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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2012 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) PROPRIETÀ ISBN: 000 00 LETTERARIA 000 0000 0 RISERVATA © 2015 Wolters Kluwer Italia S.r.lesclusivamente Strada I, Palazzo - 20090 Milanofiori Assago (MI) Il presente file può essere usato perF6 finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione toISBN: 9788865042373 tale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM che identificano l’utente associandogli Ilusername presenteefile può essere esclusivamente finalitàdel di testo carattere personale. I diritti di password e nonusato consentono operazioniper di copia e di stampa. La pubblicazione commercializzazione, di memorizzazione elettronica, di adattamento di riprodupuò essere scaricata etraduzione, consultata su un numero massimo di dispositivi (computer,etablet, e-reader zione totale o parziale qualsiasi riservati per tutti i Paesi. dell’acquisto. La mao smartphone abilitati),con associati allomezzo stesso sono utente, specificato in occasione La presente dei pubblicazione è protetta da sistemi di DRM.sanzionata. La manomissione dei DRM è vietata nomissione DRM è vietata per legge e penalmente per legge e penalmente L’elaborazione dei testi èsanzionata. curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. 9 PREFAZIONE L’esperienza di scrivere questi Quaderni mi è parsa davvero feconda. All’inizio si è certi di non dover tergiversare più di tanto, perché l’esigenza è quella di arrivare al “dunque” il prima possibile. Tutto si condensa, “precipita”, in un lasso di tempo sufficientemente ridotto da mantenere la vividezza dei colori del ritratto. È la velocità che caratterizza i nostri tempi. Tutto e subito. Affrontare il tema del commercio elettronico (per l’ennesima volta ...) ha reso piuttosto interessanti gli evidenti limiti derivanti dalla riduzione dello spazio per “meditare” gli argomenti. La materia si presta ad un viaggio repentino, per guidare il lettore (un imprenditore o un suo consulente), all’interno dei confini di un insieme di cognizioni che – oggi – non è proprio possibile ignorare. I confini, tuttavia, raccontano una storia consolidata, rassicurante, come quella dei volumi facenti parte della manualistica tradizionale che qualcuno ben informato mi disse a suo tempo: “Quelli sono libri di storia. Le informazioni ‘vere’ sono altrove”. Aveva ragione, ora più che mai, quando diventa necessario superare i confini, perché il mondo del futuro non è nei libri di storia, ma in quello che dobbiamo ancora vedere. E, poi, va da sé, raccontare al meglio delle nostre capacità. La “storia” però bisogna conoscerla e, quindi, i “fondamentali” occorre pur sempre tenerli in debito conto prima di avventurarsi oltre. Lo dice un “Tizio” che si vanta (quando serve) di essere stato il fiero proprietario di uno ZX Spectrum, di aver passato più di un giorno affascinato dal mentalismo di Tetris e dai sistemi complessi generati dai pattern di SimCity, di aver “mistificato” fittizie identità nelle prime chat rooms, di aver provato a toccare ‘oggetti’ con il Data Glove nonché “disegnato” uno dei primi “Virtual Shop” (con un 3D a “fosfori verdi” al quale si ripensa con un moto di tenerezza). Dalla storia ci si sposta. Ed è quello che è stato tentato con questo libro (di cui giudicare la riuscita ci trova in uno smaccato conflitto di interessi) che ha una struttura analoga a quella dell’universo telematico. Infatti, invece di esagerare con defatiganti rinvii alla letteratura in materia (invero più che alluvionale), sono stati scelti unicamente i lavori più recenti, abbondando – al contrario – in links. Questi rinvii “mostrano” ciò di cui si parla, consentendo al lettore di spingersi verso terre nuove che, presto, saranno l’Internet delle cose (e già sono le Dark Highways del Deep Web), in cui non sapremo più esattamente con “chi” o “cosa” interagiamo (ammesso che ci sarà davvero una differenza). Fino ad allora, guardiamo avanti. © Wolters Kluwer 10 Prefazione Questo scritto, in un momento in cui si aprono nuove fasi, è dedicato alla curiosità con la quale i bambini continuano a guardare il Mondo. Ed a sorriderci, anche senza che ci sia (ancora) un perché. Sanno già tutto. La maggior parte della gente crede che noi abbiamo il libero arbitrio. Che ciascuno di noi scelga liberamente il proprio cammino. Ogni curva, ogni svolta può mettere alla prova il nostro senso di orientamento. Ma sono le scelte che facciamo davanti ad un bivio a definire chi siamo. © Wolters Kluwer 11 CAPITOLO I PROFILI INTRODUTTIVI AL COMMERCIO ELETTRONICO. NUMERI, CLASSIFICAZIONI E PROSPETTIVE SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il mercato Internet - 3. Segue: disintermediazione/reintermediazione/infomediazione - 4. Segue: interattività/interazione della comunicazione - 5. Internet/commercio elettronico e diritto. Brevi note - 6. Il commercio elettronico “in numeri” - 7. Il commercio elettronico: definizione e criteri di classificazione - 8. Il futuro della disciplina del commercio elettronico secondo l’Unione europea 1. Premessa New Economy è una delle espressioni che hanno trovato un ampio consenso nell’immaginario collettivo come “cornice concettuale” di quella rivoluzione economica, in cui Internet avrebbe, per la sua sola presenza, rischiarato di ‘nuova luce’ ogni modello di ragionamento sull’evoluzione della società. Al suo interno è poi collocato uno dei suoi “motori” principali, ossia il commercio elettronico. In ombra, tutta la parte di infrastruttura tecnologica che regge l’intero sistema e che appare sottratta ai più, per costituire un nuovo mondo oligopolistico nel quale pochi soggetti detengono le leve principali. Da Internet (almeno per la poca parte che conosciamo) e dalle sue configurazioni non è più possibile prescindere. La New Economy è subito tramontata quando si è visto che le consolidate regole non della “vecchia” economia ma dell’economia tout court hanno continuato a mostrare tutta la loro valenza. Molte imprese l’hanno scoperto a loro spese (ed a quelle degli investitori), con una repentina deriva di quelle che sono state designate, con una punta di comprensibile risentimento, come “crash.com”; di quelle imprese, cioè, che, prive di un accurato piano economico ma illuminate da una suggestione di marketing, sono velocemente comparse e scomparse dal web, portandosi appresso la spropositata capitalizzazione (si pensi, per es., alla sorte di boo.com, di living.com, etc.). La crisi ha colpito anche alcune imprese che in tutti i testi di marketing vengono indicate quali esempi di dot com di successo, come, per es., AltaVista e Amazon. Entrambe, infatti, sono “vittime” delle più classiche © Wolters Kluwer 12 Capitolo I delle nozioni economiche: la prima è “cresciuta” senza una accurata valutazione del profitto atteso, con la conseguente decisione dapprima di ridurre del 25% il personale per poi chiudere definitivamente nel 20131; la seconda (partita con un valore per azione di 18 dollari nel 1997 è precipitata al valore di 1,5 dollari alla fine degli anni ’90 dello scorso Secolo), ha cominciato a produrre utili solo a partire dal 2002 (un centesimo di dollaro per azione, poco più che simbolico), procedendo rapidamente, per sopravvivere, ad un mutamento del modello di business con una radicale diversificazione dell’offerta2. Questi due esempi dimostrano come quando si vogliano (produrre e) vendere prodotti o servizi attraverso Internet, la “veste” tecnologica, seppur innovativa, da sola non è sufficiente (ne sa qualcosa SecondLife)3. Del resto, tanto per fare un altro esempio, Google non si è fermato all’invenzione di alcuni algoritmi ma ha proceduto verso una “gestione” capillare delle informazioni (dalla posta elettronica, ai video, alla gestione della posta elettronica, al cloud computing, etc.)4. Piuttosto che un raffronto tra “new” ed “old”, ora si parla più semplicemente di “Web Economy”5 1 http://it.wikipedia.org/wiki/AltaVista. Dall’invenzione del lettore di e-book “Kindle”, alla gestione, in termini industriali, delle funzioni logistiche. cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Amazon.com. 3 http://it.wikipedia.org/wiki/Second_Life. 4 La storia di Google è segnata da una lunga serie di acquisizioni come, per es.: Applied Semantics (2003) da cui nacque in seguito la piattaforma AdSense; Picasa (2004); Android (2005); YouTube (2006) , DoubleClick, Feedburner e GrandCentral (2007); AdMod (2009); On2, ITA, Like.com e Slide (2010); AdMeld e Motorola Mobility (2011). V., Le mille acquisizioni di Google, da YouTube a Motorola, in http://www.zeusnews.it/ n.php?c=15365. 5 Per “Web Economy” si intende uno “Scenario economico fondato sull’uso del World Wide Web emerso successivamente al crollo dei titoli tecnologici dell’indice Nasdaq della primavera del 2000. Tale evento ha segnato la crisi di quella che fino ad allora si definiva enfaticamente new economy: la repentina crescita economica legata al settore della tecnologia delle comunicazioni, in realtà, era fondata principalmente su speculazioni finanziarie che non si sono dimostrate in grado di realizzare un modello economico sostenibile. Dopo la scomparsa di numerose imprese dot.com in seguito alla crisi, si sono progressivamente create condizioni maggiormente equilibrate in cui, accanto alle esperienze più solide della fase precedente, si sono stabilizzati schemi operativi e modelli di business affidabili. Le innovazioni introdotte dalla web economy sono profondamente interrelate. Dal momento che tutti i processi che si attivano in questa dimensione dell’economia sono fondati sull’infrastruttura logica del Web, l’estensione dei mercati raggiunge una scala globale e le informazioni possono circolare in tempo reale. Inoltre, in una configurazione di network distribuito come quella che ne deriva, i beni-informazione godono di una struttura di produzione che presenta costi marginali ridotti o nulli. Sotto questo punto di vista, la web economy si inscrive nell’alveo della cosiddetta economia dell’abbondanza, espressione coniata per indicare il superamento della scarsità propria della produzione di beni materiali nell’economia tradizionale. È in una simile configurazione, del resto, che acquisisce rilevanza il principio della ‘coda lunga’ introdotto da Chris Anderson: accanto alla commercializzazione di un numero relativamente ridotto di prodotti bestseller destinati al mercato di massa, gli ‘scaffali virtuali’ aprono lo spazio alla distribuzione di una quantità smisurata di prodotti di nicchia. Il web è diventato la piattaforma operativa che ha permesso la nascita di mercati e comparti industriali nuovi, portando in molti casi alla ristrutturazione di quelli preesistenti. Le innovazioni sono estremamente rilevanti, 2 © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 13 2. Il mercato Internet Lasciando da parte ogni ricostruzione circa la nascita dell’Internet che conosciamo6 – ormai ben nota – non possiamo non rilevare come il mercato costituito da Internet (sia direttamente che indirettamente) costituisce uno di quegli esempi di “globalizzazione”, analogamente a quanto è accaduto – non senza conseguenze – rispetto alla progressiva internazionalizzazione dell’economia e della finanza che si è registrata negli ultimi decenni. Quello che è stato il frutto di una “progressiva” apertura dei mercati, per Internet è stata vista come una conseguenza del tutto ‘naturale’ rispetto alla sua stessa configurazione. Su Internet tutto appare globale a cominciare dagli strumenti dalla “localizzazione” (i nomi di dominio), all’accesso alle informazioni, alle comunicazioni, alla collocazione di beni e/o servizi (qualsiasi sia il relativo regime giuridico). Ovviamente sono di rilevanza sovranazionale anche i relativi pericoli (privacy, crimini informatici, etc.). La possibilità di operare senza barriere geografiche, su un mercato di dimensione planetaria, è una grande sfida per imprese (come quelle italiane) che hanno stentato a valicare i confini nazionali. Si tratta di una grande occasione anche per una trasformazione culturale: quella di misurarsi con problemi che, prima di Internet, potevano essere trascurati. tuttavia non si tratta di una forma alternativa di economia, bensì della matura riformulazione di alcuni assiomi tradizionali. A mutare non è stato solo il modo di gestire gli affari e le transazioni commerciali, con un incremento sostanziale dell’e-commerce e l’intensificazione delle relazioni business to business (B2B) e business to consumer (B2C): il cambiamento ha infatti interessato un campo assai vasto di ambiti socio-economici, dall’organizzazione flessibile dei processi industriali alla gestione dell’amministrazione pubblica (e-Government), dall’intensificarsi delle operazioni finanziarie alla creazione di servizi a valore aggiunto. A risultare mutato è anche il ruolo del consumatore, il quale può disporre di possibilità di informazione molto più ampie e diventare anche parte attiva dei processi produttivi, grazie in particolare alle potenzialità di interazione e collaborazione caratteristiche del Web 2.0. In tal senso, l’idea di prosumer (unione di producer e consumer), riesce a sintetizzare la figura di un soggetto capace di generare valore attraverso la realizzazione autonoma di contenuti (user generated content)”. (Così, V. COLISTRA, Web economy, in Enciclopedia della Scienza e della Tecnica Treccani (2008) (http://www.treccani.it/enciclopedia/web-economy_%28Enciclopedia_della_Scienza_e_della_Tecnica%29/). 6 La precisazione è d’obbligo poiché l’Internet che conosciamo (e sulla quale “navighiamo”) è solo una parte e, per giunta, di modeste “dimensioni”. Esistono, infatti, delle “reti alternative” (c.d. alternative roots) sorte per contrastare quello che è un dato di fatto (con particolari elementi di criticità non palese), ossia la circostanza che Internet è totalmente dominato (sia dal punto di vista tecnologico che “gestionale”) da imprese Nordamericane. Sul Dark Web (detto anche Deep Web) v. http://www.tgcom24.mediaset.it/tgtech/usainternet-messo-a-punto-il-motore-di-ricerca-che-esplora-il-dark-web-_2094686-201502a.shtml con riferimento al motore di ricerca Memex. I siti del Deep Web non sono indicizzati dai motori di ricerca, e non sono accessibili da un semplice browser. Per addentrarsi occorre una connessione sicura tramite TOR (The Onion Router) e cercare l’Amazon “alternativa” (Silk Road), dove ogni cosa (specie illegale) è comprabile con i bitcoin (http://www.ilsole24ore.com/ art/tecnologie/2014-04-16/che-cos-e-deep-web-183119.shtml?rlabs=1). Si parlerà di TOR nel Capitolo VII, par. 16. © Wolters Kluwer 14 Capitolo I Oggi, al contrario, se non si procede a “proporsi” con efficacia a livello ampio, non c’è neppure la certezza di non essere “disturbati” da imprese straniere (a cominciare da quelle comunitarie, che straniere non sono) nel proprio mercato domestico. Laddove si prospettano margini di profittabilità nell’operare tanto più si corrono i rischi di aver sottovalutato le leve di una funzionalità d’impresa “connessa” che deve imparare a coniugare le regole (più o meno) consolidate del marketing (inteso come insieme delle funzioni aziendali e non solo con riferimento alla “promozione”), con la conoscenza dei nuovi settori, delle nuove tecnologie, dei “nuovi mondi”, che sorgono dalla costante interazione di tante soggettività che, ogni giorno, sono presenti e si muovono sulla Rete7. Il mercato costituito da Internet ha un grande pregio che è costituito dal fatto che, per operarvi, non sono richiesti (almeno in teoria) elevati investimenti legati a infrastrutture. In effetti, per svolgere una attività di impresa, servono meno capitali di quelli occorrenti per operare con modalità “tradizionali”. Questo genera, quali conseguenze, un tendenziale livellamento delle opportunità offerte ai diversi attori del mercato nonché la presenza di un livello di potenziale concorrenza mai registrato prima8. La bassa barriera di ingresso, combinata con la globalità di Internet, genera un mercato più competitivo e un’offerta più aggressiva. Una società di software di un Paese in via di sviluppo può elaborare programmi a prezzi ridotti e con una assistenza completa anche per un cliente italiano (ad esempio: un fornitore di componenti meccanici coreano può essere facilmente trovato sulla Rete dal vostro migliore cliente tedesco e costringervi ad abbassare i prezzi della vostra fornitura e ad offrire un servizio migliore). D’altra parte, per molte aziende italiane si aprono improvvisamente nuove opportunità e mercati interessanti in luoghi lontani come India, Giappone e Nord America e a costi accessibili. La bassa barriera di ingresso è quindi allo stesso tempo un’opportunità e una sfida. Il livellamento degli strumenti a disposizione di tutti i soggetti in gio7 Sul piano delle regole (e delle azioni) la Commissione europea ha diffuso alcuni documenti di lavoro, tra i quali si segnala la (bozza di) Comunicazione 11 gennaio 2012, A coherent framework to boost confidence in the Digital Single Market of e-commerce and other online services, SEC(2011) 1641 final (in http://ec.europa.eu/internal_market/e-commerce/docs/communication2012/SEC2011_1641_en.pdf), nonché, il 23 aprile 2013, l’E-commerce Action plan 2012-2015. State of play 2013, SWD(2013) 153 final (in http://ec.europa.eu/internal_market/e-commerce/docs/communications/130423_report-ecommerceaction-plan_en.pdf). Detto “piano di azione” è collegato all’Agenda digitale europea. 8 E. PRANDELLI, Il vantaggio competitivo in rete. dal web 2.0 al cloud computing, Milano, 2011. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 15 co è un elemento importante nel mercato digitale e produce un rimescolamento delle carte in un gioco finora legato alla territorialità e a rapporti consolidati dalla vicinanza geografica9. La bassa barriera di accesso è anche fronte di numerosi problemi di sottovalutazione delle dinamiche web, rispetto alle quali i pregi possono diventare dei formidabili vincoli qualora non sia stato strutturato un “ragionamento” aziendale che li tenga in debito conto. Ad esempio, avranno particolare valore gli investimenti sull’innovazione tecnologica, poiché, appare evidente che se una impresa riesce a realizzare un nuovo standard tecnico, la tutela a questa attribuita gli conferisce un monopolio legale di grande valore (data la sua portata). Lo stesso può dirsi per l’assolvimento di efficienti funzioni logistiche, se è vero – com’è vero – che, tolti i prodotti o servizi “immateriali”, per tutti gli altri sarà sempre necessario “qualcuno” che li porti materialmente nelle mani del destinatario. 3. Segue: disintermediazione/reintermediazione/infomediazione I cambiamenti determinati dagli approcci al mercato costituito da Internet hanno generato dei convincimenti (poi, ovviamente, rivelatasi in gran parte illusori), secondo i quali una impresa sarebbe diventata totalmente autosufficiente, poiché ogni sua esigenza sarebbe stata “supportata” dalle soluzioni presenti sulla Rete. In effetti, Internet ha prodotto una reinterpretazione della struttura dei canali distributivi, modificando la catena (del valore) che porta il prodotto dal produttore/intermediario al consumatore (o altro imprenditore). 9 INDIS-ISTITUTO NAZIONALE DISTRIBUZIONE E SERVIZI, Guida multimediale al commercio elettronico, II ed., a cura di E.M. TRIPODI, M. VINCENTI, Rimini, 2008, p. 43 ss. In controtendenza la competizione può far leva proprio sulla valorizzazione del territorio, come nel caso dei prodotti agroalimentari di qualità. Un caso di specie è il sito http://www.italianfoodexperience.it, rispetto ad altre iniziative men che approssimative sorte in concomitanza di Expo 2015. Vanno, tuttavia, tenuti in debito conto i cambiamenti dello scenario internazionale derivanti dalla potenziale approvazione dell’Accordo commerciale tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, denominato Transatlantic Trade and Investment Partnership (o TTIP), con l’obiettivo di rendere più fluida, tra le altre cose, la circolazione delle merci. Tra gli USA e l’Europa, dunque, si creerebbe una Area di libero scambio nell’ambito della quale non è chiaro come sia possibile tutelare alcune specificità produttive (per esempio qualitative). Peraltro, la bozza del testo del Trattato, di cui è in corso la negoziazione, al momento in cui scriviamo non è stato reso noto. Per altre informazioni si v. il sito della DG Trade della Commissione europea (http://ec.europa.eu/ trade/policy/in-focus/ttip/about-ttip/contents/index_it.htm). Per considerazioni di segno diametralmente opposto cfr., tra tanti, http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/10/commercio-mondiale-il-ttip-trattatofantasma/1086770/ e http://temi.repubblica.it/limes/la-ttip-tra-usa-e-ue-unopportunita-per-tutti/49720? printpage=undefined. © Wolters Kluwer 16 Capitolo I Molte imprese, grazie ad Internet, sono in grado, almeno in teoria, di impostare la loro attività di vendita “a distanza” raccogliendo direttamente gli ordini via web e distribuendo i prodotti attraverso corrieri e servizi di logistica ben integrati. In questo scenario i vantaggi sono notevoli. L’impresa ‘conosce’ direttamente i propri clienti finali e dispone di una serie di dati e di strumenti promozionali che erano in precedenza di principale competenza della catena di distribuzione. Riducendo la catena di distribuzione e gli intermediari utilizzati, il produttore che vende direttamente può aumentare i margini o misurarsi nel mercato proponendo prezzi migliori. Infine, si ridimensiona la rilevanza dei fattori geografici. Il mercato potenziale che si raggiunge con la vendita diretta sulla Rete è, in genere, più esteso di quello coperto da una rete di distribuzione geografica. Si pensi, ad esempio, al fatto che il commercio elettronico consente una ottimizzazione della gestione del magazzino, potendo evitare la necessità di mantenere un deposito fisico ed organizzando gli ordini direttamente dal produttore. Oppure, in considerazione della “immaterialità” di alcuni beni (ad es. un software, un brano musicale, il testo di un libro), lo stesso bene può prescindere dai tradizionali strumenti distributivi “fisici” ed essere veicolato direttamente attraverso la Rete10. La diffusione del commercio elettronico può quindi portare al c.d. fenomeno della “disintermediazione”, ovvero al fatto che alcuni “protagonisti” della filiera potrebbero non essere più necessari. Tutto ciò, almeno in teoria. La realtà è ben nota. Le funzioni svolte dagli intermediari della distribuzione sono spesso ineliminabili e, di conseguenza, o si “assorbono” a monte o si “scaricano” a valle. Di conseguenza ci sarà sempre qualcuno che dovrà svolgerli. Peraltro una impresa tradizionale che voglia diventare web-centrica può incontrare alcuni problemi come, tanto per indicarne qualcuno: a) la localizzazione “fisica” del venditore rappresenta un fattore di stabilità e un elemento qualificante nel servizio al cliente. Vendere su Internet significa raggiungere immediatamente un bacino di potenziali clienti enorme ma anche esporsi a una maggiore mobilità degli acquirenti e una minore fedeltà dovuta all’assenza di vincoli geografici. Alcuni prodotti e alcune tipologie di clienti, inoltre, per10 F. MACALUSO, Distribuzione di contenuti digitali in Rete, in Dir. comm. internaz., 2010, p. 821 ss. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 17 cepiscono la vicinanza fisica come un valore importante del servizio; b) molte imprese sono organizzate in modo da dipendere fortemente dalla catena distributiva e di vendita radicata sul territorio (si pensi alla distribuzione esclusiva e selettiva). La trasformazione della catena può rappresentare in molti casi una minaccia più forte dell’opportunità offerta, poiché potrebbe compromettere la redditività e far “collassare” un’organizzazione di vendita, soprattutto se questa è basata sulla “personalità” dell’intermediario (come nel caso dei servizi); c) la completa disintermediazione è irrealizzabile qualora l’impresa non sia in grado, in termini maggiormente remunerativi, di svolgere le funzioni demandate agli intermediari. Piuttosto che di disintermediazione è, quindi, più corretto parlare di reintermediazione, ossia di “ripensamento”, in chiave web, delle funzioni distributive, meglio ancora se ciò coincide con la progettazione della stessa impresa (o la “riconversione” di impresa esistente). I ‘nuovi’ intermediari sono ora tutti quei soggetti che, forti di particolari conoscenze legate allo strumento utilizzato, riescono a costruirsi un proprio mercato, a tal punto da poter rendere il proprio intervento utile, opportuno, necessario o indispensabile. Si tratta, quindi, della nascita o dell’impiego di nuove professionalità in cui il comune denominatore può essere individuato nella conoscenza dei moderni strumenti di comunicazione, grafica, linguaggio di programmazione, nuove tecnologie e marketing. Si stanno, infatti, da un lato consolidando nuove forme di intermediazione, legate all’utilizzo necessario ed efficiente delle nuove tecnologie; dall’altro, la modificazione, anch’essa attraverso l’integrazione con le nuove tecnologie, degli intermediari tradizionali. Tra le tante figure presenti, citiamo, per semplicità espositiva, solo le più note: a) infomediari – si tratta di quanti svolgono una funzione di intermediazione raccogliendo dati personali e permettendo alla domanda e all’offerta di incontrarsi per la realizzazione di una transazione on line dietro compenso11. Un esempio in tale senso sono i mall, i 11 http://www.i-dome.com/articolo/925-INFOMEDIARI.html. © Wolters Kluwer 18 Capitolo I centri commerciali virtuali, e i portali. Questi ultimi possono essere infomediari verticali, specializzati cioè in un determinato settore, oppure infomediari orizzontali, offrendo un servizio su più settori; b) cybermediari – si tratta di organizzazioni o soggetti di intermediazione informativa che si occupano di selezionare e ordinare in categorie le informazioni presenti sulla Rete. Un esempio di cybermediari è rappresentato da “specializzazioni” di motori di ricerca e di directories; c) agenti software (detti anche Intelligent Agent o Smart Agent) – si tratta di programmi software che raccolgono informazioni o svolgono alcune attività, con un obiettivo definito, senza la necessità di un utente presente. Un Agente normalmente cerca su Internet dei contenuti o delle “situazioni” con i quali è in grado di “interagire” sulla base dei parametri ricevuti. Si pensi, ad un Agente “pensato” per acquistare “automaticamente” certi prodotti in una asta web, quando il prezzo raggiunge un certo valore (l’Agente quando è molto sofisticato è in grado anche di “negoziare” mimando le valutazioni ‘tecniche’ di un essere umano)12. 4. Segue: interattività/interazione della comunicazione L’infomediazione appare, dunque, una delle attività di maggior rilievo della “Galassia Internet” (secondo la famosa espressione del sociologo Manuel Castells)13, a causa della notevole mole di informazione che, giornalmente, si aggiunge a quella già presente14. E si aggiunge, con vertiginosa crescita esponenziale, sulla base della sua interattività15. La co12 http://it.wikipedia.org/wiki/Agente_intelligente. F. BRAVO, Contratto cibernetico, in Dir. informaz. e informat., 2011, p. 169 ss. Il traguardo, com’è risaputo, è il superamento del “Test di Turing”. 13 M. CASTELLS, Galassia Internet, Milano, 2006. 14 Vedi, al Capitolo III, par. 11, n. 9). 15 Con il concetto di interattività, si indica una caratteristica di quei sistemi di comunicazione in cui entrambi gli interlocutori hanno la possibilità di assumere i ruoli di sorgente e destinatario durante una stessa situazione comunicativa, poiché possono usare entrambi gli stessi canali. Questi ultimi devono perciò essere bidirezionali, dotati di un'adeguata capacità trasmissiva in entrambe le direzioni e permettere un feedback adeguato e contestuale. “Nell’ambito dell’informatica e della comunicazione, particolare tipo di relazione che si stabilisce tra i media digitali e i loro utenti, che sottolinea il ruolo di partecipazione attiva offerto dal medium ed esercitato dall'utente all'interno di un processo di trasferimento di informazioni mediato dal computer. È una delle caratteristiche attribuite ai nuovi media, insieme alla multimedialità, all'ipertestualità e all'elaborazione dell'informazione in formato digitale. I diversi tentativi di definire il particolare tipo di interazione che si stabilisce tra i media digitali e gli utenti hanno risentito della specifica accezione di interazione dalla quale è stata fatta derivare. Una delle definizioni che offre maggiori contributi in termini euristici e tassonomici è quella proposta nel 1999 da J. Jensen, docente di media digitali, il quale, mantenendola distinta dall'interazione sociale, defi© Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 19 municazione su Internet è basata su uno scambio di informazioni e non semplicemente sull’invio di informazioni. Questo elemento è estremamente rilevante nel complesso della strategia di presenza di un’impresa in Rete, perché esige un radicale ripensamento del modo di dialogare con il proprio mercato (si pensi al mondo dei “social”). L’interattività della comunicazione porta ad alcune conseguenze rilevanti: - Internet non è solo un “media” (o, meglio, una “somma” di media) attraverso il quale l’impresa può diffondere informazioni, ma è anche uno strumento per costruire e mantenere le relazioni; - l’impresa attraverso Internet può raggiungere il proprio mercato tanto facilmente quanto il mercato raggiunge l’impresa. Ciò determina l’esigenza (e l’opportunità) di “farsi trovare” e di essere pronti a dialogare, e di conseguenza anche a stimolare una interazione con i visitatori del sito e a rispondere a sollecitazioni provenienti dai clienti (potenziali o esistenti) che possono contattarla in ogni momento e sollecitarne una risposta o un intervento16; - su Internet l’attenzione si sposta dal prodotto al servizio: la soddisfazione del cliente e il relativo livello di servizio non sono solo elementi qualificanti dell’offerta commerciale, ma requisiti necessari perché possa crearsi una relazione commerciale soddisfacente; - su Internet l’azienda dialoga direttamente con ogni singolo cliente con la possibilità di gestire una comunicazione personalizzata ad un costo ragionevole. La possibilità di raccolta di informazioni sul cliente (attraverso la compilazione di form predefiniti) e sulla sua relazione con l’azienda (che prodotti ha acquistato, quali informanisce l'i. come la misura della potenziale capacità di un medium di lasciare che l'utente eserciti un'influenza sul contenuto e/o sulla forma della comunicazione mediata. In particolare, è possibile distinguere tre diverse forme di interattività: selettiva, conversazionale e registrativa. La prima indica la possibilità data all'utente di scegliere le informazioni all'interno di un sistema di comunicazione unidirezionale, come per es. il televideo (in tal caso l'interattività è trasmissiva) o all'interno di un sistema bidirezionale, come per es. le tecnologie on demand (nel qual caso l'interattività è consultativa). La seconda si riferisce alla possibilità data all'utente di elaborare e inserire contenuti all'interno di un sistema bidirezionale, come quello della posta elettronica o delle chat. La terza forma indica l’opportunità da parte dell'utente di inserire contenuti ai quali il sistema replica in modo adattivo, come nel caso dell'intelligenza artificiale” (in questi termini, la voce “Interattività” del Lessico del XXI Secolo Treccani, 2012, in http://www.treccani.it/enciclopedia/interattivita_%28Lessico-delXXI-Secolo%29/). 16 Un semplice esercizio: provate a verificare quante imprese che “dicono” di essere attive “H24” e “7/7” rispondono a Ferragosto o alle 4 della mattina. © Wolters Kluwer 20 Capitolo I zioni ha richiesto, a quali newsletter si è abbonato, etc.) sono alla base del marketing one to one, che si può attuare verso tutti i visitatori del sito. Il marketing di massa, costruito sulle medie dei segmenti di popolazione, lascia spazio ad una gestione del marketing personalizzato, costruito sulle differenze che emergono in ogni relazione con un singolo interlocutore. L’interattività – da quanto siamo andati dicendo – non va confusa con l’interazione. Nella interattività il “canale comunicativo” è bilaterale. L’interazione è, invece, una forma più sofisticata di comunicazione sociale in base alla quale la trasmissione delle informazioni si configura quale “stimolo” ad un processo di reciproco cambiamento intenzionale nello scambio comunicativo. Secondo quanto riferiscono due esperti di marketing, la comunicazione è interattiva quando “si riconosce competenza comunicativa all'interlocutore o all'apparato a cui ci si rapporta”: “non comunica chi trasmette, magari in modo innovativo. Comunica chi è cambiato, chi si fa cambiare dall'interazione comunicativa”17. Di conseguenza, una impresa “comunica” quando si “riconosce” e “riconosce” l’interlocutore (essere umano o macchina, non rileva) come elemento della “costruzione” di un “discorso” e non come (mero) scambio di “posizioni” unilaterali. Avere una posta elettronica per le richieste che poi vengono gestite con risposte “standard” (perfino automatizzate) è un esempio emblematico di mancata volontà di interazione, seppur sia presente una comunicazione interattiva. Il “dialogo” – e non solo in termini sociologici – presuppone la possibilità di perseguire e determinare il cambiamento. 5. Internet/commercio elettronico e diritto. Brevi note La circostanza che viviamo “immersi” in un insieme di sistemi informatici e telematici (quella che è stata definita era biomediatica, specialmente per i c.d. “nativi digitali”), oltre a elementi di opacità su chi (e dove) detiene le “leve del potere”18, ha ingenerato anche una scarsa consapevolezza delle conseguenze giuridiche delle attività svolte attraverso la Rete 17 G. BETTETTINI, F. COLOMBO, Le nuove tecnologie della comunicazione, Milano, 1994, p. 326. Assolutamente condivisibile la ricostruzione, in tal senso, di B. SAETTA, Il nome a dominio è il campo di battaglia della guerra elettronica, in http://www.valigiablu.it/il-nome-a-dominio-e-il-campo-di-battaglia-dellaguerra-elettronica/ che, peraltro, si può estendere al terreno delle “tecnologie” di Internet tout court (v., per es., C. FREDIANI, Tor è ancora anonimo?, in http://www.wired.it/internet/web/2014/11/25/tor-anonimo/). 18 © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 21 delle reti, carenza vieppiù incrementata, almeno in una prima fase “conoscitiva” dai numerosi (e pericolosi) cantori di Internet quale spazio legibus solutus19. Se è vero che lo spazio “virtuale” appare (apparentemente) privo dei caratteri “territoriali” e “spaziali” tradizionalmente necessari al diritto è anche vero che il diritto non perde affatto la sua valenza, anzi la moltiplica proprio perché deve (o dovrebbe) tener conto di molteplici elementi (anche tecnici) prima sconosciuti. Insomma, la libertà dalle regole non è vera libertà ed ogni ambiente/mercato in cui si esplicita la vita e le relazioni (al momento umane, ma in futuro anche di “macchine intelligenti”) ha comunque bisogno di un quadro di elementi di certezza e di tutela20. Al riguardo è sufficiente riportare una voce più che autorevole che ha richiamato l’attenzione sulla circostanza che il mercato (e, a maggior ragione, quello telematico) non preesiste al diritto ma è anzi questo a dargli una veste: quella della doverosità dei comportamenti 21. Infatti, secondo una concezione innervata nei nostri cromosomi culturali – con le parole dell’illustre cattedratico – “L’economia sta prima; il diritto viene dopo (…) l’economia naturale, intesa come struttura indipendente dalle norme giuridiche, si ritrova nel fondo del marxismo e del più intransigente liberismo, l’uno e l’altro assegnando al diritto una funzione ulteriore e secondaria. Non di determinare, ma di rispecchiare e giustificare rapporti economici già dati”22. Il rapporto tra economia e diritto va invece rovesciato a tutto vantaggio del secondo il quale, altro non sarebbe, che la categoria di giudizio dei fatti economici: “il diritto conforma i vari regimi di produzione e circolazione dei beni. La funzione conformatrice del diritto consiste proprio nel dar forma ad eventi esterni, o, se si vuole, nel costituirli come fatti giuridici”. Le norme – frutto della decisione politica in una direzione o 19 Per tutti la “Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio” di J.P. BARLOW, dell’8 febbraio 1996 (https://w2.eff.org/Censorship/Internet_censorship_bills/barlow_0296.declaration). 20 In questa direzione la Dichiarazione dei diritti in Internet (al momento in bozza e soggetta ad una pubblica valutazione) frutto del lavoro della Commissione di studio per i diritti e doveri relativi ad Internet istituita dalla Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini (in http://www.camera.it/application/ xmanager/projects/leg17/attachments/upload_file/upload_files/000/000/187/dichiarazione_dei_diritti_ internet_pubblicata.pdf). Per la consultazione pubblica su detta “Dichiarazione” v. http://camera.civi.ci/ discussion/proposals/partecipa_alla_consultazione_pubblica_bill_of_rights. 21 N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, nonché le reazioni che sono seguite, in AA.VV., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Bari, 1999. 22 N. IRTI, Introduzione, in AA., Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, op. cit., p. VIII (corsivi nel testo). © Wolters Kluwer 22 Capitolo I nell’altra – recano i criteri di valutazione degli interessi in conflitto, anche allorquando si prospetta un diritto esclusivamente consuetudinario. Tale è comunque “diritto” e le consuetudini – essendo comunque norme giuridiche – trascendono e sempre sovrastano gli accordi dei singoli consociati. Il mercato ed il commercio non sono dunque fenomeni “naturali” ma il frutto della scelta politica di stabilirne regole e funzionamento non già di “registrarne” una loro intrinseca natura. Quanto detto, con la consueta ricchezza stilistica di questo autore, può essere la base per smentire che su Internet non vi siano norme giuridiche applicabili e, in aggiunta, che il Legislatore, dovrebbe “ritrarsi” da questa “terra di nessuno” e non porre alcun limite all’espressione delle libertà individuali (soprattutto quelle di espressione) e all’espansione delle energie imprenditoriali. In realtà – come sarà illustrato nel prosieguo – alle attività esercitate in Rete, oltre ad una serie molto ampia di regole tecniche23, trovano applicazione la quasi totalità delle regole valide nel mondo “fisico”, senza bisogno di scomodare – con un eccesso di segno opposto – un InternetRecht che dovrebbe essere l’obiettivo di un Legislatore pronto a “regolamentare” compiutamente questo nuovo ambito. Anche in questo caso, occorre – a nostro avviso – ragionare cum grano salis perché appare decisamente una forzatura immaginare che norme “pensate” decenni fa, nonostante i “prodigi” delle tecniche ermeneutiche utilizzate per colmare le lacune, non richiedano, in tutto o in parte, un “ripensamento”, per lo meno sulle ricadute (necessariamente) sovranazionali della disciplina. È stato giustamente osservato che i rapporti tra diritto e tecnica, sebbene si intreccino, hanno due profili che vanno tenuti distinti. Da una parte vi sono le riflessioni circa l’impatto che le invenzioni ed i nuovi “ritrovati” tecnologici recano sulla società (si pensi al diritto d’autore ed al “controllo” sulle copie); dall’altro il “filtro culturale” attraverso il quale ogni società “metabolizza” questo impatto e che richiede che vada ‘decodificato’ (e non semplicisticamente “ricondotto”) “all’interno delle categorie con cui gli uomini mirano a trovare adattamento all’ambiente (naturale o sociale)”: “il riconoscimento delle nuove possibilità dischiuse dai più recenti mezzi tecnologici non implica automaticamente un muta23 Sul tema, tra tanti, V. DE LUCA, Autonomia privata e mercato telematico nel sistema delle fonti, Milano, 2004. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 23 mento categoriale o normativo”24. Insomma, nel dibattito tra “apocalittici” (c.d. negazionisti) ed “integrati” (c.d. entusiasti)25, la strada giusta – per quanto “conciliante” – appare proprio una “terza via” che è quella di verificare come il “filtro culturale” di una popolazione (e non solo quello dei giuristi, notoriamente di una generazione precedente) si sia modificato e dove siano necessari dei ‘correttivi’ proprio al fine di mantenere (anche se aggiornati) quei valori fondanti l’esperienza umana26. 6. Il commercio elettronico “in numeri” Il fenomeno del commercio elettronico è strettamente collegato – come si è detto – allo sviluppo e alla diffusione, dal punto di vista tecnico, delle reti di computer, in particolare di Internet, e degli strumenti informatici; un altro elemento che ne condiziona l’espansione è il grado di percezione dello stesso negli utenti, elemento che è, ovviamente, condizionato in negativo o in positivo da vari fattori, quali, ad esempio, dalla comodità, dalla rapidità e dall’ampia gamma di scelta, ovvero dalla percezione della sicurezza e fiducia nell’ambito di una transazione telematica, in relazione agli strumenti utilizzati e alle informazioni trasmesse. Come brevissima premessa di carattere storico, si può dire che il commercio elettronico nasce negli Stati Uniti, nel momento in cui si comprendono le potenzialità della rete Internet che, da strumento pensato prima per scopi militari e poi utilizzato quale mezzo di comunicazione per fini accademici, inizia ad essere adattato a scopi commerciali, e quindi per la fornitura di beni e servizi. Dagli Stati Uniti, il fenomeno si è quindi diffuso, successivamente e progressivamente, anche nei diversi Paesi europei e in quelli del resto del mondo. L’Ufficio statistico dell’UE (Eurostat) ha rilevato che nell’UE a 28 (inclusa quindi la Croazia) in occasione della settimana dedicata allo "Shopping online" (14 - 20 ottobre 2013) nel contesto dell'Anno europeo dei citta24 Estrapoliamo queste suggestioni da U. PAGALLO, La tutela della privacy negli Stati Uniti d’America e in Europa, Milano, 2008 (le citazioni sono a p. 13, corsivi nel testo). 25 V., al riguardo, U. ECO, “Apocalittici ed integrati? 50 anni dopo la battaglia è sul web”, in http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/12/umberto-eco-apocalittici-ed-integrati-50-anni-dopo-la-battaglie-esul-web/911143/. 26 Con la debita attenzione che le regole tecnologiche che “governano” il substrato di Internet (e di tutti i dispositivi connessi) non nasconda degli oligopoli occulti ai quali deve “cedere” anche il legislatore. Sul c.d. “codice informatico” v., E. TOSI, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, a cura dello stesso Tosi, Milano, 2012, p. 10 ss. © Wolters Kluwer 24 Capitolo I dini 2013, gli acquisti on line più diffusi tra gli utenti di Internet sono stati capi di abbigliamento e articoli sportivi nonché prenotazioni di viaggi e vacanze. Per entrambi i settori un terzo degli utenti ha infatti acquistato on line negli ultimi 12 mesi (il 32 % nel 2012, rispetto al 21% nel 2008). Quasi un quarto degli utenti ha riferito di avere acquistato su Internet libri, riviste o materiale di e-learning (il 23% nel 2012, rispetto al 19% nel 2008), mentre meno di un utente su dieci ha ordinato cibo e generi alimentari (il 9% nel 2012, rispetto al 6% nel 2008) . Sempre secondo l’indagine, gli Italiani ricorrono invece ancora poco agli acquisti on line, anche se la tendenza è in lenta crescita: dal 2008 al 2012 infatti la percentuale di acquisti è aumentata per l'abbigliamento (dal 6 all'8 %), i viaggi e gli alloggi (dal 9 al 14%), i libri e il materiale formativo (dal 7 all'8%) e per i prodotti alimentari (dall'1 al 2%). Il quadro italiano sarà trattato, più diffusamente, nel prosieguo. Nel 2012 il Regno Unito (51%) e la Germania (49% ) sono stati gli Stati membri con la più alta percentuale di utenti Internet che hanno acquistato vestiti e articoli sportivi. La Svezia ha avuto invece la più alta percentuale di utenti che hanno prenotato viaggi e vacanze (60%), seguita dalla Danimarca (56%). Per l'acquisto di libri, riviste o materiale di elearning primeggiano Lussemburgo (47%) e Germania (41%), mentre il Regno Unito è stato il primo Stato membro per acquisto di prodotti alimentari (21%, a fronte del 10% o meno nella maggior parte degli altri Stati membri). Con riferimento alla diffusione di Internet e del commercio elettronico in ambito italiano, si possono riportare i dati che costituiscono il risultato di alcuni recenti analisi, con la precisazione che, ovviamente, le informazioni riportate non possono che essere relative (nonché soggette ad una rapida obsolescenza), pur cercando di offrire un quadro complessivo del fenomeno. Secondo l’ISTAT27, nel 2014 è aumentata rispetto all'anno precedente la quota di famiglie che dispongono di un accesso ad Internet da casa e di una connessione a banda larga (rispettivamente dal 60,7% al 64% e dal 59,7% al 62,7%). Le famiglie con almeno un minorenne sono le più attrezzate tecnologicamente: l'87,1% possiede un personal computer mentre l'89% ha accesso ad Internet da casa. All'estremo opposto si collocano le famiglie di soli anziani ultrasessantacinquenni: appena il 17,8% 27 Rapporto ISTAT, Cittadini e nuove tecnologie, Roma, 2014. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 25 di esse possiede il personal computer e soltanto il 16,3% dispone di una connessione per navigare su Internet. Si riduce la differenza tra le famiglie in cui il capofamiglia è un dirigente, un imprenditore o un libero professionista e quelle in cui è un operaio: per il telefono cellulare abilitato da 23,5% a 16,1%, per l'accesso ad Internet da casa da 18,7% a 13,6% e per la disponibilità di una connessione a banda larga da 18,6% a 14,4%. Rimane invece stabile il divario sul territorio. Le famiglie del Centro-nord che dispongono di un personal computer e di un accesso ad Internet da casa sono rispettivamente il 66% e il 66,6%, contro il 57,3% e il 58,3% delle famiglie del Mezzogiorno. Quest'ultima ripartizione registra un forte ritardo anche nella connessione alla banda larga: 56,4% contro 65,4% del Centro-nord. Rispetto al 2013 rimane stabile l'uso del personal computer mentre aumenta quello di Internet (+2,5%). In particolare aumenta l'uso giornaliero del web (+3,3%). Sono peraltro ancora forti le differenze di genere e di generazione. Utilizza il personal computer il 59,3% degli uomini, a fronte del 50,2% delle donne; naviga su Internet il 62,3% degli uomini e il 52,7% delle donne. I maggiori utilizzatori del personal computer e di Internet restano ovviamente i giovani 15-24enni (rispettivamente, oltre l'83% e oltre l'89%)28. Circa un terzo degli utenti di Internet ha fatto ricorso a servizi cloud per accedere ai propri file. Gli spazi per l'archivia- 28 Il CENSIS, nel Rapporto L’evoluzione digitale della specie, Roma, 2013, ha fornito alcune indicazioni sociologiche sui profili degli utenti di Internet in Italia: “L’adsl rappresenta il tipo di connessione a internet al momento più diffuso: la utilizza il 62,9% degli internauti italiani. Il wi-fi cresce notevolmente (40,9%) e la connessione mobile ha ormai raggiunto una quota non trascurabile (23,5%). Tra i soggetti più istruiti e i giovani acquistano maggior rilievo le modalità di connessione flessibili, mentre con l’aumentare dell’età e la diminuzione del livello di scolarizzazione prevalgono quelle più statiche. Nella fascia d’età tra i 14 e i 29 anni il wi-fi è al 46,7% e la connessione mobile al 32%, contro il 16,3% e il 4,1% rispettivamente che si riscontrano tra gli ultrasessantacinquenni. I profili che abbiamo individuato per valutare le tendenze dell’evoluzione digitale in corso sono stati definiti sulla base degli usi di internet. Il primo gruppo selezionato è composto da quanti si collegano alla rete con una connessione adsl da un pc da tavolo o da un pc portatile, ma per meno di un’ora al giorno: sono i “connessi tradizionali”, perché anche se usano internet tutti i giorni, lo fanno in modo funzionale ai loro interessi, sfruttandone le potenzialità, specie per motivi di lavoro e di studio. Il secondo gruppo approfitta delle connessioni wi-fi e di apparecchi come i tablet e gli smartphone per un periodo di tempo che arriva fino alle tre ore giornaliere: sono i “connessi mobili”, che sentono il bisogno di connettersi alla rete in qualunque momento, quanto più possibile. Mai come i “supermobili”, però, che fanno ricorso alla connessione mobile da tablet e smartphone per oltre tre ore ogni giorno: sono always on. Questi ultimi due sono i gruppi che in modo più deciso sono entrati nell’era biomediatica. Non sono ancora molto numerosi: complessivamente, sono il 19,6% degli internauti italiani. Ma specie tra i giovani il loro peso non è indifferente: il 19,7% di supermobili nella fascia d’età tra i 14 e i 29 anni rappresenta un dato molto significativo, così come il 13,5% tra i soggetti più istruiti”(http://www.primaonline.it/wp-content/uploads/2013/10/Sintesi_11_Rapporto.pdf, p. 8). © Wolters Kluwer 26 Capitolo I zione/condivisione su Internet sono usati soprattutto dagli uomini (il 30,2% contro il 26,1% delle donne) e dalle persone tra i 18 e i 34 anni. Cresce anche il commercio elettronico: nel 2014 il 34,1% degli individui di 14 anni e più che hanno usato Internet ha ordinato e/o comprato merci e/o servizi per uso privato. I settori che registrano la crescita maggiore sono gli articoli per la casa (+5,1%) e gli abiti e gli articoli sportivi (+3,8%). Se dalle famiglie passiamo alle imprese, sempre l’ISTAT ci segnala che nel 2014 il 98,2% delle imprese con almeno 10 addetti dispone di una connessione a Internet (96,8% nel 2013). Il 95,0% delle imprese è connesso a Internet in banda larga fissa o mobile (94,8% nel 2013). L'utilizzo della banda larga mobile è in ulteriore crescita, coinvolge nel 2014 il 60,0% delle imprese (49,8% nel 2013). Il 69,2% delle imprese con almeno 10 addetti (88,9% tra le imprese con almeno 250 addetti) dispone di un sito web (67,3% nel 2013). Il 31,8% delle imprese (51,9% tra quelle con almeno 250 addetti) utilizza un social media (24,7% nel 2013); gli strumenti più diffusi tra le imprese sono i social network (29,3%) e i siti web di condivisione di contenuti multimediali (10,3%). Prosegue a ritmi elevati la crescita, registrata già negli anni precedenti, nell'adozione di software specifici per la raccolta e condivisione con altre aree aziendali di informazioni sulla clientela (CRM): dal 13,3% nel 2009 al 23,1% nel 2013 fino al 28,2% nel 2014. È nettamente aumentata anche la diffusione di software per la condivisione automatica di informazioni tra diverse aree funzionali dell'impresa (ERP), che passa dal 9,7% del 2009 al 27,2% del 2013 fino al 37,2% del 2014. La minore dimensione di impresa spiega il mancato investimento in molti degli strumenti tecnologici analizzati, come nel caso dell'adozione di software di condivisione di informazioni tra funzioni diverse (ERP), di soluzioni Rfid, dell'impiego di personale specializzato in sistemi ICT. Se la tecnologia è più neutrale e flessibile rispetto al livello di complessità organizzativa, le imprese sembrano maggiormente orientate verso l'adozione di strumenti ICT finalizzati a risparmi di costo e miglioramenti di efficienza, come nel caso del cloud computing, che coinvolge il 40,1% delle imprese. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 27 Le piccole imprese, pur essendosi dotate per la maggior parte di siti web (67,4%), ancora non colgono le opportunità offerte da sistemi di vendita on line; l'11,5% ha attivato sistemi di ordinazione sul proprio sito web e il 7,3% ha effettuato nel 2013 vendite on line via web o da altre reti29. La crisi economica in atto se giustifica il clima complessivo di difficoltà non offre alcuna motivazione alla perdurante mancanza di spinta propulsiva da parte delle nostre PMI che si sono dimostrare poco propense ad adottare strategie per cogliere compiutamente le opportunità offerte dalla riorganizzazione delle strutture in chiave reticolare (con il contratto di rete), ovvero la commercializzazione di prodotti in mercati esteri, o, ancora, lo sviluppo di servizi di logistica modernamente intesa. Emerge inoltre una sottovalutazione dei margini di profitto che possono essere offerti dall’e-commerce. Infatti, il mercato dei consumatori del nostro Paese appare tra i più diffidenti d’Europa verso gli acquisti on line, a causa della scarsa fruibilità dei siti web, di informazioni poco chiare, di difficoltà nei pagamenti, di assenza di piattaforme di vendita per il mobile e assenza di adeguate strategie per la promozione on line. Il commercio elettronico (inteso in senso ampio) è però un “mondo” che non può essere sottovalutato, specialmente per le prospettive offerte (se si riesce a recuperare almeno il gap con gli altri paesi del quadrante europeo). Al 30 settembre 2014 le imprese del settore sono in tutto 12.980, oltre 7 mila in più rispetto al 2009 e in crescita progressiva ogni anno (7416 nel 2010; 8842 nel 2011; 10.383 nel 2012; 11.996 nel 2013). Effettuando un confronto degli andamenti delle imprese che operano nel commercio via Internet rispetto al trend del totale dell’economia, si coglie una crescita molto rilevante, in controtendenza con il contesto generale. Posto pari a 100 l’anno 2009 (ovvero quello successivo a quello dell’inizio della crisi economico-finanziaria) gli operatori orientati alla vendita sulla Rete sono più che raddoppiati (+218,8%), rispetto a una stagnazione dello stock di imprese complessive. Anche l’Osservatorio eCommerce B2C della Scuola di Management del Politecnico di Milano, sottolinea la rilevanza del fenomeno. Nel 2014 il 29 Cfr. il Rapporto ISTAT, ICT nelle imprese, Roma 2014, che per una informazione completa sull'utilizzo dell'ICT a livello europeo rinvia alle rilevazioni di Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/web/informationsociety/publications). © Wolters Kluwer 28 Capitolo I valore delle vendite di prodotti e servizi effettuate via Internet esclusivamente dai siti italiani verso i consumatori finali (sia italiani che stranieri), è stato calcolato in 13,3 miliardi di euro, con un incremento del 17% rispetto agli 11,3 miliardi di euro del 201330. A generare questo incremento, si segnalano, in particolare, la vendita di abbigliamento (cresciuto del 25% superando gli 1,8 miliardi di euro), di prodotti dell’elettronica e dell’informatica (pari a 1,6 miliardi di euro, in crescita del 31%) e dell’editoria (400 milioni di euro, con una crescita del 34%). Più distanziato il ritmo di crescita di mercati maggiormente “maturi”, come i servizi turistici (che valgono 5,3 miliardi di euro, con una crescita del 10%). Nonostante questi dati incoraggianti, il commercio elettronico, rispetto al totale del valore delle vendite, è ancora fermo al 3,5% (nel 2013 era al 3%), con un livello di penetrazione ancora modesto rispetto a quello registrato in altri paesi europei (lasciando perdere i fenomeni propri degli Stati Uniti, di Corea del Sud e del Giappone)31. Questo, però, significa che esistono consistenti spazi di crescita se si individuano le leve giuste per rendere evidenti i vantaggi che si avrebbero da una maggiore presenza di venditori efficienti on line, nonché delle sinergie determinate dal “collegamento” tra esercizi commerciali “fisici” e quelli “virtuali”32. 7. Il commercio elettronico: definizione e criteri di classificazione Definire il commercio elettronico appare, a prima vista, un’operazione semplice. A stretto rigore, si tratta di una attività di “commercio” (cioè di vendita di prodotti o di servizi in cambio di un pagamento) realizzata per mezzo di strumenti “elettronici”. Con tutta evidenza, una prospettazione del genere appare men che riduttiva, tanto che, per portare avanti il paradosso, non solo non riguarderebbe altre tipologie contrattuali di30 Per un quadro più ampio v. http://www.osservatori.net/ecommerce_b2c. V., più avanti, quanto si dirà, al Capitolo III, par. 10, n. 6), in relazione al tema dei pagamenti on line. 32 Secondo l’Osservatorio, per il recupero dell’attuale gap nel commercio elettronico nel nostro paese, occorre tener conto dei seguenti elementi: a) il completamento dell’offerta on line. Alcuni comparti (il Grocery e il Fai da te) sono ancora poco sviluppati prevalentemente a causa di una presenza inadeguata dei venditori tradizionali; b) l’ulteriore sviluppo dei paradigmi basati su smartphone e tablet in grado di attirare nuovi utenti e di estendere i momenti di interazione tra consumatore e azienda; c) il miglioramento dell’efficienza della logistica (sia di magazzino sia distributiva), che con livelli di servizio sempre più elevati e modalità personalizzate di consegna e ritiro, potrà attirare nuovi acquirenti on line; d) l’impegno di nuovi strumenti di pagamento, sempre più semplici e immediati, consentiranno a molti potenziali clienti di avvicinarsi all’e-commerce. 31 © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 29 verse dal commercio (e, quindi, dalla vendita) ma, in più, riferendosi solo a strumentazioni elettroniche, lascerebbe fuori campo proprio tutta la contrattazione “telematica”, compresa Internet. Evidentemente l’espressione “commercio elettronico” è solo l’esemplificazione sintetica di un insieme molto più variegato, come testimoniato dalla Commissione europea che, nella nota Comunicazione “Un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico” [COM (97) 157], lo descrive come “lo svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione online di contenuti digitali; l’effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa; gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo delle Pubbliche Amministrazioni”33. La definizione offre – seppur nella sua eccessiva ampiezza – un primo significativo dato: il commercio elettronico non è solo quello relativo agli scambi realizzati tra computers collegati in una Rete telematica (come Internet), ma a tutte le fattispecie che implicano l’adozione di strumentazioni elettroniche, indipendentemente dalle modalità e dalle procedure seguite, si pensi al videotext, alle televendite in radiodiffusione, alle applicazioni su reti “proprietarie” pubbliche o private (reti chiuse di impresa, circuiti bancari, etc.), nonché alle c.d. offerte off line, per es. tramite cataloghi su cd-rom, dvd, “chiavetta usb”, etc. Un’altra indicazione che si può ravvisare dall’approccio descrittivo del legislatore comunitario consiste nel fatto che il commercio elettronico non si esaurisce nello strumento utile per il contatto tra fornitore e compratore, ma si estende a tutte le fasi della distribuzione (eccettuata la consegna che, se si tratta di beni materiali, avverrà tramite i consueti canali): dalla ricerca del potenziale compratore, alla fase della trattativa 33 In questa definizione molto ampia, quindi, è possibile comprendere numerose e svariate attività, quali, ad esempio: - e-commerce (in senso stretto) (attività commerciale volta allo scambio di beni o servizi); - e-trading (attività su prodotti finanziari); - e-banking (operazioni bancarie); - e-government (servizi erogati on line dalla P.A.); - e-learning (corsi di aggiornamento o di istruzione a distanza); - e-information (attività editoriale e giornalistica on line); - e-publishing (attività di stampa on line); - e-entertainment (servizi di intrattenimento on line: giochi, scommesse, condivisione o scambio di file musicali, video, software); - telelavoro (prestazione dell’attività lavorativa a distanza); - telemedicina (prestazione dell’attività medica a distanza). © Wolters Kluwer 30 Capitolo I e negoziazione, alla stipulazione del contratto, al pagamento dei prodotti o servizi acquistati e, nel caso di vendita di beni immateriali (per es. software, informazioni, ovvero altri servizi, etc.), anche alla consegna. Che l’approccio del legislatore comunitario sia prevalentemente di convergenza politica sul tema è ulteriormente testimoniato dalla definizione contenuta nella dir. comunitaria n. 2000/ 31/CE, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno34, che inserisce il commercio elettronico nell’alveo dei “servizi della società dell’informazione”, di cui alla dir. n. 98/34/CE del 22 giugno 1998, come modificata dalla dir. n. 98/48/CE del 20 luglio 199835, intendendosi per tali “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi, cioè della persona fisica o giuridica che, a scopi professionali e non, utilizza un servizio della società dell’informazione, anche per ricercare o rendere accessibili delle informazioni”. La dir. n. 2001/31/CE è stata poi attuata in Italia con D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, recante Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Le due definizioni, al di là del diverso valore precettivo, presentano però una diversità non trascurabile. Mentre infatti la prima delinea il concetto di “commercio elettronico” a maglie estremamente larghe, le indicazioni della direttiva, sembrerebbero limitarsi ai soli servizi (della società dell’informazione) prestati “per via elettronica”. La “via elettronica”, con tutta evidenza, non coincide con la “via telematica”, tanto che i considerando n. 17 e 18 della direttiva e, in particolare, quest’ultimo, chiariscono che per tali servizi si intendono unicamente le attività di tipo economico svolte on line a richiesta individuale36. 34 Pubblicata in GUCE n. L 178 del 17 luglio 2000, p. 1 ss. Pubblicate, rispettivamente, in GUCE n. L 204 del 21 luglio 1998, p. 37 ss., e GUCE n. L 217 del 5 agosto 1998, p. 18 ss. 36 In particolare, v. il Considerando n. 18 della dir. n. 2000/31/CE: “I servizi della società dell'informazione abbracciano una vasta gamma di attività economiche svolte in linea (on line). Tali attività possono consistere, in particolare, nella vendita in linea di merci. Non sono contemplate attività come la consegna delle merci in quanto tale o la prestazione di servizi non in linea. Non sempre si tratta di servizi che portano a stipulare contratti in linea ma anche di servizi non remunerati dal loro destinatario, nella misura in cui costituiscono un'attività economica, come l'offerta di informazioni o comunicazioni commerciali in linea o la fornitura di strumenti per la ricerca, l'accesso e il reperimento di dati. I servizi della società dell'informazione comprendono anche la trasmissione di informazioni mediante una rete di comunicazione, la fornitura di accesso a una rete di comunicazione o lo stoccaggio di informazioni fornite da un destinatario di servizi. La radiodiffusione televisiva, ai sensi della direttiva 89/552/CEE, e la radiodiffusione sonora non sono servizi della società dell'in35 © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 31 Il commercio elettronico off line risulterebbe quindi escluso dalla regolamentazione prevista nel diritto comunitario e dalla corrispondente normativa nazionale di attuazione, con un effetto negativo per la certezza del diritto che, forse, dipende unicamente dalla (scarsa) qualità della traduzione nella nostra lingua. In effetti, la regolazione della vendita fuori dei locali commerciali e a distanza – di cui al D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 di modifica del Codice del consumo – non solo ha ampliato i diritti dei consumatori ma ha anche ampliato gli obblighi a carico delle imprese, anche di quelle che operano on line. L’omnicomprensività della sopra indicata definizione ha consentito di individuare diverse classificazioni del commercio elettronico che, oltre ad aiutare nella descrizione dei sottostanti fenomeni, consentono di inquadrare sia le relative implicazioni tecniche e tecnologiche che le disposizioni applicabili. Il commercio elettronico può essere distinto sulla base delle seguenti classificazioni: a) in base alle caratteristiche dei soggetti/oggetti coinvolti nella contrattazione; b) in base alla telematicità o meno della prestazione; c) in base all’interattività/interazione con gli utenti; d) in base alle modalità di organizzazione dell’attività; e) in base allo strumento utilizzato. Con riferimento alle caratteristiche dei soggetti/oggetti coinvolti nella contrattazione si avranno quattro tipologie di “operatori” coinvolti negli scambi telematici (nel senso più ampio sopra evidenziato e non come attività di vendita): le imprese, i consumatori (cittadini), le pubbliche amministrazioni e gli oggetti. Nelle ipotesi di commercio elettronico in cui è parte un’impresa, rientrano quelle situazioni in cui l’impresa fornisce la propria prestazione ad formazione perché non sono prestati a richiesta individuale. I servizi trasmessi "da punto a punto", quali i servizi video a richiesta o l'invio di comunicazioni commerciali per posta elettronica, sono invece servizi della società dell'informazione. L'impiego della posta elettronica o di altre comunicazioni individuali equivalenti, ad esempio, da parte di persone fisiche che operano al di fuori della loro attività commerciale, imprenditoriale o professionale, quand'anche usate per concludere contratti fra tali persone, non costituisce un servizio della società dell'informazione. Le relazioni contrattuali fra lavoratore e datore di lavoro non sostituiscono un servizio della società dell'informazione. Le attività che, per loro stessa natura, non possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, quali la revisione dei conti delle società o le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, non sono servizi della società dell'informazione”. © Wolters Kluwer 32 Capitolo I un’altra impresa (e-commerce Business to Business, c.d. “B2B”)37, ad un consumatore (e-commerce Business to Consumer, c.d. “B2C”) o ad una Pubblica Amministrazione (e-commerce Business to Government, c.d. “B2G”), ovvero quelle in cui l’impresa “riceve” delle attività da parte di un’altra impresa (“B2B”), da un consumatore (e-commerce Consumer to Business, c.d. “C2B”) o da una Pubblica Amministrazione (e-commerce Government to Business, c.d. “G2B”). Nelle ipotesi in cui è parte un consumatore vi rientrano quelle situazioni in cui il consumatore “fornisce” la propria prestazione ad un’impresa (ecommerce Consumer to Business, c.d. “C2B”), ad un altro consumatore (e-commerce Consumer to Consumer, c.d. “C2C” detto anche Person to Person o P2P) o ad una Pubblica Amministrazione (e-commerce Consumer to Government, c.d. “C2G”), ovvero, viceversa, quelle in cui il consumatore “riceve” delle attività da parte di un’impresa (“B2C”), da un 37 Il commercio elettronico B2B è una fenomenologia particolarmente evoluta (si parla, al riguardo, del c.d. e-commerce Industry to Industry o “I2I”) le cui caratteristiche sono generalmente: - i soggetti coinvolti sono in numero limitato, talvolta sono parte di gruppi ristretti. L’accesso è consentito attraverso il riconoscimento di username e password; - gli utilizzatori finali dei beni e dei servizi non sono coinvolti; - vi è una comune identificazione e classificazione dei prodotti scambiati (su base internazionale); - gli importi delle transazioni, generalmente elevati, sono gestiti off line, termini e condizioni possono variare a seconda delle caratteristiche dei soggetti coinvolti; - il livello di automazione richiesto impone una stretta ed efficace integrazione tra settore produttivo, commerciale e amministrativo, maturato attraverso la revisione dei processi. Il B2B è l’evoluzione su Internet dell’EDI (Electronic Data Interchange) e delle esperienze di scambio d’informazioni tra aziende che si svolgevano già negli anni ’70 su reti private. L’introduzione di interfacce standard ha ridotto i costi d’investimento per questi strumenti, permettendone una maggior diffusione e l’accesso anche di aziende di minori dimensioni. Proprio pensando all’EDI è possibile comprendere nel Business to Business anche le forme di Intra Business. Un’azienda con sedi distribuite sul territorio o un insieme di aziende appartenenti allo stesso gruppo hanno le esigenze di scambio di beni, servizi e informazioni anche di natura commerciale tra le unità della struttura che possono essere soddisfatte attraverso la Rete. Il gruppo di soggetti che hanno accesso alla Rete (la cosiddetta Intranet) è rigorosamente chiuso e la protezione dei dati dall’ambiente esterno è attuata sia con password d’accesso sia attraverso firewall. La classificazione dei prodotti è già data e la transazione economica passa in secondo piano. Quando i soggetti coinvolti sono l’azienda e i suoi partner sia nella distribuzione, nella gestione (ad esempio della supply chain), sia nei rapporti coi propri fornitori ovvero nell’approvvigionamento (eProcurement), tutte le attività svolte sulla Rete prendono il nome di Business to Partner (B2P). In tal caso si parla anche di Extranet. Il Business to Employee (B2E) è invece l’attività di fornitura di servizi e talvolta prodotti svolta in Rete dall’azienda e rivolta ai propri dipendenti. Il B2E è legato ad esigenze di supporto ad attività dell’azienda, alla diffusione della cultura d’impresa e in alcuni casi di “fidelizzazione” del personale. Si pensi ad esempio alla erogazione di formazione sui prodotti e altri supporti commerciali accessibili attraverso il “corporate portal”. Si può parlare, in tale senso, anche di un fenomeno noto come telelavoro. In queste situazioni, il lavoro fa riferimento direttamente alle attività aziendali (come, per es., la progettazione e prototipazione da remoto). © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 33 consumatore (“C2C”) o da una Pubblica Amministrazione (e-commerce Government to Consumer, c.d. “G2C”)38. Nelle ipotesi di commercio elettronico in cui è parte una Pubblica Amministrazione, rientrano quelle situazioni in cui questa fornisce la propria attività ad un’impresa (G2B), ad un consumatore/cittadino (G2C) o ad un’altra Pubblica Amministrazione (e-commerce Government to Government, c.d. “G2G”), ovvero quelle in cui la Pubblica Amministrazione “riceve” delle prestazioni o servizi da parte di un’impresa (B2G), da un consumatore (C2G) o da un’altra Pubblica Amministrazione (G2G) 39. Sono in corso di sviluppo anche ipotesi di “commercio elettronico” in cui una delle “parti” è un “oggetto” (abbiamo visto, in precedenza, l’esempio dell’Agente software). Non appena sarà evoluto quello che è designato come “Internet delle cose” (Internet of Things o IoT) si potranno avere “situazioni” che riguardano “rapporti” tra imprese, consumatori, pubbliche amministrazioni con oggetti connessi ad Internet. Con riferimento alla telematicità o meno della prestazione, il commercio elettronico viene distinto in relazione alle modalità in cui si realizzano le prestazioni delle parti coinvolte. Sia con riferimento al fornitore che all’utente, la prestazione di ciascuna parte può essere realizzata, in tutto o in parte, on line. Riguardo all’utente, la prestazione principale è costituita dal pagamento del prezzo che può avvenire secondo diverse modalità: mediante bonifico bancario, con carta di credito, utilizzando sistemi specifici (ad es., PayPal), mediante moneta elettronica, in contrassegno. Riguardo, invece, il fornitore, la prestazione principale – ovvero la consegna del bene o la fornitura del servizio – è condizionata dalla natura fisica o digitale del bene. In altre parole, ove oggetto della prestazione sia un bene “digitalizzabile”, anche la relativa consegna potrà avvenire attraverso l’utilizzo dello strumento di comunicazione. Diversamente, nel caso in cui l’oggetto della prestazione sia un bene fisico, che non può essere trasformato in un file (ad es., una bottiglia di vino), la consegna non potrà essere effettuata utilizzando lo strumento di comunicazione ma avverrà attraverso i tradizionali “canali fisici”. 38 Nei casi di rapporti “non commerciali” con una Pubblica amministrazione la “C” viene tradotta, più propriamente, come “Citizen” (cittadino). 39 Non mancano le ipotesi in cui le prestazioni, basate su tecnologie del commercio elettronico, sono dirette ai propri dipendenti (Government to Employee, o “G2E”). © Wolters Kluwer 34 Capitolo I Tenuto conto di questa distinzione si parla di due diverse tipologie di commercio elettronico: il commercio elettronico diretto ed il commercio elettronico indiretto. Questa classificazione rileva ai fini fiscali, in considerazione del fatto che a seconda della tipologia della prestazione si deve applicare un diverso regime fiscale. Con riferimento all’interattività/interazione con gli utenti, il commercio elettronico si presta ad essere “graduato” a seconda delle modalità, più o meno ampie, del “contatto” realizzato tra gli interlocutori. Si può partire da un livello minimo, in cui il sito rappresenta esclusivamente una “vetrina virtuale”, senza alcuna possibilità di interazione se non quella (limitata) di fornire informazioni descrittive relative ai prodotti o servizi offerte (cataloghi on line). Oppure, il sito può consentire di concludere la transazione – e, ove possibile – di consegnare anche il bene, prevedendo poi anche la possibilità di fornire servizi ulteriori, nonché di svolgere attività di marketing, attraverso l’interazione con i social network. Si parlerà, invece, di n-commerce, ossia di network commerce, quando l’attività sarà basata su strutture a rete (sia del mercato che dei protagonisti in esso operanti) che si distingue dal social commerce che è, invece, come si dirà, il commercio elettronico basato su meccanismi “social”40. Assumendo l’interazione con l’utente da un altro punto di vista, si possono anche individuare forme di commercio elettronico in cui il rapporto numerico tra le parti è di 1:1 (c.d. “one-to-one”) e quelle in cui, invece, il rapporto è di 1:N (dove per N sta per un numero indefinito: c.d. “one-to-many”). In tali situazioni, si formano delle c.d. “centrali di acquisto” che consentono di ottenere delle condizioni economiche migliori. Ancora, con riferimento alla modalità di conclusione del contratto, si possono avere situazioni in cui la conclusione avviene in base ad uno scambio di corrispondenza (ad es., tramite e-mail); oppure a fronte di un’accettazione delle condizioni generali predisposte dal fornitore ovvero, infine, attraverso il c.d. sistema delle aste, nel quale un bene viene messo a disposizione a partire da un determinato prezzo il prezzo finale è determinato a seguito della competizione tra gli utenti interessati, secondo il modello di asta utilizzato. 40 V., al Capitolo III, par. 8, n. 4). © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 35 Con riferimento alle modalità di organizzazione dell’attività, il commercio elettronico può essere l’attività svolta da un “singolo” operatore (con il suo “negozio virtuale”), oppure da un raggruppamento di imprese (per esempio in forma di Rete di imprese), con un unico marchio, ovvero distinti, all’interno di un portale che svolge servizi “comuni” (come una sorta di centro commerciale), ovvero di un e-marketplace41. Le attività possono, a monte, coinvolgere le fasi produttive, ovvero, a valle, coinvolgere esercizi “tradizionali”. Al primo caso appartengono, per esempio, produzioni realizzate esclusivamente per la vendita con il commercio elettronico. Al secondo, invece, fanno riferimento tutte quelle ipotesi di “collegamento” tra “fisico” e “virtuale”, come la possibilità di ordinare (e poi ricevere) i prodotti con l’ausilio dell’assistenza di un esercizio tradizionale. Infine, il commercio elettronico può essere classificato anche in base al tipo di strumento utilizzato per connettersi alla rete, oppure per condurre la transazione vera e propria. Si avranno, allora, oltre al commercio elettronico da “sede fissa”, diverse figure di “connessione” – di alcune delle quali si tratterà più avanti – come quelle attuate attraverso televisione (v-commerce), reti wi-fi (wi-fi-commerce), smarthphone e tablet (mobile commerce), il social commerce, le vetrine digitali, etc. Vale la pena far presente che la presente trattazione, tranne poche eccezioni, riguarderà quella forma di commercio elettronico che comprende l’insieme di relazioni commerciali in cui la fornitura di prodotti/servizi proviene da un’impresa ed è rivolta ad un’altra impresa (B2B) o al consumatore (B2C). La predetta indicazione ha la sua importanza nel momento in cui si tiene conto che, in funzione del diverso tipo di soggetto con cui si interfaccia l’impresa (un’altra impresa, ovvero un consumatore), cambia – anche sensibilmente – la normativa applicabile. Infatti, nel momento in cui la controparte è un consumatore, la fattispecie è disciplinata da tutta una serie di norme in considerazione del fatto che il legislatore ritiene che il 41 Questi possono a loro volta essere orizzontali, nel momento in cui sono utilizzati da imprenditori che appartengono al medesimo livello della catena produttiva; verticali, nel momento in cui sono utilizzati, invece, da imprenditori che rappresentano anelli diversi del ciclo di produzione; generici, nel momento in cui offrono beni o servizi destinati ad un pubblico numeroso; di nicchia, nel momento in cui offrono beni o servizi destinati ad un pubblico ristretto. I portali ed i marketplace possono essere sia all’ingrosso che al dettaglio (e anche, rispettate le indicazioni amministrative applicabili, misti). V., più avanti, al Capitolo III, par. 2. © Wolters Kluwer 36 Capitolo I consumatore sia “parte contraente debole” e quindi, in quanto tale, meritevole di un maggiore livello di tutela. Una tutela “rafforzata” – vale la pena di ricordarlo – riguarda anche i casi di micro e piccole imprese che, per certi aspetti, nei loro rapporti con altre imprese (B2B) sono considerate alla stregua di consumatori (anche se, ovviamente, tecnicamente non lo sono). Gli aspetti pubblici ed amministrativi sono troppo ampi per poter essere affrontati compiutamente in questa sede, considerato che toccano sia profili di quella che è stata indicata come “cittadinanza digitale” (l’evote, per esempio), sia questioni che attengono alle modalità – iure privatorum – in cui opera la pubblica amministrazione utilizzando strumenti informatici e telematici (per es l’e-procurement, il telelavoro nella P.A., etc.). Fuori quadro restano anche i cybercrimes ed altre questioni legate alle competenze pubblicistiche dello Stato. 8. Il futuro della disciplina del commercio elettronico secondo l’Unione europea Per chiudere questo Capitolo introduttivo torniamo, per un momento, all’ambito propriamente giuridico-disciplinare. Il commercio elettronico, data la sua valenza sovranazionale, è uno di quegli argomenti che – anche a livello comunitario – ha fatto maturare l’esigenza di realizzare un quadro “condiviso”, di modo da contrapporre al “blocco” economico (e tecnico) Nordamericano (ed a quelli ben più che emergenti di Cina ed India), un mercato dell’Unione europea dotato di una governance condivisa. Non è un caso che si siano aperti fronti di accordo/scontro sui temi della firma digitale, della privacy, della concorrenza, nonché dei nomi di dominio. L’obiettivo ambizioso dell’Unione europea è la realizzazione di un mercato interno digitale entro il 201542. Partendo dall’attuale assetto normativo comunitario in materia di ecommerce – come rappresentato dal Codice dei diritti on line vigenti nell’UE del 201243 –, la Commissione prende in esame le diverse pro42 Vedi la Comunicazione COM (2011) 942, relativa al piano d’azione della Commissione europea sul mercato unico digitale del commercio elettronico e dei servizi on line (in http://ec.europa.eu/transparency/ regdoc/rep/1/2011/IT/1-2011-942-IT-F1-1.Pdf). 43 https://ec.europa.eu/digital-agenda/sites/digital-agenda/files/Code%20EU%20online%20rights%20IT% 20final.pdf. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 37 blematiche da superare per realizzare un mercato interno digitale individuando le strade da percorrere. In particolare, l’Unione europea individua i seguenti ostacoli al mercato digitale e un piano d’azione per eliminarli: - offerta di servizi on line legali e transfrontalieri ancora insufficiente; - mancanza d’informazione degli operatori dei servizi on line e di tutela degli utenti di Internet; - sistemi di pagamento e di consegna inadeguati; - un numero eccessivo di abusi e di controversie di difficile composizione; - una diffusione ancora insufficiente delle reti di comunicazione a banda larga (ed ultralarga) e di soluzioni tecnologiche avanzate. L’ultimo aggiornamento in merito al raggiungimento delle priorità individuate è rappresentato dal Report della Commissione del 23 aprile 201344, nel quale vengono individuati due principali filoni verso i quali tende l’evoluzione della normativa comunitaria in materia di ecommerce: a) in materia di diritti dei consumatori; b) in materia di trattamento dei dati personali. Per quanto riguarda i diritti dei consumatori, l’evoluzione è rappresentata dalla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori45, recentemente attuata in Italia46. La Direttiva prevede un restyling della disciplina dei contratti con i consumatori, lasciando facoltà agli Stati membri di estendere le tutele previste a soggetti diversi dai consumatori, quali persone fisiche che non sono consumatori, organizzazioni non governative, start-up e piccole e medie imprese. La direttiva stabilisce delle disposizioni su tre linee di lavoro: 44 http://ec.europa.eu/internal_market/e-commerce/docs/communications/130423_report-ecommerceaction-plan_en.pdf. 45 Dir. n. 2011/83/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della dir. n. 93/13/CEE del Consiglio e della dir. n. 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la dir. n. 85/577/CEE del Consiglio e la dir. n. 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:304:0064:0088:IT:PDF). 46 La citata direttiva è stata recepita nel nostro paese con il D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 di cui si parlerà, più ampiamente, nel Capitolo VI. © Wolters Kluwer 38 Capitolo I la prima prevede a carico del professionista un ampio insieme di obblighi informativi (dalle caratteristiche di beni e servizi al prezzo totale, dalle modalità di pagamento e consegna alla durata del contratto). Questi obblighi valgono, poi, per tutti i contratti diversi dai contratti a distanza e dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali, fornendo una “copertura informativa” d’ordine generale indipendente dalla tipologia contrattuale (e dalla dinamica negoziale). la seconda linea di lavoro prevede una disciplina unitaria degli obblighi informativi e del recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali. In particolare, gli obblighi informativi diventano estremamente minuziosi sia sul versante “contenutistico”, che su quello “procedimentale”. Quanto al recesso, oltre alla previsione di alcune esclusioni (frutto anche delle decisioni della Corte di giustizia), vengono innalzati i termini e aggiornate le modalità di comunicazione tra le parti. la terza linea di lavoro prevede, infine, di disciplinare altri aspetti connessi alla contrattazione tra professionista e consumatore quali: la consegna (con l’indicazione delle modalità per eseguirla, con correlativo diritto del consumatore, in caso di ritardo, di risoluzione del contratto e di rimborso del prezzo eventualmente corrisposto), le tariffe, il passaggio del rischio, la comunicazione telefonica e i pagamenti supplementari, in termini validi per tutti (o quasi) i contratti tra professionista e consumatore. Si consideri che la Direttiva si basa (almeno in via di principio) sul principio di massima armonizzazione, con il conseguente divieto per gli Stati membri di adottare misure nazionali di minor promozione ma anche l’adozione di disposizioni più severe, ciò al fine di “standardizzare” la tutela in tutto il quadrante europeo, comprimendo i costi di transazione. Con riferimento, invece, al trattamento dei dati personali, l’ambito di produzione normativa comunitaria riguarda l’approvazione di un nuovo Regolamento47. L’obiettivo è quello di stabilire un quadro legislativo comune in tema di tutela della privacy per il mercato unico europeo, con rafforzamento del coordinamento tra le autorità nazionali al fine di verificarne il rispetto, e 47 http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/content/20140307IPR38204/html/I-deputati-inaspri scono-le-norme-per-proteggere-i-dati-personali. © Wolters Kluwer Profili introduttivi al commercio elettronico 39 con l’istituzione di un unico punto di contatto (one-stop-shop) col quale i cittadini si dovranno relazionare per ogni questione in materia. Nel merito, si segnala il principio dell’accountability dell’impresa titolare, ossia del soggetto che esercita un potere decisionale autonomo sulle finalità e sulle modalità del trattamento (detto data controller), in virtù del quale spetta a quest’ultimo un obbligo generalizzato e preventivo di garantire e dimostrare la propria conformità alla legge in relazione a ogni singolo trattamento operato. Viene inoltre ribadito il diritto dell’interessato di esprimere (o non esprimere) in maniera preventiva il consenso al trattamento dei propri dati personali aspetto, questo, di estrema importanza al fine di limitare al massimo fenomeni di profilazione degli interessi degli utenti Internet (direct profiling e tracking cookies), contro i quali si renderà presumibilmente necessaria l’adozione di idonei filtri pop-up volti a saggiare la previa approvazione dell’interessato. Un altro punto importante sarà rappresentato dalla conferma della regola in base alla quale spetta all’impresa fornire la prova che l’interessato abbia espresso il proprio consenso in relazione a uno specifico trattamento, consenso che potrà sempre essere revocato dall’interessato. Oltre all’obbligo dell’informativa all’interessato, verrà sancito anche un principio di trasparenza dell’informazione da fornire all’interessato, la quale dovrà essere caratterizzata anche da facilità di consultazione e intelligibilità di forma. Sarà inoltre esplicitato un diritto all’oblio (right to be forgotten) concesso all’interessato, al fine di rimuovere ogni traccia relativa ai propri dati personali, anche se diffusi nella Rete, allorquando essi non siano strettamente necessari in relazione alle finalità per cui sono stati raccolti e qualora non sussistano ragioni legittime per prorogare il trattamento (c.d. delisting). Ulteriori principi esplicitati dal nuovo Regolamento sono la privacy bydesign e la privacy by default, il cui obbiettivo è sostanzialmente quello di rendere obbligatoria, per le imprese che effettuano trattamenti di dati personali (specie nel mondo della Rete), l’adozione di misure tecniche aggiornate che garantiscano la legittimità dei trattamenti, sin dalla strutturazione dell’infrastruttura informatica e in modo predefinito. © Wolters Kluwer 40 Capitolo I Sarà infine previsto l’obbligo di notificare eventuali violazioni di dati personali, quali perdite di dati, rivelazioni o accessi non autorizzati (data breaches) nonché l’obbligo, gravante principalmente su Autorità, organismi pubblici e imprese con 250 o più dipendenti, di nominare per periodi di almeno 2 anni, rinnovabili, un responsabile della protezione dei dati (data protection officer), ossia un soggetto, anche esterno, dotato di qualità professionali adeguate, che venga incaricato dall’impresa di attuare la normativa sul rispetto del trattamento dei dati personali. © Wolters Kluwer 41 CAPITOLO II I PRESUPPOSTI SOMMARIO: 1. Premessa - 2. L’esistenza in Rete: i nomi di dominio - 3. La “spendita del nome”: firme elettroniche (e digitale) - 4. L’avvio del commercio elettronico dal punto di vista amministrativo - 5. Segue: i soggetti esclusi dall’applicazione delle disposizioni amministrative sul commercio - 6. La vendita all’asta tramite Internet - 7. I riflessi del commercio elettronico sui rapporti distributivi: A) Il versante dell’impresa 8. Segue: B) il versante dei prodotti - 9. I rapporti contrattuali (in termini molto tassonomici): A) I soggetti necessari - 10. Segue: B) Le tipologie 1. Premessa Lo svolgimento dell’attività di commercio elettronico richiede alcuni passi iniziali che saranno illustrati brevemente nel prosieguo. Anzitutto è richiesta la titolarità di un nome di dominio (che, tecnicamente, è una “risorsa” concessa in uso), attraverso il quale l’impresa “esiste” su Internet. Successivamente viene descritto il sistema delle firme elettroniche (e digitale), con qualche cenno anche alla posta elettronica certificata ed al sistema SPID. La possibilità di poter “sottoscrivere” documenti digitali, con crescenti livelli di affidabilità e di “certezza” giuridica, è uno degli strumenti di possibile espansione del “raggio di azione” dell’impresa. Peraltro, diventerà l’unico modo per contattare la pubblica amministrazione (per es. per diventare un loro fornitore). Vale sin da subito la pena di rilevare che, dal punto di vista della “certezza” dei rapporti, mentre l’interlocutore dell’impresa ha (o può avere) bisogno di conoscere “con esattezza” con “chi” sta negoziando, per l’impresa, generalmente, uno dei pochi interessi concreti consiste nella “solvibilità” del cliente, per cui, al di là di ogni ‘meccanismo’ di riconoscimento1, quello che conta nella conduzione degli affari è la “garanzia” costituita dagli strumenti di pagamento. A seguire, è utile un quadro degli adempimenti amministrativi da tenere in considerazione poiché, anche on line, è richiesto il rispetto di alcune 1 A parte, va da sé, sapere se si tratti o meno di un consumatore finale, in virtù del quadro normativo che tutela quest’ultimo e che condiziona le modalità operative dell’impresa. © Wolters Kluwer 42 Capitolo II regole, in (quasi) perfetta similitudine con l’attività imprenditoriale “esterna” alla Rete. Per concludere qualche ulteriore cenno ad alcuni strumenti necessari alla conduzione dell’attività. Visti dal nostro angolo visuale, non può che trattarsi di contratti2, di cui si indicano quelli che possono essere impiegati a tal fine. 2. L’esistenza in Rete: i nomi di dominio Chi intende operare su Internet deve, anzitutto, collegare il proprio computer alla Rete, chiedendo l’assegnazione di un “indirizzo Internet”. Tale indirizzo – detto IP, acronimo per Internet Protocol – è un numero a trentadue bit, normalmente rappresentato da quattro serie di numeri composti da tre cifre, separati da un punto (ad es. 132.113.298.100). Per poter ovviare al numero limitato di indirizzi disponibili con un sistema di codifica a 32 bit (IPv4), è stata sviluppata una versione dell’IP number – c.d. IPNG (Internet Protocol Next Generation) – basata su un sistema di indirizzamento a 128 bit (IPv6), che sarà presto lo standard di Internet ad alta velocità. Questo codice numerico permette ai computer (e, soprattutto, ai programmi che li gestiscono) di poter comunicare tra loro3. Il numero IP consente, in via di principio, di identificare in modo univoco il computer al quale questo numero è assegnato. Per poter rendere più semplice l’accesso ai vari computer connessi alla Rete, si è deciso di associare al numero IP una sequenza alfanumerica di caratteri (che comprende ora anche le lettere accentate), consentendo di rendere più immediata (e memorizzabile) la ricerca. Questo sistema è quello che ha determinato la nascita dei nomi di dominio che, come vedremo più avanti ha dato luogo ad una serie di problemi concorrenziali tra le imprese on line4. I nomi di dominio hanno una struttura composta da alcuni livelli gerarchici necessari per “indirizzare” le varie informazioni nell’ambito dei si- 2 Gran parte della regolazione “pattizia” delle attività on line passa, per l’appunto, attraverso l’utilizzo di strumenti contrattuali. 3 Si tratta, ovviamente di semplificazione del DNS (Domain Names System) che denota il protocollo che regola il funzionamento del servizio, i programmi che lo implementano, i server su cui questi girano, l’insieme di questi server che cooperano per fornire il servizio. 4 V., al Capitolo V, par. 9. © Wolters Kluwer I presupposti 43 stemi telematici di gestione. In particolare, lo schema minimo, con una certa approssimazione, è il seguente: www.sldn.tldn. Nei domain names, l’ordine di scrittura, da sinistra verso destra, è inverso all’ordine gerarchico. La stringa più a destra, detta TLDN (cioè Top Level Domain Name), indica il “tema” del dominio, ovvero il Paese nel quale si trova il computer assegnatario dell’indirizzo. Si consideri tuttavia che il progresso della tecnica informatica ha reso possibile la coesistenza di più IP Address con la stessa macchina fisica, ugualmente la corrispondenza tra questo indirizzo e il nome di dominio non è più una costante, potendosi avere più nomi di dominio allocati presso uno stesso computer. I TLDN sono dal punto di vista tematico – attualmente – i seguenti: - .com, che identifica i domini di imprese o aziende commerciali; - .net, che contraddistingue i domini dei “network” di società, i provider ed altri gestori di connettività; - .org, che identifica i domini delle organizzazioni e associazioni non profit; - .edu, per i domini delle università e degli istituti di ricerca; - .gov, per gli enti e organizzazioni governative statunitensi; - .int, per le organizzazioni e associazioni internazionali; - .mil, per gli enti militari statunitensi; - .arpa, per le “risorse” infrastrutturali. I primi tre TLDN sono liberamente attribuibili mentre gli altri sono riservati ai soggetti che svolgono l’attività relativa al settore indicato. A questi domini “tematici” o generici (del quale il “.com” è diventato così comune da diventare quello c.d. internazionale, poiché può essere assegnato a qualsiasi soggetto, indipendentemente dalla nazionalità) si aggiunte il TLDN geografico – c.d. Country Code TLDN (ccTLD) – che identifica la Registration Authority che ha assegnato il nome di dominio, come, ad esempio, “.it” per il nostro paese5. Tali domini, di sole due lettere per ogni nazione, sono assegnati secondo la codifica internazionale ISO 03166. A seguito del Meeting tenutosi a Yokohama (dal 13 a 16 luglio 2000), l’ICANN – ha stabilito di creare nuovi TLDN tematici. Dopo una procedu5 http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_domini_di_primo_livello dove è possibile scorrere la lista dei domini “nazionali”. © Wolters Kluwer 44 Capitolo II ra di “consultazione” tra i soggetti che gestiscono l’assegnazione dei nomi di dominio, sono stati approvati i seguenti “suffissi”: - .aero, per i trasporti aerei; - .biz, per i siti che esercitano attività commerciali; - .coop, per le cooperative (e, quindi, i loro associati); - .info, che contraddistinguerà i siti di informazione (come i portali, etc.); - .name, per le persone fisiche; - .museum, per i siti che ospitano musei; - .pro, per i siti dei soggetti che svolgono attività professionale. A questi, si sono aggiunti altre possibilità di “domini” d’ordine generale, ossia: - .asia, per le imprese, le organizzazioni e gli individui con sede nella regione di Asia, Australia e Pacifico; - .cat, per i siti in lingua catalana; - .jobs, da aggiungere al “nome” dell’impresa che pubblicizza posti di lavoro; - .mobi, per i siti relativi alla telefonia mobile; - .tel, per le società di telecomunicazione (in gergo “Telco”); - .travel, per i siti che si occupano di intermediazione nei viaggi e nel turismo; - .xxx, per i siti di erotismo e pornografia. L’Unione europea, dopo aver utilizzato il suffisso “.eu” in associazione a quello standard “.int” (per intenderci: www.europa.eu.int), ed a seguito di un’attività preparatoria della Commissione6, ha istituito il ccTLD.eu, con il Reg. (CE) n. 733/2002 del 22 aprile 2002. La materia è anche disciplinata dal successivo Reg. (CE) n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione. La gestione della registrazione dei nomi a dominio è affidata all’EURID7. La gestione delle procedure di risoluzione delle controversie 6 Documento di lavoro del 2 febbraio 2000, Creazione del nome di dominio Internet di primo livello (TDL) .EU, [COM (2000) 153 def.]. 7 http://www.eurid.eu. Secondo la Corte di giustizia “L’ art. 12, paragrafo 2, terzo comma, del Regolamento n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello.eu e i principi relativi alla registrazione, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione in cui il diritto preesistente interessato sia un diritto di marchio, i termini "licenziatari di diritti © Wolters Kluwer I presupposti 45 è affidata invece alla Corte arbitrale CECA secondo le regole ADR e le regole supplementari ADR in conformità ai principi e alle regole della Commissione europea, di cui al Reg. n. 874/2004. Vale la pena di informare che ICANN ha previsto anche la possibilità di nomi di dominio personalizzati, che consentiranno di raggiungere un sito internet attraverso indirizzi differenti rispetto a quelli ad oggi familiari. Ad esempio, si fa riferimento a: “.luxury”, “.camera”, “.equipment”, “.estate”, “.gallery”, “.graphics”, “.lighting”, “.photography”8. preesistenti" non si riferiscono ad una persona che è stata unicamente autorizzata dal titolare del marchio considerato a registrare, a proprio nome ma per conto di detto titolare, un nome di dominio identico o simile al predetto marchio, senza che tale persona sia tuttavia autorizzata a usare commercialmente il medesimo in conformità alle sue funzioni proprie” (Corte giust. UE, 19 luglio 2012, n. 376/11, Pie Optiek SPRL c. Bureau Gevers SA, European Registry for Internet Domains ASBL, in Dir. Comunitario on line, 2012). 