono
casuali ma dipendono dalla posizione dei vari elementi, il rilevatore dovrebbe tenerne conto.
Questo problema diventa non secondario nella rilevazione delle piante arboree, in cui,
a causa della accentuata scalarità dei fenomeni e delle difficoltà di osservazione dovute alla
grande taglia, risulta arduo dare una valutazione globale dello stadio fenologico della pianta:
una valutazione effettuata osservando alcuni rami scelti casualmente può portare ad errori di
valutazione e a disparità di valutazione tra diversi rilevatori.
4
UNITÀ DI OSSERVAZIONE
L'oggetto del rilevamento fenologico è senza dubbio la singola pianta, tuttavia, proprio
a causa della scalarità del manifestarsi degli eventi fenologici nei singoli individui, è opportuno
introdurre il concetto operativo di UNITÀ DI OSSERVAZIONE che rappresenta ciò che
viene osservato dal rilevatore per giungere alla attribuzione della fenofase.
L'unità di osservazione può essere la pianta in toto, oppure singoli organi e parti di
essa. Se come unità di osservazione viene scelta la pianta in toto , bisogna adottare chiavi di
rilevamento le cui fenofasi siano comprensive della variabilità entro l'individuo. Se invece si
scelgono come unità di osservazione singole parti di una pianta (gemme, foglie, fiori, frutti) si
dovranno effettuare valutazioni quantitative della presenza delle fenofasi mediante valutazioni
percentuali (vedi Tab. 6) o scale quantitative in classi: a questo proposito si deve citare un
interessante metodo per la rilevazione fenologica delle piante arboree elaborato da Schirone
(1988 e 1989) (vedi Tab. 8).
5
CONCLUSIONI
In considerazione di quanto è stato sopra discusso, si può tentare di definire una
metodologia di rilevamento fenologico che risulti ottimale per i nostri scopi e cioè il rilievo dei
dati nei Giardini fenologici.
32
A questo scopo sono state elaborati due diversi tipi di scheda fenologica con relative
norme di rilevamento (Tab. 5, 6 e 7), che dovrebbero essere sperimentate da diversi operatori
in un primo anno: in seguito, se il riscontro sarà positivo e dopo le opportune modifiche, tra
queste verrà scelta la scheda da adottare in tutti i Giardini Fenologici Italiani.
E' allo studio anche la possibilità di preparare chiavi di rilevamento specifiche per le
principali specie coltivate nei Giardini fenologici, a cui verrebbe unita una tabella di
equivalenza con la scheda generale per rendere comparabili i dati tra specie diverse.
33 Tabella l
SCALE QUANTITATIVE UTILIZZATE NEI RILEVAMENTI
Scalo di abbondanza - dominanza di Braun - Blanquet
specie sporadica a copertura trascurabile
specie frequente ma con copertura inferiore al 5%
specie con copertura tra il 5% ed il 25%
specie con copertura tra il 25% ed il 50%
specie con copertura tra il 50% ed il 75%
specie con copertura superiore al 75%
+
l
2
3
4
5
Scalo delle frequnl:e pen:enluoli (Kriisi, 1981)
+
l
2
3
4
5
o
5%
20%
40%
60%
80%
5%
20%
40%
60%
80%
100%
degli individui
•
Tabella 2
Chiave propOSIO do Ellenkrg (Ì954) e (1974) distinlo in scalo vegeto/roo e scalo riproduttivo. (ELLENBERG H.,
1954 - Naturgemasse anbauplanung, Melioration und Landesplege-Landw. Pflanzcnsoziologie III, Sruttgard.
·1974· Wuchsklima-Gliederung von Hessen auf pflanzenphanologischen Grundlage - Hess. Ministcr fiir Landw.
u. Unwelt (Hg), Wiesbaden.
SVILUPPO FOGLIARE
SVILUPPO FIORALE
l Aspetto invernale
2 Gemme rigonfie
3 Gemme fortemente rigonfie
4 Gemme prossime alla schiusura
5 Schiusura delle gemme e inizio distensione delle foglie
6 Foglie giovani, fino a 1/4 delle dimensioni finali
7 Foglie giovani, fino a 1/2 dimensioni finali
8 Foglie distese fino a 3/4 dimensioni finali
9 Foglie distese oltre i 3/4 dimensioni finali
lO Foglie completamente distese
l Gemme dormenti
2 Gemme - bocci rigonfi
3 Bocci fortemente rigonfi
4 Bocci prossimi a sbocciare
5 Inizio della fioritura
6 Fino al 1/4 dei fiori aperti
7 Fino a 1/2 dei fiori aperti
8 Piena fioritura
9 Inizio della sfiori tura
lO Completamento della sfiorirura
34
Tabella 3
CI1ÌOfJe proposla da Dierscl1le suddivisa, per sladi fJegelatitJi egeneralÌfJi, Ira latifog/ie, graminaro e a/I" erbe.
(Dierschke H., 1972 - Zur Aufnahme und Darstellung phanologischer Erscheinungen in Pflanzcngesellschaften
- in: Tuxen R. (Ed.) Grundfragen und Methoden in der Pflanzcnsoziologie - Ber. Int. Symp. der Int. verein. filr
Veg.; Junk Verlag. Den Haag).
FASI VEGETATIVE
Latifog/ie
Graminaro
Erbe
Ogemme chiuse
Osenza germogli epigei
l germogli visibili
2 prima foglia distesa
3 2-3 foglie distese
4 inizio sviluppo culmo
5 parziale sviI. culmo
6 pianta compI. svilup.
7 inizio ingiallimento
8 ingiallimento fino al 50%
9 ingiallimento oltre il 50%
lO disseccamento totale
Osenza germogli epigei
l gemme con apice verde
2 foglie verdi piegate
3 f. distese fino al 25%
4 f. distese fino al SOCio
5 f. distese fino al 75%
6 chioma compI. svilup.
7 inizio ingiallimento
8 ingiall. fino al SOCio
9 ingiall. oltre il SOCio
lO completa caduta foglie
l germogli visibili
Z prima foglia distesa
3 2-3 foglie distese
4 più foglie distese
5 foglie distese quasi tutte
6 pianta completamente sviluppata
7 inizio ingiallimento
8 ingiallimento fino al SOCio
9 ingiallimento oltre il SOCio
lO disseccamento totale
FASI RIPRODUTTIVE
Lati/og/il
Graminaro
Erbe
O assenza di bocci
l bocci visibili
Z bocci rigonfi
3 bocci semi aperti
4 inizio fioritura
5 fiori sboc. fino al 25 %
6 fiori sboc. fino al 50 %
7 piena fioritura
8 inizio sfiori tura
9 sfiori tura completa
lO maturazione dei frutti
Il dispersione dci semi
Osenza visibili infiorescenzc
O assenza di bocci
l bocci visibili
2 bocci rigonfi
3 bocci semiaperti
4 inizio fioritura
5 fiori sboc. fino al 25 %
6 fiori sboc. fino al 50 %
7 piena fioritura
8 inizio sfiori tura
9 sfiori tura completa
lO maturazione frutti
Il dispersione dei semi
l infior. chiuse ma visibili
2 inizio uscita infiorescenza
3 infior. completo uscita
4 infiorescenza sviluppata
5 inizio liberaz. polline
6 fino al 50 % fiori Iib. poi.
7 max liberazione polline
8 inizio sfioritura
9 sfiori tura completa
lO maturazione dei frutti
Il dispersione dci semi
Tabella 4
Scala usata per il rilevamento degli stadi di fioritura, da Marcello (1935 e 1957), integrata e modificata da Puppi
et al (1988)
l
(+)
O
O
2
+
O
O
3
+
+
O
4
+
+
+
5
O
+
+
6
O
O
+
7
O
O
O
boccioli presenti ma poco sviluppati
amenti immaturi, poco sviluppati, rigidi
boccioli rigonfi con petali visibili
amenti immaturi, sviluppati, flessibili
boccioli rigonfi e fiori aperti
amenti in parte immaturi, in parte maturi
presenza di boccioli, fiori aperti, fiori sfioriti
amenti CI maturi (che liberano polline)
fiori aperti e fiori appassiti
amenti CI maturi ed amenti esauriti (che non rilasciano polline)
fiori appassiti
amenti CI esauriti che non rilasciano più polline
inizio della formazione dci frutto, fiori caduti
amenti CI caduti, amenti 9 in fruttificazione
35
Tabella 5
SCHEDA OSSERVAZIONI FENOLOGICHE
ANGIOSPERME LEGNOSE
,.........-Anno-----"""i
Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici
Posizione: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 1
Specie: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Provem~:
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1
Varietà: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Età:
INome comune: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Anno d'impianto: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
-----------------­
FASI FENOLOGICHE RIPRODUTTIVE
FASI FENOLOGICHE VEGETATIVE
RI comparsa boccioli o amenti
R2 boccioli o amenti completamente sviluppati
ID fioritura o pollinazione
R4 caduta petali o caduta amenti
RS allegagione
R6 completo sviluppo e viraggio colore del frutto
R7 dispersione dei semi o dei frutti
rigonfiamento gemme
apertura gemme vegetative
distensione del lembo fogliare
viraggio di colore delle foglie
VS caduta foglie
VI
V2
V3
V4
Data di
fasi
Data di
fase
inizio
fasi
'"
inizio
I!-­
r:sa, ICI
fase mediana
. . .•••••. ,·.. . ·.·. • . . i .>
..'.:'."':'':'.•. ::c. •••':'::.•' .•.
V2 1·.·(·.·.··· ·<>r.•.•·••.•.• ·•·•· •· • ·.· .:
V3 l/n
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....•.
ID
1••••••••••••• •••• •· •••••••.•· . \ / / · · . ·••••• ·•••••••
RS
.i\ . . :.:• • • • •. . .• :•• . • • •
••.•••••·•·•••••:•..··•..····:··:\H
OSSERVAZIONI
OPERAZIONI COL11JRALI
tipo
data
mOPATIE
tipo
data
36 .< .. : .•.