8 Per avere una idea più dettagliata, si può fare riferimento alla pagina dell’ICANN dedicata all’argomento (http://newgtlds.icann.org/en/program-status/delegated-strings). La novità consiste nella possibilità di scegliere, e dunque “personalizzare”, anche quella parte dell’indirizzo che si trova oltre il “punto” e che, fino ad oggi, è stata sempre “imposta” dalle Registration Authorities. Si tratta, quindi, di “estensioni” che sicuramente le aziende del settore faranno a gara per aggiudicarsi. Per esempio, curiosando con il WHOIS, lo strumento che permette di verificare se un dominio è stato registrato e da chi, si scopre che Apple ha fatto incetta di domini con estensione “.camera”. La registrabilità di nuovi TLD non conosce preclusioni particolari. Senz’altro i domini personalizzati consentono alle imprese di promuovere in modo più diretto ed immediato il proprio business grazie alla creazione di indirizzi internet aventi una maggiore capacità distintiva rispetto ai comuni domini di primo livello o, comunque, una maggiore presa sul pubblico. La prima criticità che consegue all’introduzione dei domini personalizzati è rappresentata da ipotesi di domain grabbing sostanzialmente analoghe a quelle che si sono già verificati in passato per i domini di secondo livello. In altre parole potrebbe accadere che qualcuno richieda la registrazione di un TLD composto da un noto marchio di titolarità di un terzo, per il solo fine di rivenderlo. Si tratta tuttavia di un rischio prevalentemente teorico, temperato dai costi di registrazione e, soprattutto, dal fatto che chi chiede l’assegnazione di un TLD deve fornire all’ICANN i dettagli della propria organizzazione, nonché le modalità d’uso del dominio. Accanto alle ipotesi di domain grabbing vi è poi un’altra criticità che dipende anch’essa dalla regola “first come, first served”. Si fa riferimento all’ipotesi in cui due soggetti siano entrambi interessati al medesimo dominio di primo livello, magari perché titolari di marchi identici utilizzati da sempre in settori merceologici differenti (pensiamo al marchio “Ferrari” che, al tempo stesso, contraddistingue la celebre casa automobilistica e uno spumante; oppure al marchio “Marie-Claire” che è sia un segno distintivo di titolarità di l’Oréal che la testata di una rivista). Anche per questa criticità è comunque previsto un temperamento, in quanto, qualora ci siano due o più soggetti interessati al medesimo dominio, l’ICANN effettuerà tutte le verifiche del caso e, laddove necessario, istituirà un’asta assegnando il dominio al miglior offerente. Ad esempio, alcune aziende hanno registrato gTDL in funzione della propria attività (.hotel, .fashion, .food etc.), mentre altre hanno richiesto la registrazione come gTDL del proprio marchio (.apple, .facebook, .nike etc.). Il problema è sorto quando quattro società (Usa, Irlanda e Gibilterra), completamente estranee al settore vitivinicolo hanno richiesto all’ICANN l’assegnazione dei domini “.wine” e “.vin”, con l’intento di commercializzarli ed avere un ritorno sui propri investimenti. Ma ciò che ha più allarmato i produttori di vino e le associazioni che li rappresentano è che i dossier presentati dalle società richiedenti prevedono anche la possibilità di concedere a terzi dei nomi di dominio “premium”, il cui contenuto non è specificato, e che potranno essere venduti all’asta al migliore offerente. Esiste dunque il rischio che nomi di dominio contenenti celebri indicazioni geografiche (ad esempio chianti.wine, bordeaux.wine o brunello.vin) siano utilizzati da imprese che nulla hanno a che vedere con i vini di qualità delle denominazioni indicate e che il consumatore possa essere fuorviato dai domini utilizzati. © Wolters Kluwer 46 Capitolo II Per quanto riguarda invece il Second Level Domain Name (SLDN), si tratta della stringa alfabetica posta a sinistra del TLDN che, a sua volta, può prevedere ulteriori suddivisioni (sempre da destra a sinistra), che identificano tutti i sottodomini di appartenenza. La stringa gerarchicamente posta più in basso è quella generalmente scelta dall’utente mentre le altre, a partire dal TLDN, seguono delle regole precise. Si pensi, per es., ad un nome di dominio inesistente articolato come segue: www.autori.volumi.archivio.altalex.it, laddove, in ordine gerarchico, la sequenza identificativa è: a) .it, per l’Italia; b) .altalex, per identificare il dominio del nostro editore; c) .archivio, per una sottodistinzione all’interno del sito; d) .volumi, per identificare l’archivio relativo alle pubblicazioni in volume; e) .autori, per l’oggetto: per l’elenco degli autori di volumi editi da Altalex, oppure il relativo contratto di edizione, etc.). Il nome di dominio di secondo livello – che si può dire rappresenti il “cuore” del risultato che si intende raggiungere con la traduzione alfanumerica dell’indirizzo IP – può quindi essere scelto con maggiore libertà, avendo come riferimento anche la funzione di elemento distintivo e nel rispetto della normativa applicabile (in materia di nome, ditta, insegna, marchio, diritto d’autore e concorrenza sleale). La registrazione di uno specifico nome di dominio (di secondo livello) è possibile nel momento in cui sussistano i presupposti – individuati dalle Regole di assegnazione – ma, ancora prima, a condizione che tale risorsa sia disponibile. Sull’argomento – mentre ICANN ha per il momento bloccato l’assegnazione – Stati Uniti ed Europa sono su posizioni diametralmente opposte nonostante siano firmatari dell’Accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) del 1994, che all’art. 22 tutela le indicazioni geografiche individuandole come veri e propri diritti di proprietà intellettuale, e all’art. 23 disciplina, in particolare, le indicazioni geografiche di vini e liquori. Le norme TRIPs, però, non contemplano una normativa uniforme per tutti i Paesi firmatari ma prevedono che ciascun Paese provveda a predisporre gli strumenti giuridici atti a proteggere i consumatori dall’uso fuorviante di indicazioni geografiche; sicché, se da un lato l’Europa riconosce alle indicazioni geografiche quella funzione di differenziazione del prodotto sul mercato, tipico dei diritti di proprietà intellettuale, anche con una normativa ad hoc (Reg. n. 510/2006), all’opposto gli Stati Uniti tendono a non considerare le indicazioni geografiche quali veri e propri diritti di proprietà intellettuale, ritenendo sufficiente la protezione accordata mediante la registrazione dei marchi (v. http://www.ipinitalia.com/indicazionigeografiche/il-caso-dei-domini-wine-e-vin-produttori-e-icann-vicini-allaccordo/; http://www.ilfattoquoti diano.it/2014/04/05/vino-la-guerra-dei-marchi-si-combatte-su-internet-ma-litalia-sta-perdendo/939743/). © Wolters Kluwer I presupposti 47 Per ragioni di carattere tecnico, infatti, la registrazione può essere soltanto univoca, nel senso che ad un determinato indirizzo IP può corrispondere un solo nome di dominio. L’univocità della traduzione dell’indirizzo IP per arrivare al nome di dominio può comportare problemi di non poco rilievo. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui due soggetti intendano utilizzare la stessa sequenza di caratteri alfanumerici quale “traduzione” del rispettivo indirizzo IP corrispondente ai computer su cui risiedono i rispettivi siti. Il Sistema che governa l’utilizzo dei nomi di dominio ha risolto il problema utilizzando due principi. Il primo consiste nella regola del c.d. “first come, first served”, ovvero nel fatto che chi arriva per primo ha diritto di registrare ed utilizzare un particolare nome di dominio. Al fine di evitare abusi, tale regola è “mitigata” dal fatto che, ove non sussistano i presupposti (e, in particolare, non vi sia la buona fede nell’aver richiesto la registrazione e non vi sia un titolo legittimo) è possibile ottenere il trasferimento/riassegnazione del nome di dominio dal soggetto che risulta aver registrato per primo quel particolare nome di dominio. Peraltro, nel momento in cui, invece, la prima registrazione possa essere considerata legittima, non è possibile ottenere “forzosamente” lo stesso nome di dominio, salvo eventuali accordi negoziali tra le parti. In mancanza, il soggetto che arriva per secondo deve necessariamente chiedere la registrazione di un nome di dominio differente. Da un punto di vista meramente tecnico, all’interno di un medesimo nome di dominio di primo livello, non è possibile la registrazione di uguali nomi di dominio di secondo livello, mentre è possibile che siano registrati parole differenti, anche solo per un elemento. Un nome di dominio di secondo livello identico può invece essere registrato sotto un altro nome di primo livello, ove disponibile. Ovviamente, peraltro, tali condotte devono tenere conto anche degli aspetti giuridici di cui si dirà a suo tempo. Il “governo” di Internet è assicurato – per quanto riguarda la standardizzazione tecnica e le connessioni telematiche – da alcune organizzazioni ed associazioni internazionali volontarie tra le quali, vanno ricordate, l’ISOC (Internet Society), organizzazione internazionale non profit che © Wolters Kluwer 48 Capitolo II svolge attività di supervisione sulle politiche ed i problemi gestionali della Rete (www.isoc.org), nonché la già citata ICANN, (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), organizzazione non profit costituita nel 1998, con il compito di definire, a livello mondiale, le regole generali di assegnazione degli indirizzi IP e dei nomi di dominio (www.icann.org). I nomi di dominio vengono assegnati sulla base della procedura fissata dall’ICANN da parte di appositi organismi nazionali (detti Registration Authorities), sulla base delle Regole di Naming. In Italia, l’assegnazione degli IP Address è stata svolta - nell’ambito del CNUCE del CNR di Pisa - da un gruppo autonomo di tecnici del Reparto Applicazioni Telematiche dell’Istituto IAT (ora ITT-Istituto per l’Informatica e la Telematica), nel rispetto del Regolamento ITA-PE, emanato dalla Naming Authority italiana. Attualmente la Naming Autority italiana ha assunto la denominazione “Registro.it” (www.nic.it)9. La registrazione – gestita direttamente dalla NA – era “asincrona” (poiché la richiesta era effettuata per fax unitamente ai documenti occorrenti) e consentiva la registrazione di un numero limitato di domini. Successivamente tale limitazione è stata eliminata (nel 2000 e nel 2004, rispettivamente, per le imprese e per le persone fisiche), così come si è passati, sul finire del 2009, ad un sistema di registrazione “sincrono”, aperto alla possibilità da parte dei Registrar di svolgere le attività di registrazione di nomi di dominio. Questi soggetti tramite il protocollo Epp (Extensible Provisioning Protocol), possono operare direttamente sul database dei domini, in tempo reale e senza dover inviare alcuna documentazione – cartacea o elettronica – al Registro10. Le principali regole per l’assegnazione dei nomi di dominio “.it” sono contenute nei seguenti documenti: a) Regolamento per l’assegnazione e gestione dei nomi a dominio nel ccTLD.it (attualmente versione 7.1 del 3 novembre 2014)11; b) Linee guida per la gestione delle operazioni sincrone sui nomi a dominio nel ccTLD.it (attualmente la versione 2.1 del 3 novembre 2014)12; 9 Il Registro ha sede a Pisa in Via Giuseppe Moruzzi, 1. Pec: [email protected]. Il loro elenco è disponibile in http://www.nic.it/cgi-bin/List/index.cgi?set_language=it&contract=sync. 11 http://www.nic.it/documenti/regolamenti-e-linee-guida/regolamenti-3-novembre-2014/Regolamento_ assegnazione_v7.1.pdf. 10 © Wolters Kluwer I presupposti 49 c) Regolamento per la risoluzione delle dispute nel ccTLD.it (attualmente la versione 2.1 del 3 novembre 2014)13; d) Linee guida per la risoluzione delle dispute nel ccTLD.it (attualmente la versione 3.1 del 3 novembre 2014)14. Il nome di dominio, da “indirizzo” di natura squisitamente “tecnica” 15, ha acquistato sempre più anche una rilevanza di carattere giuridico. L’univocità della traduzione dell’indirizzo IP nel nome di dominio può comportare problemi di non poco rilievo in relazione alla sua funzione distintiva, ovvero di individuazione sulla rete dell’attività riconducibile ad un determinato soggetto e di differenziazione da quella di altri soggetti. Questa funzione, prima progressivamente riconosciuta in dottrina e giurisprudenza (nonostante le diatribe se configurarlo alla stregua di marchi, insegne, etc.), è stata anche affermata a livello normativo, con il formale riconoscimento nelle disposizioni del Codice della proprietà industriale. Affermando il principio della c.d. “unitarietà dei segni distintivi”, si è legittimata la possibilità di estendere la tutela di fonte normativa dettata per i segni distintivi (marchio) anche ai nomi di dominio. In particolare, il suddetto codice stabilisce che, in base a tale principio, il titolare di un marchio possa impedire (con una specifica azione, anche in via di urgenza) l’adozione di un nome di dominio uguale o simile al proprio marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa del titolare del nome di dominio ed i prodotti/servizi per i quali il marchio è adottato, si può determinare un rischio di confusione (che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni). Tale divieto si estende anche all’adozione come nome a dominio “di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza, se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carat- 12 http://www.nic.it/documenti/regolamenti-e-linee-guida/regolamenti-3-novembre-2014/Linee_Guida_ Tecniche_Sincrone_v2.1.pdf. 13 http://www.nic.it/documenti/regolamenti-e-linee-guida/regolamenti-3-novembre-2014/Regolamento_ Risoluzione_Dispute_v2.1.pdf. 14 http://www.nic.it/documenti/regolamenti-e-linee-guida/regolamenti-3-novembre-2014/Linee_Guida_ Risoluzione_Dispute_v3.1.pdf. 15 Essendo nato per individuare “soggetti” dell’ambito tecnico o universitario (nonché d’interesse militare). © Wolters Kluwer 50 Capitolo II tere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi” (art. 22, co. 2, D.Lgs. n. 30/2005). La scelta del nome di dominio da registrare deve essere coerente con l’attività commerciale dell’impresa e, soprattutto, deve essere lecita dal punto di vista del rispetto della normativa applicabile (in materia di diritto d’autore, diritto industriale, concorrenza, etc.). Inoltre, la scelta può essere limitata in relazione ad alcuni combinazioni di lettere: esistono infatti per ciascun nome di dominio quelli “riservati”, ovvero non assegnabili16. Individuato il nome di dominio in astratto, è necessario che tale sequenza sia disponibile nel Registro prescelto (facendo una verifica sull’archivio WHOIS)17. Il nome di dominio, ricorrendone le condizioni, può anche essere registrato come marchio d’impresa18. 16 Un nome di dominio nel ccTLD .it deve rispondere alle seguenti specifiche: - lunghezza minima 3 caratteri per i nomi di dominio direttamente sotto il ccTLD .it e massima di 63 caratteri per ciascuna parte di un nome di dominio per una lunghezza massima complessiva di 255 caratteri (un’eccezione? http://www.q8.it); - caratteri ammessi: ASCII: cifre (0-9), lettere (a-z) e trattino (-); NON ASCII: tutti i caratteri appartenenti ai charset indicati nelle “Linee Guida tecniche”; - ciascuna componente di un nome di dominio non può iniziare o terminare con il trattino (-); - ciascuna componente di un nome di dominio non deve contenere nei primi quattro caratteri la stringa "xn-", riservata alla codifica IDN di un nome di dominio. Sono riservati i nomi di dominio di regioni, province e comuni che permettono la registrazione e il mantenimento dei nomi di dominio al di sotto di essa. Non sono assegnabili alcuni nomi di dominio che corrispondono ad elementi “strutturali” di internet come, per es., e-mail.it, internet.it, news.it, nis.it, noc.it, whois.it, www.it, etc. 17 http://www.nic.it/web-whois/index.jsf?set_language=it. 18 Il marchio è un segno distintivo (parola, disegno, lettera, cifra, suono, forma del prodotto o della conf ezione, combinazione e tonalità cromatica) che contraddistingue i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. La tutela del marchio è territoriale e – in linea generale – connessa con una o più classi merceologiche. In altre parole, la tutela viene fornita in relazione ad un preciso ambito territ oriale nella quale viene richiesta (che in sostanza corrisponde al mercato in cui viene commercializzato il pr odotto/servizio) ed è limitata ad una tipologia astratta di beni (prodotti o servizi) determinata a livello i nternazionale in base alla c.d. Classificazione di Nizza. Il testo della Classificazione di Nizza può essere consultato accedendo al seguente link: http://www.uibm.gov.it/index.php/la-proprieta-industriale/2005646classificazione-di-nizza-ix-edizione. Da un punto di vista territoriale è possibile registrare un marchio a livello nazionale, comunitario o internazionale. La registrazione di un marchio nazionale viene effettuata presso l’UIBM (http://www.uibm.gov.it/), presentando la pratica anche presso gli sportelli delle Camere di commercio. La presentazione della domanda può essere fatta sia in formato cartaceo che telematicamente. Qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica che utilizza il marchio o si proponga di utilizzarlo nell’ambito della propria attività può procedere al deposito della domanda di registrazione. I requisiti del marchio perché sia concessa la registrazione sono: - capacità distintiva: è la capacità di distinguere un prodotto o un servizio da quello degli altri; - novità: è l’assenza sul mercato di prodotti o servizi di segno uguale o simile; © Wolters Kluwer I presupposti 51 3. La “spendita del nome”: firme elettroniche (e digitale) L’art. 15, co. 2, della L. 15 marzo 1997, n. 59 (meglio nota come Legge “Bassanini 1”) ha stabilito che “gli atti, dati e documenti formati dalla Pubblica Amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”. L’attuazione di questa disposizione è stata demandata ad una serie molto copiosa di provvedimenti, a cominciare dal D.P.R. n. 513/1997 con il quale il nostro paese ha introdotto, per prima in Europa, una disciplina organica della firma digitale (poi completata con le relative norme tecni- originalità: è il carattere di fantasia del segno distintivo che non è una denominazione generica di prodotti o servizi, o una indicazione descrittiva; - liceità: è la conformità all’ordine pubblico e al buon costume. La tutela ha la durata di dieci anni dalla data di deposito della domanda. Alla scadenza dei dieci anni, il marchio deve essere rinnovato pena la decadenza dello stesso. I costi (esclusi quelli del consulente e dell’accesso alle banche dati) sono rappresentate da tasse e diritti di deposito e variano, tra l’altro, in funzione del numero di domande, delle classi merceologiche richieste e della modalità di presentazione della domanda. La registrazione di un marchio comunitario viene effettuata presso l’UAMI - Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (www.oami.europa.eu). Ed è valida per tutto il territorio dell’Unione europea. Per depositare un marchio comunitario non è necessario aver depositato prima un marchio nazionale (requisito invece necessario per il marchio internazionale) e la pratica viene direttamente gestita dall’UAMI, senza passare per le Camere di commercio (che non sono competenti in materia). Tutte le informazioni in materia di marchio comunitario possono essere reperite a questa pagina del sito UAMI: www.oami.europa.eu/ows/rw/pages/CTM/index.it.do. Per depositare un marchio comunitario è necessario è possibile effettuare: a) il deposito direttamente all’UAMI, compilando il modulo on line (da questa pagina si accede alla compilazione della domanda oami.europa.eu/ows/rw/pages/QPLUS/forms/electronic/fileApplicationCTM.it.do) oppure b) inviando la domanda in formato cartaceo. Il deposito on line sconta una tassa di 900 euro pagabili tramite carta di credito o bonifico bancario; per quanto riguarda il deposito cartaceo, la tassa ammonta a 1050 euro (fino a tre classi). In entrambi i casi, se la domanda si riferisce a più di tre classi di prodotti o servizi, è dovuta una tassa di 150 euro ulteriori per ogni classe aggiuntiva. Il deposito della domanda di registrazione può avvenire anche telematicamente. La registrazione di un marchio internazionale concerne un marchio che consente, con un unico deposito, di ottenere la protezione nei diversi paesi che aderiscono all’Accordo o al Protocollo di Madrid. La relativa concessione è effettuata dagli Uffici Brevetti dei singoli Stati sulla base delle rispettive normative nazionali. La registrazione internazionale può essere richiesta da ogni persona fisica o giuridica appartenente o residente in uno stato membro dell’Accordo o del Protocollo e che: - ha ottenuto un marchio o ha depositato una domanda di registrazione per un marchio italiano o per un marchio comunitario identico. Nel caso in cui il marchio internazionale abbia una base comunitaria, la domanda deve essere presentata direttamente all’UAMI; - è titolare di uno stabilimento industriale o commerciale reale e effettivo, sul territorio di uno Stato membro dell’Unione di Madrid oppure è domiciliato o ha la cittadinanza di uno di questi Stati. La domanda deve essere depositata presso gli sportelli dell’Ufficio Proprietà intellettuale ed i costi variano anche in funzione degli Stati per i quali è richiesta la tutela. © Wolters Kluwer 52 Capitolo II che emanate dall’AIPA-Autorità per l’informatica nella Pubblica amministrazione)19. Con l’emanazione della dir. n. 1999/93/CE per l’armonizzazione delle discipline nazionali relative alle firme elettroniche20, si compie un “passo indietro” garantendo cittadinanza giuridica a “firme” che non realizzano l’affidabilità tecnica della firma digitale, costringendo a rivedere l’“assolutezza” del nostro paese. Dopo una serie di ulteriori provvedimenti che – in qualche misura – hanno frenato l’impiego di tale strumento, si è giunti alla redazione, con il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, di un Codice dell’Amministrazione Digitale (detto anche CAD). In detto testo sono stabiliti gli elementi giuridici principali della formazione, trasmissione e archiviazione dei documenti informatici e telematici il cui quadro normativo è poi completato, per gli aspetti tecnici, da provvedimenti regolamentari e dalle delibere prima del Centro per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) (che ha sostituito l’AIPA), a sua volta “ripensato” come DigitPa e, da ultimo, ridefinito come Agenzia per l’Italia digitale (Agid)21. Innanzi tutto, l’art. 20, co. 1, CAD riconosce la validità e la rilevanza agli effetti di legge del documento informatico da chiunque formato, nonché della registrazione su supporto informatico e della trasmissione con strumenti telematici conformi alle (vigenti) regole tecniche22. Il CAD prevede le seguenti tipologie ‘generali’ di firma: 1. la firma elettronica generica (chiamata anche nella prassi firma elettronica "semplice"): l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica; 2. la firma elettronica avanzata: insieme di dati in forma elettronica allegati oppure connessi a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono 19 Il primo commento, in ordine di tempo, al D.P.R. n. 513/1997 è quello di E.M. TRIPODI, M. GASPARINI, Firma digitale e documento informatico. Una disciplina unica per l’ambito pubblico e privato, Roma, 1998. 20 Direttiva che, a decorrere dal 1 luglio 2016, sarà abrogata dal Reg. n. 910/UE del 23 luglio 2014, in materia di identificazione elttronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, (detta anche eIDAS). 21 In evidente ‘sintonia’ con l’Agenda digitale emanata dagli organi comunitari. 22 Per un quadro sul documento informatico ed i sistemi di “firma” v., da ultimo, S. SICA, V. D’ANTONIO, Documento informatico, firme elettroniche ed attività di certificazione, in V. SICA, V. ZENO-ZENCOVICH, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, IV ed., Milano-Padova, 2015, p. 501 ss.; G. NAVONE, Instrumentum digitale. Teoria e disciplina del documento infromatico, Milano, 2012. © Wolters Kluwer I presupposti 53 la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati; 3. la firma elettronica qualificata: un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato qualificato rilasciato da un certificatore accreditato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma; 4. la firma digitale: un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici. La firma digitale che, come detto, è basata su un sistema di crittografia a doppia chiave asimmetrica di cifratura (pubblica/privata) è in grado di assolvere alle seguenti funzioni: a) autenticazione, intesa come processo in forza del quale il destinatario di un messaggio digitale ha la presunzione circa l’identità del mittente; b) integrità del documento; c) segretezza, riferita al contenuto del messaggio trasmesso che può essere conosciuto solo dal legittimo destinatario; d) non ripudiabilità da parte del sottoscrittore. Sotto il profilo probatorio, l’art. 20, co. 1-bis, CAD, ha stabilito la potenziale idoneità del documento informatico, anche non sottoscritto, a integrare la forma scritta: "L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21”. Inoltre il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità (art. 21, co. 1, CAD). © Wolters Kluwer 54 Capitolo II Spettano dunque al giudice dette valutazioni. Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, formato nel rispetto delle vigenti regole tecniche 23, che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, si presume riconducibile al titolare del dispositivo di firma, soddisfa comunque il requisito della forma scritta, anche nei casi previsti, sotto pena di nullità, dall’art. 1350, co. 1, nn. da 1 a 12, cod. civ. Quando, per la validità di un atto è richiesto (ad substantiam) il requisito della forma scritta, l’art. 21, co.2-bis, CAD prevede che: - “Salvo quanto previsto dall’articolo 25, le scritture private di cui all’articolo 1350, primo comma, numeri da 1 a 12, del codice civile, se fatte con documento informatico, sono sottoscritte, a pena di nullità, con firma elettronica qualificata o con firma digitale”; - “Gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13), del codice civile soddisfano comunque il requisito della forma scritta se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale”. L’opponibilità ai terzi della data e dell’ora di formazione del documento informatico è subordinata al fatto che le stesse siano apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale24. Al documento informatico, sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, è stata attribuita l’efficacia prevista dall’art. 2702 c.c. Tale norma stabilisce che la scrittura privata “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta”, a condizione che: a) colui contro il quale la scrittura viene prodotta ne riconosca la sottoscrizione, oppure b) la scrittura sia legalmente considerata come riconosciuta. Viene quindi stabilita una presunzione (relativa) di riconducibilità dell’utilizzo del dispositivo di firma al titolare. 23 Attualmente il DPCM. 22 febbraio 2013, in http://www.agid.gov.it/sites/default/files/leggi_decreti_ direttive/dpcm_22_febbraio_2013_-_nuove_regole_tecniche.pdf. 24 La marca temporale è il risultato di una procedura informatica – detta servizio di marcatura temporale – grazie alla quale si attribuisce a un documento informatico un riferimento temporale opponibile a terzi. Il servizio di marcatura temporale si basa sull’uso delle funzioni di hashing. L’hash è una sorta di impronta digitale che consente di identificare univocamente il documento. Nel caso di documenti su cui sia stata apposta una firma digitale, la presenza di una marca temporale consente di attestare che il documento aveva quella specifica forma in quel preciso momento temporale, pertanto, se anche il certificato qualificato scadesse o fosse revocato dal titolare, si potrebbe sempre dimostrare che la firma digitale è stata apposta durante il periodo di validità dello stesso. © Wolters Kluwer I presupposti 55 Nel caso in cui sia stata apposta ad un documento informatico una firma digitale o un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso, si ha mancata sottoscrizione. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate. La titolarità della firma elettronica qualificata (e, quindi, anche di quella digitale) è garantita da alcuni soggetti (i “Certificatori”) che, in forza dei richiesti requisiti di onorabilità e di affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria25, vengono “abilitati” dall’Agenzia per l’Italia digitale che, tra gli altri compiti istituzionali, svolge i seguenti: - mette a disposizione l’elenco di certificatori accreditati a cui cittadini, amministratori e dipendenti di società e pubbliche amministrazioni possono richiedere la firma digitale26; 27 - sottoscrive la lista dei certificati delle chiavi di certificazione ; 28 - definisce Le linee guida per la vigilanza sui gestori qualificati . L’acquisizione di una coppia di chiavi per i soggetti privati (chiave privata, inserita nel dispositivo di firma sicuro, e chiave pubblica, inserita nel certificato) è a pagamento, attraverso la sottoscrizione di un contratto con il certificatore accreditato, nonostante il fatto che la firma (sia manuale che digitale) sia un mezzo legale per l’esercizio di diritti naturali della persona. La coppia di chiavi ha una scadenza temporale, al momento di 3 anni29. Quanto siamo andati dicendo – seppur in termini molto riduttivi – sembra di scarsa utilità per una imprese che, per lo svolgimento della sua attività, non ha bisogno dell’utilizzo di sofisticati sistemi di “accertamento” della paternità dell’interlocutore, analogamente, per un confronto con 25 È richiesta, tra l’altro, la forma societaria con capitale sociale non inferiore a quello richiesto per svolgere l’attività bancaria (al momento: 2 milioni di euro). 26 http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/firme-elettroniche/certificatori-accreditati#sthash.xhWmeG3X.dpuf 27 http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/firme-elettroniche/certificati. 28 http://www.agid.gov.it/sites/default/files/documentazione_trasparenza/linee_guida_per_la_vigilanza_ sui_certificatori_qualificati_v1.2.pdf 29 L’applicazione europea “Digital Signature Service” (DSS), utilizzabile anche per verificare firme digitali basate su certificati emessi da certificatori stabiliti in altri Stati membri, resa disponibile sul sito, conta oltre mille accessi mensili. Ulteriori informazioni sono contenute nel sito dell’Agenzia, nella sezione Software di verifica (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/firme-elettroniche/software-verifica). © Wolters Kluwer 56 Capitolo II l’ambiente analogico, immaginare di aver bisogno sempre di utilizzare atti pubblici o firme autenticate30. Tuttavia, la familiarità con tali strumenti sta diventando una esigenza non più discutibile se si pone mente alla progressiva “digitalizzazione” dell’identità dei cittadini e la “lunga marcia” della pubblica amministrazione verso la totale dematerializzazione sia dei documenti che del modo in cui si ricevono e comunicano le informazioni. Uno degli strumenti è la posta elettronica certificata (PEC). Dal 1º luglio 2013 le comunicazioni tra imprese e pubblica amministrazione devono avvenire solo via posta elettronica certificata (PEC)31, non essendo più accettate le comunicazioni in forma cartacea. La posta elettronica certificata ha lo stesso valore legale di una raccomandata con avviso di ricevimento. Per certificare l’invio e la ricezione di un messaggio di PEC, il gestore di posta invia al mittente una ricevuta che costituisce prova legale dell’avvenuta spedizione del messaggio e dell’eventuale documentazione allegata. Allo stesso modo, il gestore invia al mittente la ricevuta di avvenuta (o mancata) consegna del messaggio con precisa indicazione temporale32. 30 Ma esistono delle eccezioni derivanti dalle modalità di conduzione di alcune attività. “L’articolo 30 del reg. Consob 11522 del 1998, nel prevedere che le parti devono indicare, nel contratto quadro, le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni, non legittima affatto la forma orale degli ordini di borsa, ma si limita a consentire, per tali ordini, forme equivalenti a quella scritta, vale a dire la richiesta telefonica registrata dall’intermediario su supporto magnetico e la richiesta inoltrata con strumenti telematici alla quale sia apposta od associata la firma digitale. Dovendosi, pertanto, riconoscere natura contrattuale o comunque negoziale agli ordini di borsa, i quali non possono essere considerati meri atti esecutivi del contratto quadro, ove gli stessi vengano impartiti attraverso la rete Internet dovranno essere muniti di firma digitale, pena la loro nullità” (Trib. Ravenna, 29 maggio 2010, in www.ilsito.it). Per un quadro circa l’uso della firma digitale rispetto al consumatore v. M. ORLANDI, G. ANDREOTTI, Firma digitale e firme elettroniche nei contratti con i consumatori, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, a cura di E. TOSI, Milano, 2012, p. 279 ss. 31 La disciplina è contenuta nei seguenti documenti: - D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68, Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata; - D.M. 2 novembre 2005, Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della PEC; - Regole Tecniche PEC (Allegato al DM 2 novembre 2005); - circ. 21 maggio 2009, n. 56, Modalità per la presentazione della domanda di iscrizione nell’elenco pubblico dei gestori PEC; - circ. 7 dicembre 2006, n. 51 Espletamento della vigilanza e del controllo sulle attività esercitate dai Gestori di PEC; - note integrative alle Regole Tecniche. 32 La procedura, come descritta dall’Agid (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/posta-elettronica-certificata#sthash.l9b0JNRa.dpuf) è la seguente: Consideriamo due domini di PEC gestiti da 2 gestori di PEC differenti (le stesse considerazioni valgono anche se i domini di PEC afferiscono allo stesso gestore): 1. Il mittente compone il messaggio collegandosi al proprio gestore e lo predispone per l’invio; © Wolters Kluwer I presupposti 57 Quanto alle imprese ed ai professionisti sono tenute all’utilizzo della PEC (secondo quanto disposto dal D.L. n. 179/2012, conv. dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221)33: - tutte le imprese costituite in forma societaria di nuova costituzione (dal 29 novembre 2008); - tutti i professionisti iscritti in albi istituiti con leggi dello Stato e le Pubbliche amministrazioni (dal 29 novembre 2009); - tutte le società già costituite alla data del 29 novembre 2008 (dal 29 novembre 2011); - tutte le imprese individuali attive e non soggette a procedure concorsuali (dal 30 giugno 2013). L’indirizzo PEC deve essere depositato presso il Registro delle imprese, come “variazione” dei dati anagrafici dell’impresa. Le ditte individuali di nuova costituzione che presentano domanda di prima iscrizione al Registro delle imprese (o all’albo delle imprese artigiane) successivamente al 19 dicembre 2012 dovranno indicare già in tale domanda un indirizzo di posta elettronica certificata. Viene, inoltre, stabilito che l’ufficio del Registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo PEC, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 2630 c.c., sospende la domanda fino ad integrazione 2. il gestore del mittente controlla le credenziali d’accesso del mittente e le caratteristiche formali del messaggio; 3. Il gestore invia al mittente una ricevuta di accettazione con le seguenti informazioni: data e ora dell’invio, mittente, destinatario, oggetto del messaggio; 4. Il messaggio viene "imbustato" in un altro messaggio, chiamato "busta di trasporto" che il gestore provvede a firmare digitalmente. Questa operazione consente di certificare ufficialmente l’invio e la consegna del messaggio; 5. Il gestore PEC del destinatario riceve la “busta” e controlla la validità della firma del gestore del mittente e la validità del messaggio; 6. Se tutti i controlli hanno avuto esito positivo, il gestore del destinatario invia rispettivamente una ricevuta di presa in carico al gestore del mittente; 7. Il destinatario riceve dal proprio gestore il messaggio nella propria casella di posta; 8. Il gestore del destinatario invia una ricevuta di avvenuta consegna alla casella del mittente; 9. Il processo si conclude anche se il destinatario non ha ancora letto il messaggio di posta. 33 Cfr. P. GHINI, L’obbligo di utilizzo della PEC per le imprese, ne Il Fisco, 2013. Per un quadro sulle regole per i pagamenti digitali delle imprese verso le PA e dell’obbligo di utilizzo della fattura elettronica dal 31 marzo 2015 si rinvia ad AGID, Linee guida per l’effettuazione dei pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi, ver. 1.1 (gennaio 2014), in http://www.agid.gov.it/sites/default/files/linee_guida/lineeguidapagamenti_v_1_1.pdf, nonché le Specifiche attuative del Nodo dei pagamenti SPC, ver. 1.6. (gennaio 2014), in http://archivio.digitpa.gov.it/sites/ default/files/allegati_tec/Specifiche_Attuative_Nodo_1_6_0.pdf. © Wolters Kluwer 58 Capitolo II della domanda con l’indirizzo PEC e comunque per 45 giorni. Trascorso tale periodo, la domanda si intende non presentata. Rimangono esclusi dall’obbligo, ma possono sempre adottare un indirizzo di posta certificata su base volontaria, gli esercenti attività professionali prive di albi e gli enti di tipo associativo. L’indirizzo PEC una volta depositato diventa pubblico e utilizzabile per l’invio di messaggi che acquisiscono valenza legale e, in termini di notificazione, vengono equiparati all’invio di corrispondenza con lettera raccomandata AR. Sempre il citato D.L. n. 179/2012 ha istituito l’“Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti”, ossia l’elenco pubblico a cui potranno accedere pubbliche amministrazioni, professionisti, imprese e cittadini per conoscere via web l’indirizzo PEC del soggetto desiderato34. Entro il 2015 sarà poi reso operativo il Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità digitale (SPID) di cui all’art. 17-ter del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “Decreto del Fare”), convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, modificando l’art. 64 del CAD35. Con l’istituzione dello SPID, che riguarda sia cittadini che imprese, le pubbliche amministrazioni potranno consentire l’accesso in Rete ai propri servizi, oltre che con lo stesso SPID, solo mediante la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi. Il termine entro il quale la disposizione entrerà in vigore sarà stabilito con il decreto attuativo. La possibilità di accesso con carta d’identità elettronica e carta nazionale dei servizi resta comunque consentito indipendentemente dalle modalità predisposte dalle singole amministrazioni. 34 http://www.inipec.gov.it/. Sulla G.U.R.I. n. 285 del 9 dicembre 2014 è stato pubblicato il DPCM 24 ottobre 2014, recante Definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID), nonché dei tempi e delle modalità di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. L’avvio del progetto è previsto per il mese di aprile 2015. I soggetti interessati ad ottenere l’accreditamento allo SPID potranno presentare domanda all’Agenzia per l’Italia Digitale dopo che saranno stati emanati da parte dell’Agenzia stessa, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, i tre regolamenti previsti all’art. 4 del decreto, e precisamente: 1) un regolamento con il quale saranno definite le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello SPID; 2) un regolamento con il quale saranno definite le modalità di accreditamento dei soggetti SPID; 3) un regolamento con il quale saranno definiti le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello SPID, il rilascio dell’identità digitale. Per ulteriori informazioni v. http://www.agid.gov.it/identita-digitali/spid. 35 © Wolters Kluwer I presupposti 59 Il sistema SPID è costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni. Più esattamente delle modifiche al CAD impongono alle pubbliche amministrazioni (individuate dall’art. 2, co. 2, CAD) di avvalersi esclusivamente di canali e servizi telematici, ivi inclusa la posta elettronica certificata, per l’utilizzo dei propri servizi, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni. Coerentemente, nel rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni è stato ampliato il novero degli strumenti digitali utili a sottoscrivere validamente le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica, aggiungendo alla firma digitale anche la firma elettronica qualificata, il cui certificato sia rilasciato da un certificatore accreditato. Tutti gli oneri connessi all’invio di un’istanza a una pubblica amministrazione o a qualsiasi ente o autorità competente (il bollo, per esempio) sono assolti per via telematica, anche attraverso l’utilizzo di carte di credito, di debito o prepagate. Per poter rendere effettivo questo precetto le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare nei propri siti istituzionali, oltre che su ogni determinata richiesta di pagamento, i codici identificativi dell’utenza bancaria sulla quale i privati possano effettuare i pagamenti mediante bonifico, nonché di specificare i dati e i codici da indicare obbligatoriamente nella causale di versamento. 4. L’avvio del commercio elettronico dal punto di vista amministrativo In via generale deve premettersi che ogni attività economica su Internet presuppone il rispetto delle regole che sovraintendono allo svolgimento dell’attività medesima. Pertanto (anche) per operare in Rete, è necessario il rispetto: a) delle condizioni e presupposti di legittimazione soggettiva all’attività; © Wolters Kluwer 60 Capitolo II b) delle regole che concernono lo svolgimento dell’attività medesima, da parte del soggetto legittimato; c) delle regole che attengono oggettivamente al prodotto o al servizio. Per quanto attiene al primo dei punti sopra evidenziati, per legittimazione soggettiva – si parla, va da sé, dal punto di vista amministrativo e non da quello prettamente civilistico – s’intende il possesso, da parte dell’interessato, di tutti i requisiti che la legge richiede affinché questi possa svolgere l’attività. Si pensi, per fare un esempio, a colui che intenda svolgere su Internet l’attività di agente di commercio o di mediatore (tecnicamente: agente di affari in mediazione). La circostanza che tale attività sia svolta “in Rete” non esclude la necessità da parte del soggetto del rispetto della L. 3 maggio 1985, n. 204 (recante la disciplina dell’attività di agente e rappresentante di commercio), ovvero della L. 3 febbraio 1989, n. 39 (sulla disciplina della professione di mediatore) 36. In entrambe le fattispecie – scelte volutamente nell’ambito degli intermediari della distribuzione commerciale – per es., è prevista l’obbligatoria iscrizione in un Ruolo pubblico tenuto presso la Camera di commercio territorialmente competente, nonché uno stringente regime di incompatibilità. Il tutto salvaguardato da un sistema di sanzioni amministrative e, per i mediatori, anche di natura penale. Ovviamente, non vi è ragione alcuna per ritenere che lo svolgimento tramite Internet dell’attività di agente di commercio ovvero di mediatore non debba essere preceduta – esistendone i presupposti – dall’obbligatoria iscrizione nei rispettivi ruoli. Circa il secondo punto sopra evidenziato, ossia il rispetto delle regole che concernono lo svolgimento dell’attività medesima, queste, restando all’esempio degli agenti di commercio e dei mediatori, sono disegnate dal codice civile, rispettivamente, agli artt. 1742-1753 e 1754-1756. Quanto, infine, alle regole che attengono oggettivamente al prodotto o al servizio, deve ricordarsi che l’attività di vendita, ovvero di prestazione di servizi, può comportare la sottoposizione ad alcune regole che atten- 36 Da ultimo v., rispettivamente, A. VENEZIA, R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, IX ed., Milano, 2015; E.M. TRIPODI, Mediazione, in AA.VV., Contratti. Formulario commentato. profili civilistici e tributari, a cura di F. MACARIO e A. ADDANTE, II ed., Milano, 2014, p. 1842 ss. © Wolters Kluwer I presupposti 61 gono allo stesso prodotto o al servizio, come le regole particolari per la vendita di armi da fuoco, dei medicinali, etc. Su Internet, inoltre, devono necessariamente essere rispettate delle regole tecniche o tecnologiche che attengono alle infrastrutture ed agli strumenti utilizzati, senza le quali l’attività non è possibile (si pensi, ai nomi di dominio, alle firme elettroniche, ai sistemi di pagamento, etc.) 37. Occorre poi definire cosa debba intendersi per “commercio elettronico” ai fini delle disposizioni contenute nella normativa amministrativa applicabile, ossia verificare se esistono delle “autorizzazioni” (o altra tipologia di atti “abilitanti”) per i soggetti che intendono vendere su Internet. Il nostro ordinamento impiega l’espressione “commercio elettronico” all’art. 21 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (recante – com’è noto – la riforma della disciplina del commercio, conosciuto anche come “Decreto Bersani”), laddove prevede, a carico del Ministero dell’industria (ora Ministero dello sviluppo economico), il compimento di azioni volte a promuovere “(...) l’introduzione e l’uso del commercio elettronico (...)”, senza, però, che sia data alcuna ulteriore indicazione circa i confini giuridici di questa forma di commercio o sulle disposizioni ad esso applicabili. Nel nostro ordinamento non si rinviene una precisa definizione di cosa sia, dal punto di vista giuridico, il commercio elettronico, ma solo, per relationem, un riferimento al concetto che economicamente si attribuisce al fenomeno. A nostro avviso ciò non è corretto. Sarebbe, tanto per fare un esempio, come se la parola “casa” fosse impiegata con la connotazione che a tale termine viene dato nell’uso comune. L’eventuale regolamentazione giuridica diventa, allora, priva dei necessari presupposti, poiché regolare qualcosa significa, prima di tutto, chiarire il “qualcosa” posto ad oggetto delle regole: un appartamento può essere (ed è) ben diverso da un grattacielo. La questione non è risolta né dalla normativa comunitaria, ossia dalla Direttiva n. 2000/31/CE, né dalla pedissequa attuazione avvenuta con il D.Lgs. n. 70/2003. Naturalmente, la base di questa decisione (di matrice più politiche che tecnica), risiede nella “spinta” a sviluppare il relativo mercato telematico senza rischiare, per inconsapevolezza, di “includere” 37 Queste regole possono essere tanto legislative che regolamentari che pattizie (per esempio quelle di associazioni sovranazionali, ovvero, più semplicemente, quelle imposte dal produttore/fornitore della tecnologia utilizzata, etc.). © Wolters Kluwer 62 Capitolo II qualche tipologia e, di conseguenza, “escluderne” altre, in specie quelle che, via via, si vanno evolvendo con la velocità delle relative soluzioni tecniche38. Abbiamo già indicato in precedenza39, alcune classificazioni che qui riprendiamo, con riferimento ai soggetti coinvolti nella transazione 40, per trarne delle conseguenze regolamentari. A tale proposito si possono ricordare le seguenti: a) e-Commerce Business to Business (B2B), relativo a contrattazioni che si svolgono tra imprese, o comunque operatori professionali; b) e-Commerce Business to Consumer (B2C), relativo a contrattazioni aventi ad oggetto beni o servizi, in cui è parte almeno un consumatore; c) e-Commerce Government to Business (G2B), relativo ai servizi erogati dalla PA alle imprese direttamente on line; d) e-Commerce Government to Citizens (G2C), relativo ai servizi erogati dalla PA ai cittadini direttamente on line; e) e-Commerce Citizens to Citizens o Person to Person (C2C o P2P), relativo alle contrattazioni tra privati. La differenza non è di poco conto, nel momento in cui si considera che, soprattutto in relazione alle categorie sub a) e b), lo status soggettivo di una parte comporta l’applicazione di diverse norme: in particolare, nel caso in cui sia parte un consumatore, si dovrà fare necessariamente riferimento ad un insieme di regole che sono state pensate per tutelare questa figura, in considerazione della valutazione di debolezza della sua posizione contrattuale, fatta – in via presuntiva – dall’ordinamento. Questo ambito, a compasso estremamente allargato, deve però essere ricondotto entro i confini di un possibile utilizzo giuridico, poiché non tutte le attività di vendita di prodotti possono ascriversi al concetto di “commercio”41. Con questo termine deve infatti intendersi – in senso proprio – quello che costituisce oggetto di una attività di tipo professionale, dacché il 38 Come sarà illustrato, con alcuni esempi, nel Capitolo III. Cfr., più ampiamente, al Capitolo I, par. 7. 40 Si impiega, per comodità espositiva, il termine “transazione” (erronea traduzione in italiano del termine inglese “transaction”) anche se nel nostro ordinamento la transazione è un contratto tipico regolato dal codice civile. 41 Per un quadro generale delle regole v. INDIS, Codice del commercio. La disciplina amministrativa nazionale e regionale, a cura di E.M. TRIPODI, F. FRAISOPI, G. DELL’AQUILA, III ed., Rimini, 2012. 39 © Wolters Kluwer I presupposti 63 “commerciante” non è il soggetto (sia esso imprenditore individuale o meno) che compie meri atti di compravendita, ma colui che li inquadra all’interno dello svolgimento di una attività abituale e non occasionale finalizzata a trarne un profitto42. L’art. 4 del citato D.Lgs. n. 114/1998 distingue il commercio a seconda che sia all’ingrosso ovvero al dettaglio. Per “commercio all’ingrosso” si intende “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande”. Con l’espressione “commercio al dettaglio” si intende, invece, “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”. Dalle due definizioni possiamo trarre i seguenti caratteri comuni: a) lo svolgimento dell’attività di commercio deve essere professionale, ossia non occasionale; b) il commercio prevede l’acquisto di prodotti (e/o di servizi). La forma giuridica sarà allora il contratto di compravendita (art. 1470 ss., c.c.) ovvero, nel caso della vendita di giornali e riviste, il contratto estimatorio (art. 1556-1558 c.c.), che è stato dalla giurisprudenza assimilato, per le peculiari esigenze della distribuzione di questi prodotti; c) l’acquisto deve avvenire in nome e per conto proprio; d) l’acquisto è finalizzato alla successiva rivendita. Non essendo presenti questi caratteri, non si può parlare di commercio (né, tantomeno, di commercio elettronico) nelle ipotesi, sopra enunciate di e-Commerce Government to Business (G2B), e-Commerce Government to Citizens (G2C), nonché e-Commerce Citizens to Citizens (C2C). Nel caso di G2B, ovviamente, l’attività della P.A. non ha istituzionalmente quale finalità la distribuzione di prodotti, eccettuata l’ipotesi – esclusa peraltro dall’applicazione delle regole del Decreto Bersani – della “vendita di pubblicazioni o altro materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui elaborazione, concernenti l’oggetto della 42 I requisiti di professionalità e abitualità sussistono ogni qual volta il soggetto ponga in essere con regolarità, sistematicità e ripetitività una pluralità di atti economici finalizzati al raggiungimento di uno scopo. Si tenga conto che non è richiesta l’economicità, ossia la capacità effettiva di produrre proventi. © Wolters Kluwer 64 Capitolo II loro attività” (art. 4, co. 2, lett. m), che può avvenire, dunque, pure tramite Internet. Anche la forma speciale di vendita al dettaglio ai propri dipendenti, di cui all’art. 16 di detto decreto, è una peculiarità che non intacca la finalità istituzionale dell’Ente. Ovviamente è “vero” commercio quello svolto da una impresa che vende beni o presta servizi ad una Pubblica amministrazione. Per quanto riguarda il commercio elettronico C2C, con tutta evidenza, non può trattarsi di commercio (in senso proprio) poiché manca lo svolgimento – professionale – di un’attività di acquisto per la rivendita. Detta attività, in quanto di natura meramente occasionale (e tale deve essere, per non incorrere nelle sanzioni previste per lo svolgimento abusivo di attività commerciale), non rientra pertanto nell’ambito del D.Lgs. n. 114/1998. È invece professionale l’attività dell’intermediario che, a seconda dei casi, rientra nel quadro delle disposizioni che regolano lo svolgimento di detta attività. In definitiva, pertanto, il commercio elettronico può a nostro avviso definirsi come qualunque forma di fornitura di prodotti e/o di servizi, normalmente a titolo oneroso, tra una impresa (produttore o grossista) ed un’altra impresa (produttore, grossista o dettagliante) e tra una impresa (produttore o dettagliante) ed un consumatore finale, realizzata mediante strumenti informatici (c.d. acquisiti off line) o telematici (c.d. acquisti on line). Poste queste doverose premesse, prime indicazioni sono offerte dall’art. 18 del D.Lgs. n. 114/1998 che, nel compendiare una serie di tipologie di vendite al dettaglio a distanza, e più esattamente quelle per corrispondenza e quelle televisive, si riferisce anche a tutte quelle effettuate mediante altri sistemi di comunicazione, tra le quali possiamo, senza dubbio, annoverare le vendite elettroniche. L’art. 18 prevede, in una serie di modifiche che l’hanno modificato sensibilmente, che: a) “È vietato inviare prodotti al consumatore se non a seguito di specifica richiesta. È consentito l’invio di campioni di prodotti o di omaggi, senza spese o vincoli per il consumatore” (co. 2); © Wolters Kluwer I presupposti 65 b) “Nella segnalazione certificata di inizio di attività di cui al comma 1 deve essere dichiarata la sussistenza del possesso dei requisiti di cui all’articolo 5 e il settore merceologico” (co. 3) 43; c) “Nei casi in cui le operazioni di vendita sono effettuate tramite televisione, l’emittente televisiva deve accertare, prima di metterle in onda, che il titolare dell’attività è in possesso dei requisiti prescritti dal presente decreto per l’esercizio della vendita al dettaglio. Durante la trasmissione debbono essere indicati il nome e la denominazione o la ragione sociale e la sede del venditore, il numero di iscrizione al registro delle imprese ed il numero della partita IVA. Agli organi di vigilanza è consentito il libero accesso al locale indicato come sede del venditore” (co. 4); d) “Le operazioni di vendita all’asta realizzate per mezzo della televisione o di altri sistemi di comunicazione sono vietate” (co. 5); e) “Chi effettua le vendite tramite televisione per conto terzi deve essere in possesso della licenza prevista dall’articolo 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773” (co. 6). Le previsioni del citato art. 18 non sono comprensibili se non si tiene conto che per l’esercizio delle attività commerciali si deve anche fare riferimento al D.Lgs. n. 59/2010 con il quale si è data attuazione alla dir. “servizi” (nota anche come “Bolkestein”). L’art. 71 di detto decreto (rubricato Requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali) prevede infatti che: “1. Non possono esercitare l’attività commerciale di vendita e di somministrazione: a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione; b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale; c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclag43 Che sono “alimentare”, “non alimentare”, ed entrambi. © Wolters Kluwer 66 Capitolo II gio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura,rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione; d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale; e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali 44; f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza; 2. Non possono esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi. 3. Il divieto di esercizio dell’attività, ai sensi del comma 1, lettere b), c), d), e) ed f), e ai sensi del comma 2, permane per la durata di cinque anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata. Qualora la pena si sia estinta in altro modo, il termine di cinque anni decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza, salvo riabilitazione. 4. Il divieto di esercizio dell’attività non si applica qualora, con sentenza passata in giudicato sia stata concessa la sospensione condizionale della pena sempre che non intervengano circostanze idonee a incidere sulla revoca della sospensione. 5. In caso di società, associazioni od organismi collettivi i requisiti morali di cui ai commi 1 e 2 devono essere posseduti dal legale rappresentante, da altra persona preposta all’attività commerciale e da tutti i soggetti individuati dall’articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252. In caso di impresa individuale i requisiti 44 V., in tema, S. MASINI, Corso di diritto alimentare, III ed., Milano, 2015. © Wolters Kluwer I presupposti 67 di cui ai commi 1 e 2 devono essere posseduti dal titolare e dall’eventuale altra persona preposta all’attività commerciale. 6. L’esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande è consentito a chi è in possesso di uno dei seguenti requisiti professionali: a) avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti, istituito o riconosciuto dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano; b) avere, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, esercitato in proprio attività d’impresa nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera, presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all’Istituto nazionale per la previdenza sociale; c) essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti. 6-bis. Sia per le imprese individuali che in caso di società, associazioni od organismi collettivi, i requisiti professionali di cui al comma 6 devono essere posseduti dal titolare o rappresentante legale, ovvero, in alternativa, dall’eventuale persona preposta all’attività commerciale. 7. Sono abrogati i commi 2, 4 e 5 e 6 dell’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e l’articolo 2 della legge 25 agosto 1991, n. 287”. Inoltre è stato abrogato il comma 7 dell’originario art. 18 che (anno domini 1998) prevedeva il solo rinvio alle norme sulla vendita fuori dei locali commerciali. Le disposizioni sulla vendita a distanza sono del 1999 ed il quadro disciplinare sulla tutela dei consumatori è contenuto – © Wolters Kluwer 68 Capitolo II com’è noto – nel Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005 con le significative modifiche apportate di recente dal D.Lgs. n. 21/2014)45. 5. Segue: i soggetti esclusi dall’applicazione delle disposizioni amministrative sul commercio Il commercio elettronico, ossia l’attività commerciale svolta nella rete internet mediante l’utilizzo di un sito web, ove sia svolta nei confronti del consumatore finale e assuma la forma di commercio interno, è soggetta dunque alla disciplina dell’art. 18 (come modificato e integrato dall’art. 68 del D.Lgs. n. 59/2010) relativo alla vendita per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione. Per riassumere, in base a dette disposizioni l’avvio della attività è soggetta a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) da presentare allo 45 Un quadro riassuntivo delle attività da compiere – tratto da un blog su Internet – è il seguente: 1) apertura della partita IVA e avvio attività: da chiedere all’Agenzia delle Entrate compilando l’apposito modello (AA7/AA9 imprese individuali/lavoratori autonomi) nel quale dovrà essere indicato il codice della categoria merceologica (solitamente Commercio al dettaglio di prodotti non alimentari su internet). Va compilato l’apposito campo "attività di commercio elettronico", indicando il sito web (proprio se nella nostra titolarità, ospitante se nella titolarità di altri) e il service provider. Nel caso non si tratti di ditta individuale ma di più soci occorre aprire una società di persone tramite notaio; 2) apertura posizione presso il Registro delle imprese: dal 2010 è possibile utilizzare un solo modello, ComUnica (modello I1 per imprese individuali o S2 per società), per richiedere il codice fiscale e la partita IVA, aprire la posizione assicurativa presso l’INAIL, chiedere l’iscrizione all’INPS dei dipendenti o dei lavoratori autonomi e chiedere l’iscrizione al Registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio; 3) inserimento nell’archivio VIES: per i soggetti passivi IVA che intendono porre in essere operazione intracomunitarie occorre l’autorizzazione all’inserimento nell’archivio VIES, che può essere consultato, appunto, al fine di controllare se il soggetto è autorizzato a tali operazioni. Per chi inizia l’attività è sufficiente compilare l’apposito campo (operazioni intracomunitarie) del modello AA7/AA9; 4) segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) al Comune di residenza (se persona fisica) o dove è posta la sede legale (se persona giuridica), con apposito modulo (CF6bis) al quale va allegato un bollettino per il pagamento delle spese di tesoreria, e che deve contenere l’attestazione dei requisiti morali e professionali necessari ai fini dello svolgimento dell’attività. L’attività può iniziare immediatamente; Se si tratta di commercio alimentare occorrono ulteriori attività e requisiti (art. 71 D.Lgs n. 59/2010) che si possono chiedere al Comune di competenza. In genere occorre seguire un corso di abilitazione presso i soggetti abilitati. Per la vendita alimentare occorre tenere in sede i documenti di autocontrollo HACCP, da mettere a disposizione per disposizione per eventuali controlli dell’AUSL. Dopo la presentazione del modello si può procedere all’attivazione della posizione presso il Registro delle imprese (modello I2 per imprese individuali o S5 per società); 5) apertura posizione Inps: si utilizza il modello ComUnica compilando il quadro AC. All’assicurazione INAIL sono tenuti solo i soggetti che occupano lavoratori dipendenti e lavoratori parasubordinati nelle attività che la legge individua come rischiose; 6) aprire un conto corrente bancario: il conto è specifico per la ditta ed è necessario perché dal 2007 i pagamenti di contributi e dell’IVA vanno fatti a mezzo modello F24 on line; 7) assumere un commercialista: per gli adempimenti fiscali occorre un commercialista, e poi si devono acquistare i libri contabili e farli registrare, oltre il registratore di cassa e i blocchetti per le ricevute e le fatture. Per gli adempimenti, il quadro più recente ed aggiornato sulle questioni tributarie e fiscali è quello di B. SANTACROCE, S. FICOLA, Il commercio elettronico. Aspetti giuridici e regime fiscale, Rimini, 2014, p. 269 ss. (per la costituzione dell’impresa ed i primi adempimenti). © Wolters Kluwer I presupposti 69 sportello unico per le attività produttive del Comune nel quale l’esercente, persona fisica o giuridica, intende avviare l’attività46. Nella segnalazione deve essere indicato il possesso dei requisiti morali e professionali per l’esercizio del commercio e il settore merceologico47. Le comunicazioni avvengono mediante un apposito modulo. Nel caso di attività relativa al settore merceologico alimentare, il soggetto deve essere in possesso di uno dei requisiti professionali indicati dall’art. 71, D.Lgs. n. 59/2010. Il possesso del requisito professionale prescritto è necessario anche qualora lo stoccaggio dei prodotti avvenga in un magazzino distante dal luogo dove è in uso il mezzo elettronico; in caso di società, il possesso di uno dei requisiti previsti dalla citata norma è richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra persona specificamente preposta all’attività commerciale48. Tra le informazioni che l’esercente l’attività di commercio elettronico deve comunicare al Comune nel quale intende avviare l’attività figura anche quella relativa all’utilizzo di un eventuale deposito. Inoltre, poiché il deposito costituisce una struttura destinata esclusivamente alla custodia e conservazione della merce, non può essere adibito a locale in cui l’esercente svolge l’attività di vendita49. Le violazioni delle suddette disposizioni sono punite con la sanzione amministrativa prevista dall’art. 22, co. 150. 46 Incombe sul titolare di un sito su Internet, ancorché non sia costui ad esercitare l’attività di commercio, l’obbligo di fare la preventiva comunicazione e dichiarazione del possesso dei requisiti di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 114/1998, secondo quanto stabilito dall’art. 18 di detto decreto (Cass., 27 maggio 2009, n. 12355). 47 Si applica l’art. 18 anche nel caso di un soggetto il quale intenda svolgere un’attività di vendita di preziosi esclusivamente per via telematica. Per tale modalità di vendita, infatti, è possibile prescindere dall’utilizzo di un locale a specifica destinazione commerciale; in tal senso cfr. Risoluzione MAP n. 559449 del 9 dicembre 2004. 48 In tal senso circ. MICA n. 3487/C del 1 giugno 2000. 49 Così Risoluzione MISE n. 94225 del 26 ottobre 2009. 50 L’art. 21, D.Lgs. n. 114/1998 recita: “1. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 16, 17, 18 e 19 del presente decreto e le disposizioni di cui agli articoli 65, 66, 67, 68 e 69 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a lire 30.000.000. 2. In caso di particolare gravità o di recidiva il sindaco può inoltre disporre la sospensione della attività di vendita per un periodo non superiore a venti giorni. La recidiva si verifica qualora sia stata commessa la stessa violazione per due volte in un anno, anche se si è proceduto al pagamento della sanzione mediante oblazione. 3. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 11, 14, 15 e 26, comma 5, del presente decreto è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 6.000.000. 4. L’autorizzazione all’apertura è revocata qualora il titolare: a) non inizia l’attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità; b) sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno; © Wolters Kluwer 70 Capitolo II È opportuno sottolineare che le disposizioni del D.Lgs. n. 114/1998 sull’obbligo di segnalazione al Comune non vengono intaccate dall’art. 6, D.Lgs. n. 70/2003, che pur dispone che “l’accesso all’attività di un prestatore di un servizio della società dell’informazione e il suo esercizio non siano soggetti, in quanto tali, ad autorizzazione preventiva o ad altra misura di effetto equivalente”. La disposizione significa soltanto che non è ammesso che gli Stati membri introducano una disciplina collegata unicamente al suo svolgimento su reti telematiche. Restano, dunque, valide tutte le prescrizioni che si applicano all’attività che intende svolgere il soggetto. Le regole richiamate, per via del fatto che l’art. 18 concerne le forme speciali di vendita al dettaglio, si applicano unicamente agli operatori che svolgono l’attività di acquisto per la rivendita ai consumatori finali. Pertanto, per quanto concerne la vendita all’ingrosso, il grossista è tenuto unicamente a dichiarare, al momento dell’iscrizione al Registro delle imprese, il possesso dei requisiti morali, nonché quelli professionali, di cui all’art. 71, D.Lgs. n. 59/2010, qualora venda prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare. Le disposizioni del D.Lgs. n. 114/1998 applicabili al commercio elettronico, inoltre, riguardano unicamente i soggetti cui è applicabile il decreto, cioè coloro che svolgono attività economica concernente l’acquisto di prodotti ai fini della successiva rivendita. Ne consegue, pertanto, che tale disciplina non si applica alla figura degli intermediari come gli agenti di commercio, ovvero gli agenti di affari in mediazione, i quali sono tenuti al rispetto delle regole civilistiche, amministrative e fiscali che concernono lo svolgimento di dette attività, a cominciare dall’obbligatoria c) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59; d) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell’attività disposta ai sensi del comma 2. 5. Il sindaco ordina la chiusura di un esercizio di vicinato qualora il titolare: a) sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno; b) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59; c) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell’attività disposta ai sensi del comma 2. 6. In caso di svolgimento abusivo dell’attività il sindaco ordina la chiusura immediata dell’esercizio di vendita. 7. Per le violazioni di cui al presente articolo l’autorità competente è il sindaco del comune nel quale hanno avuto luogo. Alla medesima autorità pervengono i proventi derivanti dai pagamenti in misura ridotta ovvero da ordinanze ingiunzioni di pagamento”. © Wolters Kluwer I presupposti 71 iscrizione ai relativi ruoli tenuti dalla Camera di commercio e all’apertura della partita I.V.A. Va rilevato, altresì, che l’art. 4 di detto decreto, nel definire le figure del dettagliante e del grossista, evidenzia il carattere di professionalità nell’organizzazione e conduzione dell’attività: restano, pertanto, escluse dall’applicazione del decreto le attività esercitate in maniera meramente occasionale51. La disciplina del decreto non si applica a coloro che non sono “dettaglianti”, per cui non riguarda i produttori industriali, agricoli ed artigiani, né ai cacciatori, pescatori, né ad altri soggetti la cui disciplina è contenuta in norme speciali (si pensi alla vendita di farmaci, di oggetti preziosi e di antiquariato, carburanti, etc.). Non si applica, inoltre, a due particolari tipologie di soggetti: - chi venda o esponga per la vendita le proprie opere d’arte, nonché quelle dell’ingegno a carattere creativo, comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica od informativa, realizzate anche mediante supporto informatico; - gli enti pubblici (o persone giuridiche private partecipate dallo Stato o enti territoriali) che vendano pubblicazioni o altro materiale informativo, anche su supporto informatico, concernenti l’oggetto della loro attività. Ovviamente, se non si applica l’intero decreto, non si applica neppure una sua parte, ossia il già menzionato art. 18. Vale a questo punto la pena di segnalare alcune particolarità. a) Il grossista che vende su Internet – Rispetto al problema della vendita all’ingrosso su Internet, il Ministero dello Sviluppo economico (nella circ. n. 3487/C del 2000), osservato che l’art. 26, co. 2, del D.Lgs. n. 114/1998 proibisce l’esercizio congiunto del commercio all’ingrosso e al dettaglio nello stesso locale (si badi, però, che non è prevista alcuna sanzione per la violazione del divieto), risolve la questione della promiscuità richiedendo all’operatore che voglia svolgere sia l’attività di ingrosso che di dettaglio online tramite un unico sito di “(...) destinare aree del sito distinte per l’attività all’ingrosso e al dettaglio: in tal modo, infatti, il po- 51 In tal senso cfr. Minindustria, circ. 1 giugno 2000, n. 3487/C. © Wolters Kluwer 72 Capitolo II tenziale acquirente è messo in condizione di individuare chiaramente le zone del sito destinate alle due tipologie di attività”. Seguendo questo suggerimento, il dettagliante/grossista potrà agevolmente distinguere le modalità di contrattazione con i propri clienti, tenuto conto delle diverse regole di salvaguardia disposte nei confronti dei consumatori e non anche nei soggetti compratori che non rivestano questo status. b) L’industriale che vende su Internet – Per quanto attiene agli industriali, posta la mancanza di indicazioni nel Decreto Bersani (laddove non vengono menzionati), ci si è chiesti se questo tipo di operatori siano sempre svincolati dall’applicazione della disciplina amministrativa del commercio e quindi – per quel che qui maggiormente interessa – in grado di esercitare l’attività di vendita tramite il commercio elettronico senza sottostare ad alcuna limitazione. Il Ministero dell’industria (ora Ministero dello Sviluppo economico), ha chiarito che l’attività di vendita da parte degli industriali fuoriesce dall’ambito applicativo del citato decreto solo se svolta nei locali di produzione o in quelli ad essi adiacenti, analogamente alla deroga prevista per gli artigiani52. Qualora la vendita sia esercitata in altri locali, l’industriale rivestirebbe anche la “qualifica” di commerciante, con la sottoposizione al relativo regime53. Rispetto al commercio elettronico si avrebbe, pertanto, che l’industriale può vendere liberamente on line (e detenere le merci ovunque, anche in locali diversi da quelli di produzione o ad essi adiacenti) ma se svolge l’attività di vendita anche direttamente deve rispettare le menzionate indicazioni. Il condizionale è d’obbligo poiché si tratta di indicazioni di fonte ministeriale che, al momento, non hanno ricevuto conferma alcuna dalla giurisprudenza. c) L’artigiano che vende su Internet – Per quanto attiene alla vendita on line effettuata dal produttore artigiano i problemi che sorgono sono ben più pregnanti, tenuto conto che la non applicazione delle regole previste dal D.Lgs. n. 114/1998 è subordinata alla circostanza che la vendita dei 52 53 Circ. 18 gennaio 1999, n. 3459/C. Minindustria, circ. 28 maggio 1999, n. 3467/C. © Wolters Kluwer I presupposti 73 propri prodotti – da parte dei soggetti iscritti all’albo delle imprese artigiane – avvenga nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti. Dal dettato legislativo parrebbe escludersi la possibilità per l’artigiano di vendere i propri prodotti tramite Internet. La presenza su Internet non può tuttavia significare automaticamente lo svolgimento di una attività di vendita, altrimenti, così argomentando, all’artigiano sarebbe precluso l’impiego di strumenti promozionali, si pensi ad una inserzione su un quotidiano, solo perché fuori dei locali di produzione. A ben guardare, la disposizione in commento richiede che la vendita abbia luogo nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti. Ne consegue che se la vendita – anche se a distanza – si conclude giuridicamente in detti locali non sussistono problemi all’ammissibilità del commercio on line anche da parte degli artigiani. È però indispensabile che il luogo di conclusione del contratto sia individuato, ossia che la vendita si concluda presso i locali di produzione dell’impresa e che tale circostanza sia opportunamente evidenziata all’interno del sito impiegato per l’attività on line54. d) L’agricoltore che vende su Internet – Per quanto attiene, infine, agli agricoltori, l’esclusione dal Decreto Bersani è legata ad una “specialità” riconosciuta al mondo agricolo (che ha sue particolarità rispetto al ciclo produttivo). La legge 9 febbraio 1959, n. 59 (come modificata dalla legge 14 giugno 1964, n. 477), concernente le Norme per la vendita al pubblico in sede stabile di prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti è stata – per quello che qui interessa – tacitamente abrogata dall’entrata in vigore del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, recante Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57. Con detto decreto, innanzitutto, è stata modificata la definizione di “imprenditore agricolo” contenuta nell’art. 2135 c.c. ed imposto l’obbligo di iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese (tale iscrizione ha l’efficacia di pubblicità dichiarativa ai sensi dell’art. 2193 c.c.). Più rilevante – ai nostri fini – quanto indicato all’art. 4 di detto decreto. Tale articolo, rubricato “Esercizio dell’attività di vendita”, prevede: 54 Si v. quanto si dirà al Capitolo IV. © Wolters Kluwer 74 Capitolo II a) che gli imprenditori agricoli (singoli o associati) iscritti al Registro delle imprese possono vendere direttamente al dettaglio i prodotti provenienti “in misura prevalente dalle rispettive aziende” osservate le vigenti norme in materia di igiene e sanità. Tale vendita può avvenire su tutto il territorio nazionale; b) che la vendita di prodotti agricoli possa essere svolta sia in forma itinerante che in sede fissa. Nel primo caso è necessaria una previa comunicazione al Comune dove è situata la sede dell’azienda di produzione, contenente le seguenti indicazioni55: - generalità del richiedente; - numero di iscrizione al Registro delle imprese; 56 - l’assenza di cause ostative ; - ubicazione dell’azienda agricola; - prodotti che si intendono porre in vendita; - modalità in cui sarà effettuata la vendita, compreso il commercio elettronico (si tratterà, dunque, di indicare il sito). Una volta effettuata la comunicazione, così come per il commercio al dettaglio in esercizi “di vicinato”, l’attività può essere subito iniziata. L’art. 4, co. 4-bis, specifica (anche se non serviva) che “La vendita diretta mediante il commercio elettronico può essere iniziata contestualmente all’invio della comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione”; c) per quanto riguarda, invece, la vendita da effettuarsi in forma non itinerante su aree pubbliche, ovvero in locali aperti al pubblico, la comunicazione di cui sopra dovrà essere indirizzata al Comune in cui si intende esercitare la vendita. Qualora si intenda effettuare la vendita mediante un posteggio su aree pubbliche, la comunicazione deve contenere anche la richiesta di assegnazione del relativo posteggio, secondo quanto è previsto nella disciplina regionale (e comunale) di attuazione dell’art. 28 del D.Lgs. n. 114/1998; 55 Per la vendita al dettaglio esercitata su superfici all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola, nonché per la vendita esercitata in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico o di promozione dei prodotti tipici o locali, non è richiesta la comunicazione di inizio attività. 56 Secondo l’art. 4, co. 6, D.Lgs. n. 228/2001, “Non possono esercitare l’attività di vendita diretta gli imprenditori agricoli, singoli o soci di società di persone e le persone giuridiche i cui amministratori abbiano riportato, nell’espletamento delle funzioni connesse alla carica ricoperta nella società, condanne con sentenza passata in giudicato, per delitti in materia di igiene e sanità o di frode nella preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività. Il divieto ha efficacia per un periodo di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna”. © Wolters Kluwer I presupposti 75 d) sono ammessi alla vendita non solo i prodotti non sottoposti a lavorazione ma anche – secondo la nuova definizione codicistica di imprenditore agricolo – quelli “derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa” (co. 5). L’art. 4, co. 7, del D.Lgs. n. 228/2001, conferma che la vendita diretta degli agricoltori è esclusa dall’applicazione del D.Lgs. n. 114/1998. Tale esclusione non è però assoluta poiché il decreto da ultimo citato trova applicazione “qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali, ovvero a 4 milioni di euro per le società” (art. 4, co. 8, D.lgs. n. 228/2001). 6. La vendita all’asta tramite Internet Nell’ambito della trattazione del commercio elettronico non si può omettere un cenno al tema della vendita all’asta tramite Internet. Per asta on line s’intende solitamente la compravendita di beni e/o servizi effettuata tra privati in Internet con il sistema dell’asta57. Le aste sono meccanismi che, nell’ambito (solitamente) di una operazione di compravendita, consentono l’individuazione del contraente sulla base di alcuni parametri (che, poi, distinguono tra loro le varie modalità di aggiudicazione)58. Ma mentre le aste – per così dire – “tradizionali” hanno una regolamentazione specifica, sia per gli aspetti pubblicistici che per quelli amministrativi, nel caso delle aste on line la dinamica che le caratterizza non permette con immediatezza la ricostruzione della fattispecie e, quindi, l’applicazione di una possibile disciplina giuridica. Per poter parlare di aste on line occorre innanzitutto presupporre che le aste “private” siano ammesse dal nostro ordinamento. I dubbi sono sorti a seguito della lettura dell’art. 18, co. 5, del D.Lgs. n. 114/1998 che stabilisce che “Le operazioni di vendita all’asta realizzate per mezzo della televisione o di altri sistemi di comunicazione sono vieta57 G. ROGNETTA, Le aste on line, SANO, Milano, 2001, p. 148. 58 in AA.VV., Internet. Nuovi problemi e questioni controverse, a cura di G. CAS- E.M. TRIPODI, Le aste on line: i recenti sviluppi disciplinari tra pubblico e privato, in Discipl. comm. e servizi, 2002, p. 491 ss. © Wolters Kluwer 76 Capitolo II te”. La prevalente dottrina si è subito pronunciata per un divieto delle aste on line nel nostro Paese59, seguita anche dalla giurisprudenza60. Il legislatore avrebbe tradotto in norma le preoccupazioni espresse in alcune pronunce giurisprudenziali, che tendevano a rafforzare la necessità di localizzazione e contemporanea presenza dei partecipanti, nel timore che il meccanismo dell’asta a distanza potesse favorire fraudolenti rialzi dei prezzi derivanti da offerte non genuine61. Lo stesso codice del consumo, con riferimento alla tutela nei contratti a distanza, escludeva l’applicazione della disciplina ai contratti “conclusi in occasione di una vendita all’asta” (previgente art. 51, co. 1, lett. e). Per recuperare un senso che renda compatibili le sopra citate disposizioni legislative, occorre tenere presente che il D.Lgs. n. 114/1998 non ha applicazione generalizzata. In particolare, secondo l’interpretazione offerta in una circolare del Ministero dell’Industria (ora dello Sviluppo economico), esso si applica solo a chi esercita il commercio al dettaglio, ovvero a chi “professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende (…) direttamente al consumatore finale” (cfr. art. 4, co. 1, lett. b) 62. Vengono pertanto escluse alcune categorie di operatori commerciali, quali i venditori di proprie opere d’arte, i produttori agricoli, gli artigiani, ecc. (art. 2, co. 2). Si tratta di soggetti a cui non si applica il D.Lgs. n. 114/1998 e, quindi, esclusi anche dal divieto di vendite all’asta on line di cui all’art. 1863. 59 G. ROGNETTA, Le aste on line, cit., p. 157; E. RUGGERO, M. PIERANI, Aste on line, in AA.VV., Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’Internet, a cura di G. CASSANO, Milano, 2002, p. 438 s. 60 “Il divieto, previsto dall’art. 18, comma 5, d.lg. 31 marzo 1998 n. 114, di effettuare operazioni di vendita all’asta per mezzo della televisione o di altri mezzi di comunicazione a distanza non è limitato alle sole vendite al dettaglio, ma comprende ogni tipo di vendita, anche effettuata per conto terzi. Ne consegue la legittimità dell’applicazione previste dall’art. 22 del suddetto decreto” (Così, Cass., 10 ottobre 2005, n. 19668, in Mass. Giust. civ., 2005, p. 10; in Giud. pace, 2006, p. 116 ss., con nota di A. AMBROSINI). Sulla questione v., criticamente, E.M. TRIPODI, Aste televisive e via Internet: le opinioni (in parte confuse) della Suprema Corte, in Dir. Internet, 2006, p. 56 ss. 61 Cfr. Cass., 10 ottobre 2005, n. 19668, cit. 62 Cfr. circ. n. 3547/C del 17 giugno 2002; in tal senso anche la Risoluzione MISE n. 53574 del 19 maggio 2010. 63 Al contrario secondo la Cassazione, il divieto previsto dall’art. 18, co. 5, del D.Lgs. n. 114/1998, di effettuare operazioni di vendita all’asta per mezzo della televisione o di altri mezzi di comunicazione a distanza “non è limitato alle sole vendite al dettaglio, ma comprende ogni tipo di vendita, anche quella effettuata per conto terzi. Ne consegue la legittimità dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’art. 22 del suddetto decreto” (Cass., 10 ottobre 2005, n. 19668). © Wolters Kluwer I presupposti 77 Resta però necessario il rispetto delle specifiche disposizioni ad essi applicabili64, ovvero: - con riferimento ai produttori agricoli, il rispetto di quanto previsto dal D.Lgs. n. 228/2001 e, allorquando vendono ai consumatori, i limiti di fatturato che escludono l’applicazione del D.Lgs. n. 114/1998, superati i quali l’eventuale vendita all’asta rientra nel divieto di cui all’art. 18; - con riferimento ai produttori artigiani, il rispetto di quanto previsto dalla L. n. 443/1985, con l’obbligo che la vendita all’asta si concluda giuridicamente nei locali di produzione, rientrando, in caso contrario, nell’ambito del divieto di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 114/1998. Considerato il campo di applicazione del citato decreto sono altresì escluse dal divieto, le aste tra professionisti (business to business), nelle quali i partecipanti all’asta non rivestono lo status di consumatori, e le aste tra consumatori (consumer to consumer). Inoltre, va considerato che dietro ognuna di queste ipotesi si cela sempre un “professionista”, ossia l’imprenditore che gestisce il meccanismo (c.d. banditore d’asta)65. Nelle ipotesi in cui il banditore d’asta conduca direttamente la vendita di beni propri o di beni altrui, ossia per conto terzi, trova applicazione l’art. 115 del Tulps relativo allo svolgimento dell’attività di agenzia d’affari, nella specie di “pubblici incanti”. In merito alle sanzioni applicabili, l’esercizio non autorizzato della vendita all’asta o esercitato “oltre le prescrizioni della legge o dell’autorità” è punito ai sensi dell’art. 17-bis del Tulps e, nel caso in cui l’asta on line rientri nell’ambito del divieto previsto dall’art. 18, co. 5, D.Lgs. n. 114/1998, trova applicazione l’art. 22 del medesimo decreto. Nelle aste on line il banditore è tenuto ad una serie di obblighi: 64 E.M. TRIPODI, Gli aspetti giuridici del commercio elettronico, in INDIS, Guida multimediale al commercio elettronico, op. cit., p. 155. 65 “eBay è un sito di intermediazione e quindi non può beneficiare della qualità di «intermediario tecnico» ai sensi dell’art. 6 della legge sul commercio elettronico perché essa sviluppa un’attività commerciale a fini di profitto sulla vendita di prodotti e non si limita all’attività di hosting provider. In particolare, eBay non si limita a effettuare un’attività di raccolta dati, ma realizza un’altra attività: quella di mediatore” (Trib. Commercio Parigi, 30 giugno 2008, S. A. Christian Dior Couture c. eBay, in Dir. Internet, 2008, p. 568 ss., nota di E. FALLETTI). © Wolters Kluwer 78 Capitolo II a) nel sito dovranno essere fornite una serie di informazioni che consentano l’identificazione del banditore d’asta; b) il banditore è tenuto a identificare con certezza i soggetti che partecipano all’asta e che richiedono la registrazione al sito attraverso il quale viene effettuata la vendita; c) devono essere fornite una serie di informazioni sulle modalità con cui si svolgerà l’asta (regole di aggiudicazione, limite temporale dell’offerta, ecc.); d) devono essere fornite precise informazioni sul bene posto in vendita, in modo da consentirne una corretta identificazione e valutazione del prezzo (es. marca, modello, stato del bene, ecc.). Le procedure da seguire prevedono dunque la memorizzazione di una serie dati, tra cui anche i dati personali, per i quali valgono le regole previste nel D.Lgs. n. 196/2003. Devono infatti essere registrate tutte le operazioni compiute durante la giornata in modo tale da consentire la dimostrazione dello svolgimento corretto delle aste medesime. A questo fine, la memorizzazione, realizzata anche per ogni singola asta, deve comprendere, in via esemplificativa, la pagina web contenente l’offerta e la descrizione del prodotto, la data di avvio dell’asta, il termine di validità dell’offerta, l’aggiudicatario dell’offerta, il prezzo pagato, nonché le modalità di consegna e di pagamento qualora queste informazioni siano state parte integrante dell’offerta. Il banditore d’asta deve pertanto applicare alla gestione del sito, ed a tutte le comunicazioni telematiche, le procedure e le misure di sicurezza ritenute idonee, allo stato delle conoscenze tecniche ed informatiche, a garantirne la sicurezza e ad evitare i rischi di accesso non autorizzato, manomissione, ritardo nella registrazione o nella elaborazione, distruzione e perdita di informazioni e/o dati trasmessi. Tutte le memorizzazioni devono essere a disposizione della autorità per gli eventuali controlli e devono essere conservate adottando le idonee misure di sicurezza fisiche e logiche. L’obbligo di registrazione giornaliera di tutte le operazioni, con l’indicazione della data, delle generalità dei soggetti partecipanti alle medesime, del compenso pattuito e dell’esito di dette operazioni, è sancito dagli artt. 119 e 120 Tulps e dagli artt. 219 e 220 del Reg. di esecuzione66. 66 Cfr. circ. MAP n. 3547/C del 17 giugno 2002. © Wolters Kluwer I presupposti 79 Sotto il profilo della disciplina contrattuale, per le aste on line – trattandosi di vendita effettuata tramite Internet – non è agevole stabilire quale sia il luogo e il momento di conclusione del contratto. In mancanza di indicazioni contrarie da parte del venditore, il contratto si intende concluso nel luogo in cui si trova il venditore e nel momento in cui avviene l’aggiudicazione. Al riguardo occorre sottolineare che, tenuto conto anche di quanto stabilito dalla dir. n. 2000/31/CE sul commercio elettronico, nel determinare il luogo in cui si trova il venditore non occorre far riferimento al luogo in cui si trova la tecnologia o gli strumenti utilizzati o dove il sito è accessibile; ma al luogo in cui è svolto il servizio o, se ciò non è possibile, occorre far riferimento a quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico. Tale luogo – nel caso di artigiani e industriali che intendono svolgere aste on line – deve necessariamente corrispondere con i locali di produzione o con i locali a questi adiacenti67. Rispetto al quadro indicato occorre tenere presente che l’art. 45, co. 1, lett. o), cod. cons., prevede una definizione di “asta pubblica” intesa quale “metodo di vendita in cui beni o servizi sono offerti dal professionista ai consumatori che partecipano o cui è data la possibilità di partecipare all’asta di persona, mediante una trasparente procedura competitiva di offerte gestita da una casa d’aste e in cui l’aggiudicatario è vincolato all’acquisto dei beni o servizi”. Questo autorizza a ritenere che alle aste on line si applichino tutte le disposizioni che tutelano il consumatore (da quelle informative, al recesso, ecc.). Non è quindi più rinviabile l’abrogazione dell’art. 18, co. 5, del D.Lgs. n. 114/1998 che, oltre ad avere un raggio di azione eccessivamente limitato, appare del tutto fuori luogo rispetto all’evoluzione delle modalità di acquisto da parte dei consumatori, specie se si ha riferimento al mercato europeo (dove non è generalizzato un tale divieto che colpisce solo una piccola parte dei commercianti al dettaglio). 67 Cfr. circ. MAP n. 3547/C, cit. © Wolters Kluwer 80 Capitolo II 7. I riflessi del commercio elettronico sui rapporti distributivi: A) Il versante dell’impresa Secondo alcuni interpreti, la veloce diffusione e versatilità del commercio elettronico, determinerà progressivamente una “disintermediazione”, intendendosi con tale termine la sostituzione di tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, nelle attività inerenti la distribuzione dei prodotti e dei servizi, a tutto vantaggio di una impresa (produttrice e/o venditrice) strutturata sulla base di una rete telematica con la quale raggiunge direttamente il suo target di riferimento68. La conseguenza è all’insegna di fosche quanto “apocalittiche” previsioni: i distributori che non saranno in grado di generare del valore aggiunto, a fronte della posizione occupata all’interno del canale produttoregrossista-dettagliante-consumatore, saranno tagliati fuori. Ma sarà davvero così? Non c’è dubbio che l’utilizzo di strumenti telematici per raggiungere il consumatore consente all’impresa (apparentemente) di non aver bisogno di intermediari; tuttavia, com’è noto, le funzioni dei distributori possono essere “assorbite” a monte o dislocate a valle ma non possono essere eliminate69. In sostanza, se l’impresa decide di “saltare” la fase del grossista, inevitabilmente si troverà a dover assumere il rischio economico di un ingente magazzino e dei rapporti con i dettaglianti. Se, invece, decide di fare a meno del dettagliante, la funzione da questi assicurata di capillarità e rapporto “di vicinato” con il consumatore saranno a carico del produttore, in totale antitesi con una politica di specializzazione e “divisione del lavoro” che prevede il trasferimento, attraverso il canale distributivo, dei prodotti e del rischio della collocazione sul mercato degli stessi. Esistono poi altre questioni, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista aziendale. Se una impresa decide di distribuire direttamente su Internet i propri prodotti, sorgono immediatamente tutta una serie di conflitti legati ai rapporti contrattuali che legano questa impresa con i propri distributori nei vari passaggi “di canale”. Molti di questi contratti si basano, infatti, 68 Ancora valido L. PELLEGRINI, Il commercio elettronico: minacce od opportunità per le imprese commerciali, in W.G. SCOTT, M. MURTULA, M. STECCO (a cura di), Il commercio elettronico. Verso nuovi rapporti tra imprese e mercato, Torino, 1999, p. 108 ss. 69 Se ne è parlato al Capitolo I, par. 3. © Wolters Kluwer I presupposti 81 su alcune clausole che hanno il preciso scopo di funzionalizzare l’attività del distributore con gli obiettivi di mercato dell’impresa, ponendo alcuni limiti alla completa libertà di autodeterminazione: si pensi, ai patti di esclusiva di acquisto o di vendita, alle esclusive territoriali, etc. Del resto alcune tipologie contrattuali – come la distribuzione selettiva – si sono sviluppate proprio a partire da una limitazione dei punti di vendita, rispetto alla vendita di prodotti dotati di un particolare pregio attrattivo agli occhi dei consumatori. Non è facile ora “sconfessare” questa immagine con un sistema di vendita diretta. Se prendiamo poi in considerazione il versante aziendale, l’impresa per poter efficacemente praticare la vendita on line, deve necessariamente affrontare una ristrutturazione di tutti i processi e ciò è tanto più complessa quanto l’impresa sia articolata. La ristrutturazione, deve tener conto per es.: a) della necessità di operare in tempo reale; b) della necessità di elaborare velocemente tutti i dati che provengono direttamente dai consumatori; c) dei problemi legati alla logistica, cioè alla consegna dei prodotti stessi presso il consumatore; d) del diverso approccio al business elettronico rispetto a quello tradizionale. Questi sono solo alcuni dei punti nodali, ma altri ve ne sono e dipendono dal tipo di prodotto, dai servizi (pre e post vendita) che lo accompagnano, dalla rinomanza del marchio (o del nome dell’impresa), etc. Ovviamente, problemi del genere hanno senz’altro un’altra portata se si tratta di una nuova impresa che, sin dall’inizio, si è strutturata per operare su Internet, trovando la soluzione più confacente alle proprie necessità di approccio al mercato. A fronte delle difficoltà semplicisticamente sopra richiamate (e di altre che, per brevità, non è possibile affrontare in questa sede), molte imprese hanno, per il momento, deciso di soprassedere dalla vendita diretta on line, usando il proprio sito web, né più né meno, come una semplice vetrina-catalogo della propria azienda e dei propri prodotti. Altri imprenditori hanno invece applicato una o più delle seguenti combinazioni: © Wolters Kluwer 82 Capitolo II a) creazione di una impresa controllata dalla “casa madre” dedicata unicamente alla vendita su Internet, alla quale è stata trasferita la parte del catalogo con i prodotti e servizi maggiormente “compatibili” con la vendita on line e con i contratti di distribuzione in corso; b) creazione di un prodotto venduto esclusivamente su Internet, di modo da non creare contrasti con i distributori tradizionali. È il caso “storico” di barchettaweb della Fiat – interamente personalizzabile negli allestimenti e nella dotazione di optional da parte dell’acquirente – non può essere acquistata se non in Rete; c) coinvolgimento dei distributori nella vendita on line. Questa strada è stata seguita da quanti hanno inteso il sito come “centrale di ricezione/smistamento” degli ordini la cui esecuzione viene poi demandata al punto vendita (o all’intermediario) più vicino al consumatore. 8. Segue: B) il versante dei prodotti Se passiamo ora ad affrontare brevemente il tema del commercio elettronico, dal lato dei prodotti, innanzitutto occorre fare una prima distinzione legata alla necessità o meno della funzione logistica e della rilevanza della funzione informativa. Rispetto alla prima, appare evidente che la vendita on line non esclude la presenza di un “vettore” per il trasferimento dei prodotti dall’impresa ai consumatori, soprattutto quando questi sono beni materiali, sebbene anche per alcuni di questi (si pensi alla musica), il medium telematico possa fungere anche da apparato logistico. L’acquisto su Internet di un quaderno dovrà dunque, per forza di cose, essere seguito dalla sua materiale consegna all’acquirente. Per la maggior parte dei servizi, al contrario, tali problemi non si pongono potendosi trasferire direttamente tramite la Rete quando ciò sia compatibile con la natura dei servizi. Così, per fare un esempio, l’accesso ad un servizio finanziario, borsistico e bancario è, di questi tempi, possibile tranquillamente da casa; non così, invece, per la riparazione della propria auto da parte di un meccanico (almeno fin quando le auto non saranno connesse in Rete e riparate a distanza), ovvero per un taglio di capelli. © Wolters Kluwer I presupposti 83 Quanto alla componente informativa sul prodotto che, nella distribuzione “ordinaria” è assicurato dal prodotto stesso e/o dal distributore, si presentano le situazioni rilevanti: a) l’informazione è disponibile prima dell’acquisto; b) l’informazione è acquisita durante il processo di acquisto. Nel primo caso, il consumatore sa già cosa acquistare e la scelta della forma di acquisto dipende dal prezzo rapportato ai tempi della distribuzione fisica del prodotto ed ai tempi di attesa sopportabili. In questo senso, per i beni d’uso corrente (e di basso prezzo), il canale distributivo telematico non è particolarmente conveniente; viceversa, se i beni acquistati sono di prezzo elevato e comportano comunque i tempi e i costi della consegna sia che si acquistino on line che tramite la distribuzione tradizionale. In quest’ultima fattispecie, il commercio elettronico è favorito per l’assenza del distributore e per la possibilità per l’impresa di determinare le decisioni di produzione direttamente sulla base delle richieste dei compratori. L’ipotesi in cui l’informazione è acquisita durante il processo di acquisto, deve essere distinta a seconda che questa sia in qualche modo “oggettivabile” in valori riconoscibili dal consumatore, ovvero la decisione di acquisto dipenda, in massima parte, da una presa di contatto “fisica” con il prodotto stesso. Se le caratteristiche del prodotto sono codificate e riconosciute come tali, l’acquisto su Internet non presenta particolari problemi (qui entrerà in gioco, il livello del prezzo e i tempi/costi della logistica). Se invece l’acquisto necessita di un “convincimento” interiore del consumatore tratto da variabili non codificabili (per es. la sensazione del colore, del peso, etc.), la distribuzione con il canale distributivo telematico è inefficace, rendendo necessaria la presenza del distributore. È pur vero che su Internet è già possibile una certa interazione tra consumatore e venditore, ma si tratta ancora di “risposte” standard fredde ed impersonali, non in grado ancora di sostituire il rapporto interpersonale che si crea con il contatto diretto con venditore70. 