• ••
Tabella 6
GR
Le rilevazJoru fcnologsdle vanno effeuuate lUi singoli
di ciuc:uaa
c:on cadenza lICUimaIIaIc; per le fui ad evoluzione rapida lÌ c:onsiglia una cadenza
bisettìmana.le, II rilevmlClllO consiste nelridcntificazione deUa fase feoologica (talora lÌ verifica la ......_
di pii! fui) in cui si trova l'individuo. Le fui fcnologidle
indicale nella relativa chiave di rilevamento. Poic:bé le fcnofui lÌ prIIICiIUnO pnera1mente in modo _Iare anche entro WIO _ _ individuo,
(fmofasi) da rilevare _
per ciasc:una fenofaM va indic:ala la dala di inizio, la dala mediana e quella di compleWnerJlo del fonomcoo. Per dala d'inizio di una fenofaM si intende quando questa lÌ
manifesta in una pia:ola parte deUa pianta (meno del 10%), menIre il RIIlO della pianta è inter-.Io da fenoCui pnICedcnti. Per fase mediana lÌ intende quando la
fenofase è ~ in circa in metà della pianla (40",4 - 60%). Per dala di compleWnerJlo del fCl1OlllllllO, lÌ intende quando la fcnofaselÌ è IIWIifClù1a in tuU.a o quasi la
pianta (90%. 100%).
Nella pianta esaminala la pm:aUUaIe di lIWIifesaazionc di una fcnofase si valutA in bae allo ltaIo fcoologico delle relative unità elanentari di ~: per ciasc:una
fmofase infatti viene indic:aIa l'unità eIcmeaCare di quervazione, dIe può eaere la pmma, la foglia. il fiore, Irmtioresec:ma, ccç..
Anno: indicare ramau solare alla qua1c _
riferiti i dali feoologici rilcva1i..
Spede: indicare genere e specie della pianta indicatric:e.
Varietà: indicare la varietà o la cutUvv della pianta indic:atricc.
PosizioDe: indicare la lilla deUa posizione nel qua1c a1I'intcmo del giardino fcoologico la pianta è .... c:olloada., oombinando. se le piante _ dispoIle in filari, la sigla
del filare e i l _ deUa poIizione Della qua1c lÌ trovano; (es. filare B, poIizione 3 - 83).
Proveaieaza: DII caso che Ili tratti di una pianta presa in lIIIàmI. indicare il luogo di proveDienza. Nel caso che la piaDta lÌ .... acquiawa, indic:IIre. se poaibile, il vivaio
di provaùenza..
Età: indicare
della pianta.
Anno .'wplllllto: indicare r_ DII quale la piaDta è .... IIICIIII a dimora DII giardino fenologic:lo.
OaemlZioal: lpIZÌO l'ÌsemdO aI1c l.lIIII«VaZioa che lIOfI ricntnno DIlle tipoIogie previIle dqIi aIIri
deUa lC:heda.
F1topllde: indicare il tipo di fitopdia (maIaUie ftmginee, aIIaDCbi di inseui, viroIi, bùtIriosi, cIaIIIIi prowc:ad daJIa armdine. dal ge1o. dal wmo, daIIc lepri, dami
accidentali, ccç.) e la dala Della qua1c è llOIIItpaI'IL
Openzlanl eoItanIII: iDdicIre il tipo di operazione (poùlura - t:raUameati amiplulllirari. indic:andoae il principio attivo - ooacimazioni - irripzione • ditadImcoto ­
spollonatura • ccç.) esepita lUlle piante indic:atric:i e la dala DIlla quale è swa compiuta. NOlI YamIO sepaIat.e le aormali cure del giardino .... hutun, zappatura,
rasatuta erba, ccç..
reti
acam
VI
,_ma.
RIGON .. IAHENTO GEXXE
ID
Fcnofase in cui le gemme vepl&live riprendono rattivitA dopo il periodo di riposo
invemale. Lo gemme _
villibilmeare ingroaaIe, ma le povaai fosJic in _
raa:biUleIlOfl _ _ viIIl"bili ~ copau daIIc pende.
Inizio~: 1I0Io podae..­ _
ripfie (1% - 10%), le altre _ invece
in fase quieIcaU.
Fase mediaoa: lIlCItà circa delle gemme _
ripfie (40% • 60%), le altre _ in
fase quielcelù.
CompIeWnerJlo del fenomeno: 1IdIo le pmme, o quui, _
rigonfie (90% lUtirQ di 061411'W1Zi0lftl:
R2
100%).
BoCCIOLI O AKltNTI COMPLET.uo:.NTIt SVILUPPATI
IINrQ di ollfll'fl(lZ/Olt: IlglUlli Q Rl.
V2
APERTURA GEXXE VEGETATIVE
ID pmma.
Fenof.ue in cui le perule lÌ cI.iIcbiucbIo e luciaDo WICire ahacno in patte le
povaai foglie: le foglioJiaelOllO bea villibillmalllCOla ripiepte.
Inizio fenomeno: solo podae gemme _
çate (1%· 10%), le altre _
invece
DIlle fiIÌ precedenti
Fase mediana: circa metà delle gemme _
çate (40% - 60%), le altre
UICOt'a DIlle faIi precedenti
CompleCameato del fenomeno: 1IdIo le pmme, o quasi, lÌ _
çate (90% ­
1I1flrQ di 06I4II'WIZi0lftl:
100%).
V3
DISTENSIONE DEL LEX.O ..OGL .... RE
Fenof.ue in cui le JÌOVIIIÌ foglie spianano il lembo c:be iniziaJmeoIe era ripicpto
dentro le gemme; Dllrambito di ciuama geIIImIl lÌ intende nggillllla la fase
quando è presente ahacno una foglia a lembo dislcso..
Inizio fenomeno: solo podae gemme _
DIlla fase a fogli, distese (1%-10%), le
alue 1000 invece DlUe fui precedenti.
Fase mediana: .... circa delle gemme _
DIlla fase a foglie distese (40% 60%), le altre 1000 DIlle fui pnICedcnti.
Compleramento del fenomeno: 1IdIo o quasi tutte le gemme hanno foglie eon lembo
disteso (90%- 100%).
VIRAGGIO DI COLORE DELLE FOGLIE
ID fogIiD.
II1firQ dì ontlrWlZiOlftl:
Fcnofase in cui le foglie -.mOllO c:oIoraziooi divene dal verde (eaanpio vinDo
al giallo o alr-), per fCllOClllllÙ di _ _
Inizio fenomeno: solo podae foglie hanno cambiato colore (1% - 10% deUa
chi_), lo aIIre _ verdi.
Fase mediana: circa metà de11e foglie hanno cambiato colore (4O"At • 60% deUa
chioma), le altre 1000 verdi.
Completamento del fenomeno: 1IdIo o quasi 1IdIo le foglie hanno cambiato colore
(90%-IOO%dellachioma).
V5
CADUTA FOGLIE
di OSStlrvazlO1lfl: ID foglia.
Inizio fenomeno: la chioma è _
folta.. solo podae foglie sono cadute (1% 10% della chioma).
Fase mediana: la chioma li pracnta visibilrneftle diradata, circa metà delle foglie
_ cadute (40% - 60% della chioma).
CompIeramento del fenomeno: 1IdIo o quasi tutte le foglie sono c:aduu e la pianta è
- l00-,4della
limIti
che lIOfI emeaaao polliae.
R3
FIORITURA O POLLINAZIONE
1I1flrQ di 0IItII'W1IZiDII: apolJ Il Rl.
a) fieri Ibocciati: pildUi o lIt.Imi proad per l'impoIlinIzicne;
b) ~ c:on lIIICIre aperte c:be emeaaao polline.
R4
CADUTA PETALI O CADUTA AHENTI
apolJ Il Rl.
Fenofue Della qua1c i pcIaIi o JIi aa.Jti Ili -.-no dalla pianta.
IUfIrQ di 0IItII'W1IZiDII:
lI1firQ di 061411'W1Zi0lftl: l'ilUill_ dtIu.foglill dtlttwJllI dii JUta g_ma.
V4
a) i boccioli _
J:IIu.imi alla lICbiImn: è visibile il colore dei pdaIi;
b) &ti aa.Jti _....."..,..... sviluppati ma immaturi: 1àmi .... 1IIICIre inIaUc
R5
ALLECAGIONE JI1IÌrQ di onllT'WlZiOlftl: t1IItIrlo. Fmof.ue Della qua1c rovvio f - * o è villibile o ba
iaizÌIItD a tnlf"0I'IDInÌ
in iuuo. R'
COMPLETO SVILUPPO E VIRAGGIO DI COLORE DEL ratlTTO
lI1fil6 di onllrwrtioltll.: Il frrItto o
l'Inj"rJtnat:az4.
Fenofue che riguarda l'inizio della lDIIUnZÌOIle del iuuo. Si può individuare al
termine deU'~ dimensionale del fiuUo, in conùpoacIenza di
modiflClZioni che lÌ manifesc- in un viraggio di c:oIote rÌIpeUo al verde del
iuuo immaIuro e in un cambiameuto di consisIaIza del iuuo (intenerimento dei
liuIIi c:amoIÌ e indurimemo nei tiutti secchi).
R7
DISPERSIONE DEI SEHI O DEI "RUTTI
lllrirQ di 06IIII'WIZi0lftl: Il frrItID o l'/~1fZQ.
Nelle piante eon tiutti poIiIpermi deilccali. la fcnofase riguarda rapcrllln dei liuIIi
CIOIJIe8IICIIIe liberazione dei -m conIenIJtj (es. robinia, alice). Nelle altre
piante (tiutti c:amoIÌ o tiutti lOCdù 11IOIlOIIpCI1II), la fenof.ue riguarda la c:adu1a
spontanea dei tiutti (es. biancoIpino, ligll$tl'O, sambuco; nocciolo).
N.b.: DllI'individuazione dell'inizio, della fase mediana e del complewncnto del
fenomeno delle flui fenologidle riproduttive, valgono le regole esposIe nelle norme
di rilevuncnto pnenli.
1992·
37 \,00.1
00
-
I
ROS
R06
ROl
Roe
R09
R10
RII
RI2
R04
R03
R02
ROI
Boccioli oamenti presenlì ma poco sviluppati
Boccioli prossimi alla schiuslla, rigonfi, con pelali visibili; amni svi~paIi ma immaIIIl
Boccioli rigonfi e fiori aperti; amenti lmmaIuri e amenti che liberano polline
Piena fiorlura: boccioti, fiori aperti,fiori s1iorili, amenli che liberano polline
Inizio s1iorilla: fiori aperti efiori appassii; amenli che liberano poHine eamenti esaurII
Completa s1iorilla: liori appassii; amenli che non rilasciano più polline
Allegagione: inizio ingrossamento OVIli
(Nari ingrossati e pochi lruIIi immaturi
Frulli evidenti ma il prevalenza immaturi
Culmine della frullNicazione
Frulli in parte caduti, degenerali o secchi
Presenza di soli frulli residui
Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici
Età:
Provenienza:
Posizione:
Nome comune:
Varietà:
Specie:
Famiglia:
anno
'-­
I
Vl0
Vl1
V12
VI3
V14
ROI
R02
R03
R04
ROS
R06
R07
ROe
R09
RIO
RII
R12
V08
V09
VOI
V02
V03
V04
VOS
V06
V07
dala
settim.
11--_---'
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52
Gemme in riposo
Gemme rigonfie prossime alla schiusura
Gemme rigonfie insieme a gemme aperte, con foglioline ripiegate
Gemme appena aperte insieme afoglioline giovani con lembo disteso
Foglie giovani a lembo disleso
Foglie giovani insieme afoglie adula
Foglie adulte
Inizio della decolOfSZione togliare
Foglie prevalentemente decolOfate
Inizio disseccamento loglie
Foglie prevalentemenfe disseccate
Inizio caduta loglie
Foglie prevalentemente cadute
Pianta completamente spoglia
Osservazioni
V06
V07
V08
V09
VIO
VII
VI2
V13
V14
ROI
R02
Roa
R04
ROS
R06
R07
Roe
R09
RIO
Rll
R12
vos
VOI
V02
V03
V04
dala
seHim.
VOI
V02
V03
V04
VOS
V06
VOl
V08
V09
VIO
Vl1
V12
VI3
VI4
Fasi fenologiche
SCHEDA OSSERVAZIONI FENOLOGICHE - Angiosperme legnose
­-
c::r
Il:!
"'-l
Cl
;3
Tabella 8
Scala quantitativa proposta da Schirone et al. 1989
o­
O
1 = 2
2 == 16
3 == 45
4 = 56
5 = 85
6 == 99
- 15l
-
-
%
%
44 %
55 %
84 %
98 %
100 %
Schematizzazione delle classi percentuali prescelte. La figura in basso a destra rappresenta una
situazione ipotetica poiché mai riscontrata sul cerro, almeno per gli stadi definiti secondo la
chiave fenologica adottata.
39 BIBLIOGRAFIA 1. Dierschke H., 1972. Zur oufnome und Dorstellung pnonologiscner Erscheinungen in
Pflonungesellscnoften. In : Tuxen R. Grundfragen und Methoden in der Pflanzensoziologie .
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Metodi di Rilevo e di rappresentazione degli stadi fenologici. IPRA Quaderni metodologici
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6. Puppi G., Speranza M., 1983. Considerozioni su un ·esperienzo di riletlomento sinfenologico in
brogniere o mirtillo. Inf.Bot. Ital. 15 (2-3) pp. 225-30.
7. Puppi G., Zanotti A.L., Speranza M., 1988. Lo studio dei bioritmi neltemtorio: cortogrofio
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9. Schirone B., Parlante A., Sandoletti L., Tamantini M., 1988. Prime osservozioni sui ritmi
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Rilevo e di rappresentazione degli stadi fenologici. IPRA Quaderni metodologici n. 12, pp.
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finolità produttive: motivozioni e problemoticne. Inf. Bot. !tal. 15 (2/3) pp. 245-8.
40
v
IL RILEVAMENTO FENOLOGICO NELLE GIMNOSPERME Paolo Grossoni
Dipartimento di Biologia Vegçtale Università di Firmu 1
PREMESSA
I taxa utilizzabili in un giardino fenologico devono possibilmente rispondere ai requisiti
di:
- essere rappresenta bili tramite cloni;
- essere adattabili a situazioni pedoclimatiche anche molto diverse;
- permettere un agevole rilevamento delle fenofasi determinate.
Per quanto riguarda le Gimnosperme è da sottolineare che esse sono tutte piante
legnose e, in molti casi, a portamento arboreo; le foglie sono prevalentemente aciculari o
squami formi; mentre il legno è omoxilo e spesso sono presenti canali resiniferi. Gli alberi
hanno frequentemente i rami inseriti in verticilli. Nell'ambito nella biologia della
riproduzione e dello sviluppo, caratteristiche salienti e tipiche sono gli apparati riproduttori
che consistono in fiori unisessuati e che portano gli ovuli direttamente sulla superficie delle
squame ovuligere o di strutture analoghe. Nella fecondazione non viene interessata la
porzione protallare e i semi sono portati in un organo (lo strobilo) che è, quasi sempre, di
consistenza legnosa o cuoiosa.
Fra le Gimnosperme l'ultimo dei tre requisiti prima ricordati non è facile da soddisfare
in quanto, fra le Conifere indigene e quelle esotiche più diffuse, il portamento arboreo e
l'habitus sempreverde sono quelli predominanti. Questo provoca una difficoltà anche notevole
nella lettura degli eventi fenologici in quanto non esiste una fase evidente di filloptosi
(accompagnata, soprattutto, da una modificazione cromatica specifica) e la fioritura non è
sempre presente nei rami bassi accessibili dall'osservatore. Inoltre molti degli eventi utili si
svolgono in un arco di tempo che può superare l'anno sovrapponendosi in questo modo a
quello del ciclo precedente e del successivo.
La persistenza delle foglie per un periodo superiore alla singola stagione vegetati va può
tuttavia costituire un fattore utile per valutare lo stato sanitario della pianta stessa e tramite
esso comprendere meglio il livello della qualità dell'ambiente. Infatti la persistenza media
delle foglie delle Conifere sempreverdi sulla pianta è un parametro che può essere precisato
per cui una riduzione significativa nella vita delle foglie di un determinato anno rappresenta
una chiara indicazione di uno stato di stress.
Il portamento e l'habitus non si discostano molto fra i taxa, maggiore eterogeneità
esiste per quanto riguarda la riproduzione. Per evitare una eccessiva articolazione e
"pesantezza" della scheda di rilevamento (Tab. 1 e 2), si suggerisce di utilizzare solo Pinacee e
Cupressaceae che sono fra l'altro ben rappresentate sul nostro territorio. Purtroppo le Pinaceae
hanno grosse difficoltà ad essere propagate per talea e, inoltre la fase di maturazione sessuale
viene spesso raggiunta quando gli esemplari hanno dimensioni discrete.
Generalizzando, gli aspetti più problematici possono essere riassunti nei punti che
seguono.
41 2
MORFOLOGIA DELL'ACCRESCIMENTO:
2.1
La maggior parte delle Conifere è costituita da sempreverdi (fanno eccezione
Glyptostrobus, Lonx, Metosequoio, Pseudolonx, Toxodium) e mantengono le foglie anche per
diversi anni. Nelle sempreverdi l'abscissione di solito avviene verso la fine della fase di
distensione fogliare, però non è infrequente che come effetto di uno stress (di norma l'aridità
o una gelata, ma oggi è sufficientemente diffusa e documentata la responsabilità - e la
corresponsabilità - dell'inquinamento atmosferico) l'abscissione possa venire anticipata non
solo di qualche mese ma anche di qualche anno. Nelle specie decidue prima dell'ab scissione si
ha un marcato viraggio del colore del fogliame. In Metasequoio e Toxodium abscindono anche i
rametti laterali.
2.2
Nei pini adulti sono presenti due tipi di foglie: le eufille, squamiformi e
decorrenti sul rametto, e i nomofilli, aghiformi, portati su rami nani e riuniti in fascetti di (1), 2
(P. nolepensis, P. nigro, P. pinaster, P. pineo e P. sylvestris ad esempio), 3 (P. cononensis e P.
radiato, ad esempio), (4) o 5 (P. cembro, P. strobus e P. wollicAiono, ad esempio).
2.3
Molto spesso la gemma apicale è circondata da una corona di gemme laterali.
Non tutte le Conifere formano la gemma apicale: le Cupressaceae ed alcune Taxodiaceae
hanno accrescimento longitudinale non predeterminato e sono quindi prive di gemme vere e
proprie; anche i pini mediterranei termofili (Pinus Aolepensis, P. pinaster e P. pineo) nei
primissimi stadi di crescita sono ad accrescimento non predeterminato.
3
RIPRODUZIONE SESSUATA
3.1
Le Conifere sono unisessuate: monoiche (per la maggior parte) o dioiche (ad
esempio Juniperus). Nelle piante monoiche è normale una sfasatura temporale fra l'antesi
maschile e quella femminile per favorire l'impollinazione crociata; i conetti femminili sono di
norma portati più in alto rispetto a quelli maschili, spesso solo sui rami più apicali.
3.2
I coni femminili sono portati isolati o riuniti in piccolo numero, non sono quindi
agevoli da osservare (anche in considerazione della loro posizione sull'albero, cfr. il punto 3.1);
invece le "infiorescenze" maschili sono spesso più vistose (Abies, Cedrus, Cupressus, Piceo, Pinus,
etc.) e possono quindi essere più agevolmente esaminate.
3.3
La fioritura avviene nel tardo inverno o in primavera; il genere Cedrus fiorisce
all'inizio dell'autunno.
3.4
La maturazione dei semi dello strobilo avviene nell'arco dell'anno (in Abies,
CAomoecyporis, Piceo, Pseudotsugo, Sequoio, Toxodium, Tsugo, etc.) o di due anni (Cupressus,
Juniperus, Pinus, Sequoiodendron, etc.); in alcuni casi (Cedrus, Pinus pineo) la maturazione è
triennale.
3.5
Alla disseminazione le squame divergono, i semi vengono dispersi e lo strobilo
cade quindi intero (Piceo, Pseudotsugo, diversi pini, molte Cupressaceae, etc.) oppure si
disarticola e i semi si disperdono insieme alle parti sterili dello strobilo (Abies, Cedrus). In
alcuni casi (alcuni pini, Cupressus, Juniperus, etc.) la disseminazione avviene nell'anno
successivo alla maturazione o, addirittura, diversi anni dopo; lo strobilo, dopo la
disseminazione, può ancora restare a lungo sulla pianta.
4
RIPRODUZIONE AGAMICA
4.1
Buona parte delle Conifere, specialmente le Pinaceae, hanno una scarsa capacità
rigenerativa; la propagazione per talea avviene con difficoltà ed ha qualche successo solo
partendo da piante madri (ortet) molto glovam. Ulteriore difficoltà è rappresentata dal
42 plagiotropismo, a volte molto spiccato, per cui utilizzando rami laterali si ottengono piantine
che hanno un portamento anomalo.
Migliori risultati possono essere ottenuti tramite innesto che però richiede tempi
lunghi per poter giungere ad un numero di esemplari sufficiente.
I vantaggi della propagazione agamica sono rappresentati dalla possibilità di
confrontare individui geneticamente identici, di ridurre la fase giovanile (che in alcune
Pinaceae è molto lunga) potendo utilizzare esemplari di piccole dimensioni già in grado di
fiorire e fruttificare.