70 Si rinvia, comunque, a considerazioni più attuali, come quelle contenute nel Capitolo III. © Wolters Kluwer 84 Capitolo II 9. I rapporti contrattuali (in termini molto tassonomici): A) I soggetti necessari Per cogliere i rapporti contrattuali che legano i vari soggetti che operano su Internet è necessario illustrare brevemente la loro posizione all’interno di questo mercato telematico. Al “vertice” del sistema possiamo senz’altro collocare i gestori della rete di comunicazione (Telco) con il quale l’access provider (che gestisce la connessione ad Internet) stipula un contratto relativo all’utilizzo delle infrastrutture della rete di comunicazione in cambio del pagamento di un corrispettivo che può essere variamente configurato. Potrebbe, infatti essere un canone analogo a quello della normale utenza telefonica, ovvero una percentuale collegata al “traffico” telefonico Internet o, ancora, un misto delle due ipotesi. L’access provider, una volta dotato della possibilità d’uso delle infrastrutture di comunicazione, rende disponibile la “connessione” ad Internet ai soggetti interessati. Tra questi si collocano anche i Cloud provider. Il contratto di accesso ad Internet che viene stipulato tra l’access provider e gli utenti – che può essere anche distinto a seconda del tipo di utenza, per es., imprese ovvero privati – viene normalmente inquadrato nell’ambito del contratto di appalto di servizi, secondo quanto previsto dall’art. 1677 c.c. Questo articolo prevede che se l’appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, oltre alle disposizioni sull’appalto anche quelle relative alla somministrazione, in quanto compatibili. Questa soluzione, sulla quale è attestata la dottrina, è quella più consona al tipo di prestazioni che vengono “somministrate” trattandosi non di cose ma di servizi variamente configurati: oltre all’accesso ad Internet, infatti, normalmente viene fornita una casella di posta elettronica, partecipazioni a chat, etc. L’access provider si distingue dal service provider (o content provider), che, oltre alla connessione ad Internet, assume l’obbligo nei confronti dell’utente (specie le imprese) di realizzare anche i “contenuti” che questo vuole veicolare tramite Internet: l’attività non determinabile con esattezza potendo consistere nella progettazione, realizzazione e messa “in linea” di pagine web, fino alla realizzazione o gestione di interi siti. © Wolters Kluwer I presupposti 85 Queste attività, oltre che dal content provider possono, ovviamente, essere realizzate anche da altre imprese che offrono questo genere di servizi. I contratti per questo genere di prestazioni vengono fatti rientrare nell’appalto di servizi, ovvero, a seconda dei casi, nella prestazione d’opera intellettuale o, anche, nell’appalto d’opera. Quando tali compiti si aggiungano al servizio di connessione, secondo la dottrina si avrebbe un contratto misto. A questi soggetti, si sono aggiunti i c.d. gestori di “portali”, “vortali”, “Marketplace”71 che possono essere sia operatori che svolgono quale attività quella di ospitare nel proprio sito, pagine web, ovvero siti altrui ai quali concedono “lo spazio virtuale”. Queste attività sono spesso esercitate da provider che sommano ai compiti di connessione di rete, quelli di “amministratori” di una sorta di “condominio” Internet. 10. Segue: B) Le tipologie A parte i principali operatori indicati al paragrafo precedente possiamo fornire qualche indicazione indiretta, prendendo ad esame le attività che una impresa deve gestire qualora intenda commercializzare i propri prodotti o servizi on line. Molte delle tematiche indicate danno luogo ad una o più tipologia di contratto a seconda del settore di attività o della più o meno complessità dell’organizzazione aziendale72. Tali indicazioni vanno intese in termini meramente esemplificativi non essendo questa la sede per una trattazione particolareggiata che va cercata in testi specialistici73. 1) Telecomunicazioni - contratti relativi alla connettività; 71 V., più avanti, al Capitolo III, par. 4. Per esempio se è rivolta al mercato “domestico” ovvero a uno o più mercati internazionali. 73 Per alcuni modelli (alcuni dei quali predisposti da chi scrive) v. E.M. TRIPODI, Formulario dei contratti d’informatica e del commercio elettronico, III ed., Roma, 2002, cui adde A. LISI (a cura di), I contratti di Internet, Torino, 2006. Per una trattazione introduttiva cfr. E.M. TRIPODI, I contratti di utilizzazione del computer, in F. BILOTTA (a cura di), Computer e nuove tecnologie di comunicazione, ne I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. CENDON, vol. IX, Torino, 2004, p. 3 ss.; F. BILOTTA (a cura di), Internet, ne I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, op. cit., vol. X, Torino, 2004. Per alcune indicazioni v., di recente, B. SANTACROCE, S. FICOLA, Il commercio elettronico, op. cit., p. 225 ss. 72 © Wolters Kluwer 86 Capitolo II - contratti per la progettazione/utilizzo di reti LAN, WAN, Wi-MAX, WI-FI, etc.; - contratti per servizi di network. 2) Information Tecnology - contratti per l’utilizzo di piattaforme e sistemi IT; - contratti per l’hardware ed il software di base; - contratti per il software applicativo; - contratti per l’hardware ed il software produttivo (es.: stampa 3D). 3) Strategie e processi aziendali - contratti per reti di impresa; - contratti per il web business process reingeneering; - contratti per la gestione dei progetti su prodotti/servizi di ecommerce. 4) Definizione dei contenuti - contratti per la produzione dei contenuti; - contratti per la gestione dei contenuti; - contratti per la gestione/sicurezza dei dati e delle informazioni. 5) Licenze - contratti di licenza per marchi e brevetti; - contratti per la gestione dei segreti d’impresa; - contratti sul diritto di autore. 6) Design e comunicazione - contratti per le interfacce; - contratti per la grafica 2D/3D; - contratti per la pubblicità. 7) Logistica e distribuzione - contratti per i sistemi di tracing/tracking; - contratti per la gestione della logistica; - contratti per la gestione dello stoccaggio;. © Wolters Kluwer I presupposti - 87 contratti di distribuzione. 8) Sistemi finanziari - contratti sui sistemi di pagamento; - contratti di consulenza sui sistemi di tassazione; - contratti per il project financing o altre forme di reperimento di risorse (sponsorizzazione/crowfunding, etc.). 9) Formazione - contratti per la formazione su uno o più degli aspetti indicati negli altri numeri, sia essa interna che rivolta verso l’esterno. © Wolters Kluwer 89 CAPITOLO III IL COMMERCIO ELETTRONICO. MODALITÀ E TENDENZE. SOMMARIO: 1. La ricerca di informazioni/offerte: i motori di ricerca - 2. La proposta di informazioni/offerte: Portal e Vortal - 3. Un caso particolare: Ebay e le aste on line - 4. I Marketplace - 5. Il comparative shopping - 6. Prima di diventare un imprenditore: guadagnare on line - 7. Uno strumento di riorganizzazione aziendale: il cloud computing - 8. Le tendenze del commercio elettronico: nella distribuzione commerciale al dettaglio - 9. Segue: le tendenze nella somministrazione di alimenti e bevande - 10. Strumenti e tecniche per l’innovazione: dal tag, all’Internet delle cose, ai sistemi predittivi 1. La ricerca di informazioni/offerte: i motori di ricerca Data la grande mole di documenti e informazioni presenti su Internet (che, in gergo, vengono indicate come “risorse”) la navigazione e la ricerca sarebbe pressoché impossibile senza la presenza dei “motori di ricerca”. Il motore di ricerca è un servizio, contenuto in un sito, che consente di effettuare delle ricerche e di ottenere una lista di risultati. I motori di ricerca nascono nel 1994, con Yahoo!, attualmente tra quelli più usati al mondo. Le modalità di lavoro erano quelle di una catalogazione “a mano” dei siti presenti su Internet, suddivisi in categorie omogenee (directories). Nel 1995 nascono altri sistemi di ricerca (Altavista1, Excite, Infoseek2) che sfruttano degli appositi programmi per la ricerca automatica. Si tratta dei c.d. “spider” o web crawler, programmi che “scandagliano” la Rete “annotando” i siti trovati. La principale differenza tra la catalogazione “a mano” e quella “automatica” consiste nella più o meno affidabilità delle indicazioni che vengono fornite agli utenti. Solo negli ultimi anni sono disponibili prototipi di algoritmi di ricerca in grado di “valutare” la pertinenza del sito (e/o del link) con il suo contenuto e con il sistema utilizzato per indicizzarlo (questi prototipi sono parte del progetto di web “semantico”). Questa è la 1 2 Nel 2010 AltaVista è stato “rilevato” e sostituito da Yahoo! (che lo aveva acquistato nel 2003). Poi, dopo alcuni passaggi societari, è confluito in Yahoo! © Wolters Kluwer 90 Capitolo III ragione per cui il controllo “diretto” del gestore del motore di ricerca rende più affidabili i risultati proposti agli utenti. La procedura automatica è invece maggiormente completa perché offre un ventaglio più ampio rispetto alla richiesta, lasciando all’utente separare l’oro dalla pirite. È del 1998 la vera innovazione nei motori di ricerca che è stata realizzata da Google, attualmente il più utilizzato in assoluto. La spiegazione è semplice: l’utilizzo degli “spider” collega le pagine web ad un meccanismo di ranking (PageRank), ossia ad una indicazione di una lista in ordine di importanza3. Le pagine web vengono ordinate in ordine decrescente a seconda del numero di link che ad esse rinviano. In sostanza, Google attribuisce alle pagine web una votazione collegata al rilievo che la stessa Rete attribuisce a detta pagina. Tecnicamente la questione è più complessa poiché, nella valutazione finale, si tiene conto anche di una “gerarchia” dei link a seconda che siano nelle Home page, ovvero nella URL, o sia maggiormente rispondente al contenuto, etc4. I motori di ricerca si distinguono, anzitutto, a seconda della loro valenza nazionale o internazionale5. Nel primo caso si tratta di siti che “lavorano” avendo di vista il rispettivo mercato nazionale (si pensi a Virgilio, a Search.tiscali.it ovvero ad Arianna.libero.it). Nel secondo caso (valgano, al riguardo gli esempi sopra ci3 I motori di ricerca “generalisti” più consultati sono (si tenga conto che per ognuna delle versioni “.com” esiste spesso anche la versione nazionale: per l’Italia quella con il suffisso “.it”): a) Google! (www.google.com); b) MSN Search (www.msn.com). Nel marzo 2006 Microsoft ha avviato la versione “beta” di Windows Live Search (www.live.com), poi a sua volta – nel 2009 – sostituito da Bing (www.bing.com). c) Yahoo! Search (www.yahoo.com); d) AOL Search (www.aol.com); e) Ask (www.ask.com). I principali portali da cui “partono” motori di ricerca: a) Lycos (www.lycos.com); b) Excite (www.excite.com); c) HotBot (www.hotbot.com); In Italia i più noti motori di ricerca sono i seguenti: a) Arianna (arianna.libero.it); b) Virgilio (www.virgilio.it); c) Il Trovatore (www.iltrovatore.it). 4 Per spiegazioni semplici ma accurate v., da ultimo, J. MACCORMICK, 9 algoritmi che hanno cambiato il futuro, Milano, 2013, in particolare sulla “catalogazione” di AltaVista e sul sistema PageRank di Google, rispettivamente, p. 11 ss. e p. 27 ss.; M. PASQUINELLI, L’algoritmo PageRank di Google: diagramma del capitalismo cognitivo e rentier dell’intelletto comune, in http://matteopasquinelli.com/docs/Pasquinelli_PageRank_it.pdf.; A.N. LANGVILLE, C.D. MAJER, Google’s PageRank and beyond: the science of search engine rankings, Princeton University Press, 2006. 5 Per una panoramica mondiale dei motori di ricerca si rinvia a http://www.segnalidivita.com/ motoridiricerca/motori_di_ricerca_di_tutto_il_mondo.htm. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 91 tati), si tratta di motori diffusi in tutto il mondo, a loro volta articolati in “circoscrizioni” territoriali, spesso sulla base del “suffisso” utilizzato per distinguere il dominio web: al principale (e più completo) Google.com, si affiancano, rispettivamente per Italia, Francia e Germania: Google.it, Google.fr, Google.de, etc., attraverso i quali è possibile effettuare ricerche nella propria lingua. Si tenga presente che non vi è una perfetta corrispondenza tra i diversi siti sia per i servizi offerti, sia per le metodologie di ricerca che possono cambiare in relazione anche alle esigenze dei singoli mercati a cui il motore di ricerca si rivolge. E le differenze non sono di poco conto se, per entrare nel mercato cinese, Google ha accettato di “oscurare” o rendere impossibile “raggiungere” alcune informazioni non gradite al governo cinese. I motori di ricerca si distinguono inoltre a seconda del tipo di ricerca e dei servizi offerti (query): a) motori di ricerca propriamente detti (search engines); b) motori di ricerca a liste (directory search engines); c) motori di ricerca specializzati; d) meta-motori di ricerca (meta engines o metacrawler). I motori di ricerca propriamente detti sono dei siti all’interno dei quali è possibile effettuare delle ricerche sulla base di una o più parole (“parole chiave”) scelte dell’utente. Usualmente questi motori consentono ricerche “semplici” o “avanzate”. Nella prima ipotesi, nello spazio bianco indicato, si digitano la parola o le parole che si intende cercare e si “lancia” la ricerca. Comparirà – dopo un intervallo di tempo più o meno breve a seconda della “potenza” del motore di ricerca – un elenco con tutti i “risultati” ottenuti, ossia gli indirizzi web (a pagine e o siti) che contengono le parole oggetto della ricerca. A questo punto, “cliccando” sui link indicati si aprirà automaticamente la relativa pagina, consentendo al richiedente di trovare quanto sta cercando. La ricerca “semplice” viene di solito usata – quale funzione di default – quando non si hanno idee molto precise e, quindi, si vuole dare una prima “sommaria” occhiata alla Rete. Per ottenere risultati più precisi è bene utilizzare la modalità di ricerca “avanzata” presente in tutti i motori di ricerca. © Wolters Kluwer 92 Capitolo III La ricerca “avanzata” consente di combinare le parole chiave con un insieme di operatori logici (detti anche “booleani”) in grado di precisare meglio l’ambito della ricerca. I più noti sono: - AND (per congiungere i termini nella ricerca: es. “pane AND pasta” significherà che la ricerca riguarda i casi in cui sono presenti entrambi i termini); - OR (per disgiungere i termini della ricerca: es. “pane OR pasta” significherà cercare uno o l’altro dei due termini); - NOT (per escludere uno dei termini della ricerca: es. “pane NOT pasta” significherà cercare solo il primo termine escludendo i casi in cui è presente anche il secondo)6. 6 Gli operatori logici descritti vanno digitati in lettere maiuscole, per segnare una differenza con lo standard che è il carattere minuscolo. Per offrire un quadro delle funzioni di ricerca prendiamo ad esempio gli operatori presenti su Google. Oltre ad AND (che è di default quando si ricercano più parole), OR e NOT, sono presenti anche i seguenti: - (meno): inserendo tale segno prima di un termine (senza spaziatura dopo il -) si può ridurre il campo rispetto al termine principale della ricerca. Se, per es., si scrive “Sport –calcio”, si avranno tutti i risultati che attengono allo sport ad esclusione di quelli che includono il termine “calcio”; + (più): inserendo tale segno prima di un termine (senza spaziatura dopo il +) si può ampliare la ricerca anche a quei termini che, per velocizzare la procedura, non vengono impiegati quali elementi della ricerca (avverbi, articoli, accenti, etc.). Se, per es., cercassimo “Il castello”, Google cercherebbe solo “castello”, mentre scrivendo “+castello” tra i risultati troveremmo anche il noto romanzo di Kafka che era l’oggetto della ricerca; ““ (virgolette): inserendo le virgolette prima e dopo le parole, si attiva la funzione “frase fatta”, ossia vengono cercate le pagine in cui i termini sono presenti nella posizione indicata nella ricerca. Se, per es., si scriverà “Volumi Altalex”, nei risultati si avranno tutte le pagine in cui compaiono i due termini contigui; * (asterisco): inserendo l’asterisco al posto di alcune delle lettere della parola cercata si ottengono tutte le possibili varianti che abbiano in comune le lettere note. Per es., digitando “filo*”, i risultati riguarderanno tanto la parola “filosofia” che “filosofo”, etc.; site: inserendo tale operatore si può indicare un dominio o sito specifico in cui va effettuata la ricerca del termine. Per es., digitando “tripodi site:www.altalex.it”, il termine della ricerca (tripodi) sarà cercato unicamente nel sito Altalex; link: inserendo tale operatore prima dell’indirizzo di un sito web si possono trovare tutte le pagine che contengono un link a detto sito. Ad es. digitando “link:www.altalex.it” si otterranno tutte le pagine che contengono un link al sito del nostro editore; related: inserendo tale operatore si ottengono tutti i siti web che, per contenuti, sono considerati simili a quello di riferimento. Ad es., digitando “related:www.altalex.it”, si otterranno tutti i siti che svolgono attività editoriale “specializzata”; filetype: inserendo tale operatore dopo un termine si può specificare il formato dei documenti relativi alla ricerca. Ad es., digitando “ambiente filetype:pdf” si otterranno tutti i documenti contenenti la parola “ambiente”, in formato “.pdf”. Google supporta documenti Adobe Portable Document Format (pdf), Adobe PostScript (ps), Lotus 1-2-3 (wk1, wk2, wk3, wk4, wk5, wki, wks, wku), Lotus WordPro (lwp), MacWrite (mw), Microsoft Excel (xls), Microsoft PowerPoint (ppt), Microsoft Word (doc), Microsoft Works (wks, wps, wdb), Microsoft Write (wri), Rich Text Format (rtf), Shockwave Flash (swf), Text (ans, txt). Da ultimo sono supportati, rispetto a Microsoft Office, anche i formati .dot, .dotx, .dotm, .docm per i documenti, .xlt, .xltx, .xltm, .xlsm per fogli di lavoro e .pot, .potx, .potm, .pptm, .ppsx, .ppsm per le presentazioni; inurl: inserendo tale operatore, seguito da uno o più termini, si otterranno una serie di risultati che includono il primo nella URL e gli altri nella URL o nel resto della pagina. Ad es. digitando “inurl:codici altalex” si otterranno tutte le pagine che contengono solo nella URL “codici” e “altalex” o nella URL o nel resto della pagina; © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 93 Altre modalità di ricerca “avanzata”, sempre restando a Google, sono le seguenti: l’individuazione del dominio (il web, la lingua delle pagine, ovvero la loro provenienza) e la funzione “cerca tra i risultati”, attraverso le quali si può restringere il campo dall’inizio oppure specificare la ricerca dopo aver ottenuto la prima lista dei risultati. Ad es., si può digitare “pasta”, poi specificare “pagine provenienti dall’Italia”, con l’ovvia intenzione di restringere la ricerca alla pasta che compare in pagine che “provengono” dal nostro paese. Una volta “lanciata” la ricerca (con il tasto “cerca”) ed ottenuto l’elenco dei risultati, si può ulteriormente raffinare la ricerca con “cerca tra i risultati”. Si potrebbe, ad es., scrivere “verde” per cercare la pasta nel cui impasto ci siano gli spinaci (c.d. pasta verde). La “ricerca avanzata” di Google associa alla ricerca semplice (ossia ai termini indicati dall’utente) ulteriori termini scelti dall’utente correlati agli operatori logici (AND, “”, OR e -): a) trova risultati che contengano tutte le seguenti parole; b) trova risultati che contengano la seguente frase; c) trova risultati che contengano una qualunque delle seguenti parole; d) trova risultati che non contengano le seguenti parole. Si può ulteriormente restringere il campo di ricerca, limitando la ricerca alle sole pagine scritte in una delle lingue selezionabili, oppure ad un certo formato (.pdf, .doc, etc.) o, ancora, con un certo aggiornamento temporale (ultimi 3 mesi, 6 mesi, etc.). Si può anche indicare la posizione dei termini di ricerca rispetto alla pagina web (in qualsiasi parte della pagina, nel titolo, nell’indirizzo URL, etc.). I motori di ricerca a liste sono siti che nella loro home page presentano una serie di suddivisioni per categorie, al fine di indirizzare la ricerca. Si tratta di una dinamica c.d. “ad albero gerarchico” per cui da macro cateallinurl: inserendo tale operatore, seguito da uno o più termini, si otterranno una serie di risultati che li includono tutti nella URL; intitle: inserendo tale operatore, seguito da uno o più termini, si otterranno una serie di risultati che includono il primo termine nel titolo delle pagine web e i restanti nel titolo o nel testo; allintitle: inserendo tale operatore, seguito da uno o più termini, si otterranno una serie di risultati che includono tutti i termini nel titolo delle pagine web; cache: inserendo tale operatore prima di un indirizzo web si otterrà la versione memorizzata da Google. Ad es., digitando “cache:www.altalex.it”, si avrà la versione memorizzata da Google (circa da 1 a 5 giorni prima); info: inserendo tale operatore prima di un indirizzo web si otterranno le seguenti informazioni: a) una breve descrizione del sito; b) il link alla copia cache; c) il link alle pagine simili; d) il link per trovare le pagine collegate al sito; e) il link per trovare le pagine che contengono l’URL del sito. © Wolters Kluwer 94 Capitolo III gorie si passa a categorie sempre più specifiche. Un esempio, in tale senso, è www.yahoo.com e www.dmoz.com che, sulla base di directories, guidano l’utente fino alla pagina oggetto della ricerca. Un sistema apparentemente simile a quello delle directory è quello delle ricerche per cluster. Nei cluster search engines l’elenco delle pagine che si riferiscono al termine richiesto dall’utente vengono raggruppate a seconda di ambiti di interesse, di modo che sia possibile “raffinare” la ricerca, selezionando i doversi “cluster”. Evidente la differenza: mentre le directory sono “definite” dal motore di ricerca, i cluster e la loro sequenza nella ricerca sono scelte dall’utente. Due noti motori di questo tipo sono: www.clusty.com e www.mooter.com. I motori di ricerca specializzati, come indica chiaramente l’espressione sono motori di ricerca che consentono ricerche “tematiche” (sport, geografia, etc.), ovvero per “oggetti” (libri, indirizzi di posta elettronica, etc.). I due criteri finiscono, tuttavia, per sovrapporsi a seconda della struttura del motore di ricerca. I meta-motori di ricerca sono motori di ricerca che attivano ricerche contemporanee con altri motori di ricerca. Posto, come si è detto in precedenza, che ogni motore di ricerca ha una sua modalità di ricerca, i metamotori – tramite un accordo con i motori con cui effettuano le “scansioni” – compiono la ricerca evitando all’utente di doverla compiere su ogni singolo motore di ricerca. La ricerca funziona nel modo seguente. Digitando il termine cercato su un Meta-motore, questo effettua la ricerca sui motori di ricerca con cui è “collegato” presentando all’utente l’elenco dei siti di interesse rispetto al termine indicato. La modalità di “composizione” di questo elenco deriva dalla “filosofia” posta alla base del meta-motore stesso. Tra i più conosciuti meta-motori si v.: www.savysearch.com; www.infohunter.com; www.megaspider.com; www.dogpile.com; www.metacrawler.com; www.cerca.com; www.ilmotore.com. Uno tra i più usati è ixquick (https://ixquick.com/) che ha una particolarità: garantisce la privacy poiché non conserva né registra gli IP di chi effettua ricerche. Per concludere questa breve panoramica è necessario ricordare che, all’interno dei diversi motori di ricerca, è poi possibili usufruire di servizi di ricerca che attengono a specifici ambiti come, ad es., foto/immagini, mp3/audio, video, notizie, directory, blog, newsgroup, files, etc. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 95 Non tutti i motori “lavorano” su tutti gli ambiti indicati. Se si cercano foto e immagini si può usare Yahoo! Image Search, Bing immagini, Compfight, Google Immagini o Pic Search. Per i video, invece, sono utilizzabili Blinkx (http://www.blikx.com), ClipBlast (http://clipblast.com), Google Video (http://www.google.it/videohp), Yahoo! Video Search (http://video.search.yahoo.com). Se si cercano formati audio si deve fare riferimento ad altre risorse (per es. http://www.wuzam.com/). Per le ricerche nei blog e nei newsgroup possono soccorrere Google (http://www.google.com/blogsearch) e Yahoo (http://yahoosearch.tumblr.com/) ed altri siti specializzati (es. http://technorati.com e http://www.blogdigger.com/). 2. La proposta di informazioni/offerte: Portal e Vortal I portali (da “porta”) sono dei siti che offrono, direttamente al loro interno, una serie di tipici servizi legati ad Internet. Possono essere gratuiti o a pagamento, totalmente o in parte. All’interno di questi siti si trovano normalmente i seguenti servizi: a) connettività web: ossia la possibilità di usufruire di una casella di posta elettronica, di uno spazio web e, solitamente a pagamento, di un sito web (interno o esterno al portale); b) servizi di ricerca: sono presenti dei motori di ricerca interni alle informazioni presenti nel sito, ovvero con riferimento al web. Molto spesso i principali portali sono l’evoluzione dei rispettivi motori di ricerca (www.yahoo.com; etc.), oppure si tratta di siti che si avvalgono dell’aiuto di detti motori di ricerca (www.tiscali.it, per es., impiega Google); c) servizi di informazione: notizie (di tipo giornalistico o specializzato su diversi argomenti: v. www.kataweb.it); foto e immagini (www.excite.it); filmati; musica; aggiornamenti sulla condizioni meteorologiche; mappe; informazioni turistiche (www.virgilio.it); d) servizi di comunicazione tra utenti: si tratta di servizi che consentono la comunicazione/interazione tra la community degli utenti del portale come, per es., per la possibilità di inserire messaggi in bacheche elettroniche, gruppi di discussione, ovvero servizi di chatting, messaging via sms su cellulari, etc.; e) giochi e svaghi; © Wolters Kluwer 96 Capitolo III f) programmi informatici: sono spesso presenti spazi in cui trovare programmi informatici di uso comune (sia gratuiti che a pagamento), nonché soluzioni informatiche ai principali problemi dei “navigatori” Internet (antivirus, programmi per la gestione della posta elettronica, antispamming, etc.); g) traduzioni: i principali portali (per es. Google), offrono gratuitamente servizi di traduzione on line di parole o testi in altre lingue. La traduzione è però, in larga misura, letterale e quindi non sempre correlata alla sintassi che sovraintende alla trasposizione dei concetti da una lingua ad un’altra; h) servizi di commercio elettronico. I portali presentano all’interno del sito degli spazi per effettuare acquisti on line. Sono diverse le soluzioni adottate. Si possono avere soluzioni graduate a seconda della “complessità” del portale come le seguenti: 1) il portale prevede un apposito servizio di motore di ricerca (con venditori/compratori selezionati) che consente all’utente interessato di acquistare i prodotti/servizi; 2) il sito consente a venditori o compratori di “affiggere” le proprie offerte all’interno di appositi spazi; 3) il sito “ospita” al suo interno dei veri e propri “negozi on line”; 4) il portale pone direttamente in vendita prodotti/servizi che provvede a reperire (libri/biglietti per concerti/dischi, etc.). I portali si distinguono in orizzontali (o “generalisti”) e verticali (o “specialisti”, noti anche come “vortal”). Mentre i portali orizzontali sono, come si dice, general purpose, cioè destinati ad una utenza indifferenziata, i portali verticali sono sorti per andare incontro alla crescente presenza on line di utenti “professionisti” o interessati a particolari generi. In questo modo si creano delle “comunità” di soggetti che possono reperire all’interno del sito una serie di informazioni/funzioni/servizi studiati per andare incontro a dette esigenze, senza dover ricorrere ai motori di ricerca (v. www.ilsole24ore.com). I vortal si distinguono in geografici, per soggetto/argomento o, ancora, per una combinazione tra i due criteri. I vortal geografici, sono specializzati anche con riferimento ad una data circoscrizione territoriale a livello internazionale, nazionale, regionale, o per città. I vortal per soggetto/argomento sono invece centrati sull’“oggetto” che ne costituisce © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 97 l’elemento distintivo ed attrattivo per la comunità di utenti ad esso interessati7. La maggior parte dei portali (sia orizzontali che verticali) consentono all’utente di poter personalizzare l’impostazione grafica del sito e il tipo di informazioni e/o servizi a cui preferisce dare maggior rilievo (v. www.excite.it; www.yahoo.it). 3. Un caso particolare: Ebay e le aste on line Tra i portali di maggior successo ed interesse per gli utenti web non si può non menzionare il caso di Ebay (www.ebay.com). Ebay è diventato il sinonimo di “asta on line” cioè del meccanismo attraverso il quale avviene la vendita e l’acquisto dei prodotti/servizi resi disponibili in quella che è la più grande (e redditizia) casa d’aste del mondo8. Ebay, che è presente on line con diverse versioni nazionali (per l’Italia: www.ebay.it), ha finito per “assorbire” (come nel caso di ibazar) o “marginalizzare” i concorrenti (come qxl), in virtù di una offerta molto ampia e di una “elasticità” estrema delle soluzioni utilizzare per la gestione dei “meccanismi” di asta che sono di comprensione immediata9. Su Ebay per partecipare alle aste è obbligatoria l’iscrizione che (al contrario di altri siti) non è richiesta per poter consultare le offerte. Il sito è diventato, quindi, anche un “luogo” per poter vedere il valore di scambio di moltissimi beni e quindi per farsi una idea della possibile dinamica negoziale prodotto/prezzo/condizioni di vendita10. Ebay “patrocina” anche un sistema di pagamento on line: “Paypal”11. 7 http://worldwide.vortal.biz/. http://it.wikipedia.org/wiki/EBay. 9 Tra i siti che svolgono aste, oltre al già citato Ebay, meritano di essere ricordati: - www.qxl.it; - www.aucland.it; - www.priceline.com; - www.reverseauction.com. Un caso particolare è costituito da www.letsbuyit.com in cui all’asta (al ribasso) è associato il concetto di gruppo di acquisto. In sostanza, il pezzo del prodotto posto in vendita scende progressivamente in proporzione ai soggetti interessati a comprarlo. Al termine del periodo di validità dell’offerta tutti gli interessati acquisteranno il prodotto al prezzo definito allo scadere del termine. 10 Non mancano, tuttavia, i rischi: “Integra il reato previsto e punito dall’art. 640 c.p. la condotta del prevenuto che con artifizi e raggiri induceva in inganno la p.o. procurandosi un ingiusto profitto ai danni della stessa ed in particolare, promettendo la vendita di un Iphone tramite il sito internet e-bay.it, si faceva spedire la somma di denaro richiesta per l’acquisto del bene, inviando, successivamente, solo alcune parti del telefono, di valore nettamente inferiore e facendo perdere, successivamente, le proprie tracce. Alcun dubbio sussiste nel caso specifico, dell’imputabilità del prevenuto e ciò in virtù della condotta di induzione, posta in essere con artifici e raggiri, dell’irreperibilità dell’imputato, dopo aver acquisito il versamento della somma richiesta, 8 © Wolters Kluwer 98 Capitolo III All’interno di Ebay sono anche presenti dei “negozi” che vendono alcuni dei prodotti all’asta. Questa “casa d’aste” è diventata quindi molto simile ad un centro commerciale con una amplissima possibilità di acquisto (anche di oggetti rari o particolari). Sulle aste on line è opportuno ricordare che un quadro della disciplina è indicato nella circolare del Ministero delle Attività produttive 17 giugno 2002, n. 3547/C che, nel ribadire, il divieto di svolgimento delle aste da parte dei commercianti al dettaglio, ha indicato – ovviamente senza pretesa di esaustività – le seguenti tipologie di aste12: i) rispetto al coinvolgimento del gestore (c.d. banditore d’asta): a) aste condotte direttamente dal banditore d’asta in cui è possibile acquistare beni di proprietà di quest’ultimo; b) aste condotte direttamente dal banditore d’asta in cui è possibile acquistare beni di proprietà di venditori terzi; c) aste in cui il banditore d’asta svolge unicamente il compito di mettere a disposizione il sito e la sua struttura per la vendita all’asta senza essere direttamente coinvolto nella procedura di aggiudicazione; ii) rispetto alla qualità dei soggetti che vi partecipano: a) aste tra professionisti13 (business to business), nelle quali i partecipanti all’asta non rivestono lo status di consumatori; b) aste tra professionisti e consumatori (business to consumer), nelle quali gli acquirenti sono consumatori; c) aste tra consumatori e professionisti (consumer to business), nelle quali è il consumatore ad indicare il prodotto che intende acquistare; d) aste tra consumatori (consumer to consumer). iii) rispetto alle modalità di fissazione del prezzo di aggiudicazione: dell’anonimia nei contatti, della consegna tramite corriere di un bene del tutto diverso da quello pattuito” (Trib. Trento, 18 novembre 2013, Co.An.An.). 11 http://pages.ebay.it/paypal. 12 E.M. TRIPODI, Le aste on line: i recenti sviluppi disciplinari tra pubblico e privato, in Discipl. comm. e servizi, 2002, p. 491 ss.; E.M. TRIPODI, La vendita fuori dei locali commerciali e a distanza, Milano, 2014, p. 204 ss.; F. SARZANA DI S. IPPOLITO, Le aste telematiche, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, a cura di E. TOSI, Milano, 2012, p. 675 ss. 13 Il termine “professionista” è usato per indicare la controparte contrattuale dei consumatori secondo la normativa sia comunitaria che nazionale in tema di tutela dei consumatori. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 99 - asta al rialzo (c.d. asta inglese), in cui la vendita viene aggiudicata al miglior offerente, partendo dal prezzo minimo indicato dal venditore e nell’ambito dei limiti temporali dell’offerta; - asta al ribasso (c.d. asta olandese), in cui la vendita viene aggiudicata al miglior offerente, partendo dal prezzo massimo indicato dal venditore e nell’ambito dei limiti temporali dell’offerta; - asta segreta al prezzo massimo, nella quale ogni interessato al bene offre, per iscritto, un prezzo massimo. Le offerte vengono raccolte, nei limiti temporali fissati, e rese pubbliche contemporaneamente con l’aggiudicazione all’offerta più elevata; - asta con riserva, in cui la vendita viene aggiudicata solo se le offerte abbiano raggiunto e/o superato il prezzo minimo stabilito. Tale prezzo non viene comunicato durante la gara; - asta con il c.d. metodo Vickrey, nella quale la procedura è analoga all’asta al prezzo massimo. La differenza consiste nel fatto che l’aggiudicazione è fatta al miglior offerente per il prezzo di acquisto del secondo migliore offerente. A questi sistemi – indicati nella circolare – possono aggiungersi anche le c.d. aste con time pricing, nelle quali il prezzo si modifica (al rialzo o al ribasso, a seconda dei casi) con lo scorrere di un dato tempo. La circolare indica anche alcune regole che possono aiutare l’acquirente a verificare la “serietà” dell’interlocutore. In particolare, il gestore del sito, oltre a fornire dati che consentano la sua esatta identificazione (ex art. 7 del D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico)14, deve: a) identificare i soggetti che partecipano alle aste; b) fornire chiaramente le informazioni sulla tipologia di asta; sullo svolgimento della medesima e sulle regole di aggiudicazione (comprese le modalità di pagamento e sulla consegna del bene); c) fornire o imporre ai venditori di fornire tutte le informazioni necessarie ad identificare il bene posto in vendita e le sue condizioni (se nuovo, usato, etc.); d) garantire il rispetto della disciplina di tutela dei dati personali. 14 V., più avanti, quanto detto al Capitolo IV, par. 3. © Wolters Kluwer 100 Capitolo III La rilevanza mondiale del “fenomeno” costituito da Ebay ha determinato anche un vivace contenzioso generato dalla circostanza che, all’interno della piattaforma messa a disposizione dal gestore, possono verificarsi episodi di comportamenti scorretti, di ipotesi delittuose (truffe), dei quali non è immediatamente chiaro quali siano i confini di responsabilità alla quale soggiace Ebay. La Corte di giustizia dell’Unione europea, in una sentenza del 2011, ha stabilito, in sintesi, che “Il gestore di un mercato online (eBay) è responsabile per le sue aste quando, in relazione alle stesse, svolge un ruolo attivo che gli permette di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati sui suoi server, ruolo che consiste, in particolare, nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in asta o nel promuoverle. Quando anche non abbia svolto un ruolo attivo, in un’azione risarcitoria conseguente a talune vendite effettuate sul suo sito, non può tuttavia avvalersi dell’esclusione di responsabilità prevista dalla Direttiva 2000/31/CE, quando sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle aste di che trattasi e, di conseguenza, non abbia prontamente agito per rimuovere le inserzioni incriminate o disabilitarne l’accesso”15. 15 Corte giust. UE, Grande Sez., 12 luglio 2011, n. C-324/09, L’Oréal SA ed altri c. eBay International AG ed altri. Le massime sono le seguenti: “1) Allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo – recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell’Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nello Spazio economico europeo o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell’Unione – sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio, ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato o sono oggetto di un’offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all’offerta o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all’art. 5 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 12 maggio 1992 o all’art. 9 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest’ultimo. 2) La fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104 o del regolamento n. 40/94. 3) L’art. 5 della direttiva 89/104 e l’art. 9 del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di prodotti, quali quelli di cui trattasi nella causa principale, per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 101 La questione – com’è noto – vede contrapposte da tempo la multinazionale francese L’Oréal e il gruppo Ebay considerato responsabile di permettere la vendita non autorizzata sul proprio sito di alcuni prodotti del colosso della cosmesi, ossia di essere corresponsabile per la conclusione di transazioni commerciali in violazione dei suoi diritti di proprietà industriale. I prodotti in questione, a parte quelli contraffatti, erano destinati al mercato americano (e non a quello europeo) e, comunque, non potevano essere posti in vendita senza la relativa confezione. Gli addebiti di Ebay non consistevano solo nella possibilità dell’asta ma anche di averne reso possibile la promozione attraverso il servizio pubdel prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio. 4) L’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità – partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. 5) Il gestore di un mercato online non fa «uso», ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, dei segni identici o simili a marchi che figurano in offerte in vendita che compaiono sul suo sito. 6) L’art. 14, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che esso si applica al gestore di un mercato online qualora non abbia svolto un ruolo attivo che gli permette di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Detto gestore svolge un ruolo attivo siffatto allorché presta un’assistenza che consiste in particolare nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi o nel promuoverle. Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al comma precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato on line, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14. 7) L’art. 11, terza frase, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere effettive, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo”. Per un commento v. R.G. MASSA, Cara eBay, nell’UE c’è un limite a tutto, in http://www.altalex.com/ index.php?idnot=15346. G. ROSSI, Aste on-line: sulla responsabilità del provider per le aste che si svolgono nel proprio sito si pronuncia la Corte di Giustizia, in Contr. e impresa, 2012, p. 50 ss. © Wolters Kluwer 102 Capitolo III blicitario AdWords di Google16. Quando un soggetto interessato digitava su Google i prodotti de L’Oreal, tra i risultati comparivano i link ai siti in cui erano effettuale le aste dei medesimi. In via preliminare la Corte ha ribadito che l’accessibilità di un sito Internet nel territorio di un dato Stato europeo (dove un marchio è stato registrato) non è sufficiente a concludere che le inserzioni in esso presenti siano destinate ai soli consumatori che si trovano in tale territorio e siano soggette al diritto comunitario vigente in materia. Quindi il riferimento ad un contesto geografico (spesso attuato con il ccTLD di detto paese) non esclude la possibilità di accesso di consumatori di altri paesi, per cui la Corte ha statuito che compete al giudice nazionale di valutare in base a specifici elementi se una certa asta è destinata ai consumatori che si trovano in un dato territorio o meno (ad es. valutando i Paesi verso i quali il venditore offre la spedizione). Per venire ai “meccanismi d’asta” la Corte ha fatto presente che il ruolo di “auction provider” di Ebay non la esenta dalla responsabilità di cui alla dir. n. 2000/31/CE quando, esulando dagli aspetti tecnici, finisce per trasformarsi in un’attività di assistenza consistente nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita incriminate e nel promuoverle. In una siffatta circostanza, pertanto, Ebay non assumerebbe una posizione neutra tra venditore e acquirente, bensì un ruolo attivo, atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati relativi a dette offerte. Una delle riprove è l’impiego del servizio AdWords rispetto al quale Ebay è un “inserzionista” pubblicitario. Sul punto la Corte ha affermato che il titolare di un marchio, pertanto, può vietare a Ebay di fare pubblicità ad aste di prodotti lesivi dei suoi diritti quando una tale pubblicità non permetta o permetta difficilmente all’utente normalmente informato e 16 Sul servizio di keyword advertising “AdWords” di Google v. Corte giust. UE, Grande Sez., 23 marzo 2010, nn. 236/08, 237/08 e 238/08, che ha stabilito che “In materia di marchi d’impresa, gli artt. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità - a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare - a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo. Tuttavia, il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, n. 1 e 2, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94”. Per un commento v. M. TAVELLA, S. BONAVITA, La Corte di giustizia sul caso “AdWords”: tra normativa marchi e commercio elettronico, in Dir. ind., 2010, p. 429 ss. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 103 ragionevolmente attento, di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio, da una impresa a questi economicamente collegata o, al contrario, da un terzo. Il titolare del marchio leso può quindi chiedere agli organi giurisdizionali di ingiungere all’auction provider di adottare provvedimenti atti a porre fine alle violazioni ed anche ad impedire il consumarsi di ulteriori illeciti17. Dal punto di vista della gestione dei “venditori” si segnala una decisione della nostra giurisprudenza rispetto alla “disattivazione” dell’account utilizzato su Ebay 18. La società Clotec lamentava che Ebay aveva illegittimamente sospeso l’account professionale utilizzato per le vendite configurando, con tale comportamento, una risoluzione del contratto che avveniva senza previo avviso e in assenza di un inadempimento grave della ricorrente. Secondo Ebay, al contrario, la sospensione dell’account era avvenuta legittimamente in ragione delle gravi e reiterate violazioni della Clotec ad una pluralità di regole previste nel regolamento contrattuale, relative, precisamente, al gradimento degli utenti, alla performance del venditore, alla offerta di oggetti vietati, ai metodi di pagamento, all’utilizzo di link non consentiti e al divieto di inserzioni di siti web personali o aziendali. Il giudice in prime cure rigettava il ricorso osservando che, seppure la clausola intitolata “Abuso di eBay” contenuta nell’Accordo per gli utenti (documento disciplinante le condizioni generali di contratto), invocata da eBay come titolo giustificativo del potere di risolvere il contratto, dovesse ritenersi nulla ex art. 1341 c.c., per assenza di specifica sottoscrizione da parte di Clotec, (configurandosi come clausola vessatoria attributiva al provider del potere di recedere ad nutum dal contratto), tuttavia la sospensione dell’account clotec.com aveva costituito legittimo rifiuto del provider di eseguire la propria prestazione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., a fronte di un grave inadempimento della controparte alle regole sull’“inadempimento del venditore”, presenti sul portale 17 Mette conto di informare che esiste un sito “contro” eBay, considerato quale “autore” di molte condotte “censurabili”: www.ebayabuse.com/ 18 Trib. Catanzaro, sez. I, ord. 30 aprile 2012. Sul tema, in generale, v. P. PERRI, Sospensione dell’account del venditore dalla piattaforma eBay a seguito di feedback negativi: profili civilistici e informatico-giuridici, in Giur. merito, 2011, p. 1809 ss. © Wolters Kluwer 104 Capitolo III www.ebay.it e vincolanti tra le parti in quanto conoscibili con l’ordinaria diligenza. La Clotec proponeva reclamo al Tribunale. Trattandosi di un contratto concluso tra due professionisti, secondo lo schema del contratto per adesione, la disciplina trova il suo riferimento nell’art. 1341 c.c. Il contratto di adesione a condizione generali, destinato a soddisfare le esigenze della contrattazione di massa, è caratterizzato, come è noto, da asimmetria di potere contrattuale tra le parti, poiché il regolamento è delineato da condizioni generali uniformi unilateralmente predisposte da uno dei contraenti, in assenza, quindi, di trattativa. Il requisito della conoscenza, previsto dall’art. 1326 c.c., in tale categoria contrattuale degrada a mera conoscibilità delle condizioni generali di contratto. Per le clausole vessatorie, elencate al secondo comma, è prescritto l’elemento formale della doppia sottoscrizione per iscritto19. Il contratto tra le parti si è perfezionato in forma telematica mediante la pressione del tasto virtuale ed il cui testo negoziale, contenente le condizioni generali, è rappresentato dall’“Accordo per gli utenti” e, tra queste, “viene in rilievo quella denominata “abuso di eBay”, in base alla quale: “se eBay ritiene che un utente abbia compiuto azioni che possano comportare problemi, responsabilità legali o che tali azioni siano contrarie alle proprie regole, potrà, a mero titolo esemplificativo, limitare so19 Secondo il Tribunale: “Nell’ipotesi, come quella in esame, in cui il contratto per adesione venga concluso mediante un sistema telematico si pone una triplice serie di questioni relative al perfezionamento del contratto, alla conoscibilità delle condizioni generali di contratto e al requisito formale della approvazione specifica delle clausole vessatorie. In ordine alla prima questione, è pacifico oramai che, vigendo nel nostro ordinamento il principio di libertà delle forme, la tecnica “del tasto virtuale” o “point and click”, utilizzata normalmente nella contrattazione telematica, è sufficiente a manifestare il consenso contrattuale e ritenere perfezionato il contratto, laddove si tratti di contratto a forma libera. Con riguardo alle clausole vessatorie on line, l’opinione dottrinale prevalente – alla quale il Tribunale aderisce – ritiene che non sia sufficiente la sottoscrizione del testo contrattuale, ma sia necessaria la specifica sottoscrizione delle singole clausole, che deve essere assolta con la firma digitale. Dunque, nei contratti telematici a forma libera il contratto si perfeziona mediante il tasto negoziale virtuale, ma le clausole vessatorie saranno efficaci e vincolanti solo se specificamente approvate con la firma digitale. Sulla questione, infine, della conoscibilità delle condizioni generali nei contratti telematici, si ritiene che tale condizione sia soddisfatta anche quando le condizioni generali non sono riportate nel testo contrattuale, ma sono contenute in altre schermate del sito o in pagine di secondo livello, purché venga dato risalto al richiamo e la postazione contenente la clausola richiamata sia accessibile mediante il relativo collegamento elettronico (link). Posizioni più intransigenti affermano che per la sussistenza della conoscibilità, il sito deve essere organizzato in modo tale che non sia possibile approvare il testo contrattuale se non dopo essere passati dalla pagina contenente le clausole contrattuali ed avere confermato l’avvenuta lettura. La conoscibilità, poi, per comune opinione, richiede la intelligibilità della clausola, avuto riguardo alla sua formulazione, alla linguistica e alla presentazione grafica”. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 105 spendere o interrompere i servizi e l’account dell’utente, vietare l’accesso al sito, ritardare o eliminare i contenuti salvati e prendere provvedimenti tecnici e legali per impedire a tale utente di accedere al sito”. Ma “affinché la pattuizione possa considerarsi clausola risolutiva espressa, occorre che vi sia una indicazione specifica delle obbligazioni che devono essere adempiute a pena di risoluzione. Se l’indicazione è invece generica o il riferimento è al complesso delle pattuizioni, la clausola non avrà alcun valore, in quanto di mero stile (Cass. n. 4563/2000; Cass. n. 1950/2009). Tale requisito di specificità manca nella clausola “abuso di Ebay”, formulata mediante un riferimento a non meglio identificate “azioni contrarie alle proprie regole”, sicché ne consegue l’impossibilità di qualificarla come clausola risolutiva espressa, a cagione appunto della sua indeterminatezza”. Volendola, invece, interpretare come clausola attributiva di un potere di recesso, deve senz’altro ritenersi inefficace, mancando la specifica sottoscrizione, ai sensi del secondo comma del 1341 c.c. Il Tribunale conclude, quindi, che “mancando il requisito della specifica sottoscrizione, appare superfluo addentrarsi nella problematica della equiparabilità del sistema del point and click alla firma digitale debole e della sufficienza della firma digitale debole a soddisfare il requisito della forma scritta. Pertanto, la clausola, essendo irrimediabilmente affetta da nullità, nessun potere di sospensione del l’account poteva legittimare”. 4. I Marketplace Con il termine marketplace (o, meglio, e-marketplace) si intende un sito di commercio elettronico B2B organizzato per fare incontrare la domanda e l’offerta con riferimento a particolari categorie di imprese e/o di prodotti20. I marketplace si distinguono: a) in relazione alla proprietà: si possono avere “gestori” indipendenti rispetto ai partecipanti alle contrattazioni così come marketplace promossi e gestiti da una impresa che vende o compra i beni oggetto del “mercato”, ovvero da appositi consorzi di imprese; 20 http://www.marketplaceb2b.it/ © Wolters Kluwer 106 Capitolo III b) in relazione al tipo di beni/servizi commercializzati: si possono avere, al riguardo, marketplace orizzontali o verticali. Nel primo caso le offerte e le richieste concernono una ampia gamma di prodotti utilizzati da imprese appartenenti a settori differenti; nel secondo caso, si tratta di un “mercato” specializzato in cui i prodotti fanno riferimento ad un particolare settore industriale; c) in relazione ai soggetti che effettuano le contrattazioni: si hanno marketplace in cui partecipano soggetti privati ovvero soggetti pubblici. Un caso emblematico di marketplace in cui l’acquirente è una pubblica amministrazione (mentre i venditori sono privati) è quello gestito da Consip (www.consip.it; https://www.acquistin retepa.it/); d) in relazione ai modelli di contrattazione: si distinguono sistemi “a catalogo”, ad asta ed a offerta multipla. Nelle offerte a catalogo, i venditori inseriscono sul marketplace i propri cataloghi, cosicché i potenziali acquirenti possano “comparare” le diverse offerte (www.biztob.com, http://www.youdroop.com/). Nei sistemi d’asta, si impiegano “meccanismi” come quelli sopra descritti. Infine, nelle offerte multiple, il venditore o il compratore inviano direttamente alle imprese che ritengono interessate le proprie proposte di acquisto o di vendita. Dopo aver trovato l’“interlocutore” inizia la vera e propria contrattazione. Alcuni marketplace prevedono la presenza di tutti e tre i modelli di contrattazione. 5. Il comparative shopping Su Internet – come abbiamo più volte rimarcato – l’unica cosa che davvero abbonda è certamente l’informazione. Tuttavia quando è eccessiva l’unico risultato che si ottiene è una potenzialità conoscitiva ma non la sua effettività. Il consumatore può immaginare che il prodotto che intende comprare on line può essere venduto a prezzi molto differenti, oppure scoprire che, rispetto al bisogno da soddisfare, esistono altri prodotti simili, magari non molto conosciuti. Su Internet si possono reperire le “risorse” anche per effettuare il comparative shopping, ossia l’acquisto “comparativo”. Tali strumenti sono gli shopping bot, motori di ricerca in grado di effettuare ricerche comparative. Il funzionamento è analogo ai motori di ricerca sopra descritti e consente all’utente di comparare: © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 107 a) i prezzi di uno stesso prodotto, indicando in quale sito sono reperibili; b) prodotti che soddisfano bisogni similari catalogati in apposite directories; c) prodotti – a seconda del settore – per fasce di prezzi; d) i giudizi degli acquirenti sul prodotto. Tra i molti shopping bot quelli più noti sono: Froogle (www.froogle. google.com), Kelkoo (www.it.kelkoo.com) e Costameno (www.costa meno.it). Froogle – attualmente nella beta version disponibile solo per il mercato americano – è il servizio di “comparazione” di Google 21. Il suo funzionamento sfrutta gli stessi “agenti” di ricerca di Google, permettendo di ottenere una lista di risultati sui prodotti commercializzati on line, in grado di facilitare gli acquisti. I risultati delle ricerche sono “ordinati” sulla base della stessa filosofia di Google, ossia in base alla “rilevanza” delle pagine. Froogle, oltre alle ricerche standard ed “avanzate”, consente anche una ricerca basata su directories. Un cenno su come funzionano le ricerche. Digitando il tipo di prodotto che si intende cercare si ottiene una pagina dei risultati divisa in tre colonne. Nella prima sono contenute le funzioni utilizzabili; nella seconda c’è la lista dei risultati ottenuti nella ricerca. La terza colonna contiene l’elenco dei link “sponsorizzati” dai venditori. Le funzioni sono le seguenti: a) trasformare i risultati da elenco a griglia; b) classificare i risultati in base alla migliore corrispondenza con quanto richiesto (Best match), ovvero dal prezzo più basso al prezzo più alto (Price: low to high) o viceversa (Price: high to low); c) individuare i prodotti sulla base di un intervallo di prezzo (Price range); d) effettuare ulteriori ricerche fra le categorie cui il prodotto appartiene; e) effettuare una ricerca nell’elenco dei venditori che dispongono del prodotto. L’elenco dei risultati contiene le seguenti informazioni: - l’immagine del prodotto; - il nome del prodotto; - la descrizione del prodotto; - il prezzo; - il link alla pagine web del venditore; 21 Come si legge dalla home page, froogle deriva da fru’gal (rapido): smart shopping through Google. Ora si chiama Google shopping (https://www.google.com/shopping). © Wolters Kluwer 108 Capitolo III - il voto (da 1 a 5) dato dagli acquirenti con il link per poterne leggere il giudizio; - l’indicazione circa la possibilità di comparare un certo numero di prodotti entro un intervallo di prezzo. Froogle consente, infine, di avvalersi di una funzionalità piuttosto utile. Si tratta della possibilità per l’utente di archiviare i suoi prodotti preferiti nella My Shopping List. Così facendo è possibile “monitorare” nel tempo l’andamento dei prezzi prima di decidere il loro acquisto o meno. Kelkoo è il motore di ricerca di Yahoo! ed è presente in diversi mercati con le versioni “nazionali”. La sua impostazione è basata prevalentemente sul sistema delle directories, con uno spazio per le offerte “in primo piano”. Costameno.it si basa su una dinamica differente da quella di un Database costruito attraverso web crawlers. In Costameno sono presenti tutti i cataloghi delle aziende che, volontariamente, partecipano alla realizzazione dell’archivio al quale si riferiscono i risultati delle ricerche. Il punto debole degli shopping bot è lo stesso dei motori di ricerca: l’impossibilità non solo di scandagliare tutta la Rete ma anche sull’affidabilità dei risultati. Per poter ottenere ricerche più mirate ed affidabili si può ricorrere anche alle Community di acquirenti ed alle bacheche on line. Tra le Community vanno menzionate Ciao.it (www.ciao.it) e DooYoo.it (www.dooyoo.it) che consentono – per categorie – di ricercare un commento od un giudizio rispetto ai singoli beni. Si faccia attenzione ai casi in cui l’obiettivo non è quello di fornire un servizio al consumatore ma solo quello promozionale; non mancano infatti imprese che (tramite apposite società specializzate) si “fingono” consumatori per influenzare i processi decisionali del potenziale acquirente. Quanto alle Bacheche on line, si tratta della trasposizione su Internet della ben nota prassi dell’annuncio (con problematiche analoghe quanto ad affidabilità). Tutti i principali portali “generalisti” dedicano uno spazio agli annunci dei propri utenti (v., per es., www.annunci.tiscali.it), divisi per categoria e/o per prodotto. Per i siti che consentono la comparazione dei prezzi si può fare riferimento ai seguenti: www.freeonline.org/comparazione, www.kompro.net, www.shoppydoo.it, www.ticonviene.com, www.kuanto.it, www.ok prezzi.it, www,comparazione.it, www.ilpiubasso.it. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 109 6. Prima di diventare un imprenditore: guadagnare on line Internet, oltre che per gli acquisti, è diventato per consumatori “intraprendenti” una modalità per ottenere dei guadagni. Da consumatori che – come le casalinghe di un tempo guadagnavano, part time, con le vendite in casa di cosmetici (nei c.d. “party plan”) o come procacciatori d’affari – possono decidere di superare il confine e trasformarsi in un imprenditore di servizi del web22. Tra i sistemi più utilizzati si ricordano i seguenti23: a) le “barre” pubblicitarie. Si installa un programma che visualizza in una parte dello schermo (normalmente in basso) una “barra” pubblicitaria. Ogni volta che si avvia il browser, si attiva detta barra che propone, in termini fissi, oppure a “rotazione” (o scorrimento), gli sponsor presenti nella “barra”. Per ogni intervallo di tempo di visualizzazione della “barra” sullo schermo (ovviamente navigando su Internet), vengono accreditati alcuni centesimi di euro. Al raggiungimento di un certo ammontare, l’importo può essere riscosso tramite PayPal o assegno; b) lettura di e-mail. Questa ipotesi prevede l’“apertura di e-mail pubblicitarie” che arrivano alla propria casella di posta elettronica una volta iscritti al servizio (con l’indicazione dei propri interessi personali). Per ogni e-mail aperta vengono accreditati pochi centesimi di euro che, al raggiungimento dell’importo minimo previsto, possono essere riscossi, analogamente a quanto indicato alla precedente lett. a); c) lettura di siti. Si tratta di una variante di quanto indicato alla lett. b), laddove, in luogo di e-mail, si ricevono dei link di siti da visitare dietro corresponsione di un compenso; d) partecipare a sondaggi. Dopo essersi iscritti in appositi servizi, si riceve sulla casella postale dei link che rinviano a sondaggi ai quali rispondere, dando voti o esprimendo considerazioni su prodotti e servizi. È previsto un pagamento per ogni sondaggio completato che può variare a seconda della tipologia del sondaggio stesso e della sua più o meno lunghezza o complicazione; 22 Vedi, al riguardo, I. GIUNTELLA, Aprire una nuova azienda in Europa? I fondi e le agevolazioni per startup, in http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2015-02-17/aprire-nuova-azienda-europa-i-fondi-eagevolazioni-startup--171624.shtml?rlabs=4. 23 http://www.guadagnareonlineitalia.it/guadagnare-online-i-metodi-piu-utilizzati-per-guadagnare-coninternet/. © Wolters Kluwer 110 Capitolo III e) scrivere articoli o recensioni. È possibile farsi retribuire un articolo o una recensione contenente un giudizio su un prodotto o servizio che è stato provato di persona (viene chiesta, infatti, la prova di aver acquistato il prodotto od usato il servizio). Esistono recensori “esperti” il cui valore come “opinione” ha una sua quotazione nel mercato web; f) pubblicizzare prodotti o servizi sui social network. Una o più delle tecniche precedenti attuate attraverso FaceBook, Google + o YouTube. g) registrare nomi di dominio. Il fenomeno va sotto il nome di domain grabbing quando è riferito alla registrazione di un nome rispetto al quale chi lo registra non ha alcun interesse se non quello di ostacolare un legittimo altrui interesse (e, infatti, si procede alla riassegnazione). Il fenomeno lecito è invece quello di trovare “nomi” originali e provare a “rivenderli” (magari dopo averli registrati anche come marchio); h) “giocare” a fare investimenti su Forex. Si tratta – attraverso degli intermediari autorizzati – di effettuare scambi di valuta sul mercato Forex (Foreign Exchange Market). L’attività è talmente rischiosa che il sito invita a non “impegnare” più del 5% del capitale posseduto24. Qualora si abbia a disposizione un proprio sito esistono altri sistemi, quali: a) vendere gli spazi per popup e popunder. Il primo sistema consiste nell’inserire uno sponsor che appare in sovrimpressione sul tuo sito internet. L’utente dovrà chiudere il popup prima di poter leggere i tuoi contenuti. Il popunder, invece, mostra un sponsor che si apre sotto la pagina del tuo sito. Quando l’utente chiuderà la pagina, gli comparirà lo sponsor. La “locazione” di dette soluzioni è, ovviamente, dietro compenso; b) utilizzare dei banner. Si tratta di una soluzione molto conosciuta e che consiste nell’inserire banner pubblicitari all’interno del proprio sito. Esistono delle “tariffe” rispetto alla grandezza (in pixel) dei banner, ovvero a seconda della modalità di fruizione (statici, dinamici, etc.). Il pagamento fa riferimento a diverse modalità, ri24 http://www.forex.it/. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze c) d) e) f) g) 111 spetto al rapporto tra il banner ed il relativo utente interessato, come, ad esempio, - PPC: ovvero, pagano un importo per ogni click ricevuto (Payfor-Click); - PPV: pagano per ogni impression (visualizzazione) del banner stesso anche se i visitatori ci cliccano sopra (Pay-for-vision) - PPS: pagano per ogni utente che ci clicca sopra e che successivamente compra (in questo caso, normalmente, è una percentuale sulla vendita) (Pay-for-Shopping) - PPA: pagano per ogni utente che clicca e compie un’azione (in genere l’iscrizione a qualche mailing list) (Pay-for-Action); - esistono poi svariate combinazioni delle precedenti possibilità. utilizzare i banner AdSense di Google (che sono di tipo PPC); procacciare acquirenti. Si tratta del procacciamento d’affari via web, per il quale si riceve un compenso per ogni cliente che è stato indirizzato verso l’acquisto di prodotti o servizi (il compenso è in percentuale sul prezzo della vendita conclusa); procacciare giocatori per il poker on line o per i casinò on line. Analogo al precedente ma riferito al c.d. poker “sportivo” (Texashold’em), o ai casinò on line25; distribuire o realizzare infoprodotti. Si tratta di distribuire a consumatori (o altri soggetti interessati) “servizi informativi” di tipo pratico sui medesimi (quelli che, in gergo, sono anche detti, tutorial). Gli infoprodotti possono essere di propria realizzazione, ovvero prodotti da terzi; aprire un blog. Si tratta di aprire un blog dove scrivere o ospitare articoli (in modo da attirare molti visitatori) e poi mettere in atto, per poter guadagnare soldi, uno o più dei metodi sopra indicati 26. 25 Sui rischi v., però, G. COPPOLA, A. POMPILI, Il gioco d’azzardo on line e la protezione del consumatore, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, op. cit., p. 959 ss. 26 I contenuti non devono però essere diffamatori. A questo riguardo si segnala Cass. pen., Sez. V., 12 marzo 2014, n. 11895 (in http://www.altalex.com/index.php?idnot=66845, con commento di M. IASELLI, Sequestro preventivo di blog: la Cassazione ne precisa natura e limiti), secondo la quale nel verificare i presupposti per l’emanazione del sequestro preventivo di cui all’art. 321, co. 1, c.p.p., non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma, valutando il “fumus commissi delicti”, deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, pur non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato. La Corte, poi, riaffermando la piena compatibilità della misura cautelare con il bene immateriale (Cass. sez. VI, 28 giugno 2007, n. 30968; © Wolters Kluwer 112 Capitolo III h) vendere prodotti/servizi attraverso un proprio sito. Se non si intende diventare commercianti27, si possono vendere opere del proprio ingegno creativo. Per esempio disegni, quadri, racconti, lettere d’amore, etc.; i) aiutare imprenditori a vendere su eBay. Si tratta del c.d. shop assistant, ossia chi supporta, con le proprie conoscenze la vendita/acquisto da parte di un operatore economico (ma anche di un semplice privato). L’attività è normalmente compensata a provvigione (in percentuale sul valore della vendita/acquisto); l) intermediazione attraverso il dropshipping. Iscrivendosi alle imprese che prevedono tale tipo di vendita, si può “proporre” l’acquisto dei loro prodotti come se fossero i propri. Se si riesce a concludere la vendita, l’impresa spedirà i prodotti all’acquirente senza che si capisca che non provengono da quello che è un procacciatore. Il suo compenso è nella maggiorazione rispetto al prezzo originario del prodotto28. Cass., sez. V, 19 settembre 2011, n. 46504), non potendo negarsi che ad un sito internet possa attribuirsi una sua “fisicità”, ovvero una dimensione materiale e concreta, aggiungendo che un blog (nel caso di specie quello oggetto della causa) può essere anche uno strumento “collettaneo” per l’espressione della personalità. Nel caso di un sequestro di un web-log, quale sorta di “diario in rete” che coinvolge una moltitudine di blogger, è necessario considerare quanto la misura cautelare incida non solo “sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma sul diritto di libertà di manifestazione del pensiero che ha dignità pari a quello della libertà individuale e che trova la sua copertura non solo nell’art. 21 della Costituzione, ma anche - in ambito sovranazionale - nell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nonché nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. 27 Vedi quanto detto al Capitolo II. 28 http://it.wikipedia.org/wiki/Drop_Ship; http://www.dropshipping.it/; http://www.bazarissimo.com/. La questione è stata affrontata anche dalla Corte di giustizia UE (sent. 17 novembre 2011, n. C-454/10) con riferimento ad un cittadino tedesco che metteva all’asta articoli originari della Cina, sulla piattaforma Internet eBay sulla quale gestiva due negozi on line, agendo in qualità di intermediario nella conclusione dei contratti di vendita di tali merci e incassandone il corrispettivo. Il fornitore cinese provvedeva alla fissazione dei prezzi e alla fornitura delle merci per posta, direttamente agli acquirenti residenti in Germania. Le merci venivano consegnate a tali acquirenti senza essere state presentate alla dogana e senza il prelievo dei dazi all’importazione, apparentemente a causa di errate indicazioni comunicate da tale fornitore con riferimento al contenuto e al valore della spedizione. La Corte ha così osservato che, una persona che funga da intermediaria per la conclusione di contratti di compravendita debba sapere che la consegna di merci provenienti da uno Stato terzo e destinati all’Unione fa sorgere l’obbligo di assolvimento di dazi all’importazione, secondo quanto prevede il Codice doganale comunitario (regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913). L’intermediario non ha compiuto tutti i passi che, dal medesimo potevano essere ragionevolmente attesi per garantire che le merci di cui trattasi non sarebbero state introdotte irregolarmente e, segnatamente, informare il fornitore del proprio obbligo di dichiararle in dogana. Si può anche correre il rischio del reato di truffa: “L’offerta, per la vendita, di beni mobili mediante pubblicazione del relativo annuncio su un sito internet, seguita dalla ricezione del prezzo previsto per l’acquisto del bene e dalla mancata spedizione della merce, costituisce condotta idonea alla integrazione del delitto di truffa. In tale contesto, l’accertata ripetuta vendita dei medesimi beni costituisce conferma della volontà crimi© Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 113 m) partecipare alle catene di network marketing. È possibile far parte di catene di network marketing, ossia alle vendite multilivello lecite29. 7. Uno strumento di riorganizzazione aziendale: il cloud computing Una delle modalità di organizzazione delle attività on line è l’adozione di sistemi di cloud computing attraverso i quali è possibile gestire i cambiamenti derivanti dalla “circolazione” di una notevole massa di informazioni che provengono da “ambienti” differenziati (mobile, social, meccanismi wireless, etc.). Non c’è dubbio che l’impresa “moderna” si trova a dover gestire l’innovazione anche in termini di “processazione” delle decisioni, del ciclo produttivo e della concretizzazione e diffusione dei risultati30. Per cloud computing (c.d. “nuvola” informatica) si intendono un insieme di strutture informatiche e telematiche in grado di offrire servizi “da renosa di utilizzare l’inserzione non per fare lecito commercio, ma per procurarsi clienti da quali ottenere fraudolentemente del denaro, ed è circostanza ostativa ad una prognosi positiva necessaria ai fini della concessione dei benefici di legge” (Trib. Genova, 12 marzo 2014, Mi.Fa.). “Il porre in vendita un bene che l’agente non ha l’effettiva intenzione di consegnare e del quale verosimilmente non ha neppure la disponibilità effettiva, servendosi di un sito internet ed approfittando della situazione di debolezza e di rischio in cui si trova l’acquirente, indotto alla consegna di una parte del prezzo di acquisto del bene, integra il delitto di truffa” (Trib. Firenze, sez.II, 8 gennaio 2014, Bo.Gi.) “Incorre nell’imputazione per il reato di truffa il prevenuto che con artifici e raggiri, prospettava sul sito internet, come vera e buona la vendita di un cellulare a prezzo molto conveniente in quanto inferiore a quello di mercato, effettuando, invece, la spedizione di un pacco contenente tre patate, inducendo così in errore l’acquirente che effettuava il pagamento in contrassegno, procurandosi l’ingiusto profitto del pagamento del prezzo con pari danno dello stesso” (Trib. Cassino, 18 novembre 2013, Fa.Ca. ed altri). 29 “Rientra nella categoria delle vendite piramidali, di cui è vietata la promozione e realizzazione, il sistema adottato dal gestore di un sito Internet diretto ad incentivare l’acquisto di beni mediante il mero reclutamento di altri acquirenti, grazie al quale aumentano le probabilità di conseguire il bene offerto in vendita, indipendentemente dalla volontarietà dell’adesione degli interessati” (Cass. pen. sez. III, 30 maggio 2012, n. 37049, in Foro it., 2012, II, 706). Per i confini tra lecito ed illecito v. E.M. TRIPODI, Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet, in Discipl. comm. e servizi, n. 4/2014, p. 64 ss. 30 Secondo un Rapporto Assinform, il valore di mercato del cloud italiano vale circa 750 milioni nel 2013, con una forte crescita (+32,2%) rispetto all’anno precedente; incremento che se confermato dovrebbe portare per il 2014 a un giro d’affari attorno agli 1,18 miliardi di euro (+31%). Il Rapporto dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano. distingue il mercato “diretto”, quella parte cioè di servizi di public cloud stimabile in circa 320 milioni di euro (che cresce su base annua attorno al 40%) da quello detto cloud enabling infrastructure, ossia la quota di investimenti necessaria per adottare il modello cloud, (per importo 860 milioni di euro, con un incremento del 28% rispetto al 2013). Gli analisti del Politecnico, pur riconoscendo che il mercato del cloud in Italia rappresenta ancora una componente minoritaria del mercato ICT complessivo, ritengono che questi numeri dimostrano ormai che il mercato ha raggiunto dimensioni rappresentative, con trend di sviluppo incoraggianti, superiori a quelli degli altri comparti del settore. Non è dunque un caso il proliferare di tali tipologie di servizi come Dropbox (della Everflow Inc.), Google Drive; iCloud (di Apple che ha sostituito il precedente prodotto MobileMe), SkyDrive (con la nuova denominazione OneDrive dopo la controversia con la British Sky Broadcasting Group) della Microsoft. © Wolters Kluwer 114 Capitolo III moto” per memorizzare e/o elaborare dati e informazioni, utilizzando propri o altrui software negli “spazi” di memoria e di capacità elaborativa resi disponibile dal fornitore del servizio31. Il cloud viene usualmente distinto a seconda che riguardi il mondo pubblico (public cloud), quello privato (private cloud), ovvero un “ibrido” tra i due (ossia “nuvole” alla quale possono accedere tanto soggetti pubblici quanto utenti e imprese private). Sono poi disponibili diverse tipologie di servizi cloud: a) IaaS (Cloud Infrastructure as a Service – infrastruttura cloud resa disponibile come servizio), il fornitore noleggia un’infrastruttura tecnologica, cioè server virtuali remoti che l’utente finale può utilizzare con tecniche e modalità che ne rendono semplice, efficace e produttiva la sostituzione o l’affiancamento ai sistemi già presenti nei locali dell’azienda. Tali fornitori sono in genere operatori di mercato specializzati che realmente dispongono di un’infrastruttura fisica, complessa e spesso distribuita in aree geografiche diverse; b) SaaS (Cloud Software as a Service – software erogato come servizio del cloud), il fornitore eroga via web una serie di servizi applicativi di tipo software ponendoli a disposizione degli utenti finali. Tali servizi sono spesso offerti in sostituzione delle tradizionali applicazioni installate localmente dall’utente sui propri sistemi, che è quindi spinto ad “esternalizzare” i suoi dati affidandoli al fornitore. Si pensi, ad esempio, ad applicazioni tipiche per l’ufficio erogate in modalità web quali fogli di calcolo, elaborazione dei testi, sistemi di paghe e contributi, applicazioni per il protocollo informatico, la rubrica dei contatti e i calendari condivisi, ma anche alle moderne offerte di posta elettronica cloud; c) PaaS (Cloud platform as a service – piattaforme software fornite via web come servizio), il fornitore offre soluzioni per lo sviluppo e l’hosting evoluto di applicazioni. In genere questo tipo di servizi è rivolto a operatori di mercato che li utilizzano per sviluppare e ospitare soluzioni applicative proprie, allo scopo di assolvere a esigenze interne oppure per fornire a loro volta servizi a terzi. Anche nel caso dei PaaS il servizio erogato dal fornitore elimina la neces31 Cfr. Commissione europea, Comunicazione 27 settembre 2012, Sfruttare il potenziale del cloud computing in Europa (COM(2012)529 final). © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 115 sità per il fruitore di doversi dotare internamente di strumenti hardware o software specifici o aggiuntivi; d) HaaS (Cloud Hardware as a Service) – il fornitore mette a disposizione l’accesso a singoli computer per consentire al cliente l’elaborazione per poi “scaricare” i risultati nel proprio sistema; e) DaaS (Cloud Data as a Service) – il fornitore mette a disposizione del cliente unicamente un “Data storage” di propri dati o di dati del cliente ai quali questi può accedere via web come se fossero residenti su un (proprio) disco locale. Nel cloud computing sono presenti tre attori principali. Il primo è il fornitore dell’infrastruttura (hardware e software) che, analogamente alle attività di un provider (è detto, infatti, cloud provider), mette a disposizione – dietro pagamento in varie modalità (abbonamento, in base all’utilizzo, etc.) – i servizi cloud. Il secondo è il gestore (o amministratore) del servizio, ossia l’“intermediario” che, sulla base dei servizi cloud sviluppa una sua “offerta”, per es., configurando delle prestazioni (con proprio o altrui software di cui ha la disponibilità) per i clienti finali. Infine, il cliente finale, ossia il soggetto che utilizza i servizi cloud, secondo la configurazione concordata con il fornitore o con il gestore del servizio richiesto32. Il cliente finale può essere un consumatore ma, più spesso, sarà una impresa (e/o un ente o soggetto appartenente al settore pubblico). Le differenti possibilità di prestazioni offerte nei servizi di cloud suggeriscono l’inquadramento giuridico nell’ambito dell’appalto di servizi o nella somministrazione di servizi o, più in generale, nel contratto atipico con causa mista, nella quale si “miscelano” varie tipologie di contratti di informatica, unitamente a licenze (anche per beni industriali o intellettuali)33. L’ascrizione nell’ambito dell’appalto (seppur particolare) pone l’accento su una condizione rilevante: il fornitore non assume un’obbligazione di 32 G.N. LA DIEGA, Il cloud computing. Alla ricerca del diritto perduto nel web 3.0, in Europa e dir. priv., 2014, p. 577 ss.; M.T. DE VIVO, Il contratto ed il cloud computing, in Rass. dir. civ., 2013, p. 1001 ss.; E. MANTELERO, Il contratto per l’erogazione alle imprese di servizi di “cloud computing”, in Contr. impresa, 2012, p. 1216 ss.; E. MANTELERO, Processi di outsourcing informatico e cloud computing: la gestione dei dati personali ed aziendali, in Dir. inf. informat., 2010, p. 673 ss. 33 Per la somministrazione di servizi e la sua applicazione ai principali contratti per servizi dell’informatica (e telematica) è ancora consultabile, per tutti, R. BOCCHINI (a cura di), I contratti di somministrazione di servizi, Torino, 2006, spec. pp. 76-147, e p. 684 ss. © Wolters Kluwer 116 Capitolo III mezzi, ma deve mettere a disposizione un risultato (cfr. l’art. 1665 c.c.). Tanto è vero che la giurisprudenza ha stabilito che, quando il service provider compie attività al di là dei confini della mera fornitura all’utente di uno spazio di memorizzazione di contenuti e di un software di comunicazione che ne consenta la visualizzazione a terzi, non viene derogata o limitata l’ordinaria forma di responsabilità che, in caso contrario, è prevista dall’art. 16 del D.Lgs. n. 70/200334. Tra i profili di criticità di questo tipo di rapporti vengono individuati i seguenti: - i livelli di servizio e continuità. L’esigenza per l’utente di fruizione del servizio in maniera continuativa richiede che il fornitore garantisca i livelli delle prestazioni attese, sulla base di parametri tecnici oggettivi e misurabili. Tali livelli sono definiti con uno specifico accordo che integra il rapporto di fornitura del servizio (Service Level Agrement – SLA). Negli SLA si fa riferimento a determinati parametri condivisi (i Key Performace Index, o KPI) la cui individuazione deve essere compiuta con il supporto tecnico di personale specializzato. Gli SLA non solo indicano minuziosamente le caratteristiche del servizio e le soglie oltre le quali il provider incorre in responsabilità (capacità di memoria, velocità di processamento dati, tempi di risposta, scalabilità del servizio, ecc.), ma definiscono anche i criteri con cui compiere il monitoraggio e la segnalazione degli sforamenti. Generalmente, al contrario, i fornitori limitano le proprie prestazioni alla situazione “ordinaria”, ossia escludendo ogni responsabilità in relazione ad un livello atteso di performance; - le modifiche delle condizioni d’uso del servizio. Molto spesso sono contenute nei contratti apposite clausole con cui il fornitore del servizio si riserva il diritto di modificare unilateralmente, in qualunque momento, le condizioni medesime. Si tratta di una previsione potenzialmente pericolosa in quanto il gestore del cloud, approfittando della fiducia dell’utente e delle difficoltà di cambiare provider, potrebbe inserire clausole che alterino in peggio la posizione contrattuale dell’utente; 34 Trib. Milano, 9 settembre 2011, in AIDA, 2012, p. 740. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze - - - - - 117 la responsabilità del fornitore. Solitamente si tende – sulla base della non “perfezione” della scienza informatica – ad escludere la responsabilità del fornitore nonostante debba essere ricordato che l’art. 1229 c.c. considera nulle tutte le pattuizioni dirette ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità del fornitore per dolo o colpa grave; la proprietà dei dati e dei contenuti. Appare estremamente rilevante esplicitare il mantenimento della proprietà dei dati e delle informazioni in capo all’utente, con la ulteriore previsione di clausole di riservatezza, specialmente se i dati o le informazioni abbiano particolare valore (segretezza, confidenzialità, segreti d’impresa, know-how, etc.). Allo stesso modo dovranno essere predisposte le necessarie cautele per evitare l’accesso di terzi a quanto archiviato o elaborato; la sicurezza dei dati. È una specificazione del punto precedente, laddove oltre a renderli (e mantenerli) riservati, i dati e le informazioni devono essere posti al riparo da malfunzionamenti del sistema, incidenti presso la Farm del fornitore, attacchi di hackers, anche utilizzando appositi strumenti di disaster recovey; i limiti al recesso del fornitore. Nella prassi contrattuale si prevede che il fornitore possa, a proprio insindacabile giudizio, sospendere (in via temporanea o definitiva) l’erogazione del servizio in caso di violazioni delle condizioni d’uso da parte dell’utente mentre è senz’altro preferibile che tale forma di “autotutela” sia attivata solo in caso grave violazione delle condizioni d’uso del servizio, situazione prodromica alla risoluzione del contratto; le difficoltà nel passaggio ad altro fornitore. Accade frequentemente che, una volta concluso il contratto, il fornitore finisca per rendere difficile la “migrazione” del cliente verso un altro fornitore. Il problema reale (o creato) risiede nel livello di interoperabilità delle soluzioni tecniche utilizzate dai diversi fornitori (per es., in tema di funzionamento delle interfacce o dei sistemi di calcolo), in grado di generare ulteriori (e impreviste) spese per i necessari “adattamenti” al nuovo sistema di “destinazione”35. 35 È quindi opportuno che nei contratti di cloud computing sia prevista a carico del provider la fornitura, variamente articolata, di un servizio di migrazione verso un nuovo fornitore da attivare in caso di scioglimento © Wolters Kluwer 118 Capitolo III Molti dei profili indicati possono – se del caso – rientrare nella disciplina dell’abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della L. n. 192/1998, che definisce come dipendenza economica “la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi”. Come è stato giustamente notato: è “un dato di comune evidenza che i rapporti fra cloud provider ed utente sono sovente connotati da una sproporzione di forza contrattuale o comunque da importanti asimmetrie informative e conoscitive, così che non è affatto improbabile che possa presentarsi sin dall’inizio una pericolosa situazione di squilibrio suscettibile di portare, medio tempore, ad abusi riconducibili alle norme (o ai principi) sopra rammentati. L’abuso, peraltro, tende ad assumere rilevanza non solo e non tanto al momento della conclusione del contratto quanto nel corso della sua esecuzione o addirittura al momento della cessazione del rapporto. Ed infatti, applicando l’istituto dell’abuso di dipendenza economica, mi sembra che un eventuale contegno illecito del service provider possa assumere rilevanza solo nel momento in cui non esista più una “reale possibilità per la parte che ha subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti” (il che di solito non accade al momento in cui l’utente sceglie il fornitore, considerata l’offerta assai ampia sul mercato). A tal proposito si rammenta la fattispecie (elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesca) della c.d. “dipendenza dell’impresa”, detta anche “da rapporti commerciali”, che si ravvisa nel caso di un rapporto tra impresa in posizione dominante relativa e impresa dipendente nel quadro del quale quest’ultima si trova nell’impossibilità di rivolgersi ad altri senza sopportare incisive ripercussioni sfavorevoli sulla propria attività”36. In ultimo residuano due questioni di non poco momento relativi, rispettivamente, alla legge applicabile al contratto ed alla tutela della privacy37. del rapporto. Tale obbligo deve poi essere calibrato in funzione delle tecnologie utilizzate ed in grado di non compromettere significativamente l’operatività del cliente. 36 Così G. RIZZO, La responsabilità contrattuale nella gestione dei dati nel cloud computing, in http://www.dimt.it/2013/04/08/la-responsabilita-contrattuale-nella-gestione-dei-dati-nel-cloud-computing/ 37 Secondo il Garante della privacy, nel documento su Cloud computing: indicazioni per l’utilizzo consapevole dei servizi, si fa presente che: “- acquisire servizi cloud significa acquistare presso un fornitore di servizio risorse (ad esempio server virtuali o spazio disco) oppure applicazioni (ad esempio posta elettronica e strumenti per l’ufficio); - i dati non risiedono più su server “fisici” dell’utente, ma sono allocati sui sistemi del fornitore (a meno di copie in locale); © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 119 Con riferimento alla legge applicabile, la fruizione dei servizi cloud determina – al di là di quanto è previsto dal contratto – una sostanziale (e, per certi versi, inevitabile) perdita del controllo “fisico” dei dati e delle informazioni, specialmente se a detto contratto trova applicazione una legge diversa da quella dell’utente. Indipendentemente dalla legge (e giurisdizione) applicabile è di rilevante cautela conoscere dove sono situate le strutture tecniche nelle quali sono “allocati” i servizi (c.d. “Data Farm”). Riguardo, infine, la tutela della riservatezza, ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003 è titolare del trattamento colui che assume le decisioni in merito alle finalità e modalità del trattamento, comprese le misure di sicurezza da adottare. Deve quindi considerarsi titolare del trattamento l’azienda o il professionista che si avvale del cloud computing; ma non v’è dubbio che anche il fornitore del servizio assume i connotati di autonomo titolare. È infatti improbabile che l’utente possa esercitare un qualche controllo sul cloud provider o addirittura sindacare le politiche di sicurezza da lui adottate. Tale situazione di reciproca autonomia del cliente e del cloud provider, se non attentamente considerata per tempo con adozione di apposti accorgimenti formali e sostanziali, può esporre entrambi a serie responsabilità per violazione dei diritti dei soggetti interessati, e cioè di coloro i cui dati sono oggetto del trattamento. Basti pensare che anche la sola scelta del cloud provider può, per ciò solo, comportare una violazione di legge quando ciò implichi un trasferimento dei dati al di fuori dell’Unione europea. Con riferimento all’applicabilità del D.Lgs. n. 196/2003 è opportuno rilevare che il fornitore dovrà rispettare le disposizioni sulla privacy nelle seguenti ipotesi: a) quando sia stabilito in Italia (art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 196/2003); b) quando sia stabilito nel territorio di un Paese non appartenente all’Unione europea e impieghi, per il trattamento, strumenti situati in Italia anche diversi da quelli elettronici, salvo che essi siano - l’infrastruttura del fornitore del servizio è condivisa tra molti utenti per cui sono fondamentali adeguati livelli di sicurezza; - l’utilizzo del servizio avviene via web tramite la rete Internet che assume dunque un ruolo centrale in merito alla qualità dei servizi fruiti ed erogati; - i servizi acquisibili presso il fornitore del servizio sono a consumo e in genere è facile far fronte ad eventuali esigenze aggiuntive (ad esempio più spazio disco o più potenza elaborativa); - esternalizzare i dati in remoto non equivale ad averli sui propri sistemi: oltre ai vantaggi, ci sono delle controindicazioni che bisogna conoscere”. © Wolters Kluwer 120 Capitolo III utilizzati solo ai fini di transito nel territorio dell’Unione europea (art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 196/2003). Se il cloud provider ha la propria sede e le proprie infrastrutture al di fuori del territorio dello Stato non potrà essere direttamente assoggettato al Codice. Tuttavia, se il cliente titolare del trattamento è stabilito in Italia, sarà comunque tenuto ad essere conforme alla normativa, tutelandosi in questo senso in sede contrattuale. Naturalmente il Titolare del trattamento dei dati dovrà assicurarsi che la normativa vigente nello Stato in cui il provider è stabilito o opera non sia in contrasto con le clausole contrattuali. 8. Le tendenze del commercio elettronico: nella distribuzione commerciale al dettaglio Risulta evidente come alcune delle trasformazioni che riguardano il commercio – quelle che, tra l’altro hanno grandi potenzialità di crescita – siano direttamente collegate all’impiego di nuove tecnologie. Pare dunque utile descrivere alcune delle leve sulle quali si vanno costruendo ipotesi di successo che possono offrire spunti per una possibile (ed auspicabile) riqualificazione anche degli operatori del nostro paese. 1) I media iniziano a vendere prodotti. – Le riviste (poi i giornali) e la televisione (direttamente attraverso gli spot o con indicazioni in sovraimpressione) diventeranno veri e propri canali di vendita diretta. Puntando l’immagine con lo smartphone (o mediante un telecomando realmente interattivo) è possibile acquistare direttamente prodotti e servizi. Ha cominciato, in questa direzione, la rivista Harper’s Bazaar che si sta trasformando in un portale di negozi on line “connessi” alla versione cartacea (e telematica) della rivista38. 2) Qualificare da sé i propri bisogni. – Alcune attività di “assistenza” personale stanno venendo meno. Laddove i prodotti e i servizi sono standardizzati (e lo stesso personale è fortemente sostituibile, posti alti livelli di servizio), il consumatore inizierà a fare da sé. Presso Walmart ordinativi e casse “fai da te” (sistemi c.d. di self-checkout) hanno reso indi38 E non è l’unico caso. Cfr. Periodici e shopping online: 8 siti molto shoppable, in https://futurodei periodici.wordpress.com/2014/06/11/periodici-shopping-online-8-siti-ecommerce/. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 121 pendente l’acquirente dall’assistenza di addetti e cassieri che – in cambio di buoni sconto o di una riduzione dell’importo – conquista una sua autonomia rispetto a tempi e modalità di tutte le fasi di acquisto 39. Lo stesso sta accadendo in alcuni sistemi di fast-food, laddove, in luogo di essere “pressati” nell’ordinativo dalla velocità dell’addetto (e dalle persone in fila), con apparecchi touchscreen l’acquirente può decidere (stando comodamente seduto) cosa vuole ordinare (e perfino pagare), scegliendo se andare a prendere il vassoio una volta pronto, oppure attendere il servizio al tavolo40. 3) Vetrine virtuali. – Sembra che possedere un locale di vendita non sia più una necessità. Dapprima Tesco e successivamente eBay, rispettivamente nella metropolitana di Londra ed a New York, hanno sperimentato con successo l’utilizzo di vetrine digitali. Su una superficie è possibile proiettare le immagini dei prodotti che, una volta visualizzate (con smartphone o tablet), si può procedere all’ordine di acquisto (ed anche al pagamento)41. Segue la consegna direttamente al proprio domicilio. Questa possibilità, per un verso sfrutta momenti in cui si transita o si attende (es.: la fermata della metropolitana), fornendo qualcosa in più della mera promozione pubblicitaria (come avviene attualmente con i manifesti o con schermi televisivi); per altro verso, consente ad imprese di aprire “punti vendita”, in localizzazioni “particolari” soprattutto quando non sono in grado di attivare una localizzazione “fisica”42. 4) Social commerce. – Con il termine “social commerce”, si fa riferimento all’utilizzo di strumenti social (intesi principalmente nei social net39 http://en.wikipedia.org/wiki/Self-checkout. Ma non mancano le critiche sui possibili abusi: http://www.ocalapost.com/attention-walmart-shoppers-beware-of-self-checkout-kiosks/. 40 http://www.dissapore.com/mangiare-fuori/benvenuti-nel-2011-con-gli-11-ristoranti-piu-tecnologici-delmondo/. La “rivoluzione” culturale nel cibo è materia di quello che è indicato dagli addetti ai lavori come “Next Food” che è oggetto di un ripensamento non solo in termini produttivi ma anche nel design. Per questi argomenti v. G.M. SHEPHERD, All’origine del gusto. La nuova scienza della neurogastronomia, Codici, Torino, 2014; A. LUPACCHINI, Food Design. La trasversalità del pensiero progettuale nella cultura alimentare, List Lab, Trento, 2014; M. GUIXÈ, Food Designing, Mantova, 2010. Sui “miti” legati ai prodotti alimentari si rinvia a D. BRESSANINI, Pane e bugie, Milano, 2013; ID., Le bugie nel carrello, Milano, 2013. 41 http://www.designboom.com/technology/tesco-virtual-supermarket-in-a-subway-station/. Per vedere un video illustrativo sulla soluzione Tesco applicata nella Corea del Sud: https://www.youtube.com/watch?v= nJVoYsBym88. Per l’iniziativa di eBay v. http://techcrunch.com/2013/06/05/ebay-to-make-true-window-shopping-a-realitywith-new-nyc-virtual-retail-stores/. 42 Naturalmente resta strategico (e molto impegnativo) l’assolvimento delle funzioni logistiche. © Wolters Kluwer 122 Capitolo III work) per scopi commerciali. Con tale approccio, viene dato rilievo all’interazione con l’utente. Il social commerce può essere definito come una forma di commercio elettronico, mediata e arricchita dai social media, con effetti positivi sulle vendite, sia on line che off line. Parlare di social commerce, quindi, significa riferirsi ad un sistema di commercio elettronico integrato con modalità di comunicazione social, ideate ad hoc. Non la sola presenza con la fanpage aziendale su Facebook, l’account di Twitter o il canale di YouTube, ma strategie di comunicazione più elaborate, che sappiano utilizzare al massimo gli strumenti messi a disposizione dalle nuove piattaforme sociali43. Più concretamente, le piattaforme di social commerce rappresentano “luoghi virtuali” in cui i consumatori possono collaborare, condividere esperienze, ottenere consigli e suggerimenti da persone di fiducia, scoprire ed acquistare prodotti e servizi. Le “relazioni sociali” rappresentano dunque l’elemento chiave che differenzia il social commerce dalle altre forme di commercio elettronico. Ad oggi, è possibile distinguere cinque tipologie44 all’interno di due macro-categorie di social commerce: 43 V., per es., G. DIEGOLI, Social commerce, Milano, 2013; L. CONTI, Twitter senza segreti. Informarsi, creare relazioni e fare business in tempo reale, Milano, 2013; F. GUERRINI, Facebook Reloaded, Milano, 2010. 