5
ORGANOGRAFIA E FENOLOGIA
Le Conifere hanno un habitus e una morfologia che, a prima vista, sono molto meno
variate rispetto alle Angiosperme. Infatti sono solo piante arboree o arbustive, le foglie sono
aghiformi o squamiformi, la ramificazione è monopodiale e il portamento è quasi sempre
excurrente (almeno nelle piante arboree e fino alla fase di senescenza).
Ai fini del rilevamento delle fenofasi proposte, gli organi da osservare e tenere sotto
controllo sono il sistema ramo-foglia-gemma e il complesso delle strutture riproduttive.
5.1
RAMO
Nelle Conifere sono presenti macroblasti, brachiblasti e rami nani.
Mocroblasto è un normale ramo di allungamento (o di esplorazione secondo il significato
di Thiébaut, 1988) in cui le singole gemme risultano regolarmente distanziate fra loro. Diversi
generi presentano solo macroblasti (ad esempio, Abies. Pseudotsuga. Picea, Sequoia. Taxodium,
Tsuga).
Brachiblasto è invece un ramo in cui non si sono normalmente differenziati e/o distesi
tutti i tessuti compresi fra due gemme consecutive; brachiblasti sono tipicamente presenti in
Cedrus e in Lorix; essi sono facilmente riconoscibili perché le foglie formano una rosetta
attorno al punto di inserzione.
Il ramo nono è invece tipico nel genere Pinus: si tratta di un ramo molto breve provvisto
di una sola gemma portata all'apice. E' su questi rametti che sono inseriti i fascetti di aghi;
comunemente questi rami vengono anch'essi chiamati brachiblasti.
5.2
FOGLIA
Le foglie delle Conifere sono aghiformi (Pinaceae e alcuni Juniperus) o squamiformi; in
fase giovanile, le Cupressaceae a foglia squamiforme hanno foglie aciculari; anche i pini allo
stadio di semenzale hanno foglie aciculari semplici e non portate riunite in fascetti.
Alla germogliazione le foglie si rendono visibili non appena le perule divergono. Nei
pini, invece, i nomofilli (cfr. il punto 2.2) "emergono" racchiusi in una guaina dove restano per
una buona parte della loro fase di accrescimento e di distensione.
Relativamente poco differenziate nella tipologia formale, le foglie delle Conifere
presentano una notevole variabilità nelle dimensioni; da pochi millimetri di lunghezza nelle
foglie squamiformi di molte Cupressaceae fino ai 30-50 cm in alcuni pini (P. cananensis e P.
polustris ad esempio).
43
Nelle sempreverdi gli anni di persistenza variano da specie a specie: 2-4 (5) in molti
plOl, 8-12 negli abeti (Picea e Abies), oltre 15 in molte Cupressaceae e in alcuni pini (P.
/ongaeva in particolare).
5.2.1 GEMMA
Le gemme sono· organi di resistenza per mezzo dei quali i tessuti deputati
all'accrescimento longitudinale (meristemi apicali) possono superare la stagione avversa che,
alle nostra latitudini, è tipicamente quella invernale. A differenza delle latifoglie spesso nelle
Conifere la gemma apicale è circondata da una corona di gemme subapicali mentre, nella
restante parte del macroblasto hanno una distribuzione non regolarmente partita spesso
complicata dalla presenza dei macrosporofilli (apicali o subapicali) e dei microsporofilli (più
arretrati).
Una gemma può essere definita come un asse costituito da primordi fogliari in diversi
stadi di sviluppo e da un meristema apicale indifferenziato; possono essere presenti anche
primordi fiorali. Questo insieme è protetto da strutture squamiformi (pero/e) con funzione di
protezione. Le gemme hanno dimensioni che possono variare da pochi millimetri di lunghezza
a oltre un centimetro a seconda delle specie. Alla ripresa vegetati va anche nelle Conifere la
gemma attraversa diverse fasi fenologiche caratteristiche: essa aumenta le proprie dimensioni
e inverdisce; successivamente le perule divengono e ha inizio la comparsa delle foglie.
Nei pini le gemme si allungano notevolmente in maniera caratteristica (il cosiddetto
"sigaro"), la sua base può apparire rigonfia per il contemporaneo sviluppo degli eventuali
sporofilli maschili. Quando iniziano a comparire le foglie (ancora parzialmente inguainate) è
spesso già osservabile la gemma apicale.
Nella gemma in riposo, al di sotto delle perule e ben protetto da esse, è presente il
futuro germoglio. Quando esistono delle gemme vere e proprie l'accrescimento longitudinale
può essere completamente o parzialmente predeterminato; tuttavia, rispetto alle latifoglie, è
diverso il significato di nodo e di internodo.
Nelle Angiosperme ogni foglia sottende una gemma e, per definizione, il nodo
corrisponde al punto di inserzione della/e fogliale e della/e gemma/e; internodo è quindi la
porzione di ramo compresa fra due nodi: un macroblasto è perciò costituito da più internodi
ben visibili. Nelle Conifere, invece, le gemme non sono sottese da foglie per cui diventa
difficile riconoscere un nodo e la porzione di ramo compresa fra due nodi.
Convenzionalmente, viene definito come internodo (sinonimi: ramo dell'anno, cacciata, flusso,
getto) la porzione di ramo compresa fra due insiemi consecutivi di cicatrici lasciate dalle
perule della gemma apicale, quindi l'internodo corrisponde al macroblasto intero.
Nelle specie con una ramificazione nettamente verticillata (cioè in palchi regolari) è
molto facile riconoscere i singoli nodi ed internodi. Molte conifere adulte hanno un solo flusso
di crescita/anno per cui dal conteggio dei nodi (palchi) è agevole valutare l'età della pianta.
Però nei pini, in particolare quando ancora giovani, questo può risultare complicato da una
ritmica annuale di accrescimento in cui possono verificarsi più flussi predeterminati ma anche
non determinati. Francini (1953) ha proposto, e il suo suggerimento è oggi comunemente
accettato, i termini uninoda/e e mu/tinodak in funzione del numero di internodi formati ma già
differenziati completamente nella gemma e i termini monociclico e po/iciclico in funzione del
numero di cacciate formate ex novo durante la stagione di sviluppo stessa. Ad esempio, le
piante giovani di Pinus ha/epensis sono uninodali e policicliche in quanto nella gemma è
differenziata una sola cacciata (uninodali) ma durante la stagione favorevole ne possono
formare diverse di nuove (policicliche), viceversa da adulto il pino d'Aleppo diventa
multinodale perché produce diverse cacciate/anno tutte preformate ma è monociclico perché
44 nessuna cacciata viene formata ex novo. Nella pratica, i termini uninodale/monociclico e
multinodale/policiclico sono spesso usati, rispettivamente, come sinonimi.
Nelle Cupressaceae l'accrescimento longitudinale non è predeterminato; in questi casi
non sono assolutamente riconoscibili strutture definibili come gemme e la fase di
germoglia mento ha, macroscopicamente, inizio nel momento in cui si possono osservare le
prime foglioline neoformate.
5.3
APPARATI RIPRODUTTORI
Le Conifere presentano gli organi della riproduzione organizzati in strutture
morfologicamente ben definite in cui la parte determinante è costituita dagli sporangi portati
di norma da foglie fortemente modificate (gli sporofilli). Senza entrare nella descrizione di
queste strutture, a seconda del tipo di spore prodotte, gli sporangi si distinguono in:
a)
microsporoftlli - portano le sacche polliniche (androsporangi) e sono quindi
omologabili a fiori maschili.
b)
femminili.
macrosporoftlli - portano gli ovuli (ginosporangi) e sono quindi omologabili a fiori
Micro e macrosporofilli sono per lo più riuniti in infiorescenze variamente complesse
comunemente chiamate coni o strobili; per sinèddoche, spesso le infiorescenze (che spesso
sono amentiformi) vengono identificate con i singoli costituenti, gli sporofilli, e vengono
indicate con i termini relativi (macrosporofilli e microsporofilli).
Le Pinaceae sono unisessuate e quasi sempre monoiche, la fioritura maschile di solito
precede, nell'ambito della stagione vegetativa ma anche della vita della piante, la fioritura dei
macrosporofilli femminili.
Le infiorescenze maschili sono costituite da numerosi microsporofilli disposti secondo
una tassia spiralata. Ciascun microsporofillo porta due sacche polliniche. I coni femminili sono
isolati o riuniti in verticilli; possono essere eretti o penduli, sessili o peduncolati; sono formati
da una serie di squame disposte a spirale, ciascuna è protetta da una brattea. Ogni squama
porta due ovuli.
Le infiorescenze maschili delle Cupressaceae sono portate apicali o ascellari e ciascuna
può anche portare un numero elevato di microsporofilli provvisti di 2-6 sacche pollini che. I
coni femminili sono portati apicali, solitari o riuniti in gruppi, sono costituiti da coppie opposte
e decussate di squame fuse con la corrispondente brattea; ciascuna squama porta da 2 a 20
ovuli. Il genere Juniperus è quasi sempre dioico.
6
CICLO RIPRODUTTIVO
L'impollinazione è anemofila. Nelle Conifere il granulo pollinico inizia la sua
germinazione già nella sacca pollinica ma può completare il suo sviluppo solo quando si trova
sull'ovulo idoneo. La meiospora non degenerata produce l'endosperma primario in cui si
differenziano gli archegoni alla base dei quali si forma l'ovulo vero e proprio.
Questo sviluppo può avvenire in pochi giorni oppure richiede un numero variabile di
mesi; questo fa sì che la maturazione dello strobilo avvenga nell'anno o in 2 o anche 3 anni, a
secondo delle specie.
Tipicamente, al momento dell'impollinazione le singole squame del conetto
femminile sono divaricate fra loro in modo da agevolare l'impollinazione.
45 6.1
STROBILO Lo strobilo viene comunemente chiamato "pigna" o "cono" quando è legnoso ed
allungato; prende il nome di "galbula" o "coccola" quando è di forma rotondeggiante. in
quest'ultimo caso può essere legnoso (Cupressus) o carnoso (Juniperus). Oltre alla consistenza.
lo strobilo varia notevolmente per forma e dimensioni passando dai 4-5 mm di alcuni Juniperus
ai 50 cm di lunghezza di Pinus lombertiono.
Fra impollinazione e fecondazione può intercorrere, in alcuni taxa. un intervallo anche
notevole. Non è quindi agevole poter visualizzare l'avvenuta allegagione. Segno
macromorfologico spesso palese è invece l'oppressomento delle squame che è rilevabile subito
dopo l'avvenuta impollinazione.