44 Il Social Shopping può essere esemplificativamente suddiviso nelle seguenti categorie generali: 1) i siti di shopping di gruppo (tipo: Living Social) che incoraggiano gruppi di persone ad acquistare insieme a prezzi all’ingrosso; 2) le shopping communities che portano le persone a discutere, condividere (e comprare) su svariati prodotti in vendita. Utilizzando l’esperienza della gente, gli utenti comunicano e aggregano informazioni su prodotti, prezzi e offerte. Molti siti permettono agli utenti di creare liste della spesa personalizzate e le condividono con gli amici. Fino ad oggi questo tipo di social shopping è stato dominato dalle comunità che hanno come tema principale la moda, abbigliamento e accessori. Tuttavia, le comunità commerciali non si limitano esclusivamente alla moda. Esiste infatti una comunità di shopping chiamata “Listia” che discute su prodotti gratuiti. Ultimamente sono nati molte shopping communities che parlano di viaggi e vacanze; 3) Recommendation engines è un metodo che consente agli utenti di informarsi sulle caratteristiche di un prodotto, fornendo dati e recensioni. Un esempio è dato dal famoso sito Amazon il quale cerca di prevedere il ‘rating’ o ‘preferenza’ che un utente avrebbe dato a un elemento (ad esempio, oggetto musicale, libri, o filmati o ancora sociale come persone o gruppi) incoraggiando le discussioni intorno al prodotto con gli amici di un generico utente; 4) il Social Shopping Marketplace che convoglia venditori e acquirenti in un luogo virtuale in modo da facilitare le transazioni commerciali. L’analogia per questa categoria può essere un mercato o un bazar. Il social market riunisce venditori indipendenti e crea un forum per loro affinché espongano e vendano i loro prodotti agli acquirenti; 5) gli Shared Shopping che utilizzano meccanismi di condivisione utilizzando cataloghi di e-commerce. Ciò permette ai clienti di creare gruppi di collaborazione commerciale ad hoc nei quali una persona può guidare una esperienza di shopping per una o più altre persone, con comunicazione in tempo reale tra loro e con il rivenditore. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 123 a) le piattaforme di e-commerce con funzionalità social 45; b) le piattaforme di social media con funzionalità transazionali 46. Il social commerce se offre numerose opportunità alle imprese implica, tuttavia, la consapevolezza della necessità di assumere scelte organizzative e manageriali per gestire una catena del valore centralizzata sul consumatore. La rilevanza del ruolo dei social network (o comunque dei siti che forniscono valutazioni di “rating” dei consumatori) è comprovato dalla tendenza ad utilizzare questi “collegamenti” come volano promozionale. In altre parole, la “raccomandazione” del consumatore diventa elemento di una strategia di marketing. Si pensi, alla catena americana Nordstrom che segnala sugli scaffali i prodotti che sono più “popolari” su Pinterest47, oppure – come anche nel nostro paese – apporre sulla vetrina la “valutazione” conseguita su Booking o su Tripadvisor48. 5) Video commerce (v-commerce). – Uno dei limiti dello shopping on line è costituito dalla difficoltà di “percepire” esattamente le qualità del prodotto (a meno che non sia di acquisto frequente e quindi già “provato” in precedenza). A questo problema sopperisce l’utilizzo di riprese video (anche ad alta risoluzione), in grado di visualizzare ed illustrare il prodotto sotto diverse angolazioni e prospettive. Non mancano le applicazioni di realtà “aumentata”, come, ad esempio, la sovrapposizione della propria immagine in movimento (ripresa da una webcam) con il capo di abbigliamento che si vuole “provare”, in una sorta di “camerino” virtuale49. 45 In questa prima categoria rientrano: 1) le piattaforme di commercio elettronico che integrano alcune funzionalità social come la possibilità di “postare” recensioni (es. Amazon.com), iscriversi a communities (es. Clubcouture.cc) o utilizzare i social plugin per interagire con il proprio network di riferimento (es. FacebookConnect); 2) le piattaforme che consentono agli utenti di acquistare prodotti/servizi a prezzi fortemente scontati, in virtù del raggiungimento di una quota minima di adesioni (es. Groupon). 46 In questa seconda categoria rientrano: 1) le piattaforme di social media che integrano alcune funzionalità tipiche dei siti di e-commerce con l’obiettivo di favorire attività transazionali (es. 1-800 Flowers Store su Facebook) e di advertising (es. BestBuy Store su Facebook); 2) le communities on line in cui gli utenti possono creare un profilo personale, condividere opinioni, ricercare e recensire prodotti, comparare prezzi ed effettuare acquisti (es. Kaboodle.com). 47 https://business.pinterest.com/it/success-stories/nordstrom; http://pinterestitaly.com/dalle-board-dipinterest-alle-vetrine-il-caso-nordstrom/. 48 M. PENNISI, Quanto vale (davvero) il social commerce, in http://www.wired.it/internet/social-network/ 2014/02/13/quanto-vale-davvero-il-social-commerce/. 49 Sullo shoppable video v., per esempio, http://www.shaa.it/soluzioni/shoppable-video. © Wolters Kluwer 124 Capitolo III Non vanno poi sottostimate le possibilità offerte dal posting di video sulla piattaforma YouTube (che, è bene ricordarlo, è di proprietà di Google). Al momento appaiono “illustrati” – in forma di mera presentazione – per esempio degli immobili, con il rinvio per ogni indicazione al sito od alla casella mail dell’intermediario ma non vi è dubbio che, presto, saranno attivati dei “canali” tematici interattivi per lo shopping analoghi a quelli televisivi50. Televisione e dispositivi mobili sono destinati ad integrarsi. Agli inizi del 2014 Google ha presentato (e messo in vendita) Chromecast, una “chiavetta” che, connessa, alla porta HDMI del televisore, permette di mandare in streaming contenuti di Internet: dalle App compatibili per smartphone, tablet e dal browser Chrome su Mac e PC. È quindi possibile, “connettere” Internet trasformando lo schermo televisivo in quel sistema di “navigazione” che il DDT non è stato in grado di realizzare51. 6) Multicanalità negli acquisti e concept store. – L’impiego delle tecnologie del commercio elettronico e, quindi, l’ampia possibilità di trovare informazioni, porta i consumatori a ripartire i propri acquisti in più esercizi commerciali (siano essi fisici che virtuali). Con riferimento alla distribuzione alimentare possono essere scelte tipologie e modalità diverse. Dal cibo etnico, al cibo bio (o socialmente responsabile), ai GAS, al Km 0, etc. Quanto detto reca, quale conseguenza, la crescita di punti vendita altamente specializzati (anche con la formula “temporary shop”52) che tendono al concept store, ossia al forte legame tra il brand/prodotto e l’esigenza di un acquirente maggiormente “focalizzato”. È, in sostanza, l’esperienza attualizzata dei “corner” all’interno delle medie e grandi superfici di vendita. Ora, invece, si punta su piccole dimensioni (nell’ambito amministrativo dell’esercizio di vicinato), di im50 Parliamo di commercio “professionale” perché, ovviamente, non mancano soggetti privati che pongano in vendita propri beni (in via saltuaria o occasionale). Per la descrizione del prodotto https://www.google.it/chrome/devices/chromecast/ mentre, per le funzioni, v. https://support.google.com/chromecast/answer/2998456?hl=it. Su YouTube si può vedere anche un tutorial: https://www.youtube.com/watch?v=AO_SUfahRLI. Chromecast ha già un competitor: Qualcomm 4K Streaming Adapter per il suo processore Snapdragon 800 e il supporto alla rete LTE (cfr. http://www.androidworld.it/2015/02/12/qualcomm-mostra-suo-rivale-chrome cast-snapdragon-800-lte-foto-272454/). 52 Dei quali, oltre alla versione “fisica” esiste anche quella on line: M. CIMMINO, Una nuova formula di ecommerce: il temporary shop, in http://blog.meetweb.it/index.php/2012/04/13/una-nuova-formula-di-ecommerce-il-temporary-shop/. 51 © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 125 patto “avvolgente”: come i negozi Nespresso Store, Magnum Pleasure Store, etc53. 7) Couponing commerce. – Uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni è costituito dai siti di couponing. Si tratta di uno di quei casi in cui fenomeni arcinoti (i buoni sconti e le offerte promozionali) hanno trovato, mediante il web, una nuova e profittevole vita54. La componente innovativa del servizio è rappresentata dall’inversione della strategia di comunicazione: è il prezzo che “spinge” il prodotto/servizio che, per ciò stesso, diventa “interessante” e crea il “bisogno di acquisto”. Un esempio? A chi verrebbe in mente di fare un test del DNA? Ma se questo test, nel laboratorio a due passi da casa/ufficio costa solo 29 euro? In ogni caso, tra il 2012 e la fine del 2013, Groupon è stata oggetto dell’avvio di un procedimento da parte dell’Autorità garante della concorrenza per verificare possibili pratiche commerciali scorrette55. Se ne offre un quadro più ampio perché la vicenda evidenzia alcune problematiche (e relative soluzioni aziendali, oltre che giuridiche) che sono di interesse per molte imprese che operano on line. In particolare, l’Autorità ha verificato: 53 Sul Nespresso Store di New York v. http://www.stylus.com/dvhpkt (e, in generale, https://www.nespresso.com); Sul Magnum Pleasure Store (di Algida) v. http://www.nadv.it/il-magnum-pleasure-store-apre-anapoli/. 54 Groupon (www.groupon.it) è il sito leader del couponing commerce, semplificando per le persone di tutto il mondo la ricerca e l’individuazione di ottimi affari a prezzi molto convenienti. Groupon sta reinventando il mondo delle piccole aziende tradizionali offrendo ai commercianti un insieme (suite) di prodotti e servizi per aiutarli ad attirare più clienti e gestire le loro attività in modo più efficace. Per poter promuovere i propri prodotti/servizi attraverso Groupon è necessario diventare Partner. Sul “sistema” Groupon si può consultare F. SENNET, Groupon. A chi conviene davvero lo sconto imbattibile, Milano, 2012. Privalia (http://it.privalia.com/public) si presenta come un outlet on line di moda e lifestyle, che offre ai propri Soci i migliori marchi con sconti sensibili. Saldiprivati (www.saldiprivati.com) afferma di essere tra i leader nei club italiani di vendite su invito: saldi delle migliori marche che combinano prezzi molto scontati e la comodità dell’e-commerce. Ogni giorno gli iscritti al club – oltre 2 milioni – ricevono, per una durata di 4-5 giorni, gli inviti alle vendite di grandi marchi e che propongono prodotti di abbigliamento, accessori, design, prodotti per la casa, famiglia e bambini, gioielli e prodotti high-tech. Altre iniziative sono quelle delle piattaforme Coupon da stampare (http://coupon-da-stampare.it/), Buonpertutti (http://buonpertutti.corriere.it/), Sconti.com (http://sconti.com/) e Codicesconto.com (http://www.codicesconto.com/) sulle quali v., in sintesi, A. ZINOLA, Dematerializzazione per il coupon di domani, in Mark Up, n. 233, ottobre 2014, p. 78 ss. 55 AGCM, 28 novembre 2013, PS7198 - E-couponing. © Wolters Kluwer 126 Capitolo III a) la diffusione, attraverso il sito internet http://www.groupon.it/, nella fase precedente all’acquisto dei coupon, di informazioni commerciali ingannevoli, omissive e in grado di creare confusione nel consumatore, in relazione ai prezzi e alle caratteristiche delle offerte pubblicizzate; b) l’incapacità del servizio di assistenza-clienti a far fronte ai reclami dei consumatori nelle diverse ipotesi di non utilizzabilità dei coupon acquistati, ostacolando così l’effettivo esercizio dei diritti contrattuali; c) la pratica del rimborso effettuato attraverso i buoni anziché con la restituzione dei soldi; d) il mancato o parziale rimborso dei coupon non utilizzati per cause addebitabili alle società del gruppo Groupon o ai loro Partner (per es. nei casi di overbooking); e) i comportamenti dilatori del call center nel rispondere o nel dare seguito alle richieste di rimborso e di recesso. Groupon, ha assunto, ai sensi dell’art. 27, co. 7, cod. cons., una serie di impegni, per chiudere la procedura56, ossia: - la pubblicazione sul sito degli impegni assunti; - l’attivazione di una procedura di controllo ex ante delle informazioni fornite dai Partner, comunque precedente la pubblicazione dell’offerta57; 56 Cfr. http://www.groupon.it/pages/dichiarazione. La procedura di controllo ex ante è costituita dalle seguenti attività: 1) verifica del possesso dei requisiti necessari (per es. per coloro che esercitano professioni sanitarie: fisioterapisti, estetisti, massaggiatori), anche con la visita presso i locali di svolgimento dell’attività (solo laddove Groupon dispone di un ufficio commerciale); 2) acquisizione listino prezzi (al fine di verificare la correttezza dello sconto praticato). Groupon si impegna a pubblicare il prezzo di riferimento e la relativa percentuale di sconto solo in presenza di un listino prezzi/catalogo prezzi oppure in presenza di fatture commerciali emesse dal Partner nei giorni precedenti la formulazione della proposta contrattuale (l’intervello di tempo è considerata informazione riservata); 3) approvazione scritta da parte del Partner delle condizioni-base della campagna promozionale (prezzo offerto, percentuale di sconto, numero di coupon disponibili, indirizzo per uso del coupon, giorni di utilizzo, orari di utilizzo, massimo di coupon per consumatore); 4) invio al Partner dell’anteprima della campagna promozionale (c.d. preview), contenente tutte le informazioni che verranno pubblicate su internet, al fine di ricevere l’autorizzazione alla pubblicazione da parte del Partner; 5) collaborazione nell’elaborazione dell’offerta; 6) calcolo capacità. Durante la negoziazione di ogni contratto con il Partner, il rappresentante commerciale chiede al Partner stesso di fornire alcune informazioni utili a determinare le dimensioni organizzative e le capacità funzionali della struttura che presterà il servizio promesso così come la disponibilità dei beni promossi. Sulla base di tali informazioni, il rappresentante commerciale stabilisce il numero massimo di cou- 57 © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 127 - l’attivazione di una procedura di controllo ex post, successiva al momento in cui la campagna viene pubblicata e durante il successivo periodo di validità del coupon58; - la predisposizione della black list dei Partner che non sono risultati affidabili; - la pubblicizzazione e mantenimento aggiornate delle clausole delle condizioni d’uso relative alla responsabilità nei confronti dei consumatori59; - l’adozione di misure relative alla percentuale di sconto indicata nelle campagne, differenziando i servizi generici, da quelli aventi ad oggetto il settore viaggi, e, infine, dai prodotti60; pon/prodotti vendibili per il servizio promesso. In forza di tale meccanismo, Groupon esclude o, comunque, limita fortemente il rischio di overbooking. 58 La procedura di controllo ex post è costituita dalle seguenti attività: 1) Verifica lealtà del Partner (un addetto di Groupon “simula” un cliente e verifica la rispondenza del partner alle condizioni dell’offerta: c.d. mistery call); 2) Verifica processo prenotazione e servizio offerto (attraverso le mistery call); 3) Alert Booking (piattaforma di gestione delle prenotazioni a disposizione dei Partner per il monitoraggio circa l’uso dei coupon); 4) Alert Refund (Groupon svolge calcoli statistici finalizzati ad un controllo sul coefficiente di rimborsi effettuati per ogni offerta. Tale attività persegue chiaramente la finalità di individuare, sin dall’inizio del periodo di validità del coupon, eventuali problematiche relative alla concreta fruibilità del coupon stesso); 5) Alert riscatto (si tratta del monitoraggio relativo ai soggetti con un tasso di riscatto inferiore alla media storica, i quali vengono dunque contattati al fine di comprendere la situazione ed apportare i necessari correttivi); 6) Alert bassa soddisfazione (CSAT) (Dopo la fruizione del servizio, ciascun consumatore riceve un’e-mail in cui gli viene chiesto di esprimere un giudizio circa l’offerta acquistata. Il Partner è inserito nella black list con giudizi negativi superiori ad una data percentuale); 7) Alert contatti (Su base settimanale, il Customer Care di Groupon estrae i dati relativi alle richieste di chiarimenti e/o reclami formulati dai consumatori per individuare le azioni correttive); 8) Alert soddisfazione Partner (MSAT) (Ogni Partner riceve un sondaggio sulla soddisfazione del servizio reso da Groupon. Nel caso in cui il Partner abbia manifestato criticità, questi viene contattato dal rappresentante commerciale, al fine di individuare le azioni correttive necessarie). 59 A questo fine deve garantire adeguata visibilità, nella home page del sito e nella speciale sezione riassuntiva dei diritti e obblighi dei consumatori: (i) le proprie condizioni d’uso, (ii) le proprie condizioni di vendita per le diverse lines of business, (iii) le disposizioni per la restituzione dei prodotti in caso di recesso o esercizio dei diritti di garanzia. 60 A) Per le campagne aventi ad oggetto servizi (local): Groupon dovrà inserire i seguenti disclaimer (a seconda delle caratteristiche del servizio): - prezzo originale verificato (in base alle fonti ritenute valide per la verifica: listino ufficiale e principali siti terzi, quali siti di comparazione prezzi) (o formula equivalente); - prezzo originale calcolato sulla media dei prezzi praticati dal partner e comunicati a Groupon relativi al periodo di validità del coupon (o formula equivalente); - prezzo originale calcolato sulla media del mercato geografico di riferimento (o formula equivalente). Laddove non sia stato acquisito un listino/menu, oppure laddove il raffronto tra prezzo standard e prezzo della campagna promozionale non sia significativo (ad esempio, perché il prezzo è estremamente variabile nel periodo di validità del coupon), ovvero in tutti i casi nei quali non sia possibile quantificare la percentuale di sconto, quest’ultima non verrà indicata all’interno della campagna. © Wolters Kluwer 128 Capitolo III - la diffusione delle informazioni standard sul diritto ed i termini per l’esercizio del recesso; 61 - la diffusione delle clausole relative ai pagamenti ed ai rimborsi ; B) Per le campagne aventi ad oggetto il settore viaggi (c.d. travel): Groupon si impegna alla pubblicazione dei seguenti disclaimer (a seconda delle caratteristiche del servizio): - prezzo originale verificato (in base alle fonti ritenute valide per la verifica: listino ufficiale, siti terzi, (o formula equivalente); - prezzo originale calcolato sulla media dei prezzi praticati dal partner e comunicati a Groupon relativi al periodo di validità del coupon (o formula equivalente); - prezzo originale calcolato sulla media del mercato geografico di riferimento (o formula equivalente). C) Per le campagne aventi ad oggetto prodotti (c.d. “shopping”): Groupon si impegna a richiedere sempre, al momento della sottoscrizione del contratto, il listino ufficiale del Partner; laddove esista un prezzo ufficiale del produttore o distributore del prodotto, ovvero un listino pubblicato all’interno dell’esercizio commerciale o indicato sul sito web, la percentuale di sconto verrà calcolata con riferimento a tale prezzo ufficiale, con adozione del seguente disclaimer (o formula equivalente): “Sconto calcolato rispetto al prezzo di listino praticato dal produttore o distributore. In caso di contestazioni, il Cliente potrà richiedere a Groupon e/o al Partner l’esibizione del listino prezzi o documento equipollente”. Laddove esista un prezzo standard, ossia il prezzo raccomandato e/o consigliato dal produttore, praticato dal Partner, la percentuale di sconto verrà calcolata con riferimento a tale prezzo standard, con adozione del seguente disclaimer (o formula equivalente): “Sconto calcolato rispetto al prezzo standard. In caso di contestazioni, il Cliente potrà richiedere a Groupon e/o al Partner l’esibizione del listino prezzi o documento equipollente”. 61 Nelle condizioni di vendita sarà indicato che il cliente ha diritto al rimborso, mediante riaccredito delle somme addebitate (incluse le spese di spedizione dei prodotti), nei seguenti casi: - recesso del Cliente dall’acquisto di prodotti e/o servizi; - mancata generazione del coupon, laddove previsto; - impossibilità del Partner a garantire l’erogazione del servizio; - chiusura (in parte o temporanea) dell’attività commerciale del Partner; - rifiuto da parte del Partner di accettare il coupon presentato dal Cliente; - richiesta, da parte del Partner al Cliente, del pagamento di costi aggiuntivi non previsti nell’offerta per la prestazione dei medesimi servizi ivi descritti; - mancata consegna del bene o consegna di un bene difforme dalla descrizione contenuta nell’offerta; - impossibilità di consegna del bene nei termini temporali espressamente previsti dall’offerta o dalle norme di legge (ove applicabili) o in relazione a specifiche occasioni (ad es. Natale) che abbiano chiaramente assunto rilievo nell’offerta. Nelle condizioni di vendita sarà specificato che l’importo riaccreditato a titolo di rimborso corrisponde all’importo versato al Cliente per l’acquisto del coupon, incluse le spese di spedizione del prodotto (ove applicabili) e che, in caso di recesso da parte del Cliente, dall’acquisto del prodotto/servizio, il rimborso sarà effettuato entro 14 giorni dalla data del recesso. Negli altri casi elencati sopra in cui il Cliente ha diritto al rimborso (esclusa quindi l’ipotesi di recesso), il Cliente dovrà presentare il proprio reclamo entro 5 giorni lavorativi dal verificarsi dell’evento; Groupon svolgerà le opportune verifiche presso il Partner e darà risposta al Cliente entro 15 giorni lavorativi. In caso di parziale fruizione del coupon, il rimborso potrà essere effettuato in proporzione al servizio fruito dal Cliente. I rimborsi vengono sempre effettuati direttamente sulla medesima carta utilizzata per l’acquisto. Non è in alcun modo previsto che Groupon effettui un bonifico bancario o accrediti l’importo del rimborso su carta diversa o intestata ad altri. Groupon comunicherà al Cliente le tempistiche previste per ottenere il rimborso e per averne visibilità sul conto corrente associato alla carta utilizzata per l’acquisto. Di seguito sono riportate le tempistiche massime necessarie per effettuare la gestione del processo di rimborso a decorrere dalla richiesta pervenuta contattando il Customer Care: - 15 giorni lavorativi per poter effettuare le verifiche necessarie in riferimento alla richiesta avanzata dal Cliente (ad esempio: verifica status spedizione, contatto Partner per mancata o non conforme erogazione servizio, coinvolgimento dell’Area commerciale o di altre Aree aziendali utili per verificare e gestire la pro© Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze - 129 l’adozione di determinati standard di servizio per l’assistenza alla clientela62; blematica riscontrata). Questo periodo temporale è da intendersi come tempo massimo di gestione da parte di Groupon; - 5 giorni lavorativi previsti per la gestione amministrativa della pratica qualora la richiesta di rimborso venga accettata. I 5 giorni sono calcolati a partire dalla data di accettazione della pratica di rimborso; questo periodo temporale è da intendersi come tempo massimo di gestione da parte di Groupon; - inoltre, sarà necessario attendere i tempi previsti dagli istituti bancari per avere visibilità del riaccredito, di regola dai 7 ai 30 giorni, a seconda delle condizioni dell’Istituto di Credito di riferimento. Per acquisti effettuati attraverso il circuito PayPal, sono previste tempistiche inferiori rispetto a quelle degli istituti di credito; - Groupon non ha potere di intervenire in merito alle tempistiche di riaccredito che sono a discrezione dell’Istituto Bancario di riferimento e di PayPal; - se per l’acquisto rimborsato il Cliente ha utilizzato un Credito Groupon, tale Credito verrà riattivato all’interno dell’Account del Cliente, utilizzabile nuovamente per acquisti successivi a partire dalla data di riattivazione. Per esempio, se per un acquisto del valore di 60 € il Cliente ha pagato 50 € mediante addebito sulla carta di credito o conto Paypal, e ha inoltre utilizzato un Credito Groupon del valore di 10 €, il Cliente verrà rimborsato sulla carta utilizzata per importo pari a 50 € e verrà riattivato all’interno del suo Account il Credito Groupon del valore di 10 €. Un acquisto effettuato mediante crediti non può essere rimborsato mediante versamento su carta di credito. - Ad eccezione del caso in cui il Cliente eserciti il diritto di recesso, negli altri casi Groupon potrà rimborsare il Cliente attraverso Crediti Groupon caricati direttamente all’interno dell’Account Groupon e utilizzabili per acquisti successivi sul sito. I Crediti Groupon, una volta caricati nell’Account del Cliente, sono immediatamente disponibili e spendibili sul sito. I Crediti Groupon saranno cumulabili e frazionabili. Il Cliente potrà, in qualunque momento, in qualsiasi caso e per tutto il periodo di validità del Credito Groupon (12 mesi), richiedere la conversione di quest’ultimo in rimborso mediante versamento sulla carta di credito utilizzata per l’acquisto. - Nel caso di rimborso mediante Crediti Groupon, il Cliente avrà diritto di ottenere il caricamento di un Credito Groupon di valore almeno pari a quello del coupon oggetto di rimborso. - Groupon provvederà alla conversione e al caricamento del Credito Groupon sull’Account del Cliente, entro le 24 ore successive alla comunicazione al Cliente dell’avvenuta accettazione del rimborso. I Crediti Groupon hanno una validità di 12 mesi; di tale periodo di validità il Cliente viene informato in fase di caricamento. Sarà possibile visualizzare il saldo ed utilizzare i Crediti Groupon accedendo al proprio Account personale. - In caso di rigetto della richiesta di rimborso, Groupon comunicherà al Cliente le motivazioni del rigetto. Il “Rimborso massivo” consiste nel rimborso automatico effettuato da Groupon a vantaggio di tutti i Clienti che hanno acquistato un coupon relativo ad una specifica offerta indipendentemente dall’avvenuta richiesta di rimborso o da reclamo da parte del singolo cliente: Groupon effettuerà il rimborso massivo dei coupon nelle seguenti ipotesi: - chiusura definitiva dell’attività commerciale del Partner; - Partner non accetta i coupon rilasciati da Groupon; - merce terminata; - evento annullato per cause di forza maggiore; - overbooking in conseguenza di un errore nel calcolo capacità da parte di Groupon; - scarsa qualità del servizio offerto, comprovata dal numero di segnalazioni ricevute; - Partner non rintracciabile a nessun recapito; - qualsiasi errore, sia da parte di Groupon che del Partner, o evento in conseguenza del quale i clienti non possono usufruire del coupon. Goupon si impegna ad eliminare la frase presente nelle Condizioni generali di contratto “Il partner è l’unico responsabile della correttezza e della fedeltà dei prodotti e dei servizi pubblicizzati” e di sostituirla con una previsione che disciplini con precisione le responsabilità di Groupon e dei partner con riguardo alla correttezza delle informazioni veicolate ai consumatori. 62 Su questo aspetto, Groupon ha livelli di servizio piuttosto elevati. I tempi medi – telefonici ed elettronici – di risposta al cliente sono molto rapidi registrando percentuali di richieste non evase pari a circa il 2%. Inoltre, l’85% delle chiamate viene gestito in tempi rapidissimi, pari a meno di 60 sec. A riprova di ciò, il tempo © Wolters Kluwer 130 - Capitolo III lo svolgimento di adeguata formazione interna63. 9. Segue: le tendenze nella somministrazione di alimenti e bevande Seppure distinguere la vendita al dettaglio dalla somministrazione di alimenti e bevande sia decisamente un retaggio di tempi ormai passati, per semplicità espositiva si mantengono separate le rispettive tematiche. Che questa scelta non abbia particolare rilievo metodologico lo comprova ampiamente la circostanza che quando più avanti si parlerà di “strumenti”, ogni distinzione sulle tipologie di prodotto/servizio o di modalità di vendita non ha ragione di porsi. 1) Tornano in auge i distributori automatici. – Pochi lo sanno, ma il nostro paese è leader in Europa per la costruzione di “vending machines”, ossia di distributori automatici64. Sarà per la fretta, ma – a parte le tradizionali ipotesi presenti nelle stazioni e negli uffici pubblici – stanno cominciando a sorgere interi esercizi commerciali (su spazi minimi) al cui interno è presente una offerta commerciale di prodotti alimentari (non medio di attesa che un utente è chiamato a sopportare, è di soli 19 sec, pari ai migliori standard di servizio in materia di customer service. Per quanto concerne, invece, i messaggi e-mail, il 102% delle e-mail ricevute viene gestito dal servizio di customer care. Ciò significa che ogni e-mail inviata da un utente trova una risposta e alcune comunicazioni elettroniche constano di più di un messaggio. Di conseguenza, l’impegno assunto è quello di far rispettare ai suoi fornitori di servizi customer care, almeno i seguenti standard di servizio: A) Canale E-Mail: - risposta entro un giorno lavorativo ad almeno l’80% delle e-mail CS di Groupon; - presenza responsabile qualità per controllo di un campione significativo delle e-mail in uscita; - fornitura di un report giornaliero contenente informazioni sul numero di e-mail residue per giorno, sulle ore lavorate e sulle e-mail gestite, nel formato messo a disposizione da parte di Groupon e conservazione in formato elettronico presso la sede di Groupon. B) Call Center telefonico: - risposta entro 60” ad una media del 75% delle chiamate inbound entrate. La percentuale media mensile delle chiamate perse deve essere inferiore al 5%; - fornitura di un report giornaliero, anche on line, contenente informazioni sul numero di chiamate gestite, sulle ore lavorate e sul numero di operatori; - accesso diretto a sistema web per monitoraggio call con aggiornamento alle 3 ore lavorative precedenti; - possibilità registrazione chiamate, eventualmente anche a campione, in relazione alle quali le parti concorderanno modalità e tempistiche con congruo anticipo. Per entrambi i canali deve essere assicurata la presenza di un referente unico responsabile del servizio. 63 Con particolare attenzione ai seguenti aspetti: a) l’analisi delle eventuali innovazioni legislative e/o giurisprudenziali e alla cura dei casi più problematici verificatisi nell’esercizio dell’attività quotidiana; b) l’analisi e la soluzione dei casi per il personale dei dipartimenti Partner Management, Escalation e Risk Management e Quality Assurance Risk, sulla base delle applicabili disposizioni di legge e degli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi. 64 Da ultimo v. M. BARBONI, Crescono e cambiano le “macchinette”, in Largo consumo, n. 11/2014, p. 57 ss. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 131 solo confezionati ma perfino freschi). Alcune offrono anche una dimensione di approccio tecnologico, con la possibilità scelta attraverso schermo touch65 e di pagamento con carte touchless, ovvero attraverso lo smartphone. 2) Vendita e ristorazione congiunte. – La formula “emporio”, unisce il momento dell’acquisto di prodotti con la possibilità di fruirli direttamente. L’esempio, arcinoto, è quello di Eataly in cui trovare prodotti alimentari di qualità e, contemporaneamente, gustarli nei diversi ristoranti presenti. Questa tendenza riguarda anche altre tipologie di esercizi. Dalla macelleria che cuoce e somministra la carne66, alla pescheria che organizza l’happy hour con crudità di mare e prosecco (o fritture di paranza)67, al mercato rionale che, nell’orario serale diventa un ristorante68, etc. 3) Negozi “monotipo”. – La tendenza alla specializzazione riguarda anche il settore della somministrazione. Dalle storiche sale da thé, si è passati alle zupperie69, ai negozi che vendono solo panini (100 montaditos70 o La Pagnottella Gourmet)71, o hamburger72 ovvero polpette73. Esemplari, in questo senso, le pasticcerie specializzate in cupcake o muffin74, ovvero “triangoli” di pizza trasformati (il Trapizzino)75. La chiave di successo è, in tutti questi casi, l’attenzione alle varianti, ed alle realizzazioni da gourmet con accostamenti e prodotti di alta qualità. Oppure pensati come negozi mobili76. 65 Come quello, frutto della collaborazione tra la Samsung e la Coca-Cola, nella stazione di Shinagawa a Tokyo (https://www.youtube.com/watch?v=UWb5IJhi9JM&x-yt-ts=1421914688&x-yt-cl=84503534). 66 http://argaemiliaromagna.blogspot.it/2014/05/imeat-lancia-una-guida-delle-macellerie.html. 67 http://millionaire.it/aperitivo-in-pescheria-e-boom/. 68 Sul mercato di Viale Parioli a Roma v. L. SERLONI, L’altra movida? Al mercato rionale “Contro la crisi a cena tra i banchi”, in http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/09/01/news/l_altra_movida_al_mercato_rionale_ contro_la_crisi_a_cena_tra_i_banchi-65642108/. 69 http://www.creaimpresa.it/aprire_zupperia.php. 70 http://italy.100montaditos.com/. 71 www.lapagnottellagourmet.it. 72 http://www.meetburgourmet.com/. Nel settore si segnala anche l’entrata di Eataly (www.hamburgheria dieataly.it). 73 www.polpetteria.it. 74 Come la catena Sweety Home Bakery. 75 http://www.trapizzino.it/. 76 C. SCATENI, Ape, camion e food truck: 22 esempi italiani che catturano perfettamente la magia dello street food, in http://www.dissapore.com/grande-notizia/ape-street-food-le-migliori-ditalia/. Su questa tipologia v. lo Streeat Food Truck Festival (http://www.streeatfoodtruckfestival.com). © Wolters Kluwer 132 Capitolo III Questa tendenza, comunque, riprende – ed aggiorna – temi che fanno parte di una tradizione storica presente in tutti i paesi, ossia quella del cibo da strada77. 4) Prodotti a “marchio” dei ristoranti. – Quella che è la fenomenologia della private label della grande distribuzione si estende anche alla ristorazione, con la vendita di prodotti che valorizzano il “brand” usato per la ristorazione. Anche in questo caso, esistono antesignani illustri come il “Bellini” (e il “Rossini”) prodotti industrialmente secondo la ricetta dell’Harry’s Bar di (Giuseppe e) Arrigo Cipriani78. Il fenomeno si diffonde tra le catene della ristorazione alimentare. Tra gli esempi: la catena Grill Inn che vende il tiramisù in confezione da asporto (a Roma è noto quello della pasticceria Pompi)79. RossoPomodoro propone ricotta, mozzarella, pasta e altri prodotti del napoletano oltre a un “kit di sopravvivenza del Made in Italy” (costituito da spaghetti di Gragnano, passata di pomodoro e olio d’oliva extravergine Doc) 80. Degna di nota la catena di cornetterie Caldodentro che commercializza (anche on line) le speciali marmellate che costituiscono il ripieno dei loro cornetti81. 5) L’ordinazione del cibo pronto (o del cuoco) a domicilio attraverso Internet. – Accanto alla tradizionale consegna a domicilio delle pizze (Tipico pizza), si affiancano ipotesi più sofisticate in cui, attraverso il web, è possibile ricevere a domicilio qualsiasi tipo di pietanza e, se si vuole, per- 77 S. BONAMINI, P. SOZIO (a cura di), Street Food. Il gusto autentico del cibo di strada italiano, Gambero Rosso Editore, 2014; M. ROSATI, Guida al miglior cibo di strada italiano, Milano, 2013; L. IACCARINO, Cibo di strada. Il meglio dello Street Food in Italia, Milano, 2013; C. e G. PADOVANI, Street food all’italiana, Firenze, 2012; AA.VV., Street Food. Il cibo da strada migliore del mondo. Dove trovarlo. Come farlo, a cura di T. Parker Bowles (C. Dapino, per l’edizione italiana), Lonely Planet, Torino, 2012. Su www.dissapore.com non mancano commenti polemici alle mode in tema di somministrazione di prodotti alimentari. 78 http://www.eatstore.it/eat-s-a-talent/webzines/colori-e-profumi-di-venezia-dall-harry-s-bar-alla-tavola. Eat’s è una società parte del Gruppo Coin. 79 http://www.barpompi.it/campagne/packaging/. 80 Come in tutti i RossoPomodoro è presente un corner per il merchandising ‘A Puteca (La bottega) dove si possono acquistare tanti prodotti genuini. Il kit ‘di sopravvivenza’ è costituito da: un pacco con 500 gr di pasta Afeltra, Presidio Slow Food, 400 gr. di pomodori di Sarno pelati, uno spicchio d’aglio e 125 ml di olio extravergine di oliva ottenuto rigorosamente dalle olive minucciola di Sorrento. 81 www.caldodentro.it. Dal 2014 Caldodentro ha iniziato la campagna di affiliazione. Si ringrazia Stefano Alicchio per il testing sulle loro originali marmellate. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 133 fino il cuoco che la cucini82. Il food delivery richiede che l’interessato, al momento di iscrizione al servizio, indichi il recapito. Ciò è necessario per individuare i ristoranti più vicini che aderiscono all’iniziativa, dai cui menù selezionare il piatto che si vuole ricevere a domicilio83. Il fenomeno sta interessando anche i supermercati on line (per es. Esselunga, Prontospesa o Coop) dai quali si possono ordinare pietanze esotiche (sushi, per esempio), ovvero cibi privi di elementi che causano intolleranze (come il glutine). 6) Il fenomeno della birra artigianale. – La birra artigiana in Italia, specialmente quella prodotta dai c.d. microbirrifici, è un fenomeno in costante crescita. Si tratta di un mercato piccolo (1,2% della produzione nazionale di birra per il 3% in termini di valore) ma di rilievo per il seguente ordine di motivi: a) innesta l’agricoltura alla produzione artigiana fatta da giovani; b) ha forti elementi di innovazione e di sperimentazione; c) la birra è un prodotto che incontra il favore di nuove tipologie di consumatori (per esempio le donne che, in genere, non prediligono gli alcolici)84. 7) Couponing commerce. – Vale, anche per la somministrazione, il sistema dei coupon, secondo quanto detto nel precedente paragrafo. 10. Strumenti e tecniche per l’innovazione: dal tag, all’Internet delle cose, ai sistemi predittivi Dopo aver brevemente (e lacunosamente) illustrato alcune delle “tendenze” principali che si riscontrano nelle modalità di vendita, è ora il caso di dedicare attenzione a quelle che possono essere indicate quali “strumentazioni” (o tecniche) per le nuove relazionalità B2B e B2C. Anche questa disamina mira a fornire elementi di riflessione e non ambisce a sviluppare compiutamente tutti gli argomenti indicati nel prosieguo 82 La nuova tendenza? Il food delivery: l’ordinazione del cibo a domicilio su Internet, in http://www.panorama chef.it/food-delivery/. 83 Cfr. l’esempio americano di http://www.seamless.com/. Nel nostro paese v., tra tanti, http://www.deliverex.it/deliverex.asp; http://www.loveat.it/. 84 Per ogni informazione in merito v. i seguenti siti: www.ratebeer.com, www.unionbirrai.it, www.movimentobirra.it, www.mondobirra.org. Per una descrizione delle metodologie e dei prodotti, tra tanti, si rinvia a M. ZAMORANI ALZETTA (con G. BRUNO), Il racconto della birra, Milano, 2014 (sulla storia v. p. 57 ss., mentre per la birra artigiana, p. 181 ss.); AA.VV., Guida alle birre d’Italia 2014, Slow Food Editore, 2014. © Wolters Kluwer 134 Capitolo III date le numerose implicazioni, come è facilmente verificabile in ogni testo specializzato. 1) Etichetta/marcatura/Tagging. – Il “tag” (“etichetta” o “marcatore”) è, secondo quanto si legge nell’omonima “voce” di Wikipedia, “una parola chiave o un termine associato a un’informazione (un’immagine, una mappa geografica, un post, un video clip...), che descrive l’oggetto rendendo possibile la classificazione e la ricerca di informazioni basata su parole chiave. I tag sono generalmente scelti in base a criteri informali e personalmente dagli autori/creatori dell’oggetto dell’indicizzazione. Tuttavia i tag possono anche essere usati in modo improprio, ovvero fornire indicazioni riguardo all’opinione che qualcuno ha di un’opera e quindi essere correlati al consumatore del contenuto e non al contenuto in sé”85. I tag si distinguono a seconda che siano “apposti” ad oggetti telematici (una immagine, un testo, un video, etc.), ovvero ad oggetti fisici. Hanno diverse configurazioni tecniche come il ben noto “codice a barre” (di cui esistono varie versioni, comprese quelle olografiche e tridimensionali 86), il tag NFC, il QRCode, le “etichette” di radiofrequenza Rfid. È necessario distinguere i tag che costituiscono sistemi di “classificazione” (come del resto, in qualche misura, è la stessa configurazione degli hyperlink)87 da quelli che costituiscono sistemi di “identificazione” di oggetti e di diffusione di informazioni ad essi associate. 85 http://it.wikipedia.org/wiki/Tag_%28metadato%29. I codici a barre bidimensionali sono costituiti da linee verticali perché portano solo informazioni orizzontalmente. In questi codici a barre, le informazioni sono codificate nella distanza tra le righe e nel loro spessore, che vengono lette da un lettore laser. Il tipo di codice a barre a tre dimensioni – che non va confuso con il QRCode – viene stampato come un codice a barre bidimensionale e, poi, goffrato a diverse altezze. Questo tipo di codice a barre tridimensionale usa l’altezza per trasmettere le informazioni in un modo che è simile a come nei codici a barre bidimensionali si utilizzano spessore e distanza. Questi codici a barre richiedono tuttavia uno specifico lettore, in grado di rilevare le differenze di altezza del codice a barre. 87 La citata voce di Wikipedia, al riguardo, indica quali esempi di tag i seguenti: - Delicious – Sito di social bookmarking che permette agli utenti di classificare molti siti e “taggarli” con parole chiave descrittive, che permettano ad altre persone di cercare attraverso questi termini le pagine che gli altri utenti selezionano come interessanti; - Flickr – Un servizio che permette agli utenti di “taggare” le proprie immagini con nomi specifici, verbi e aggettivi che ne descrivano il contenuto e lo rendano “ricercabile”; - Gmail – Il conosciuto sito di webmail di Google che permette la categorizzazione degli oggetti usando tag, conosciuti come “label” nelle e-mail; - Technorati – Si tratta di un motore di ricerca weblog; - Last.fm – Un social music website che permette agli utenti di taggare artisti, album e brani musicali; - Foursquare – Social network basato sulla geolocalizzazione che permette ai propri utenti di taggare i luoghi; 86 © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 135 In quest’ultima ipotesi, oltre ad accrescere le informazioni che possono essere rese disponibili ai consumatore (filiera di produzione, istruzioni d’uso, certificazioni, etc.), rendendo l’acquisto maggiormente consapevole88 e sicuro89, è possibile anche automatizzare la procedura di acquisto, per es., con i sistemi di “riconoscibilità” (e di pagamento) attraverso gli smartphone (e tablet), di cui esistono numerose App. 2) mobile e-commerce (m-commerce) ed App. – Il mobile commerce (mcommerce) indica la capacità di gestire il commercio elettronico attraverso l’uso di un dispositivo mobile come un telefono cellulare, un tablet o uno smartphone, che sfrutta una connessione ad Internet. La diffusione di questi device ha reso il tema del mobile commerce sempre più rilevante, aprendo nuove strade di sviluppo del commercio digitale e facendo in modo che esso non possa essere trascurato in un progetto di ecommerce. Il mobile offre infatti sicuramente ulteriori opportunità di vendita, soprattutto quando saranno incrementati i sistemi di micropagamenti attraverso un dispositivo (analogamente alle carte di pagamento contactless). La tecnologia smartphone incrementa notevolmente la conoscenza del web perché è utilizzata anche da chi non possiede un collegamento Internet o un computer. Questo porta a sostanziali modifiche anche nel modo di riferirsi all’acquisto di beni e servizi sul web, in quanto le persone possono decidere di acquistare anche da mobile; ricercare prodotti da acquistare (info-commerce) anche tramite smartphone e tablet; trasformare immediatamente l’esperienza on line in realtà. La posizione fisica dell’utente (geolocalizzazione) si configura, allora, un elemento determinante. Quanto ai sistemi di pagamento, le banche stanno investendo molto per consentire la consultazione e l’operatività sul proprio conto via mobile (mobile banking). Molte innovazioni stanno arrivando sul fronte dei sistemi di pagamento: - Wikipedia – Le categorie di Wikipedia sono i suoi tag; - sui siti pornografici i nomi delle pornostar e delle categorie sessuali sono tag. 88 O “responsabile”, se vengono fornite informazioni di natura “etica”. 89 Come nel caso dei tag per la tracciabilità/rintracciabilità dei prodotti (si pensi a quelli agroalimentari) anche per finalità di tutela pubblica. Per la tutela del settore agroalimentare è utilizzabile S. MASINI, Corso di diritto alimentare, III ed., Milano, 2015. © Wolters Kluwer 136 Capitolo III a) attraverso un “pulsante” sul sito del venditore, l’acquirente potrà accedere al proprio servizio di home banking ed effettuare un bonifico; b) servizi NFC (Near Field Communication) per pagare gli acquisti avvicinando semplicemente il cellulare ad un POS abilitato; c) sistemi per trasformare lo smartphone in lettore di carte di credito: lo smartphone diventa quindi uno strumento adatto sia per pagare che per ricevere pagamenti. Venendo alle App, dette anche client-side application, queste sono delle vere e proprie applicazioni – progettate specificatamente per la piattaforma di destinazione (Android, iOS e Windows) – installate sul dispositivo dell’utente e distribuite attraverso gli “App store” oppure scaricandole dal sito dell’impresa. L’attuale “deriva” è quella di realizzare siti secondo il design c.d. responsive. L’importanza di approcciarsi ad un mercato fruito da mobile rende profittevole lo sviluppo di un unico sito in grado di adattarsi al comportamento e all’ambiente di fruizione dell’utente in base a fattori, quali: le dimensioni dello schermo, la tipologia di piattaforma e l’orientamento del dispositivo. In sostanza, quando l’utente passa dal personal computer al tablet o allo smartphone, il sito si adatta automaticamente alla nuova risoluzione, adeguando immagini ed interazioni alla velocità di connessione. Questa opzione presenta tre importanti vantaggi: da un lato, garantisce un “aspetto” omogeneo indipendentemente dal dispositivo utilizzato, dall’altro, consente alle imprese di caricare i contenuti un’unica volta per tutti i dispositivi e, infine, di gestire in modo integrato tutti i touch point utilizzati dagli utenti, con enormi opportunità per la raccolta delle informazioni sulle attività svolte dai consumatori. 3) Prezzi dinamici (Dinamic pricing). – Il prezzo fisso ha cessato di essere una variabile costante ma cambia repentinamente nel tempo per costituire l’offerta temporalmente “su misura” per l’acquirente. Ha iniziato Amazon che, quotidianamente, cambia più volte i prezzi dei propri prodotti (o li abbina come “offerte speciali” per vendite cumulative), seguito da Priceline e, off line, da B&Q90. L’andamento variabile dei prezzi segue anche una delle più recenti teorizzazioni del comportamento dei 90 http://internetretailing.net/2013/10/bq-could-bring-smart-price-tags-and-variable-pricing-to-the-uk-highstreet/. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 137 consumatori, ossia il Neuromarketing che si basa sull’interazione dell’economia con la neurofisiologia dei processi di decisione di acquisto91. Nulla di realmente innovativo (alcune teoriche sono da tempo proprie degli studi sull’ipnosi e sulla PNL), se non che la dimensione web rende possibile, con un flusso di immagini, suoni, colori e suggestioni di provocare delle “risposte” delle zone cerebrali che “governano” alcuni processi cognitivi. Vengono effettuati appositi test con la visualizzazione dell’attività cerebrale attraverso sistemi di risonanza elettromagnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging) o di elettroencefalografia (EEG), per comprendere cosa effettivamente accada a livello neurocognitivo in risposta a determinati stimoli emozionali, spesso con finalità promozionali o pubblicitarie, al fine di determinare il livello di efficacia della comunicazione presa in esame92. In attesa che il sito sia in grado di “leggerci la mente” (come si dirà più avanti), il prezzo e la sua dinamica sono il principale campo di ricerca. 4) Consegne. – Ne abbiamo più volte parlato: la consegna, quando si tratta di prodotti fisici, è uno degli snodi più rilevanti per misurare l’efficienza del commercio elettronico. I servizi logistici (e l’interazione fisico/virtuale: si pensi ai Transit point ed ai Pick-up point)93, sui quali nel nostro paese siamo particolarmente carenti è, altrove, terreno di sperimentazione. Ancora una volta, grandi operatori del web sono gli alfieri di un possibile futuro. Con la liberalizzazione dell’accesso alle relative frequenze radio, Amazon ha testato l’impiego di appositi droni per la consegna di prodotti94. Il pony express robotizzato (di cui è godibile, in rete, la parodia che ne ha fatto Netflix, società di noleggio di DVD e videogiochi che utilizza in mo- 91 http://www.neurosciencemarketing.com/blog/. Y. NARAHARI, C.V.L. RAJU, K. RAVIKUMAR, S. SHAH, Dynamic pricing models for electronic business, in 30 Academy Proceedings in Engineering Sciences, (2005). p. 231 ss., in http://repository.ias.ac.in/30336/1/311.pdf. 93 Per alcune indicazioni su questi temi cfr. il quaderno INDIS-Unioncamere (con Uniontrasporti e Dintec), Logistica commerciale e distribuzione delle merci nei mercati cittadini, curato da E.M. TRIPODI e M. MARCIANI, Unioncamere, Roma, 2015. 94 In realtà all’interno dei loro magazzini. 92 © Wolters Kluwer 138 Capitolo III do efficace il servizio postale95) ha destato anche l’interesse di Google. Un gruppo di lavoro di Google X, la divisione studi e ricerche di detta società, ha testato dei droni (in gergo “quadricotteri”) con obiettivi di business affatto differenti. Il loro progetto (Project Wing), a differenza dell’impostazione di Amazon, non è quello della consegna di oggetti acquistati on line, quanto di usare tale potenzialità logistica per contribuire alla soluzione di particolari emergenze. Si pensi al rapido raggiungimento di un’area interessata da un disastro naturale, per portarvi cibo e medicinali. La “versione” delivery ordinaria potrà essere anche impiegata per luoghi a bassa densità di popolazione in cui non sarebbe conveniente la consegna con i consueti mezzi su rotaie/gomma, come ha iniziato a fare DHL96. 5) Intelligenza analitica (Analitic Intelligence). – Anche per i negozi tradizionali si aprono le possibilità di fornire messaggi personalizzati ai propri clienti direttamente sui dispositivi mobili quando questi si trovano in punti prestabiliti all’interno del negozio. Questo sistema, definito di “interazione contestuale tramite geolocalizzazione mirata”, si chiama “iBeacon” ed è il diretto concorrente dello standard NFC97. iBeacon, prodotto dalla Apple, sfrutta la tecnologia Bluetooth 4.0. Low Energy per gestire il trasferimento di dati elaborati tramite un posizionamento GPS. Attraverso una App iBeacon-ready sarà possibile ricevere – su smarphone e tablet – dei contenuti inerenti il “contesto” in cui ci si trova. Un esempio è il seguente: Immaginiamo di essere col nostro smartphone in un negozio di vestiti dotato di antenne iBeacon, e che predispone su App Store un’applicazione dedicata ai propri clienti. Entrati nell’ambiente, con Bluetooth e servizi di localizzazione attivi, il negozio 95 Un classico caso di promozione virale per “agganciamento”. Pochi si sono resi conto che si trattava di una parodia, posto che l’evoluzione verso altri sistemi di contatto logistico con i clienti è “coerente” con il core business di Netflix. Sul sistema di Netflix v. F. ANTONUCCI, L’algoritmo al potere. Vita quotidiana ai tempi di Google, Roma-Bari, 2009, p. 29 ss. Per la parodia v. http://www.webnews.it/2014/02/25/netflix-droneamazon-spot/ (dove è godibile anche il relativo spot). 96 http://www.corriere.it/tecnologia/economia-digitale/14_settembre_26/droni-dhl-amazon-google-hannopreso-volo-2ae9ca9e-4575-11e4-ab4c-37ed8d8aa9c2.shtml. Per la cronaca, di seguito, si indicano i modelli di drone in uso con, tra parentesi, il carico utile e l’autonomia di volo: DHL Parcelcopter (1,18 kg; 12 km); Copter Express Octocopter (3 kg; 2,7 km); Matternet Quadcopter (1 kg; 28 km); Flirtey Hexacopter (2,5 kg; 16 km); Google X Self-Flying Vehicle (2 kg; 1 km). Al momento in cui scriviamo è operativo solo il drone della DHL. 97 C. CARELLI, iBeacon: la sfida del Bluetooth 4.0 all’NFC passata in secondo piano, in https://www.ridble.com/ ibeacon/. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 139 potrà inviare sull’applicazione un messaggio di benvenuto al cliente, una guida per utilizzare iBeacon nel determinato locale, un coupon di sconto speciale per acquistare alcuni capi, o simili. Spostiamoci in uno scaffale. Arriviamo di fronte ad un paio di pantaloni. Bluetooth Smart farà da tramite tra l’antenna iBeacon e il posizionamento del nostro smartphone, mostrando sull’applicazione tutte le informazioni utili sul prodotto, sui modelli, recensioni, video, descrizioni particolari, e così via. Il sistema (che si basa su alcune piccole antenne come quelle Rfid) è predisposto anche per i pagamenti. Presso la cassa è possibile installare un’antenna dedicata che “riconosce” il dispositivo che “riceve” iBeacon e consente il pagamento dei prodotti, come il sistema NFC98. Il vantaggio di iBeacon – a parte la “rigidità” di Apple (anche se è compatibile sia con i sistemi iOS7 che con chi opera con Bluetooth 4.1.) – deriva dal fatto che opera su lunga distanza (fino a 50 metri) mentre il sistema NFC richiede una grande prossimità (non supera, infatti, i 20 centimetri). Su questo fronte già si sono attivati i possibili concorrenti. La Samsung ha lanciato il servizio Samsung Proximity che non ha bisogno di supporto dalle singole App perché è direttamente legato alla piattaforma Android99. Al momento iBeacon è presente in tutti gli Apple Store americani mentre, nel nostro paese ha iniziato la sperimentazione (con esisti ancora interlocutori) il Gruppo Coin100. 6) Pagamenti. – Il tema dell’impiego di sistemi di pagamento elettronico (ed il rischio sulla loro sicurezza) è un altro dei grandi topics sui ritardi nello sviluppo del commercio elettronico, nonostante siano disponibili standard più che adeguati. Secondo i dati della Banca Centrale Europea, a parte Ungheria, Romania, Grecia e Bulgaria, l’Italia è il paese con il più basso numero di acquisti con carte di pagamento (31 operazioni pro capite in un anno, poco più di 2 al mese). Dopo i Paesi scandinavi (Svezia, 98 Per altri sviluppi v. N. DI TURI, L’aeroporto del futuro tra iBeacon e Google Glass, in http://www.wired.it/ lifestyle/viaggi/2014/06/27/laeroporto-del-futuro-tra-ibeacon-e-google-glass/. 99 D. PICCINELLI, Samsung Proximity si ispira (molto) a iBeacon di Apple, in http://www.macitynet.it/samsungproximity-come-apple-ibeacon-integrato-nel-sistema/. Per la presentazione del prodotto v. http://tech.over press.it/2014/11/13/samsung-presenta-proximity-rivale-ibeacon-apple/. 100 Per inciso, nel 2005 (e, quindi, troppo in anticipo sui tempi), chi scrive con la collaborazione di D. Lopreiato, ha proposto un sistema con identiche funzionalità per il commercio “diffuso” wi-fi in vaste aree circoscritte. © Wolters Kluwer 140 Capitolo III Danimarca e Finlandia, con oltre 200), si collocano Francia (130), Spagna (52) e Germania (39). Per dare una riprova del gap tecnologico che ritarda il commercio elettronico è stato proposto un confronto tra Italia e Regno Unito dal quale è risultato che: a) solo un italiano su tre utilizza le funzionalità dell’home banking per effettuare operazioni bancarie e solo due su tre navigano su Internet per raccogliere informazioni su beni e servizi (contro quasi l’80% del Regno Unito); b) gli acquisti da parte dei consumatori sono 31 in un anno in Italia contro i 167 nel Regno Unito; c) la spesa pro capite che nel nostro Paese è inferiore agli 800 euro, rispetto ai 1400 euro degli inglesi. Queste evidenze si traducono in un fatturato riferito all’e-commerce che, nel 2013, è stato nel Regno Unito dieci volte superiore a quello registrato in Italia (rispettivamente 110 e 11,6 miliardi di euro), nonostante una popolazione residente di “consumatori” con livelli sostanzialmente analoghi quanto a numerosità 101. Tutte le rilevazioni in materia di pagamenti on line raccontano che più del 50% degli acquirenti (potenziali) abbandona l’acquisto (il c.d. “carrello”) a causa della complessità della procedura, con particolare riferimento a due aspetti: a) il pagamento appare poco sicuro; b) la registrazione richiesta per effettuare i pagamenti è troppo lunga e complessa 102. 101 Per quanto detto v. RAPPORTO COOP 2014, Consumi e distribuzione. Assetti, dinamiche, previsioni, Coop Italia, Bologna, 2014, p. 221 ss., spec. p. 224 ss. (laddove si rinvia alle interessanti tabelle). La disamina conclude osservando che: “I dati illustrano efficacemente le potenzialità di crescita che offre questa area del consumo. Secondo nostre stime il fatturato complessivo dell’e-commerce dovrebbe raggiungere una cifra prossima ai 14 miliardi nel 2014. Ipotizzando per gli anni a venire un ritmo di crescita non dissimile da quello osservato negli andamenti più recenti, la proiezione dell’ecommerce arriverebbe a quota 40 miliardi di euro di fatturato nell’arco di un quinquennio. Per colmare l’“e-gap” con il Regno Unito di oggi, invece, l’orizzonte temporale sarebbe quello di un decennio: al fine di accelerare questo percorso, è necessario rafforzare il processo di educazione finanziaria lungo le diverse coorti della popolazione e favorire lo sviluppo della moneta elettronica in tutte le aree del Paese, anche attraverso un contenimento dei costi di gestione delle carte di credito (è opportuno rimarcare come, rispetto al mondo anglosassone, le famiglie italiane presentino un livello di indebitamento tipicamente inferiore; in questo senso la carta di credito è un utile strumento per finanziare piccole esborsi di spesa). Particolare attenzione andrebbe rivolta al Mezzogiorno, gravato da un deficit infrastrutturale a cui solo la diffusione della banda larga potrebbe porre rimedio, ed alle fasce di popolazione più mature, che potrebbero decidere di indirizzare verso i canali digitali la loro più elevata capacità di spesa” (RAPPORTO COOP 2014, cit., p. 226 s.). 102 G. CHARLTON, Why do consumers abandon online purchases?, in https://econsultancy.com/blog/7730-whydo-consumers-abandon-online-purchases/. Dal 2011 la situazione rispetto ai consumatori non è cambiata cfr. Perchè l’ecommerce non decolla in Italia, in http://www.wmtools.com/news/e-commerce/perchelecommerce-non-decolla-in-italia. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 141 Una possibile soluzione al problema potrebbe essere il nuovo sistema di identificazione di PayPal: PayPal Access103. Questo nuovo sistema di identificazione dovrebbe rendere ancora più sicuro l’acquisto on line, senza aver bisogno di ricordare numerose password. In pratica con due soli click l’utente può registrarsi e accedere a un sito di e-commerce: le informazioni personali, come ad esempio l’indirizzo di consegna, saranno aggiornate automaticamente. Con questo nuovo sistema, all’utente potrà addirittura non essere più richiesto di registrarsi presso il sito, ma per completare l’acquisto di un prodotto verranno chiesti unicamente i dati di identificazione di PayPal. In questo modo si salta quel passaggio che, come detto prima, spaventa e scoraggia il visitatore e, in più, si può sfruttare tutta la sicurezza del sistema PayPal104. Ma il futuro si avvicina ancora con i pagamenti basati su tecnologie AIDC (Automatic Identification and Data Capture)105, ovvero sistemi telematici capaci di riconoscere ed identificare individui in base alle caratteristiche biologiche (biometria) precedentemente acquisiti in specifici database, il tutto applicato a sistemi di pagamento106. Sul fronte dei pagamenti biometrici touchless si segnala anche il progetto “Papillon” in corso di sviluppo e sperimentazione da parte di Unicredit in Italia107. Basta avvicinare la mano ad un sensore integrato in un POS ed è possibile effettuare il pagamento di quanto acquistato 108. La tecnologia alla base di questo sistema è il riconoscimento della mappa103 https://www.paypal.com/uk/webapps/mpp/accesscard. Per la presentazione del servizio v. http://www.webnews.it/2011/10/14/e-commerce-il-login-si-fa-conpaypal-access/. 105 http://en.wikipedia.org/wiki/Automatic_identification_and_data_capture (anche se molto approssimativa). 106 In Europa la Banku Polskiej Spółdzielczości S.A. (BPS Bank) è stata la prima ad attivare in Europa uno sportello ATM con riconoscimento biometrico dotato di scanner in grado di leggere l’impronta digitale (http://www.hitachi.eu/about/press/pdfs/Press_Release_Hitachi_ITC_14%20May%202014%20FINAL%20r.p df.). Isbank, una delle più grandi banche in Turchia, ha integrato 2.400 lettori biometrici delle vene nella rete ATM con l’obiettivo di aumentare la sicurezza e la convenienza dei servizi (http://www.digitalsecurity magazine.com/it/2012/02/15/el-isbank-despliega-mas-de-2-400-atms-con-lectura-biometrica-de-venas-hitachifinger-vein/). In Brasile, peraltro, già da alcuni anni sono attivi degli sportelli con la lettura biometrica del palmo della mano (v., per es. quelli della Bradesco: http://www.marketplace.org/topics/tech/brazilian-banks-lead-waybiometrics). La società giapponese Oki Electric Industry Co. in collaborazione con la società leader del settore Mofiria (http://www.mofiria.com/en/) sta fornendo alcuni sistemi bancari (tra i quali la Bank of Lanzhou in Cina) di sistemi di autenticazione basati sul riconoscimento delle vene delle dita. 107 https://www.unicreditgroup.eu/it/banking-group/innovation/research---development.html; http://www.il sole24ore.com/art/tecnologie/2012-12-21/pagare-sola-imposizione-mano-222728.shtml?uuid=AbmwMJEH 108 https://www.youtube.com/watch?v=kk2VvCTXulw. 104 © Wolters Kluwer 142 Capitolo III tura delle vene della mano attraverso lo spettro emesso dall’emoglobina contenuta nel sangue quando viene colpita da un impulso elettromagnetico. Non ci sono database di foto o mappature delle mani degli utenti, semplicemente quando l’utente si registra la mappatura viene tradotta in una serie numerica che quindi verrà riconosciuta ogni volta che si effettuerà il pagamento109. 7) la prototipazione rapida e stampa 3D. – Per stampa tridimensionale (o stampa 3D) s’intende la procedura – attuata con un apposito macchinario (stampante) ed il relativo software – per la costruzione di oggetti solidi attraverso un sistema di addizione o di sottrazione di materiali. I procedimenti tecnici di stampa 3D si distinguono, infatti, in due tipologie principali. Quella più nota è la stampa “additiva”, in cui l’oggetto viene costruito depositando strati successivi del materiale impiegato. La stampa può anche essere “sottrattiva”, in cui partendo da un blocco di materiale viene asportato quello non necessario alla configurazione dell’oggetto, similmente a quanto fa lo scultore quando lavora su un blocco di marmo. La stampa “additiva” presenta il vantaggio di comportare uno scarto minore di materiale rispetto alla stampa “sottrattiva” che, quindi, risulta antieconomica soprattutto quando i materiali avanzati (sotto forma di sfridi o trucioli) non possono essere riutilizzati, ovvero il loro riciclo richiede procedure costose. La stampa 3D ha, anzitutto, reso più semplice la preparazione di un prototipo prima del definitivo avvio della fase di produzione in serie. Di recente, ha reso possibile la realizzazione (e vendita) di “pezzi unici” su ordinazione da parte di artigiani in grado di ‘progettare’, sviluppare e rifinire “idee” proposte dai clienti. Si parla di “progettare” perché la stampa 3D, oltre all’apposito macchinario ed al materiale, richiede una elaborazione tridimensionale dell’oggetto (attraverso i software di modellazione 3D disponibili in commercio come Blender, Autocad e OpenScad) dalla quale sono tratte delle “porzioni” in sezione trasversale110. Ciascuna “porzione” è 109 Sui sistemi di pagamento si rinvia al Capitolo IV, parr. 7-10. Dal “modello” salvato nel formato .STL si passa all’utilizzo di un software apposito che viene comunemente detto Slicer [come Cura engine (http://software.ultimaker.com), Slic3R (http://repra.org/wiki/Slic3r), etc.] che “affettano” l’oggetto per gestire la deposizione del materiale. Inseriti tutti i parametri (come lo spessore, la velocità di stampa, etc.) si può mandare in stampa l’oggetto salvando il file in un formato apposito che possa essere letto dalla stampante 3D, il G-Code. 110 © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 143 stampata una sopra l’altra per creare l’oggetto. Il prodotto – che ha un aspetto “grezzo” – è sottoposto successivamente ad una fase di rifinitura. Esistono numerose tecnologie per la stampa 3D additiva, tra cui: - la stampa FDM (Fused Deposition Modelling) che consiste nella deposizione, mediante un sistema di estrusione, di materiale plastico fuso (a partire da filamenti, micropallet e tricioli). Quando il materiale usato è in forma di filamenti, la relativa tecnologia è detta FFF (Fused Filament Fabrication)111; - la stampa SLS (Selective Laser Sintering) che consiste nella sinterizzazione, attraverso il calore generato dalla concentrazione di un raggio laser, di materiali come metalli (anche molto resistenti come il titanio), pietre, vetro, materiali plastiche; - la stampa EBM (Electronic Beam Melting) che costituisce una variante della precedente, in cui il calore necessario alla fusione del materiale è generato da un fascio concentrato di elettroni; - la stampa stereolitografica (o SL) in cui il processo prevede la costruzione di oggetti solidi attraverso l’irradiazione luminosa di una resina fotopolimerica, cioè di fogli di una resina polimerica fotosensibile che vengono fusi ed incollati l’uno sopra l’altro; - la stampa in Digital Light Processing (DLP), laddove una vasca di polimero liquido è esposto alla luce di un proiettore DLP in condizioni di luce inattinica. Il polimero liquido esposto si indurisce. La piastra di costruzione poi si muove in basso in piccoli incrementi e il polimero liquido è di nuovo esposto alla luce. Il processo si ripete finché il modello non è costruito. Il polimero liquido è poi drenato dalla vasca, lasciando il modello solido. Ogni metodo ha i suoi vantaggi e inconvenienti, e conseguentemente alcune società offrono una scelta tra polvere e polimero come materiale dal quale l’oggetto è ricavato. Generalmente, i fattori principali presi in con- 111 I materiali utilizzati sono i seguenti: a) PCL (Polycaprolactone); b) PVA (Polyvinil Alcool); c) PLA (Polylactic Acid), disponibile nelle versioni morbido e duro; d) PET (Polyethylene terephthalate) reperibile sul mercato anche con i seguenti “nomi”: Arnite, Tecapet, Impet, Rynite, Ertalyte, Melinex, Mylar, Dacron, Tergal, Terital, Terylene, Diolen; e) HIPS (Hight Impact Polystyrene); f) ABS (Acrilonitrile Butadiene Stirene); g) BendLay che è il nome commerciale di un ABS modificato; h) Nylon (noto nome commerciale della Dupont) costituito da una miscela di poliammide e alifatici; i) PC (Policarbonato) che è un poliestere dell’acido carbonico; l) TPU (Poliuretano Termoplastico). Si utilizzando anche miscele di materiali termoplastici come l’unione tra PCL e carbonio; Laywood o Laybrick, rispettivamente, ottenuti aggiungendo nel copoliestere della polvere di legno o di gesso; miscele fosforescenti, etc. © Wolters Kluwer 144 Capitolo III siderazione sono la velocità, il costo del prototipo stampato, il costo della stampante 3D, la scelta dei materiali, le colorazioni disponibili, ecc.112 Si diceva delle possibilità concrete di business con tale tipologia di strumenti113. La Rinascente di Milano, in occasione della “Settimana del design” (aprile 2014), ha ospitato artigiani che hanno realizzato direttamente nel punto vendita dei piccoli gioielli (collane, pendenti, bracciali, gemelli da polso, anelli, etc.)114. Con i sistemi sopra descritti (poliammide sinterizzata, ceramica, acciaio) vengono anche realizzati oggetti di design per arredamento (lampade, vasi, vassoi, etc.)115. La stampa 3D apre una serie molto ampia di profili giuridici che vanno dalla proprietà dei progetti, all’innovazione nella stampa (e nelle relative macchine), al trasferimento di tecnologia, alla tutela della riservatezza, etc., sui quali non è dato qui insistere116. 8) L’Internet delle cose (Internet of Things - IoT). – Per “Internet delle cose” s’intende l’evoluzione della rete Internet, con la presenza di cose, oggetti pensati per le loro proprie funzioni (un televisore, un ombrello, 112 V. http://it.wikipedia.org/wiki/Stampa_3D. Che, peraltro, hanno aperto un nuovo mercato: quello delle stampanti 3D d’uso “domestico” in vendita (complete o in kit di montaggio), per es., su Amazon (nel 3D Printing Store: http://www.webnews.it/ 2014/07/29/amazon-apre-un-negozio-di-prodotti-stampati-in-3d/) e, in Italia, presso Mediaworld. Sono nate anche catene in franchising di negozi per la stampa in 3D come 3DItaly (http://www.3ditaly.it/franchisingstampa-3d-made-in-italy/), ovvero InstaTwin che realizza statuette in 3D che riproducono una miniatura, in scala 1/10 del soggetto interessato (in gergo detti “Mini-me o Mini-self), in un box da regalo (http://instatwin.it/). 114 M.T. DELLA MURA, Cult Rinascente, in Mark Up, n. 233, ottobre 2014, p. 48 ss. Il comunicato stampa (presente su http://www.sharebot.it/designweek/index.html) era il seguente: “Maison 203 MYBF Collection @LaRinascente (4-13 Aprile - La Rinascente, Piazza del Duomo 3) - A distanza di sette mesi dalla fiera Maison&Objet di Parigi, Maison 203 si presenta a Milano durante la settimana del design dal 4 al 14 aprile con udue seum for New Design 2014 a Superstudio 13 in Via Tortona e all’interno di La Rinascente Duomo al quarto piano Fashion Donna. Due importanti spazi espositivi e di vendita per presentare nuovi articoli e nuove collezioni di accessori/gioielli tutti prodotti in stampa 3D. Nuove collaborazioni con designer italiani molto riconoistenti ed una nuova collezione chiamata 3D Lab Collection fatta interamente in Italia proprio dalla coppia di designer a Treviso e prodotta con delle stampanti 3D Sharebot con la tecnologia FDM (Fused Deposition Modeling) usando il materiale PLA, (una bioplastica derivata dall’amido di mais 100% riciclabile)”. Per vedere i gioielli in vendita v. http://www.maison203.com/. 115 http://www.exnovo-italia.com/. 116 V., per i termini generali, delle problematiche dell’innovazione sul web C. GALLI, L’innovazione nel web. Tra elettronica, computer implemented inventions, software e funzionamento della rete internet: opportunità e problematiche giuridiche, in http://www.filodiritto.com/articoli/2014/11/linnovazione-nel-web-tra-elettronica-computer-implemented-inventions-software-e-funzionamento-della-rete-internet.html mentre, sulla stampa 3D, l’e-book, collettaneo curato da C. GALLI, A. ZAMA, Stampa 3D. Una rivoluzione che cambierà il mondo, Bologna, 2014. 113 © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 145 un frigorifero, etc.) che si rendono “riconoscibili” on line e sono in grado di comunicare e ricevere informazioni117. Già attualmente, alcuni oggetti dotati di etichette Rfid o di Codici QR sono in grado di comunicare informazioni in Rete o a dispositivi mobili (come scanner o smartphone) ma non sono in grado di svolgere “funzioni” una volta ricevute informazioni. Per fare ciò occorrono dei dispositivi (detti “attuatori”) che si “connettono” ad Internet sulla base di protocolli IP118. In particolare il passaggio dall’IPv4 alla formidabile “capienza” dell’IPv6 consentirebbe di poter dotare di un indirizzo “unico” ogni oggetto presente sul nostro pianeta119. Gli effetti, anche nelle attività commerciali, sono notevoli poiché a “vendere” ed “acquistare” potrebbero essere direttamente gli oggetti. Il tipico caso di scuola è il frigorifero che riceve un segnale dalla bottiglia di latte che è quasi esaurita e, di conseguenza, si connette al supermercato on line per avere la consegna di una nuova bottiglia. Oppure, tanto per restare nel campo degli elettrodomestici, la lavastoviglie che richiede la manutenzione o “acquista” il nuovo software gestionale, etc. I campi di utilizzo dell’IoT appaiono molteplici. Se ne indicano alcuni: - l’utilizzo efficiente della generazione di energia, con la “gestione” del consumo energetico degli apparati connessi; - gli oggetti che “animano” le smart cities: dai cartelloni pubblicitari, alle paline delle fermate degli autobus, ai tombini, ai cassonetti, ai semafori, all’illuminazione, etc.; - la logistica cittadina delle merci e delle persone, con la possibilità di guida senza pilota o di servizi di infomobilità; - il controllo completo delle funzioni domestiche; - la gestione di apparati biomedicali. Nell’ambito dell’IoT rientra anche la “relazione” c.d. M2M (Machine to Machine), ossia il ‘collegamento’ tra apparati attuato tramite reti wireless (e cloud compiuting)120. Ciò riguarda anche le relazioni “dirette” tra 117 Il tema è tutt’altro che recente come si crede. V., per es., N. GERSHEFELD, Quando le cose iniziano a pensare, Milano, 1999 cui adde le ricerche di D.A. NORMAN, compendiate nei due testi divulgativi Il design del futuro, Milano, 2008 e Il computer invisibile, II ed., Milano, 2005. 118 F. DACOSTA, IoT.Internet delle cose. Un mondo di oggetti connessi, Milano, 2014; A. MCEWEN, H. CASSIMALLY, L’Internet delle cose, Milano, 2014. 119 Per dare un senso a quanto detto si consideri che, per ogni metro quadro di superficie terreste, con l’IPv4 a 32 bit si hanno solo 0,000007 indirizzi (ossia 7 ogni milione di metri quadri) mentre con l’IPv6 a 128 bit, se ne contano 655.571 miliardi di miliardi. 120 M. FELL, Roadmap for the Emerging Internet of Things. Its Impact, Architecture and Future Governance, UK, 2014. © Wolters Kluwer 146 Capitolo III smartphone (m2m), specialmente se questi sono dotati di sistemi “intelligenti”. Nel maggio 2013, le società KORE Telematics, Oracle, Deutsche Telekom, Digi International, Orbcomm e Telit hanno costituito The International M2M Council (IMC). Si tratta della prima organizzazione commerciale diretta a gestire l’intero sistema M2M ed a guidare le imprese verso le potenzialità insite nelle comunicazioni tra macchine121. 9) Privacy/Cloud computing/Big Data. – Le informazioni sono, con tutta evidenza, il “motore” di Internet e di tutte le tecnologie che ne costituiscono le relative infrastrutture. Accanto a quelle necessarie al funzionamento di dette tecnologie, si collocano quelle relative ai soggetti ed agli oggetti. Ogni volta che abbiamo acceso il computer, lo smarphone, usato il bancomat, la carta di credito, navigato qui e lì, ricevuto e-mail, abbiamo generato consistenti flussi di dati, la cui “correlazione significativa” costituisce il nucleo delle informazioni. Migliaia di Data Center, localizzati nelle Farm in ogni parte del pianeta, sono alimentati da 30,7 exabyte al mese che, secondo le previsioni di Cisco Systems, nel 2016 arriverà a 110 exabyte al mese, pari a 1,3 zettabyte (un zettabyte equivale ad un trilione di gigabyte)122. Oltre a quelli inseriti dagli “utenti” vi sono quelli “raccolti” attraverso CCTV, Profili digitali, reti fisse, mobili, satellitari (LAN, WAN, GPS, WIMAX e WI-FI pubblici e privati, tecnologie di prossimità bluetooth, sensori, Rfid, NFC) e quindi tutte le architetture mobili, ma anche i nuovi sistemi cloud (pubblici, privati o ibridi). Non ultime le elaborazione di quanto “accade” nei social network (foto, video, tweet, I Like, commenti, tags, etc.). 121 Nella “voce” inglese di Wikipedia, si indicano le seguenti iniziative sull’implementazione dell’M2M: - Eclipse M2M Industry Working Group (open communication protocols, tools, and frameworks), the umbrella of various projects including Koneki, Eclipse SCADA; - ITU-T Focus Group M2M (global standardization initiative for a common M2M service layer); - 3GPP studies security aspects for Machine to Machine (M2M) equipment, in particular automatic SIM activation covering remote provisioning and change of subscription; - Weightless (wireless communications) - standard group focusing on using TV ‘white space’ for M2M; - XMPP (Jabber) protocol; - OASIS MQTT - standards group working on a lightweight publish/subscribe reliable messaging transport protocol suitable for communication in M2M/IoT contexts. 122 http://www.gizmodo.it/2012/05/31/quanto-e-grande-internet-307-exabyte-al-mese.html; http://www.web news.it/2013/01/17/2012-quanto-e-grande-internet/. © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 147 Accanto si collocano i problemi di privacy, che assumono connotati molto diversi dal “diritto di essere lasciati in pace”123, visto che non è più possibile sfuggire – in un modo o nell’altro – alla “cessione” dei propri dati. Dati, si diceva, che “collegati” (anche senza bisogno di autorizzazione) ad altri elementi, forniscono informazioni per profilare i comportamenti e le connessioni, secondo i risultati ai quali è pervenuto S. Wolfram124, per il quale l’infinita complessità dell’universo, e la sua incomputabilità a causa dei fenomeni di casualità imponderabile, possono “finire”, come per la meccanica quantistica, nel ‘collassare’ in un dato momento, finendo per determinare il “valore” di quel “momento”. La processazione delle informazioni si costituisce attorno ad un “disegno” reticolare, secondo alcuni parametri che sono stati osservati scientificamente, attraverso la mappatura neurale del nematoda Celegans125, in cui si è verificato come i “nodi” delle “reti complesse” non hanno né una configurazione regolare, né una configurazione casuale, bensì si strutturano secondo quelli che sono stati definiti “Mondi piccoli” (small world), ossia un diametro ridotto rispetto ad una suddivisione regolare, un raggruppamento molto più elevato rispetto ad un assembramento casuale e, infine, la presenza di “significativi” nodi-hub con un numero elevato di “collegamenti”126. Di fronte a questa situazione, in cui l’informazione può essere “dedotta” dalle connessioni ai nodi-hub (della serie: i gusti di un amico di un nostro amico non sono troppo distanti dai nostri), si apre il tema delle valutazioni in chiave di “Big Data”, di quella enorme mole di dati su cui oggi si basano gli algoritmi di previsione dei comportamenti che sono alla base della Business Intelligence. Elaborazioni in grado, quindi, di migliorare l’“intelligenza” di chi “propone” qualcosa attraverso Internet e che “collaziona” dati provenienti da fonti diverse (si pensi all’analisi delle telefonate ai call center aziendali). Anche se, al momento, non si riesce a stabilire una “verità” (qualcosa sfugge sempre all’analisi, salvo quanto si dirà), per le imprese è diventato obbligatorio adottare una strategia improntata alla Business Intelli- 123 Classico – e scontato – il riferimento a S. WARREN, L. BRANDEIS, The Right to Privacy, in 5 Harv. L. Rev. (1890), p. 193 ss. 124 S. WOLFRAM, A New Kind of Science, Ill, 2002; G. CHAITIN, Alla ricerca di Omega, trad. it., Milano, 2007. 125 http://it.wikipedia.org/wiki/Caenorhabditis_elegans. 126 A.-L. BARABÁSI, Link. La scienza delle reti, trad. it., Torino, 2004. © Wolters Kluwer 148 Capitolo III gence, per la cui concretizzazione nei Big Data c’è una “risposta” (accettabile) a quella che è la “domanda” degli interlocutori127. Sulla base di queste analisi si muoverà – ed evolverà – l’impresa digitale del (prossimo) futuro, con una “mutazione” analoga a quella che ha caratterizzato, in milioni di anni, l’evoluzione degli esseri umani. E l’intelligenza umana, contrariamente a quanto comunemente si crede, non ha alcuna somiglianza con un computer (biologico), posto che i suoi pregi sono derivanti proprio da una “computazione” ridondante e imperfetta ma adattabile ai diversi contesti128. La gestione dell’informazione, specie se colloca al centro le esigenze del consumatore cui ci si rivolge, diventa uno dei principali fattori di produzione (e non una mera funzione di controllo), contribuendo in modo determinante alla creazione del valore dell’impresa. Ciò provocherà la maturazione che la gestione dell’informazione contribuirà a fornire una sorta di “intelligenza” al “sistema-impresa”, come, per restare alla metafora del computer, una sorta di sistema operativo e non già un software di tipo applicativo. Ne sono corollari alcuni elementi, sui quali non è possibile qui indugiare: a) il controllo in ogni fase di produzione ed utilizzo; b) la crescita di livelli di “servizio” (anche per le reti di imprese connesse tra loro); c) l’attenzione ai parametri di sicurezza (non solo, semplicisticamente, in termini di tutela della privacy); d) l’impiego di modelli neuronali di gestione cloud dei dati; e) l’utilizzo di interfacce uomo/macchine129. Si diceva che ancora siamo (per fortuna) lontani da una “ricostruzione” della “verità” su “chi siamo” e cosa “realmente” vogliamo. Ma non troppo lontani. Già si utilizzano reti neuronali per il riconoscimento facciale (per le esigenze connesse alla prevenzione del terrorismo) e dalle analisi 127 Cfr., in termini giornalistici, http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-05-24/algoritmi-sannotutto-difenderci-151611.shtml?uuid=AbQ35oyH. Con qualche elemento in più http://www.digital-intelligence.it/2014/10/24/analisi-di-business-insight-raccomandazioni-forecast/ 128 Per un quadro semplice e suggestivo v. D.A. NORMAN, Il computer invisibile, op. cit., p. 153 ss. 129 “In un futuro prossimo saremo in grado di orientarci tra Bci (interfaccia cervello-computer), Mmi (interfaccia mente-macchina), Dni (interfaccia diretta neutrale), Sti (interfaccia telepatica sintetica) e Bmi (interfaccia cervello-macchina). Controlleremo apparecchi robotici con la sola mente e avremo nanobot, piccoli droni autoreplicabili, all’interno del nostro corpo, che potranno diagnosticare o curare malattie e che saranno in grado di ricablare molecola per molecola il nostro cervello. Quando? Sembra nella prima metà 2020” (Così N. IACOBACCI, in http://nova.ilsole24ore.com/frontiere/il-controllo-della-mente-da-fantascienza-arealta). © Wolters Kluwer Il commercio elettronico. Modalità e tendenze 149 predittive dei comportamenti si passerà a sistemi “confermativi” grazie alla elaborazione delle microespressioni facciali130. Per fare ciò servirà, molto probabilmente, la capacità elaborativa di un grid cloud computing, probabilmente di tipo quantistico. Per la realizzazione di un tale computer si prevede che siano necessari 10 anni131; sembrano tanti, ma, in fin dei conti, Arpanet è nata nel 1969, mentre il WWW (e, quindi, Internet), solo nel 1982132. 130 Per la teoria e la pratica delle microespressioni facciali v. P. EKMAN, La seduzione delle bugie, Di Renzo Editore, Roma, 2011; ID., I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, Firenze, 2011; ID., Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Amrita Editore, Torino, 2008; P. EKMAN, W.V. FRIESEN, Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dalle espressioni del viso, Firenze, 2007. Una estrisecazione illustrativa delle tecniche di Ekman sono alla base della Serie TV “Lie to Me” (http://it.wikipedia.org/wiki/Lie_to_Me). 131 N. NOSENGO, La lenta marcia del computer quantistico, in http://www.treccani.it/magazine/ piazza_enciclopedia_magazine/tecnologia/il_computer_quantistico_si_avvicina.html. 132 http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Internet. © Wolters Kluwer 151 CAPITOLO IV PROFILI GENERALI DELLA CONTRATTUALISTICA IN INTERNET SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le regole del codice civile applicabili ai contratti conclusi in Rete - 3. Le regole indicate dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70 sul commercio elettronico. Un quadro generale - 4. Segue: le indicazioni sui contratti conclusi per via elettronica - 5. Il commercio elettronico nel Codice del consumo. Rinvio - 6. Alcune modalità di “relazione” tra venditori e consumatori on line: qualche spigolatura - 7. Le forme di pagamento su Internet - 8. Segue: il Mobile Remote Payment - 9. I pagamenti telematici: le indicazioni del legislatore - 10. Segue: qualificazione giuridica della moneta elettronica ed effetti sulle obbligazioni pecuniarie 1. Premessa La contrattazione su Internet soggiace alle ‘normali’ regole previste dal codice civile, alle quali si aggiungono le disposizioni espressamente dettate dal D.Lgs. n. 70/2003 che, in attuazione della dir. n. 2000/31/CE, ha indicato alcune disposizioni “specifiche” per il commercio elettronico1 anche se, per quanto riguarda la conclusione dei contratti on line, il legislatore ha ritenuto che la materia non presentasse degli elementi di specificità tali da giustificare un apposito intervento normativo. Pertanto si è limitato a fissare il principio generale della necessaria equiparazione 1 Sul commercio elettronico, oltre a E.M. TRIPODI, F. SANTORO, S. MESSINEO, Manuale di commercio elettronico, Milano, 2000, si v., in una bibliografia alluvionale, AA.VV., Trattato breve di diritto della rete, Rimini, 2001; M. GHERARDI, E-commerce, acquisti on line e condizioni generali di contratto: il business to consumer, in Resp. comunicaz. impresa, 2001, p. 447 ss.; L. CAVALAGLIO, L’art. 11 della Direttiva 2000/31/CE e le tecniche di conclusione del contratto telematico, in Dir. informaz. informatica, 2001, p. 95 ss.; AA.VV., I problemi giuridici di Internet, Milano, 2002; AA.VV., Commercio elettronico, Milano, 2002; G. CASSANO, I.P. CIMINO, Contratto via Internet e tutela della parte debole, in Contratti, 2002, p. 870 ss.; G. CASSANO, Il commercio via Internet, Piacenza, 2002; AA.VV., Commercio elettronico, documento informatico e firma digitale: la nuova disciplina, Torino, 2003; F. DELFINI, Il commercio elettronico, Milano, 2004; C. ROSSELLO, La nuova disciplina del commercio elettronico. Principi generali e ambito di applicazione, in Dir. comm. internaz., 2004, p. 43 ss.; AA.VV., Manuale di diritto dell’informatica, a cura di D. VALENTINO, Napoli, 2004; M. CIAN, Noterelle sparse su conclusione del contratto per via telematica e d.lgs. n. 70 del 2003, in Corriere giur., 2005, p. 861 ss.; A. GENTILI, Il codice del consumo e i rapporti on line, in Dir. dell’Internet, 2005, p. 545 ss.; F. BUFFA, Il consumatore elettronico. Comportamenti e strategie, in Dir. Internet, 2006, p. 525 ss.; A. LISI (a cura di), I contratti di Internet. Sottoscrizione, nuovi contratti, tutela del consumatore, privacy, e mezzi di pagamento, Torino, 2006; G. SCORZA, Il codice del consumo ed i contratti conclusi con il cyberconsumatore, in Ciberspazio e diritto, 2006, 3, p. 357; G. SCORZA, Il diritto dei consumatori e della concorrenza in internet, Padova, 2006; AA.VV., Commercio elettronico, a cura di C. ROSSELLO, G. FINOCCHIARO, E. TOSI, Padova, 2007; INDIS, Guida multimediale al commercio elettronico, II ed., a cura di E.M. TRIPODI, M. VINCENTI, Rimini, 2008; E. TOSI, Contratti informatici, telematici e virtuali, Milano, 2010; AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, a cura di E. TOSI, 2 tomi, Milano, 2012; B. SANTACROCE, S. FICOLA, Il commercio elettronico, Rimini, 2014. © Wolters Kluwer 152 Capitolo IV – sotto il profilo degli effetti giuridici – tra i contratti conclusi on line e quelli tradizionali. Occorre, quindi, adattare la “materia contrattuale”, adeguandola alle caratteristiche proprie dello strumento telematico2. Il complesso di regole (di diversa fonte di produzione) comincia, tuttavia, a diventare imponente poiché, come si visto in precedenza3, l’attività on line, data la “convergenza” verso un mercato potenzialmente globale, determina la necessità di soluzione di problemi prima sconosciuti4. 2. Le regole del codice civile applicabili ai contratti conclusi in Rete a) Individuazione del contraente L’unico sistema per poter individuare con certezza il contraente in un contratto concluso in Rete si sostanzia nell’impiego della firma elettronica o digitale che permette il preciso “collegamento giuridico” con la titolarità della chiave di cifratura impiegata. È anche possibile – attraverso la consultazione dell’archivio WHOIS – conoscere a chi sia “intestato” un nome di dominio ma questo non significa affatto che poi questo soggetto sia il “titolare” (e responsabile) dell’attività svolta attraverso il sito che è “raggiungibile” con detto nome di dominio. Altre modalità di individuazione del contraente sono possibili: a) mediante le informazioni che, ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 70/2003, sono dovute alla generalità (secondo quello che si dirà più avanti); 2 “Nell’ambito di una vendita via Internet di beni occorre distinguere tra le norme che regolano l’atto di vendita, in particolare l’offerta on line e la conclusione del contratto con mezzi elettronici, le quali rientrano nell’ambito regolamentato dalla Direttiva n. 2000/31/CE dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“direttiva sul commercio elettronico”), e le norme relative alle condizioni in cui la merce venduta può essere consegnata sul territorio di uno Stato membro, le quali devono essere invece valutate alla luce degli artt. 34 e 36 Trattato 25 marzo 1957 sulla libera circolazione delle merci” (Corte giust. UE, sez. III, 2 dicembre 2010, n. 108, Ker-Optika bt c. ÀNTSZ Dél-dunántúli Regionális Intézete, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2011, p. 1148 ss.). 3 V., retro, il Capitolo III. 4 Cfr. E.M. TRIPODI, F. SANTORO, S. MISSINEO, Manuale di commercio elettronico, op. cit., Più di recente E. TOSI, La dematerializzazione della contrattazione: il contratto virtuale con i consumatori alla luce della recente novella al codice del consumo di cui al d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Contr. impresa, 2014, p. 6 ss.; E. TOSI, Contratti informatici, telematici e virtuali, Milano, 2010. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 153 b) nella “conferma” dell’ordine che deve essere inviato (via mail) quando si effettua un ordine di acquisto on line (l’obbligo è anch’esso previsto dal citato D.Lgs. n. 70/2003); c) nell’assolvimento di tutti gli obblighi di preventiva “disclosure” previsti da alcune disposizioni normative (per es. quelle che tutelano i consumatori), di cui si dirà innanzi. b) Vizi della volontà Ai contratti telematici si applicano le regole del codice civile in relazione ai vizi della volontà. Così, per es., il contratto sarà annullabile per errore quando questo sia essenziale e riconoscibile da parte dell’altro contraente (il caso tipico è la digitazione di una somma che palesi al venditore la sua erroneità). Anche le regole sul dolo sono parimenti applicabili, trattandosi del caso in cui – senza gli artifizi o raggiri – il contraente non avrebbe stipulato il contratto5. Alla contrattazione telematica si applicano inoltre le disposizioni penali sulla criminalità informatica (di cui, per es., alla L. 23 dicembre 1993, n. 547). c) Tempo di conclusione del contratto Ai sensi dell’art. 1326 c.c., il contratto si conclude nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Proposta ed accettazione producono i loro effetti dal momento in cui vengono a conoscenza del relativo destinatario (art. 1334 c.c.). Il nostro ordinamento prevede poi una presunzione semplice di conoscenza (e, dunque, di efficacia) dell’accettazione che avviene, giusta l’art. 1335 c.c., nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, a meno che questi non provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prenderne conoscenza. Queste regole trovano applicazione anche nell’ipotesi di contrattazione su Internet. 5 A. GENTILI, E. BATTELLI, Le patologie del contratto telematico, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, op. cit., p. 371 ss., spec. p. 403 ss. © Wolters Kluwer 154 Capitolo IV La dottrina maggioritaria afferma che il contratto on line si conclude nel momento in cui il server del provider del prestatore riceve l’impulso elettronico contenente l’espressione della volontà, da parte del destinatario, di accettare l’accordo. Conferma di ciò è data dall’art. 13, co. 3, secondo cui “l’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti alle quali sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi”. Per quanto riguarda le modalità attraverso cui si sceglie di manifestare la propria volontà la dottrina individua molteplici soluzioni: 1. via e-mail: il proponente invia una proposta contrattuale attraverso un messaggio di posta elettronica ad un soggetto determinato, individuato attraverso il suo indirizzo e-mail; 2. per factia concludentia: il proponente richiede, o per la natura dell’affare, o secondo gli usi, che la prestazione si debba eseguire senza fornire preventivamente la risposta di accettazione (ex art. 1327 c.c.); 3. con offerta al pubblico: il proponente utilizza un sito web organizzato come un negozio virtuale su cui viene pubblicata la sua proposta che può essere recepita da qualunque visitatore; 4. mediante invito a proporre: il proponente utilizza un sito web su cui non è inserita un’offerta contrattuale completa, ma un invito pubblico a rivolgere al venditore una proposta, che il venditore stesso si propone di accettare o rifiutare, basata su alcuni elementi già forniti sul sito. Nel primo caso, parte della più accreditata dottrina, richiamando il combinato disposto degli artt. 1326 e 1335 c.c., sostiene che il contratto si considera concluso nel momento in cui l’accettazione del destinatario perviene all’indirizzo di posta elettronica del proponente. Infatti, in base al principio di natura codicistica della c.d. presunzione di conoscenza, “le dichiarazioni contrattuali dirette ad una persona si presumono conosciute quando arrivano all’indirizzo del destinatario”, salva la prova di essere stato, in modo incolpevole, nell’impossibilità di averne notizia. In questo caso, per “indirizzo del destinatario” si intende l’indirizzo “virtuale” rappresentato dalla e-mail, come sembrerebbe confermato anche nell’art. 45, co. 2, del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) che recita: “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elet© Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 155 tronico da questi dichiarato, nella casella di posta del destinatario, messa a disposizione dal gestore”. La conoscibilità della proposta contrattuale si consegue con la trasmissione del messaggio al provider, senza la necessità che il cliente provveda a “scaricare” sul suo computer detta comunicazione. Il destinatario di una proposta contrattuale è pertanto tenuto a controllare la posta in arrivo, poiché mentre il mittente dovrà semplicemente provare di avere inviato la comunicazione all’indirizzo del provider; il destinatario, per vincere la presunzione di conoscibilità, dovrà provare di essersi trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di conoscerla. Nella seconda ipotesi il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione della prestazione. Tuttavia, il soggetto che accetta è tenuto a dare prontamente avviso al proponente dell’iniziata esecuzione, in caso contrario, sarà tenuto al risarcimento del danno. In ogni caso, di solito, nelle contrattazioni via Internet, il c.d. “comportamento concludente” si concretizza nel pagamento del prezzo indicato come corrispettivo del bene o del servizio offerto. Nel terzo caso, l’offerta è pubblicata sulle pagine del sito web e da questo momento è valida fino ad una sua eventuale modifica o revoca. Ai sensi dell’art. 1336 c.c., l’”offerta al pubblico” vale come proposta, salvo che diversamente risulti dalle circostanze o dagli usi, purché contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta (oggetto del contratto, prezzo, condizioni e modalità di vendita e di pagamento, termini per la consegna). Occorre pertanto che, ai fini dell’efficacia dell’offerta pubblicata su Internet, le condizioni generali del contratto siano chiaramente predisposte, visibili ed accessibili dal soggetto che intende accettare, in modo che, prima del momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 c.c.). In tale ipotesi, il contratto si intende concluso quando e dove avvenga la ricezione della dichiarazione negoziale di accettazione da parte del proponente titolare del sito recante l’offerta. Anche nell’ultimo caso, come per l’offerta al pubblico, la compravendita si reputa conclusa quando e dove l’acquirente è in grado di leggere elettronicamente la conferma di ricevuta dell’ordine inoltratogli dal prestatore. © Wolters Kluwer 156 Capitolo IV d) Revoca della proposta o dell’accettazione di un contratto L’art. 1328 c.c. prevede la revocabilità della proposta contrattuale “sino a che il contratto non sia concluso”, mentre l’accettazione può essere revocata solo se detta revoca giunge “a conoscenza del proponente prima dell’accettazione”. La proposta inviata per e-mail potrà essere revocata sino a che il destinatario non abbia inviato l’accettazione al provider del proponente. La data e l’ora della comunicazione saranno, al riguardo, fondamentali per stabilire se il contratto si sia o meno concluso prima della revoca. Si consideri, comunque, che è piuttosto difficile la revoca dell’accettazione poiché, mentre la proposta – come detto – può essere facilmente revocata dal soggetto che agisce in rete “sino a che il contratto non sia concluso” (art. 1328 c.c.), l’acquirente, per poter revocare l’accettazione, deve fare in modo che la revoca giunga “a conoscenza del proponente prima dell’accettazione”. e) Luogo di conclusione Stabilire il luogo di conclusione di un contratto telematico è di estrema rilevanza per individuare quale sia la legge da applicare al rapporto sorto tra i contraenti, tenuto conto che, normalmente, si tratta di rapporti che sorgono tra soggetti che si trovano in luoghi diversi. Nel silenzio della legge (l’art. 1326 c.c. si riferisce solo al momento di conclusione del contratto) la dottrina e la giurisprudenza più accreditata ritengono che un contratto si conclude nel luogo in cui si trova il proponente al momento in cui ha notizia dell’accettazione. Applicando questo criterio ai contratti conclusi per e-mail, occorrerà verificare quale sia il luogo dal quale il soggetto “scarica” dal provider la comunicazione contenente l’accettazione della sua proposta contrattuale. A nostro avviso, sia che il contratto telematico sia concluso direttamente tramite Internet ovvero mediante e-mail, occorre tenere presente che la stessa configurazione della rete Internet, pur consentendo l’individuazione con esattezza del luogo ove si trova il computer che riceve l’accettazione, rende il criterio piuttosto macchinoso e, forse, contrario alle stesse esigenze del commercio elettronico. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 157 La soluzione più congrua impone invece di prendere atto della configurazione tecnologica di Internet, la quale, data la molteplicità dei computers connessi in rete, rende molto difficile individuare la porzione di memoria di cui il fornitore dei servizi di connessione (o, se diverso, quello che rende disponibile la casella di posta elettronica) si avvalga per le operazioni effettuate nei confronti dell’utente. A conferma dell’inefficacia di individuare dove è “collocato” il sito o la casella di posta elettronica si è attestato anche il legislatore comunitario che, nel definire “stabilito” il soggetto che presta un servizio della società dell’informazione (“Prestatore stabilito”) all’art. 2, lett. c), della direttiva n. 2000/31/CE, ha individuato il luogo di stabilimento in quello ove è presente un suo insediamento non temporaneo. Il luogo di stabilimento per le società che forniscono servizi tramite Internet – precisa il considerando n. 19 – non è il luogo nel quale si trova la tecnologia o gli strumenti utilizzati né dove il sito è accessibile ma il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica. Qualora il prestatore sia stabilito in diversi luoghi è necessario determinare quello dal quale è svolto il servizio in questione, se ciò non è possibile si fa riferimento a quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico. Ne consegue che, facendo il sito o l’indirizzo e-mail riferimento all’attività professionale del venditore, l’accettazione (a condizione che non sia diversamente indicato) deve considerarsi ricevuta presso la sede dell’impresa o dell’attività professionale del destinatario. C’è anche chi, seppur in via minoritaria, ritiene addirittura irrilevante, viste le caratteristiche di Internet, determinare il luogo di conclusione del contratto. La conclusione nel cyberspazio non esclude, ma anzi amplifica, i problemi concernenti l’individuazione delle regole applicabili al rapporto, non rendendo un buon servizio ai contraenti, privi di regole di default. f) La libertà di forma Uno dei punti cardine del nostro ordinamento è il principio di libertà formale nella manifestazione della volontà delle parti, salvo in alcuni casi (tassativamente indicati dal legislatore) in cui la forma scritta risulta necessaria per la validità dell’atto o ai fini probatori. © Wolters Kluwer 158 Capitolo IV Il principio della libertà formale risulta perfettamente applicabile anche al contratto telematico con l’applicazione del metodo “point and click”, ossia il tasto negoziale virtuale. Con tale procedura il cliente sceglie tra i beni o servizi offerti dal sito, clicca sull’icona a questi corrispondenti (point) e li deposita in un “carrello virtuale”. A tal punto esercita una pressione sul tasto negoziale (click) e, tramite questa, conferma la volontà di aderire al contratto o attraverso l’invio di una accettazione espressa (via e-mail) oppure attraverso il pagamento del prezzo (invio del numero della carta di credito). Tuttavia, per la conclusione del contratto telematico, le parti potrebbero preferire la forma della scrittura privata, per un’esigenza di validità o di prova dell’esistenza del contenuto del contratto. Mediante l’apposizione, al documento informatico, della firma digitale, oggi disciplinata dal citato D.Lgs. n. 82/2005 (come risultante dalle successive intervenute modifiche). Il suddetto codice, all’art. 1, definisce la firma digitale come una particolare specie di firma elettronica basata su una procedura che permetta di identificare in modo univoco il titolare, attraverso mezzi di cui il firmatario deve detenere il controllo esclusivo, e la cui titolarità è certificata da un soggetto terzo. Tale firma è fondata sulla tecnologia della crittografia a chiavi asimmetriche. La firma digitale viene legalmente considerata equivalente alla sottoscrizione prevista per gli atti e i documenti in forma scritta e su carta, tanto più che il documento informatico sottoscritto con la firma digitale “fa piena prova fino a querela di falso se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. (art. 21, D.Lgs. n. 82/2005)6. Per quanto riguarda le condizioni generali, nei contratti conclusi a mezzo di Internet, per rendere più effettiva la conoscenza da parte dell’aderente e, allo stesso tempo, per agevolare la fase probatoria del predisponente7, costituirà buona norma per l’imprenditore usare in via precauzionale alcuni accorgimenti tecnici nella costruzione del sito. Le condizioni generali, per essere efficaci nei confronti dell’acquirente e/o di colui che richiede il servizio, dovranno essere portate a conoscenza 6 Il tema è stato più ampiamente trattato al Capitolo II, par. 3. Secondo la Suprema Corte (sent. 23 febbraio 1963 n. 434), il predisponente che voglia avvalersi delle condizioni generali di contratto, ponendole a fondamento della propria pretesa o eccezione, avrà l’onere della prova della conoscenza o conoscibilità delle stesse da parte dell’altro contraente. 7 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 159 dell’altra parte, prima dell’accettazione, come disposto dall’art. 1341, co. 2, c.c. È quindi opportuno creare percorsi obbligati nella fase di conclusione del contratto on line, facendo accedere l’aderente al cosiddetto tasto negoziale solo previo scrolling a video di tutte le condizioni generali. In tema di clausole abusive, non si rilevano particolari problemi di adattamento della normativa codicistica, dal momento che l’utilizzo delle nuove tecnologie non incide sulla disciplina di tali fattispecie. Una clausola abusiva sarà inefficace sia che sia contenuta in un contratto concluso su supporto cartaceo, sia che sia contenuta in un contratto concluso on line o a mezzo di posta elettronica: le clausole abusive, infatti, sono inefficaci anche se conosciute, accettate o sottoscritte. Le difficoltà, invece, sussistono nel caso di clausole vessatorie inserita in un contratto concluso con i mezzi telematici, per le quali la legge prevede espressamente il requisito formale della specifica “approvazione per iscritto” (art. 1341 c.c.). Fino a pochi anni fa, nel nostro ordinamento non esisteva la possibilità giuridica di accettare on line le clausole vessatorie. La firma digitale è stata dunque il primo strumento con cui si è reso giuridicamente possibile accettare on line le clausole vessatorie; tuttavia, va detto che la firma digitale non ha trovato ancora larga diffusione e, tutt’ora, incontra delle difficoltà dal punto di vista tecnico e pratico. Per ovviare alle problematiche connesse all’”approvazione per iscritto” si è dunque cominciato a ritenere che, nel contratto telematico, le esigenze sostanziali alla base del codice civile potevano essere soddisfatte attraverso l’utilizzazione di mezzi innovativi, idonei a portare a conoscenza dell’utente finale eventuali clausole vessatorie presenti nel contratto. Si era pertanto diffusa la prassi dell’accettazione on line con il “point and click” (c.d. “doppio click di accettazione”: un primo clic sul “tasto” relativo all’adesione all’intero regolamento contrattuale ed un secondo sul “tasto” relativo all’approvazione specifica delle clausole vessatorie ivi inserite), seguita dalla trasmissione per posta del contratto cartaceo, debitamente sottoscritto. Alcuni infatti affermano che la conclusione di un accordo telematico mediante point and click costituisca accettazione del contratto per facta concludentia e cioè, per l’avvenuto inizio dell’esecuzione del contratto stesso, secondo il disposto dell’art. 1327 c.c. © Wolters Kluwer 160 Capitolo IV Altri, invece, individuano nei contratti “point and click” una forma espressa di accettazione dell’accordo negoziale. Infatti, accettando specificamente la clausola vessatoria contenuta in un form, singolarmente approvata mediante click, il contraente ingenera nella controparte il fondato convincimento che la medesima clausola verrà in seguito sottoscritta, dall’aderente stesso, nell’identico documento contrattuale riprodotto su supporto cartaceo, che potrà eventualmente essere recapitato all’acquirente. Nel caso di mancata sottoscrizione, da parte dell’aderente, dell’esemplare cartaceo del regolamento contrattuale previamente accettato on line, potrebbe individuarsi una peculiare ipotesi di responsabilità – per violazione del principio di buona fede – dell’aderente stesso che non ha provveduto a dare attuazione a quanto promesso in sede di formazione del contratto. Inoltre, memorizzando su di un supporto durevole (ad esempio hard disk o floppy disk) la pagina web e cioè il documento informatico, contenente la testimonianza dell’avvenuta approvazione specifica da parte dell’aderente della clausola vessatoria inserita nel contratto telematico, il proponente l’affare potrà precostituirsi un mezzo di prova idoneo ad attestare la malafede precontrattuale della controparte, qualora quest’ultima dovesse successivamente rifiutarsi di sottoscrivere la clausola vessatoria in precedenza specificamente accettata on line. Una sentenza del Giudice di Pace di Partanna alla fine del 2001 aveva sposato la teoria del “doppio click” ai fini dell’accettazione delle clausole vessatorie8. Tale tesi, però, è rimasta isolata nella giurisprudenza e non è stata accolta dalla dottrina9, soprattutto per la difficoltà di ritenere 8 Si tratta della sentenza del G.d.P. Partanna n. 15/2002. È stato osservato che: “La doppia approvazione, nella contrattazione on line, si concretizzerebbe o nell’utilizzo della firma digitale, oppure nella effettuazione – da parte dell’aderente alla proposta contrattuale predisposta sul sito web – di un doppio click di accettazione: un primo sul «tasto» relativo all’adesione all’intero regolamento contrattuale, ed un secondo sul «tasto» relativo all’approvazione specifica delle clausole vessatorie ivi inserite” (Così G. CASSANO e I.P. CIMINO, Contratto via internet e tutela della parte debole: commento a GdP Partanna 15/02, in Contratti, 2002, p. 869 ss.). 9 Così, M. SALA, La clausola compromissoria on-line, in Arch. civ., 2001, p. 717 ss.: “In tali casi la manifestazione di volontà del contraente si esprime mediante l’effettuazione di due distinte azioni: il «puntamento» del mouse su un’area definita nel sito web del venditore/proponente (normalmente denominata «accetto», «OK», «invia ordine» e simili) e la successiva «pressione» del tasto. Compiute queste due azioni (puntamento e pressione) ed in applicazione al principio dell’”autoresponsabilità”, il contratto può ritenersi concluso con assunzione delle specifiche obbligazioni in capo alle parti. Quello che manca nei contratti così conclusi è la forma scritta”. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 161 coincidenti l’approvazione di una clausola mediante ‘click’ e la specifica sottoscrizione della stessa richiesta dall’art. 1341 c.c. Allo stato, essendo escluso che con lo strumento informatico possano prodursi documenti che soddisfino il requisito legale della forma scritta, non si può non sottolineare il rischio che il point and click possa essere ritenuto inidoneo ai fini dell’approvazione delle clausole vessatorie. Anche se non si può non considerare che l’obiettivo della normativa sulle clausole vessatorie, ovvero quello di colmare un deficit informativo per assicurare una volontà negoziale consapevole di entrambe le parti, può essere raggiunto non solo con i tradizionali strumenti a cui aveva pensato il legislatore nel momento della introduzione della norma, ma anche attraverso i nuovi mezzi tecnologici. Il concetto di “approvazione per iscritto” non sottintende, né racchiude in sé quello di scrittura privata o di sottoscrizione autografa; l’approvazione, dunque, potrebbe risultare non soltanto da una manifestazione di volontà sottoscritta, ma anche da altri “scritti” o atti ad essi equivalenti, pur sprovvisti di firma autografa, con cui il contraente abbia manifestato in maniera inequivoca la sua volontà di avvalersi della clausola o comunque di accettarne gli effetti. Una soluzione potrebbe essere quella di individuare le cosiddette “firme leggere”, ovvero quegli atti o scritti che possono considerarsi equiparati ad una sottoscrizione autentica. Secondo un orientamento, l’e-mail potrebbe essere qualificata come documento informatico munito di firma elettronica10. Sulla scorta di questa teoria, si potrebbe validamente approvare una clausola vessatoria anche con una semplice e-mail, la quale risponderebbe sia alle esigenze formali – l’e-mail soddisferebbe, infatti, il requisito della forma scritta – che a quelle sostanziali della normativa sul contratto per adesione, il cui fine era quello di prevenire la sorpresa di clausole gravose accettate inavvertitamente o senza sufficiente attenzione11. L’invio di una o più mail, con cui si accettano le clausole vessatorie, comporta una ponderazione equiparabile all’apposizione di una o più firme autografe in calce ad un documento. Infatti, mentre un singolo click può avvenire anche in maniera involontaria o meccanica; diversa10 Trib. Cuneo, 15 dicembre 2003; Trib. Bari, 19 novembre 2003; Trib. Mondovì, 21 maggio 2004; Trib. Lucca, 17 luglio 2004; G.d.P. Pesaro, 2 novembre 2004. 11 È questa l’opinione di C.M. BIANCA, Diritto civile, il contratto, vol. III, Milano, 1994, p. 351. © Wolters Kluwer 162 Capitolo IV mente, l’invio di una mail difficilmente può essere effettuato senza che il mittente svolga una serie di operazioni che richiedono un rilevante grado di intenzionalità e di partecipazione consapevole. Ovviamente la possibilità di dimostrare (con un certo grado di certezza riconosciuto dall’ordinamento) che una comunicazione è giunta all’indirizzo del destinatario si ha (con riferimento alle comunicazioni effettuate per via elettronica) adottando il sistema della PEC che peraltro sconta la necessità che mittente e destinatario del messaggio utilizzino un indirizzo PEC e che non siano adottati comportamenti fraudolenti (per es., volontario riempimento della casella in modo da impedirne l’operatività, etc.). Tale forma di comunicazione può essere più facilmente adottata in un contesto B2B (attesa anche l’obbligatorietà dell’adozione della casella PEC), mentre risulta più difficile nel contesto B2C, in considerazione della scarsa diffusione, al momento, di tale strumento12. 3. Le regole indicate dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70 sul commercio elettronico. Un quadro generale Il legislatore comunitario, con la dir. n. 2000/31/CE, ha inteso inquadrare il commercio elettronico nell’ottica della promozione della libera circolazione dei servizi, ovvero conseguire l’obiettivo di garantire un elevato livello di integrazione giuridica nell’Unione europea per instaurare un vero e proprio spazio senza frontiere anche per la rete Internet. 12 Con riferimento ai cittadini, si può segnalare l’iniziativa PostaCertificata@. La PostaCertificat@ è rilasciata ai sensi dell’art. 16-bis, D.L. del 29 novembre 2008, n. 185, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale” (convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2) e del D.P.C.M. 6 maggio 2009, recante disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di Posta Elettronica Certificata ai cittadini. Maggiori informazioni sulla PEC possono essere reperite sul sito: https://www.postacertificata.gov.it/home/index.dot. L’iniziativa non ha avuto però l’esito sperato sicché dal 18 dicembre 2014 non vengono più rilasciate nuove caselle CEC-PAC a cittadini e pubbliche amministrazioni, incluse le caselle per le quali la richiesta di attivazione online è stata presentata in data antecedente, ma per le quali non si è ancora proceduto all’attivazione presso gli uffici postali. Dal 18 marzo 2015 al 17 luglio 2015 le caselle saranno mantenute attive solo in modalità di ricezione e sarà consentito agli utenti l’accesso alle stesse solo ai fini della consultazione e del salvataggio dei messaggi ricevuti. Dal 18 luglio 2015 le caselle non saranno più abilitate alla ricezione di messaggi e l’accesso alle stesse sarà consentito, sino al 17 settembre 2015, solo ai fini della consultazione e del salvataggio dei messaggi ricevuti; dal 18 settembre sarà definitivamente inibito l’accesso alla propria casella. In seguito, dal 18 settembre 2015 al 17 marzo 2018, sarà garantita agli utenti del servizio la possibilità di richiedere l’accesso ai log dei propri messaggi di posta elettronica certificata. Per chi ha un indirizzo CEC-PAC è prevista la possibilità di ottenere un nuovo indirizzo PEC gratuito per un anno. Dal 18 marzo 2015 tutti gli utenti CEC-PAC potranno richiedere una casella PEC gratuita inviando una richiesta all’indirizzo: [email protected]. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 163 Il D.Lgs. n. 70/2003 – con cui è stata data attuazione (senza grandi differenziazioni) a detta direttiva – regolamenta il rapporto tra prestatore e destinatario dei servizi della società dell’informazione13. I servizi della società dell’informazione rappresentano una nozione molto ampia che va dalle attività economiche svolte on line, come la vendita on line di merci, a qualsiasi “servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”, comprendendo anche servizi non remunerati dal loro destinatario – ma che costituiscono pur sempre un’attività economica – come l’offerta di informazioni o comunicazioni commerciali sul web o per posta elettronica ovvero la fornitura di strumenti per la ricerca, l’accesso e il reperimento di dati14. Il decreto trova applicazione nei confronti del: a) prestatore di servizi della società dell’informazione, ovvero la persona fisica o giuridica che svolge on line un’attività economica di scambio di beni o servizi; 13 La giurisprudenza comunitaria ha anche indicato quando un’attività di commercio elettronico sia “diretta” o no ad un dato territorio: “L’attività di un commerciante, presentata sul suo sito Internet o su quello di un intermediario, può essere considerata “diretta” verso lo Stato membro di domicilio del consumatore, ai sensi dell’art. 15, par. 1, lett. c), del Regolamento n. 44/2001 , se, prima dell’eventuale conclusione di un contratto con il consumatore, risulti da tali siti Internet e dall’attività complessiva del commerciante che quest’ultimo intendeva commerciare con consumatori domiciliati in uno o più Stati membri, tra i quali quello di domicilio del consumatore stesso, nel senso che era disposto a concludere contratti con i medesimi. A tal fine possono costituire indizi pertinenti, in particolare, la natura internazionale dell’attività, l’indicazione di itinerari a partire da altri Stati membri per recarsi presso il luogo in cui il commerciante è stabilito, l’utilizzazione di una lingua o di una moneta diverse dalla lingua o dalla moneta abitualmente utilizzate nello Stato membro in cui il commerciante è stabilito con la possibilità di prenotare e confermare la prenotazione in tale diversa lingua, l’indicazione di recapiti telefonici unitamente ad un prefisso internazionale, il dispiego di risorse finanziarie per un servizio di posizionamento su Internet al fine di facilitare ai consumatori domiciliati in altri Stati membri l’accesso al sito del commerciante ovvero a quello del suo intermediario, l’utilizzazione di un nome di dominio di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui il commerciante è stabilito e la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati in Stati membri differenti. Non sono invece indizi pertinenti né la semplice accessibilità del sito Internet del commerciante o di quello dell’intermediario nello Stato membro di domicilio del consumatore, né l’indicazione di un indirizzo di posta elettronica o di altre coordinate ovvero l’impiego di una lingua o di una moneta che costituiscano la lingua e/o la moneta abitualmente utilizzate nello Stato membro nel quale il commerciante è stabilito” (Corte giust. UE, Grande Sez., 7 dicembre 2010, n. 144/09, Hotel Alpenhof GesmbH c. Oliver Heller, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2011, p. 796 ss.; Corte giust. UE, Grande Sez., 7 dicembre 2010, n. 585/08, Peter Pammer c. Reederei Karl Schluter GmbH & Co KG). 14 “L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“direttiva sul commercio elettronico”), deve essere interpretato nel senso che la nozione di “servizi della società dell’informazione”, ai sensi di tale disposizione, ricomprende servizi che forniscano informazioni on line per i quali il prestatore è remunerato non dal destinatario, bensì grazie ai proventi derivanti dalle pubblicità commerciali che appaiono su un sito Internet” (Corte giust. UE, 11 settembre 2014, n. 291/13, Sotiris Papasavvas c. Fileleftheros Dimosia Etaireia Ltd e altri). © Wolters Kluwer 164 Capitolo IV b) provider, cioè, colui che offre un servizio di accesso-connessione alla Rete e di memorizzazione delle informazioni in essa accessibili; c) consumatore, ossia a “qualsiasi persona fisica che agisce con finalità non riferibili all’attività commerciale, imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”; d) destinatario del servizio, ovvero a chi, “a scopi professionali o non, utilizza un servizio della società dell’informazione, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni”. Il D.Lgs. n. 70/2003 non trova applicazione15: a) ai rapporti fra contribuente e amministrazione finanziaria connessi con l’applicazione, anche tramite concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, nonché la regolamentazione degli aspetti tributari dei servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico; b) alle questioni relative al diritto alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni di cui alla Codice della normativa sulla privacy; c) alla disciplina della concorrenza; d) alle prestazioni di servizi della società dell’informazione effettuate da soggetti stabiliti in Paesi non appartenenti allo spazio economico europeo; e) alle attività, dei notai o di altre professioni, nella misura in cui implicano un nesso diretto e specifico con l’esercizio dei pubblici poteri; f) alla rappresentanza e la difesa processuali; 15 L’art. 1, co. 5, individua le attività alle quali non si applica la dir. 2000/31/CE: al settore tributario, questioni relative ai servizi della società dell’informazione oggetto delle dir. 95/46/CE e 97/66/CE, questioni relative a accordi o pratiche disciplinati dal diritto delle intese, alle seguenti attività dei servizi della società dell’informazione (attività dei notai o di altre professioni equivalenti, nella misura in cui implicano un nesso diretto e specifico con l’esercizio dei pubblici poteri; alla rappresentanza e alla difesa processuali; ai giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse). Sul punto, Corte giust CE, sez. III, 5 dicembre 2010, evidenzia che “le attività di vendita dei dispositivi medici, quali le lenti a contatto, non figurano tra le attività di cui all’art. 1, comma 5, della Direttiva 2000/31: di conseguenza, l’ambito regolamentato dalla Direttiva include le disposizioni nazionali che vietano gli atti relativi alla vendita di lenti a contatto, vale a dire, in particolare, l’offerta on line e la conclusione del contratto con mezzi elettronici. Per quanto concerne l’operazione di consegna del prodotto venduto, secondo il dettato dell’art. 2, lett. h), ii) della direttiva, l’ambito regolamentato non comprende i requisiti applicabili alla consegna di beni per i quali è stato concluso un contratto con mezzi elettronici. Pertanto, le norme nazionali relative alle condizioni in cui una merce venduta via internet può essere consegnata sul territorio di uno Stato membro non rientrano nell’ambito di applicazione di detta direttiva”. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 165 g) ai giochi d’azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l’elemento aleatorio è prevalente. Il decreto lascia in vigore - ovvero si aggiunge - tutto il complesso di disposizioni comunitarie e nazionali “sulla tutela della salute pubblica e dei consumatori”, rispetto al quale la direttiva dettava il seguente elenco (non esaustivo) di direttive16. Oltre alla tutela dei consumatori, l’art. 1, co. 3, del D.Lgs. n. 70/2003 fa salve le disposizioni “sul regime autorizzatorio in ordine alle prestazioni di servizi investigativi o di vigilanza privata, nonché in materia di ordine pubblico e di sicurezza, di prevenzione del riciclaggio del denaro, del traffico illecito di stupefacenti, di commercio, importazione ed esportazione di armi, munizioni ed esplosivi e dei materiali d’armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185”. Tanto premesso le tematiche oggetto del decreto, delle quali vanno indicati i profili principali, sono le seguenti: a) il mercato interno; b) il regime di stabilimento dei prestatori; c) gli obblighi di informazione generale; d) gli obblighi di informazione per la pubblicità; e) lo spamming pubblicitario; f) la responsabilità dei provider; g) le indicazioni sulle contrattazioni telematiche e, infine, h) gli strumenti di tutela. Quanto al mercato interno, al prestatore di servizi della società dell’informazione si applicano le disposizioni nazionali vigenti nel luogo di stabilimento, ad esclusione delle deroghe indicate all’art. 4. Vi è poi la possibilità di limitare la libera circolazione di detti servizi quando provengano da un altro Stato membro solo qualora sussistano particolari si16 Il riferimento è alle direttive sulle clausole abusive; contratti a distanza; pubblicità ingannevole e comparativa; credito al consumo; servizi di investimento mobiliare; viaggi e vacanze “tutto compreso”; indicazioni dei prezzi nei prodotti offerti ai consumatori; sicurezza generale dei prodotti; tutela per l’acquirente di diritti di godimento a tempo parziale di beni immobili (c.d. multiproprietà); provvedimenti inibitori a tutela dei consumatori; responsabilità per danno da prodotto difettoso; vendita e alla garanzia dei beni di consumo; vendita a distanza di prodotti finanziari; pubblicità dei medicinali per suo umano; pubblicità e sponsorizzazione dei prodotti del tabacco. © Wolters Kluwer 166 Capitolo IV tuazioni (per es. ordine pubblico, sanità pubblica, tutela dei consumatori). In queste fattispecie, restando fermo il principio di proporzionalità delle misure assunte dallo Stato che impedisce la circolazione, è prevista una apposita procedura (art. 5). La libera circolazione dei servizi all’interno della Comunità può essere limitata solo con provvedimento dell’autorità giudiziaria o degli organi amministrativi di vigilanza o delle autorità indipendenti di settore, ove siano minacciati interessi tutelati dalla costituzione italiana (ordine pubblico, tutela della salute pubblica, tutela dei consumatori, etc.). Si può dunque affermare che i prestatori sono soggetti solo alla legge del loro paese di origine (stabilimento) e che la loro attività non può essere assoggettata ad una preventiva autorizzazione negli altri paesi in cui “operano” via Internet: ad esempio, se il prestatore del servizio è stabilito in Italia, quest’ultimo dovrà osservare solo la normativa nazionale per quanto riguarda l’esercizio della propria attività on line17. L’accesso degli operatori allo svolgimento di una delle attività della società dell’informazione – e veniamo quindi al regime di stabilimento – non è soggetto, in quanto tale, ad autorizzazione preventiva. Sono fatte salve le disposizioni sui regimi di autorizzazione che non riguardano specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione o i regimi di autorizzazione nel settore dei servizi delle telecomunicazioni dalla cui applicazione sono esclusi i servizi della società dell’informazione. Si faccia attenzione che la mancanza di una autorizzazione ad hoc non significa che l’accesso ad Internet non è regolato. La disposizione significa soltanto che non è ammesso che gli Stati membri introducano una disciplina collegata unicamente al suo svolgimento su reti telematiche18. 17 “L’art. 3, paragrafi 1 e 2, della Direttiva n. 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») non trova applicazione nel caso in cui il luogo di stabilimento del prestatore di servizi della società dell’informazione sia sconosciuto, dato che l’applicazione di tale disposizione è subordinata all’individuazione dello Stato membro nel territorio del quale il prestatore di cui trattasi è effettivamente stabilito” (Corte giust. Ue, sez. I, 15 marzo 2012, n. 292/10, G. c. Cornelius de Visser, in Dir. Comunitario on line, 2012 e in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2012, p. 794 ss.). 18 “L’art. 3 della Direttiva n. 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), non impone un recepimento in forma di norma specifica di conflitto. Nondimeno, per quanto attiene all’ambito regolamentato, gli Stati membri devono assicurare che, fatte salve le deroghe autorizzate alle condizioni previste dall’art. 3, n. 4, della Direttiva citata, il prestatore di un servizio del commercio elettronico non sia assoggettato a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto sostanziale applicabile nello Stato © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 167 Restano, dunque, valide tutte le prescrizioni che si applicano all’attività che intende svolgere il soggetto19. Il D.Lgs. n. 70/2003 prevede, poi, un ampio “regime informativo”. Anzitutto vi sono obblighi di informazione generale che devono essere rispettati da chi presta servizi della società dell’informazione cioè da chiunque utilizza un sito Internet per svolgervi un’attività diretta a terzi. L’art. 7 del D.Lgs. n. 70/2003 stabilisce che il prestatore di un servizio della società dell’informazione deve fornire le seguenti informazioni: a) il nome, la denominazione o la ragione sociale; b) il domicilio o la sede legale; c) gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lo stesso, compreso l’indirizzo di posta elettronica20; d) il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese; e) gli elementi di individuazione nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza qualora un’attività sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione; f) per quanto riguarda le professioni regolamentate: 1) l’ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il prestatore sia iscritto e il numero di iscrizione; 2) il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato; 3) il riferimento alle norme professionali e agli eventuali codici di condotta vigenti nello Stato membro di stabilimento e le modalità di consultazione dei medesimi; membro di stabilimento di tale prestatore” (Corte giust. UE, Grande Sez., 25 ottobre 2011, n. 509, eDate Advertising GmbH e altri c. Olivier Martinez e altri. Negli stessi termini Corte giust. UE, Grande Sez., 25 ottobre 2011, n. 161, Olivier Martinez e altri c. MGN Limited). 19 Come ampiamente chiarito al Capitolo II. 20 “L’art. 5, n. 1, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, Direttiva n. 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che il prestatore di servizi è tenuto a fornire ai destinatari del servizio, sin da prima di qualsiasi stipulazione di contratto con questi ultimi, oltre al suo indirizzo di posta elettronica, altre informazioni che consentano una presa di contatto rapida nonché una comunicazione diretta ed efficace. Tali informazioni non debbono obbligatoriamente corrispondere ad un numero di telefono. Esse possono consistere in una maschera di richiesta di informazioni elettronica, tramite la quale i destinatari del servizio possono rivolgersi in internet al prestatore di servizi e alla quale quest’ultimo risponde per posta elettronica, fatte salve le situazioni in cui un destinatario del servizio, che, dopo la presa di contatto per via elettronica con il prestatore di servizi, si trovi privato dell’accesso alla rete elettronica, chieda a quest’ultimo l’accesso ad una via di comunicazione non elettronica” (Corte giust. UE, sez. IV, 16 ottobre 2008, n. 298/07, in Obbl. e Contr., 2009, p. 83 ss., nota di G. ROSSOLILLO). © Wolters Kluwer 168 Capitolo IV g) il numero della partita IVA o altro numero di identificazione considerato equivalente nello Stato membro, qualora il prestatore eserciti un’attività soggetta ad imposta; h) l’indicazione in modo chiaro ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società dell’informazione forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare; i) l’indicazione delle attività consentite al consumatore e al destinatario del servizio e gli estremi del contratto qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione o l’oggetto della prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d’uso. Il comma citato prevede, inoltre, che dette informazioni: a) si aggiungono a quelle stabilite per specifici beni e servizi; b) devono essere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente. È previsto, poi, per il prestatore dei servizi della società dell’informazione, l’obbligo di aggiornamento delle suddette informazioni. Le informazioni non sono dovute solo ai consumatori ma a tutti i “destinatari del servizio”, escludendosi che il commercio elettronico – nella sua ampiezza “politica” concettuale – possa essere inquadrato unicamente in termini di legislazione consumeristica. E, in effetti, i consumatori non sono il soggetto principale della disciplina, avendo già ricevuto ampia tutela con la direttiva 97/7/CE (e, nel nostro Paese con il D.Lgs. n. 185/1999, ora nel Codice del consumo, come poi, successivamente modificato dal D.Lgs. n. 21/2014). Correlativamente è un diritto degli “utenti” di Internet ricevere dette informazioni. Particolare attenzione è posta alle informazioni da fornire nella pubblicità. In aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi, le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione o ne sono parte integrante, devono contenere, sin dal primo invio, in modo chiaro ed inequivocabile, una specifica informativa, diretta ad evidenziare: a) che si tratta di comunicazione commerciale; b) la persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale; c) che si tratta di un’offerta promozionale come sconti, premi, o omaggi e le relative condizioni di accesso; © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 169 d) che si tratta di concorsi o giochi promozionali, se consentiti, e le relative condizioni di partecipazione. Qualora le comunicazioni commerciali siano effettuate da un soggetto facente parte di un ambito regolamentato (in genere: un libero professionista), queste devono essere rispettose anche delle regole di deontologia professionale e, in particolare, dell’indipendenza, della dignità, dell’onore della professione, del segreto professionale e della lealtà verso clienti e colleghi21. 21 Con riferimento a questi profili si possono indicare alcune posizioni assunte, per la professione di avvocato, dal Consiglio Nazionale Forense. La prima questione è relativa alla presenza dell’avvocato su social network quali Facebook, Twitter o YouTube. Con parere del 27 aprile 2011, n. 49 (http://www.ordineavvocatipescara.it/wp-content/uploads/2012/ 05/Parere-CNF-27.4.2011-n.-49.pdf) il CNF ha stabilito che “quando un avvocato cura e pubblica un sito internet, va precisato se si tratti di un sito di natura scientifica o culturale, o piuttosto lo stesso sia riferibile direttamente allo studio legale. Allo stesso modo, va evitata ogni informazione che risulti fuorviante, o decettiva, in merito alla natura o alle modalità di effettuazione delle prestazioni professionali offerte, o altrimenti descritte. In questo senso, giova richiamare il parere con cui si è stigmatizzato il contegno di colui che introduca elementi ambigui, o fuorvianti, che portino la clientela a non percepire l’appartenenza del sito ad uno specifico professionista legale, ad esempio tramite l’inserimento nel sito di contenuti culturali od informativi pubblicati a titolo gratuito, senza enunciare chiaramente la propria qualità di legale (cfr. parere 27 aprile 2005, n. 35). In altri termini, all’avvocato è evidentemente garantita sulla rete la più piena libertà di espressione e comunicazione, con l’eccezione di contegni che portino ad un’elusione del principio di correttezza dell’informazione, nonché alla violazione dei criteri di trasparenza e veridicità. Ciò posto, in linea di principio va poi osservato che il rispetto dei predetti criteri è affidato dall’art. 17 del Codice Deontologico al controllo del competente Consiglio dell’Ordine che deve anche verificarne il contenuto affinché l’informazione sia conforme a verità e correttezza, non potendo altresì avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L’informazione deve poi rispettare la dignità e il decoro della professione e non deve mai assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa o comparativa. [...]”. Successivamente è stato affrontato il tema dell’impiego di coupon o di “carte fedeltà” per acquisire (a prezzi più bassi) i servizi legali di un avvocato. Per il CNF tale condotta è in conflitto con il divieto di accaparramento di clientela, di cui all’art. 19 del Codice deontologico. Lo svilimento della prestazione professionale, ridotta ad una semplice questione del suo prezzo, contrasterebbe poi con il rapporto tra avvocato e cliente basato, anzitutto, sulla qualità della prestazione professionale: “La natura dei siti web in questione, nei quali l’offerta di prestazioni professionali può apparire promiscuamente insieme a proposte di altro genere, tutte tra loro omogeneizzate dal dato della sola convenienza economica, comporta in re ipsa lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questione di puro prezzo. Ne risulta conseguentemente vulnerato il carattere intuitivo del rapporto tra l’avvocato ed il cliente, che dovrebbe fondarsi sulle credenziali di qualità della prestazione professionale prima ancora che su considerazioni di mera convenienza economica. La diffusione, talvolta anche invasiva, delle forme di comunicazioni per mezzo di Internet, seppure rappresenta una fenomenologia della quale deve prendersi atto in termini evolutivi, non può, peraltro, obliare ai valori fondanti della professione forense e dell’etica comportamentale dell’avvocato”. A giudizio del CNF la funzione di siti web quali AmicaCard “[...] va ben oltre la pura pubblicità, proponendosi (...) di generare un vero e proprio contratto tra l’offerente ed il consumatore destinatario della proposta; in tale contesto il messaggio non si esaurisce nel fine promozionale, ma protende concretamente all’acquisizione del cliente”. (parere 11 luglio 2012, n. 48). Rispetto a questa impostazione la società interessata (Nethuns che gestisce il sito “AmicaCard”) si è rivolta all’Autorità garante della concorrenza che ha stabilito – irrogando una sanzione pecuniaria di 912.536,40 euro - che il Consiglio Nazionale Forense, “in violazione dell’art. 101 del TFUE, ha posto in essere un’intesa, unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare © Wolters Kluwer 170 Capitolo IV In relazione alla pubblicità è stata anche regolamentata una fattispecie abbastanza fastidiosa per i “navigatori”: quella di ricevere informazioni promozionali (ma anche altre comunicazioni) non richieste; situazione resa possibile dalle “tracce” che vengono lasciate durante i collegamenti telematici. Le comunicazioni commerciali non sollecitate trasmesse da un prestatore per posta elettronica devono, in modo chiaro e inequivocabile, essere identificate come tali fin dal momento in cui il destinatario le riceve e contenere l’indicazione che il destinatario del messaggio può opporsi al ricevimento in futuro di tali comunicazioni. La prova del carattere “sollecitato” delle comunicazioni commerciali spetta al prestatore. È fatto obbligo agli Stati membri di prevedere che anche la pubblicità su casella di posta elettronica non sollecitata sia identificabile come tale dal destinatario22. Non mancano – come detto – indicazioni sulla contrattazione, per le quali si rinvia al successivo paragrafo. Il decreto affronta inoltre anche il regime di responsabilità degli intermediari (il riferimento va, innanzitutto, ai provider), distinguendo: a) il semplice trasporto delle informazioni (mere conduit); l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari e limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica della prestazione professionale”. Per gli sconti sui servizi legali v. http://www.amicacard.it/index.php?t=43&ECMS%5BRicerca%5D%5B Categorie%5D%5BMacrocategoria%5D=7&ECMS%5BRicerca%5D%5BCategorie%5D%5BSettore%5D=193, mentre, per un panorama recente sulle tariffe professionali, v. A. CIAVOLA, La fine del decoro tariffario (ma non del tutto), in nota a Consiglio di Stato , sez. VI, 22 gennaio 2015, n. 238, in http://www.altalex.com/ index.php?idnot=70200. 22 Con provvedimento del 4 ottobre 2007, il Garante per la protezione dei dati personali è tornato sul tema dello spamming, precisando che “non vi è la possibilità di un invio di messaggi attraverso elenchi pubblici o internet senza consenso, quando le comunicazioni commerciali sono effettuate con particolari modalità (via fax, posta elettronica, sms, mms, chiamate vocali mediante operatore automatico). Il destinatario di fax, email, sms e mms indesiderati può rivolgersi al giudice civile e chiedere un risarcimento per la lesione dei propri diritti”. Con la sentenza 7 ottobre 2006, il Giudice di pace di Napoli ha stabilito che: “L’utilizzo degli indirizzi di posta elettronica per scopi promozionali e pubblicitari è possibile solo se il soggetto a cui si riferiscono abbia manifestato in precedenza un consenso libero, specifico e informato, come stabilito dalla Direttiva Ce 2002/58 e dalla decisione 11 gennaio 2001 del Garante della privacy. Infatti, l’utilizzo della posta elettronica comporta una lesione ingiustificata dei diritti dei destinatari costretti ad impiegare diverso tempo per mantenere un collegamento e per ricevere, come pure per esaminare e selezionare, tra i diversi messaggi ricevuti, quelli attesi o ricevibili, nonché a sostenere i relativi costi per il collegamento telefonico. Pertanto l’invio di posta elettronica indesiderata è illegittima sotto due profili: da un lato, per la scorrettezza e illiceità del trattamento dei dati personali dell’attore, dall’altro provoca una illegittima intrusione e invasione nella sua sfera di riservatezza: deve pertanto dichiararsi la convenuta responsabile per fatto illecito ex art. 2043 c.c.”. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 171 b) la memorizzazione temporanea (caching); c) la memorizzazione non temporanea (hosting). In tutte le fattispecie indicate l’intermediario non assume alcuna responsabilità rispetto al trasferimento delle informazioni, qualora si limiti a svolgere unicamente l’attività di intermediazione (di questa, naturalmente, risponde), senza alterare le stesse, ovvero scegliere il destinatario, etc.23. 23 L’associazione di parole ai nominativi di persone fisiche e giuridiche realizzata dalle funzioni “Autocomplete” e “Ricerche correlate” esula dal servizio di semplice memorizzazione delle informazioni. La posizione dell’Internet Service Provider (ISP) deve essere affrontata alla luce degli ordinari criteri vigenti in materia di responsabilità aquiliana, stante l’assenza dei caratteri di neutralità e passività che connotano i servizi in base agli artt. 15, 16 e 17, D.Lgs. n. 70/2003. (In questi termini Trib. Milano, ord. 23 maggio 2013, in Danno e Resp., 2013, p. 1253 ss.) “La Direttiva n. 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»); la Direttiva n. 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, e la Direttiva n. 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, lette in combinato disposto e interpretate alla luce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali applicabili, devono essere interpretate nel senso che ostano all’ingiunzione, rivolta da un giudice nazionale ad un prestatore di servizi di hosting, di predisporre un sistema di filtraggio: a) delle informazioni memorizzate sui server di detto prestatore dagli utenti dei suoi servizi; b) che si applichi indistintamente nei confronti di tutti questi utenti; c) a titolo preventivo; d) a spese esclusive del prestatore, e e) senza limiti nel tempo, idoneo ad identificare i file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive rispetto alle quali il richiedente il provvedimento di ingiunzione affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare la messa a disposizione del pubblico di dette opere, lesiva del diritto d’autore” (Corte giust. UE, Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 360, Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA (SABAM) c. Netlog NV, in Dir. Comunitario on line, 2012; Corte giust. UE, Sez. III, 24 novembre 2011, n. 70, Scarlet Extended SA c. Societe belge des auteurs, compositeurs et editeurs SCRL (SABAM), in Dir. Comunitario on line, 2011; Corte giust. UE, Grande sez., 12 luglio 2011, n. 324/09, L’Oréal SA e altri c. eBay International AG e altri, in Dir. Comunitario on line, 2011). “Quando il «service provider» si pone ben al di là della mera fornitura all’utente di uno spazio di memorizzazione di contenuti e di un «software» di comunicazione che ne consenta la visualizzazione a terzi, deve concludersi per l’inapplicabilità della deroga prevista dall’art. 16, D.Lgs. n. 70/2003 che configura una deroga o limitazione alle ordinarie forme di responsabilità” (Trib. Milano, 9 settembre 2011, Reti Televisive Italiane S.p.A. c. Yahoo! Italia s.r.l. e altri, in Dir. ind., 2011, p. 559 ss., con nota di M. TROTTA). V., anche, Corte giust. UE, Grande Sez., 23 marzo 2010, nn. 236/08, 237/08 e 238/08, con le quali, rispetto al servizio “AdWords” di Google, ha stabilito che “L’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi”. Su questo argomento si rinvia al contributo di A. TOMA, ISPs and Search Engines like «Ianus Bifrons»: IPR or data protection?, in www.altalex.com/index.php? idnot=61993; E. TOSI, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Provider e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi “google suggest” per errata programmazione del software di ricerca e “yahoo! italia” per “link” illecito in violazione dei diritti di proprietà intellettuale, in Riv. dir. ind., 2012, p. 44 ss. © Wolters Kluwer 172 Capitolo IV Più di recente La Corte di giustizia, con la decisione 27 marzo 2014, n. 314 (Constantin Film VerleihGmbH e WegaFilmproduktionsgesellschaftmbH c. UPC TekekabelWienGmbH, in Giur. it., 2014, p. 12 ss., con nota di A. SALVATO, La Corte di giustizia si pronuncia sulla tutela del diritto d’autore online) ha inaugurato l’orientamento per cui i fornitori di accesso ad Internet, sebbene non siano i diretti autori delle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale né abbiano alcun rapporto contrattuale con i terzi responsabili dell’illecito, possano essere i soggetti sui quali incombe l’onere di far cessare la violazione. L’occasione è stata offerta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte di appello austriaca con riguardo ad una controversia tra le due società di produzione cinematografica Constantin Film VerleihGmbH e WegaFilmproduktionsgesellschaftmbH, ed il fornitore di accesso ad Internet UPC TekekabelWienGmbH. Le due società di produzione cinematografica lamentavano che il sito Internet Kino.to permettesse ai suoi visitatori di scaricare o di guardare in “streaming” taluni film sui quali esse vantavano un diritto connesso al diritto d’autore senza che le stesse avessero prestato il proprio consenso. Chiedevano – ed ottenevano – un’ordinanza con la quale si ingiungeva al citato provider di bloccare ai suoi clienti l’accesso al sito Internet. A tale obbligo la UPC Telekabel doveva adempiere attraverso il blocco del nome del dominio e dell’indirizzo IP del sito Kino.to e di ogni altro indirizzo futuro del medesimo sito di cui la UPC Telekabel potesse venire a conoscenza. Il provider presentava un ricorso per cassazione sostenendo che non si potesse affermare che i suoi servizi fossero stati “utilizzati” da terzi per violare un diritto d’autore o un altro diritto connesso, in quanto lo stesso non si trovava in alcun rapporto giuridico con i gestori del sito Internet contestato e non vi era alcuna dimostrazione che i suoi abbonati avessero effettivamente agito in modo illecito. Con richiesta di pronuncia pregiudiziale veniva chiesto alla Corte di giustizia: a) se un fornitore di accesso ad Internet possa essere considerato un intermediario i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o un diritto connesso e se, come tale, possa essere oggetto di un provvedimento inibitorio su istanza dei titolari dei diritti lesi ai sensi dell’ art. 8, par. 3, Dir. 2001/29/CE; b) se i diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione europea, quali il diritto alla libertà d’informazione e il diritto alla libertà d’impresa, vadano interpretati nel senso che ostino a che un giudice nazionale possa pronunciare un’ingiunzione che vieti ad un provider di concedere ai propri clienti l’accesso ad un sito che mette in rete materiali protetti senza il consenso dei titolari dei diritti, quando da un lato tale provvedimento non specifichi le misure da adottare e dall’altro il fornitore di accesso ad Internet possa evitare le sanzioni per la violazione dell’ingiunzione (in un successivo procedimento di esecuzione) dimostrando di aver adottato tutte le misure ragionevoli al fine di ottemperare al divieto ivi contenuto. Sulla prima questione la Corte ha rinviato al precedente (Corte giust. UE, ord. 19 febbraio 2009, causa C557/07, LSG - GesellschaftzurWahrnehmung von LeistungsschutzrechtenGmbH) chiarendo che l’“intermediario” è qualsiasi soggetto che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. Di conseguenza, dal momento che il provider fornendo l’accesso alla rete è parte necessaria di ogni illecita condivisione tra un suo abbonato ed un terzo di dette opere, un fornitore di accesso ad Internet, quale la UPC Telekabel, che consenta ai suoi abbonati l’accesso a materiali protetti messi a disposizione del pubblico su Internet da un terzo, deve essere qualificato come un intermediario i cui servizi siano utilizzati per violare un diritto d’autore o un diritto connesso ai sensi dell’ art. 8, par. 3, Direttiva 2001/29/CE. In aggiunta viene considerato irrilevante procedere alla verifica del fatto che gli abbonati del provider abbiano effettivamente avuto accesso al sito contestato al fine di visualizzare i materiali resi pubblici senza il consenso del titolare del diritto d’autore (ciò vale anche per la tutela della privacy seppur il “caricamento” sia stato fatto lecitamente: Corte giust. UE, 13 maggio 2014, Google Spain, causa C-131/12). Per quanto riguarda il secondo quesito, la Corte ha stabilito che spetta al diritto nazionale stabilire le modalità con cui tali provvedimenti debbano essere adottati dal giudice, in particolare le condizioni che andrebbero soddisfatte o la procedura da seguire. Tale autonomia processuale trova un argine nel dovuto rispetto dei limiti derivanti dalla Dir. 2001/29/CE, dei principi fondamentali del diritto e segnatamente della proprietà, tra cui la proprietà intellettuale, della libertà d’espressione e dell’interesse generale. La Corte poi riprende le indicazioni del caso L’Oreal/eBay (Corte giust. UE, 12 luglio 2011, L’Oréal/eBay, causa C-324/09) ricordando che i giudici nazionali possono ingiungere al gestore di un mercato on line di adottare provvedimenti (indicando anche le modalità dissuasive) che contribuiscano a far cessare le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale ad opera degli utenti ed a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Non indica però quali, lasciando tutta la questione nelle mani dei giudici nazionali, con effetti preoccupanti per l’incidenza che modalità diverse di “intervento” possano avere effetti negativi su un sistema (come Internet) © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 173 Non è previsto a suo carico un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite24. Nonostante quanto indicato, il prestatore è comunque tenuto: a) ad informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione; b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite25. Il prestatore – ai sensi dell’art. 17, co. 3 – è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso, non ha provveduto ad informarne l’autorità competente26. necessariamente “comunicante”, tanto che appare difficile distinguere (e, se del caso, limitare) la portata degli effetti di provvedimenti ‘dissuasivi’. Quanto detto è applicabile anche ai casi di Cloud provider, secondo quanto detto al Capitolo III, par. 7. 24 Per il noto caso Google/Vivi Down v., tra tanti, il commento di F. DI CIOMMO, Google/Vivi Down, atto finale: l’hosting provider non risponde quale titolare del trattamento dei dati, in Foro it., 2014, II, c. 346 ss.; L. NICOLA, E. TUCCI, il caso Google/Vivi Down e la responsabilità dell’Internet Service Provider. una materia che esige chiarezza, in Giur. comm., 2011, p. 1215 ss. 25 “Il motore di ricerca che trasmette in rete informazioni fornite da terzi, in relazione al numero statistico delle richieste di utenti che utilizzano lo stesso servizio, non ha l’obbligo di rimuovere termini offensivi che risultano da tali ricerche, ai sensi dell’art. 15, D.Lgs. n. 70/2003; pertanto lo stesso motore di ricerca non risponde dei danni conseguenti alla diffusione eventuale di termini diffamatori, ex art. 2059 c.c.” (Trib. Milano, 25 maggio 2013, X c. Google inc, in Danno e Resp., 2013, p. 908 ss.). 26 La giurisprudenza di merito ha definito le distinzioni di responsabilità sussistenti tra provider e content provider. In particolare, un Tribunale ha condannato un content provider per omissione di controllo e verifica dei profili di lesività emergenti dai contenuti sussistenti nel sito, ed in specie con riferimento alla lesione del diritto d’autore, laddove sul sito di un comune gestito dal content provider, era stato pubblicato uno scritto senza alcuna autorizzazione del titolare. Con la stessa pronuncia, il Tribunale ha escluso la responsabilità del provider che esercita un’attività di hosting per l’omesso controllo del materiale trasmesso. È responsabile per i contenuti inseriti on line, ex art. 2043 c.c., il prestatore di un servizio della società di informazione che, rispetto al sito web dal medesimo allestito e gestito, non si limiti alla fornitura dei servizi di connettività ed alla gestione tecnica, ma operi quale fornitore di materiale informativo. È responsabile a titolo di colpa, ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c., il provider che si limiti alla prestazione del servizio di memorizzazione, tendenzialmente stabile, dei dati inseriti dai propri clienti o da altri utenti della rete (host provider), qualora, pur consapevole della presenza di materiale sospetto sul sito, ometta di accertarne l’illiceità e, conseguentemen© Wolters Kluwer 174 Capitolo IV Il decreto affronta inoltre le questioni legate all’applicazione delle disposizioni prevedendo, in particolare, dei meccanismi per migliorare l’efficienza complessiva di un sistema di mercato basato sul commercio elettronico. Il primo meccanismo è costituito dallo spazio riservato all’incentivazione dei codici di condotta, da parte di associazioni o organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori, per regolamentare le problematiche contrattuali. L’art. 18 prevede che le associazioni o le organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori promuovono l’adozione di codici di condotta che trasmettono al Ministero dello sviluppo economico e alla Commissione Europea con ogni utile informazione sulla loro applicazione e sul loro impatto nelle pratiche e consuetudini relative al commercio elettronico. Se adottato, il codice deve essere accessibile per via telematica e redatto in tre lingue: italiano, inglese e un’altra lingua comunitaria27. Il secondo meccanismo è legato alla previsione, di strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, anche per via telematica. In caso di controversie, recita l’art. 19, co. 1, prestatore e destinatario del servizio della società dell’informazione possono adire, anche organi di composizione extragiudiziale che operano anche per via telematica. Tali organi, se operano in conformità ai principi previsti dall’ordinamento comunitario e da quello nazionale, sono notificati, su loro richie- te, di rimuoverlo. Lo stesso provider si ritiene inoltre responsabile a titolo di dolo, nel caso in cui egli sia consapevole anche dell’antigiuridicità della condotta dell’utente e, ancora una volta, si astenga dall’intervenire (Trib. Catania, 29 giugno 2004). Lo stesso orientamento è condiviso dal Tribunale di Napoli, secondo cui la responsabilità del provider per i fatti illeciti commessi in siti Internet è di carattere soggettivo e ricollegabile alla violazione in concreto delle norme di prudenza, perizia e diligenza prescritte per gli operatori modello del settore commerciale, ex art. 2043 c.c.; e alla stregua di detti criteri va adeguatamente valutato il comportamento del provider che, appena venuto al corrente di tali fatti illeciti, non agisce immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso. Affinché il provider, che si limiti ad ospitare sui propri server i contenuti di un sito Internet predisposto dal cliente, possa rispondere per le attività illecite poste in essere da quest’ultimo, non è possibile ravvisare un’ipotesi di colpa presunta, ma è necessario che sussista la colpa in concreto, ravvisabile, ad esempio, laddove venuto a conoscenza del contenuto diffamatorio di alcune pagine web, non si attivi immediatamente per farne cessare la diffusione in rete (Trib. Napoli, 4 settembre 2002). Per un quadro più ampio v. R. PETRUSO, La responsabilità civile degli e-providers nella prospettiva comparatistica, in Europa e dir. priv., 2011, p. 1107 ss. 27 I codici sono trasmessi al Ministero dello Sviluppo economico ed alla Commissione Europea, con ogni utile informazione sulla loro applicazione e sul loro impatto nelle pratiche e consuetudini relative al commercio elettronico. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 175 sta, alla Commissione dell’Unione Europea per l’inserimento nella Rete europea di composizione extragiudiziale delle controversie28. Quanto ai ricorsi giurisdizionali – e siamo al terzo meccanismo – la direttiva chiedeva agli Stati membri di individuare delle procedure che “consentano rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa”. Sul punto, il D.Lgs. n. 70/2003 non si pronuncia, limitandosi ad indicare, all’art. 3, co. 3, che “Alle controversie che riguardano il prestatore stabilito si applicano le disposizioni del regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale”. Infine, circa il regime sanzionatorio, la direttiva chiede agli Stati membri di prevedere che le sanzioni applicabili alle violazione delle regole sul commercio elettronico siano “effettive, proporzionate e dissuasive”. Sul punto l’art. 21, stabilisce una sanzione amministrativa da 103 a 10.000 euro, per le violazioni di cui agli articoli 7, 8, 9, 10 e 12. Salvo che il fatto non costituisca reato. Nei casi di particolare gravità o di recidiva i limiti minimo e massimo della sanzione indicata sono raddoppiati Le sanzioni sono applicate secondo quanto previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’art. 13 della predetta legge, all’accertamento delle violazioni provvedono, d’ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto di accertamento delle violazioni è presentato al Ministero dello Sviluppo economico, fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 24 della L. n. 689/1981. Si tenga conto che le sanzioni sono piuttosto elevate non tanto per il valore economico in sé, quanto per il fatto che gli articoli ai cui si riferiscono prevedono un numero molto ampio di fattispecie: la condotta sanzionabile potrebbe consistere, pertanto, seppur con riferimento ad un solo articolo, in un numero ampio di violazioni. Un chiaro esempio di quanto detto può essere facilmente verificato con riferimento all’art. 7, riportato in precedenza. 28 Si veda, ora, quanto indicato al Capitolo VIII. © Wolters Kluwer 176 Capitolo IV 4. Segue: le indicazioni sui contratti conclusi per via elettronica Il menzionato D.Lgs. n. 70/2003 dedica attenzione – così come la dir. n. 2000/31 – ai “Contratti conclusi per via elettronica”. L’art. 9, par. 1, della direttiva prevede, a carico degli Stati membri, l’obbligo di rendere possibile la contrattazione per via telematica, ossia che la normativa nazionale relativa alla formazione del contratto non privi di efficacia i contratti elettronici on line solo perché stipulati in questa forma. Questa indicazione non riguarda il nostro paese, dove, a partire dal D.P.R. n. 513/1997 (e ora tenendo conto del Codice dell’amministrazione elettronica), è stata da tempo riconosciuta – almeno in via di principio – cittadinanza giuridica alla contrattazione per via elettronica e telematica. L’art. 9, par. 2, prevede che gli Stati membri possano limitare l’impiego dei contratti per via telematica per alcune o tutta una serie di categorie indicate. L’art. 11 del D.Lgs. n. 70/2003 riporta l’identica formulazione. Sono pertanto esclusi dall’applicazione del decreto: a) i contratti che istituiscono o trasferiscono diritti relativi a beni immobili, tranne quelli in materia di locazione; b) i contratti che richiedono, per legge, l’intervento di organi giurisdizionali, pubblici poteri o professioni che esercitano pubblici poteri; c) i contratti di fideiussione o di garanzia prestate da persone per fini che esulano dalle loro attività commerciali, imprenditoriali o professionali; d) i contratti disciplinati dal diritto di famiglia o di successione. L’art. 12 del decreto stabilisce le informazioni che devono essere fornite dagli operatori dei servizi della società dell’informazione, fatte salve tutte quelle già previste per specifici beni e servizi, alle quali si aggiungono quelle indicate dall’art. 3 del D.Lgs. n. 189/1999 (ora nel Codice del consumo, con le modifiche di cui al D.Lgs. n. 21/2014). Il prestatore, salvo diverso accordo tra parti che non siano consumatori, deve fornire in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile, prima dell’inoltro dell’ordine da parte del destinatario del servizio, le seguenti informazioni29: 29 L’AGCM con il provvedimento 10 novembre 2010, n. 21795, ha ritenuto scorretta, e quindi sanzionato, la condotta posta in essere da Telecom Italia relativa alla commercializzazione del proprio servizio di pagamento on line denominato “Alice Pay” in quanto “non fornendo in modo completo informazioni in merito alle ca© Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 177 - le varie fasi tecniche da seguire per la conclusione del contratto; il modo in cui il contratto concluso sarà archiviato e le relative modalità di accesso; - i mezzi tecnici messi a disposizione del destinatario per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l’ordine al prestatore; - gli eventuali codici di condotta cui aderisce e come accedervi per via telematica; - le lingue a disposizione per concludere il contratto oltre all’italiano; - l’indicazione degli strumenti di composizione delle controversie. Tali obblighi di informazione non sono applicabili ai contratti conclusi esclusivamente mediante scambio di e-mail (o comunicazioni individuali equivalenti). Sono in tutto o in parte derogabili – nelle ipotesi in cui si applicano – qualora nessuna delle parti sia un consumatore. Di conseguenza La norma distingue tra l’ipotesi in cui una parte contrattuale sia un consumatore (B2C) da quella in cui siano parti solo imprenditori o professionisti (B2B): nel caso di un contratto “B2B” le parti potranno accordarsi in piena autonomia, prescindendo da quanto stabilito nel decreto stesso, pur se, in assenza di diverso accordo si applicheranno le regole contenute nel decreto. Viceversa, nell’ipotesi “B2C” al consumatore dovranno essere fornite le sopra indicate informazioni. Non è invece derogabile l’obbligo da parte del prestatore di porre a disposizione della controparte le clausole e le condizioni generali del contratto proposte affinché possano da quest’ultima essere riprodotte e memorizzate. L’art. 12, co. 3, stabilisce, infatti che “Le clausole e le condizioni generali del contratto proposte al destinatario devono essere messe a sua disposizione in modo che gli sia consentita la memorizzazione e la riproduzione”. Da ciò è facile dedurre che l’ambito di applicazione di tale normativa si restringe necessariamente ai contratti c.d. “point and click” o contratti conclusi mediante accesso al sito. Quanto alla dinamica di conclusione del contratto, come ben sanno tutti coloro che hanno dato un previa lettura all’art. 11 della dir. n. 2000/31, uno dei punti più controversi per il legislatore comunitario è stato quello di sciogliere l’intricata matassa derivante dall’indicazione del momento ratteristiche e alle complessive condizioni di fruizione dell’offerta pubblicizzata, agli standard qualitativi, temporali e prestazionali, è in grado di orientare indebitamente le scelte dei consumatori”. © Wolters Kluwer 178 Capitolo IV di conclusione di un contratto telematico, posto che vigono diversi criteri in Europa, soprattutto con riferimento ai paesi di common law. L’art. 11 della direttiva, rubricato “Inoltro dell’ordine”, è diventato, nel nostro paese, l’art. 13. Tale articolo si apre con una esplicito rinvio alle regole codicistiche in tema di conclusione dei contratti: “Le norme sulla conclusione dei contratti si applicano anche nei casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio della società dell’informazione inoltri il proprio ordine per via telematica”. Quando un ordine sia inoltrato tramite strumenti telematici, sono previsti i seguenti principi: a) il prestatore deve, senza ingiustificato ritardo e per via telematica, “accusare ricevuta” (sic!) dell’ordine del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni generali e particolari applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del servizio e l’indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e dei tributi applicabili. È fatto salvo diverso accordo “tra parti diverse dai consumatori”; b) l’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti alle quali sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi. Quanto indicato alle lettere a) e b) “non sono applicabili ai contratti conclusi esclusivamente mediante scambio di messaggi di posta elettronica o comunicazioni personali equivalenti”. 5. Il commercio elettronico nel Codice del consumo. Rinvio. Il Codice del consumo, con riferimento al commercio elettronico, effettua – all’art. 68 – un rinvio al D.Lgs. n. 70/2003: “Alle offerte di servizi della società dell’informazione, effettuate ai consumatori per via elettronica, si applicano, per gli aspetti non disciplinati dal presente codice, le disposizioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, recante attuazione della dir. n. 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 179 Si crea quindi un legame di complementarietà con il Codice del consumo per andare incontro ad esigenze proprie di una nuova figura: quella del “consumatore standard di Internet”30. Si deve fare però attenzione perché il “rinvio”, sul tema della tutela dei diritti dei consumatori, riguarda gli “aspetti non disciplinati” dal Codice del consumo. Con le modifiche che hanno portato all’”accorpamento” (ed ampliamento) delle disposizioni sugli obblighi informativi (e sugli “altri” diritti: quali la consegna ed il passaggio del rischio), riferiti alla vendita a distanza e fuori dei locali commerciali, molte nuove “interferenze” si creano tra la disciplina generale e quella speciale (senza che si possa dire, prima facie, quale delle due, tra il Codice e il D.Lgs. n. 70/2003, rivestano il carattere di “generalità” rispetto all’altra). Ad ogni modo, il contratto a distanza è “qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso” (art. 45, co. 1, lett. g), cod. cons.). La vendita o la prestazione di servizi può riguardare anche “contenuti digitali”, ossia “dati prodotti e forniti in formato digitale” (art. 45, co. 1, lett. m). Le nuove disposizioni consumeristiche, secondo quanto stabilisce l’art. 46 cod. cons. (al di là delle molteplici eccezioni) si applicano a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore e, qualora, vi sia un conflitto tra le disposizioni del Codice del consumo con altre (di derivazione comunitaria) che disciplinano settori specifici, queste ultime e le relative norme nazionali di recepimento prevalgono e si applicano a tali settori specifici. Questo non può dirsi per il commercio elettronico perché, nonostante il rinvio dell’art. 68, non si ravvisa una “specialità” nelle questioni che attengono alle regole “base” di tutela contrattuale dei consumatori. Per quanto riguarda, infatti, gli obblighi informativi – ampiamente previsti all’art. 49 cod. cons. – si stabilisce che questi si aggiungono a quelli del D.Lgs. n. 70/2003 (co. 8) e, con specifico riferimento al “contenuto e 30 Si segnalano, al riguardo, le decisioni della Corte giust. CE, 23 marzo 2010, sul caso Google (cause riunite da C-236/08 a C-238/08) e del 25 marzo 2010, sul caso BergSpechte (causa C-278/08) che definiscono la nozione del consumatore standard di Internet come “l’utente di internet normalmente informato e ragionevolmente attento”. © Wolters Kluwer 180 Capitolo IV le modalità di rilascio delle informazioni” prevalgono quelle del Codice del consumo (co. 9). Sui requisiti formali valgono, inoltre, le indicazioni contenute nell’art. 51 che fa espressamente riferimento alle dinamiche della contrattazione attraverso Internet: a) i siti di commercio elettronico devono indicare in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati (co. 3); b) se il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni, il professionista fornisce, su quel mezzo in particolare e prima della conclusione del contratto, almeno le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto, conformemente all’art. 49, co. 1, lett. a), b), e), h) e q). Le altre informazioni di cui all’art. 49, co. 1, sono fornite dal professionista in un modo appropriato conformemente al comma 1 del presente articolo (co. 4). Tuttavia le indicazioni “formali” dell’art. 51, a mente di quanto disposto dal suo co. 9, lasciano impregiudicate “le disposizioni relative alla conclusione di contratti elettronici e all’inoltro di ordini per via elettronica conformemente agli articoli 12, commi 2 e 3, e 13 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni”. Infine, per la contrattazione via web (o comunque elettronica) valgono le nuove disposizioni in tema di recesso (artt. 52-59 cod. cons.)31. 6. Alcune modalità di “relazione” tra venditori e consumatori on line: qualche spigolatura Prima di proseguire, vale la pena di enucleare alcuni dei problemi più comuni che si possono riscontrare nella contrattazione on line. Si tratta, in alcuni casi, di errori “di marketing” privi di conseguenze se non rispetto al cliente (cioè all’acquisto attuale, potenziale o successivo). In altre 31 Per tutte le indicazioni si rinvia al Capitolo VII. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 181 ipotesi, però, l’errore è di tipo giuridico e, come tale, foriero di conseguenze ben più gravi di quelle che segnano esclusivamente la perdita del cliente. a) Le imprese non dicono “chi sono” Spesso nella home-page immancabilmente è prevista una “casella”, denominata “chi siamo” in cui sono normalmente contenute vaghe informazioni agiografiche, del tipo: “siamo una giovane impresa che crede nel contatto diretto con i clienti e che ha considerato Internet quale chiave del proprio business”, ed altre banalità di tenore analogo. Poche imprese però ricordano che, da tempo, l’art. 2250 c.c. prevede, tra l’altro, l’obbligo, per le società tenute all’iscrizione al registro delle imprese, di indicare negli atti e nella corrispondenza alcune precise informazioni e cioè: - la ragione sociale; - la sede della società; - il numero di iscrizione al registro delle imprese; - il numero di iscrizione nel REA (e la relativa Camera di commercio che li detiene); 32 - il codice fiscale e il numero della partita IVA ; - l’indirizzo di posta elettronica certificata che è obbligatoria per imprese (in forma societaria e individuale) e professionisti iscritti a Ordini o Collegi33; - il capitale sociale effettivamente versato, secondo l’ultimo bilancio approvato (per le società di capitali); - l’eventuale liquidazione in seguito a scioglimento; - l’eventuale stato di società con unico socio (Spa e Srl unipersonali); 32 L’obbligo di pubblicare la Partita IVA sulla home page del sito per i soggetti passivi è confermato anche dall’art. 35, D.P.R. n. 633/1972, modificato dall’art. 2, D.P.R. n. 404/2001, mentre la Risoluzione 16 maggio 2006, n. 60/E sottolinea che l’onere di pubblicazione riguarda anche siti web utilizzati per motivi pubblicitari. 33 L’art. 16, co. 6-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), prevede che le imprese costituite in forma societaria che ometteranno l’indicazione del proprio indirizzo di posta elettronica certificata vedranno sospendersi dall’ufficio del registro delle imprese, in attesa dell’integrazione, per tre mesi, la domanda di iscrizione. Ciò nonostante, è opportuno rilevare come tale disposizione operi esclusivamente in fase di iscrizione nel registro, mentre non è predisposta alcuna sanzione per le società già iscritte. © Wolters Kluwer 182 Capitolo IV - la società o ente alla cui attività di direzione e di coordinamento la società è soggetta (art. 2497-bis c.c.). Tale obbligo riguarda anche ogni “luogo” ad accesso pubblico sul quale si effettua attività di comunicazione e negli altri luoghi virtuali di comunicazione, come e-mail e profili sui social networks. A tutti questi obblighi si aggiungono quelli informativi “generali” previsti: a) dall’art. 7 del D.Lgs. n. 70/2003; b) dalla disciplina in tema di privacy (D.Lgs. n. 196/2003); c) dalle norme in materia di tutela dei consumatori (di cui al Codice del consumo). b) L’impresa opera on line legittimamente? L’impresa opera on line legittimamente? L’interrogativo è meno banale di quanto non appaia prima facie. È infatti piuttosto raro trovare imprese che abbiano contezza che l’attività che svolgono (anche) on line può essere soggetta (e in genere lo è) al rispetto di una serie, seppur misconosciuta, di disposizioni amministrative che, per es., segnano la legittimità dello stesso operare dell’impresa. Basti, senza necessità di spendere molte parole, tenere in debito conto che per avviare il commercio al dettaglio su Internet è richiesta la presentazione del Scia secondo l’art. 18 del D.Lgs. n. 114/1998. L’equivoco dipende dal fatto che non si tiene conto che l’essere un commerciante “off line” abilitato non è condizione sufficiente per traslare l’attività web senza l’assolvimento del predetto obbligo (che è soggetto a sanzione). Peraltro in pochi siti è dato leggere che la segnalazione certificata è stata inoltrata ed in quale data (ciò rileva, per es., per la permanenza dei requisiti soggettivi qualora richiesti). c) Dove sono le condizioni generali di contratto? Dove sono le condizioni generali di contratto? Anche questo interrogativo appare, a prima vista, del tutto balzano. Tuttavia occorre tener conto che, nella vendita ai consumatori, l’impresa deve rendere disponibile una serie di informazioni che costituiscono la trama negoziale proposta e ciò in tempo utile e prima della conclusione del contratto. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 183 In sostanza, non è sufficiente che, come indicato all’art. 1341 c.c. per le condizioni generali di contratto, il contraente-consumatore “avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”. Ed, infatti, l’art. 52, co. 2, del Codice del consumo sancisce che tali informazioni “devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile [...] osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà”. Dunque non devono essere cercate dall’interessato ma, al contrario, a questi devono essere fornite. La criticità di questo comportamento – come vedremo trattando delle informazioni “dovute” ai consumatori – ha determinato il legislatore comunitario ad “irrigidire” e standardizzare, su tutto il quadrante europeo, dei precisi obblighi di risultato “informativo”. Le informazioni presenti sul sito – restiamo, naturalmente, a quelle giuridiche – devono essere inoltre aggiornate con tempestività, di modo che gli obblighi informativi previsti da specifiche disposizioni, nonché, più in generale, quelli che promanano dagli artt. 1337 e 1338 c.c., trovino corretta ed effettiva attuazione. Per la cronaca, tale obbligo è stato espressamente stabilito per le informazioni di cui all’art. 7, co. 1, del D.Lgs. n. 70/2003. d) Le “proposte” presenti su Internet L’atto che segna l’avvio del dialogo negoziale su Internet non è di immediata comprensione. Non è infatti semplice distinguere – e i primi ad essere in difficoltà sono gli stessi imprenditori – tra: - proposta contrattuale; - offerta al pubblico; - invito ad offrire; - promozione commerciale (rectius: vendita promozionale); - promozione pubblicitaria. Le differenti situazioni che si vengono a creare nelle ipotesi indicate non sono state scrutinate con attenzione. Un esempio varrà più di molte parole. Tizio, dettagliante on line, offre al pubblico l’acquisto di una macchina fotografica di una nota marca, ad un prezzo particolarmente conveniente ma non così basso da rendere evidente un errore nell’indicazione del prezzo. L’offerta, completa di tutti i particolari per la conclusione del contratto, non sottolinea in alcun modo (circostanze e/o © Wolters Kluwer 184 Capitolo IV usi e/o esplicita indicazione) che, pur essendo completa, non deve essere intesa come proposta contrattuale. Cosa succede se accettano la proposta un numero di consumatori superiore al numero di macchine fotografiche disponibili? Secondo qualche voce è chiaro che vi sia una implicita riserva connessa alla concreta disponibilità dei prodotti34. In sostanza, il meccanismo insito nella predetta affermazione dovrebbe essere il seguente: l’offerta è una proposta fintanto esiste disponibilità dei prodotti, cessata la quale torna ad essere una offerta, ossia un invito ad offrire. Non vale proprio la pena ragionare attorno all’assurdità giuridica di una siffatta prospettazione35, che è però sufficiente a dimostrare come su Internet il dato giuridico determini qualche prospettiva distorta anche a giuristi di solide basi. La questione non solo andrebbe – com’è ovvio – verificata con riferimento a quanto indicato dal codice civile e dalla altra disciplina applicabile, quanto con l’occhio rivolto alle conseguenze che tali situazioni recano su Internet in relazione ai diversi soggetti che svolgono attività di commercio elettronico al dettaglio, per i quali (come per l’artigiano che vende on line), il luogo di conclusione del contratto determina la scelta della tipologia di “relazione” con i clienti. e) Le informazioni sul diritto di “ripensamento” Chi predispone i testi presenti nei siti è dell’avviso che, laddove sia possibile “semplificare” non è il caso di lasciarsi sfuggire l’occasione. In adesione a questa logica possiamo leggere che, all’acquirente, “[...] si applicano le regole stabilite dal Codice del consumo”. Il che, tradotto con una facile battuta, sarebbe come dire che al contratto tra le parti si applica il 34 “Ogni negoziante si ritiene libero di decidere a chi vendere (ossia di scegliere la propria clientela) e quando vendere [...]; considera quanti entrano nel proprio negozio come proponenti, ai quali si riserva di rispondere con una accettazione o con un rifiuto” (F. GALGANO, Diritto privato, X ed., Padova, 1999, p. 232 s.). Pertanto, secondo questa impostazione, un problema di disponibilità dei prodotti non si pone: il venditore accetterà le proposte contrattuale dell’interessato all’acquisto tenendo conto dei prodotti di cui dispone (o può disporre). 35 Basti por mente, lasciando al lettore trarre le debite conclusioni, quanto prevede l’art. 3 del D.Lgs. n. 114/1998, rubricato “Obbligo di vendita”: “In conformità a quanto stabilito dall’art. 1336 cod. civ., il titolare dell’attività commerciale al dettaglio procede alla vendita nel rispetto dell’ordine temporale della richiesta”. Si consideri, tenuto conto della proverbiale ignoranza dei cultori del diritto civile e commerciale della disciplina del commercio, che per la violazione dell’art. 3 non è prevista alcuna sanzione amministrativa: la “sanzione” è dunque quella “tipica” connessa all’adempimento delle obbligazioni. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 185 diritto italiano; poi, ciascuno, va alla ricerca delle norme in una delle numerose raccolte legislative disponibili in commercio (oppure on line). Anche in questa situazione, pare chiaro che l’imprenditore (o chi ha pensato alla questione in sua vece) non ha compreso che la disciplina di tutela dei consumatori non prevede un mero rinvio ad una formula normativa ma, al contrario, richiede che il consumatore sia reso edotto, esattamente, dei diritti che gli spettano anche se sono molti, di difficile estrinsecazione, e di ancor più scarso appeal “visivo” sulle pagine web. f) Le informazioni relative alla disciplina del trattamento dei dati personali. Le considerazioni anzidette valgono ancor di più (in senso negativo) se si ha riguardo al trattamento dei dati personali. Indubbiamente gli art. 7 e 13 del D.Lgs. n. 196/2003 costituiscono una tabella piuttosto estesa. Ma, di qui al mero riferimento ai diritti spettanti al soggetto titolare dei dati, ovvero il loro “riassunto” ce ne corre, soprattutto se si tiene a mente le sanzioni (anche penali) previste dalla legge. Anche sulla tutela della privacy non mancano siti che, nell’afflato di enfatizzare l’impostazione marketing oriented, toccano e valicano le vette del ridicolo. In particolare è stato dato di leggere che, dal momento che il venditore non fa alcun uso dei dati personali del cliente, non c’è bisogno di alcuna autorizzazione (e, quindi, men che mai di perdere tempo con tali indicazioni). Vale la pena di ricordare – e pare che ce ne sia bisogno – che i diritti che spettano al titolare dei dati gli debbono essere comunque indicati poiché esiste sempre un trattamento minimo che concerne le informazioni (anche personali) contenute nel contratto stipulato tra le parti. Peraltro non è priva di valore una apposita disclosure relativa alle modalità di “stoccaggio” di queste informazioni, nonché sul livello di sicurezza che ne garantisce il lecito impiego e ne esclude l’ulteriore circolazione. Di recente, poi, gli obblighi di tutela si ampliano verso nuove forme tecniche di “schedatura” dai ben noti cookies, alle app., etc. g) Il foro competente Molti imprenditori che vendono ai consumatori scordano che il foro per le controversie è un foro speciale inderogabile posto nel domicilio o nel© Wolters Kluwer 186 Capitolo IV la residenza del consumatore se situato nel territorio dello Stato. Inutile – e molto scorretto – indicare che il foro competente è nella città ove è la sede dell’impresa. 7. Le forme di pagamento su Internet L’impiego dei computers, collegati in rete, per la trasmissione dei primi documenti elettronici (non ancora digitali) relativi agli ordinativi di acquisto di prodotti, ha determinato il conseguente problema di trovare gli strumenti per garantire che l’impegno assunto fosse eseguito dal relativo pagamento. Va da sé che la questione ha assunto grande rilievo con il massiccio utilizzo di Internet. In questo senso l’evoluzione è stata repentina, man mano che la rete Internet, tramite l’applicazione di idonei standard di sicurezza (chiavi di accesso personali, cifratura dei documenti, etc.) abbatteva l’incidenza dei rischio di frode rispetto al costo di opportunità del servizio. Inizialmente, infatti, anche se lo scambio di documenti avveniva in rete, il pagamento era realizzato off line, secondo i metodi tradizionali (per es. con l’indicazione del numero della carta di credito). L’utilizzo della carta di credito tradizionale è ancora un sistema molto usato, proprio per la certezza legale conferita a questo strumento di pagamento ed alle reti di comunicazione da tempo instaurate da tutti i circuiti di banche emittenti (Visa, Amex, MasterCard, etc.): indicando il proprio numero di carta di credito, il trasferimento dei fondi avviene esattamente con le stesse modalità di una qualsiasi cena ad un ristorante con la consegna della carta di credito al cameriere (e, in un certo senso, con rischi analoghi), con tutti i tempi e le diseconomie complessive che la procedura off line genera, come quella che appresso indichiamo per tre tipologie di acquisti in Rete, anche se ora tutti gli operatori vanno nella direzione della “multipiattaforma”. Nel caso di acquisto di un libro sul sito web della libreria virtuale Amazon36, il compratore deve identificarsi attraverso un protocollo cifrato secondo lo standard Https. Dopo essere stato identificato l’utente deve fornire un numero di carta di credito. Per gli acquisti di prodotti hardware presso Chl37, la procedura identificativa del cliente prevede, quale forma di pagamento, il contrassegno. 36 37 www.amazon.com. www.chl.it. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 187 Al cliente, identificato con il codice fiscale (o la partita IVA), viene attribuito un codice-cliente per la spedizione della merce che, come detto, viene pagata al ricevimento, secondo i metodi tradizionali delle vendite per corrispondenza. Un altro esempio è offerto dai servizi nelle procedure per commercialisti e consulenti del lavoro della società Zucchetti38, per l’accesso ai quali il cliente deve previamente acquistare una carta prepagata presso i rivenditori (o concessionari) Zucchetti che viene consegnata con una password che sarà usata, assieme al numero stampato sulla card, per la fruizione dei servizi su Internet. Su una strada analoga si è mossa anche Poste Italiane, con la carta “Postepay”39. Con l’impiego della crittografia e l’intervento delle Autorità di certificazione è stato possibile trasferire in Rete le carte di credito per passare dalla procedura di trasferimento di fondi off line a quella on line, con una serie di ipotesi sulle quali è utile soffermare, nel prosieguo, brevemente l’attenzione. Una precisazione è però opportuna. La maggior parte dei sistemi di pagamento on line si fondano sull’impiego di sistemi di crittografia e di firma digitale, al fine di garantire la sicurezza nella trasmissione delle informazioni. Tra la crittografia e l’impiego della firma digitale c’è però un rapporto di genere a specie i cui termini non necessariamente debbono essere presenti nel commercio elettronico. Ne consegue che un certo rischio – considerato che si tratta di contrattazione tra assenti – è ineliminabile (nessuno può infatti escludere che la firma digitale sia apposta da soggetto diverso)40. Nonostante ciò la giurisprudenza valuta con un certo rigore la responsabilità degli istituti di credito che, attivando servizi di home banking, non adottano gli opportuni sistemi di sicurezza per evitare intrusioni. Anche a fronte dell’adozione di misure di protezione in linea con gli standard del settore, la banca può comunque essere chiamata a rimborsare, a 38 www.zucchetti.it. www.poste.it; www.posteitaliane.it. 40 V., però, L’art. 9, co. 1, lett. a), della L. 15 ottobre 2013, n. 119 che ha convertito in legge, con modificazioni, il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, (recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”) ed ha previsto, all’interno dell’art. 640 ter c.p. (Frode informatica), una nuova statuizione normativa rubricata “Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale”. Detta disposizione dispone la pena “della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti”. Per un ampio commento v. A. DI TULLIO D’ELISIIS, Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale: profili applicativi, in www.altalex.com/index.php?idnot=66034. 39 © Wolters Kluwer 188 Capitolo IV norma della disciplina sui servizi di pagamento, la perdita sofferta dal correntista allorquando i pirati informatici, per impossessarsi delle credenziali, si siano avvalsi di metodi particolarmente sofisticati che, allo stato, non sono riconoscibili e neutralizzabili dal cliente medio 41. È la prassi denominata “phishing” in cui un hacker invia alla “vittima” un messaggio di posta elettronica in apparenza proveniente dal gestore del servizio, ovvero mediante la creazione di pagine web anch’esse riferibili al gestore medesimo, la cui finalità è quella di carpire dati personali del cliente a propria volta utilizzabili per effettuare esborsi con somme prelavate dal suo conto o per trasferire dette somme altrove. La condotta in parola configura i reati di sostituzione di persona, accesso abusivo a un sistema informatico e truffa42. La banca è tuttavia responsabile civilmente nei confronti del cliente raggirato? Anzitutto valgono (dal 2010) le norme sui sistemi di pagamento che fanno gravare sugli istituti di credito il rischio sull’impiego di sistemi informatici di pagamento. Inoltre, esistono sempre le pattuizioni che le parti (banca e cliente) hanno convenuto circa l’utilizzo del servizio di home banking, nelle quali uno degli aspetti più rilevanti è la “garanzia” circa la sicurezza (anche tecnica) delle transazioni43. La responsabilità è stata, infine, ricondotta al mancato rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali44. 41 Dal ultimo Trib. Milano,Sez. VI, 4 dicembre 2014, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=70136 con il commento di A. PALMIERI. 42 Trib. Milano, 7 ottobre 2011 (in Dir. pen. e processo, 2012, 1, p. 55 ss., con nota di R. FLOR): “Chi utilizza tecniche di “phishing” per ottenere, tramite artifici e raggiri e inducendo in errore l’utente, le credenziali di autenticazione necessarie ad accedere abusivamente a spazi informatici esclusivi del titolare (ad es. relativi alla gestione dei conti correnti “on-line”) e a svolgere, senza autorizzazione, operazioni bancarie o finanziarie, può rispondere dei delitti di cui agli artt. 494 (sostituzione di persona), 615-ter (accesso abusivo a sistemi informatici o telematici) e 640 c.p. (truffa). Sono penalmente responsabili coloro che, senza essere concorsi nel reato presupposto, nella piena consapevolezza della provenienza illecita o, comunque, accettandone il rischio - purché non desunto da semplici motivi di sospetto, bensì da una situazione fattuale inequivoca - a seguito di proposte di collaborazione in internet, tramite e-mail, contatti in chat o messaggi allocati su pagine “web”, e la prospettazione di facili guadagni in relazione alla semplice attività richiesta ai cd. “financial manager”, pongono all’incasso e successivamente trasferiscono somme di denaro, tutte provenienti da delitti non colposi”. La condotta riverbera anche sul funzionario di banca che effettua un accredito di somme potendo arguire la loro provenienza illecita. Cass. pen., sez. II, 17 giugno 2011, n. 25960, ha evidenziato che l’elemento soggettivo del reato di riciclaggio può essere integrato dal dolo eventuale in ordine alla provenienza illecita del denaro, non essendo all’uopo sufficiente che l’imputato abbia agito sulla base di un mero sospetto, ovvero di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse verso la provenienza illegale delle somme ricevute e trasferite. 43 Trib. Firenze 20 maggio 2014; Trib. Verona, 2 ottobre 2012; Trib. Nocera Inferiore 18 febbraio 2011. 44 Trib. Siracusa, 15 marzo 2012; Trib. Palermo, 11 giugno 2011. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 189 a) Carte di credito on line e virtuali La carta di credito on line si fonda sull’intervento di un’autorità di certificazione che provvede alla realizzazione di un’apposita carta di credito crittografata. La Visa International e la MasterCard International hanno introdotto, nel 1996, uno standard di sicurezza delle transazioni denominato SET (Secure Eletronic Transactions), al quale aderiscono, tra le società più note, IBM, Microsoft e Netscape45. Il SET è un punto di partenza messo a disposizione degli sviluppatori di software per la realizzazione, in base alle sue specifiche, di sistemi in grado di dare le garanzie appena elencate. Tra questi sviluppatori ritroviamo la stessa Visa, che ha realizzato un apposito servizio di pagamento per il commercio elettronico – VSEC (Visa Secure Electronic Commerce) – che costituisce un’applicazione “dedicata” del protocollo SET. Il meccanismo funziona grazie alla “autenticazione” delle parti coinvolte nei pagamenti mediante un sistema di crittografia a chiave pubblica, garantito dalla Autorità di certificazione prescelta dalla società che “emette” la carta di credito di rete, ossia il certificato virtuale che sarà utilizzato per gli acquisti. L’acquirente, per ottenere il certificato virtuale, deve registrare la propria carta di credito, compilando un formulario nel quale, oltre ai dati personali, sono indicati tutti i dati relativi alla carta (numero, scadenza, etc.). Questi dati vengono “autenticati” dalla banca di emissione, dopo la verifica dell’esistenza del conto corrente e dell’esattezza dei dati indicati, in un apposito certificato “virtuale”. Questi dati, crittografati, vengono poi trasmessi alla Autorità di certificazione scelta dal sistema che provvede alla sicurezza delle comunicazioni tra gli operatori e tra questi e le rispettive banche. La contrattazione avviene nel modo seguente: il compratore predispone l’ordine di acquisto ed “allega” il certificato “virtuale” (crittografati secondo lo standard scelto dall’Autorità di certificazione) che, prima della 45 V., per altri dettagli, www.visa.com. Prima del SET, tuttavia, va citato Il protocollo iKP (Internet Keyed Payment Protocol), sviluppato dalla IBM. Si tratta di un prototipo di sistema di pagamento su Internet basato su carta di credito che è stato la base dello standard SEPP di Mastercard, poi abbandonato in favore dello standard SET, in cooperazione con VISA. iKP può facilmente essere usato per implementare un sistema di assegni elettronici. Per inciso, il protocollo iKP era stato originariamente pensato come contributo alla standardizzazione piuttosto che come una tecnologia di proprietà IBM. Cfr. http://www.zurich.ibm.com/security/past-projects/ecommerce/iKP_overview.html. © Wolters Kluwer 190 Capitolo IV trasmissione al fornitore, viene nuovamente crittografato con l’algoritmo SET, realizzando una sorta di busta sigillata. Il fornitore riceve la “busta” contenente l’ordine che provvede a decrittare ed a trasmettere, unitamente al certificato “virtuale”, alla propria banca che regolerà la transazione con la banca di emissione del certificato. Il SET – gestito da una apposita società46 - pur avendo avuto il merito della condivisione dalla maggior parte delle società emittenti carta di credito, a partire dalla fine del 2000, è stato sottoposto ad una procedura di decisa revisione, per rendere maggiormente efficiente il sistema, in specie quello legato al “riconoscimento” del titolare della carta di credito (3-D Model, 3-D SET e 3-D Secure). Non sono ancora chiari i definitivi sviluppi di queste innovazioni portate avanti da Visa. Una formula alternativa allo standard SET è quello messo a punto dalla società CyberCash47 che non richiede la partecipazione di una Autorità di certificazione ma si fonda sull’attribuzione ai clienti, che indicano a CyberCash la propria carta di credito, di un “portafoglio software” che, una volta installato sul proprio computer, genera una coppia di chiavi asimmetriche. Al momento dell’acquisto, il cliente preleva la propria carta di credito dall’interno del “portafoglio virtuale” e la trasmette in una busta digitale realizzata con la propria chiave pubblica di riferimento. In questo modo il fornitore, che deve anch’esso aderire al sistema, riceve la busta crittografata con tutte le informazioni per “validare” l’ordinativo, come “attestate” dalla CyberCash. CyberCash, in difficoltà finanziaria, è stata successivamente acquisita da VeriSign che, a sua volta, nel 2005, è stata rilevata da PayPal. In Italia SSB - Società per i servizi bancari ha ideato un sistema che le banche italiane hanno adottato a partire dal 1997. Si tratta del “TELEpay” che, nella sua versione detta Classic, permette, tra l’altro, l’effettuazione di pagamenti on line mediante carte di credito (Visa e Mastercard)48. L’idea chiave è che dati riservati come il numero di carta di credito non vengono mai trasmessi al commerciante. Chi invece riceve tali dati, ma debitamente criptati, è solo SSB che, dopo la verifica della validità di tali 46 Secure Electronic Transaction Ltd (nota anche come SETco), cfr. www.setco.org. http://en.wikipedia.org/wiki/CyberCash,_Inc. 48 http://www.cartedipagamento.com/merchant/telepay-ssb.htm. 47 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 191 informazioni, invia l’eventuale autorizzazione al commerciante insieme all’ordine. L’operazione, in quest’ultima fase, si può considerare rientrata tra le normali operazioni riconosciute dai circuiti internazionali di carte di credito e dal sistema bancario. Bisogna però rilevare che esistono due modalità di pagamento: la prima è basata su un’autorizzazione on line (o in tempo reale), ed è adatta a negozi che offrono servizi o che non hanno problemi di disponibilità di magazzino, poiché si presume che essi siano in grado di eseguire tutti gli ordini ricevuti; la seconda modalità si fonda su un’autorizzazione differita. In quest’ultimo caso il cliente, per considerare riuscito l’acquisto, deve attendere che il venditore confermi il suo ordine. La comunicazione dei dati riservati alla SSB avviene in modalità sicura con TELEpay Classic. Non c’è solo il protocollo SSL (Secure Sockets Layer)49 che protegge la riservatezza e l’integrità dei dati a livello di trasporto, ma c’è anche un protocollo proprietario aggiuntivo che si basa sull’algoritmo RSA con chiavi a 1024 bit per la protezione a livello applicativo. Gioca comunque un ruolo fondamentale per gli acquirenti la consapevolezza di avere a che fare, per quanto riguarda l’invio dei dati per il pagamento, solo ed esclusivamente con un ente quale SSB che, in quanto espressione del sistema bancario, gode della più ampia fiducia. Non si verifica così il blocco psicologico derivante dal dover affidare ad estranei (in questo caso i commercianti) dati così preziosi. b) Smart card La smart card è una carta dotata di un microprocessore che funziona come un borsellino elettronico. All’interno della carta, oltre alle informazioni di “capienza” monetaria, possono essere contenute chiavi crittografate, certificati di validazione, etc., che permettono ovunque di realizzare degli acquisti, soprattutto quando questi siano di modesta entità. La card può essere utilizzata sia presso gli esercizi tradizionale che via Rete, con o senza l’impiego di circuiti crittografati, possedendo all’inter- 49 Il protocollo SSL è stato implementato nel protocollo Transport Layer Security (TLS) le cui applicazioni vengono spesso indicate come TLS/SSL. © Wolters Kluwer 192 Capitolo IV no un sistema di verifica automatica che viene “dichiarata” al momento dell’ordine di pagamento. In Francia, l’uso delle smart card è stato avviato con una “specializzazione” operata con il protocollo SET50. La società Cartes Bancaires ha così sviluppato la soluzione C-SET (Chip-Secured Electronic Transaction). In sostanza si tratta dell’innesto del protocollo SET direttamente sulla carta a microprocessore per l’impiego della quale il titolare deve utilizzare il relativo PIN identificativo. Inserita la carta nel computer e digitato il PIN, la procedura permette di “firmare” l’acquisto ed emettere l’ordine di pagamento sulla carta di credito. Tale soluzione è stata poi sostituita dal citato sistema 3D Secure di Visa e Mastercard51. Tra le più note smart card che sono parte della storia va citata la carta della Mondex (promossa, nel 1996, ad Hong Kong dalla Standard Chartered e Bank of China) e la Prime Visa Cash. Mentre quest’ultima, basata su una tecnologia e-cash il cui standard era frutto dell’associazione tra MasterCard, Visa ed Europay (c.d. standard EMV), la Mondex si segnalava per la sua estrema versatilità. Questa carta poteva infatti essere inserita in una busta crittografata, utilizzata con qualsiasi browser (perché il linguaggio impiegato fosse lo standard Java), oppure ricaricata dal proprio conto corrente tramite bancomat e, perfino, a distanza tramite telefono o modem. La caratteristica più rilevante della Mondex consiste tuttavia nella possibilità di trasferimento di fondi tra un soggetto ed un altro semplicemente con un collegamento chip-to-chip, possibilità, questa, di difficile realizzazione con le tradizionali carte di credito, poiché devono essere coinvolti troppi soggetti (il fornitore, il cliente, le rispettive banche e la società che gestisce il circuito)52. c) Assegni elettronici Gli assegni elettronici, anch’essi una alternativa all’impiego delle carte di credito, sono una delle evoluzioni circa i metodi di pagamento attualmente in fase sperimentale da parte di alcune società o organizzazioni, tra le quali FSCT (Financial Services Technology Consortium)53 cui si ag50 www.w3.org/Dsig/reports/Final1.html. http://en.wikipedia.org/wiki/3-D_Secure. 