6.2
SEME
I semi delle Pinaceae sono di norma provvisti di un'ala anche molto lunga che è
particolarmente utile per la disseminazione. Nelle Cupressaceae i semi sono piccoli e provvisti
di tubercoli o creste. La germinazione può essere immediata oppure il seme può presentare
una dormienza anche molto lungo indotta soprattutto da immaturità dell'embrione e/o da
blocco metabolico indotto da ormoni.
46
Tabella 1
SCHEDA OSSERVAZIONI FENOLOGICHEf</xi< CONIFERE
Anno
Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici Famiglia: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Posizione: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Specie: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Provenienza: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1
Varietà: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Età: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Nome comune: _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
Anno d'impianto: _ _ _ _ _ _ _ _ _ __
FASI FENOLOGICHE RIPRODUITIVE
FASI FENOLOGICHE VEGETATIVE
RI
R2
R3
R4
RS
VI allungamento gemme
V2 apertura gemme vegetative
V3 formazione della gemma terminale
V4 viraggio di colore delle foglie
. VS caduta foglie
Data di
comparsa gemme a fiore
sporofilli completamente sviluppati
emissione polline
appressamento squame dei coni
completo sviluppo dello strobilo
I~:i'_
Data di
I~ "
,..,.
OSSERVAZIONI mOPATlE
tipo
OPERAZIONI COLTIJR.ALI
tipo
data
47 data
Tabella 2
...
Le rilevazioni fenologiche vanno effeuuate lui macroblalti (rami di allungamento) dei lingoli individui di c:Wcuna lpecie con cadenza settimanale; per le fali ad
evoluzione rapida ai consiglia una cadenza bisettimana1c. Il rilevamento conliste nell'idcnàfio::azione della fuc fenologica (calora li vc:rif_1a compresenza di più
faai) in cui li trova l'individuo. Le iasi fenologiche (fenofasi) da rilevare lIOfIO indicate nella relativa chiave di rilevamento. Poiché le ienof..i li pn:acntano
generalmente in modo acaIare anche entro uno ltellO individuo, per CÌ&lcUna fcnofase va indicara la dara di inizio, la dara mediana c quella di comple_nto
del fenomeno. Per dala d'inizio di una fenofase si intende quando qUCIra li manifelra in una piccola pane della pianra (meno del 10%), mcnue il reato dclla
pianra è interellato da fenofasi precedenti. Per fase mediana .i intende quando la fenofase è presente in cirea in metà della pianra (4O'J> - 6O'J,). Per dara di
compleramento del fenomeno, ai intende quando la fenofasc ai è manifClrara in rutta o quasi la pianra (90% - lOO'J».
Nella pianra esaminara la perccntualc di manifestazione di una fenofase li valuta in bue allo Irato fenologico delle relative unirà elcmcnrari di onervazione: per
CÌ&lcUna fenofase infalti viene indicara l'unirà elemenrare di osservazione, che può elsere la gemma, la foglia, il fiore, l'inflOreaccnz&, ccc..
Anno: indicare l'annata IOlare alla quale IOno riferiti i dati fenologici rilevati.
Specie: indicate genere e lpecie della pianta indicauic:c.
Varictè: indicare la varierà o la cuhivar della pianta indicauic:c.
Posizione: indicare la ligia della posizione nel quale all'intento del gian:\ino fenologico la pianra è arara colloc:ara, combinando, se le piante IOno dilposte in
filari, la aigla del filare e il numero della poaizione nella quale ai trovano; (ca. fdare B. poaizione J - 83).
Provenienza: nel allO che li cratti di una pianra presa in narura, indicate il luogo di provenienza. Nel_ che la pianta ai lraca acquilcara, indicare, se poslibile,
il vivaio di provenienza.
EtiI: indicue l'erà della pianta.
Anno d'ùnpianto: indicate l'anno nel quale la pianca è araca messa a dimora nel giardino fenologico,
Oaaervazioni: l.-zio riservato alle oucMIZÌoni che non ricncrano nelle cipologìc previste dagli alui lCItori della ac:hcda.
Fitopatic: indicue il cipo di fitopacia (malattie fungincc, auacehi di ÌIIICtti, vUo.i, baucrioai, danni provocati dalla grandine, dal gelo, dal vento, daIIc lepri. danni
accidcncali, ecc.) e la daca nella quale è compana.
Operazioni colturali: indicue il tipo di openazione (pocarura - D'attamcnci antiparaaairari, indicandoac il principio attivo - conc:in.zioni - irrigazione ­
acgnaIate le nonnaIi cure del gian:\ino come
diradamento - lpollonarura • ecc.) ClCguica lulle piante indicauici e la daca nella quale è lcaca compiuta. Non _
fresarura, zapparura, raaarura crba. ccc..
VI
RIGONPIAMBNTO GBMME
RI
COMPARSA DELLB GEMME A PIORB
••iIi (I/j _ _.,: '" ,.,...
..iIi (I/j _ _ _: '" ,.,..lIfom.
Fcnofase in cui le gemme vegecacivc: ripn:ndoao l'auivirà dopo il periodo di Fenofase nclla quale compuc la gemma a fiore. Oucaca fase non è ucilizzabile
riposo invc:malc. Le gemme IOno viaibilmcnte allungate e ingrossare. ma le per rulle le Gùnno.pcrmc: in aIcwac di CHe gli lporofdJi fanno pane di una
giovani foglie in CHe racchiuac: non IOno ancora vilibili. gemma mitca e quindi ai poaaono cvicIcnziue 1010 al momento dell'inizio dclIa
rigonfsc (l~ - I~), le alue IOno fase di gennogliamcato (genere Piaua); curcavia nella maggior pane delle
Inizio fenomeno: 1010 poche gemme _
invccc in fase quicaccnte. Gimnolpcnnc la singola gemma a fiore è facilmente ricoooacibile per
Fase mediana: merà cirea delle gemme _
rlgonfte (40% - 60%), le alue _ polizione, fonna, colore, dimensioni o pRIICIIZII di un pcduncolo evidente (CI.
in fase quielCCllte. Abica. Cccku., CUpn:aIU., Picca, Pacudotaup, Tuua, ecc.).
CornpJccamcmodcl t'aIomcno: _Icgemmc.o~ _ripafic (9O%-I~). R2
SPOROPILLI COMPLETAMENTB SVILUPPATI
••iIi(l/j _ _ _:1ilIHIi _ _ilillo~iIi.
Fenofase in cui leperule lÌ diac:hiudono e lasciano uac:ire le ciovani foglie: le Fcnofase aclla quale gli lpolOfilli hanno raggiunto le dimcnaioni definitive; in
foglioline IOno ben visibili ma lUICOl1l di di_uinni ridouc. Il nuovo generale qUCllca fase è carauerizzaca dal viraggio del colore dcgIi lporofilli dal
verde (immablli) al colore dcfinirivo della fase di ùnpollinaioGc. I concui
_blaato ba appena iniziato la fase di dist.cnlionc. femminili hanno le squame fortemente divergenti fra di loJO; quclli maacbiIi
Inizio fenomeno: 1010 poche gemme IOno apert.c (I~ - I~), le alue _ lIOfIO sviluppati ma _
non _ n o poIIinc.
invccc neUe fasi pn:ccdcnti. V2
APERTURA GEMME VEGETATIVB
••iIi (I/j _ _.,..",,.,...
Fase mediana: circa metà dclIe gemme IOno apert.c (40% - 60%). le alue _ ancora nelle fasi precedenti. Coa........lIDdclborncno: IUllClcjplWJll:;.oq...i, ai_IIpI:nI:(9O%-I~). R3
EMISSIONE POLLINE
..ili (I/j~tU:1ilIHIi _ _ili.
Fenofase in cui ba inizio l'cminioac del polline. Inizio fenomeno: la metà dci microaporofilli (40% - 6O'J,), ara cmctt.cndo polline. Fase mediana: 1010 pochi microaporofilli (I~ - 10~), banno iniziato ad cmeucrepnllinc.
.
Complccamcnto del fenomeno: la maggior pane dci rnicnnpolOfdli (90% ­
100'J>). ba terminato l'emilsione del polline. V3
FORMAZIONB DELLA GEMMA TERMINALB
..ili di _ _tU: ",,.,-'10 iI~.
Fenofase evidenziaca dalla comparali della gemma renninale. Nelle
Cupn::uaceae. dove non esptono gemme (ICCOndo l'accczionc normale del
ccrmìac), è _sario valurare la fUlC della fase di distenlione rramitc
milurazioni del ramo Itcaao.
Inizio fenomeno: aolo pochi _blaaci prelencano la gemma renninale
comple_nte formaca (I % - 10%), gli alui IOno ancora in fase di formazione.
Fase mediana: circa merà dci _bLuti ba terminato la formazione delle
gemme (4O'J, - 60%).
Complcramcnto del fenomeno: praticamente rutti i mac:roblaaci hanno formato
la gemma apicale (90% - lOO~).
R4
APPRESSAMENTO SQUAME DEI CONI
••iIi di _ _tu: lXI';p_ili.
Fenofaac IlICCCIIiva all'impollinazione. Nci conetti le squame ovuligere li
appreaaano luelramente le une alle alue.
V4
VIRAGGIO DI COLORB DELLE POGLlB
..ili tli twnWl_." '" fog/j4.
Fenofasc in cui le foglie virano al giallo per fenomeni di acnelCCl1ZL E' una fenofuc c:hc, in quClto contelto. è ucilizzabile per Larix. Inizio fenomeno: aolo poche foglie hanno cambiato colore (1% - I~ della ehinma).le alue IOno verdi. Fase mediana: circa merà delle foglie hanno cambiato colore (40% - ~ della chioma). le alue IOno verdi. Complccamento del fenomeno: CUlle o quasi CUlle le foglie hanno cambiato colore (90'J> - lOO'J> della chioma). RS
COMPLETO SVILUPPO DELLO STROBILO
..iIi (I/j twnWl_tU: /o sIrti/IiIo.
Fcnofuc che riguarda il raggiungimcnto del colore e delle dimensioni
dcfmicive degli luobili (colore e dimensioni). La maClllaZionc avviene
acll'anno Itcaao della ftorirura ad eccezioac di Cccku., Cupn:llua, Juniperw e
Piaua che avviene al acconcio o al terzo anno.
VS
CADUTA FOGLIE ••iIi tli _siotu: /o foglitt. Fenofale valida solo per le Gimnosperme decidue (Ginkgo biloba. Larix. Pseudolarix. Taxodium. MetalCquoial: negli ulùmi due generi le foglie dei rameni laterali cadono insieme al ramcrto ltelSO. Inizio fenomeno: la chioma è ancora folra, 1010 poche foglie sono cadute (1 'J> ­
10'1> della chioma). Fasc mediana: la ehioma si prelenra visibilmenre diradara, circa merà delle foglie lono cadute (40'1> - 60'J> della ehioma). CompleramenlO del fcnomeno: IUlte o quasi tune le foglie sono cadute e la pc.nca è quasi spoltlia (90% - 1oo'J> della chioma I. N.b.: nell'individuazione dell'inizio. della fase mediana e del completamento
del fenomeno delle fasi fenologiche riprodultive, valgono le regole elpone
nelle nonne: di rilevamento generali.
1992· Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini fenologici
48 BIBLIOGRAFIA Callen G. 1976. Les Conifères eultiute en Europe, Editions Baillière, Paris.
Dallimore W.; Jackson A.B. 1966. A Itondbook olConiferoe, E. Arnold, London.
Francini E. 1969. Il pino d'Aleppo in Puglia, Ann. F ac. Agr. Bari, 8: 1-11 O.
Gerola F.M. 1978. Biologia vegetale - Sistematico, UTET, Torino.
Thiebaut B. 1988. Tree growtlt, morpltology ond orcltitecture, tlte cose 01 beeclt: Fogus sylvotico L. In
Scientific btJSis ollorest dec/ine symptomotology, Ed by J.N. Cape and P. Mathy: 49-72.
Commission of European Communities, Bruxelles.
49 VI
COSTITUZIONE E GESTIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO
Andrea Malossini
Seroizio Produzioni ogricole, Assessoroto Agricolturo, Regione Emilio-Romogno
l.
COSTITUZIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO
Le operazioni che precedono la costituzione di un Giardino fenologico non sono molto
diverse da quelle che normalmente precedono la progettazione di un giardino ornamentale.
La piantagione di alberi e arbusti segue norme generali alle quali non ci si può sottrarre. Certo
però che, considerato il diverso scopo, qualche precauzione in più va presa. Prima di tutto
nella scelta del sito.
1.1
SCELTA DEL SITO
La scelta del sito nel quale costituire un Giardino fenologico è spesso trascurata, vuoi
per mancanza di alternative, vuoi per mancanza di elementi conoscitivi. Questo fatto è di per
sè abbastanza negativo, visto che tra le finalità dei Giardini esiste anche quella di dover
rappresentare un determinata zona.
Per poter far questo, come avviene per le stazioni meteorologiche, è necessario far
precedere, alla scelta finale del sito, un'accurata indagine climatologica. Questa delicata
operazione, comunque necessaria per poter collocare l'indispensabile stazione meteorologica,
è bene che accada prima ancora dell'analisi delle caratteristiche del terreno, altro elemento
importante, affinché le scelte avvengano in modo ordinato e corretto.
Le caratteristiche fisiche e chimiche del terreno sono, come detto, l'altro elemento
fondamentale e, di conseguenza, la scelta del sito deve essere fatta tenendone conto. Può
infatti capitare che, ad esempio, in terreni con eccesso di calcare o con pH anormale, alcune
piante non riescano ad attecchire. Oppure che terreni troppo sciolti o al contrario fortemente
argillosi, creino problemi molto simili a quelli provocati dalla scarsità di acqua o da un suo
eccesso. Poter evitare questi intoppi può voler dire riuscire o meno nell'impresa, o per lo
meno, risparmiarsi costosi interventi correttivi.
Oltre alla scelta del sito in senso generale, che come abbiamo visto va fatta con
oculatezza, prima di procedere alla messa a dimora delle piante bisogna considerare
l'esposizione delle stesse (intesa come orientamento nei siti collinari), e la disponibilità di
acqua per l'irrigazione. Per l'esposizione valgono le considerazioni fatte per la climatologia,
(mettere una pianta su un versante esposto a nord non è la stessa cosa che metterla in uno
esposto a sud). Per l'acqua invece, anche se in condizioni normali le piante non andrebbero
irrigate, è bene prevedere un sistema in grado di fornirne la quantità necessaria a far attecchire
le giovani piantine.
1.2
PREPARAZIONE DEL TERRENO
Dato per scontato che la scelta del terreno sia quella ottimale, e che non siano perciò
necessari interventi correttivi con torba, sabbia od altri elementi, bisogna pensare ad accogliere
in modo adeguato le piante. Lo scopo principale è quello di ottenere un rapido affrancamento
51 delle radici e un vigoroso sviluppo della parte epigea. Per far si che questo avvenga è bene
agire con ordine. Se il terreno è vergine bisogna dissodarlo prima della messa a dimora delle
piante con uno scasso o comunque con un'aratura profonda, affinché questo aumenti la
porosità e la fertilità. Poi va data alla superficie una forma, come ad esempio la baulatura, in
modo da evitare in futuro ristagni d'acqua e problemi idrici in generale.
Dopo la sistemazione del terreno si può passare alla scelta del periodo di trapianto.
Solitamente le specie arboree caducifoglie si piantano dalla fine di ottobre alla fine di marzo;
le sempreverdi da ottobre a novembre o da marzo ad aprile (quando cioè il terreno è
solitamente ben inumidito ma non gelato) e le conifere all'inizio della primavera. Gli arbusti
sono ancor meno esigenti, evitando i periodi con il terreno gelato, si può eseguire il trapianto
da ottobre a marzo per quelli a foglia caduca e anche fino ad aprile per quelli sempreverdi.
Molto importante è la preparazione delle buche. Queste, se le piante non sono troppo
grandi, possono essere di 2Ox20x20 cm per gli arbusti e 5Ox50x50 cm per gli alberi.
Terminata la fase di scavo bisogna fissare il tutore nel terreno, porre sul fondo della
buca il materiale drenante, l'eventuale cotica erbosa di risulta (con le radici in alto) ed infine,
mettere a dimora la pianta, facendo attenzione che il colletto non sia interrato. Fatto questo si
può ricoprire la buca, avendo cura di sminuzzare e mescolare in modo omogeneo il terriccio di
risulta prima di rimetterlo nella buca. Completato il lavoro non resta che compattare bene il
terreno, affinché aderisca alle radici, ed annaffiare abbondantemente. L'uso di letame o di
altri concimi al momento dell'impianto può essere, in terreni molto poveri e per piante
esigenti, una buona soluzione.
Particolare riguardo va posto nella scelta del tutore e alle necessarie protezioni delle
giovani piante. Il tutore, a seconda delle dimensioni e del tipo di accrescimento della pianta,
può essere di canna o di legno. Ad esso va fissata la pianta, legandola con l'apposita fettuccia e
frapponendo tra i due legni del materiale morbido che impedisca gli scortecciamenti e le
lesioni dovute allo sfregamento in caso di vento forte.
Le piantine vanno poi protette con retine o cannicciato dall'attacco di animali a sangue
caldo come roditori e ungulati. Le lepri in particolare possono provocare gravi danni alle
giovani piante; per questo motivo è bene prevedere fin dall'inizio, oltre alle protezioni, l'uso
di sostanze repellenti e di mastici cicatrizzanti per curare e disinfettare le spaccature causate
dalla selvaggina e dalle avversità atmosferiche (vento e gelo). Tornando al cannicciato di
protezione, che può essere re perito in loco (Bambusa mitis, Arundo donax), è bene che sia
posto fino a circa un metro di altezza e per un diametro di 60 - 80 cm intorno alla pianta,
affinché oltre che dalla selvaggina, la protegga anche dal vento e dall'eccessiva traspirazione.
L'ideale sarebbe abbinare il cannicciato con retine antilepri, unendo così le due funzioni.
1.3
SESTO D'IMPIANTO
Prima della messa a dimora delle piantine, bisogna stabilire quale sarà il sesto
d'impianto. In questo caso le regole sono molto precise: distanze, disposizione ed
orientamento delle piante nel Giardino, non vanno scelte a caso.
Le file dovranno essere orientate est-ovest, mettendo a dimora, partendo dal filare più
a sud, prima le piante arbustive e comunque a ridotto sviluppo verticale, poi, verso nord,
quelle a maggior sviluppo.
Le file devono essere distanti tra di loro 6 m, mentre le piante, lungo la fila, devono
essere distanti 3 m nel caso siano arbustive e a sviluppo limitato, e 6 metri se arboree. La
disposizione generale deve essere del tipo a quinconce. Ogni specie dovrà essere presente in
almeno tre esemplari, si consiglia pertanto, mettere a dimora almeno 5 esemplari per ogni
specie.
52 1.4
IRRIGAZIONE Come già accennato al punto 1.1 l'acqua, nei Giardini fenologici, non dovrebbe essere
utilizzata, modificherebbe infatti la naturale successione delle fenofasi e renderebbe inutile il
confronto con i parametri meteorologici. E' invece indispensabile nei primi anni successivi
all'impianto. In tale periodo averla a disposizione vuoi dire avere o meno successo con
l'attecchimento. Si consiglia perciò un impianto di irrigazione, possibilmente del tipo a goccia,
affinché sia assicurata la quantità di acqua necessaria alle pianti ne durante i primi 2 o 3 anni.
2.
GESTIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO
La gestione del Giardino fenologico è in apparenza molto semplice, considerato il fatto
che le piante indicatrici devono essere lasciate crescere il più possibile in modo naturale. Resta
però il fatto che sempre di un Giardino si tratta, ed alcune operazioni, specialmente se ci si
trova in un ambiente dove l'agricoltura intensiva è molto sviluppata, devono essere compiute.
2.1
CURE COLTURALI
Il terreno dei Giardini fenologici a regime va tenuto inerbito tra le file e lavorato lungo
la fila, mentre è consigliata la lavorazione di tutta la superficie nel periodo dell'affrancamento
(i primi 2 o 3 anni). L'irrigazione, dal momento che le piante sono affrancate, non va più
eseguita. Stesso discorso anche per le concimazioni.
Discorso diverso per la potatura ed i trattamenti antiparassitari. Nel primo caso, anche
se non è consigliata, è bene procedere alla spollonatura (per circa un metro in altezza), e al
taglio delle parti secche o fonte di inoculo di malattie.
Per i trattamenti antiparassitari il discorso è invece molto più complicato. Di norma
anche questo intervento non dovrebbe essere eseguito, ma vista la situazione nazionale, dove
le aree incontaminate sono rare, e i Giardini sono spesso inseriti in ambienti fortemente
urbanizzati o contigui a colture intensive, il farlo diventa una scelta quasi obbligata.