52 http://www.mondex.org/main_page.html. 53 Si tratta di un ente no profit che è particolarmente attivo nel settore dei sistemi di pagamento: www.fstc.org (v. ora www.bits.org). 51 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 193 giungono l’Università della California (cui si deve il progetto NetCheque), nonché il prodotto PayNow, lanciato, nel 1997, dalla CyberCash. Il sistema per la generazione di un assegno elettronico è il seguente: con la smart card in dotazione, il compratore genera un assegno con firma digitale che invia al fornitore all’interno di una busta digitale crittografata. Il fornitore, ricevuto l’assegno non deve fare altro che apporre la propria firma digitale e “girare” così l’assegno alla propria banca che provvede all’apertura della “busta” ed al completamento della transazione. Altro sistema è quello messo a punto dall’FSTC, denominato eCheck54. eCheck è stato presentato come il primo strumento elettronico di pagamento utilizzato dal Ministero del Tesoro statunitense per pagamenti di elevato ammontare effettuati attraverso Internet55. In sintesi, il meccanismo di funzionamento è il seguente: Il traente scrive un eCheck creando un documento elettronico contenente le informazioni richieste dalla legge, e lo firma digitalmente. Il beneficiario, ricevuto l’assegno (magari via e-mail), verifica la firma digitale del traente e lo gira. La banca negoziatrice, dopo verificate entrambe le firme digitali, accredita il conto del beneficiario e invia l’assegno per la compensazione. La banca trattaria, verifica la firma digitale del traente (suo cliente) e procede all’addebito del conto di quest’ultimo. Per far sì che la firma digitale abbia un significato, la banca emette un certificato attestante l’associazione della relativa chiave pubblica al cliente che ha aperto un conto presso di essa per l’emissione di eCheck. La banca funge quindi da Autorità di Certificazione. Tale certificato però non garantisce, ad esempio, il buon fine dell’assegno, ossia l’esistenza di fondi sufficienti presso il relativo conto. Uno strumento che dispiega la sua utilità su diversi fronti è l’electronic checkbook. Esso prende di solito la forma di una smart card, in cui la chiave privata del cliente è “protetta” dal PIN necessario ad attivarne le funzioni. In tal modo infatti la chiave privata non lascia mai la smart card, neanche al momento dell’inserimento di quest’ultima in un lettore collegato ad un computer. Soprattutto, tale chiave privata non viaggerà mai in Rete. 54 55 www.echeck.org. V., al riguardo, la Section 3-104 dello US- Uniform Commercial Code. © Wolters Kluwer 194 Capitolo IV Altra funzione dell’electronic checkbook, è quella di numerare automaticamente ogni eCheck, per garantirne l’unicità. Nella smart card è contenuto anche il certificato digitale emesso e firmato digitalmente dalla banca. Tale certificato, ad ogni creazione di eCheck, viaggerà con esso al fine di assolvere alla sua funzione di garanzia circa l’identità del firmatario dell’assegno. Un altro punto di forza del sistema messo a punto dall’FSTC, è il Financial Services Markup Language (FSML) in grado di supportare le aggiunte di informazioni che man mano interessano il singolo eCheck nell’arco della sua “vita”56. La struttura del documento diviene in tal modo flessibile. d) Moneta elettronica Il panorama che abbiamo appena illustrato è maggiormente completo con qualche cenno sulla moneta elettronica che segnerà, con molta probabilità, il futuro dei mezzi di pagamento in Rete. La moneta elettronica, rispetto agli altri sistemi, è interamente digitale, ossia non abbisogna di alcun supporto materiale: si tratta semplicemente di una sequenza di bit cui corrisponde, giusta la “sigla informatica” di un istituto di credito, un determinato valore monetario. Con la moneta elettronica gli acquisti saranno esattamente come quelli tradizionali, senza la necessità di coinvolgere un circuito che assicura la verifica e la conferma della validità della “moneta”, anche se devono ancora risolversi i problemi legati alla falsificazione e al suo possibile impiego per più acquisti contemporaneamente. Un sistema del genere è quello ideato dalla società olandese DigiCash 57 che funziona mediante una banca digitale su Internet, presso la quale aprono un conto i clienti che vogliono usufruire del servizio. Il cliente che vuole disporre di moneta elettronica, ne fa richiesta alla banca digitale presso la quale ha aperto un conto corrente, ricevendo (via trasmissione crittografata), sul proprio computer, un certo importo di monete digitali costituita ognuna da un pacchetto informativo che dichiara automaticamente il proprio valore ed uno specifico numero di serie. 56 57 http://searchsoa.techtarget.com/definition/Financial-Services-Markup-Language. La Società è stata poi acquisita da InfoSpace nel 2002. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 195 Al momento dell’acquisto, il software installato sul computer dell’acquirente genera automaticamente un numero di serie casuale per ogni moneta elettronica utilizzata che, crittografata, viene inviata al fornitore. Il meccanismo prevede, inoltre, l’automatica integrazione del “potere di acquisto”, qualora la spesa sia superiore al “contante” posseduto. In questa ipotesi, con un ordine alla banca virtuale concordato al momento dell’apertura del conto, la banca provvederà a versare – nei limiti della capienza del conto – direttamente monete elettroniche per coprire la parte mancante dell’importo relativo alla spesa effettuata. Il progetto di DigiCash è stato acquisito dalla e-Cash Tecnologies Inc. che ha predisposto un nuovo prodotto denominato eCash al quale è stato apposto uno schema di “blind signature” al fine di garantire l’anonimato dei pagamenti su Internet, nello stesso senso in cui è (normalmente) irrintracciabile chi paga in contanti58. Nel sistema DigiCash, infatti, la banca è potenzialmente in grado di riconoscere ogni singola moneta elettronica ad essa presentata, ricollegando le stesse ai relativi clienti che le avevano precedentemente richieste. Anzi, per certi versi questo può rappresentare anche un’ulteriore caratteristica vantaggiosa, perché è teoricamente possibile contrassegnare le monete elettroniche, in modo tale da condizionare il modo in cui esse possono essere spese. La risposta al problema dell’anonimato nel sistema eCash, proviene dalla “blind signature”, cioè dal fatto che non è la banca a generare le monete elettroniche, ma il software nel computer del cliente a dare inizio a tale creazione. È lo stesso programma che si occupa quindi della generazione di numeri di serie casuali e che provvede all’inserimento del “blinding factor”, r. Quindi tali monete vengono spedite alla banca in una busta digitale. Il messaggio contenuto nella busta, ossia le monete con i relativi numeri casuali, grazie al valore casuale r, non è conoscibile da parte della banca. Quest’ultima si limita ad apporre la propria firma digitale, concludendo in tal modo il processo di generazione delle monete digitali di cui però, stavolta, non può conoscere il numero di serie. Ovviamente è in questa fase che la banca provvede anche all’addebito del conto del cliente per il relativo ammontare. 58 http://www.ecash.com/. © Wolters Kluwer 196 Capitolo IV Questo sistema così perfezionato di pagamento (tra le iniziative devono essere citate, per gli acquisiti di minore entità, CyberCoin della CyberCash, utilizzabile per pagamenti fino a 10 dollari, nonché Millicent, della Digital, con “tagli” fino ad un massimo di 5 centesimi di dollaro) 59 si presenta di particolare interesse, una volta risolti i problemi di sicurezza, sebbene in assenza di una regolamentazione internazionale potrebbe alterare molti degli attuali equilibri finanziari tra gli Stati. La possibilità poi di pagare in Rete singole porzioni di servizi (addirittura singole informazioni: si pensi ad un articolo di giornale, un oroscopo, etc.) sembra, infine, la strada lungo la quale Internet comincerà ad essere, anche economicamente, una occasione di business anche per quelle informazioni che, attualmente, sono disponibili gratis sulla rete. Tuttavia, come tutte le medaglie, anche questa ha un verso: l’utilizzo del blindig factor per finalità di riciclaggio di denaro di provenienza illecita. e) Segue: il sistema Bitcoin La più recente e nota “elaborazione” di moneta digitale è, senza dubbio, il bitcoin, creato nel 200960. Bitcoin, che sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali (come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione di proprietà della stessa), non si basa su un ente centrale ma su un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni. La rete Bitcoin consente il possesso ed il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari ad utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer sotto forma di “portafoglio” digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili ad una banca. I bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso chiunque disponga di un “indirizzo bitcoin”. La rete Bitcoin crea e distribuisce in maniera completamente casuale un certo ammontare di monete all’incirca sei volte l’ora ai client che prendono parte alla rete in modo attivo, ovvero che contribuiscono tramite la propria potenza di calcolo – e dietro una “ricompensa” – alla gestione e alla sicurezza della rete stessa. 59 Per i micropagamenti (ove anche soluzioni più recenti) v. http://en.wikipedia.org/wiki/Micropayment. “Bitcoin” si riferisce alla rete tecnologica mentre “bitcoin” (o BTC) si riferisce alla valuta. Per quanto detto nel testo v. http://it.wikipedia.org/wiki/Bitcoin. Per i profili legati alle possibili forme di riciclaggio v. S. C APACCIOLI, Riciclaggio, antiriciclaggio e Bitcoin, ne Il Fisco, 2014, p. 4561 ss. 60 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 197 Il numero di bitcoin creati per blocco era inizialmente di 50 BTC (aggiunti agli eventuali costi delle singole transazioni). Tale quantità è stata programmata per diminuire nel tempo secondo una progressione geometrica con un dimezzamento del premio ogni 4 anni circa. Così dimensionata, questa serie comporta che, in totale, verranno creati esattamente 21 milioni di bitcoin nel giro di 130 anni circa, con l’80% degli stessi creati nei primi 10 anni. Dal 28 novembre 2012, la ricompensa è passata a 25 BTC per blocco, e così sarà per i successivi 4 anni. Con la progressiva riduzione della ricompensa di generazione nel tempo, la fonte del guadagno per i c.d. “minatori” passerà dalla generazione della moneta alle commissioni di transazione incluse nei blocchi, fino al giorno in cui la ricompensa cesserà di essere elargita: per allora l’elaborazione delle transazioni verrà ricompensata unicamente dalle commissioni di transazione stesse. L’importo della commissione può essere impostato liberamente da chi effettua una transazione, sebbene da maggio 2013, con l’aggiornamento alla versione 0.8.2 del client ufficiale, commissioni al di sotto alla soglia di 0.0001 BTC vengono considerate non standard e, di conseguenza, le transazioni associate rischiano di non essere mai confermate. Tanto più è alta la commissione tanto più è probabile che venga inclusa nel primo blocco estratto, accelerando quindi la prima conferma. Gli utilizzatori hanno dunque un incentivo ad includere tali commissioni, perché ciò significa che la transazione sarà probabilmente elaborata più rapidamente: ogni “minatore” ha la libertà di scegliere quali transazioni includere nel blocco che sta elaborando, che ha una dimensione massima prefissata dal protocollo, e che quindi sarà invogliato ad includere per prime le transazioni con commissioni maggiori. A differenza delle valute a corso legale, i bitcoin hanno la caratteristica che nessuno può controllarne il valore a causa della natura decentralizzata del metodo di creazione: la quantità di valuta in circolazione è limitata a priori ed il suo quantitativo è prevedibile da tutti i suoi utilizzatori in anticipo. I trasferimenti sono definiti come un cambio di proprietà della valuta, e vengono effettuati senza la necessità di un ente esterno che debba fare da supervisore tra le parti. Tale modalità di interscambio rende impossibile annullare la transazione e quindi riappropriarsi delle monete che hanno cambiato di proprietà. © Wolters Kluwer 198 Capitolo IV Ogni persona che partecipa alla rete Bitcoin possiede un portafoglio che contiene un numero discrezionale di coppie di chiavi crittografiche. Le chiavi pubbliche, o “indirizzi bitcoin”, fungono da punti d’invio o ricezione per tutti i pagamenti. La corrispondente chiave privata autorizza il pagamento solo all’utente proprietario di una certa moneta. Gli indirizzi non contengono informazioni riguardo ai loro proprietari ed in genere sono anonimi. Gli indirizzi in forma leggibile sono sequenze casuali di numeri e cifre lunghe in media 33 caratteri, che cominciano sempre per 1, della forma 175tWpb8K1S7NmH4Zx6rewF9WQrcZv245W. Gli utenti possono avere un qualsiasi numero di indirizzi Bitcoin, ed infatti è possibile generarne a piacimento senza nessun limite in quanto la loro generazione costa poco tempo di calcolo (equivalente alla generazione di una coppia di chiavi pubblica/privata) e non richiede nessun contatto con altri nodi della rete. Creare una nuova coppia di chiavi per ogni transazione aiuta a mantenere l’anonimato. I bitcoin contengono la chiave pubblica del loro proprietario (cioè l’indirizzo). Quando un utente A trasferisce della moneta all’utente B rinuncia alla sua proprietà aggiungendo la chiave pubblica di B (il suo indirizzo) sulle monete in oggetto e firmandole con la propria chiave privata. Trasmette poi queste monete in un apposito messaggio, la “transazione”, attraverso la rete peer-to-peer. Il resto dei nodi validano le firme crittografiche e l’ammontare delle cifre coinvolte prima di accettarla61. 8. Segue: il Mobile Remote Payment Con l’espressione Mobile Remote Payment s’intende il pagamento effettuato da un dispositivo portatile (smartphone, tablet, ma anche computer portatile di ultima generazione) attraverso una connessione wireless con una piattaforma di servizi di pagamento che invia al consumatore un “segnale” di conferma della transazione. Tra questi si segnala la connessione WAP (Wireless Application Protocol) sul quale operano i mobile devices. 61 Per sapere chi sono i bitcoiner in italia v. la Fondazione Bitcoin (https://www.bitcoin-italia.org/) ed il forum https://bitcointalk.org/. Nella mappa in www.coinmap.org sono indicati tutti gli esercizi commerciali che in Italia accettano bitcoin. Infine è possibile anche utilizzare i Robocoin Kiosk (analoghi ai bancomat) per accreditare sul proprio conto digitale banconote (dopo averle convertite) in bitcoin. La lista dei “bancomat” attivi in Italia (al momento in cui scriviamo sono 9) è in http://coinatmradar.com/country/105/bitcoin-atm-italy/. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 199 Utilizzando dei “portafogli elettronici” (o anche la disponibilità creditizia della “scheda telefonica”)62 è possibile compiere trasferimenti finanziari tra dispositivi cellulari, anche via bluetooth63. All’interno della categoria dei pagamenti da “mobile” si collocano anche i pagamenti da “mobile” c.d. “di prossimità” (Mobile Proximity Payment). Come comprensibile dalla denominazione si tratta di sistemi di pagamento da dispositivo mobile che richiedono necessariamente: a) la vicinanza tra il venditore e l’acquirente e b) l’impiego di tecnologie di comunicazione a corto raggio. Un primo esempio di utilizzo di tecnologia di prossimità è costituito dalle carte contactless che impiegano la tecnologia Rfid. Si tratta di carte elettroniche dotate di un’antenna e di un microchip con memoria e capacità di elaborazione dati, attraverso le quali il semplice avvicinamento al terminale permette di effettuare i pagamenti64. Questa modalità sostituisce il più tradizionale inserimento fisico della carta dotata di banda magnetica; il vantaggi di queste carte è sicuramente la rapidità di esecuzione del pagamento che solitamente per piccoli importi non richiedono neanche la digitazione di PIN o ricevute da firmare65. Se, in luogo della carta si utilizza uno smartphone (o, comunque, un mobile device), possono aversi sistemi di pagamento con la lettura di QR Codes anche se gli sviluppi più promettenti sono quelli che utilizzano le tecnologie NFC (Near Field Communication), attraverso le quali con una connettività bidirezionale a corto raggio (di massimo 10 cm) tra il dispositivo POS si può effettuare il pagamento. In sostanza avvicinando i due dispositivi (POS e smartphone) viene a crearsi una rete peer to peer tra i due terminali ed entrambi possono inviare e ricevere informazioni. Molti istituti bancari offrono servizi collegati ai pagamenti da dispositivo mobile: - Unicredit rende disponibile ai suoi clienti un’App per effettuare pagamenti di bonifici, giroconti, ricariche, negoziazione di titoli da cellulare66; 62 http://android.hdblog.it/2013/06/05/play-store-ecco-come-effettuare-gli-acquisti-con-il-credito-telefonico-wind/. 63 Nel campo del Mobile Money Transfer è attivo, per es., il sistema PayPal. 64 Per es. PostePay Evolution (http://www.postepay.it/Postepay_Evolution/Postepay_Evolution_home.html). 65 http://it.wikipedia.org/wiki/Carta_contactless. 66 https://www.unicredit.it/it/privati/serviziinnovativi/bancaviacellulare.html. © Wolters Kluwer 200 Capitolo IV - il gruppo Intesa-San Paolo offre invece un servizio “business” di dispositivi mobili POS che sfruttano la tecnologia NFC per pagamenti attraverso carte contactless o smartphone; per i propri clienti ha sviluppato l’App “Il mio POS” (sia per Android che per iOS) al fine di rendere gli smartphone dei veri e proprio Point Of Sale portatili67; - Banca Mediolanum, in collaborazione con PayPal, fornisce il servizio “Mediolanum Send Money”, ovvero un sistema di trasferimento di denaro basato su circuito PayPal68; Poste Italiane, attraverso Poste Mobile e l’App PosteMobile, associa allo smartphone le carte di pagamento di Poste Italiane (BancoPosta, PostePay) e permette anche di ottenere una E-PostePay69. Anche le compagnie telefoniche si sono attivate su questo settore sviluppando applicazioni, basate su tecnologia NFC, per trasformare gli smartphone in “portafogli elettronici” (come Vodafone e Tim)70 I pagamenti con smartphone e tablet danno luogo anche a profili problematici in tema di tutela della privacy. In questa direzione il Garante ha dettato un quadro di apposite indicazioni71. 67 http://www.intesasanpaolo.com/incassi-pagamenti/move-and-pay-business.jsp. https://www.bancamediolanum.it/send-money. 69 https://postepay.poste.it/servizi_online/app_epostepay/. 70 I progetti (prodotti) hanno lo stesso nome: Vodafone Wallet (http://www.vodafone.it/portal/ Privati/Vantaggi-Vodafone/Applicazioni/vodafone-wallet-nfc) e Tim Wallet (http://www.wallet.tim.it/ app/). 71 Con la Delibera 22 maggio 2014, n. 258, Provvedimento generale in materia di trattamento dei dati personali nell’ambito dei servizi di mobile remote payment (14A04553), in GURI n. 137 del 16 giugno 2014, il Garante ha stabilito che gli utenti telefonici, sia in abbonamento sia con carta prepagata, potranno acquistare in sicurezza servizi, abbonarsi a quotidiani on line, comprare e-book, video e giochi con il proprio telefono o altri strumenti elettronici. I dati personali acquisiti per la transazione (dal numero telefonico ai dati anagrafici, dalle informazioni sul servizio o prodotto digitale richiesto all’indirizzo IP di collegamento) non potranno poi essere usati per altre finalità, come l’invio di pubblicità o analisi delle abitudini, senza lo specifico consenso degli utenti, e dovranno essere adeguatamente protetti dai rischi di uso fraudolento. Le misure a tutela della privacy dovranno essere adottate da tutti i soggetti coinvolti nella fornitura del servizio di micropagamento: gli operatori di comunicazione elettronica (ovvero le compagnie telefoniche che forniscono il servizio di pagamento tramite cellulare), gli aggregatori (le società che forniscono l’interfaccia tecnologica), i venditori (le aziende che offrono contenuti digitali e servizi); nonché tutti gli altri soggetti eventualmente coinvolti nella transazione (come quelli che consentono, anche tramite apposite app, l’accesso al mercato digitale). In sintesi si prevede: a) informativa - Gli utenti dovranno essere informati sulle modalità di trattamento effettuato sui loro dati sin dalla sottoscrizione o adesione al servizio di pagamento da remoto; b) consenso - Le società non dovranno richiedere il consenso degli utenti per il trattamento dei dati relativi alla fornitura del servizio di remote mobile payment. Il consenso è invece obbligatorio per la comunicazione dei dati personali a terzi oppure in caso di loro utilizzo per attività di marketing e profilazione; 68 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 201 9. I pagamenti telematici: le indicazioni del legislatore Per i pagamenti informatici il panorama normativo è in rapida evoluzione72. L’art. 12 del D.P.R. n. 445/2000, prima delle intervenute modifiche, si limitava a prevedere – peraltro in modo del tutto impreciso – che “il trasferimento elettronico dei pagamenti (...) è effettuato secondo le regole tecniche definite col decreto di cui all’art. 3”. L’articolo distingue tre fattispecie di pagamenti elettronici: tra privati, tra pubbliche amministrazioni e tra queste e i privati, dacché pare si possa intendere come indicazione “programmatica” per una differenziazione disciplinare al momento della previsione delle regole tecniche. Tuttavia chi si attendeva una soluzione nell’ambito delle regole tecniche è rimasto deluso poiché il D.P.C.M. dell’8 febbraio 1999 non dedicava alcuna previsione specifica al “trasferimento dei pagamenti tra privati, pubbliche amministrazioni e tra queste e soggetti privati”. Qualche segnale positivo pareva risiedere anche nell’art. 2, co. 10, della L. n. 127/1997, che prevede che la carta di identità elettronica possa essere utilizzata anche per i trasferimenti elettronici di fondi tra privati e pubblica amministrazione. Nello stabilire le caratteristiche di detta carta di identità, il D.P.C.M. 22 ottobre 1999, n. 437, ripetendo l’erronea indicazione dell’art. 12, del D.P.R. n. 445/2000, si è però limitato a ribadire che, “La carta d’identità elettronica può essere utilizzata anche per il trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubblica amministrazioni, previa definizione, d’intesa tra il comune interessato e c) conservazione - I dati degli utenti trattati dagli operatori, dagli aggregatori e venditori, potranno essere conservati al massimo per 6 mesi. L’indirizzo Ip dell’utente dovrà invece essere cancellato dal venditore una volta terminata la procedura di acquisto del contenuto digitale; d) misure di sicurezza - Operatori, aggregatori e venditori saranno tenuti ad adottare precise misure per garantire la confidenzialità dei dati, quali: sistemi di autenticazione forte per l’acceso ai dati da parte del personale addetto, e procedure di tracciamento degli accessi e delle operazioni effettuate; criteri di codificazione dei prodotti e servizi; forme di mascheramento dei dati mediante sistemi crittografici; e) ulteriori misure a tutela della privacy - Dovranno essere adottate misure al fine di impedire l’integrazione delle diverse tipologie di dati a disposizione dell’operatore telefonico (dal consumo telefonico ai dati sull’uso della tv interattiva) e di evitare la profilazione “incrociata” dell’utenza basata su abitudini, gusti e preferenze, a meno che non venga espresso uno specifico consenso informato da parte dell’utente. I venditori, inoltre, per garantire maggiore riservatezza alle transazioni dei clienti, potranno trasmettere all’operatore telefonico solo le categorie merceologiche di riferimento dei prodotti digitali offerti senza indicazioni sullo specifico contenuto del prodotto o servizio acquistato, a meno che non sia necessario per la fornitura di servizi in abbonamento. Dovranno essere previsti anche accorgimenti tecnici per disattivare servizi destinati ad un “pubblico adulto” e per inibirne l’accesso a minorenni. 72 Da ultimo v. P. PACILEO, La disciplina della moneta elettronica: dalla direttiva 2000/46/CE al D.Lgs. 45/2012, in S. SICA, V. ZENO-ZENCOVICH, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, IV ed., MilanoPadova, 2015, p. 535 ss., cui adde (in retrospettiva), P. PACILEO, Contratti on line e pagamenti elettronici, Torino, 2010. © Wolters Kluwer 202 Capitolo IV l’intermediario incaricato di effettuare il pagamento, delle modalità di inserimento e validazione dei dati necessari” (art. 7). Successivamente, il citato art. 12 del D.P.R. n. 445/2000 è stato corretto ad opera del D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137. L’art. 5, co. 1, di detto decreto, ha dettato questo nuovo testo, rubricato Pagamenti informatici: “Il trasferimento in via telematica di fondi tra privati, pubbliche amministrazioni e tra queste e soggetti privati è effettuato secondo regole fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o, per sua delega, del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, della giustizia e dell’economia e delle finanze, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e la Banca d’Italia”. È scomparso, come si vede, il rinvio alle regole tecniche ed, infatti, anche il D.P.C.M. 13 gennaio 2004 (che ha sostituito quello dell’8 febbraio 1999) non fa parola di alcuna regola applicativa per i pagamenti telematici. La questione è – con tutta evidenza – di non poco momento poiché un corpus specifico di disposizioni soprattutto sulla sicurezza dei pagamenti, potrebbe aumentare la fiducia verso gli acquisti tramite Internet. L’art. 66, co. 5, del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) stabilisce – da ultimo – che “La carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi possono essere utilizzate quali strumenti di autenticazione telematica per l’effettuazione di pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni, secondo le modalità tecniche di cui all’art. 71, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia”. Per quanto concerne la moneta elettronica (al di là dei casi “privatistici” più significativi quali “omnipay” di Omnitel73, “moneta on line”74, e “postepay”75), il tema ha assunto rilevanza anche da parte del legislatore. L’Unione europea, in una Raccomandazione del 1997 (97/489/CE), ha definito come “strumento di moneta elettronica” “uno strumento di pagamento ricaricabile che non sia uno strumento di pagamento mediante accesso a distanza, sia esso una carta con valore immagazzinato o una memoria di elaboratore elettronico, sulla quale è caricato elettronica- 73 Omnitel è poi confluita in Vodafone. www.monetaonline.it che ora si chiama MonetaWeb del gruppo Setefi (http://www.setefi.it/Portale Istituzionale/pagine/moneta_web). 75 http://www.postepay.it. 74 © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 203 mente il valore, affinché il titolare possa effettuare le operazioni ... (di cui all’Art. 1, par. 1 della suddetta raccomandazione)”. Successivamente dopo aver ampliato le attività degli enti creditizi (dir. n. 2000/28/CE) ha adottato la dir. n. 2000/46/CE del 18 settembre 2000, riguardante “L’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica” (detti IMEL)76. Con l’espressione “moneta elettronica” si intende, ai sensi dell’art. 1, co. 3, lett. b), della direttiva, “un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia: i) memorizzato su dispositivo elettronico, ii) emesso dietro ricezione di fondi il cui valore non sia inferiore al valore monetario emesso, iii) accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente”. I termini giuridici sono ora maggiormente definiti. La moneta elettronica costituisce, per un verso, un credito nei confronti dell’emittente e, per altro verso, è un mezzo di pagamento “accettato” da terzi soggetti. Con la Legge 1° marzo 2002, n. 39 (art. 55, co. 1) è stata data attuazione alla dir. n. 46/2000/CE, apportando alcune integrazioni al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. In seguito è stata emanata la dir. n. 2009/110/CE che, abrogando le Direttive precedenti (tra cui la citata 2000/46/CE) amplia la definizione di moneta elettronica includendo non solo tutti i prodotti disponibili oggi sul mercato creditizio ma anche quelli che verranno sviluppati in futuro77. 76 in GUCE, n. L 275 del 27 ottobre 2000, p. 35 ss. Va ricordato che, il 24 luglio del 2013, la Commissione ha trasmesso al Consiglio la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle dir. nn. 2002/65/CE, 2013/36/UE e 2009/110/CE e che abroga la dir. n. 2007/64/CE, nonché una proposta di Regolamento, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento tramite carta [COM(2013)550 final]. L’obiettivo è quello di contribuire a sviluppare un mercato unico dei pagamenti per tutta l’Unione europea, che consenta ai consumatori, ai dettaglianti e ad altre imprese di godere appieno dei benefici offerti dal mercato interno, tra cui il commercio elettronico, in linea con la strategia “Europa 2020” e con l’Agenda digitale europea. “Per conseguire questo obiettivo, per promuovere servizi diffusi a tutta l’UE e per favorire l’efficienza e l’innovazione nel campo degli strumenti di pagamento tramite carta e delle operazioni di pagamento basate su carta in ambiente on line, off line e mobile, è opportuno creare chiarezza giuridica e condizioni di parità. Occorre inoltre vietare le regole commerciali e le altre condizioni che impediscono a consumatori e ai dettaglianti di disporre di informazioni accurate sulle commissioni pagate in relazione alle operazioni di pagamento e che pertanto ostacolano la creazione di un mercato interno pienamente efficiente”. La direttiva mira ad agevolare e rendere più sicuro l’impiego di servizi di pagamento via Internet a basso costo includendo nell’ambito di applicazione i cosiddetti nuovi servizi di ordine di pagamento. Sono servizi che intervengono nel rapporto tra esercente e banca dell’acquirente e permettono di effettuare pagamenti elettronici senza carta di credito. I prestatori di tali servizi saranno tuttavia sottoposti alle stesse norme rigorose 77 © Wolters Kluwer 204 Capitolo IV Detta Direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 16 aprile 2012, n. 4578, apportando le modifiche al D.Lgs. n. 385/1993. La definizione di “moneta elettronica” è ora (art. 2, co. 2, lett. h-ter, D.Lgs. n. 385/1993) la seguente: “il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento come definite all’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente” Non costituisce moneta elettronica: 1) il valore monetario memorizzato sugli strumenti previsti dall’art. 2, co. 2, lett. m), del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, ossia “i servizi basati su strumenti che possono essere utilizzati per acquistare beni o servizi solo nella sede utilizzata dall’emittente o in base ad un accordo commerciale con l’emittente, all’interno di una rete limitata di prestatori di servizi o per una gamma limitata di beni o servizi”; 2) il valore monetario utilizzato per le operazioni di pagamento previste dall’art. 2, co. 2, lett. n), del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, ossia “le operazioni di pagamento eseguite tramite qualsiasi dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico, quando i beni o servizi acquistati sono consegnati al dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico, o devono essere utilizzati tramite tale dispositivo, a condizione che l’operatore di telecomunicazione, digitale o informatico, non agisca esclusivamente quale intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore dei beni e servizi”. Quanto detto evidenzia le due tipologie di moneta elettronica che sono: - software based, laddove le disponibilità liquide dell’acquirente sono memorizzate su di un file del computer e il POS che stabilisce di regolamentazione e vigilanza applicabili a tutti gli altri istituti di pagamento. Allo stesso tempo le banche e tutti gli altri prestatori di servizi di pagamento dovranno migliorare la sicurezza delle operazioni in linea, subordinando il pagamento a un’autenticazione rigorosa del cliente. In caso di pagamenti con carta non autorizzati, ai consumatori potrà essere chiesto solo di sostenere perdite estremamente limitate (fino a un massimo di 50 euro rispetto agli attuali 150); inoltre aumentano i diritti dei consumatori in caso di bonifici o rimesse di denaro al di fuori dell’Europa o in caso di pagamenti in valute extra-UE. Si tenga conto, tuttavia, che la proposta di direttiva, se comprende i Mobile Wallet, esclude dalla regolamentazione i pagamenti effettuati tramite browser del dispositivo mobile o i pagamenti con credito telefonico. 78 In Suppl. ord. n. 86 alla GURI n. 99 del 28 aprile 2012 (http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls? urr:nir:statodecreto:legislativo:2012;045). © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 205 un collegamento informatico con il computer sul quale sia memorizzato tale file è un POS virtuale; - card based, laddove il valore monetario della provvista è memorizzato nel microchip che si trova nella carta e può essere utilizzato, come fosse denaro contante, senza bisogno di alcun “collegamento” con l’istituto emittente (come invece avviene con il bancomat e la carta di credito/debito che, al loro interno, non “contengono” denaro)79. Alla moneta elettronica ed agli IMEL è dedicato il Titolo V-bis (art. 114bis e ss.). Tra gli elementi di novità del provvedimento, sicuramente rileva la prescrizione decennale per i rimborsi di moneta elettronica, ovvero il diritto ad avere indietro dalle banche e dagli altri istituti di moneta “virtuale” le somme depositate per far fronte ai piccoli pagamenti di tutti i giorni; diritto che si prescriverà dopo dieci anni dalla scadenza del rapporto e non più dopo un anno come prevedeva la previgente disciplina. Inoltre, per quanto attiene alla normativa antiriciclaggio (D.Lgs. n. 231/2007) scatteranno gli obblighi di verifica della clientela “nel caso in cui, se il dispositivo non è ricaricabile, l’importo massimo memorizzato sul dispositivo non ecceda 250 euro, oppure nel caso in cui, se il dispositivo è ricaricabile, sia imposto un limite di 2.500 euro sull’importo totale trattato in un anno civile, fatta eccezione per i casi in cui un importo pari o superiore a 1.000 euro sia rimborsato al detentore nello stesso anno civile ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2009/110/CE ovvero sia effettuata una transazione superiore a 1.000 euro, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1781/2006. Per quanto concerne le operazioni di pagamento nazionali il limite di 250 euro di cui alla presente lettera è aumentato a 500 euro” (art. 25, co. 6, D.Lgs. 231/2007). La configurazione della “moneta elettronica” come “credito nei confronti dell’emittente” giustifica l’impossibilità per le banche di corrispondere interessi sulle somme depositate80. 79 Mette conto fare presente che, essendo files, la moneta elettronica (rispetto a quella contante) prevede la memorizzazioni di informazioni e dati personali, pertanto trovano applicano le disposizioni del Codice sulla privacy. Su questo argomento si rinvia al Capitolo VII, par. 14, lett. h). 80 “L’emittente di moneta elettronica non concede interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica” (art. 114-bis, co. 3, D.Lgs. n. 385/1993). © Wolters Kluwer 206 Capitolo IV 10. Segue: qualificazione giuridica della moneta elettronica ed effetti sulle obbligazioni pecuniarie Giunti a questo punto è il caso di dedicare attenzione ai profili giuridici della moneta elettronica, con una breve trattazione della qualificazione giuridica e degli effetti sulle obbligazioni pecuniarie. Questi argomenti, ovviamente, non esauriscono le problematiche connesse a tale strumento di pagamento, residuando – per es. – le questioni di tipo probatorio, ovvero di “tracciabilità” della moneta elettronica rispetto alla tutela della riservatezza dell’utilizzatore. Anzitutto occorre rispondere ad una domanda all’apparenza banale: la moneta elettronica è una moneta? Il termine “moneta” indica infatti due cose: da una parte è la misura di un valore (in particolare, prima dell’introduzione dell’euro, costituiva il controvalore dell’oro depositato presso la Banca d’Italia) e, dall’altra, è il mezzo di estinzione delle obbligazioni pecuniarie. Questa distinzione è ravvisabile dalla lettura dell’art. 1277 c.c., laddove si afferma che: “I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”. La moneta elettronica non può però considerarsi moneta “legale”, tant’è che non sostituisce la moneta corrente (quella emessa dalle Banche centrali: l’euro in Europa) trattandosi – giusta la definizione dell’art. 1, lett. h-ter del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – di un “valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento [...]”. È dunque solo un mezzo di pagamento la cui unità di misura è costituita da moneta legale. La moneta elettronica ha poi una ulteriore caratteristica che la distingue dalla moneta legale: è un rapporto di credito di natura privatistica tra l’Istituto di emissione ed il titolare dello strumento di pagamento. Se si passa alla verifica degli effetti estintivi delle obbligazioni pecuniarie ex art. 1277 c.c., la moneta elettronica – stante il sui carattere di moneta convenzionale e non legale – si pongono alcune questioni di non poco momento e, in particolare, circa l’accettazione di tale strumento di pagamento da parte del creditore, nonché – qualora accettata – sul momento in cui si verifica l’estinzione dell’obbligazione. © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 207 Circa il primo punto, lo stesso “meccanismo” della moneta elettronica prevede, per definizione, una sua circolazione al di fuori del circuito di emissione. Peraltro, il consenso del creditore (richiesto dall’art. 1197 c.c. per la datio in solutum) è spesso proprio da questi “anticipato”, come nel caso del commercio elettronico, ove è normale la prassi del venditore di indicare lo strumento di pagamento accettato. Quanto al momento in cui si estingue l’obbligazione, la moneta elettronica, in virtù della sua “incorporazione” con lo strumento, consente di trasferire immediatamente al creditore il valore in esso contenuto. Non vi è una intermediazione dell’Istituto di emissione e, dunque, l’estinzione dell’obbligazione è identica a quella con il pagamento in moneta contante. Su questo aspetto è opportuno spendere qualche ulteriore parola. Se l’impiego di moneta contante ha caratterizzato gran parte del nostro vissuto storico, la diminuzione costante del valore del denaro contante e la maggiore sicurezza del ricorso ad altri strumenti di pagamento ha determinato un mutamento dello stesso concetto di “pagamento”. Da una concezione, per così dire “reale”, legata alla materiale consegna del denaro si è passati, progressivamente, ad una concezione “obbligatoria”, ossia al “pagamento” mediante un diritto di credito su una determinata somma di denaro. L’obbligazione del debitore, dunque, sostanzialmente non sarebbe più la consegna della somma dovuta, quanto nel consentire la realizzazione delle procedure necessarie a porre il creditore nella posizione di poter disporre del credito. Questo trapasso concettuale è da qualcuno letto nella filigrana della legge 5 luglio 1991, n. 197 (poi modificata dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153) che vieta il trasferimento di denaro contante per somme superiori a venti milioni di lire81. 81 L’art. 1, L n. 197/1991, rubricato Limitazione dell’uso del contante e dei titoli al portatore, recita: “1. È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a lire venti milioni. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati di cui all’articolo 4; per il denaro contante vanno osservate le modalità indicate ai commi 1-bis e 1-ter. 1-bis. Il trasferimento per contanti per il tramite di intermediario abilitato deve essere effettuato mediante disposizione accettata per iscritto dall’intermediario, previa consegna allo stesso della somma in contanti. A decorrere dal terzo giorno lavorativo successivo a quello dell’accettazione il beneficiario ha diritto di ottenere il pagamento nella provincia del proprio domicilio. 1-ter. La comunicazione da parte del debitore al creditore dell’accettazione di cui al comma 1-bis produce l’effetto di cui al primo comma dell’articolo 1277 del codice civile e, nei casi di mora del creditore, anche gli effetti del deposito previsti dall’articolo 1210 dello stesso codice. © Wolters Kluwer 208 Capitolo IV 2. I vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a lire venti milioni devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il Ministro del tesoro può stabilire limiti per l’utilizzo di altri mezzi di pagamento ritenuti idonei ad essere utilizzati a scopo di riciclaggio. 2-bis. Il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere superiore a lire venti milioni. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano ai trasferimenti in cui siano parte uno o più intermediari abilitati, nonché ai trasferimenti tra gli stessi effettuati in proprio o per il tramite di vettori specializzati. (Omissis)”. La “dematerializzazione” dei pagamenti (anche al fine della loro “tracciabilità”) è proseguito con: - il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto decreto “Salva Italia”, convertito con modificazioni con L. 22 dicembre 2011, n. 214) che ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da 2.500 a 1.000 euro, la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore; - il D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto decreto “Semplificazioni”, convertito con modificazioni con la L. 26 aprile 2012, n. 44) che ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante, per acquisti effettuati da cittadini extra-Ue presso commercianti al dettaglio, nonché presso agenzie di viaggio e turismo. Pertanto, i termini di utilizzo del denaro contante per i pagamenti sono i seguenti: - è possibile effettuare pagamenti in contanti sino alla soglia massima di 999,99 euro; - è vietato il trasferimento, tra soggetti diversi, di denaro contante (nonché di libretti di deposito bancari e postali al portatore o di titoli al portatore) per importi pari o superiori a 1.000,00 euro. Per l’effettuazione di tali operazioni di trasferimento da un soggetto ad un altro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica od a Poste Italiane S.p.A.; - gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000,00 euro devono recare l’indicazione della non trasferibilità e del nome o della ragione sociale del beneficiario; - può essere richiesta all’istituto di credito, per iscritto dal cliente, l’emissione di assegni circolari, nonché di vaglia cambiari e postali, senza clausola di non trasferibilità, se tali titoli hanno importo inferiore a 1.000,00; - il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 1.000,00 euro (i libretti con saldo pari o superiore a 1.000,00 euro sono stati estinti o ridotti nel loro ammontare ad una somma non eccedente la soglia massima entro il trascorso termine del 31 marzo 2012). È stato poi introdotto l’obbligo di adozione di strumenti POS per imprese e professionisti (in attuazione delle previsioni del D.L. 179/2012 conv. con L. n. 221/2012). Il D.M. 24 gennaio 2014 ha dato attuazione al disposto dell’articolo 15, co. 4, del D.L. n. 179/2012, per cui dal 1 gennaio 2014 è stato introdotto l’obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, sono obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1 luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti sono obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore a 30,00 euro effettuati con carte di debito. Il termine del 1 gennaio 2014 è poi slittato al 30 giugno 2014 per effetto dell’articolo 9, co. 15-bis, del D.L. n. 150/2013 (convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2014, n. 15) “al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi all’obbligo di dotarsi di strumenti per i pagamenti mediante carta di debito”. Il D.M. 24 gennaio 2014 ha fornito alcune definizioni: - carta di debito: è lo strumento di pagamento che consente al titolare di effettuare transazioni presso un esercente abilitato all’accettazione della medesima carta, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell’utilizzatore, che non finanzia l’acquisto ma consente l’addebito in tempo reale; - circuito: la piattaforma costituita dal complesso di regole e procedure che consentono di effettuare e ricevere pagamenti attraverso l’utilizzo di una determinata carta di pagamento; - consumatore o utente: la persona fisica che ai sensi dell’art. 3, del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta; - esercente: il beneficiario, impresa o professionista, di un pagamento abilitato all’accettazione di carte di pagamento anche attraverso canali telematici; © Wolters Kluwer Profili generali della contrattualistica in internet 209 La “smaterializzazione” della moneta reca, quale conseguenza, la scissione tra l’attuazione dell’obbligo del debitore (momento solutorio) e la realizzazione del diritto del creditore (momento satisfattivo); per realizzare quest’ultimo è richiesta la necessaria collaborazione di un istituto bancario che, versando sul conto del creditore beneficiario l’importo dovuto e ponendo quest’ultimo nella posizione di poter disporre della somma, concretizza l’evento da cui promana l’estinzione dell’obbligazione. I tempi della conclusione di tale rapporto obbligatorio dipendono dal tipo di strumento di pagamento utilizzato. Nei sistemi on line evoluti il trasferimento dei fondi avviene contestualmente all’operazione di pagamento, senza che vi sia un percettibile sfasamento temporale tra l’ordine di trasferimento elettronico di fondi e la sua esecuzione, ossia, in altre parole, la disponibilità del creditore. La moneta elettronica rientra nel novero di questi sistemi, anzi, essendo il valore (cioè il file con il valore) insito nella smart card, il pagamento avviene direttamente tra il sistema del portatore della moneta elettronica e quello del ricevente, ponendo quest’ultimo nella disponibilità del credito in termini ancora più immediati. Non essendo necessaria l’interposizione dell’istituto di credito (e quindi la sua collaborazione affinché sia eseguito l’ordine di porre a disposizione del creditore la somma dovuta dal debitore), l’utilizzo della moneta elettronica si sovrappone esattamente ad un pagamento in moneta contante. La moneta elettronica è quindi più vicina ad un titolo di credito che realizza l’effetto satisfattorio dell’obbligazione tramite la sola traditio, senza bisogno dell’intervento di alcun terzo, e quindi come un titolo di credito al portatore. Come abbiamo visto, però, se dal un punto di vista meramente pratico, la contestualità tra l’ordine di pagamento immesso nel sistema elettronico ed il conseguente addebito-accredito nei microprocessori dei soggetti dell’operazione di pagamento, permette di ravvisare una parificazione fra accreditamento elettronico e consegna di denaro contante, dal punto di vista giuridico tale equiparazione non è pacifica. Il legislatore - terminale evoluto di accettazione plurima: terminale POS con tecnologia di accettazione multipla ovvero che consente l’accettazione di strumenti di pagamento tramite diverse tecnologie, in aggiunta a quella “a banda magnetica” o a “microchip”. © Wolters Kluwer 210 Capitolo IV non ha infatti attribuito alla moneta elettronica la natura di moneta “legale” e, quindi, la sua capacità solutoria generalizzata. La capacità solutoria della moneta elettronica – essendo questa “un valore monetario rappresentato da un credito” – non è conferita direttamente dallo Stato ma è la conseguenza di una esplicita volontà contrattuale delle parti che la scelgono quale strumento con cui effettuare il pagamento, conferendogli la capacità di estinguere l’obbligazione. Tuttavia, le disposizioni che sfavoriscono (o vietano) l’utilizzo di denaro contante, ovvero impongono ad imprese e professionisti l’adozione di POS, rendono evidente che non sarà più possibile rifiutare l’utilizzo, da parte del cliente, di carte di debito, se non per giustificato motivo da valutare in base alle regole della correttezza e della buona fede oggettiva. Il pagamento a mezzo di carta vale, in sostanza, come “esatto” adempimento dell’obbligazione pecuniaria (e non come esecuzione di una “prestazione diversa”) e, conseguentemente, diviene illegittimo il rifiuto della sua ricezione. Il pagamento mediante moneta elettronica va dunque considerato estintivo di un’obbligazione pecuniaria non solo qualora sussista il consenso del creditore e l’esecuzione abbia esito positivo, ma anche qualora sussistano le circostanze dell’art. 1281 c.c. e dell’art. 1175 c.c. In ogni caso, l’offerta di adempimento a mezzo di moneta elettronica da parte del cliente dovrà intendersi idonea a evitare al debitore gli effetti sfavorevoli della mora debendi e collocherà, piuttosto, il professionista creditore in una situazione di mora credendi, valendo come seria manifestazione della volontà di corrispondere il compenso, alla quale far seguire il deposito della somma in base all’articolo 1214 c.c. sicché il debitore non deve più corrispondere gli interessi e il creditore è tenuto a risarcire il debitore degli eventuali danni. © Wolters Kluwer 211 CAPITOLO V LA TUTELA DELLE IMPRESE E DEL MERCATO SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La pubblicità ingannevole e comparativa (tra imprese) - 3. Segue: la pubblicità su Internet - 4. Il rispetto delle regole di concorrenza - 5. Segue: le fattispecie peculiari di concorrenza sleale su Internet - 6. Segue: alcuni recenti provvedimenti dell’AGCM sulle pratiche relative al commercio elettronico - 7. La tutela della proprietà industriale e intellettuale: cenni - 8. La vendita sottocosto - 9. I nomi di dominio - 10. Segue: la più recente giurisprudenza 1. Premessa In questo capitolo si intende fornire un breve quadro delle principali regole “di contesto” che l’imprenditore deve osservare nei suoi rapporti con le altre imprese ma, più correttamente, con il mercato nel suo complesso. Si tratta di argomenti la cui trattazione occupa intere biblioteche per cui, comprensibilmente, non potranno essere affrontate tutte le “ricadute”, né è possibile immaginare un particolare livello di completezza. La parziale focalizzazione, tuttavia, dovrebbe far comprendere – come si è detto spesso durante la trattazione – che il panorama giuridico di fronte all’impresa on line è imponente, poiché costituito non soltanto da ciò che ogni impresa deve (o dovrebbe) conoscere ma anche dalle “variazioni” derivanti dalle ‘interferenze’ che l’impiego di strumenti informatici e telematici può determinare. 2. La pubblicità ingannevole e comparativa (tra imprese) Un noto adagio recita che “La pubblicità è l’anima del commercio”. Nonostante tale frase sia, anch’essa, poco più che uno slogan, identifica in maniera inequivocabile il rapporto che intercorre tra la pubblicità e la vendita di prodotti e/o servizi. Sebbene non vi sia sempre una relazione “diretta” tra i due fenomeni (come, per es., nella pubblicità “istituzionale”), quello che appare certo è l’impatto che la “promozione” ha nei confronti del mercato nel suo complesso, prima ancora che rispetto alle imprese concorrenti, ovvero rispetto al “pubblico” dei consumatori. Tale rilevanza è testimoniata dall’attenzione dell’Unione europea (sin dal 1975) ad una disciplina in grado di tutelare il mercato dalle conse© Wolters Kluwer 212 Capitolo V guenze della pubblicità quando, dato il carattere di “ingannevolezza”, può determinare una falsa rappresentazione della realtà, prima ancora che “indurre” una contrattazione che (forse) non avrebbe avuto luogo. Con la dir. n. 84/450/CEE concernente la pubblicità ingannevole, il legislatore comunitario già riconosceva non solo l’esistenza di grandi disparità fra le discipline vigenti nei singoli Stati membri (in grado di incidere sull’instaurazione ed il funzionamento del mercato comune) ma, soprattutto, gli effetti distorsivi del mercato in quanto atta ad influenzare la situazione economica dei consumatori inducendoli potenzialmente ad assumere decisioni pregiudizievoli nell’acquisto di un bene o di un servizio. La Direttiva, in ogni caso, pur rivolgendosi ai consumatori quale “categoria” privilegiata era molto attenta agli effetti della pubblicità anche nei confronti delle altre imprese, ossia quale elemento fondante della correttezza nelle relazioni di mercato. Successivamente, con la dir. n. 97/55/CE, si è incluso nel “ragionamento” anche il tema della pubblicità comparativa, sia per definirne “positivamente” il concetto (nella sua accezione lecita), sia per individuare quelle modalità che possono comportare una distorsione della concorrenza, svantaggiare i concorrenti ed incidere negativamente sulla scelta dei consumatori1. 1 “È ingannevole il messaggio incentrato sul claim «le migliori tariffe r.c. auto» nel caso in cui sia seguito dall’indicazione di solo alcune tariffe elencate in un apposito riquadro, con unica specificazione dei parametri di riferimento (sesso, età, luogo di residenza, potenza del veicolo). Infatti, poiché il prezzo è elemento fondamentale nella scelta tra rinnovare il contratto con la propria compagnia di assicurazione o ricercarne un’altra, in assenza di altri riferimenti, tale incompleta indicazione di tariffe, avvalorando la erronea percezione dei destinatari sull’affidabilità della proposta, conduce alla esclusione che si sia in presenza di un’innocua enfatizzazione della convenienza dell’offerta pubblicizzata. Allo stesso modo, non vale la successiva indicazione relativa a sconti personalizzati, in quanto non consente di valutare la reale convenienza della proposta” (AGCM, 20 gennaio 2005, n. 13982). V., inoltre, AGCM, 17 ottobre 2002 n. 11332, PI 3761, Genialloyd Gruppo Ras, nella quale, si è dichiarata l’ingannevolezza del messaggio per le affermazioni in esso contenute – “passa a Genialloyd, l’assicurazione che ti fa risparmiare fino al 40% con un team di esperti sempre a tua disposizione. È ideale per automobilisti che guidano in modo intelligente: senza incidenti da almeno tre anni” –, che prospetta un risparmio “fino al 40%” applicato sui prezzi delle polizze auto vendute da Genialloyd, senza tuttavia specificare la grandezza di base cui il consumatore dovrebbe applicare tale percentuale al fine di valutare l’effettiva convenienza dell’offerta. In realtà, l’indicazione apposta nel messaggio si riferisce ad una grandezza di base che risulta ignota al consumatore. Peraltro, considerata la particolare complessità connessa alla determinazione del prezzo delle polizza r.c.a., e quindi l’onerosità del processo di ricerca della polizza più conveniente sul mercato, la comunicazione di riduzioni di prezzo e/o risparmi riferiti ad una grandezza non specificata non può che generare confusione nel consumatore rispetto al reale contenuto dell’offerta che gli viene proposta, inducendolo eventualmente ad interrompere la sua attività di ricerca nella convinzione di avere individuato un’impresa che consente risparmi significativi. La circostanza che il messaggio ometta di chiarire il valore/i valori di base a cui andrebbe applicato il 40 per cento costituisce quindi, nel caso di specie, un’omissione rilevante che appare idonea ad indurre in errore i destinatari del messaggio sulle caratteristiche del prodotto offerto. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 213 Il permanere di disparità tra le normative nazionali di attuazione della direttiva 84/450/CEE (come modificata) ha indotto il legislatore comunitario ad emanare una ulteriore direttiva (2005/29/CE) con cui ha introdotto un concetto più ampio di “pratiche commerciali sleali” accanto alla pubblicità ingannevole e comparativa, distinguendo anche i fronti tutelari e riservando, al primo ambito, la tutela dei consumatori e, al secondo, quello delle imprese. Alla dir. n. 2005/29/CEE è stata data attuazione in Italia con due decreti legislativi: i D.Lgs. n. 145 e 146/2007. Con il primo si è regolato il rapporto tra le imprese e tra queste ed il mercato mentre il D.Lgs. n. 146/2007 ha operato “correggendo” il Codice del consumo2. Il D.Lgs. n. 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa nei rapporti tra professionisti, riproduce l’articolato delle pratiche commerciali scorrette avendo, però, come riferimento i soli rapporti fra professionisti. Finalità del decreto è quello di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali nonché stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa. Il “Professionista” è qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista. Per “pubblicità” si intende qualsiasi forma di messaggio diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o servizi o la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi sugli stessi. È “ingannevole” ogni pubblicità idonea in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevoPeraltro si è affermato che anche il confronto dei soli prezzi di beni e servizi possa essere lecito se rispetta determinate condizioni e che, per evitare che la pubblicità comparativa sia utilizzata in maniera sleale e negativa per la concorrenza, sia lecito solo il confronto fra beni e servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono i medesimi obiettivi: “In base all’art. 3 bis n. 1, lett. e), dir. 84/450/CEE, come modificata dalla direttiva 97/55, termini di raffronto della pubblicità possono essere, oltre ai prezzi dei singoli prodotti, anche il livello generale dei prezzi rispettivamente praticati da catene di grandi magazzini per quanto concerne il loro assortimento di prodotti comparabili e l’importo dei risparmi che possono essere ottenuti dal consumatore che acquisti tali prodotti presso una piuttosto che l’altra di dette catene, purché i beni di cui trattasi costituiscano effettivamente parte dell’assortimento di prodotti comparabili in base ai quali detto livello generale dei prezzi è stato determinato” (Corte giust. CE, 19 settembre 2006, n. 356). 2 Sul tema si rinvia al Capitolo VI. © Wolters Kluwer 214 Capitolo V le, possa pregiudicare il loro comportamento economico o che, per tale ragione, sia idonea a ledere un concorrente. Al fine di determinare se la pubblicità è ingannevole l’art. 3 del D.Lgs. n. 145/2007 stabilisce che debbano esserne considerati tutti gli elementi ed in particolare i suoi riferimenti: a) alle caratteristiche dei beni e dei servizi, quali la loro disponibilità, natura, esecuzione, composizione, metodo e data di fabbricazione e di presentazione, idoneità allo scopo, usi, quantità, descrizione, origine geografica e commerciale, risultati che si possono ottenere con l’uso o risultati e caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi; b) al prezzo o modo in cui è stato calcolato e condizioni a cui i beni o servizi sono forniti; c) alla categoria, qualifiche e diritti dell’operatore pubblicitario quali identità, patrimonio, capacità, diritti di proprietà intellettuale ed industriale ed ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa, premi e riconoscimenti3. 3 “Un messaggio pubblicitario diffuso a mezzo stampa diretto a pubblicizzare i carrelli elevatori di un professionista attraverso l’esaltazione delle caratteristiche di dimensione di mercato, con le affermazioni quali: “I primi stanno con i primi”, accompagnate dal dato numerico di ““46 per cento”, con un asterisco che rinviava a una fonte avente una presunta base scientifica, integra una forma di pubblicità ingannevole e comparativa, in primo luogo perché basata su dati di mercato non presenti nella fonte statistica indicata nel medesimo messaggio, essendo il risultato di elaborazioni svolte dallo stesso professionista, e, in secondo luogo, non è stata dimostrata la correttezza dello stesso calcolo del valore della quota di mercato locale citata nel messaggio pubblicitario” (AGCM, 16 giugno 2010, n. 21246). “La comparazione pubblicitaria di un’emittente televisiva nazionale commerciale, con i programmi offerti dal diretto concorrente, se realizzata in modo generico ed omissivo, senza alcuna indicazione del genere televisivo cui è riconducibile il contenuto dei pacchetti degli altri operatori concorrenti, potrebbe integrare una forma di pubblicità comparativa illecita. Tuttavia, a seguito degli impegni presentati dall’emittente nazionale, accettati dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, sono stati rimossi i possibili effetti di ingannevolezza e di comparazione illecita della pubblicità. Nello specifico, infatti, gli impegni assunti riguardano: l’inserimento nei messaggi comparativi dell’indicazione riguardante l’offerta calcistica (campionato, coppe europee), le cui partite sono comprese nell’offerta, potendo permettere una chiara individuazione della tipologia dei contenuti televisivi offerti; nello stesso senso, l’impegno di aggiungere le indicazioni del genere televisivo cui è riconducibile il contenuto dei pacchetti di operatori concorrenti, rappresenta uno strumento sufficiente per ponderare e fare una completa comparazione circa la natura e le caratteristiche di offerta anche più ampia e complessa, disponibili nel mercato” (AGCM, 18 marzo 2010, n. 20919). “Integra una fattispecie di pubblicità ingannevole e comparativa illecita il messaggio pubblicitario diffuso su Internet da un professionista indirizzato alla propria rete di vendita, rappresentante un target ristretto e contenente indicazioni non veritiere circa alcune caratteristiche tecniche dei prodotti pubblicizzati, nonché diretto a effettuare una comparazione altrimenti vietata tra il prodotto pubblicizzato dal professionista e un altro concorrente (nella specie, si trattava di prodotti manifatturieri). Tuttavia, in seguito alla proposta di impegni e modifica delle indicazioni potenzialmente ingannevoli, basato su un accordo transattivo intervenuto tra le parti, il professionista ha pubblicato sul medesimo sito un comunicato rettificativo indirizzato a tutta la propria rete di vendita ed ugualmente scaricabile e stampabile dagli interessati, con il quale è stato posto rime© Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 215 È poi “comparativa” qualsiasi pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente. La pubblicità comparativa è lecita, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 145/2007, purché soddisfi le seguenti condizioni: a) non deve essere ingannevole ai sensi del decreto stesso o degli artt. 21, 22 e 23 del Codice del Consumo4; b) deve porre a confronto beni o servizi che soddisfino gli stessi bisogni o si propongano i medesimi obiettivi; c) deve porre a confronto in maniera oggettiva una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili, rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, dei beni o servizi; d) non deve generare confusione sul mercato tra i professionisti o tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni o servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente; e) non deve screditare o denigrare marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni o servizi, attività o posizione di un concorrente; dio alle informazioni inesatte rese nella precedente comunicazione commerciale” (AGCM, 10 settembre 2008, n. 18869). Analogamente si è ritenuta integrante una forma di pubblicità ingannevole la comunicazione pubblicitaria rivolta a professionisti che lasciava intendere, contrariamente al vero, che in fase di liberalizzazione del settore di fornitura dell’energia elettrica, enti ed amministrazioni pubbliche avessero la possibilità di stipulare contratti di libero mercato con il professionista senza preventivamente procedere ad una gara d’appalto in deroga a quanto previsto dagli artt. 206 e ss. del D.Lgs. n. 163/2006: “Integra una pubblicità ingannevole tra professionisti il messaggio pubblicitario diffuso su Internet che lascia credere, contrariamente al vero, che gli enti pubblici soggetti all’obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica per assicurarsi la fornitura di energia elettrica ai sensi della disciplina sui contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, parte III possono stipulare con la società aggiudicataria contratti di fornitura di energia elettrica del libero mercato senza esperire una procedura ad evidenza pubblica”(AGCM, 9 giugno 2010, n. 21205). 4 “Ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. a) e b) d.lg. n. 145/2007 è ingannevole il messaggio pubblicitario diffuso tramite un sito internet che attribuisce alle componenti di un prodotto cosmetico (nella specie, antirughe) caratteristiche e proprietà non ancora sperimentalmente accertate e non fondate su evidenze scientifiche ampiamente condivise ovvero riconducibili alla ripetibilità, statisticamente significativa, delle osservazioni dei ricercatori e, quindi, alla pluralità dei dati sperimentali a sostegno di una determinata ipotesi, che sono proprie del metodo scientifico. La promessa di effetti mirabolanti o, comunque, l’enfatizzazione di risultati assai più ampi rispetto a quelli desumibili dalle sperimentazioni effettuate configura, infatti, un messaggio decettivo per omessa informativa, che impedisce al pubblico di percepire correttamente la reale portata dei benefici prospettati” ed ancora nella medesima pronuncia “Ai sensi dell’art. 4 comma 1, lett. a) e b) d.lg. n. 145/2007 è illegittima, in quanto impedisce al consumatore una scelta consapevole, la pubblicità comparativa che, nel raffronto tra un prodotto cosmetico (nella specie, antirughe) ed un farmaco, metta in luce alcune caratteristiche del primo tali da far intendere una sua maggior efficacia rispetto al farmaco, ancor più trattandosi di prodotti che non soddisfano i medesimi bisogni avendo meccanismi d’azione, modalità di utilizzo ed efficacia non assimilabili” (T.A.R. Lazio, sez. I, 16 dicembre 2009, n. 13023). © Wolters Kluwer 216 Capitolo V f) per i prodotti recanti denominazione di origine deve riferirsi a prodotti aventi la medesima denominazione; g) non deve trarre indebito vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine dei prodotti; h) non deve presentare un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da marchio o da denominazione commerciale depositati. Infine, come “operatore pubblicitario”, deve intendersi il committente del messaggio pubblicitario e il suo autore nonché, nel caso in cui non sia possibile identificarli, il proprietario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario è stato diffuso o il responsabile della programmazione radiofonica o televisiva. L’autorità garante della concorrenza (AGCM) è intervenuta più volte in relazione ai messaggi pubblicitari contenenti un vanto o un primato di superiorità rispetto ai prodotti e/o servizi di altri concorrenti. In alcuni casi si è trattato di un vanto connesso alle superiori caratteristiche tecniche del bene o servizio reclamizzato5 o ad aspetti economici, oltre che tecnici, di cui il prodotto reclamizzato era fornito6. In altri casi, invece, la superiorità riportata in pubblicità era tesa a caratterizzare il prodotto reclamizzato in termini di maggiore affidabilità, per il semplice fatto di essere stato lo stesso non solo testato ma anche approvato da un organismo istituzionale di notoria importanza, come nel caso di un rilevatore 5 AGCM, 13 febbraio 2008. n. 18012, Pellicola Microprismatica Scotchlite Diamond Grade. AGCM, 3 maggio 2006, n. 15447, Commerciale Sicula-Bagni chimici, ove si è ritenuto che “il messaggio, nel presentare beni omogenei e aventi le medesime destinazioni d’uso, prospetta caratteristiche di maggiore praticità, economicità e igienicità dei bagni mobili con serbatoio aperto, nella cui tipologia rientra l’apparecchio realizzato dalla Commerciale Sicula, strettamente connesse alle valutazioni assunte dall’Autorità nel provvedimento n. 14668 del 25 agosto 2005. In realtà, il predetto provvedimento dell’Autorità si limitava a ritenere ingannevole il messaggio diffuso dalla società concorrente Sebach nella parte in cui lasciava intendere che il prodotto pubblicizzato fosse conforme a normative nazionali ed europee in materia di igiene e di sicurezza, escludendo invece esplicitamente il carattere comparativo del messaggio valutato nel predetto provvedimento. Pertanto, il messaggio in esame risulta ingannevole relativamente alle prospettate caratteristiche di superiorità dei bagni chimici privi di separatore, e quindi dei prodotti pubblicizzati dalla Commerciale Sicula, nella misura in cui fa discendere il predetto vanto dall’inesatto richiamo alle valutazioni assunte dall’Autorità nel provvedimento n. 14668 del 25 agosto 2005. Inoltre, in considerazione del fatto che il messaggio lascia intendere che le valutazioni di superiorità siano state assunte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con riferimento alle specifiche caratteristiche tecniche dell’apparecchio realizzato dalla Sebach, esso reca una comparazione oggettivamente denigratoria ed è in grado di orientare indebitamente le scelte economiche dei destinatari del messaggio in esame, con pericolo di danno anche per i concorrenti”. 6 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 217 di monete false il cui vanto, nel messaggio pubblicitario, era ricollegato al fatto di aver ricevuto l’approvazione della Bundersbank7. La pubblicità deve essere “trasparente”, ossia chiaramente riconoscibile come tale. Con particolare riferimento alla pubblicità a mezzo stampa, inoltre, questa deve risultare distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione. Sul punto la Cassazione ha ritenuto che nella verifica sulla “distinguibilità” della pubblicità non possa rilevare il grado di cultura dei lettori riconoscendo, tra l’altro, in caso di violazione, una responsabilità del direttore del giornale per non aver impedito la pubblicazione del messaggio pubblicitario8. Infine, l’art. 7 del D.Lgs. n. 145/2007, considera ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusi della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari, fermo quanto stabilito dall’art. 10 della L. 3 maggio 2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. Per un “controllo” della pubblicità – oltre ai compiti in materia dell’Autorità garante della concorrenza – deve essere ricordato il sistema di autodisciplina pubblicitaria che si basa su un “Codice” (CAP), curato dall’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (IPA), nel cui ambito opera un “giudice” privato: il Giurì CAP. Tale Codice, giunto alla 59a edizione, non prevede sanzioni pecuniarie ma unicamente una “moral suasion” basata su un provvedimento che ingiunge al trasgressore di desistere dalla violazione. La decisione del Giurì viene pubblicata sul sito internet e sulla banca dati dell’IPA. In caso 7 AGCM, 8 luglio 2004, n. 13385, BBD Distribuzione. “Il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell’informazione, onde, a questo fine, è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili. Nella suddetta verifica non rileva il grado di cultura dei lettori, essendo a tutti accordata tutela, con la conseguenza che, ove la stessa conduca a risultati negativi, il menzionato direttore deve impedire la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo altrimenti nelle sanzioni disciplinari previste dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69” (Cass., 20 ottobre 2006, n. 22535). Nel caso di specie la Corte ha confermato l’impugnata sentenza di merito, rilevandone la completezza e correttezza della relativa motivazione in ordine al giudizio di fatto espresso sulla sussistenza della violazione disciplinare addebitata ad un direttore di giornale, il quale aveva consentito che negli articoli e servizi contenuti in cinque numeri successivi di una rivista fossero pubblicati messaggi pubblicitari frammisti all’informazione, con conseguente confusione tra i relativi testi, non essendo i predetti messaggi segnalati come tali ed essendo, al contrario, frammisti ad articoli di informazione, molte volte senza alcun nesso con gli stessi e sempre senza alcuna ragione che non fosse quella, ritenuta dal giudice di merito subdolamente attuata, di reclamizzare prodotti o imprese produttrici. 8 © Wolters Kluwer 218 Capitolo V di inottemperanza all’ingiunzione di desistenza viene disposta una “divulgazione” al pubblico attraverso i mezzi di informazione9. 3. Segue: la pubblicità su Internet La pubblicità diffusa su Internet soggiace alle regole di cui al D.Lgs. n. 145/2007 nonché a quelle – di tutela dei consumatori – contenute nel Codice del consumo10, sebbene siano necessari alcuni ‘aggiustamenti’ normativi rispetto ad alcune tipologie di marketing aggressivo. Uno di questi casi è l’invio di messaggi pubblicitari sulla casella di posta elettronica, rispetto al quale – oltre ad alcune cautele11 – soccorre l’art. 7 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) che individua i diritti dell’interessato, e agli art. 8, 9 e 10 ne disciplina le modalità di esercizio e, tra questi, prevede, in capo all’interessato, “(...) il diritto di opporsi, in tutto o in parte, al trattamento di dati personali che lo riguardano, previsto a fini di informazione commerciale o di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta ovvero per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale interattiva”. Su questo tema sono numerosi i provvedimenti del Garante in materia di utilizzo dell’indirizzo e-mail per scopi commerciali e in relazione all’illegittimità del c.d. “spamming”12. E ciò ha deter9 http://www.iap.it/. AGCM, Provv. 22 maggio 1997, n. 5015. 11 Quali: a) non pubblicare il proprio indirizzo di posta elettronica in formato standard su siti pubblici – è preferibile mascherarlo utilizzando il linguaggio naturale, oppure codici numerici equivalenti (HTML). Sono proprio i siti pubblicamente accessibili la maggiore fonte di spamming; b) non fornire il proprio indirizzo (ad esempio, su un modulo) se non sono indicate chiaramente le finalità di utilizzo e non è prevista la possibilità di rifiutare l’invio di messaggi. È buona norma leggere l’informativa sulla privacy che tutti i siti web dovrebbero prevedere (come richiesto, del resto, anche dai Garanti europei); c) utilizzare più indirizzi di posta elettronica in rapporto alla specifica finalità (newsgroup, ufficio, contatti personali). Un’altra possibilità consiste nel ricorso ai cosiddetti “indirizzi usa-e-getta”, ossia indirizzi che vengono resi inattivi dopo essere stati utilizzati per il numero di volte specificato dall’utente; i rispettivi messaggi sono convogliati ad un indirizzo “permanente” (comunicato al provider del servizio “usa-e-getta”); d) utilizzare i filtri anti-spam messi a disposizione da numerosi provider e servizi gratuiti di posta elettronica). Per la navigazione in rete in forma anonima v., più avanti, quanto si dirà al Capitolo VII. 12 Fra i tanti, si può citare, ad esempio, una decisione del Garante della privacy con la quale si è stabilita l’illegittimità dell’utilizzo a scopi commerciali di un indirizzo e-mail, che non compare in elenchi pubblici, senza il consenso del destinatario. Il ricorrente aveva ricevuto da una società, che opera su Internet, una e-mail con un’offerta di hosting per un dominio web. Non avendo preventivamente prestato alcun consenso a tale invio, l’interessato aveva dunque rivolto una istanza alla società con la quale, opponendosi all’ulteriore utilizzo dei suoi dati personali, chiedeva di conoscere in che modo fossero stati acquisiti i suoi dati e il responsabile del trattamento. Non avendo avuto riscontro alla sua istanza, si era rivolto al Garante chiedendo, oltre che la compensazione delle spese sostenute per il ricorso, anche il risarcimento del danno morale. 10 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 219 minato l’adozione, anche a livello sovranazionale, di appositi codici deontologici13. La pubblicità su Internet può assumere diverse forme. La più semplice è quella della promozione presente nella home page e nelle pagine web del sito, ovvero in appositi spazi (c.d. banner) che accompagnano le varie pagine; promozione che segue alla decisione di accesso da parte dell’utente. Queste tipologie di pubblicità non determinano particolari problemi applicativi della disciplina anzidetta14. Diverso deve dirsi per quelle forme di promozione che raggiungono l’utilizzatore di Internet senza dargli il tempo per il suo eventuale consenso ovvero per la scelta di un altro sito. Tra queste, oltre quelle, presenti nelle home pages dei gestori di connettività, ovvero, attualmente, La società, inviata dall’Autorità a fornire chiarimenti, affermava di non avere designato un responsabile del trattamento e che, operando in Internet, a volte inviava e-mail promozionali. Nel caso di specie l’indirizzo di posta elettronica dell’interessato era stato acquisito da una società di marketing e in seguito cancellato. Nel suo provvedimento il Garante ha accolto la richiesta del consumatore ordinando alla società di interrompere l’utilizzazione dei dati personali in quanto illegittima (sulla base sia della legge n. 675/1996 che del D.Lgs. n. 185/1999, che prevedono il previo consenso) e di astenersi da ogni loro ulteriore trattamento, in particolare dell’indirizzo e-mail. All’interessato sono state rifuse (da parte della società) delle spese sostenute per il procedimento mentre è stata dichiarata inammissibile la richiesta di risarcimento dei danni che può essere rivolta solo al giudice ordinario. 13 Come quello della DMA Italia (Association for Direct and Data Driven Marketing), in http://www.dmaitalia.it/, in attuazione del codice deontologico emanato a livello europeo dalla FEDMA (Federation of European Direct Marketing), pubblicato in http://www.fedma.org/index.php?id=56. 14 Ma esistono situazioni molto diversificate come: - i “banner”, il più classico e noto degli strumenti pubblicitari utilizzati in Rete. Letteralmente “bandiera” o “insegna”, è uno spazio grafico (di varie forme e dimensioni) piazzato in posizione rilevante su una pagina web e riportante un annuncio promozionale (in forma grafica, testuale e/o con funzioni multimediali). Facendo click sul banner, l’utente attiva un “link” e accede al contenuto informativo richiamato dall’annuncio (che, generalmente, risiede nel sito dell’azienda inserzionista); - la “sponsorship” è l’abbinamento di un marchio ad un evento (sul web: ad un contenuto) affine, idoneo a diffonderne l’implicito messaggio commerciale; l’azienda sponsor investe nella credibilità che le deriverà patrocinando una data situazione per ottenere un ritorno di immagine; l’editore del sito ottiene un finanziamento, accettando il rischio di un calo di credibilità; - gli “interstitial”, veri e propri “spot” visualizzati dal browser mentre l’utente naviga tra le pagine di un sito. Si tratta della forma pubblicitaria più “televisiva” tra quelle introdotte in Rete: rispetto ai banner tradizionali, siamo al cospetto di un messaggio di carattere intrusivo, ovvero non controllabile a priori dall’utente (che può comunque sopprimerlo immediatamente con un clic del mouse); - i “minisiti” (o “microsites”, o “promotional web sites”). Si tratta di siti web costruiti appositamente per promuovere un evento o un prodotto; hanno, quindi, durata limitata, al contrario di quelli editoriali o aziendali. L’obiettivo classico di chi realizza un “minisito” consiste proprio nel differenziare l’iniziativa promossa rispetto all’immagine ed alla comunicazione tipicamente “corporate”; in casi estremi, i “minisiti” possono essere utilizzati addirittura come strumenti atti a mutare gradualmente l’immagine aziendale. Un classico esempio è fornito dal sito di un festival realizzato direttamente dallo sponsor dell’evento; - l’“advertorial”. È una forma pubblicitaria che prevede un mix tra contenuto editoriale – spesso focalizzato su argomenti di nicchia e arricchito da caratteristiche “interattive” – e la presenza di uno sponsor. Trae le sue origini “off line” dal pubblicità redazionale e dalla sponsorship; anche in Rete, infine, può assumere la forma di “magazine” progettato per la pubblicazione in numeri successivi, per prolungare l’effetto e la durata dell’iniziativa. © Wolters Kluwer 220 Capitolo V nei c.d. «portali». Si tratta però di attività promozionali il cui consenso è stato concesso – di solito – sottoscrivendo il contratto relativo all’accesso ad Internet. Vi sono però delle forme di promozione che esulano dai contesti chiaramente identificabili come attività commerciali (nei quali l’attività pubblicitaria si può considerare scontata). Un primo esempio è quello della posta elettronica non richiesta, del quale si è già detto in precedenza. Un’altra forma è quella che utilizza una tecnica con la quale la pubblicità si ‘insinua’ in contesti non commerciali come i gruppi di discussione, ovvero nell’ambito di chat lines o di social network. Ma i veri problemi che sorgono nelle fattispecie di pubblicità on line derivano dalla assenza di limiti spaziali delle reti telematiche che rendono difficile la ricerca della disciplina nazionale applicabile (si pensi ad una pubblicità che provenga da un paese extraeuropeo ovvero di uno comunitario con regole non perfettamente identiche) e della concreta possibilità di applicare le sanzioni in caso di comportamenti illegittimi. Il conflitto tra legislazioni nazionali, com’è noto, può essere risolto con la scelta tra una delle due seguenti soluzioni: la liceità della pubblicità è stabilità dalla normativa nazionale del paese da dove proviene il messaggio, ovvero da quella del Paese di destinazione o diffusione dello stesso. Il diritto comunitario è orientato verso la prima delle due soluzioni indicate. Tale scelta risulta quella maggiormente pragmatica poiché il Paese di origine è uno soltanto (e tiene quindi conto delle esigenze degli operatori) ma non pare in linea con le esigenze di tutela dei consumatori, rispetto ai quali, di regola, si applicano le disposizioni di «salvaguardia» della propria legislazione nazionale (si pensi al foro competente). In questa direzione il D.Lgs. n. 70/2003, all’art. 3, co. 2, conferma il principio dell’home country control, in base al quale “gli Stati membri non possono limitare la circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro”, qualora siano considerati leciti dalla legislazione di quest’ultimo Stato. Sono però indicate delle possibilità di deroga, tra le quali è menzionata la materia della “tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori” (art. 4, co. 1, lett. f), D.Lgs. n. 70/2003). I problemi di transnazionalità restano comunque ugualmente aperti per tutti i paesi extraeuropei, rispetto ai quali se il giudice, con le compren© Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 221 sibili difficoltà, può essere posto in grado di applicare alla fattispecie concreta la legislazione di questi paesi; le cose si complicano ulteriormente allorquando sia necessario procedere all’esecuzione della decisione giudiziale anche quando esistono degli accordi per il reciproco riconoscimento delle sentenze. Una soluzione che viene auspicata è la futura predisposizione di un sistema internazionale di autodisciplina pubblicitaria, in grado – così come avviene per la gestione tecnica di Internet – di rendere trasparente ed affidabile il comportamento “promozionale” degli operatori. Rispetto ad alcune modalità operative per la pubblicità in Rete si segnalano, al riguardo, in ambito nazionale, le indicazioni del Codice dell’Associazione Italiana Internet Providers (AIIP)15 e le iniziative di livello sovranazionale della Camera di commercio internazionale (ICC)16. Per quanto riguarda il Codice AIIP, questo prevede che il fornitore di contenuti si impegna a rispettare la disciplina contenuta nel Codice di autodisciplina pubblicitaria sia per la pubblicità a favore dei servizi offerti, veicolata attraverso gli stessi servizi o attraverso altri mezzi, sia per la pubblicità volta a promuovere altri servizi o prodotti, in cui il servizio rappresenta unicamente il veicolo di diffusione17. Per alcune modalità operative per la pubblicità in Rete si segnalano le iniziative della Camera di commercio internazionale (ICC) che, nel 2011, ha “consolidato” l’ICC Code of Advertising and marketing Communication Practice18. 4. Il rispetto delle regole di concorrenza Anche nell’ambito del commercio su Internet, le imprese sono tenute al rispetto delle regole di concorrenza, segnatamente di quelle contenute negli artt. 2595 e segg. c.c. e, in particolare, per quanto attiene agli atti di concorrenza sleale, all’art. 2598. A queste disposizioni, com’è noto, devono aggiungersi, primariamente, quelle contenute nella c.d. legge “antitrust” (L. 10 ottobre 1990, n. 287). Infine, per quanto attiene al versante sovranazionale, trova applicazione anche tutto il complesso della normativa (e giurisprudenza) comunitaria 15 http://www.aiip.it/. www.iccwbo.org. 17 http://www.privacy.it/codeonprovideraiip.html. 18 http://www.iccwbo.org/advocacy-codes-and-rules/areas-of-work/marketing-and-advertising/digitalmarketing-communication/; http://www.codescentre.com/icc-code.aspx. 16 © Wolters Kluwer 222 Capitolo V derivante dall’applicazione degli articoli del Trattato (che riguardano la concorrenza) nonché tutto la normativa derivata sulla quale non è possibile neppure un cenno sintetico19. Senza poter affrontare approfonditamente in questa sede tutta la complessa disciplina della concorrenza, vale comunque la pena di richiamare le principali indicazioni della normativa nazionale, prima di affrontare le tematiche più legate al commercio elettronico. Secondo quanto prevede il codice civile e ferme restando le disposizioni che concernono i segni distintivi (marchio, insegna, etc.) e i brevetti, sono atti di concorrenza sleale: 1) l’uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, o il compimento con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente20; 19 Si pensi, per esempio, al tema della distribuzione commerciale on line e dei relativi strumenti negoziali che hanno delle clausole limitative (distribuzione esclusiva, selettiva, franchising, etc.). Sul punto la Corte di giustizia UE ha stabilito che “Una clausola di un contratto di distribuzione selettiva che vieta ai distributori autorizzati di vendere tramite internet costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto” e che “L’articolo 4, lettera c), del regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1999, Regolamento n. 2790/1999, relativo all’applicazione dell’ articolo 81, paragrafo 3, del Trattato 25 marzo 1957, a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione per categoria prevista all’articolo 2 di detto regolamento non si applica ad un contratto di distribuzione selettiva contenente una clausola che vieta, di fatto, di avvalersi di Internet come modalità di commercializzazione dei prodotti oggetto del contratto. Un simile contratto può invece beneficiare, a titolo individuale, dell’applicabilità dell’eccezione di legge dell’articolo 101, n. 3, Trattato 25 marzo 1957, qualora sussistano le condizioni poste da tale disposizione” (Corte giust. UE, 13 ottobre 2011, n. 439, Pierre Fabre DermoCosmetique s.a.s. c. President de l’Autorite de la concurrence, in Giornale dir. amm., 2011, p. 1329 ss.; Foro it., 2012, IV, c. 414 ss.). 20 Cfr., per es., Corte giust. UE, 22 settembre 2011, n. 323/09, Interflora Inc. e altri c. Marks & Spencer p.l.c. e altri (in Giur. it., 2012, p. 1065 ss., con nota di A. LERRO): “Il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo, poiché in tal modo viene lesa la funzione di indicazione di origine del segno”. Corte giust. UE, Grande Sez., 12 luglio 2011, n. 324/09, L. SA e altri c. e. In. AG e altri (in Foro it., 2012, IV, c. 323 ss.): “L’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato on line di fare pubblicità – partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo”. Anche nelle nostre aule non mancano ipotesi di comportamenti anticoncorrenziali: “Va inibito, con provvedimento d’urgenza, ad una società che gestisce siti Internet per la consultazione, a pagamento, di dati relativi © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 223 2) la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3) il valersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda. La disciplina “antitrust” – analogamente a quanto previsto nel diritto comunitario – proibisce (salva autorizzazione) la realizzazione di intese e/o pratiche concordate tra imprese restrittive della concorrenza nonché gli abusi di posizione dominante sul mercato. L’art. 2 della L. n. 287/1990 vieta, infatti, le intese tra imprese che “abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi”. Come si accennava, l’Autorità garante della concorrenza può autorizzare intese che, seppur restrittive della concorrenza, diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato i quali abbiano effetti tali da comportare un sostanziale beneficio per i consumatori e che siano a vendite giudiziarie, l’ulteriore estrazione, reimpiego, pubblicazione e utilizzo di atti, testi e documenti provenienti da una banca dati altrui, pubblicati sul relativo sito web, una volta accertato che quella attività, non consentita dal titolare della banca dati, abbia riguardato una parte sostanziale del contenuto di quest’ultima (da accertarsi anche a mezzo di perizia stragiudiziale) ovvero comunque sia avvenuta ripetutamente, con conseguente pregiudizio del costitutore, nella specie anche sotto il profilo della concorrenza sleale parassitaria” (Trib. Roma, sez. spec. in materia di imprese, ord. 19 settembre 2013, Soc. Aste giudiziarie Inlinea c. Soc. Incanto.net, in Foro it., 2014, I, c. 3340 ss.). © Wolters Kluwer 224 Capitolo V individuati anche tenendo conto della necessità di assicurare alle imprese la necessaria concorrenzialità sul piano internazionale e connessi in particolare con l’aumento della produzione, o con il miglioramento qualitativo della produzione stessa o della distribuzione ovvero con il progresso tecnico o tecnologico. Per quanto riguarda invece l’abuso di posizione dominante, questo comportamento non è ammesso, anche se è consentito detenere una posizione di predominio sul mercato nazionale o in una sua parte rilevante L’art. 3 della predetta legge vieta inoltre di: a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi. È importante, da ultimo, segnalare l’emanazione della dir. n. 2014/104/UE del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea21. L’obiettivo della Direttiva è quello di rendere effettivo il diritto al pieno risarcimento del danno conseguente alla violazione delle norme antitrust europee che vietano le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante garantendo una protezione equivalente in tutta l’Unione Europea. L’intervento nasce dalla constatazione che gli ordinamenti nazionali mostrano marcate differenze nel grado di tutela apprestato alle vittime de21 Pubblicata in GUUE, n. L 349 del 5 dicembre content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L0104&from=IT). 2014 (http://eur-lex.europa.eu/legal- © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 225 gli illeciti antitrust, con il risultato di determinare distorsioni della concorrenza e di ostacolare il corretto funzionamento del mercato unico. Per ovviare a questa situazione, la Direttiva fissa una serie di principi destinati ad incidere su specifici aspetti della normativa sostanziale e processuale degli Stati Membri, quali il regime delle prove (artt. 5-7), i termini di prescrizione (art. 10), la responsabilità delle imprese (art. 11), la quantificazione del danno (art. 17). Per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è fissato il termine ultimo del 27 dicembre 2016. È previsto che le misure nazionali adottate per rispettare le disposizioni sostanziali della direttiva non si applichino retroattivamente; per le altre misure nazionali di recepimento è esclusa l’applicazione alle azioni risarcitorie intentate prima del 26 dicembre 2014. Con riferimento al nostro paese, l’Autorità garante, al fine di garantire la trasparenza e la prevedibilità del proprio processo decisionale, ha adottato le “Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie” da essa irrogate per le violazioni delle norme, nazionali o europee, a tutela della concorrenza (intese e di abuso di posizione dominante)22. Il testo adottato dall’Autorità appare ispirato in larga misura agli orientamenti della Commissione europea per il calcolo delle ammende relative alle violazioni degli articoli 101 e 102 del Trattato. In sintesi, la quantificazione della sanzione viene articolata in due momenti: - individuazione dell’importo di base (percentuale del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto della violazione - da determinare in funzione della gravità di quest’ultima, fino a un massimo del 30% - moltiplicata per il numero di anni di partecipazione di ciascuna impresa all’illecito), eventualmente integrato mediante l’inserimento di un ammontare supplementare per assicurare l’effettiva deterrenza nei casi relativi alle più gravi restrizioni della concorrenza; - adeguamenti dell’importo base per tenere conto di specifiche circostanze aggravanti o attenuanti (per ciascuna delle quali è prevista un’incidenza sull’importo base fino al 15%, con un massimo del 22 http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/4498-lineeguidacriteriquantificazionesanzioni.html. © Wolters Kluwer 226 Capitolo V 50%; l’importo base potrà essere aumentato fino al 100% nei casi di recidiva). 