Le avversità che colpiscono le specie comunemente utilizzate nei Giardini fenologici
sono principalmente di tipo animale. Insetti ed acari in particolare. Le avversità di natura
vegetale, come le crittogame, seppur frequenti, difficilmente pregiudicano il regolare sviluppo
delle piante.
Di marginale importanza le malattie prodotte da batteri e virus, sia perchè scarsamente
diffuse, ma pure perchè, nel caso che l'infezione si diffonda, non esistono validi metodi di
lotta. La presenza di batteriosi o di virosi sulla vegetazione nei primi anni di vita delle piante,
dovrebbe prevedere l'abbattimento e la sostituzione delle stesse, in quanto difficilmente, col
tempo, la situazione andrà a migliorare. Stesso discorso in caso di accertamento di malattie di
natura vascolare o di marciumi radicali.
Gli interventi consigliati per contrastare infestazioni di insetti sono principalmente di
natura meccanica. Anche se di difficile esecuzione, sarebbe meglio intervenire, ad esempio,
con spazzolature per eliminare le cocciniglie, con irrorazioni per afidi, acari o ripulire le piante
da residui vari tipo melata, oppure con raccolta manuale di nidi, ricoveri, galle, ovature e
quant'altro sia rièettacolo o prodotto di queste avversità. Altrettanto utile è l'utilizzo di
trappole alimentari o sessuali per catturare gli insetti adulti.
Quando comunque le infestazioni provocate da insetti non sono altrimenti
controllabili, è indispensabili intervenire con prodotti di natura chimica.
Le principali avversità che hanno reso necessario l'intervento chimico nei primi anni di
attività, tra le piante comprese nelle prime due liste (cfr. III cap 7), sono le seguenti:
53 Afidi in Prunus avium e Tilia cordata
Punteruolo (Cryptorhynchus lapathi) in Populus canescens
Danni limitati sono stati provocati dalla ticchiolatura sul Crataegus monogyna t e dagli
afidi in generale su quasi tutte le specie. Non sono per ora comparse avversità particolarmente
gravi come la Marssonina del pioppo o il Corineo nel ciliegio.
54 BIBLIOGRAFIA AA.VV. 1982. Lo pototuro degli alberi ornamentali nei luoghi pubblici, Bologna, Regione Emilia­
Romagna.
AA.VV. 1988. Avversità degli alberi ornamentali, San Pietro in Casale Bo, Centro Professionale
Malaguti.
AA.VV. 1990. Calendario verde, Bologna, Edagricole.
Pantanelli E. 1953. Agronomia generole, Bologna, Edagricole.
Vezzosi C. 1985. Vivoistico Ornamentale, Bologna, Edagricole.
55 VII CLONAZIONE DI SPECIE INDICATRICI PER I GIARDINI FENOLOGICI ITALIANI Aldo Ranfa
Diportimento di Bio/oOo Vegeto/e, Orlo botonico, Univenitò di Perugio
l
INTRODUZIONE
Si è cercato di clonare per propagazione vegetativa le otto specie indicatrici da
utilizzare obbligatoriamente nella costituzione dei Giardini fenologici italiani.
Considerando le esigenze delle specie da propagare si è preferita la tecnica della talea
come metodo più appropriato nella clonazione. Le piante madri attualmente sono coltivate
presso il Giardino fenologico di San Pietro Capofiume, Bologna.
Le otto specie considerate e che consentiranno il collegamento con la rete IPG e la rete
dei Giardini Fenologici Italiani (GFI) sono le seguenti: Cory/us aveI/ono L. (GFI), Crotoegus
monogyno Jocq. (GFI), Ligustrum vu/gore L. (GFI), Robinio pseudoococio L. (GFI), So/ix ocuti/o/io
Wil/d. (IPG), So/ix smithiono Wil/d (lPG), So/ix vimino/is L. (lPG), Sombucus nigro L. (GFI)
2
MATERIALI E METODI
Il materiale vegetale è stato prelevato da piante madri coltivate presso il Giardino
fenologico di S. Pietro Capofiume, Bologna, in tre epoche diverse: fine settembre, fine
febbraio e fine aprile.
Il primo prelievo di materiale vegetale, effettuato il 29 settembre 1992, è stato eseguito
prelevando campioni di età diverse, preferendo comunque la vegetazione dell'anno. In Cory/us
ovel/ono, in particolare, si è preferito prelevare campioni dai giovani polloni situati alla base del
fusto; in Robinio pseudococio, non essendo presenti polloni alla base del fusto, si sono prelevate
le parti apicali delle branche più basse; in So/ix ocuti/olio, essendo la pianta madre ancora
molto giovane, sono stati prelevati pochi ed obbligati campioni.
Successivamente, il 1° settembre 1992, con i campioni prelevati sono state eseguite
talee semplici che sono state messe a radicare in un letto di radicamento sotto misI
intermittente presso l'Orto botanico di Perugia. La temperatura oscillava dai 18° ai 20°C
mentre il substrato era composto da agriperlite. Per aumentare la percentuale di radica mento
delle talee e per una maggior produzione di radici avventizie, è stato effettuato un trattamento
con ormoni rizogeni in talco, a base di acido indolbutirrico (IBA), nella concentrazione di 2000
ppm.
Il secondo prelievo di materiale vegetale, effettuato il 19 febbraio 1993, è stato
eseguito prelevando campioni di età diverse ed in quantità maggiore per le specie, come
Cory/us ovel/ono, Crotoegus monogyno e Robinio pseudococio, che avevano mostrato qualche
problema di radicamento nel primo tentativo. Il 20 febbraio 1993, con i campioni prelevati,
sono state eseguite talee semplici che, successivamente, sono state messe a radicare in un letto
di radicamento irrigato periodicamente con acqua. La temperatura oscillava dai 20° ai 22°C
mentre il substrato era composto da agriperlite. E' stato effettuato un trattamento con ormoni
rizogeni in talco, a base di acido indolbutirrico (lBA), nella concentrazione di 8000 ppm.
57
Il terzo prelievo di materiale vegetale, effettuato il 21 aprile 1993, è stato eseguito
prelevando campioni di età diverse solamente delle specie con problemi di radicamento:
Cory/us avellana, Crataegtls monogyna, Sa/ix acutifo/ia, Sa/ix smithiana, Robinia pseudocacia.
Con i campioni prelevati sono state eseguite talee semplici che sono state messe a
radicare il 27 aprile 1993 in un letto di radicamento irrigato periodicamente con acqua. La
temperatura oscillava dai 22° ai 25°C. Per il substrato di radicamento è stato utilizzato un misto
alla pari di agriperlite e torba neutra. E' stato effettuato un trattamento con ormoni rizogeni in
talco, a base di acido indolbutirrico (lBA), nella concentrazione di 2000 ppm.
3
RISULTATI E CONCLUSIONI
Dalla tabella l si può constatare che sia nella prima prova di radicamento che nella
seconda si è avuto un ottimo risultato sulle talee di Sambucus nigra tanto da risultare
praticamente inutile la terza prova.
Buono anche il risultato del radicamento delle talee di Ligustrum vu/gare nelle due
prove effettuate; la terza non è stata effettuata.
Discreti invece i risultati del radicamento delle tale e dei salici: S. tJCUtifo/ia e S.
smithiana hanno avuto una percentuale di radicamento buona nella prima e terza prova, ma
fallimentare nella seconda dove forse l'eccessiva concentrazione di ormoni rizogeni ha influito
negativamente sul risultato finale; S. vimina/is ha avuto basse percentuali di radicamento nelle
talee delle due sole prove effettuate.
U n discorso a parte va effettuato per Cory/us avellana, CrallJegus monogyna e Robinia
pseudoclJCia. Nelle talee di Cory/us si è evidenziata solamente la formazione di un piccolo callo
alla base del ram etto ma nessun accenno di formazione radicale. In Crataegus non si è formato
neanche un piccolo callo basale. In Robinia invece si è apprezzata, in tutte le prove effettuate,
la formazione di un callo basale e lo sviluppo di una piccola vegetazione dalle gemme mediane
del rametto, ma nessuna formazione radicale.
In conclusione si può evidenziare l'effettiva difficoltà nel clonare le tre specie
sopracitate tramite talee semplici di ramo; si potrebbe comunque intervenire in tempi
successivi con altre tecniche di taleaggio come la talea di radice, consigliata soprattutto per
Robinia pseudocacia, o con altre tecniche di clonazione come la propaggine, la margotta, ecc.
Per quanto riguarda Sa/ix vamina/is lo scarso risultato finale potrebbe dipendere dal
rinvaso effettuato troppo precocemente quando ancora le radici erano troppo piccole.
58 Tabella 1
Specie
la prova
29 setto
2a prova 20 febb. 3a prova
21 apro
Totale
piante
n. specie % radic. n. specie % radic. n. specie % radic. disponibili
O
O
O
Corylus avellana L.
O
O
O
O
Crataee:us monogyna Jacq.
O
O
O
O
O
O
O
Ligustrum vulgare L.
43,5
55,0
82
60
22
O
O
Robinia pseudoacacia L.
O
O
O
O
O
53,6
49
Salix acutifolia Willd.
34
30,9
O
15
O
30,0
Salix smithiana Willd.
30
1
37
19,6
5
6
16,8
33
8
32,0
Salix viminalis L.
25
Sambucus nigra L.
114
85,3
62
82,7
52
-
59 BIBLIOGRAFIA Hartmann H.T.; Kester D.E. 1990. Propagazione deJJe piante; basi scientifiche e applicazioni
tecniche, Edizioni Agricole, Bologna.
McMiIlan Browse P. 1982. Riprodurre le piante, Zanichelli editore, Bologna.
Romano B.; Frenguelli G. 1982. Botanica generale; la procreazione nei vegetali e organigrafia degli
apparoti procreativi, Galeno Editrice, Perugia.
60 VIII LA MISURA DEI PARAMETRI METEOROLOGICI NEI GIARDINI FENOLOGICI: INDICAZIONI PER LA SCELTA DELLE STAZIONI Lucio Botarelli, Angelo Salsi
Servizio Meteorologico Regionole Regione Emilio-Romogno Tra le possibili applicazioni dei dati fenologici risultano di grande importanza, ai fini
della modellistica di crescita e sviluppo delle piante, le relazioni con le variabili
meteorologiche.
Si vuole qui affrontare l'aspetto della costituzione di una rete di stazioni
meteorologiche che accompagnino ogni Giardino fenologico e ne costituiscano il corredo
indispensabile e comune a tutti.
La costituzione della rete italiana di Giardini fenologici prevede la definizione di
alcuni standard sia a riguardo della costituzione dei giardini stessi, sia in riferimento alle
modalità di osservazione e registrazione dei dati fenologici, sia per il recupero e
l'organizzazione dei dati meteorologici.