5. Segue: le fattispecie peculiari di concorrenza sleale su Internet Le regole sommariamente indicate valgono anche per chi opera su Internet, come dimostrano i provvedimenti dell’Autorità garante in materia emanati da lungo tempo23. Esistono, inoltre, una serie di fattispecie peculiari di concorrenza sleale che si sono sviluppate proprio a causa delle caratteristiche tecniche della “navigazione” ipertestuale. In particolare, la prassi della riproduzione sul proprio sito web del contenuto di un altro sito o di pagine web altrui ha determinato le seguenti fattispecie l’hyperlinking, il framing, il browsing e il caching, i cui elementi distintivi consistono, prevalentemente, nelle modalità e nelle finalità per cui la riproduzione viene realizzata. a) L’hyperlinking – La peculiarità del linguaggio HTML (che come è noto è il linguaggio delle pagine web) di consentire, attraverso i collegamenti ipertestuali, il raggiungimento di un’altra pagina su Internet o di un altro sito, semplicemente “cliccando” con il mouse sulla parola evidenziata, può determinare le seguenti tipologie di illecito: a) violazione dei diritti di proprietà intellettuale, qualora si ingeneri nell’utente del sito la convinzione che tali contenuti appartengano al sito di partenza e non a quello raggiunto (la violazione potrà essere un’usurpazione, quanto un plagio o una contraffazione)24; b) realizzazione di un atto di concorrenza sleale, derivante, in particolare dall’abitudine di realizzare i collegamenti ipertestuali non con la pagina iniziale del sito raggiunto, che contiene sia le inserzioni pubblicitarie che le informazioni per l’utilizzo del sito, ma con quelle successive. 23 V. i provv. 14 gennaio 1999, n. 6800 (C3364 - Infostrada/Italia online), 4 novembre 1999, n. 7646 (C3642 Kataweb/IFE), 10 febbraio 2000, n. 8014 (C3412 - Gonfalone Immobiliare) e 17 maggio 2000, n. 8293 (C3932 - Telecom Italia/Seat Pagine gialle). 24 “Non viola la normativa UE sul diritto d’autore e non ricade nella nozione di comunicazione al pubblico l’inclusione, senza autorizzazione, su di un sito web, di un video liberamente disponibile su un altro sito web, nella misura in cui l’opera in questione non venga trasferita a un pubblico nuovo o divulgata in una modalità tecnica specifica, diversa dalla comunicazione originale” (Corte giust. UE, ord., 21 ottobre 2014, n. 348/13, in Quotid. giur., 2014, con nota di C. BOVINO). © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 227 Al di là della violazione del diritto di proprietà intellettuale (che sarà tutelato con i mezzi previsti nella legislazione ad esso applicabile), con l’indicato comportamento si provoca la diminuzione del valore del sito indirettamente linkato, oltre all’appropriazione dei pregi dei contenuti web altrui25. L’illegittimità del comportamento può essere evitata, oltre all’ipotesi dell’apposita autorizzazione, anche qualora il “rinvio” sia giustificato da altre situazioni che elidono l’illegittimità. Si pensi, per es., all’ipotesi della pubblicità comparativa, allorquando il link consente di effettuare il confronto tra vari siti (e tra i loro contenuti), ovvero qualora vi siano finalità di ricerca scientifica o intellettuale26. b) Il framing – A differenza dell’hyperlinking, che è normalmente lecito, il c.d. framing, che ne rappresenta una variante, è da considerarsi tendenzialmente illecito. Nel framing, attraverso un collegamento ipertestuale il contenuto del sito richiamato viene inserito nella pagina web del sito richiamante, in modo tale da eliminare ogni riferimento al sito d’appartenenza, dal momento che lo stesso nome di dominio della pagina è quello del sito richiamante, con l’effetto di generare la convinzione in chi visita questo sito che i contenuti non siano di altri27. Ne consegue che il framing è una fattispecie normalmente illecita, laddove l’hyperlinking può considerarsi, entro certi limiti, fisiologico rispetto alla struttura della Rete Internet. 25 “Per la riproduzione su Internet di frammenti audiovisivi su cui altri abbiano i diritti di sfruttamento patrimoniale non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art. 65 della legge sul diritto d’autore relative all’esercizio del diritto di cronaca o dell’art. 70 della legge sul diritto d’autore concernente l’utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso di critica e discussione” (Trib. Roma, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 16 dicembre 2009, RTI, Reti televisive italiane s.p.a. c. YouTube LLC e altri, in Giur. it., 2010, p. 1323 ss.). 26 “Gli Stati Ue non possono stabilire una maggiore tutela dei titolari del diritto d’autore, includendo nella nozione di “comunicazione al pubblico” più forme di messa a disposizione di quelle disposte dal diritto dell’Ue. Secondo la Corte Ue, la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti cliccabili (hyperlink) verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet non costituisce un atto di comunicazione al pubblico” e “L’ articolo 3, paragrafo 1, della direttiva n. 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretato nel senso che non costituisce un atto di comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti cliccabili verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet” (Corte giust. UE, 13 febbraio 2014, n. 466/12, Nils Svensson e altri c. Retriever Sverige AB, in Giur. it., 2014, p. 2201 ss., con nota di A. COGO). 27 Corte giust. UE, 13 febbraio 2014, n. 466, cit e il commento di A. COGO, Linking e framing al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione Europea. © Wolters Kluwer 228 Capitolo V c) Il browsing – Con il termine browsing, si intende la consultazione di diverse pagine web contenute in diversi siti, realizzata attraverso un sito di partenza: da questo se ne raggiungano via via altri, che a loro volta diventano mezzo di ulteriore collegamento. Perché ciò possa avvenire è tuttavia tecnicamente necessario che il contenuto dei siti raggiunti sia riprodotto nel computer dell’utente. Tale prassi è ovviamente lecita – si avrebbe una sorta di “licenza implicita” di riproduzione 28 –, a condizione, tuttavia, che detta riproduzione sia strumentale alla consultazione e non anche mezzo per impiegare i contenuti per altri fini. Se il titolare del contenuto del sito ha reso interamente fruibile tutta la propria opera, difficilmente si può ipotizzare un abuso, dal momento che con ciò stesso ne ha presumibilmente autorizzato l’appropriazione da parte di altri; cosa diversa è se, invece, il contenuto sia reso solo parzialmente fruibile attraverso il sito del titolare, ed invece risulti interamente riprodotto in un altro sito. In quest’ipotesi il soggetto che si appropri dell’intero contenuto, consapevole che nel sito del titolare ne esiste solo parte, e se ne serva per fini economici, realizza probabilmente concorrenza sleale senza poter invocare la scusante della libera utilizzazione. Il problema che si pone è che il contenuto del sito riprodotto è quello esistente nel momento in cui la copia avviene, privando il titolare del potere di apportare successive modifiche. Lo stesso può dirsi rispetto al valore economico del sito “riprodotto”, per es. rispetto alla pubblicità in esso presente, privando il titolare dei vantaggi derivanti dall’incremento di “affluenza” ai contenuti del suo sito. 28 In questo senso anche il Considerando n. 33 della dir. n. 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società d’informazione (in GUCE n. L 167 del 22 giugno 2001, p. 10). La direttiva è stata attuata in Italia con D.Lgs. n. 68 del 9 aprile 2003 (in G.U. n. 87 del 14 aprile 2003, S.O. n. 61). Secondo la giurisprudenza comunitaria “L’articolo 5 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, dev’essere interpretato nel senso che le copie sullo schermo del computer dell’utente e le copie nella “cache” del disco fisso di tale computer, realizzate da un utente finale durante la consultazione di un sito Internet, soddisfano i requisiti in base ai quali tali copie devono essere temporanee, transitorie o accessorie e costituire una parte integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico, nonché i requisiti stabiliti all’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, e possono pertanto essere realizzate senza l’autorizzazione dei titolari di diritti d’autore” (Corte giust. UE, 5 giugno 2014, n. 360/13, Public Relations Consultants Association Ltd c. Newspaper Licensing Agency Ltd e altri, in Dir. comunit. on line, 2014). © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 229 d) Il caching – Anche il caching configura una forma di riproduzione, ed è conseguenza del fatto che le pagine via via raggiunte attraverso il browsing vengono memorizzate in una memoria (cache) e rese raggiungibili percorrendo a ritroso il percorso fatto (attraverso il comando “back”). I profili di illecito sono pertanto sostanzialmente analoghi a quanto visto per il browsing, e caratterizzati dall’impossibilità del titolare del contenuto del sito di interagire con esso, privandolo delle possibilità di modifica o dei vantaggi pubblicitari29. 6. Segue: alcuni recenti provvedimenti dell’AGCM sulle pratiche relative al commercio elettronico a) Italia programmi.net L’Antitrust ha sanzionato la società Estesa Limited, con sede alle Seychelles, con una multa per complessivi 1.500.000 euro. Le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive messe a punto dalla società attraverso il sito www.italia-programmi.net hanno coinvolto, a oggi, oltre 25mila consumatori. Il fenomeno ha riguardato alcuni prodotti software offerti apparentemente in modo gratuito: il consumatore digitava su Google il nome del prodotto, disponibile peraltro liberamente in Rete, utilizzando parole chiave come ‘gratis’ e come primo risultato appariva il link www.italiaprogrammi.net, tramite il quale si trovava nella home page del sito. Introducendo i dati personali, come richiesto per registrarsi e scaricare il software ricercato, e senza la richiesta di carte di credito o altre modalità di pagamento, il consumatore attivava inconsapevolmente un contratto di abbonamento a titolo oneroso di durata biennale, dell’importo annuale di 96 euro. La pagina di registrazione riportava i termini dell’abbonamento con un’evidenza grafica non sufficiente ad una loro immediata comprensione. 29 “Le copie di un sito Internet sullo schermo di un computer (browsing) e quelle nella cache del disco fisso (caching), realizzate da un utente finale durante la consultazione del sito, rientrano nella nozione di atti di riproduzione temporanei, transitori o accessori che costituiscono una parte integrante e essenziale di un procedimento tecnologico e soddisfano i requisiti stabiliti all’ art. 5, par. 5, Dir. n. 2001/29/CE: pertanto, possono essere realizzate senza l’autorizzazione dei titolari di diritti d’autore” (Corte giust. UE, 5 giugno 2014, n. 360/13 Public Relations Consultants Association Ltd. c. Newspaper Licensing Agency Ltd. e altri, cit.). © Wolters Kluwer 230 Capitolo V Una volta tratto in inganno l’utente, la società iniziava ad inviare richieste di pagamento dopo che erano trascorsi dieci giorni dalla registrazione, rendendo dunque impossibile l’esercizio del diritto di recesso e negandolo anche a quanti lo avevano esercitato tempestivamente. I pagamenti richiesti dovevano essere effettuati tramite bonifico su un conto presso una banca di Cipro. Ai consumatori che non pagavano arrivavano solleciti di pagamento (via mail o per lettera) dal carattere minaccioso, con l’applicazione di costi aggiuntivi e, addirittura, paventando l’esperimento di un’azione penale, inesistente nel nostro Paese, in modo da esercitare un’indebita pressione psicologica. Estesa ha peraltro inviato i solleciti anche a consumatori che non si erano mai registrati sul sito30. b) Private Outlet L’Autorità ha sanzionato come pratica commerciale scorretta il sito francese Private Outlet, dedicato alla vendita all’ingrosso e al dettaglio, tramite siti Internet accessibili da diversi paesi dell’Unione Europea e in diverse lingue, di articoli da confezione per uomini, donne e bambini di marchi rinomati, con prezzi ridotti con sconti fino al 70% rispetto a quelli praticati nella normale distribuzione. Secondo l’Antitrust, che ha oscurato in via cautelare il sito, e lo ha poi riattivato per consentire la gestione dei reclami da parte dei consumatori, le società che gestiscono il sito Private Outlet Srl e Private Outlet SaS, hanno: 1) fornito ai consumatori informazioni non veritiere sui tempi di consegna dei prodotti offerti in vendita attraverso Internet: molti consumatori hanno lamentato consegne di merce diversa da quella ordinata o arrivate ben oltre i tempi pattuiti; 2) opposto ostacoli all’esercizio di diritti contrattuali da parte dei consumatori: diverse segnalazioni evidenziavano la difficoltà di contattare i fornitori del servizio o la mancata sostituzione del prodotto diverso da quello ordinato; 30 Provv. PS7444 - Italia Programmi.net - Abbonamento per software, in http://www.agcm.it/ component/domino/download/C12560D000291394/D563782E4A2A2D8DC1257981004A4E87.html?a=P231 07.pdf. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 231 3) invitato all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo, senza rivelare l’esistenza di prevedibili ragioni che avrebbero impedito la consegna degli stessi a quel prezzo. Le società infatti si riforniscono direttamente presso i produttori acquistando un numero limitato di capi: sin dall’inizio dunque sanno che potrebbero non essere in grado di fare fronte a tutte le richieste di acquisto che peraltro vengono pagate contestualmente all’invio dell’ordine31. c) Farmaci on line L’Antitrust, già in sede cautelare, ha interdetto l’accesso a un sito riconducibile ad un operatore professionale che permetteva ai consumatori italiani l’acquisto on line di farmaci e, a conclusione dell’istruttoria, il professionista è stato sanzionato con una multa di 200.000 euro. Attraverso il sito Internet oscurato il professionista consentiva ai consumatori italiani di comprare medicine sulla base del falso presupposto della liceità e completa sicurezza per la salute della compravendita on line di farmaci, benché effettuata in assenza dell’intermediazione di un farmacista e, nel caso di farmaci c.d. etici, senza la necessaria visita e prescrizione medica. L’intestatario del sito faceva, in particolare, leva sul particolare disagio psicologico, sociale e relazionale in cui versano i soggetti afflitti da alcune specifiche patologie, convincendoli della non necessità di un appropriato controllo medico: persone affette da disturbi psicologi, obesità o impotenza preferivano così acquistare on line, ritenendo meglio garantita la loro privacy ma mettendo a serio rischio la salute. 31 Provv. 6 marzo 2012, n. 23349, PS7677 - Private Outlet, in http://www.agcm.it/component/ joomdoc/doc_download/3451-ps7677.html. Per un commento v. M IASELLI, Private Outlet: Antitrust blocca il sito... anzi no (in http://www.altalex.com/ index.php?idnot=56596), il quale osserva che “Il provvedimento fa discutere molto, poiché rappresenta uno dei rari casi dove trova applicazione la nostra normativa sul commercio elettronico laddove regolamenta la responsabilità dei provider che, come è noto, possono ricevere disposizioni dall’Autorità giudiziaria o amministrativa competente di impedire, anche in via d’urgenza, l’esercizio di attività illecite dei loro clienti attraverso i siti web”. Si tratta – giustamente conclude l’A. - di un caso “emblematico in quanto lascia intravedere le non poche difficoltà di carattere operativo che stanno attraversando le nostre Autorità amministrative in ambito telematico. Già da tempo autorità come l’AGCM e l’AGCOM stanno cercando di regolamentare la Rete con interventi di natura anche repressiva nei confronti di siti web, senza prevedere garanzie di carattere giurisdizionale, ma facendo leva esclusivamente sui propri poteri amministrativi. Tale tendenza è molto contestata in ambito giuridico, ma sembra che allo stato prevalga questa linea di indirizzo”. © Wolters Kluwer 232 Capitolo V L’Antitrust ha ricordato che la vendita on line di farmaci è illegale, visto che la legge italiana vieta il commercio a distanza di medicinali32. L’Autorità è poi tornata di recente sull’argomento con l’intimazione alla società britannica Hexpress Ltd di sospendere la vendita on line di farmaci soggetti a prescrizione medica. Alla società, che commercializza i prodotti tramite i siti individuati dai nomi a dominio 121doc.net, it.121doc.net e 121doc.it (la procedura ha riguardato anche i siti www.anagen.nete www.webpharmacy.biz), accessibili mediante richieste di connessione provenienti dal territorio italiano, sono stati dati 5 giorni di tempo per rispettare la decisione dell’Autorità. In particolare il sito www.anagen.net costituiva un sito “ponte” verso i siti britannici e verso il sito Webpharmacy che commercializzava farmaci generici soggetti a prescrizione medica. Tutti i siti segnalati sembravano indurre il consumatore italiano a ritenere lecito, contrariamente al vero, l’acquisto di farmaci on line. In realtà, attualmente, in Italia la vendita on line di tutti i medicinali non è ammessa, in quanto la legge impone sempre la necessaria intermediazione fisica di un farmacista e, per alcuni farmaci, la previa prescrizione medica. Il provvedimento di sospensiva riguarda solo i siti della società Hexpress Ltd perché nel corso del procedimento dal sito www.anagen.net sono state rimosse di tutte le indicazioni relative alla promozione dei farmaci ed eliminati tutti i link alle due farmacie on line e, a partire dall’11 settembre, il sito Webpharmacy non risulta invece più accessibile. Secondo l’Antitrust la sospensiva si è resa necessaria perché la vendita on line di farmaci soggetti a prescrizione medica espone un numero potenzialmente crescente di consumatori, indotti ad acquistare farmaci soggetti a prescrizione (principalmente quelli per le disfunzioni sessuali) senza controllo medico, a gravi rischi per la salute. Inoltre, i farmaci inviati ai consumatori italiani riportano un foglietto illustrativo – dove sono riportate tutte le controindicazioni, posologia e effetti collaterali – in lingua inglese, in contrasto con l’obbligo, vigente in Italia, di vendere al pubblico farmaci recanti in allegato un foglietto illustrativo e una confezione in italiano33. 32 Provv. PS8151 - Vendita farmaci on –line, in http://www.agcm.it/component/joomdoc/doc_ download/3450-ps7677.html. 33 Provv. PS9059 - Anagen.net e 121.doc - Vendita farmaci on – line, in http://www.agcm.it/traspstatistiche/doc_download/4113-ps9059-farmaci-on-line-provvedimento-5-mar-2014.html. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 233 d) Trasporti aerei (tariffe web) Attraverso 17 procedimenti (11 di accertamento e 6 di inottemperanza), l’Autorità garante ha sanzionato alcuni operatori (Alitalia, Easyjet, Wizzair, Blue Panorama e Ryanair) per non avere rispettato le precedenti delibere dell’Autorità che qualificavano come pratica commerciale scorretta la mancata incorporazione nella prima indicazione del prezzo dei biglietti aerei della commissione applicata al momento del pagamento con carta di credito (c.d. credit card surcharge). Nel corso dei procedimenti tutte le compagnie coinvolte hanno assunto l’impegno a mettere in atto le misure necessarie per modificare il loro sistema di prenotazione e cessare, al massimo entro la data del 1° dicembre 2012, la pratica scorretta. L’importo delle sanzioni inflitte per la reiterazione della pratica è stato, pertanto, calcolato valorizzando anche le modifiche effettuate o in fase di attuazione da parte dei vettori sui rispettivi siti34. e) Coupon commerce (Groupalia e Groupon) L’Antitrust ha accettato e reso vincolanti gli impegni presentati da Groupalia e dalla società partner Liu Travel, che opera nel settore dei viaggi e del turismo, al termine di un procedimento avviato per verificare l’esistenza di possibili pratiche commerciali scorrette. L’Autorità aveva rilevato, da parte di Groupalia: 1) messaggi pubblicitari non veritieri sull’effettiva disponibilità delle offerte nei termini pubblicizzati, sul prezzo e sulla percentuale di sconto realmente applicata, sulla prestazione resa dai partner e sulle responsabilità contrattuali di Groupalia nei confronti dei consumatori; 2) tardiva restituzione o sblocco delle somme indebitamente incassate o sottratte dalla disponibilità del cliente in caso di operazioni non andate a buon fine, e compiute attraverso carte di pagamento; 3) servizio di assistenza clienti carente e inadeguato. L’istruttoria è stata poi estesa nei confronti dell’agenzia di viaggi on line Liu Travel che cura la sezione ‘viaggi’ di Groupalia tramite apposito contratto di collaborazione. In questo comparto emergeva, tra l’altro, che 34 Provv. IP117, IP130, IP131, IP136 e IP138 Trasporto aereo - Ryanair, Wizzair, Easyjet, Blu Panorama Airlines, Alitalia, in http://www.agcm.it/component/joomdoc/doc_download/3185-ip138chsanz.html. © Wolters Kluwer 234 Capitolo V venivano promossi prezzi particolarmente vantaggiosi non corrispondenti però all’esborso finale sostenuto dal consumatore. In base agli impegni di Groupalia i consumatori troveranno ora sul sito informazioni chiare ed esaustive sulle offerte commerciali pubblicizzate e gli sconti verranno indicati solo quando è possibile avere un prezzo certo di riferimento. Sarà inoltre pubblicata una Carta dei Servizi grazie alla quale i consumatori titolari di coupon saranno informati dei propri diritti, con particolare riguardo alla presentazione dei reclami, alle richieste di rimborso (con le relative tempistiche di gestione) e al servizio di assistenza clienti. Sia Groupalia che Liu Travel si impegnano inoltre a incrementare l’attività di monitoraggio sui partner, con maggiori controlli ex ante ed ex post. Questo consentirà alle due società di potere intervenire rapidamente in caso di sistematici o immotivati inadempimenti, anche parziali, dei partner nella fornitura dei servizi e dei prodotti acquistati. Sarà inoltre realizzata una black-list dei partner meno affidabili ai quali non sarà consentito pubblicare ulteriori campagne promozionali sul sito. Nel settore viaggi, grazie agli impegni di Liu Travel, i consumatori potranno verificare la disponibilità delle offerte nel periodo di vacanza al quale sono interessati anche prima di acquistare il coupon. Relativamente ai pagamenti ai consumatori verranno assicurati tempi certi e determinati nel riaccredito delle somme versate per acquisti di coupon non andati a buon fine. Gli impegni di entrambe le parti garantiranno infine ai consumatori la possibilità di conoscere, anche prima dell’acquisto del coupon, la mail e il numero di telefono (di cui sono indicati i costi) del soggetto cui rivolgersi per i reclami, i rimborsi, l’esercizio delle garanzie postvendita35. La questione è stata affrontata, in termini non dissimili, anche rispetto a Groupon36, del quale – data la rilevanza – si è già trattato in relazione alle modalità di vendita on line (di servizi)37. 35 Provv. PS6903 - e-couponing – Groupalia, in http://www.agcm.it/component/joomdoc/doc_download/3430ps6903-provv-19-dic-12.html. 36 Provv. PS7198 - e-couponing – Groupon, in http://www.agcm.it/stampa/comunicati/6701-ps7198-ecouponing-antitrust-avvia-procedimento-nei-confronti-di-groupon-per-verificare-possibili-pratichecommerciali-scorrette.html. 37 V., al Capitolo III, par. 8, n. 7). © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 235 f) Prodotti di marca contraffatti L’Autorità ha oscurato 33 siti che vendevano scarpe Nike contraffatte. I siti, di cui sono titolari soggetti cinesi, sono stati resi irraggiungibili nell’ambito di due distinti procedimenti per pratiche commerciali scorrette. I siti, per il loro allestimento e la grafica utilizzata, con numerose immagini tratte dal sito Nike originale, potevano facilmente trarre in inganno, inducendo a ritenere che si trattasse di prodotti originali proposti ad un prezzo da outlet. In realtà, secondo quanto emerge dalle segnalazioni della società titolare del marchio, si trattava di prodotti contraffatti, con caratteristiche, anche in termini di sicurezza dei materiali usati, ben diverse da quelle dei prodotti originali. Nei siti mancavano inoltre i dati sull’identità e l’indirizzo geografico del venditore insieme all’indicazione di tutti i diritti previsti per la vendita via web a tutela dei consumatori nella fase post acquisto, incluso il diritto di sostituzione e/o rimborso e l’esistenza del diritto di recesso. Del tutto preclusa, ovviamente, trattandosi di prodotti contraffatti, la garanzia legale di conformità38. g) mancata consegna dei prodotti (Crazystorebay) L’Antitrust ha sanzionato il sito Crazystorebay (che poi è stato anche sequestrato) per pratiche commerciali scorrette, consistenti nella mancata consegna di merce ordinata, nella vendita di merce non disponibile e di errate informazioni ai consumatori39. h) agenzie di viaggio on line L’Autorità ha sanzionato le società BravoFly e Easy market al termine di due distinti procedimenti istruttori in materia di pratiche commerciali scorrette nel settore delle agenzie di viaggio on line. 38 Provv. PS9200 - Nike-prodotti contraffatti, in http://www.agcm.it/component/domino/download/ C12560D000291394/353D1AF9C844B7F9C1257C2100576344.html?a=p24582.pdf; Provv. PS9259 - Vendita orologi on-line contraffatti, in http://www.agcm.it/consumatore--delibere/consumatore-provvedimenti /download/C12560D000291394/07D231FC62A54DD0C1257C44004A0E3D.html?a=p24647.pdf. 39 Provv. IP189 - Crazystorebay - Vendite on line, in http://www.agcm.it/consumatore--delibere/ consumatore-provvedimenti/download/C12560D000291394/55A66692BF515837C1257C4A00506339.html? a=p24636.pdf. © Wolters Kluwer 236 Capitolo V Sono stati censurati i seguenti comportamenti: 1) scarsa trasparenza delle informazioni sul costo dei servizi offerti, sostanzialmente diversi da quelli pubblicizzati per effetto dell’addebito di ulteriori oneri economici non evitabili (quali il supplemento per il pagamento della carta di credito e le spese di gestione) e quindi noti alla società. In questo modo non si consente al consumatore, sin dal primo contatto con il sito, di conoscere l’effettivo prezzo del biglietto, inclusivo dell’insieme di voci di costo che lo compongono; 2) ingannevolezza del sistema di preselezione automatica della polizza assicurativa facoltativa: si tratta di un meccanismo che induce il consumatore a ritenere che la polizza sia obbligatoria e non, come è nella realtà, facoltativa. Sia BravoFly che Easy Market hanno comunque rimosso il meccanismo di preselezione della copertura assicurativa facoltativa nel corso dei procedimenti; 3) omessa predisposizione da parte di BravoFly di un sistema di assistenza clienti facilmente accessibile, alternativo al numero telefonico a pagamento (con costi che potevano arrivare a 15 euro), e scarsa chiarezza dell’indicazione dei dati identificativi della società. In questo modo vengono scoraggiati i tentativi di contatto e la proposizione di reclami e si ostacolano l’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori40. i) Banche dati on line per microimprese L’Autorità garante ha sanzionato la società Expo Guide, che gestisce una banca dati on line, per pratica commerciale scorretta a danni delle microimprese. Detta società iscrive i dati aziendali delle microimprese italiane, a loro insaputa, in un database presente esclusivamente on line sul sito www.expo-guide.com denominato “Guida per fiere ed espositori”. Obiettivo di tali iscrizioni è quello di promuovere la sottoscrizione di un costoso abbonamento pluriennale (1.271 euro l’anno per tre anni) a un servizio di annunci pubblicitari a pagamento. In tal modo Expo Guide 40 Provv. PS8033 - tui.it- supplemento carta di credito su acquisto volo in http://www.agcm.it/traspstatistiche/doc_download/4077-provvedimentops8033.html. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 237 esige il pagamento di servizi che il professionista ha fornito, ma che la microimpresa non ha richiesto. Con il pretesto di far verificare e correggere i dati inseriti nel database telematico, Expo Guide procede sistematicamente all’invio, alle microimprese pre-iscritte, di una lettera dai toni intimidatori per ottenere così la sottoscrizione dell’abbonamento. La prima rata della fattura viene poi inviata quando i termini per esercitare il diritto di ripensamento sono scaduti. L’intero meccanismo posto in essere dall’azienda è finalizzato alla pressante riscossione dei crediti maturati, infatti se le aziende non pagano Expo-Guide invia, direttamente o tramite società di recupero crediti, ripetuti avvisi e solleciti di pagamento, minacciando anche il ricorso alle competenti autorità giudiziarie. Si tratta di un’attività che viene svolta in modo capillare: la società ha infatti registrato i dati relativi a 247.000 imprese italiane partecipanti ad eventi fieristici ed ha inviato la propria comunicazione commerciale a ciascuna di esse. Nel periodo compreso tra il mese di gennaio del 2012 e quello di giugno 2013, ben 3.185 imprese italiane, tra cui anche microimprese, hanno sottoscritto, in seguito alla ricezione della comunicazione commerciale non richiesta, l’abbonamento triennale41. l) Valutazioni Tripadvisor L’Autorità Antitrust ha sanzionato la scorrettezza della pratica commerciale realizzata, a partire da settembre 2011 e tuttora in corso, da TripAdvisor LLC (società di diritto statunitense che gestisce il sito www.tripadvisor.it) e da TripAdvisor Italy S.r.l. Con questo provvedimento, l’Autorità ha vietato la diffusione e la continuazione di una pratica commerciale consistente nella “diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni”, pubblicate sulla banca dati telematica degli operatori, adottando strumenti e procedure di controllo inadeguati a contrastare il fenomeno delle false recensioni. In particolare, TripAdvisor pubblicizza la propria attività mediante claim commerciali che, in maniera particolarmente assertiva, enfatizzano il carattere autentico e genuino delle recensioni, inducendo così i consuma- 41 Provv. PS9026 - Banche dati on line, in http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/4097-ps9026provv-19-feb-2014.html © Wolters Kluwer 238 Capitolo V tori a ritenere che le informazioni siano sempre attendibili in quanto espressione di reali esperienze turistiche. A giudizio dell’Autorità, le condotte contestate violano gli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, “risultando idonee a indurre in errore una vasta platea di consumatori in ordine alla natura e alle caratteristiche principali del prodotto e ad alterarne il comportamento economico”. L’intervento dell’Antitrust punta a evitare che i consumatori assumano le proprie scelte economiche, in ordine ai servizi resi dalle strutture turistiche ricercate sul sito, basandosi anche su informazioni pubblicitarie non rispondenti al vero42. 7. La tutela della proprietà industriale e intellettuale: cenni Nell’ambito delle norme che possono riguardare e garantire la correttezza dei rapporti fra le imprese, anche in relazione all’attività di commercio elettronico, è necessario tenere in considerazione le recenti norme dettate in materia di proprietà industriale e di proprietà intellettuale. Per quanto riguarda la proprietà industriale è applicabile quanto previsto nel D.Lgs. 30/2005, Codice della proprietà industriale (di seguito, per brevità, indicato come “Codice PI”). In tale provvedimento sono state raggruppate tutte le norme in materia di proprietà industriale (marchi, brevetti ecc.) che prima erano contenute in diversi testi di legge. In questa sede interessa in particolare fare riferimento ad una norma che, per la prima volta, ha riconosciuto ufficialmente la cittadinanza nel nostro ordinamento. Si tratta dell’art. 22, che stabilisce il principio dell’unitarietà dei segni distintivi43. Per quanto riguarda la proprietà intellettuale (diritto d’autore), si possono ricordare la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del 42 http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/4619-ps9345scorrsanz-omi.html. L’articolo recita: “1. È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. 2. Il divieto di cui al comma 1 si estende all’adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”. 43 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 239 diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, che è stata attuata con il D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68 e la dir. n. 2004/48/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (c.d. “direttiva enforcement”), che è stata attuata in Italia con il D.Lgs. 16 marzo 2006, n. 14044. 8. La vendita sottocosto Tra le disposizioni che debbono essere osservate dagli operatori e che si collocano a metà strada tra la tutela delle imprese e la tutela del mercato, si segnala il D.P.R. 6 aprile 2001, n. 218 sulla vendita sottocosto, ai sensi dell’art. 15 (co. 7-9) del D.Lgs. n. 114/1998. Per “vendita sottocosto” si intende “la vendita al pubblico di uno o più prodotti effettuata ad un prezzo inferiore a quello risultante dalle fatture di acquisto maggiorato dell’imposta sul valore aggiunto e di ogni altra imposta o tassa connessa alla natura del prodotto e diminuito degli eventuali sconti o contribuzioni riconducibili al prodotto medesimo purché documentati”. Senza poter entrare in una specifica trattazione del D.P.R. n. 218/2001, quello che occorre qui rilevare è che tale decreto non si applica agli esercenti dettaglianti che svolgono l’attività di cui agli artt. 16-19 del D.Lgs. n. 114/1998. La circolare del Ministero delle attività produttive n. 3528/C del 24 ottobre 2001 ha chiarito, sul punto, che è escluso anche il caso del commercio elettronico. Esistono. tuttavia, delle eccezioni come l’art. 11 della L. 14 gennaio 2013, n. 9, recante “Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini”45. 9. I nomi di dominio Com’è ormai risaputo, il “domain name” (nome di dominio) è il sistema mediante il quale viene identificato ogni computer collegato alla Rete Internet46. In realtà, l’indirizzo basato sul protocollo Internet (ossia, 44 http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_sul_diritto_d%27autore_dell%27Unione_europea. L’art. 11 (rubricato Disciplina sulla vendita sottocosto degli oli di oliva extra vergini) stabilisce che. “1. Nel settore degli oli di oliva extra vergini la vendita sottocosto è soggetta a comunicazione al comune dove è ubicato l’esercizio commerciale almeno venti giorni prima dell’inizio e può essere effettuata solo una volta nel corso dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10 per cento della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio”. 46 Si rinvia a quanto detto al Capitolo II. 45 © Wolters Kluwer 240 Capitolo V quello che la “Rete” riconosce) è composto da una serie di numeri. A questo codice numerico, corrisponde un indirizzo alfanumerico – il nome di dominio, per l’appunto – mediante il quale è più semplice accedere ai vari siti. Con lo sviluppo delle potenzialità commerciali di Internet, sono sorte tutta una serie di problematiche legate all’utilizzo da parte delle imprese del proprio marchio come segno distintivo anche sulla Rete e delle regole di assegnazione dei nomi di dominio che non prevedono la verifica, rispetto al medesimo, della legittimazione del richiedente e, in aggiunta, viene seguita la regola del first come, first served. Il potenziale conflitto tra diversi soggetti rispetto alla loro identificazione su Internet non era reso facilmente risolvibile a causa della difficoltà di individuare la natura giuridica del nome di dominio. Secondo alcuni, infatti, questo altro non sarebbe che la versione “leggibile” dell’indirizzo Internet secondo il protocollo numerico, più sopra richiamato, che identifica informaticamente il sito e non l’impresa né tantomeno il suo marchio non essendo richiesta alcuna capacità distintiva47. La nostra giurisprudenza, sulla base di dottrina maggioritaria, è tuttavia concorde nell’attribuire al nome di dominio anche un carattere distintivo dell’impresa e/o dei suoi prodotti o servizi, in analogia con la funzione attrattiva svolta dal marchio e dall’insegna48. Questo problema sembra aver trovato una soluzione (normativa), dopo un percorso caratterizzato da posizioni anche fortemente divergenti, nel riconoscimento della cittadinanza giuridica del domain name nel nostro ordinamento, mediante la citata norma di cui all’art. 22 Codice PI49. Si deve anche tenere in considerazione che, mentre nel mondo reale è ipotizzabile la coesistenza di due marchi identici in capo a due diversi titolari, in ragione dell’esistenza di diverse categorie merceologiche, in Internet, per i sopra evidenziati motivi tecnici non superabili, non è possibile che due 47 Trib. Bari, ord. 24 luglio 1996; Trib. Firenze, ord. 29 giugno 2000, nel caso Sabena, secondo il quale il nome di dominio costituisce un mero indirizzo, paragonabile al numero di telefono. 48 Trib. Pescara, ord. 9 gennaio 1997; Trib. Milano, ord. 9 giugno 1997; Trib. Roma, ord. 2 agosto 1997. 49 In ogni caso, prima di tale “riconoscimento ufficiale” a livello normativo, dottrina e giurisprudenza degli Enti conduttori e dell’Autorità giudiziaria ordinaria avevano pressoché concordemente attribuito al nome di dominio una capacità distintiva, arrivandolo a qualificare come un segno distintivo atipico, ovvero assimilandolo, a seconda dei casi, a quelli già esistenti (marchio, ditta, insegna). © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 241 soggetti che vantino un diritto su un segno distintivo possano ottenere lo stesso nome di dominio50. Vediamo le prime decisioni dei nostri giudici. Nel caso “Teseo”, una società (per l’appunto la Teseo s.p.a.) contestava l’uso del domain “teseo.it” da parte della Teseo Internet Provider s.r.l., ravvisando gli estremi della contraffazione di marchio e della condotta concorrenzialmente scorretta. Il Tribunale di Bari respingeva la richiesta di provvedimento d’urgenza, osservando che: a) le attività delle due imprese non erano confondibili e b) il nome di dominio non assurge a carattere distintivo dei soggetti che lo impiegano, per cui occorre verificare cosa contengano le rispettive pagine web. Nel caso “Amadeus” (www.amadeus.net), la capacità distintiva del nome di dominio è stata, invece, affermata con chiarezza nei confronti di una società che aveva registrato il dominio “amadeus.it” ed operava nello stesso settore (viaggi). Il Tribunale di Milano, dopo aver riconosciuto carattere identificativo del dominio con le attività dell’impresa, in analogia con l’insegna, ha ritenuto opportuno concedere la richiesta inibitoria51. Anche nel caso “Portaportese”, la ricorrente lamentava l’uso del proprio marchio registrato (relativo alla nota pubblicazione) da parte di un’altra società che ne aveva avuto per prima l’assegnazione quale nome di dominio. Il Tribunale ha riconosciuto esistente il rischio di confusione e, quindi di concorrenza sleale, soprattutto per l’affinità di attività di entrambe le società, considerando del tutto irrilevante l’avvenuta assegnazione del dominio da parte della Naming Authority 52. Nel caso “Mario Cirino Pomicino”, il Tribunale di Napoli, ha stabilito che l’utilizzo di segni distintivi appartenenti ad altra azienda, mediante la diffusione di messaggi su Internet, può ingenerare nella clientela confusione sull’effettiva provenienza dei prodotti e sull’identità personale dell’imprenditore, determinando il rischio di una perdita economica da- 50 Ciò vale soprattutto all’interno di uno stesso Domain System (ad es. nell’ambito del ccTLD .it,) ma è ipotizzabile – almeno da un punto di vista sostanziale – un potenziale conflitto anche fra due Domain Systems differenti (ad es. tra un nome di dominio appartenente al cc.TLD .it e un nome di dominio appartenente al TLD .com), sulla base della considerazione che il “cuore” del nome di dominio – ovvero ciò che denota la capacità distintiva – è la parte a sinistra del punto. 51 Trib. Milano, ord. 9 giugno 1997, cit. 52 Trib. Roma, ord. 2 agosto 1997. © Wolters Kluwer 242 Capitolo V to l’evidente sviamento di clientela derivante dalla capillare diffusione della Rete Internet53. Il Tribunale di Macerata, sulla scorta delle considerazioni che precedono, ha considerato illecita la registrazione del domain name “pagineutili.it”, da parte di un soggetto diverso dal titolare del relativo marchio, configurandosi un contrasto con la legge sul diritto di autore, nonché una contraffazione di marchio, indipendentemente dalla circostanza che il titolare del marchio abbia già effettuato una registrazione a suo nome di un diverso domain name dato che, la possibilità di confusione è fonte di danno e che nulla vieta al titolare di chiedere la cancellazione del vecchio nome di dominio per ottenere la registrazione di quello rivendicato54. Quelli indicati nella precedente lettera sono gli orientamenti maggiormente consolidati. Nel prosieguo vale però la pena di una breve illustrazione su alcune decisioni riguardanti tematiche particolari dei nomi di dominio. 1) Utilizzazione, come nome di dominio, di un marchio in corso di registrazione - Il Tribunale di Verona ha stabilito che deve essere inibita, in via d’urgenza, l’utilizzazione di un marchio in corso di registrazione quale domain name per l’indirizzo di un sito sulla Rete Internet, nonché fissata una somma da corrispondere per ogni violazione successivamente constatata e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento 55. 2) La registrazione di un nome di dominio non per il suo impiego ma unicamente per la rivendita al soggetto titolare del relativo marchio registrato - La fattispecie, denominata domain grabbing, è sorta a seguito della registrazione come dominio del marchio registrato (della nota stilista Laura Ashley) da parte di altra società. Alla diffida circa l’utilizzo del dominio “lauraashley.com”, la società titolare si vedeva offrire l’acquisto del dominio al prezzo di 7.500 dollari. A questa richiesta la soc. Laura Ashley ha replicato agendo in via cautelare ed ottenendo l’inibitoria all’impiego di tale dominio. La resistente, 53 Trib. Napoli ord. 9 agosto 1997. Trib. Macerata, ord. 2 dicembre 1998. 55 Trib. Verona, ord. 25 maggio 1999, Soc. Tecnoware engineering. 54 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 243 in sede di reclamo, ha sostenuto che la semplice registrazione del dominio e l’offerta in vendita, senza l’effettivo impiego, non può integrare gli estremi della violazione del marchio registrato, poiché non potrebbe essere presente né la contraffazione né il rischio di concorrenza sleale per confusione. Il Tribunale ha respinto questa argomentazione sulla scorta della rinomanza del marchio “Laura Ashley” e della tutela “allargata” dei marchi notori che rendono pregiudizievole ogni comportamento, realizzato per trarre vantaggio da detto carattere di notorietà, al di là di una attività confusoria o potenzialmente tale, concretizzata attraverso l’uso illecito di un segno identico o simile 56. Esiste anche una variante di questo comportamento che si chiama “domain parking” e che si basa sui servizi resi disponibili da appositi siti. Uno di questo è Sedo57 nel quale il dominio “parcheggiato” viene dotato di una pagina contenente link pubblicitari ad altri siti su temi specifici inerenti al nome di dominio stesso. Ogni click di un utente su un link viene remunerato con una somma singolarmente esigua (millesimi di euro); ma per effetto della globalità di internet, un buon nome di dominio può fruttare in questo modo anche migliaia di euro al mese. Oltre che in parcheggio, il dominio può anche venir messo all’asta. Simile è la pratica del typosquatting, ossia la registrazione come nome di dominio di uno simile ad uno famoso, con l’unica differenza consistente in un errore di punteggiatura o di “di battitura” in cui può incappare l’utente di Internet (wwwfieramilano.it, igoogle.it, unicrdt.it, etc.). 3) La registrazione di un nome di dominio da parte di un imprenditore di un marchio di fatto, pubblicizzato da ampia campagna di stampa La questione è sorta ad opera di un imprenditore sardo che, poche ore prima del momento in cui Tiscali s.p.a. e Andala Umts s.p.a. ne facessero richiesta, aveva registrato come proprio nome di dominio www.andala.it. Naturalmente, a detta dei danneggiati, la coincidenza non era casuale poiché detto imprenditore aveva avuto rapporti commerciali con Tiscali ed era quindi a conoscenza della potenzialità commerciale della registrazione di detto nome di dominio. D’altra parte, ribatteva l’impren56 57 Trib. Parma, decr. 12 ottobre 1998; Id., ordd. 11 gennaio 1999 e 22 febbraio 1999. https://sedo.com/park-domains/how-parking-works/. © Wolters Kluwer 244 Capitolo V ditore, la richiesta di registrazione era motivata dalla necessità di pubblicizzare lampade, di propria produzione, chiamate appunto “andala”, di cui già negli anni passati era stata fatta promozione attraverso mostre e fiere, che avevano conferito a tali prodotti una certa notorietà. Qual è la particolarità del caso? Il conflitto si è posto tra nomi di dominio e marchi di fatto, poiché nessuna delle parti in causa aveva registrato il marchio “andala” ma si limitavano a farne uso. Secondo Tiscali, si concretizzava inoltre una ipotesi di concorrenza sleale per contraffazione: l’appropriazione del dominio “andala” avrebbe consentito all’usurpatore un ingiustificato vantaggio, perché nel sentire comune tale nome veniva associato alla telefonia, e non certo alle lampade. Il giudice ha risolto la questione a vantaggio di Tiscali, configurando la registrazione del dominio da parte di altri quale concorrenza sleale per contraffazione58. 4) La registrazione da parte di un imprenditore, operante anche nel settore dell’informazione turistica, del nome di dominio www.touring.it. - Un imprenditore, operante anche nel settore dell’informazione turistica, aveva registrato come proprio nome di dominio “www.touring.it”. Esisteva già, e ne era titolare il Touring Club Italiano, associazione non riconosciuta, un sito denominato www.touringclub.it, riproduttivo del marchio regolarmente registrato da parte dell’omonima associazione. Per quanto non esattamente identico al marchio registrato dal Touring Club tuttavia, il nome di dominio ne riproduceva parte significativa; sufficiente, a giudizio del ricorrente, a creare confusione circa la riconducibilità del sito al titolare del segno. In breve, il Touring Club lamentava il fatto che l’imprenditore, servendosi dell’indubbia capacità distintiva della prima parte del proprio nome, inducesse i potenziali clienti a collegarsi al sito pensando di raggiungere quello dell’omonima associazione non riconosciuta, quindi sviandoli. Opponeva il resistente come, da una parte, la parola “Touring” fosse d’uso comune, dall’altra che concorrenza poteva esserci, ai sensi dell’art. 2598, solo tra imprenditori, e non nei confronti di enti, quali il Touring Club, che non perseguono istituzionalmente scopo di lucro. Entrambe le tesi di difesa sono state disattese dal Tribunale. 58 Trib. Cagliari, ord. 30 marzo 2000. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 245 Per un verso è stato negato che la parola “touring” sia, nello specifico contesto, d’uso comune, o non particolarmente distintiva, spiegando ciò attraverso le peculiarità della ricerca nella Rete Internet. Per altro verso è stato smentito che nel Touring Club difettasse il requisito dell’imprenditorialità, specie avendo riguardo alla strutturazione ed alla gestione dell’associazione ricorrente, improntata ad una logica di carattere tipicamente imprenditoriale; a ciò infatti non è d’ostacolo la forma giuridica adottata, nel caso di specie associazione non riconosciuta. 5) Le regole di Naming prevalgono su tutte le altre? - Al quesito è stata data risposta positiva da parte del Tribunale di Firenze sul caso Sabena59. Tale decisione ha destato l’attenzione dei commentatori in quanto pareva stabilire una prevalenza delle regole di Naming rispetto alla costante giurisprudenza che tende ad applicare alle questioni relative ai nomi di dominio la disciplina sui segni distintivi. La questione è sorta a seguito del ricorso da parte della soc. belga Sabena (titolare del relativo marchio) nei confronti del registrante in Italia del dominio “sabena.it”, configurando questa azione quale contraffazione di marchio registrato. Ad opinione del giudicante, non vi è un diritto da parte del titolare di un marchio ad ottenere il corrispondente nome di dominio su Internet, poiché quest’ultimo non sarebbe che un sistema “topografico” per individuare un soggetto, analogamente al numero di telefono o al numero civico di una data strada. Il Tribunale ha poi individuato quali regole applicabili quelle che regolano l’assegnazione dei nomi di dominio (Regole di Naming) che prevarrebbero su quelle concernenti i marchi d’impresa. Quanto detto ci porta ad uno dei punti “nodali” sui nomi di dominio, con riferimento agli incerti confini circa la natura e l’ampiezza del diritto del titolare del medesimo che, come si sa, è “concesso in uso” dalla Naming Authority. Secondo il Tribunale di Firenze (e parte minoritaria della dottrina), come abbiamo visto, il diritto sul nome di dominio non è ritenuto né un diritto reale né un diritto di credito, e come tale non suscettibile di vendita o di utilizzazione da parte di terzi; ciò sull’ulteriore presupposto che il nome di dominio non è di per sé identificativo di un determinato segno distin- 59 Trib. Firenze, ord. 29 giugno 2000. © Wolters Kluwer 246 Capitolo V tivo, ma piuttosto del collegamento con un determinato soggetto, rispetto a cui è pertanto inscindibile. Lasciando da parte la questione tecnica, ossia del nome di dominio come “identificativo di Rete”, l’affermazione che il nome di dominio, siccome può corrispondere ad un marchio, ad una ditta, ad una insegna, etc., non è un segno distintivo. Semmai è vero proprio il contrario: tutti questi “segni” sono caratterizzati proprio dalla “distintività” e dalla capacità di identificare l’impresa (o imprenditore) che li utilizza. Sul punto, come indicato, la giurisprudenza afferma la capacità distintiva di un nome di dominio proprio desumendola dalla capacità di rendere identificabile nella Rete Internet, tra le altre cose, un determinato soggetto, e sostiene la tutelabilità di tale capacità distintiva dalle altrui aggressioni proprio come conseguenza di tale attitudine, applicando analogicamente la disciplina in tema di marchi e quella sulla concorrenza sleale. Anche la dottrina d’altronde è concorde nel ravvisare la capacità del nome di dominio di violare e di essere violato da un altro segno distintivo, partendo proprio dal presupposto della natura di segno distintivo atipico del nome di dominio, dovuta all’eccezionale valenza commerciale raggiunta nel contraddistinguere luoghi, seppur virtuali, prodotti ed anche, e soprattutto, soggetti. 6) L’utilizzo come nome di dominio di termini generici ma che contraddistinguono servizi postali - Il Tribunale di Modena è stato protagonista anche del caso noto come “Bancoposta”60. La “tenzone” ha visto contrapposte la soc. Poste Italiane e una società che ha registrato come nomi di dominio, tra gli altri, “bancoposta.it”, “vaglia.it” e “raccomandata.it”. Nel primo round, il giudice ha sostenuto che i termini, data la loro genericità, non consentono una tutela esclusiva nei confronti del concessionario nazionale del servizio postale. Nel riesame da parte del Collegio, l’ordinanza veniva rivista alla luce della circostanza che i termini suddetti configurano le designazioni di servizi che sono svolti da Poste Italiane sulla base di una concessione pubblica (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), configurando, pertanto, un marchio di servizio. 60 Trib. Modena, ord. 28 agosto 2000. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 247 7) Si possono pignorare i nomi di dominio? - La questione, affrontata dal Tribunale di Bologna61, si presta ad alcuni interessanti sviluppi processuali e merita, dunque, qualche riga. Un creditore, presumibilmente consulente o dipendente del consorzio Italia.com (dall’ordinanza non è chiaro il suo ruolo), agiva in esecuzione per vedere pignorato il nome di dominio “italia.com” appartenente all’omonimo consorzio. Il debitore faceva – ovviamente – opposizione. Il Tribunale accogliendo l’opposizione disponeva la riassunzione del giudizio per la fase di merito al competente Tribunale sulla base delle seguenti ragioni. Anzitutto, le conseguenze di un eventuale pignoramento del dominio corrispondente, tra l’altro, alla denominazione sociale del debitore pignorato: a parere dei giudici se ciò fosse possibile si verificherebbe, una scissione tra la titolarità della denominazione sociale, che rimarrebbe com’è ovvio in capo al consorzio, e quella degli altri segni distintivi, nel caso di specie la ditta, che invece sarebbero ceduti ad eventuali terzi. Nonostante la legge sui marchi consenta, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 480/1992, la cessione del segno distintivo separatamente rispetto agli altri elementi aziendali, appare – a giudizio del Tribunale di Bologna – una condotta tale da determinare confusione nell’apprezzamento del pubblico e, pertanto, contraria all’art. 2573 c.c. e all’art. 15, co. 4, della stessa legge marchi, che pongono quale limite al trasferimento del marchio o di altro segno distintivo, appunto, il fatto che non debba da ciò derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico. Nella questione che abbiamo sinteticamente riassunto viene in considerazione il profilo della scissione tra la titolarità della denominazione sociale e quella della ditta e, preliminarmente, occorre stabilire se la denominazione sociale debba o meno coincidere alla ditta, o se invece possa differenziarsene. Tale problema si pone perché il codice civile, a differenza di quanto previsto per la ragione sociale della società di persone, lascia completa libertà circa la formazione della denominazione, sia delle società di capitali che di altri soggetti quali i Consorzi, prevedendo soltanto, nel caso delle società, che la stessa debba contenere l’indicazione del tipo sociale cui si riferisce (artt. 2326, 2463 e 2474 c.c.). 61 Trib. Bologna, ord. 22 marzo 2000. © Wolters Kluwer 248 Capitolo V In relazione allo scopo identificativo della denominazione sociale, la Cassazione ha specificato che essa non deve esaurirsi in termini “meramente generici o descrittivi del genere merceologico o dell’attività prodotta, ma si componga, in tutto o in parte, di termini di fantasia e cioè privi di un riferimento specifico al tipo ed alla qualità della merce o del servizio prodotto dall’impresa”. Per quanto riguarda lo specifico rapporto tra denominazione sociale e ditta, la dottrina è divisa tra coloro che affermano la necessità di tale coincidenza e coloro che invece la negano, sostenendo che mentre la denominazione è un elemento della società, corrispondente al nome civile dell’imprenditore individuale, la ditta è il nome sotto il quale la società svolge la sua attività ed è un elemento dell’azienda di cui la società è titolare. In giurisprudenza sembra prevalere il principio della non necessaria coincidenza tra denominazione e ditta, e ciò sulla base del fatto che una società, in analogia a quanto previsto per l’imprenditore individuale titolare di più imprese, “può adottare una ditta diversa dalla sua denominazione per identificare un’impresa separata, sempre che dal tenore di essa emerga la titolarità dell’impresa in capo alla società”. Come si può arguire il ragionamento prende le mosse dalla considerazione che, essendo garantito all’imprenditore individuale di essere titolare di più imprese, contrassegnate da diverse ditte, non vi è motivo per non ritenere applicabile lo stesso principio all’imprenditore collettivo, consentendogli, stante l’unicità della denominazione sociale, di utilizzare più ditte per i separati complessi aziendali di cui sia titolare. Sembra pertanto prevalere il principio della non corrispondenza tra ditta e denominazione sociale, purché sia possibile risalire alla titolarità dell’impresa come facente capo alla società. Ciò è rilevante nella fattispecie in esame, non risultando preclusa in via assoluta la possibilità di scindere la titolarità della denominazione sociale da quella della ditta come effetto di un trasferimento, sia esso coattivo o volontario, fermi gli obblighi – già indicati – contenuti nell’art. 2573 c.c. e nell’art. 15, co. 4, della legge marchi. Da quanto detto si possono trarre le indicazioni nel senso che si può ottenere il pignoramento di un nome di dominio corrispondente alla denominazione sociale ed alla ditta se il suo utilizzo non determini confusione tra il pubblico. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 249 8) Come si può quantificare il danno derivante dalla lesione del nome di dominio? - La questione, decisa dal Tribunale di Ivrea, è sorta a seguito di un ricorso della società Internet Channel Network (di seguito ICN) nei confronti della società Italia Online (di seguito IOL) 62. La ICN ha come oggetto sociale la fornitura di servizi informativi e pubblicitari alle piccole e medie imprese attraverso un sito Internet denominato “Pagine Blu”, nonché attraverso una omonima testata giornalistica cartacea; la IOL, facente parte del gruppo Infostrada, utilizzava lo stesso nome “Pagine Blu” per denominare un sito che svolgeva attività analoghe a quelle della ICN. Si chiedeva pertanto al giudice tutela rispetto alla concorrenza sleale per sviamento di clientela (art. 2598, n. 1, c.c.), nonché rispetto alle norme sul diritto d’autore rispetto alla rivista cartacea. Oltre alla identità del nome del sito e del servizio reso alla stessa categoria di utenti (le PMI), c’era poi un ulteriore elemento rilevante: mentre il servizio della ICN era a pagamento, quello della IOL era assolutamente gratuito; ciò avrebbe comportato alla ICN sia la perdita di parte della propria clientela attuale, che avrebbe disdetto il relativo servizio, sia la mancata acquisizione di nuovi clienti, che si sarebbero indirizzati verso il sito gratuito. Sul diritto del ricorrente, dunque, nessun problema. Ma per l’entità dei danni? Questo il vero punto in discussione, poiché è la parte che promuove l’azione a dover provare l’entità del danno subito, ai fini dell’ottenimento del risarcimento. La ICN sosteneva che la somma fosse corrispondente alla moltiplicazione del canone di adesione per il numero dei clienti raccolti dalla IOL. Il giudice non accoglieva questa prospettazione (dal canone, per es., non erano detratte le spese), disponendo pertanto una consulenza tecnica d’ufficio per la quantificazione del danno subito attraverso la riduzione della clientela, con riguardo all’andamento negli anni precedenti, dedotte le spese sostenute. Questa decisione merita alcune notazioni. La prima notazione rispetto al caso appena visto riguarda il rispetto delle regole di correttezza professionale su Internet circa la registrazione dei nomi di dominio. 62 Trib. Ivrea, sent. 19 luglio 2000, n. 253. © Wolters Kluwer 250 Capitolo V I giudici di Ivrea hanno riscontrato nella condotta della IOL una violazione dell’obbligo di diligenza rispetto alle regole di correttezza professionale. Posto che tali regole sono quelle relative nell’ambito delle categorie professionali alle quali appartengono gli imprenditori coinvolti nel conflitto, IOL avrebbe dovuto previamente informarsi circa l’esistenza di un sito denominato in modo analogo. C’è peraltro un ulteriore elemento degno di nota. Nel caso “Andala”, è stato inibito ad un imprenditore, che preusava il nome Andala come marchio di fatto, l’utilizzo dell’omonimo nome di dominio, seppur registrato anteriormente rispetto alla richiesta fatta dalla stessa Andala s.p.a., sulla scorta di una dimostrata malafede. Se malafede non vi fosse stata non si vede, infatti, come altrimenti potesse essere considerato scorretto il comportamento di quell’imprenditore, giacché egli non aveva fatto nient’altro che registrare il proprio marchio di fatto come nome di dominio. Ciò può indurre pertanto ad elaborare due regole di comportamento utili a garantire la correttezza professionale nel settore: a) da una parte vi è il diritto di registrare, per ciascuno, un nome di dominio corrispondente al proprio marchio, sia esso debole o forte, salvo il limite della malafede, cioè del fine scorretto che tale registrazione si propone; b) dall’altra vi è l’onere da parte di chi registra un nome di dominio di verificare l’esistenza di segni identici sulla Rete, e di valutarne i profili di compatibilità con il proprio, da un punto di vista della concorrenza sleale come della contraffazione. In definitiva, la malafede opera come limite specifico per la registrazione del nome di dominio da parte di chi si sia accertato che non esistono altri nomi di dominio identici; dall’altra la diligente disamina della presenza sulla Rete di nomi di dominio identici opera come limite generale per chiunque si accinga ad operare in Rete registrando un determinato nome di dominio. 9) Una certa sequenza di lettere dell’alfabeto utilizzata come nome di dominio, se corrispondente ad un segno distintivo, è in grado di orientare le scelte del consumatore? - Il Tribunale di Firenze ha affrontato il reclamo contro la decisione, assunta ex art. 700 c.p.c., che ha inibito alla soc. Dada l’uso del nome di dominio “Novamarine.it”, o, comunque, del © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 251 nome “Novamarine” nella forma di “domain name”, costituendo il nome “Novamarine” marchio registrato dalla omonima società63. La Dada nel reclamo ha sostenuto che: a) in quanto provider non è responsabile delle conseguenze derivanti dalla registrazione di un nome di dominio chiesto da un suo cliente; b) la tutela dei segni distintivi dell’impresa, ed, in particolar modo, ai marchi, non si applica anche alle forme di utilizzazione degli stessi come nomi di dominio, non essendo ravvisabile, in tal caso, un’ipotesi di violazione della legge marchi; c) qualora sia applicabile la disciplina di tutela dei marchi occorre verificare se vi sia confondibilità tra l’attività svolta dalle due imprese, quella titolare del marchio registrato e quella che lo ha registrato come nome di dominio per l’utilizzo su Internet. Il giudicante, in via preliminare, ha esaminato la questione dell’applicabilità delle norme poste a tutela dei segni distintivi dell’impresa, ed in particolare di quelle relative ai marchi, alla fattispecie della registrazione di un sito web con un nome che già è tutelato come marchio di impresa. Il problema presenta risvolti di notevole complessità, laddove si consideri che il mondo della comunicazione in Rete ha azzerato le frontiere spazio-temporali, e, non essendo assoggettato né ad un’autorità centrale, né ad una normativa uniforme, finisce con il dar luogo ad un ordinamento universalmente strutturato e funzionante secondo regole di natura tecnica, cui non fa riscontro, peraltro, l’uniformità, nei singoli Stati, della disciplina giuridica. “Il mondo della comunicazione telematica, in una parola, costituisce indubbiamente un ordinamento particolare, caratterizzato da proprie regole tecniche, in relazione al quale pone il problema della regolamentazione giuridica da parte dei singoli Stati, e cioè, dei vari ordinamenti con i quali quello telematico viene ad essere in relazione”. Il giudicante, nel ricordare la giurisprudenza che ha stabilito l’applicazione della disciplina dei marchi anche ai nomi di dominio, ha anche sottolineato quella parte (minoritaria) di giudici “orientati nel senso di privilegiare, nella regolamentazione del fenomeno, quelle peculiarità derivanti dalla particolare natura della comunicazione telematica, e, dunque, a ritenere l’autonomia dei rapporti alla stessa riconnessi, in virtù della peculiarità delle regole di organizzazione tecnica, che fondano il 63 Trib. Firenze, ord. 7 giugno 2001, n. 3155. © Wolters Kluwer 252 Capitolo V carattere universale dell’organizzazione informatica, e che, dunque, dovrebbero universalmente ispirarne la disciplina sul piano giuridico”. La giurisprudenza alla quale si fa riferimento è, ovviamente, quella espressa proprio dal Tribunale di Firenze che – in assoluta controtendenza – ha revocato in dubbio la corrispondenza tra nomi di dominio e segni distintivi dell’impresa, con conseguente esclusione dell’applicabilità ai primi della disciplina dettata per i secondi. La soluzione prescelta da questo orientamento è quella della prevalenza delle Regole di Naming e, quindi, del principio del first come first served sulla base del fatto che il “domain name” “consente, da un punto di vista tecnico, l’identificazione di una pagina Web e l’accesso di un determinato computer alla Rete Internet (attraverso la corrispondente sequenza numerica univoca, denominata Internet Protocol number, avente la funzione di catalogare i dati in uscita da un elaboratore, secondo un sistema di indirizzi numerici diversi per ogni computer collegato): esso avrebbe un rilievo autonomo, indipendente dalla funzione distintiva che può venire ad assumere, essendo piuttosto assimilabile ad un mero indirizzo o numero di telefono, sia pure tradotto in lettere alfabetiche, e non ponendo, dunque, problemi di violazione del marchio di impresa”. Il nome di dominio pur restando – come si premura di ribadire il Tribunale – un “indirizzo”, sul piano giuridico viene ad assumere una valenza distintiva, in virtù dell’uso e della funzione commerciale assunta in Internet, in relazione al commercio elettronico ed alla pubblicità sui siti. Al nome di dominio si applica la disciplina dei segni distintivi. Il giudicante però incappa in due errori: il primo consiste nel fatto che non è corretto considerare il “domain name” come “traduzione” in qualche modo testuale dell’IP number, poiché non vi è alcun tipo di corrispondenza necessitata con il numero IP; anzi è proprio l’arbitrarietà con la quale viene determinato a porre problemi di tutela di posizioni giuridiche soggettive. Il secondo errore sta nell’aver assunto quale termine della questione l’equiparazione del nome di dominio con il marchio e non, più correttamente, quello circa l’applicabilità di una certa disciplina (la legge marchi, nel caso di specie) ad una modalità di “spendita” del segno distintivo. Qual è la conseguenza tratta dal Tribunale? Dal momento che al nome di dominio si applica la disciplina di tutela dei segni distintivi, occorre verificare se questo sia utilizzato in maniera tale © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 253 da non ingenerare confusione nel pubblico circa la riconducibilità del sito (e, dunque, dei prodotti nello stesso venduti o reclamizzati) ad un determinato soggetto. Per compiere questa verifica il Tribunale ritiene che, pur dovendosi considerare necessaria l’esistenza di affinità merceologica dei settori di uso dei segni, detta affinità merceologica debba tuttavia essere valutata sulla base della peculiarità dei nomi di dominio e della possibilità, per il consumatore, di ricondurre un determinato servizio all’attività d’impresa del titolare del marchio, sfruttandone perciò la notorietà. Nel caso di specie tale possibilità è realizzabile in concreto seppure la Soc. Novamarine produce imbarcazioni (anche da diporto) mentre la società che ha registrato il dominio contestato ha quale oggetto sociale l’attività di organizzazione di vacanze caratterizzate dall’ambiente marino. L’ordinanza d’urgenza è, di conseguenza, dal Tribunale confermata. Per quanto attiene alla responsabilità del provider circa la verifica della legittimazione del cliente richiedente al nome di dominio prescelto, il Tribunale ha stabilito che la responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi per il “concorso” nella violazione del marchio è ravvisabile in concreto con riferimento a quei casi palesi di illecito confusorio, come nel caso di abusi di marchi o nomi celebri. Qualora, come nel caso in questione, il provider abbia assunto l’obbligazione di provvedere alla registrazione del domain name, pare evidente – ad opinione del Tribunale – che nessun tipo di responsabilità sarà configurabile al di fuori dell’ipotesi di registrazione di un nome di dominio corrispondente ad un marchio di tale risonanza da indurre necessariamente il provider, secondo le normali regole di prudenza, ad astenersi dall’eseguire la prestazione, essendo di immediata evidenza l’illecito dell’utente finale. In caso contrario si finirebbe per addossare al provider il giudizio sulla liceità o meno della registrazione del nome di dominio, e, dunque, tutta una serie di valutazioni (ad esempio, circa eventuali eccezioni di nullità del marchio, ecc.), che, sicuramente, non competono a tale soggetto. 10. Segue: la più recente giurisprudenza La più recente giurisprudenza sui nomi di dominio consta di un numero di decisioni tutto sommato modesto. Ciò non deve indurre, tuttavia, ad immaginare che non vi siano contenziosi. La spiegazione risiede © Wolters Kluwer 254 Capitolo V nell’efficacia di altri strumenti, quali le procedure di riassegnazione dei nomi di dominio, che differiscono a seconda dei TLD cui si applicano. Tra le più note si collocano quella regolata direttamente da ICANN (e che fa riferimento principalmente alle “desinenze” “.com”, “.net” e “.org”), quella di EURid (per i domini europei “.eu”), nonché quella del Registro (per i domini italiani “.it”)64. Nonostante alcune diversità, tutte operano in base agli stessi principi di tutela. Il dominio viene riassegnato se il ricorrente che chiede la riassegnazione dimostra che il dominio contestato è identico o crea confusione con un segno su cui egli vanta diritti di esclusiva, e che è stato registrato e mantenuto in malafede. Il dominio non viene riassegnato se colui che lo ha registrato dimostra a sua volta di avere un proprio diritto o titolo, concorrente con quello del ricorrente, sul nome a dominio registrato. La procedura detta M.A.P. (Mandatory Administrative Proceeding) è rapida (da 30 a 50 giorni) ed ha un costo predeterminato che rende antieconomica la “rivendita” all’interessato del dominio abusivamente registrato da altri65. Vediamo le principali decisioni. a) Tutela del marchio - Nel periodo anteriore all’entrata in vigore del codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), anche ai nomi di dominio (di sito Internet) deve applicarsi, sebbene si tratti di segni distintivi atipici, il R.D. 21 giugno 1942, n. 929, essendo essi strumenti attraverso cui accedere, nell’ambito di internet, ad un vasto mercato commerciale di dimensioni globali che consentono di identificare il titolare del sito web ed i prodotti e servizi offerti al pubblico, onde tali nomi rivestono una vera e propria capacità distintiva, in quanto, secondo la attuale concezione sulla natura e sulla funzione del marchio, non si limitino ad indicare la prove- 64 V. quanto detto al Capitolo VIII, par. 3. Nell’ambito dei rispettivi siti dei soggetti abilitati allo svolgimento delle procedure di riassegnazione (http://www.nic.it/legale/regolamento-dispute-e-linee-guida-legali) c.d. Prestatori del Servizio di Risoluzione extragiudiziale delle Dispute (PSRD) (http://www.nic.it/legale/riassegnazione/elenco-psrd) è possibile consultare l’elenco delle decisioni (con il testo integrale delle medesime), laddove non mancano casi interessanti, come, per es., le riassegnazioni dei domini: giuristitelematici, emirates, mondoconvenienza, MSCcrociere, dinersclub, grattaevinci, atm, etc. 65 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 255 nienza del prodotto o del servizio, ma svolgano una funzione pubblicitaria e suggestiva che ha la finalità di attrarre il consumatore, inducendolo all’acquisto 66. - Al fine di valutare se sussista un comportamento di malafede ai sensi del combinato disposto dell’art. 21, n. 1, lett. b), del Reg. n. 874/2004, e del n. 3 dello stesso articolo, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie, e segnatamente le condizioni in cui la registrazione del marchio è stata ottenuta e quelle in cui il nome di dominio di primo livello “.eu” è stato registrato. Quanto alle condizioni in cui la registrazione del marchio è stata ottenuta, il giudice nazionale deve tenere conto, in particolare, dei seguenti fattori: - l’intenzione di non fare 66 Sui nomi di dominio v. Corte giust. UE, 3 giugno 2010, n. 569/08, Internetportal und Marketing GmbH c. Richard Schlicht (in www.eur-lex.europa.eu, 2013): “La presenza di caratteri speciali nel nome su cui viene vantato un diritto preesistente nonché la scelta effettuata dal richiedente alla luce delle tre regole di trascrizione di tali caratteri che figurano all’ art. 11, secondo comma, del Regolamento n. 874/2004, vale a dire l’eliminazione, la sostituzione con un trattino o l’espressione in caratteri normali, possono quindi indicare l’esistenza di un comportamento di malafede ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b), di tale regolamento, in particolare qualora il nome di dominio la cui registrazione viene chiesta non concordi con il nome sul quale è stato vantato un diritto preesistente. Per contro, è senza rilievo la circostanza che, al momento della registrazione del nome di dominio, il titolare del diritto nazionale e/o comunitario non era noto al ricorrente. Non essendo quindi possibile escludere l’esistenza di diritti preesistenti su un nome corrispondente ad una denominazione generica, l’adozione di un comportamento manifestamente finalizzato ad aggirare la procedura di registrazione per fasi istituita dal Regolamento n. 874/2004 implica il rischio di arrecare pregiudizio a titolari di siffatti diritti. Inoltre, l’adozione di un comportamento del genere si risolve nel perseguimento di un indebito vantaggio a discapito di ogni altra persona interessata dallo stesso nome di dominio che non dispone di alcun diritto preesistente da invocare e che quindi deve aspettare l’avvio della registrazione generale di nomi di dominio di primo livello.eu per poter depositare una domanda di registrazione”. V., inoltre, Cass., 3 dicembre 2010, n. 24620, che ha un altro profilo di interesse, con riferimento alla tutela del “nome” (in questo caso di ente pubblico). La Suprema Corte ha stabilito che: “L’utilizzo dei nomi di dominio “Sudtirol.com” e “AltoAdige.com” non costituisce violazione della denominazione ufficiale della Provincia di Bolzano, in quanto il nucleo essenziale di questa, come si trae dall’art. 116 Cost. e dallo Statuto di Autonomia del 1972, è costituito dalle parole “Provincia di Bolzano” o “Provincia Autonoma di Bolzano”, da accompagnarsi con la omologa traduzione ufficiale in tedesco (“Provinz Bozen” o “Autonome Provinz Bozen”) e non da quelle “Sudtirol-Alto Adige”, che sono semplici nomi geografici privi di capacità distintiva; mentre resta inapplicabile l’art. 7 cod. civ., dal momento che esiste la norma speciale dell’ art. 21 r.d. 21 giugno 1942, n. 929. che tutela i segni distintivi nell’ambito del diritto commerciale”. Sulla tutela delle pubbliche amministrazioni v. anche Trib. Torino, Sez. spec. in materia di imprese, ord. 15 aprile 2014, Comune di Vignale Monferrato c. Fondazione Teatro nuovo per la danza e altri (in Foro it., 2014, I, c. 2253): “Va inibito, con provvedimento d’urgenza, l’utilizzo del nome “Vignale”, dello stemma comunale, del marchio “Vignaledanza” e dell’omonimo sito Internet per contraddistinguere un festival teatrale di danza, che però si svolge fuori dal territorio del comune di Vignale Monferrato, dove si era tenuto per oltre trent’anni, con conseguente pregiudizio per il comune medesimo”. Sul tema v. P. COSTANZO, I nomi di dominio della Pubblica Amministrazione, in http://www.costituzionale.unige.it/dottorato/Costanzo.pdf. Sulla tutela del “nome”: “Esiste rischio confusorio tra l’utilizzo dei nomi a dominio “larosabianca.net” e “larosabianca.com”, da una parte, registrati dall’omonimo movimento politico e “rosabianca.org”, dall’altro, in quanto costituente segno distintivo appartenente ad altra associazione politico-culturale non riconosciuta” (Così Trib. Roma, 12 marzo 2008, in Dir. internet, 2008, p. 291 ss.). © Wolters Kluwer 256 Capitolo V uso del marchio nel mercato per il quale la tutela è stata chiesta; - la presentazione del marchio; - il fatto di aver registrato un numero elevato di altri marchi corrispondenti a denominazioni generiche, e il fatto di aver registrato il marchio poco prima dell’inizio della registrazione per fasi di nomi di dominio di primo livello “.eu”. Quanto alle condizioni in cui il nome di dominio di primo livello “.eu” è stato registrato, il giudice nazionale deve prendere in considerazione, in particolare, i seguenti fattori: - l’abuso di caratteri speciali o di segni di interpunzione, ai sensi dell’ articolo 11 del Reg. n. 874/2004, ai fini dell’applicazione delle regole di trascrizione di cui a tale articolo; - la registrazione nella prima parte della registrazione per fasi prevista da tale regolamento sulla base di un marchio acquisito in circostanze come quelle del procedimento principale, e - il fatto di aver depositato numerose domande di registrazione di nomi di dominio corrispondenti a denominazioni generiche67. - La sola registrazione di un nome di dominio, che costituisce un’operazione tecnica volta unicamente a permettere al suo titolare di utilizzarlo sulla rete Internet per un lasso di tempo determinato, non può costituire in sé la prova di un utilizzo commerciale68. - In tema di marchi e rapporti con i nomi di dominio, la funzione distintiva viene esclusivamente svolta dal Second Level domain (SLD), costituito da una sequenza di lettere, eventualmente parole, senza che possa utilizzarsi lo spazio per separare le medesime, con la conseguenza che frequentemente più parole vengono a susseguirsi senza interruzione. Deve essere quindi esclusa l’attitudine distintiva del termine generico “lavoro” laddove invece l’inserimento del nome dell’impresa è idoneo a svolgere tale scopo69. 67 Corte giust. UE, 3 giugno 2010, n. 569, Internetportal und Marketing GmbH c. Richard Schlicht, in Foro it., 2010, IV c. 377. 68 Trib. I Grado UE, Sez. II, 14 maggio 2013, n. 321/11, R. M. c. Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (UAMI). 69 Trib. Bologna, ord., 28 settembre 2009. © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 70 71 257 - Il nome di dominio aziendale, tale essendo quello utilizzato in ambito imprenditoriale, o almeno pubblicitario, costituisce - nella vigenza del codice della proprietà industriale - segno distintivo tipico non titolato, e - a fronte dell’altrui condotta confusoria - usufruisce della tutela giurisdizionale, anche inibitoria cautelare, prevista dal capo III del codice per tutti i diritti di proprietà industriale (D.Lgs. n. 30/2005) (nella specie, il giudice, ai sensi dell’art. 133 cod. proprietà industriale, ha disposto l’inibitoria dell’uso dei nomi a dominio “www.puntogioco.biz” e “www.puntogioco.info”, in quanto confondibili con i marchi e nomi di dominio altrui antecedenti, comprendenti le parole “punto gioco”, disponendone anche il trasferimento provvisorio in favore dei titolari di questi ultimi, atteso che i primi segni sono relativi a servizi di assistenza per la gestione di giochi di abilità, concorsi, lotterie, mentre i secondi attengono ad un servizio che rende possibile giocare alle lotterie statali tramite Internet, in ragione della omogeneità di tali servizi, la pressoché totale coincidenza dei segni distintivi in questione e ritenuto infine che, quanto ai nomi di dominio, la confondibilità si manifesta già nella fase iniziale di contatto, vale a dire dell’accesso al sito Internet in forza della digitazione del nome di dominio simile all’altrui segno distintivo)70. - L’abusiva registrazione di un nome di dominio realizza l’usurpazione del marchio, nella fattispecie il marchio di un’associazione è stato registrato in mala fede a nome di un soggetto socio dell’associazione che ha utilizzato il nome di dominio per dirottare il traffico ad altri server successivamente registrati sempre facenti capo a se stesso71. - L’assegnazione di domain name corrispondente ad un marchio, anche solo di fatto ma notorio, può costituire usurpazione del segno in quanto comporta l’immediato indebito vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio, sfruttandone la notorietà del segno. La violazione di un marchio, perpetra- Trib. Napoli, 7 luglio 2005, Tipp24 AG e altri c. Celotto e altri, in Foro it., 2006, I, c. 598. Trib. Bologna, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 2 luglio 2010, Associazione Italiana Dislessia c. M.P. © Wolters Kluwer 258 Capitolo V ta mediante il suo impiego come domain name di un sito Internet, non è esclusa dalla circostanza che l’utilizzo sia avvenuto previa autorizzazione dell’apposita autorità preposta alla registrazione dei nomi di dominio. La tutela del domain name richiede, tuttavia, quale presupposto indefettibile, la sua capacità distintiva, con la conseguenza che non può farsi luogo ad alcuna forma di tutela nelle ipotesi in cui il nome di dominio appaia totalmente privo di capacità individualizzante, in quanto meramente descrittivo dell’attività svolta tramite la rete Internet. (Nel caso di specie è stata riscontrata possibilità di confusione di domain name meramente denominativi, stante la dedotta similitudine tra il lemma flashart e quello ashart. Il rischio di confusione risulta integrato non solo dalla estrema vicinanza fonetica dei termini innanzi richiamati, ma anche dalla circostanza che operano di fatto nel medesimo settore relativo alla divulgazione di servizi e prodotti d’arte e che entrambi i siti risultano avere simile veste grafica ed analogo contenuto informativo. In accoglimento della proposta domanda ne deriva la definitiva inibitoria all’utilizzo del segno da parte del convenuto e la revoca della registrazione dei nomi a dominio ex art. 118, co. 6, D.Lgs. n. 30/2005)72. - Il marchio Cineporto, registrato anche come nome di dominio Internet, utilizzato per contrassegnare una manifestazione cinematografica, presenta carattere distintivo, in quanto è composto da due lemmi, uno solo dei quali descrive il servizio di riferimento, mentre l’altro vi è del tutto estraneo, sicché il neologismo che ne deriva è - nel suo complesso - di fantasia, ed inusuale rispetto al settore della cinematografia73. - Va inibito, con provvedimento d’urgenza, l’uso del nome di dominio “www.mediaset.com”, relativo ad un sito che commercializza dispositivi di salvataggio di dati multimediali (in inglese, media set), in quanto tale denominazione, non meramente descrittiva, si sostanzia in un indebito agganciamento al marchio registrato ita- 72 Trib. Palermo, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 16 ottobre 2010, Gi.Po.Ed. s.r.l. c. Lo.Co.Lu. Trib. Torino Sez. spec. propr. industr. ed intell., 2 aprile 2012, Associazione culturale Cineporto c. Fondazione Film Commission Torino Piemonte, in Foro it., 2013, I, c. 2264. 73 © Wolters Kluwer La tutela delle imprese e del mercato 259 liano anteriore Mediaset, attinente alla comunicazione ed ai servizi radiotelevisivi, della cui rinomanza il titolare del sito su richiamato si avvantaggia, almeno nel momento iniziale della ricerca e dell’accesso in Internet (initial confusion) da parte degli utenti, tenuto conto che il mercato di riferimento - il web - è per ciò stesso comune (il tribunale ha però limitato la tutela al solo territorio nazionale, in quanto non è stata concessa la misura del trasferimento del dominio alla società titolare del marchio)74. b) Concorrenza e pubblicità - L’art. 5, par. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa ( come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992), deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di vietare che un inserzionista faccia - a partire da una parola chiave identica o simile a tale marchio, da lui scelta, senza il consenso del detto titolare, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet - pubblicità per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio in questione è registrato, qualora tale pubblicità non consenta o consenta soltanto difficilmente all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi cui si riferisce l’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo ovvero, al contrario, da un terzo75. - Posto che: a) il nome a dominio “iburraco.com” produce confusione con i marchi comunitari “Burraconline” e “Burraco”, in ragione dell’evidente assonanza linguistica e della coincidenza tra i profili degli utenti dei servizi offerti dai rispettivi titolari; b) il periculum in mora deve ritenersi in re ipsa, va inibito in via cautelare l’uso, in qualsiasi forma e modo, del predetto nome di dominio, fissando 74 Trib. Roma Sez. spec. propr. industr. ed intell., ord., 12 giugno 2012, Madiba Didier Jerome e Fenucius LLC c. Soc. Mediaset, in Foro it., 2013, I, c. 2288. 75 Corte giust. UE, 8, luglio, 2010, n. 558, Portakabin Ltd e altri c. Primakabin BV. © Wolters Kluwer 260 Capitolo V una penale per ogni successiva violazione e disponendo la pubblicazione del dispositivo su un quotidiano locale76. - È pressoché in re ipsa - e quindi sussiste - il periculum in mora in materia di uso di nomi di dominio che generano effetti confusori77. - L’impiego dell’altrui marchio noto quale parola chiave per l’attivazione di un servizio di link sponsorizzati all’interno di un motore di ricerca costituisce un’ipotesi di “agganciamento” tale da configurare sia concorrenza sleale che contraffazione del marchio78. 76 Trib. Bari. ord, 23 settembre 2010, in Foro it., 2011, I, c. 248. Trib. Torino, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 22 luglio 2009. 78 Trib. Milano, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 11 marzo 2009, Win Rent s.p.a. c. Google Italia s.r.l. e altri, in Giur. it., 2010, p. 125 ss., con nota di A. MANTELERO. 77 © Wolters Kluwer 261 CAPITOLO VI LA TUTELA DEI CONSUMATORI. OBBLIGHI INFORMATIVI, CONSEGNA, RECESSO E GARANZIE SOMMARIO: 1. Introduzione - Parte I - Contrattazione standardizzata e pratiche scorrette - 2. Condizioni generali di contratto e clausole vessatorie 3. Le pratiche commerciali scorrette - 4. Segue: le pratiche commerciali ingannevoli - 5. Segue: le pratiche commerciali aggressive. - 6. Segue: tutela amministrativa e giurisdizionale - 7. A proposito di pratiche sleali: la fornitura non richiesta (ed adempimento difforme) - Parte II - Obblighi informativi e recesso - 8. Obblighi informativi derivanti dalla normativa in materia di tutela del consumatore - 9. Segue: gli obblighi di informazione precontrattuale nei contratti a distanza e nei contratti fuori dei locali commerciali - 10. Segue: questioni di forma delle informazioni nei contratti a distanza - 11. Il recesso - 12. Segue: modalità per l’esercizio del diritto di recesso e suoi effetti - 13. Segue: obblighi delle parti conseguenti l’esercizio del diritto di recesso - 14. Contratti ai quali non si applica il diritto di recesso - 15. Il commercio elettronico nel codice del consumo - Parte III - Gli altri diritti e le garanzie - 16. Gli “altri diritti dei consumatori - 17. Segue: a) la consegna dei beni - 18. Segue: b) il passaggio del rischio sui beni - 19. Segue: c) le tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento - 20. Segue: d) le comunicazioni telefoniche ed i pagamenti supplementari - 21. Le garanzie per il bene acquistato: evizione e vizi della cosa - 22. Segue: la mancanza di qualità, la vendita di “cosa diversa” e la garanzia “di buon funzionamento” 23. Altre garanzie. La garanzia dei beni di consumo - 24. Le garanzie nella vendita di beni di consumo nel Codice del consumo - 25. Segue: il principio di conformità dei beni al contratto - 26. Segue: i diritti del consumatore - 27. Segue: i termini per l’esercizio dei diritti - 28. La garanzia accessoria o convenzionale - 29. Conseguenze della garanzia dei beni di consumo nella vendita on line - 30. La “garanzia” per i danni “da cosa difettosa” 1. Introduzione La tutela del consumatore “digitale” fa riferimento, principalmente, alle disposizioni contenute nel Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005)1 1 Sul quale v., limitatamente alle trattazioni più recenti, AA.VV., I contratti del consumatore, a cura di G. ALPA, Milano, 2014; AA.VV., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli. Oltre il consumatore, a cura di G. VETTORI, Padova, 2013; G. DE CRISTOFARO, A. ZACCARIA A. (a cura di), Commentario breve al diritto dei consumatori, II ed., Padova, 2013; AA.VV., Codice della vendita, a cura di V. BUONOCORE, A. LUMINOSO, C. MIRAGLIA, III ed., Milano, 2012. © Wolters Kluwer 262 Capitolo VI nell’ambito del quale troviamo alcuni dei temi “notevoli” per gli argomenti di questo volume, ossia: a) le clausole vessatorie2; b) la promozione pubblicitaria (pratiche scorrette); c) gli obblighi informativi, il recesso e la consegna nella “nuova” versione di cui al D.Lgs. n. 21/2014 (di attuazione della dir. n. 2011/83/UE); d) le garanzie nella vendita dei beni di consumo. Ovviamente, la disciplina tutelare è ben più ampia, sia all’interno che all’esterno del suddetto Codice; tuttavia, facendo riferimento a questo “corpus”, si consolidano almeno alcune “variabili” che devono necessariamente essere tenute presente da coloro che intendono rendere disponibili (qualunque sia la veste giuridica utilizzata) prodotti e/o servizi attraverso Internet3. Data l’importanza rappresentata dalla dir. n. 2011/83/UE del 25 ottobre 2011 (con la quale sono state modificate le dir. nn. 93/13/CEE e 1999/44/CE, abrogando le dir. nn. 85/577/CEE e 97/7/CE)4, pare utile dedicargli un breve spazio sin da subito. Detta direttiva innova il quadro consolidato con riferimento, idealmente, a tre confluenti linee di lavoro: a) prevede a carico del professionista un ampio insieme di obblighi informativi (dalle caratteristiche di beni e servizi al prezzo totale, dalle modalità di pagamento e consegna alla durata del contratto). Questi obblighi valgono, poi, per tutti i contratti diversi dai con2 Si parla anche di condizioni generali di contratto (benché, propriamente, riguardi più il commercio B2B) poiché costituiscono la principale “fonte” negoziale della contrattazione via web. 3 O. CALLIANO, I diritti dell’acquirente online e dell’utente di servizi telematici. Dalla normativa comunitaria al diritto europeo telematico, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, a cura di E. TOSI, Milano, 2012, p. 51 ss. 4 Pubblicata in GUUE del 22 novembre 2011, n. L 104, p. 64 ss. Le direttive indicate si riferiscono, rispettivamente, alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, alle garanzie nella vendita di beni di consumo, ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali ed ai contratti a distanza. Sulla direttiva v., per es., i commenti di C. PILIA, La Direttiva 2011/83/Ue sui diritti dei consumatori, in AA.VV., Contratto e responsabilità. Il contratto dei consumatori, dei turisti, dei clienti, degli investitori e delle imprese deboli. Oltre il consumatore, op. cit., p. 863 ss.; M. GRANDI, Lo jus poenitendi nella direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, in Contr. impr. Eur., 2013, p. 59 ss.; R. PARDOLESI-A. PALMIERI-R. DE HIPPOLYITIS-M. CASORIA-A.L. OLIVA, La direttiva sui diritti dei consumatori (dir. 25 ottobre 2011, n. 2011/83/Ue), in Foro it., 2012, V, c. 177 ss.; G. DE CRISTOFARO, La direttiva 2011/83/UE sui “diritti dei consumatori”: ambito di applicazione e disciplina degli obblighi informativi precontrattuali, in Annuario del contratto 2011, a cura di A. D’ANGELO ed E. ROPPO, Torino, 2012, p. 30 ss.; S. MAZZAMUTO, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Europa dir. priv., 2011, p. 861 ss.; S. PAGLIANTINI, Il neo formalismo contrattuale dopo i d.lgs n. 141/10, n. 79/11 e la Dir. 2011/83/UE: una nozione (già) vieille renouvelée, in Nuove leggi civ. comm., 2012, II, p. 325 ss. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 263 tratti a distanza e dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali, fornendo una “copertura informativa” d’ordine generale indipendente dalla tipologia contrattuale (e dalla dinamica negoziale); b) prevede una disciplina unitaria degli obblighi informativi e del recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali. In particolare, gli obblighi informativi diventano estremamente minuziosi sia sul versante “contenutistico”, che su quello “procedimentale”. Quanto al recesso, oltre alla previsione di alcune esclusioni (frutto anche delle decisioni della Corte di giustizia), vengono innalzati i termini e aggiornate le modalità di comunicazione tra le parti; c) prevede, infine, di disciplinare altri aspetti connessi alla contrattazione tra professionista e consumatore quali: la consegna (con l’indicazione delle modalità per eseguirla, con il correlativo diritto del consumatore, in caso di ritardo, di risoluzione del contratto e di rimborso del prezzo eventualmente corrisposto), le tariffe, il passaggio del rischio, la comunicazione telefonica e i pagamenti supplementari, in termini validi per tutti (o quasi) i contratti tra professionista e consumatore. La direttiva 2011/83/UE è stata recepita nel nostro ordinamento attraverso il D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 con il quale sono state apportate delle significative modifiche al Codice del consumo, con riferimento alle sezioni da I a IV contenute nel Capo I (ora rubricato «Dei diritti dei consumatori nei contratti»), Titolo III, Parte III (artt. 45-67)5. Le principali novità sono le seguenti: 5 Per primi commenti al D.Lgs. n. 21/2014 v. E.M. TRIPODI, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori. Brevi note sul D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Discipl. comm. e servizi, n. 2/2014, p. 19 ss.; V. CUFFARO, Nuovi diritti per i consumatori: note a margine del D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Corriere giur., 2014, p. 745 ss.; S. PAGLIANTINI, La riforma del codice del consumo ai sensi del D.Lgs. 21/2014: una rivisitazione (con effetto paralizzante per i consumatori e le imprese?), in Contratti, 2014, p. 796 ss.; I commenti pubblicati in Corriere giur., 2014, 7, Suppl., di L. ROSSI CARLEO, Il Public Enforcement nella tutela dei consumatori, ivi, p. 5 ss., P. OCCHIUZZI, Gli obblighi informativi, ivi, p. 10 ss., C. CONFORTINI, Il recesso di pentimento, ivi, p. 19 ss., P. BARTOLOMUCCI, Il regime dei pagamenti nei contratti del consumatore, ivi, p. 26 ss., E. BATTELLI, Obblighi di consegna del bene e passaggio del rischio, ivi, p. 32 ss., S. PERUGINI, I “nuovi” strumenti di intervento dell’AGCM, ivi, p. 44 ss.; E.M. TRIPODI, La vendita fuori dei locali commerciali ed a distanza. La nuova disciplina del Codice del consumo, Altalex, Milano, 2014; AA.VV., I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. GAMBINO e G. NAVA, Torino, 2014; E. BATTELLI, L’attuazione della direttiva sui consumatori tra rimodernizzazione di vecchie categorie e “nuovi” diritti, in Europa e dir. priv., 2014, p. 927 ss. © Wolters Kluwer 264 Capitolo VI a) la previsione di maggiori obblighi, in capo al professionista, di informazione precontrattuale da fornire ai consumatori nei contratti negoziati fisicamente fuori dai locali commerciali e nelle vendite a distanza; b) il diritto di recesso riconosciuto al consumatore, è reso possibile entro un termine più ampio (da 10 a 14 giorni). In caso di omessa comunicazione al consumatore dell’informazione sull’esistenza del diritto di recesso si passa dai previgenti 60 giorni dalla conclusione del contratto (e dai 90 giorni dalla consegna del bene) al termine di dodici mesi; c) in caso di esercizio del diritto “di ripensamento”, il consumatore potrà restituire il bene, anche se in parte deteriorato, perché sarà responsabile solo della “diminuzione del valore del bene custodito”. Dal recesso del contratto deriverà il diritto del consumatore ad ottenere il rimborso di tutti i pagamenti effettuati, compresi quelli relativi alle spese di consegna, proporzionalmente diminuito nel caso in cui il consumatore abbia utilizzato i beni per quanto necessario per stabilirne natura, caratteristiche e funzionamento; d) l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore, e la riduzione dei costi del professionista per le vendite transfrontaliere, mediante l’utilizzo di un modello tipo di recesso, valido per tutti i Paesi comunitari; e) per gli acquisti attraverso telefono non sarà più sufficiente il solo consenso (ancorché registrato come spesso accade con gli operatori dei call center) ma occorrerà che ci sia la conferma scritta, sia essa in forma cartacea o per e-mail; f) nel caso di acquisti on line è richiesta una maggiore trasparenza delle spese: il venditore è tenuto a dichiarare i costi che il consumatore dovrà sostenere in caso di restituzione dei prodotti. In caso di mancata comunicazione tali costi di restituzione graveranno sul venditore; g) l’esclusione della possibilità di imporre al consumatore, qualora non utilizzi contante (ad es. in caso di pagamenti con carte di credito o bancomat), tariffe superiori; analogo limite riguarda la tariffa telefonica su linee dedicate messe a disposizione del consumatore dal venditore, nelle vendite dirette e nelle vendite a distanza; © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 265 h) le nuove disposizioni non impediscono ai professionisti di offrire ai consumatori condizioni contrattuali più favorevoli rispetto ai profili tutelari previsti; i) un ruolo determinante sarà rivestito dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, chiamata a vigilare e a sanzionare eventuali violazioni delle norme introdotte con le modifiche al Codice del consumo6. 6 L’Autorità garante ha diffuso il seguente decalogo in materia di protezione dei consumatori (http://www.agcm.it/component/content/article/8-comunicati-stampa/7332-dall8-dicembre-parte-suicanali-rai-e-sui-principali-siti-informativi-la-campagna-antitrust-commissione-europea-per-la-tutela-deidiritti-dei-consumatori.html): 1) Stop a spese e costi nascosti su internet - I consumatori saranno protetti dalle “trappole dei costi” su internet, incluse le situazioni in cui i truffatori si fanno pagare con l’inganno per servizi cosiddetti “gratuiti”, quali oroscopi o ricette. Da adesso in poi, i consumatori dovranno confermare esplicitamente di aver capito che il servizio è a pagamento. 