Anche per quest'ultimo aspetto esistono molte possibilità di scelta riguardanti la
conformazione ed il funzionamento dell'oggetto stazione.
La necessità di disporre di serie di dati sicure e gestibili suggerisce di pensare ad una
struttura base raggiungibile da tutti per livelli di costo e modalità di gestione; una stazione che
possa in un secondo momento e per le necessità dei singoli, essere integrata con altri sensori
eventualmente necessari.
Sul mercato sono disponibili stazioni con un numero variabile di porte in entrata per
segnali da sensore; proprio per gli intenti della istituenda rete, al fine di raggiungere uno
standard di efficienza e confrontabilità, si ritiene che la configurazione base della stazione,
capace di raccogliere i dati meteorologici dell'area in cui è impiantato il giardino fenologico,
debba comprendere inizialmente solo i sensori di precipitazione, temperatura e umidità.
Quindi, deve necessariamente essere privilegiata la scelta di stazioni con caratteristiche
tecniche tali da permettere una facile espansione del numero dei sensori collegabili all'unità
centrale. Questo implica che la scelta sia posta tra stazioni ad unità centrale con un numero di
canali a disposizione tale da assolvere alle supposte future esigenze o che successivamente si
provveda ad incrementare le entrate della stazione con aggiunte di schede hardware
(multiplexer). In ogni caso è necessario che le stazioni siano facilmente programmabili e che
siano corredate da un software guida per la loro programmabilità e gestione (interrogazione,
etc.).
I sensori di temperatura ed umidità relativa debbono essere alloggiati entro schermi
antiradiazione multipiatto tipo GiII, prefçribilmente a ventilazione forzata, ovvero a
ventilazione naturale, considerando comunque che in condizioni di bassa ventilazione e forte
irraggiamento, questi ultimi possono indurre errori di misura anche consistenti. I sensori di
temperatura e di umidità possono essere collocati entro schermi antiradiazione distinti o in un
unico corpo di protezione (sensori integrati).
Le classi di stazioni sono sostanzialmente due: quelle definite come "data Iogger" ,
anche se la definizione è di fatto applicabile a tutte, e quelle automatiche "tradizionali",
61 Le seconde hanno una impostazione che ne permette un uso semplice, ma a volte assai
limitato e costringe comunque l'utente a rivolgersi alla casa madre per risolvere esigenze non
previste dal progetto iniziale, come ad esempio il collegamento di sensori di altra marca o la
modifica di alcune funzioni degli archivi. Inoltre quel tipo di stazioni non permette di inserire
nel programma di funzionamento algoritmi per calcoli di particolari parametri derivati, quale
ad esempio l'evapotraspirazione potenziale, ad eccezione di quelli previsti dalla casa
costruttrice, in altre parole .la loro programmabilità è limitata alle esigenze fondamentali di un
utente (tempi di archiviazione e tipo di dati archiviati).
Le stazioni definibili come "data logger" risultano meno semplici da utilizzare, ma
permettono all'utente di scrivere il programma di funzionamento secondo le proprie esigenze
con pochissime limitazioni. Con il data logger viene generalmente fornito un pacchetto di
programmi tra i quali un editor che facilita la scrittura del programma di funzionamento della
stazione ed il suo scarico per l'attivazione della stazione stessa. Tra i programmi forniti vi è
sempre quello dedicato alla comunicazione ed interrogazione in loco o in remoto delle
stazioni, potendo in pratica gestire diverse decine di stazioni da un buon personal computer
MS-DOS compatibile.
I manuali a corredo delle macchine e del software sono sempre estremamente
particolareggiati e quindi, con un po' di buona volontà, si può ottenere quasi tutto ciò che si
vuole da una rete di questo tipo. Naturalmente questo tipo di macchine può essere acquistato
con il programma già scritto dal fornitore secondo le specifiche del cliente e funzionare quindi
come stazione "tradizionale" senza che l'utente debba acquisire conoscenze tecniche
particolari per la loro gestione.
In termini di costi i prezzi in Italia dei due tipi di apparecchi sono confrontabili, ma si
può considerare l'opportunità di rivolgersi al mercato inglese o statunitense dove i prezzi sono
spesso inferiori.
Il software per la gestione di una rete da PC presenta prezzi estremamente variabili,
ma non dovrebbe comunque superare un costo di qualche milione di lire.
Altri fattori da considerare, infine, sono i termini dell'assistenza e la serietà della casa:
mentre i primi sono generalmente espliciti nell'offerta, per la seconda ci si può basare solo
sull'esperienza fatta da altri utilizzatori e sul nome della casa stessa.
Nel caso che il Giardino fenologico fosse localizzato in una area disagiata e di difficile
raggiungimento tramite le normali linee della rete elettrica è possibile pensare ad una stazione
che sia autoalimentata tramite pannelli fotovoltaici e batterie in tampone.
Lo scarico dei dati potrebbe avvenire su un personal computer collegato in loco
mediante un apposito programma software, o su memorie EPROM trascrivi bili mediante
lettore.
Il trasferimento dei dati può avvenire tramite linea telefonica o via radio; quest'ultima
ipotesi risulta di gran lunga la più comoda, ma anche la più difficile da attuare a causa del
regime di controllo delle bande radio operato dal Ministero competente. Pertanto una rete di
stazioni che ricalchi e compendi quella fenologica può esser considerata costituita da punti di
rilevazione collegati tramite linee telefoniche ed interrogabili a distanza mediante modem per
linea telefonica con protocollo V22 e con velocità di trasmissione di 1200 o 2400 baud.
Esistono ormai anche reti fonia dati che assicurano una maggiore efficienza e sicurezza nel
trasferimento dell 'informazione.
E' possibile inoltre pensare all'uso della rete ITAPAC previa una valutazione di
con ven lenza.
62
La localizzazione del sito in cui posizionare la stazione deve rispondere alle disposizioni
dettate dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale ed alle esigenze di facile raggiungibilità
ed ispezionabilità della stazione stessa.
In particolare la stazione meteorologica dovrebbe essere collocata in luogo accessibile
per il controllo dei sensori e della loro funzionalità, non deve comunque trovarsi ad una
distanza inferiore a cinque volte l'altezza dell'ostacolo più vicino; se si pensa di voler installare
una stazione munita di sensore della velocità e direzione del vento posto a due metri da terra o
su palo abbattibile di dieci metri, allora devono essere considerate distanze non inferiori a
dieci volte l'altezza dell'ostacolo più vicino.
Bisogna quindi considerare come ostacolo anche il giardino stesso; la collocazione della
stazione non può perciò avvenire nelle immediate vicinanze dei filari di piante arboree poste a
dimora in esso, poiché la loro massa falserebbe la validità del dato registrato.
Soffermandoci sui parametri velocità e direzione del vento, è opportuno notare la loro
utilizzazione per il calcolo della evapotraspirazione seguendo le metodologie microclimatiche,
quale quella di Penmann.
Soprattutto quando non siano previste forme di irrigazione fisse nel giardino, lo studio
dell'accrescimento e della adattabilità delle diverse specie all'interno di esso dovrebbe
necessariamente considerare tali variabili. Per le stesse motivazioni anche i sensori di misura
della radiazione potrebbero costituire parte del corredo da destinare all'allestimento
secondario della stazione.
Infine, il recinto che chiuda l'area di rispetto della stazione dovrebbe essere di lato pari
ad almeno dieci metri, eventualmente estendibile in considerazione dello spazio necessario
all'abbattimento del palo con il sensore anemometrico.
Per quanto riguarda le specifiche a cui deve assolvere la sensoristica prevista per la
stazione meteorologica nella configurazione sopra descritta, se ne riporta in calce un elenco.
63 INDICAZIONI SULLE SPECIFICHE TECNICHE DEI SENSORI
SENSORISTlCA RELATIVA AI PARAMETRI SPECIFICATI:
CORREDO BASE
TEMPERATURA ED UMIDITÀ Sonda di tipo integrato dotata dei seguenti elementi sensibili: a) RTD PT 100 sensore di temperatura classe B DIN 43760, b) sensore di umidità relativa dell'aria di tipo capacitivo a polimero solido ( ad esempio Hygromer C 80).
La sonda deve essere dotata di schermo antiradiazione multipiatto (tipo Gill) e dovrà essere
facilmente calibrabile; collocata a 180 cm da terra.
PRECIPITAZIONI
Pluviometro con bocca tarata, risoluzione 0.2 mm, con contenitore della capacità per 15 l per
raccolta acqua a valle del sensore, in cui inserire paraffina in estate contro l'evaporazione ed
antigelo in inverno contro la formazione di ghiaccio.
CORREDO AGGIUNTIVO
TEMPERATURA
Sonda dotata di elemento sensibile RTD PT 100, sensore di temperatura classe B DIN 43760.
La sonda deve essere dotata di schermo antiradiazione multipiatto (tipo Gill), deve essere
facilmente calibrabile e collocata a 50 cm da terra.
RADIAZIONE GLOBALE
Sensare di radiazione solare globale di classe 1 (piranometro) a termopila MolI.
VELOCITÀ E DIREZIONE DEL VENTO
Anemometro a coppette e indicatore della direzione a banderuola a 200 cm (solo anemometro)
elo 1000 cm da terra. N elle località dove è frequente la possibilità di formazione di ghiaccio è
possibile scegliere strumenti appositamente studiati (dotati di "gonnelle" antighiaccio) o
riscaldati.
CARATTERISTICHE
Per ciascuna delle sonde riportate dovranno essere conosciute le seguenti caratteristiche:
- materiali costruttivi
- normative tecniche di riferimento
- limiti di utilizzo
- campo di misura
- accuratezza
- precIsione
- risoluzione e tempo di risposta
- isteresi
- alimentazione
- tipo di uscita e range
- tempo vita medio (se disponibile)
- tempo medio fra avarie (se disponibile)
- tempo medio di intervento (se disponibile)
64 BIBLIOGRAFIA AA.VV. 1983. Guide to meteorologicol instruments ond metnods of obsC1Votion, W.M.O. n. 8,
Ginevra, W.M.O.
AA.VV. 1986. Compendium of lectun notes on meteorologicol instruments for training closs 11/ ono
closs IV meteorologicol personnel, W.M.O. n. 622, Ginevra, W.M.O.
AA.VV. 1982. Le sto~ioni meteorologiclte outomoticne del S.M.R., Bologna, Ufficio Agrometeo ­
Servizio Meteorologico Emilia-Romagna.
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