2) Maggiore trasparenza dei prezzi - I venditori dovranno indicare chiaramente il costo totale del prodotto o servizio, incluso qualunque addebito supplementare. Gli acquirenti online non dovranno pagare spese o altri costi se non ne sono stati adeguatamente informati prima di effettuare l’ordine. 3) Divieto delle caselle preselezionate sui siti web - Quando si fanno acquisti online, ad esempio per un biglietto aereo, è possibile che vengano offerte opzioni supplementari, quali assicurazioni viaggio o noleggi auto. Questi servizi supplementari possono essere offerti mediante le cosiddette “caselle preselezionate”. Attualmente i consumatori sono spesso costretti a deselezionare queste caselle se non desiderano i servizi supplementari. Con la nuova legge europea in vigore in Italia, le caselle preselezionate sono vietate in tutta l’UE. 4) 14 giorni per cambiare idea su un acquisto fatto anche on line - Il periodo durante il quale i consumatori possono recedere dal contratto di acquisto è portato a 14 giorni di calendario (rispetto ai sette finora prescritti dalla normativa dell’UE). I consumatori possono restituire le merci per qualunque ragione, se cambiano idea. Un’ulteriore protezione dalla carenza di informazioni: qualora un venditore non informi chiaramente il cliente circa il diritto di recesso, la durata del periodo di ripensamento è estesa a un anno. - I consumatori saranno tutelati e beneficeranno del diritto di recesso anche in caso di visite effettuate su richiesta, vale a dire quando il commerciante ha precedentemente chiamato il consumatore sollecitando con insistenza una visita. Inoltre, non sarà più necessario operare una distinzione tra visite effettuate su richiesta e visite non richieste; sarà così evitata l’elusione delle norme. - Il diritto di recesso è esteso alle aste online, come eBay, benché le merci acquistate tramite asta possano essere restituite solo se acquistate da un venditore professionista. - Il periodo di recesso decorrerà dal momento in cui il consumatore riceve le merci e non, come prima, dal momento della conclusione del contratto. Le norme si applicano a vendite via internet, per telefono e per corrispondenza e a vendite effettuate al di fuori di punti vendita, ad esempio al domicilio del consumatore, per strada, in un “party Tupperware” o durante una gita organizzata dal commerciante. 5) Maggiori diritti di rimborso - I commercianti sono tenuti a rimborsare i consumatori per il prodotto entro 14 giorni dal recesso. Il rimborso deve coprire anche le spese di consegna. In generale, il commerciante assume su di sé il rischio di eventuali danni alle merci che si verificano durante il trasporto fino al momento in cui l’acquirente ne prende possesso. 6) Introduzione di un modulo di recesso standard per l’intera UE - I consumatori possono disporre di un modulo di recesso standard che potranno usare (senza essere obbligati a farlo) se, avendo cambiato idea, desiderano recedere da un contratto concluso a distanza o a domicilio. Ciò renderà più facile e rapido il recesso se il contratto è stato concluso nell’UE. 7) Eliminazione di sovrattasse per l’uso di carte di credito e di servizi di assistenza telefonica - I commercianti non possono più addebitare ai consumatori costi supplementari per i pagamenti con carta di credito (o altri mezzi di pagamento), se non i costi effettivamente sostenuti per offrire tale opzione di pagamento. I com- © Wolters Kluwer 266 Capitolo VI PARTE I – Contrattazione standardizzata e pratiche scorrette 2. Condizioni generali di contratto e clausole vessatorie Nella contrattazione, specialmente quella via web, è normale la previsione “anticipata” di uno specifico documento che contenga tutte le condizioni generali che disciplinano il rapporto contrattuale (sia che si tratti di vendita di prodotto che di fornitura di servizio). La motivazione è comprensibile e non è necessario spendere molte parole. Benché con l’interattività propria delle comunicazioni telematiche sia possibile (ed anche abbastanza semplice) contrattare “direttamente” ed “individualmente” con ogni singolo interlocutore, tale possibilità determina il sorgere di costi strutturali per cui l’impresa preferisce “prevedere” l’assetto (atteso) del futuro rapporto, di modo da regolare, con un numero inferiore di variabili, la profittabilità del suo business7. Se così è, ci si trova nell’ambito delle previsioni del Codice civile in materia di condizioni generali di contratto. Le condizioni generali di contratto che sono state predisposte da una parte sono considerate efficaci nei confronti dell’altra se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. mercianti che mettono a disposizione linee telefoniche di assistenza, su cui i clienti possono contattarli relativamente al contratto, non potranno addebitare più dei normali costi telefonici per le telefonate effettuate. 8) Informazioni più chiare su chi sopporta le spese di restituzione delle merci - Se i commercianti intendono far sostenere ai clienti i costi di resa delle merci in caso di ripensamento, essi devono informarne chiaramente e preventivamente i consumatori, altrimenti tali costi rimarranno a loro carico. Prima della vendita, il commerciante deve fornire almeno una chiara stima dei costi massimi di resa di merci ingombranti, ad esempio un divano, acquistate via internet o per corrispondenza, così che il consumatore possa decidere in modo informato da chi acquistare. 9) Più tutele per i consumatori negli acquisti digitali - Anche le informazioni sui contenuti digitali devono essere più chiare, comprese quelle relative alla compatibilità con hardware e software e all’applicazione di eventuali sistemi tecnici di protezione - che ad esempio limitino il diritto del consumatore di fare copie del contenuto. I consumatori hanno il diritto di recedere dagli acquisti di contenuti digitali, come i download di musica o di video, ma solo fino a quando ha inizio l’effettivo processo di download. 10) Più tutele e norme comuni anche per le imprese - Tra queste figurano: - un unico gruppo di norme fondamentali per i contratti a distanza (vendite per telefono, per corrispondenza o via internet) e per i contratti conclusi al di fuori dei punti vendita (vendite concluse fuori dai locali della società, ad esempio per strada o a domicilio) nell’Unione europea, che creino eque condizioni di concorrenza e riducano i costi delle operazioni per i commercianti transfrontalieri, specialmente nel caso delle vendite via internet; - moduli standard che faciliteranno l’attività delle imprese: un modulo da compilare contenente le informazioni obbligatorie sul diritto di recesso; - norme specifiche previste per le piccole imprese e le imprese artigiane, ad esempio per gli idraulici. Non vi sarà diritto di recesso nel caso di riparazioni urgenti e di lavori di manutenzione. 7 Si veda, sulla differenza tra interazione ed interattività, quanto detto al Capitolo I, par. 4. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 267 Per quanto riguarda, quindi, l’ipotesi di contratto concluso nell’ambito di un sito di commercio elettronico, è necessario che il documento contenente le condizioni generali di contratto sia adeguatamente portato a conoscenza del destinatario tenendo conto delle peculiari caratteristiche dello strumento di comunicazione utilizzato. Inoltre, si deve tenere conto che non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria8. Con specifico riferimento all’efficacia di tali clausole, ed in considerazione dello strumento utilizzato, si pone un importante problema per il venditore, in quanto la norma richiede la duplice approvazione per iscritto. La norma prevede infatti, quale requisito per la validità della clausola, l’espressa approvazione in forma scritta (cfr. art. 1341 e 1242 c.c.). La forma elettronica, quindi, non sarebbe sufficiente e si dovrebbe ricorrere a quella scritta ovvero adottare la soluzione tecnica che consente l’equiparazione della forma elettronica (qualificata) alla forma scritta9. Quanto detto attiene ai rapporti B2B10. Situazione analoga ma disciplinata in maniera nettamente diversa è quella in cui si intenda inserire alcune clausole e, nel caso, alla loro validità ed efficacia nel momento in cui la controparte sia un consumatore11. 8 Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto, comprese quelle prive di carattere vessatorio, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., di quelle onerose, poiché il richiamo così effettuato integra un riferimento generico che priva l’approvazione della specificità e della separatezza richieste, rendendo difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto realmente vessatorio, essendo necessaria non solo la sottoscrizione separata, ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate. In questi termini, Trib. Reggio Emilia, sent. 30 ottobre 2014. 9 Conforme Trib. Catanzaro, sez. I, ord. 30 aprile 2012. Per una ampia disamina delle tematiche oggetto della decisione v. V. PANDOLFINI, Contratto on line e clausole vessatorie: quale firma (elettronica)?, in Contratti, 2013, p. 41 ss. 10 Cass., 11 maggio 2010, n. 11594, in www.personaedanno.it, con commento di M. CONZUTTI, Clausole vessatorie e tutela del professionista debole. 11 G. PEDRAZZI, Le clausole vessatorie nei contratti telematici con i consumatori, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, op. cit., p. 327 ss. © Wolters Kluwer 268 Capitolo VI La normativa contenuta nel Codice del consumo (artt. 33-38) prevede due diverse tipologie di clausole vessatorie: la prima è tale a seguito di una valutazione da parte del giudice, mentre la seconda e considerata tale fino a prova contraria in base ad una previsione contenuta in una disposizione di legge. La conseguenza della vessatorietà di una clausola è la nullità mentre il contratto rimane valido per il resto. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista sono considerate vessatorie le clausole che, nonostante la buona fede, alterino in misura significativa, a sfavore del consumatore, l’equilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. L’accertamento della vessatorietà di una clausola è effettuato tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto o di un altro collegato o da cui dipende. Non rientrano in tale valutazione la determinazione dell’oggetto del contratto, né l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Non sono considerate vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione europea o l’Unione europea. Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale. Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, il professionista deve provare che le clausole, o gli elementi di una clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore12. 12 La giurisprudenza della Suprema corte, ha consolidato la tendenza al favor del consumatore, prevedendo come necessaria la prova concreta da parte del professionista di una avvenuta trattativa non considerando sufficiente a tal fine la mera sottoscrizione di un fitto elenco di clausole, quasi sempre non di facile e veloce comprensione, magari con rimando alle spiegazioni poste in altra pagina (Cass., 21 maggio 2008 n. 13051). La clausola potrà quindi essere considerata valida (nel senso di non vessatoria) solo nella circostanza in cui, al fine di dimostrarne l’avvenuta trattazione, e quindi la consapevole accettazione della medesima da parte del consumatore a mezzo di sottoscrizione finale del contratto, questa sia separatamente evidenziata rispet© Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 269 Si presumono contrarie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) escludere o limitare l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo; d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere; f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo; g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto; h) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa; to alle altre e, autonomamente sottoscritta (Cass., 20 dicembre 2007 n. 26977, in Guida al Diritto, n. 6/2008, p. 41, e Cass., 29 febbraio 2008, n. 5733). © Wolters Kluwer 270 Capitolo VI i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione; l) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto; m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso; n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione; o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto; p) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d’interpretare una clausola qualsiasi del contratto; q) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità; r) limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore; s) consentire al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo; t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi; © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 271 u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore; v) prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore. È fatto salvo il disposto dell’art. 1355 del Codice civile. Sono comunque nulle le clausole che, sia pure oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. È previsto che la nullità operi soltanto a vantaggio del consumatore e che possa essere rilevata d’ufficio dal giudice. Nei confronti delle clausole vessatorie sono previsti altri due rimedi. Il primo è costituito dalla possibilità di richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività. I soggetti che hanno la titolarità attiva di questa possibilità sono le associazioni rappresentative dei consumatori, le associazioni rappresentative dei professionisti e le Camere di commercio. Il provvedimento che concede l’inibitoria può essere emesso, nel momento in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, ai sensi degli artt. 669-bis e ss. c.p.c. Il giudice può anche ordinare che il provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale. Il secondo rimedio è costituito dalla tutela amministrativa, fatta comunque salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno. © Wolters Kluwer 272 Capitolo VI A tale riguardo è competente l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che, sentite le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale e le Camere di commercio interessate (o loro unioni), d’ufficio o su denuncia, può dichiarare la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Nel caso di inottemperanza a quanto disposto dall’Autorità, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro. Il provvedimento che accerta la vessatorietà della clausola è diffuso, anche per estratto, mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza di informare compiutamente i consumatori a cura e spese dell’operatore. Nel caso di inottemperanza, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro. È concessa alle imprese interessate la facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alla vessatorietà delle clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori. L’Autorità si pronuncia sull’interpello entro centoventi giorni dalla richiesta, salvo che le informazioni fornite risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. Le clausole non ritenute vessatorie a seguito di interpello non possono essere successivamente valutate dall’Autorità. La procedura istruttoria – che mira a garantire il contraddittorio e l’accesso agli atti nel rispetto dei legittimi motivi di riservatezza – è contenuta in un apposito Regolamento emanato dall’Autorità. Avverso gli atti dell’Autorità, è competente il giudice amministrativo (ossia il T.A.R. Lazio e, poi, in appello, il Consiglio di Stato). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 273 3. Le pratiche commerciali scorrette L’attività di commercio elettronico deve rispettare (anche) il divieto di porre in essere pratiche commerciali scorrette13. La relativa normativa – dettata dal Codice del consumo (artt. 20-27quater) – si applica alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori attuate prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto o ad un servizio, nonché alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e microimprese14. La pratica commerciale è “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. Le pratiche commerciali scorrette sono vietate. In linea generale, una pratica commerciale è ritenuta scorretta: a) se è contraria alla diligenza professionale, ed b) è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto o servizio, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori15. 13 P. GIUGGIOLI, Pratiche commerciali scorrette, ingannevoli e aggressive, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, op. cit., p. 749 ss. 14 Si considerano “microimprese” “le entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, dell’allegato alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003”. 15 È necessario che si verifichino in contemporanea le due predette condizioni: la contrarietà alle norme di diligenza professionale e l’idoneità a pregiudicare il comportamento economico del consumatore medio. Per “diligenza professionale”, l’art. 2, lett. h) della dir. n. 29/2005/CE, indica “il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori”. In questo senso si pone il problema delle nuove pratiche di marketing per le quali, in assenza di un codice di condotta che le preveda, diventerebbe impossibile provare la contrarietà della pratica innovativa alle norme di buon condotta professionale riconosciute in genere in determinato settore professionale. Si farà allora riferimento alla buona fede alla quale – secondo la Cassazione – è riconducibile la correttezza professionale (Cass., 28 settembre 2004, n. 19414; Cass., 14 giugno 1999, n. 5872; Cass., 20 maggio 1997, n. 4469; Cass., 28 luglio 1999, n. 8176). “La nozione di consumatore medio al quale sia diretta una pratica commerciale scorretta individua un tipo di consumatore né pienamente informato e avveduto, né completamente disinformato e sprovveduto e non può pertanto coincidere con una tipologia riconducibile ad un consumatore che abbia particolare dimestichezza e frequentazione di siti internet, che consentano al medesimo di orientarsi, con avveduta dimestichezza e con © Wolters Kluwer 274 Capitolo VI In particolare, sono scorrette le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive. L’illiceità può essere dichiarata a seguito di una valutazione dell’Autorità (giudiziaria) competente di alcuni elementi ovvero in base al fatto che la fattispecie corrisponde ad un’ipotesi inserita in un elenco predeterminato dal legislatore. 4. Segue: le pratiche commerciali ingannevoli Le pratiche commerciali ingannevoli si suddividono in attive (azioni) o passive (omissioni). Si considerano azioni ingannevoli quelle pratiche commerciali che contengono informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corrette, in qualsiasi modo, anche nella loro presentazione complessiva, inducono o sono idonee ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad una serie di elementi e, in ogni caso, lo inducono o sono idonee a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso16. L’art. 21, co., cod. cons. individua le condotte attive che possono essere oggetto di valutazione per una eventuale qualificazione di “pratica commerciale scorretta”. In particolare, l’attenzione deve essere posta su: a) l’esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichia- sicura pratica, tra link e rinvii da una ad altra sezione del sito web” (T.A.R. Lazio, sez. I, 16 giugno 2011, n. 5390). 16 “Il Codice del consumo deve garantire la libertà di autodeterminazione del consumatore, rendendolo indenne da ogni influenza, anche indiretta che possa incidere sulle sue scelte economiche” (T.A.R. Lazio, sez. I, 13 ottobre 2003, n. 8316; T.A.R. Lazio, sez. I, 13 ottobre 2003, n. 8304). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 275 razione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo; e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione; f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti; g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del Codice del consumo. Si devono altresì considerare ingannevoli quelle pratiche commerciali che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, inducono o sono idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tali condotte devono in particolare consistere in: “a) una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicità comparativa illecita; b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice”. La normativa individua altre ipotesi in cui una condotta possa essere oggetto di valutazione ai fini di individuarne la scorrettezza. In particolare, si considerano scorrette le pratiche commerciali che: “a) riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omettono di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza, b) in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, possono, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza, c) richiedano un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi”. © Wolters Kluwer 276 Capitolo VI Costituiscono pratiche commerciali ingannevoli anche le condotte omissive. In particolare, sono considerate omissioni ingannevoli quelle pratiche commerciali che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omettono informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e inducono o sono idonee ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso17. Si considera omissione ingannevole anche una pratica commerciale nel momento in cui un professionista occulti o presenti in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti sopra indicate o non indichi l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induca o sia idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Se il mezzo di comunicazione impiegato per la pratica commerciale impone restrizioni in termini di spazio o di tempo, al fine di valutare se vi sia stata un’omissione di informazioni, si deve tenere conto delle suddette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per rendere disponibili le informazioni ai consumatori con altri mezzi. L’art. 22, co. 4, cod. cons. prevede che, nel caso di un invito all’acquisto, siano considerate rilevanti per definire ingannevole un’omissione, le informazioni di seguito indicate, qualora non risultino già evidenti dal contesto. In particolare tali informazioni riguardano: “a) le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso; b) l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce; 17 “È legittimo, nella parte in cui accerta la sussistenza dell’infrazione contestata, il provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto scorretta la pratica commerciale posta in essere da un fornitore di servizi interattivi per la telefonia mobile, consistente nella pubblicizzazione di un servizio in abbonamento attraverso un sito Internet, senza fornire con modalità grafiche adeguate le informazioni circa le sue reali caratteristiche, e nella relativa procedura di disattivazione” (T.A.R. Lazio, sez. I, 21 settembre 2009, n. 9083, in Foro it., 2010, III, c. 140). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 277 c) il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; d) le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale; e) l’esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto”. Infine, sono considerati rilevanti, in relazione all’eventuale qualifica di omissione ingannevole, gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto o servizio. Oltre alle ipotesi sopra individuate, per le quali il carattere illecito della condotta (attiva o omissiva) è soggetto ad una valutazione dell’Autorità competente, il legislatore ha predeterminato una serie di condotte che in ogni caso, ove poste in essere, sono già di per sé ritenute ingannevoli18. 18 Le pratiche commerciali ritenute in ogni caso ingannevoli sono le seguenti: “a) affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta; b) esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione; c) asserire, contrariamente al vero, che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura; d) asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell’autorizzazione, dell’accettazione o dell’approvazione ricevuta; e) invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta del prodotto e al prezzo offerti; f) invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo e successivamente: 1) rifiutare di mostrare l’articolo pubblicizzato ai consumatori, oppure 2) rifiutare di accettare ordini per l’articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole, oppure 3) fare la dimostrazione dell’articolo con un campione difettoso, con l’intenzione di promuovere un altro prodotto. g) dichiarare, contrariamente al vero, che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole; h) impegnarsi a fornire l’assistenza post-vendita a consumatori con i quali il professionista ha comunicato prima dell’operazione commerciale in una lingua diversa dalla lingua ufficiale dello Stato membro in cui il © Wolters Kluwer 278 Capitolo VI 5. Segue: le pratiche commerciali aggressive Si considerano aggressive quelle pratiche commerciali che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Nella valutazione della illiceità di una pratica commerciale dovuta all’utilizzo di molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi: professionista è stabilito e poi offrire concretamente tale servizio soltanto in un’altra lingua, senza che questo sia chiaramente comunicato al consumatore prima del suo impegno a concludere l’operazione; i) affermare, contrariamente al vero, o generare comunque l’impressione che la vendita del prodotto è lecita; l) presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell’offerta fatta dal professionista; m) salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive modificazioni, impiegare contenuti redazionali nei mezzi di comunicazione per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore; n) formulare affermazioni di fatto inesatte per quanto riguarda la natura e la portata dei rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia se egli non acquistasse il prodotto; o) promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un altro produttore in modo tale da fuorviare deliberatamente il consumatore inducendolo a ritenere, contrariamente al vero, che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore; p) avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti; q) affermare, contrariamente al vero, che il professionista è in procinto di cessare l’attività o traslocare; r) affermare che alcuni prodotti possono facilitare la vincita in giochi basati sulla sorte; s) affermare, contrariamente al vero, che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni; t) comunicare informazioni inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d’indurre il consumatore all’acquisto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato; u) affermare in una pratica commerciale che si organizzano concorsi o promozioni a premi senza attribuire i premi descritti o un equivalente ragionevole; v) descrivere un prodotto come gratuito o senza alcun onere, se il consumatore deve pagare un supplemento di prezzo rispetto al normale costo necessario per rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare il prodotto; z) includere nel materiale promozionale una fattura o analoga richiesta di pagamento che lasci intendere, contrariamente al vero, al consumatore di aver già ordinato il prodotto; aa) dichiarare o lasciare intendere, contrariamente al vero, che il professionista non agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi, contrariamente al vero, come consumatore; bb) lasciare intendere, contrariamente al vero, che i servizi post-vendita relativi a un prodotto siano disponibili in uno Stato membro diverso da quello in cui è venduto il prodotto o il servizio”. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 279 a) i tempi, il luogo, la natura o la persistenza; b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale; c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto; d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista; e) qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione sia manifestamente temeraria o infondata. Oltre alle ipotesi sopra individuate, per le quali il carattere illecito della condotta è soggetto ad una valutazione dell’Autorità competente, il legislatore ha predeterminato una serie di condotte che in ogni caso, ove siano poste in essere, sono già di per sé ritenute aggressive19. 19 Le pratiche commerciali ritenute comunque aggressive sono le seguenti: “a) creare l’impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto; b) effettuare visite presso l’abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale; c) effettuare ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale, fatti salvi l’articolo 58 e l’articolo 130 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196; d) imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento del danno in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non possono ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la fondatezza della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall’esercizio dei suoi diritti contrattuali; e) salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive modificazioni, includere in un messaggio pubblicitario un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati; f) esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, secondo periodo; g) informare esplicitamente il consumatore che, se non acquista il prodotto o il servizio saranno in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista; h) lasciare intendere, contrariamente al vero, che il consumatore abbia già vinto, vincerà o potrà vincere compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti non esiste alcun premio né vincita equivalente oppure che qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore”. © Wolters Kluwer 280 Capitolo VI 6. Segue: tutela amministrativa e giurisdizionale Secondo quanto prevede l’art. 27 cod. cons., l’Autorità garante della concorrenza, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, è competente per vietare la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e dettare provvedimenti idonei ad eliminarne gli effetti20. L’Autorità può avvalersi della Guardia di finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta sui redditi. L’intervento dell’Autorità è indipendente dalla circostanza che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro. L’Autorità può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, laddove sussiste particolare urgenza. In ogni caso, comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista e, se il committente non è conosciuto, può richiedere al proprietario del mezzo che ha diffuso la pratica commerciale ogni informazione idonea ad identificarlo. L’Autorità può, altresì, richiedere a imprese, enti o persone che ne siano in possesso, le informazioni ed i documenti rilevanti al fine dell’accertamento dell’infrazione. L’Autorità può disporre che il professionista fornisca prove sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale se, tenuto conto dei diritti o degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico. Se tale prova è omessa o viene ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti. Incombe, in ogni caso, al professionista l’onere di provare, con allegazioni fattuali, che egli non poteva ragionevolmente prevedere l’impatto della pratica commerciale sui consumatori. Quando la pratica commerciale è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, l’Autorità, prima di provvedere, ri20 Con la delibera 5 giugno 2014, n. 24955 (in GURI, n. 149 del 30 giugno 2014) L’Autorità garante ha adottato il nuovo regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazioni dei diritti dei consumatori nei contratti, clausole vessatorie. Il nuovo regolamento adegua il precedente regolamento (delibera 8 agosto 2012, n. 23788) alle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 281 chiede il parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM). Fatta eccezione per i casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell’impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione. L’Autorità, se ritiene la pratica commerciale scorretta, vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata. Con il medesimo provvedimento può essere disposta, a cura e spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per estratto, ovvero di un’apposita dichiarazione rettificativa, in modo da impedire che le pratiche commerciali scorrette continuino a produrre effetti. Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. La sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro nel caso di pratiche commerciali scorrette che: a) riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omettono di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza; b) in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, possono, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza L’art. 27, co. 7, prevede anche il “ravvedimento operoso” del professionista che può essere invitato dall’Autorità ad assumere un impegno alla cessazione dell’infrazione ed alla rimozione degli effetti “in cambio” della chiusura dell’istruzione. Detto impegno – possibile solo quando la gravità della condotta non sia manifesta – può essere reso vincolante e pubblicato a spese del professionista. La violazione di detto impegno © Wolters Kluwer 282 Capitolo VI comporta l’applicazione di una sanzione da 10.000 a 5.000.000 euro. La stessa sanzione è disposta dall’Autorità nel caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti, di cui all’art. 27, co. 3, 8 e 10. Nei casi riguardanti comunicazioni commerciali inserite sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti, assegna per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento. Il procedimento si tiene avanti all’Autorità garante, applicando uno specifico regolamento, che disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro. Nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. Per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni sopra indicate si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nella L. 24 novembre 1981, n. 689. Il pagamento delle sanzioni amministrative deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità. I ricorsi avverso le decisioni adottate dall’Autorità sono soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ove ha la sua sede l’Autorità (ossia il T.A.R. Lazio e, poi, il Consiglio di Stato). È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, nonché, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d’autore, e dei marchi d’impresa, nonché delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 283 7. A proposito di pratiche sleali: la fornitura non richiesta (ed adempimento difforme) L’art. 66-quinquies cod. cons. non pone un divieto al professionista di consegnare o rendere disponibili prodotti o servizi non richiesti dal consumatore21. Scopo della previsione è di evitare che il consumatore sia indotto ad acquistare beni o servizi non desiderati a causa dell’erroneo convincimento di esservi giuridicamente tenuto per il solo fatto di averli ricevuti o di non averli restituiti. In questo modo il consumatore è tutelato dal rischio di essere esposto a pressioni indebite ed a sollecitazioni indesiderate, dirette a provocare la manifestazione di un consenso all’acquisto e, di conseguenza, al pagamento delle forniture ricevute. Perché la materiale messa a disposizione del bene o del servizio sia illegittima deve dunque accadere che essa preceda l’eventuale ordinazione da parte del consumatore e che presenti natura onerosa. Per questa ragione deve essere escluso dal divieto la fornitura da parte del professionista di omaggi e campioni inviati per fini di sollecitazione meramente promozionale e gratuita22. In questo caso, infatti, viene a mancare la richiesta di pagamento necessaria ad integrare gli estremi della fattispecie illecita. La formulazione dell’art. 57 previgente taceva sulle conseguenze civilistiche derivanti dalla violazione da parte del professionista del divieto di invio di forniture non richieste. Ora, invece, si stabilisce che il consumatore non è tenuto ad alcuna controprestazione e ciò significa che non è tenuto ad alcun pagamento, né alla restituzione. Nel caso in cui abbia corrisposto un pagamento può chiedere l’integrale restituzione, nonché esperire un’azione risarcitoria per i danni patiti consistenti non solo nel 21 L’articolo recita: “1. Il consumatore è esonerato dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi, vietate dall’articolo 20, comma 5, e dall’articolo 26, comma 1, lettera f), del presente Codice. In tali casi, l’assenza di una risposta da parte del consumatore in seguito a tale fornitura non richiesta non costituisce consenso. 2. Salvo consenso del consumatore, da esprimersi prima o al momento della conclusione del contratto, il professionista non può adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita, anche se di valore e qualità equivalenti o superiori”. Sull’argomento v. le considerazioni di F. LONGOBUCCO, Forniture non richieste e procedimentalizzazione dell’attività d’impresa: doveri di status del professionista?, in Giur. it., 2014, p. 11 ss. 22 Questa soluzione è peraltro esplicitamente contenuta nell’art. 18, co. 2, del D.Lgs. n. 114/1998: “È vietato inviare prodotti al consumatore se non a seguito di specifica richiesta. È consentito l’invio di campioni di prodotti o di omaggi, senza spese o vincoli per il consumatore”. Al divieto si applicano le sanzioni di cui l’art. 22 di detto Decreto. © Wolters Kluwer 284 Capitolo VI pregiudizio patrimoniale sofferto ma anche per l’indebita intromissione (e prevaricazione) della propria libertà personale23. Potrebbe però ritenersi che il consumatore sia tenuto, a titolo di detenzione temporanea e necessitata, a provvedere esclusivamente alla custodia del bene, considerato che lo svolgimento di tali compiti non sono tecnicamente delle controprestazioni e che, comunque, la disponibilità del bene sembra configurare un indebito arricchimento24. Questo “onere”, tuttavia, contrasterebbe con l’intenzione manifestata dal legislatore di evitare “ingerenze” da parte del professionista sulla sfera del consumatore finendo per imporgli delle attività (che potrebbero essere anche dispendiose) alle quali dovrebbe soggiacere, senza, peraltro, ricavarne alcun beneficio. Sono indicati i contratti che riguardano la fattispecie, ossia “fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi”. Si effettua poi un richiamo all’art. 20, co. 5 ed all’art. 26, co. 1, lett. f), cod. cons. Il primo articolo, nel richiamare, a sua volta gli artt. 23 e 26, laddove è riportato l’elenco delle pratiche commerciali, rispettivamente ingannevoli e aggressive, considerate in ogni caso scorrette, paventa un evidente giudizio su una condotta scorretta qualora si produca, per es., in un sistematico invio di forniture non richieste, ovvero costituisca una politica aziendale “aggressiva”. In questo caso la fornitura non richiesta integra anche gli estremi della pratica commerciale scorretta, con tutte le relative conseguenze. In altre parole la fornitura non richiesta – a nostro avviso – non è di per sé una pratica scorretta ma occorre valutarne la “portata” secondo le indicazioni ermeneutiche previste da questa subdisciplina. 23 Rispetto al risarcimento del danno esistenziale un giudice ha stabilito che: “l’incidenza sull’assetto relazionale della vita legata alla necessità di doversi «difendere» da modalità comportamentali aggressive poste in opera da un soggetto economico molto forte, subdole per le modalità con le quali vengono poste in essere a fronte per altro di esborsi contenuti, quali possono rendere «poco visibili» agli utenti la lesione alla sfera dei diritti di libertà economica così posti in essere, porta alla necessità di riconoscere una lesione e dunque il diritto ad un risarcimento del danno esistenziale. Attesa la mancata prova specifica di ulteriori profili di danno, questo deve essere contenuto in euro 500,00” (Così Trib. Genova, 24 settembre 2006, in Corr. merito, 2007, p. 440). 24 Secondo questa tesi, quindi, il consumatore sarà tenuto alla restituzione non solo nel caso di richiesta esplicita del professionista all’atto della fornitura ma anche nel caso di fornitura non accompagnata da una richiesta di pagamento da parte del professionista (M. ATELLI, II diritto alla tranquillità individuale, Napoli, 2001, p. 215). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 285 Si ricorda – come si è detto in precedenza – che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Il richiamo all’art. 20, co. 5 (e non all’art. 20 tout court) induce a ritenere che vada individuato il “tenore” effettivo del comportamento. Si può tuttavia anche sostenere una posizione più drastica, in base alla quale ogni fornitura non richiesta si configura quale pratica scorretta, salvo poi verificare, nel concreto, se sia ingannevole o aggressiva, per l’applicazione delle sanzioni. Il secondo articolo, appare una risposta proprio su questa questione. Effettua una specificazione del precedente rinvio (laddove l’art. 26 è comunque richiamato), indicando una pratica illecita che è quella di “esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto”. Ne dovrebbe conseguire – al di là della valutazione sulla tipologia di pratica commerciale scorretta – che il professionista non deve, a nessun titolo (neppure se l’ha indicato nella fornitura non richiesta) attendersi che il consumatore provveda al pagamento, ovvero alla custodia o restituzione del bene. Infine, alla mancata risposta del consumatore non può essere attribuito il significato di accettazione della proposta tacitamente formulata dal professionista attraverso l’invio della merce o la messa a disposizione del servizio, essendo a tal fine necessaria un’espressa manifestazione di volontà. In questa direzione non trova applicazione la previsione contenuta nell’art. 1327 c.c. che, in tema di esecuzione prima della risposta dell’accettante, prevede l’ipotesi in cui, su richiesta del proponente (ovvero per la natura dell’affare, ovvero degli usi), la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta positiva, il contratto si intende concluso nel momento e nel luogo in cui l’esecuzione ha avuto inizio (nel caso di specie, per autonoma volontà del professionista). Detta disposizione è funzionale a garantire – secondo il principio di buona fede – chi ha fornito la sua prestazione di ricevere la controprestazione (ossia, di solito, il pagamento). © Wolters Kluwer 286 Capitolo VI Nel codice del consumo, al contrario, l’art. 66-quinquies mira ad evitare che la mancata risposta venga, alla fine, qualificata come assenso, secondando una possibile prassi (e, quindi, la possibilità, addirittura, che invalga come uso) di forniture non richieste, in cui il professionista effettui direttamente la sua prestazione. È opportuno rammentare che la non necessità di rispondere e il valore serbato dal silenzio sono sempre rimesse alla volontà del consumatore a nulla valendo precedenti comportamenti tenuti in pregresse relazioni. È quello che ha stabilito il Tribunale di Genova, allorquando ha disposto, in relazione ad un contratto per servizi telefonici concluso a distanza, il risarcimento di un danno non patrimoniale ad un consumatore che si era visto addebitare costi per servizi mai richiesti (né assentiti). Il gestore del servizio aveva eccepito che la mancata contestazione per un tempo prolungato dei servizi forniti finiva per ingenerare la convinzione che tali servizi fossero graditi e, quindi, implicitamente richiesti (quasi si trattasse di un silenzio “circostanziato”)25. Non rileva, neppure, che la tariffa attivata fosse molto più conveniente di quella erogata sino ad allora. La lettera con cui si comunichi il cambiamento di tariffa al più può configurarsi quale proposta contrattuale alla quale deve comunque seguire una accettazione nei modi e forme previste26. L’art. 66-quinquies, co. 2, inserisce – senza alcun rispetto della sistematica – una previsione che non ha nulla a che vedere con le forniture non richieste. Si tratta della situazione in cui il professionista intende adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita. Come si intuisce, nella fornitura non richiesta non esiste un rapporto tra le parti mentre, nella situazione appena delineata, il rapporto si è costituito ma con ad oggetto una fornitura diversa da quella che intende fornire il professionista. Senza il consenso, che il consumatore deve esprimere prima o al momento della conclusione del contratto, il professionista non può sostituire l’originaria fornitura pattuita con altra “anche se di valore e qualità equivalenti o superiori”. La previsione – a parte la complicazione di stabilire il valore e la qualità della fornitura “sostitutiva” (che non può tener conto che di elementi oggettivi e, quindi, elide quelli idiosincratici del consumatore) – mira ad evitare che, dopo tutta una procedimenta25 26 Trib. Genova, 24 novembre 2006, n. 4005, in Resp. civ., 2007, p. 279 ss. Trib. Genova, 11 settembre 2002, in Contratti, 2003, p. 437 ss. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 287 lizzazione del rapporto (informativa, conferme scritte e, infine, contratto), di cui si dirà nel prosieguo, il professionista possa modificare radicalmente il contenuto del regolamento negoziale. Così facendo, peraltro, si violerebbero i diritti del consumatore che potrebbe non manifestare il suo consenso qualora sapesse (o, meglio, non sapesse) che la fornitura può cambiare con decisione unilaterale dell’altra parte, sulla quale quindi continua a gravare il rischio dell’inadempimento contrattuale per la non disponibilità del bene o del servizio dedotto nel contratto concluso. PARTE II – Obblighi informativi e recesso 8. Obblighi informativi derivanti dalla normativa in materia di tutela del consumatore L’art. 48, co. 1, cod. cons. indica un primo quadro delle informazioni dovute al consumatore che sono le seguenti: “a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista, l’indirizzo geografico in cui è stabilito e il numero di telefono e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce; c) il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore27; d) se applicabili, le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio e il trattamento dei reclami da parte del professionista; 27 Secondo la giurisprudenza amministrativa il prezzo deve essere immediatamente intelligibile e non richiedere calcoli matematici complessi in capo al consumatore e, in ogni caso, l’indicazione del prezzo deve includere, fin dall’inizio, ogni onere economico gravante sul consumatore, il cui ammontare sia determinabile in anticipo, di modo da rendere immediatamente e chiaramente percepibile al consumatore l’esborso finale, nonché indicato con pari evidenza grafica. © Wolters Kluwer 288 Capitolo VI e) oltre a un richiamo dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, l’esistenza e le condizioni del servizio postvendita e delle garanzie commerciali, se applicabili; f) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni di risoluzione del contratto; g) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica; h) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabili”. Le suddette informazioni devono essere fornite prima che il consumatore sia vincolato da un contratto diverso da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali, o da una corrispondente offerta. Il professionista deve fornire al consumatore una serie di informazioni in modo chiaro e comprensibile, qualora esse non siano già evidenti dal contesto28. Quanto ai requisiti formali, le suddette informazioni precontrattuali sono fornite al consumatore su supporto cartaceo o altro mezzo durevole (con l’assenso del consumatore). Dal punto di vista “redazionale” le informazioni devono essere “leggibili” e “presentate in un linguaggio semplice e comprensibile”. Dopo la conclusione il professionista deve consegnare al consumatore una copia del contratto firmato. È in ogni caso fatta salva la possibilità di prevedere o mantenere obblighi aggiuntivi di informazione precontrattuale per i contratti ai quali si applica la norma in esame. 28 I suddetti obblighi di informazione precontrattuali si applicano anche ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale. In caso contrario si applica il regime informativo dell’art. 49, co. 1, del Codice del consumo. In negativo, gli obblighi di informazione precontrattuali sopra individuati non si applicano ai contratti che implicano contrattazioni ‘quotidiane’ e che sono eseguiti immediatamente al momento della loro conclusione. Il che lascia aperta una porta di notevole ampiezza a dubbi interpretativi, posto che moltissime fattispecie della vita quotidiana prevedono contratti non “formalizzati” o, quantomeno, dalle dinamiche molto semplificate. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 289 9. Segue: gli obblighi di informazione precontrattuale nei contratti a distanza e nei contratti fuori dei locali commerciali L’art. 49 cod. cons. prevede le informazioni precontrattuali delle quali il consumatore ha diritto (e, quindi, il professionista ha l’obbligo di fornire) con riferimento ai contratti a distanza ed a quelli negoziati fuori dei locali commerciali. Le informazioni sono le seguenti: “a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista; c) l’indirizzo geografico dove il professionista è stabilito e il suo numero di telefono, di fax e l’indirizzo elettronico, ove disponibili, per consentire al consumatore di contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con lui e, se applicabili, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale agisce; d) se diverso dall’indirizzo fornito in conformità della lett. c), l’indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può indirizzare eventuali reclami e, se applicabile, quello del professionista per conto del quale agisce; e) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione; quando tali contratti prevedono l’addebitamento di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche ai costi mensili totali; se i costi totali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono essere fornite le modalità di calcolo del prezzo; f) il costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base; © Wolters Kluwer 290 Capitolo VI g) le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte del professionista; h) in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’art. 54, co. 1, nonché il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; i) se applicabile, l’informazione che il consumatore dovrà sostenere il costo della restituzione dei beni in caso di recesso e in caso di contratti a distanza qualora i beni per loro natura non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta; l) che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell’art. 50, co. 3, o dell’art. 51, co. 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di costi ragionevoli, ai sensi dell’art. 57, co. 3; m) se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’art. 59, l’informazione che il consumatore non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto di recesso; n) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni; o) se applicabili, l’esistenza e le condizioni dell’assistenza postvendita al consumatore, dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali; p) l’esistenza di codici di condotta pertinenti, come definiti all’art. 18, co. 1, lett. f), e come possa esserne ottenuta copia, se del caso; q) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto; r) se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto; s) se applicabili, l’esistenza e le condizioni di depositi o altre garanzie finanziarie che il consumatore è tenuto a pagare o fornire su richiesta del professionista; t) se applicabile, la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica; u) qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 291 ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabile; v) se applicabile, la possibilità di servirsi di un meccanismo extragiudiziale di reclamo e ricorso cui il professionista è soggetto e le condizioni per avervi accesso”. Come si vede, sono state molto rafforzate le previsioni, con una attenzione particolare dedicata al mondo dell’informatica e della telematica, come il riferimento ad informazioni di natura squisitamente tecnica nell’ipotesi di acquisti di prodotti digitali, quali termini di compatibilità hardware e software e applicazione di eventuali sistemi tecnici di protezione (art. 49, co. 1, lett. t) e u)). Le suddette informazioni sono fornite al consumatore – in “maniera chiara e comprensibile” – prima che questi sia vincolato dal contratto o da una corrispondente offerta. Una volta fornite, dette informazioni entrano a far parte integrante del contratto (concluso) e non possono essere modificate se non con l’accordo espresso delle parti (art. 49, co. 5). Qualora le informazioni attengano al diritto di recesso (modalità, termini, procedure e costi), l’utilizzo del modulo “standard” di recesso allegato al codice del consumo (All. I, parte B), sostituisce efficacemente ogni altro tipo di comunicazione solo se il professionista ha debitamente compilato i relativi “campi”. Se il professionista non adempie agli obblighi di informazione sulle spese aggiuntive o gli altri costi di cui al co. 1, lett. e), o sui costi della restituzione dei beni di cui al co. 1, lett. i), il consumatore non deve sostenere tali spese o costi aggiuntivi. Nel caso di utilizzazione di tecniche che consentono una comunicazione individuale “le informazioni di cui al comma 1 sono fornite, ove il consumatore lo richieda, in lingua italiana” (art. 49, co. 7). Per il commercio elettronico questa previsione è già operante (e, comunque, lo dice anche l’art. 9 cod. cons.). Infine, si stabilisce un onere della prova a carico del professionista al quale spetta, in caso di controversia, provare di aver fornito le informazioni previste dall’art. 49. © Wolters Kluwer 292 Capitolo VI 10. Segue: questioni di forma delle informazioni nei contratti a distanza Per quanto attiene alla forma nei contratti a distanza, l’art. 51, co. 1, cod. cons., prevede che “il professionista fornisce o mette a disposizione del consumatore le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile. Nella misura in cui dette informazioni sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili”. Le maggiori implicazioni (ed i limiti anche tecnici) sull’impiego di mezzi di comunicazione a distanza sono evidenti. Nei contratti a distanza il professionista “fornisce o mette a disposizione” le informazioni in modo “appropriato” rispetto al mezzo utilizzato. In altre e più semplici parole, il ‘rinvio’ per la fornitura di dette informazioni (si pensi ad una pagina web), ovvero l’invio (per es. per posta elettronica), se semplificano la vita del professionista, devono comunque essere pienamente rispettose delle esigenze di trasparenza e di “accessibilità” da parte del consumatore, visto che diventano parte integrante del contratto negoziato (e poi concluso). Se si utilizza un supporto durevole, le informazioni, compatibilmente con i limiti del supporto, devono risultare leggibili. L’art. 51, co. 2, inizia un percorso sul tema del “point and click”, ossia sulla prassi di sostituire una dichiarazione espressa di consenso con la digitazione di un “tasto virtuale”, con scritto, per es., “accetto”, senza che spesso si capisca se l’“accetto” digitato sia riferito alle informazioni fornite o ad altro genere di indicazioni. Il comma in parola, prevede che se un contratto deve essere concluso per via elettronica e ciò comporti l’obbligo per il consumatore di corrispondere un prezzo per il bene o il servizio (più spesso il secondo), il professionista è tenuto a comunicare, in modo chiaro ed evidente e “direttamente prima” che sia inoltrato l’ordine, le informazioni di cui all’art. 49, co. 1, lett. a), e), q) ed r)29. 29 Ossia: 1) le caratteristiche principali dei beni o servizi; 2) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione; quando tali contratti prevedono l’addebitamento di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche ai costi mensili totali; se i costi to© Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 293 Al momento di inoltrare l’ordine il professionista deve garantire che il consumatore abbia almeno ben chiaro che l’atto che sta compiendo, a tacere del resto, implica una obbligazione di pagamento. “Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista”. Qualora il professionista si comporti disattendendo queste prescrizioni, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine. Ha quindi diritto – se ha pagato – alla restituzione di quanto versato, e può agire per il risarcimento del danno. Con esplicito riferimento al commercio elettronico, l’art. 51, co. 3, stabilisce che i siti web destinati al commercio elettronico “indicano in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati”. Per il resto non vengono innovate le disposizioni relative alla conclusione dei contratti (e l’inoltro degli ordini), di cui all’art. 12 (commi 2, 3) e 13 del D.Lgs. n. 70/2003 (art. 51, co. 9)30. Qualora la dinamica della negoziazione preveda uno “spazio o un tempo limitato” per visualizzare le informazioni, il professionista deve “adattare” a detto ambiente i suoi obblighi e rendere visibili, prima della conclusione del contratto, almeno “le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto, conformemente all’articolo 49, comma 1, lettere a), b), e), h) e q)” (art. 51, co. 4)31. tali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono essere fornite le modalità di calcolo del prezzo; 3) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto; 4) se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto. 30 Vedi quanto detto al Capitolo IV, par. 3. 31 Le indicate previsioni concernono: “a) le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; b) l’identità del professionista; (…) © Wolters Kluwer 294 Capitolo VI Se il contratto deve essere concluso per telefono, il professionista è comunque tenuto a confermare l’offerta al consumatore, sia in forma telematiche che su altro supporto durevole (se il consumatore esprime formalmente il suo assenso). Trattandosi di contratti a distanza è in ogni caso previsto che il consumatore “firmi” l’offerta accettandola in forma scritta, requisito assolto con l’impiego della firma elettronica apposta su documento informatico. La “conferma” dell’avvenuto contratto – prevede l’art. 51, co. 7 – è fornita dal professionista “entro un termine ragionevole” e, comunque, al più tardi “momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio”. La conferma deve comprendere: a) tutte le informazioni di cui all’art. 49, co. 1, a meno che il professionista non abbia già fornito l’informazione al consumatore su un supporto durevole prima della conclusione del contratto a distanza; e b) se del caso, la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore conformemente all’art. 59, lett. o) che, si ricorda, prevede il caso in cui il consumatore è consapevole di rinunciare al diritto di recesso quando vuole l’immediata esecuzione della fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale. e) il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore; nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione; quando tali contratti prevedono l’addebitamento di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche ai costi mensili totali; se i costi totali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono essere fornite le modalità di calcolo del prezzo; (…) h) in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’articolo 54, comma 1, nonché il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B; (…) q) la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto”. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 295 11. Il recesso Nei contratti con i consumatori, laddove è previsto, si applica il diritto di recesso, cioè quello di “ripensamento” entro un dato intervallo di tempo. L’art. 52 cod. cons. stabilisce che il consumatore ha a disposizione 14 giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali “senza dover fornire alcuna motivazione” e senza, normalmente, dover sostenere dei costi per l’esercizio del diritto. Questo diritto, peraltro, non è assoluto, considerato che l’art. 59 – enumera una serie molto ampia di ipotesi in cui tale diritto è escluso, peraltro senza – apparentemente – la possibilità da parte del professionista di “concedere” tale diritto volontariamente. A questo fine soccorre la previsione di cui all’art. 46, co. 3, che consente, in via generale, e, quindi, per ogni questione, di poter ampliare (contrattualmente) la portata dei diritti attribuiti al consumatore. Anche con riferimento ai costi, il diritto di ripensamento può prevedere che il consumatore debba sostenere il costo diretto della restituzione dei beni fatto salvo quando il professionista abbia concordato che detto costo sia a suo carico, ovvero abbia omesso di informare il consumatore che è tenuto, in caso di esercizio del diritto di recesso, a sostenere il costo “diretto” della restituzione (cfr. l’art. 57)32. I 14 giorni previsti a vantaggio del consumatore iniziano la loro decorrenza in momenti diversi a seconda di quando il consumatore è posto nella disponibilità “effettiva” dell’oggetto del contratto quando si tratta di beni. - Nel caso di contratti di vendita, il termine decorre dal giorno in cui il consumatore acquisisce il possesso fisico del bene. Qualora il destinatario del bene sia un terzo designato dal consumatore, si fa ri32 Per costo “diretto” deve intendersi un costo “standard” per la riconsegna, quale quello dell’ordinario servizio postale, ovvero quello che consente la restituzione con il minor aggravio possibile, considerate le modalità e le spese che si rendono necessarie per conseguire l’effetto utile. Addossare o meno al consumatore tale costo è una scelta aziendale che si traduce in un diverso approccio al consumatore, poiché nel costituire un deterrente all’esercizio del recesso, funge da elemento di “selezione” della serietà della scelta del consumatore. Viceversa, un professionista che sostiene il costo di riappropriazione dei beni venduti punta sul fatto che si attende un numero di “recessi” di entità tale da non intaccare la programmazione dei costi che intende sostenere per la loro distribuzione. Il professionista, qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso, deve rimborsare le spese di consegna che questi ha corrisposto se erano previste dal contratto. Non deve tuttavia rimborsare il costo supplementare di riconsegna del bene, “qualora il consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna diversa dal tipo meno costoso di consegna offerto dal professionista” (art. 56, co. 2, cod. cons.). © Wolters Kluwer 296 Capitolo VI ferimento al momento in cui questi acquisisce detto possesso. La consegna al vettore – se operata, come da prassi, dal professionista – non vale come consegna al consumatore (o al terzo) a meno che il vettore non sia un mandatario del consumatore stesso. In questo caso, l’avvenuta consegna al vettore è come se fosse effettuata “direttamente” nelle mani del consumatore. La disposizione sembra escludere sempre il vettore come soggetto “titolato” a ricevere la consegna ma questo non può escludere un rapporto diretto tra consumatore e (il suo) vettore33. - Qualora il contratto riguardi la somministrazione di beni durante un certo periodo di tempo, attuata tramite la consegna periodica di detti beni, il termine per il recesso decorre dal giorno in cui il consumatore acquisisce il possesso fisico del primo bene. Tale soluzione appare scontata, posto che si tratta della consegna, in successione, di una serie di beni (che si suppone identici), per cui il consumatore deve “contestare” la fornitura dopo aver valutato il primo bene ricevuto. - Quando si tratta, invece di servizi, nella difficoltà di segnare il momento esatto in cui il consumatore vi “accede” e, quindi non lasciare il professionista in una sostanziale incertezza, la decorrenza è fissata dal giorno della conclusione del contratto. Lo stesso vale per la fornitura di acqua, gas, elettricità (non messi in vendita in volume o quantità determinata)34, per il teleriscaldamento e, infine, per i contenuti digitali fruiti direttamente on line (o, come indica la disposizione, “non fornito su supporto materiale”). In pendenza del termine per il recesso, il contratto tra le parti non è “paralizzato” e le parti possono adempiere ai rispettivi obblighi, fatto salvo il caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, rispetto ai quali il professionista non può accettare, a titolo di corrispettivo, effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a 15 giorni (dalla conclusione del contratto se riguarda servizi, ovvero dal giorno di acquisizione del 33 Qualora la vendita abbia ad oggetto più beni ordinati congiuntamente ma consegnati separatamente, il termine decorre da quando il consumatore acquisisca il possesso fisico dell’ultimo bene. Tipico caso di scuola è l’acquisto di una cucina componibile, composta da diversi pezzi ed elettrodomestici, rispetto ai quali la consegna è “efficace” quando tutti i beni sono posti nella disponibilità effettiva del destinatario. 34 Per il settore dell’energia, si veda la delibera n. 266/2014/R/COM adottata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas al fine di adeguare il codice di condotta commerciale alle disposizioni del D.Lgs. n. 21/2014. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 297 possesso fisico se riguarda beni) né può presentarli all’incasso prima che sia decorso il tempo previsto per la decisione del recesso. L’art. 53, co. 1, prevede una “sanzione” qualora il professionista abbia omesso, secondo gli obblighi fissati all’art. 49, co. 1, lett. h), di indicare le informazioni sul diritto di recesso. In questo caso il termine di 14 giorni che il consumatore avrebbe avuto viene ulteriormente elevato con 12 mesi aggiuntivi. Se entro il termine di 12 mesi dalla data in cui sarebbe decorso il diritto di recesso (di cui il consumatore non è stato informato), il professionista fornisce al consumatore le informazioni dovute, dal giorno dopo di quello di detta comunicazione decorrono 14 giorni. 12. Segue: modalità per l’esercizio del diritto di recesso e suoi effetti L’esercizio del diritto di recesso, di cui all’art. 54 cod. cons., è una dichiarazione – resa prima della scadenza del termine previsto (ordinario o “prorogato” dall’assenza di informazione) – attraverso la quale il consumatore informa il professionista della sua decisione di recedere dal contratto concluso. L’intento è quello di sottolineare la conseguenza derivante dalla manifestazione di “pentimento” da parte del consumatore e cioè la sua “liberazione” da ogni e qualsivoglia vincolo giuridico. Tale dichiarazione è resa secondo le seguenti modalità alternative: - impiegando il modello-tipo di recesso contenuto nell’Allegato I, parte B al Codice del consumo, oppure - utilizzando una comunicazione in forma libera a condizione che contenga una dichiarazione esplicita della volontà di recedere dal contratto (e ovviamente tutti i necessari elementi: destinatario, elementi di identificazione del contratto, etc.). Per poter facilitare l’esercizio del diritto di recesso, il professionista può rendere disponibile sul suo sito web (o altro a condizione che sia a lui collegato) il citato modello-tipo, ovvero un “form” analogo attraverso la compilazione dei quali il consumatore può trasmettere per via elettronica la sua decisione di recedere. In questi casi il professionista “comunica senza indugio al consumatore una conferma di ricevimento, su un supporto durevole, del recesso esercitato” (art. 54, co. 3). Con tutta evidenza, questa possibilità è stata introdotta per favorire – a livello europeo – © Wolters Kluwer 298 Capitolo VI l’utilizzo del commercio elettronico, con la potenziale standardizzazione del modello-tipo. La dichiarazione che riguarda l’esercizio del diritto di recesso deve chiaramente risultare riconducibile al titolare del diritto ma non appare necessaria la sottoscrizione della comunicazione di recesso da parte di chi abbia “stipulato il contratto” (e non altri) come prevedeva la previgente disciplina. Peraltro cospicua giurisprudenza ha riconosciuto efficace la comunicazione del recesso contenuta in un telegramma dettato telefonicamente da un soggetto che, in qualità di intestatario del telefono, era diverso dall’autore del contratto. Tuttavia, a parziale smentita, va detto che il Modello-tipo prevede che debba essere sottoscritto dal consumatore ma solo se viene “notificato” (l’atipica espressione è utilizzata nelle “Istruzioni” alla compilazione del Modello) dal professionista in forma cartacea. Mentre per l’assolvimento degli obblighi informativi, la prova grava sul professionista, per quanto riguarda il diritto di recesso l’onere della prova di averlo esercitato in conformità dell’art. 54 è posto a carico del consumatore. Quanto agli effetti dell’esercizio del diritto di recesso, l’art. 55 cod. cons. stabilisce che con tale esercizio si pone termine agli obblighi delle parti. Gli obblighi sono a) quelli derivanti dal contratto concluso, ossia l’esecuzione del contratto negoziato fuori dai locali commerciali o a distanza e b) quelli di concludere detti contratti quando si tratti di una offerta presentata al consumatore. Gli effetti del recesso concernono anche le “ricadute” sui contratti accessori. Ad eccezione dei contratti di credito al consumo, quando un consumatore esercita il diritto di recesso “sono risolti di diritto” gli eventuali contratti accessori, senza che questo comporti costi, tranne quelli relativi alla restituzione dei beni (o la scelta di un mezzo di riconsegna più oneroso di quello posto a disposizione da parte del professionista). 13. Segue: obblighi delle parti conseguenti l’esercizio del diritto di recesso Le conseguenze dell’esercizio del diritto di recesso sono ripartite tra i protagonisti della vicenda negoziale e si configurano più che come “ulteriori obbligazioni delle parti” quali effetti “ordinari” della conclusione (o © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 299 del mancato inizio) del rapporto tra le parti, cioè del “ripristino” della precedente situazione tra le stesse in conseguenza dell’efficacia retroattiva (o interruttiva) cagionata dal recesso. Con riferimento alla posizione del professionista, il principale obbligo che lo riguarda concerne la restituzione delle somme ricevute dal consumatore, comprese – se erano previste – le spese di consegna. Nella previgente disciplina era indicato un termine per la restituzione di 30 giorni. Le nuove regole prevedono, più drasticamente, che questa debba avvenire “senza indebito ritardo” e, comunque, entro 14 giorni decorrenti dal giorno in cui il professionista è informato del recesso del consumatore. La nuova formulazione impone, quindi, una celerità del rimborso: il termine di 14 giorni è solo indicativo ma non vuol dire che non si possa verificare se il professionista avrebbe potuto rimborsare più celermente. Il rimborso è eseguito con “lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore per la transazione iniziale, salvo che il consumatore abbia espressamente convenuto altrimenti e a condizione che questi non debba sostenere alcun costo in conseguenza del rimborso”. Se il pagamento era stato eseguito dal consumatore con effetti cambiari ove questi non fossero stati portati all’incasso, il professionista ha l’obbligo di restituirli. L’art. 56, co. 3, prevede una disposizione particolare che cautela il professionista dalla situazione in cui il consumatore potrebbe ottenere il rimborso trattenendo presso di sé i beni. In questa situazione il professionista “può trattenere il rimborso finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi per prima”. Con riguardo agli obblighi del consumatore, questi è anzitutto tenuto alla restituzione dei beni. Si consideri il diverso regime degli effetti del recesso a seconda che si receda da un contratto relativo a beni o a servizi. Difatti, l’obbligo restitutorio sorge solo come conseguenza dello scioglimento di un contratto “riguardante la vendita di beni”, mentre nel caso di prestazione di servizi nessuna obbligazione si pone in capo al consumatore anche quando vi sia stata già fruizione dello stesso. La restituzione deve avvenire, senza indebito ritardo e, in ogni caso, entro 14 giorni dalla data della comunicazione al professionista del recesso. Prima della scadenza, il consumatore può procedere direttamente alla restituzione. Questa deve avvenire nei confronti del professionista © Wolters Kluwer 300 Capitolo VI (nella sede o luogo indicato nell’informazione fornita) ovvero presso un terzo autorizzato dal professionista alla ricezione dei beni. È prevista anche l’ipotesi in cui della restituzione si faccia carico direttamente il professionista ritirando i beni presso il consumatore e ciò è la regola “ordinaria” qualora si tratti “di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto”. In queste ipotesi, “il professionista ritira i beni a sue spese qualora i beni, per loro natura, non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta”. Il comportamento del consumatore rispetto all’adempimento dell’obbligo di restituire la merce appare pacificamente regolato dai principi della responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi di custodia, secondo la normale diligenza. Tuttavia, il nuovo disposto dell’art. 57 non prevede più la “sostanziale integrità del bene da restituire”, quale condizione per l’esercizio del diritto di recesso, e quindi consente al consumatore anche di adoperare il bene o custodirlo senza essere particolarmente accorto. Egli, infatti, non incorre in alcuna responsabilità, esclusa quella inerente la “diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni”. Non risponde di tale diminuzione di valore qualora il professionista abbia omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’art. 49, co. 1, lett. h). La accertata diminuzione di valore incide sull’entità del rimborso e, qualora questo sia insufficiente, non par dubbio che il consumatore debba corrispondere una indennità al professionista, quale conseguenza di un atto lecito. L’art. 57, co. 3, stabilisce che se il consumatore chiede espressamente al professionista di eseguire la sua prestazione di servizi [ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità (quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata), o di teleriscaldamento], prima che sia trascorso il periodo di recesso e, poi, comunichi la volontà di esercitarlo, è tenuto a versare al professionista un importo proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto. L’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto. Se detto prezzo totale è eccessi© Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 301 vo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del valore di mercato di quanto è stato fornito. 14. Contratti ai quali non si applica il diritto di recesso Apparentemente basta una lettura dell’art. 59 cod. cons. (recante “Eccezioni al diritto di recesso”) per trovare l’elenco delle situazioni per le quali non è previsto il diritto di recesso. Secondo tale articolo, il diritto di recesso, per i contratti a distanza e fuori dai locali commerciali, è escluso: “a) i contratti di servizi dopo la completa prestazione del servizio se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista; b) la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso; c) la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati; d) la fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente; e) la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna; f) la fornitura di beni che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri beni; g) la fornitura di bevande alcoliche, il cui prezzo sia stato concordato al momento della conclusione del contratto di vendita, la cui consegna possa avvenire solo dopo trenta giorni e il cui valore effettivo dipenda da fluttuazioni sul mercato che non possono essere controllate dal professionista; h) i contratti in cui il consumatore ha specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori urgenti di riparazione o manutenzione. Se, in occasione di tale visita, il professionista fornisce servizi oltre a quelli specificamente richiesti dal consumatore o beni diversi dai pezzi di ricambio necessari per effettuare la manutenzione o le riparazioni, il diritto di recesso si applica a tali servizi o beni supplementari; © Wolters Kluwer 302 Capitolo VI i) la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna; l) la fornitura di giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali pubblicazioni; m) i contratti conclusi in occasione di un’asta pubblica; n) la fornitura di alloggi per fini non residenziali, il trasporto di beni, i servizi di noleggio di autovetture, i servizi di catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una data o un periodo di esecuzione specifici; o) la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata con l’accordo espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che in tal caso avrebbe perso il diritto di recesso”. Questo lungo elenco deve essere completato con tutto il novero di contratti – di cui all’art. 47, co. 1 – che sono totalmente esclusi dall’applicazione delle disposizioni sul diritto dei consumatori contenute nel Capo I, sezz. I-IV cod. cons.35. 35 Che sono i contratti: a) per i servizi sociali, compresi gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle famiglie e alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, ivi compresa l’assistenza a lungo termine; b) di assistenza sanitaria, per i servizi prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ristabilire il loro stato di salute, ivi compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici, sia essa fornita o meno attraverso le strutture di assistenza sanitaria; c) di attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, comprese le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse; d) di servizi finanziari; e) aventi ad oggetto la creazione di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti su beni immobili; f) per la costruzione di nuovi edifici, la trasformazione sostanziale di edifici esistenti e per la locazione di alloggi a scopo residenziale; g) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, di cui agli articoli da 32 a 51 del D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79; h) che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina concernente la tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, di cui agli artt. da 69 a 81-bis del presente Codice; i) stipulati con l’intervento di un pubblico ufficiale, tenuto per legge all’indipendenza e all’imparzialità, il quale deve garantire, fornendo un’informazione giuridica completa, che il consumatore concluda il contratto soltanto sulla base di una decisione giuridica ponderata e con conoscenza della sua rilevanza giuridica; l) di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di lavoro del consumatore; m) di servizi di trasporto passeggeri, fatti salvi l’art. 51, comma 2, e gli artt. 62 e 65; n) conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati; o) conclusi con operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro utilizzo o conclusi per l’utilizzo di un solo collegamento tramite telefono, Internet o fax, stabilito dal consumatore. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 303 Per quel che qui interessa, si ricorda che il recesso non si applica neppure ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali (ma vale anche per quelli a distanza) in base ai quali il consumatore deve pagare una somma non superiore a 50 euro, importo reputato modesto e tale da costituire un “rischio” sostenibile da parte del consumatore. Diverso vale per la vendita a distanza, laddove un insieme molto ampio di “micropagamenti” (singolarmente irrisori) a carico di una moltitudine potenziale di consumatori, può determinare un rischio di ben altra natura. Per evitare ogni volontà elusiva da parte del professionista, quando l’entità dei pagamenti del consumatore viene “costruita” frammentandola in cifre inferiori ai 50 euro con contratti stipulati contestualmente, al fine di prevedere pagamenti superiori a tale cifra, tornano ad applicarsi le disposizioni di cui alle sezioni I-IV (ossia: obbligo informativo, recesso, etc.). L’esclusione del diritto di recesso – ad onta di una prospettata maggiore tutela a livello europeo – è esclusa per fattispecie che, in precedenza, non erano contemplate. Si pensi alle forniture di beni sigillati che non si prestino a essere sostituiti per motivi igienici o connessi con la tutela della salute e che siano stati aperti dopo la consegna (lett. e); le forniture di beni che dopo la consegna risultino per loro natura inscindibilmente mescolati con altri beni (lett. f); le forniture di bevande alcoliche da consegnare non prima di 30 giorni dalla stipula il cui prezzo dipenda da fluttuazioni sul mercato finanziario che il professionista non può controllare (lett. g); i contratti stipulati in occasione di aste pubbliche (lett. m)36; le forniture di servizi di noleggio di autovetture (lett. n). Caso a sé le forniture di “contenuto digitale” su supporto non materiale ove l’interesse a ricevere subito l’esecuzione (iniziata con l’accordo espresso del consumatore) comporti un “prezzo” ulteriore da corrispondere: la sua accettazione espressa della conseguente perdita del diritto di recesso (lett. o). Le altre ipotesi erano già note sotto il vecchio dettato normativo, ma si faceva salva la possibilità di accordo diverso tra le parti, situazione – come sopra detto – probabilmente recuperabile con una dose di coraggio da parte del professionista che voglia usare la “concessione” del recesso dove non è dovuta come strumento di marketing e di qualità del suo operato. 36 In precedenza si parlava di scommesse e lotterie. © Wolters Kluwer 304 Capitolo VI 15. Il commercio elettronico nel codice del consumo Il Codice del consumo, con riferimento al commercio elettronico, effettua – all’art. 68 – un rinvio al D.Lgs. n. 70/2003: “Alle offerte di servizi della società dell’informazione, effettuate ai consumatori per via elettronica, si applicano, per gli aspetti non disciplinati dal presente codice, le disposizioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, recante attuazione della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno”. Si crea quindi un legame di complementarietà con il Codice del consumo per andare incontro ad esigenze proprie di una nuova figura: quella del “consumatore standard di internet”. Il contratto a distanza è “qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso” (art. 45, co. 1, lett. g), cod. cons.). La vendita o la prestazione di servizi può riguardare anche “contenuti digitali”, ossia “dati prodotti e forniti in formato digitale” (art. 45, co. 1, lett. m)). Le nuove disposizioni consumeristiche (al di là delle molteplici eccezioni) si applicano, a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore e, qualora, vi sia un conflitto tra le disposizioni del codice del consumo con altre (di derivazione comunitaria) che disciplinano settori specifici, quest’ultime e le relative norme nazionali di recepimento prevalgono e si applicano a tali settori specifici. Questo non può dirsi per il commercio elettronico perché, nonostante il rinvio dell’art. 68, non si ravvisa una “specialità” nelle questioni che attengono alle regole “base” di tutela contrattuale dei consumatori. Per quanto riguarda, infatti, gli obblighi informativi – ampiamente previsti all’art. 49 del Codice del consumo – si stabilisce che questi si aggiungono a quelli del D.Lgs. n. 70/2003 (co. 8) e, con specifico riferimento al “contenuto e le modalità di rilascio delle informazioni” prevalgono quelle del codice del consumo (co. 9). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 305 Sui requisiti formali valgono inoltre le indicazioni contenute nell’art. 51 che fa espressamente riferimento alle dinamiche della contrattazione attraverso Internet: - i siti di commercio elettronico devono indicare in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati (co. 3); - se il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni, il professionista fornisce, su quel mezzo in particolare e prima della conclusione del contratto, almeno le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto, conformemente all’art. 49, co. 1, lett. a), b), e), h) e q). Le altre informazioni di cui all’art. 49, co. 1, sono fornite dal professionista in un modo appropriato conformemente al co. 1 del presente articolo (co. 4). Restano comunque valide “le disposizioni relative alla conclusione di contratti elettronici e all’inoltro di ordini per via elettronica conformemente agli articoli 12, commi 2 e 3, e 13 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni”37. Infine, per la contrattazione via web (o comunque elettronica) valgono le disposizioni in tema di recesso che sono state descritte in precedenza. PARTE III – Gli altri diritti e le garanzie 16. Gli “altri diritti dei consumatori Per una maggiore tutela dei consumatori, la dir. n. 2011/83/UE interviene anche su aspetti, per così dire, “collaterali” ma meritevoli di attenzione poiché determinano (o possono determinare) un vivace contenzioso. Gli artt. 60-65 introdotti nel Codice del consumo dal D.Lgs. n. 21/2014 fanno riferimento ad “altri diritti del consumatore”, ossia quelli relativi alla consegna dei beni, al passaggio del rischio di perdita o danneggia37 Si rinvia, al riguardo, al Capitolo IV. © Wolters Kluwer 306 Capitolo VI mento degli stessi, agli strumenti di pagamento e ai pagamenti supplementari. Elementi di novità che si vanno ad aggiungere alle disposizioni contenute negli artt. 128-135 cod. cons. sulle garanzie nella vendita di beni di consumo. Prima di iniziare la breve disamina delle indicate previsioni va opportunamente premesso che, ai sensi dell’art. 60, le disposizioni in tema di consegna (art. 61) e di passaggio del rischio (art. 63) si applicano a tutti i contratti di vendita e, quindi, non si applicano ai contratti di servizio. Non trovano applicazione neppure “ai contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale”. 17. Segue: a) la consegna dei beni L’art. 61 cod. cons., rubricato “consegna” non regolamenta solo il termine di consegna ma anche le conseguenze circa questo inadempimento da parte del professionista. Sulla base della suddetta disposizione, il professionista è obbligato – salva diversa pattuizione – a consegnare i beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e al più tardi entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto. Questa “diversa pattuizione” tra le parti (specie se “imposta” dal professionista) dovrebbe essere soggetta al vaglio quale clausola potenzialmente vessatoria. L’obbligazione è adempiuta “mediante il trasferimento della disponibilità materiale o comunque del controllo dei beni al consumatore”. Il termine non è evidentemente inteso come “essenziale” posto, come si dirà, la possibilità, per il consumatore, di attribuire un margine di tempo “supplementare” che va, invece, date le conseguenze, reputato essenziale. In caso di inadempimento entro i termini indicati, il consumatore invita il professionista ad effettuare la consegna entro un termine supplementare appropriato alle circostanze. Si tratta, con tutta evidenza, di un meccanismo analogo alla diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. anche se non è indicato come si possa valutare la correttezza della quantificazione del termine supplementare rispetto al principio di conservazione del contratto. Se questo termine decorre senza la consegna, © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 307 il consumatore può risolvere il contratto, fermo restando il diritto al risarcimento dei danni. Il termine supplementare non è dovuto nei seguenti casi: a) il professionista si è espressamente rifiutato di consegnare i beni, con ciò entrando direttamente nell’area tematica dell’inadempimento contrattuale; b) il termine per la consegna del bene deve considerarsi essenziale, tenuto conto di tutte le circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto. In questa situazione l’essenzialità del termine, benché non direttamente esplicitata nel contratto, appare evidente dalle trattative tra le parti o, comunque, da quanto il professionista è in grado di percepire rispetto alle esigenze del consumatore. La disposizione parla di “circostanze” che hanno “accompagnato la conclusione del contratto” si fa, cioè, riferimento a situazioni precedenti o, al limite, verificatesi al momento della conclusione del contratto, in analogia con le presupposizioni che si configurano quali condizioni non “dichiarate” ma che condizionano il raggiungimento dell’effetto utile da parte del consumatore. Per ridurre gli oneri di conoscenza del professionista, le situazioni emerse dopo la conclusione del contratto (e delle quali non era possibile probabilmente stimare l’incidenza sull’equilibrio, anche economico, del rapporto), non rilevano. Le situazioni da prendere in considerazione (quelle indicate come “circostanze”) pare che abbiano natura oggettiva; c) se il consumatore ha informato il professionista, prima della conclusione del contratto, che la consegna entro o ad una data determinata è essenziale. In questa ipotesi, viene invece dato il giusto rilievo ad una scelta soggettiva del consumatore di considerare il termine “essenziale” anche senza bisogno di indicarne la ragione (seppur questo comportamento, secondo il principio di buona fede, potrebbe rendere più agevole la prestazione del professionista); l’unica condizione è che informi il professionista prima della conclusione del contratto. Il decorso del termine con la mancata consegna provoca, quale conseguenza, la risoluzione di diritto del contratto con il diritto del consumatore ad ottenere dal professionista il rimborso, senza indebito ritardo, di tutte le somme versate in esecuzione del contratto, nonché il risarcimento del danno. L’art. 61 si chiude con il rinvio, a vantaggio del con© Wolters Kluwer 308 Capitolo VI sumatore, delle regole ed i diritti stabiliti dal codice civile sulla risoluzione del contratto (artt. 1453-1469) che fanno riferimento anche ad altre “vicende” circa l’adempimento, ossia l’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità. Le disposizioni appena descritte si presentano di particolare rilevanza poiché, in precedenza, uno degli aspetti più nevralgici della vendita (specie se a distanza) era regolata unicamente dalle disposizioni presenti nel codice civile che non ‘distinguono’ i contraenti sulla base di uno status. La nuova disposizione, dunque, sostituisce quelle previste nel codice civile quando vi sia una consegna che faccia riferimento ad un contratto tra un professionista ed un consumatore. Nulla è però mutato rispetto al “luogo” ed alle “modalità” della consegna che restano ascritte alle regole di cui agli artt. 1476 ss. c.c. Il termine di consegna è definito dapprima in modo indiretto, ossia “senza giustificato ritardo” e, solo dopo che le parti abbiano o meno regolato tale elemento, entro trenta giorni, limite non superabile senza conseguenze. La consegna si realizza con il trasferimento della “disponibilità materiale” o comunque del “controllo dei beni” al consumatore. Si tratta, in altre parole, quantomeno del trasferimento del possesso o “controllo dei beni”, intendendosi per tale – secondo il Considerando n. 51 della direttiva – la situazione in cui il consumatore o un terzo da questi designato “ha accesso ai beni per utilizzarli come proprietario, ovvero ha la possibilità di rivenderli (ad esempio, quando ha ricevuto le chiavi o ha preso possesso dei documenti di proprietà)”. La previsione non è molto dissimile dagli “effetti” dell’art. 1477 c.c. Di maggiore interesse è la possibilità, in caso di non rispetto del termine di consegna, di una “intimazione” (diplomaticamente indicata come “invito”) da parte del consumatore con la fissazione di un “termine supplementare appropriato alle circostanze”. Non è chiaro come si possa definire “appropriato” un termine, se non con riferimento alla tipologia di bene ed all’interesse personale del consumatore rispetto al medesimo. Con molta probabilità, detto termine sarà frutto di una “negoziazione” tra le parti entrambe interessate alla “conservazione” del contratto, del quale non sono state in grado (il professionista) di definire i termini, ovvero di rinunciare al bene (il consumatore). © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 309 Il consumatore non ha peraltro un obbligo generalizzato di concedere un termine supplementare che sussisterà solo qualora questa “dilazione” sia appropriata “alle circostanze”; circostanze collegate ad una situazione (per es. un bene chiaramente personalizzato) che rende equo un termine supplementare di durata ragionevole. Le situazioni in cui il termine supplementare non è dovuto – art. 61, co. 4 – non fanno che confermare un dato: l’essenzialità del termine non consente dilazioni, altrimenti non è essenziale ma ordinatorio. Quando poi il professionista dichiari espressamente che non intende consegnare il bene, il palesato inadempimento rende del tutto inutile la concessione di un ulteriore termine (peraltro, a fronte della condotta del professionista, del tutto immotivato). Per quanto riguarda le conseguenze della mancata consegna, occorre rilevare come si distinguano due ipotesi: a) quando il professionista non consegni il bene nel termine deciso dalle parti, di legge o supplementare, il consumatore ha diritto alla risoluzione del contratto, ossia a chiederlo secondo quanto disposto dall’art. 1455 c.c.; b) quando il professionista inadempiente non ha diritto al termine supplementare, il contratto è risolto immediatamente, posta la gravità dell’inadempimento rispetto al rifiuto di consegnare, ovvero al decorso di un termine essenziale. Vale la pena di aggiungere che, rispetto alla previgente previsione di cui all’art. 54, co. 2, cod. cons., l’art. 61 non prevede che il professionista – con il consenso espresso del consumatore – possa adempiere con una fornitura diversa da quella pattuita in caso di indisponibilità temporanea del bene o del servizio garantendo comunque il conseguimento di un certo livello di soddisfazione, in luogo di essere ‘costretto’ alla risoluzione. 18. Segue: b) il passaggio del rischio sui beni L’art. 1510, co. 2, c.c. prevede che il venditore si libera dagli obblighi derivanti dalla consegna nel momento in cui consegna i beni allo spedizioniere38. Tale norma, coordinata con il disposto dell’art. 1465 c.c., preve38 Previsione similare è nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili che, quindi, conferma un “favor” verso le esigenze del professionista. © Wolters Kluwer 310 Capitolo VI de l’obbligo per l’acquirente di pagare comunque il prezzo in caso di perimento per cause non imputabili al venditore della cosa venduta come, ad esempio, in caso di smarrimento o danneggiamento della spedizione. Nel caso di contratti conclusi a distanza o fuori dai locali commerciali il legislatore ha tuttavia voluto predisporre maggiori tutele per i consumatori. Per questo tipo di contratti infatti è previsto che i rischi si trasferiscano in capo all’acquirente solo nel momento in cui egli entra materialmente in possesso del bene acquistato o, in altre parole, con la consegna. L’art. 63 cod. cons. individua i margini di responsabilità connessi alla consegna dei beni. Detta disposizione prevede che, nei contratti che pongono a carico del professionista l’obbligo di provvedere alla spedizione dei beni, il rischio della perdita o del danneggiamento dei beni, per causa non imputabile al venditore, si trasferisce al consumatore soltanto nel momento in cui quest’ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal vettore, entra materialmente in possesso dei beni. Sul punto, la Relazione illustrativa del decreto chiarisce che “Rispetto al corrispondente art. 20 della direttiva, è stata utilizzata “entra materialmente in possesso dei beni” in luogo di “acquisisce il possesso fisico dei beni” per rimarcare che si fa riferimento non al possesso ma all’acquisizione materiale dei beni, che costituisce una deroga, più favorevole al consumatore rispetto alla disposizione prevista dall’art. 1510, co. 2, del Codice civile (che in materia di vendita di cose mobili, disciplina il luogo della consegna) per la quale il venditore si libera dall’obbligo della consegna con il trasferimento del bene al vettore o allo spedizioniere”. Tuttavia, il rischio si trasferisce al consumatore già nel momento della consegna del bene al vettore qualora quest’ultimo sia stato scelto dal consumatore e tale scelta non sia stata proposta dal professionista, fatti salvi i diritti del consumatore nei confronti del vettore. 19. Segue: c) le tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento L’art. 62 cod. cons. riguarda le tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento. In applicazione dell’art. 13, co. 4, del D.Lgs. n. 11/201039, i professio39 D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, Attuazione della dir. 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle dir. 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la dir. 97/5/CE. L’art. 13, rubricato “Spese applicabili”, dispone: “1. Il prestatore di servizi di pagamento non può addebitare all’utilizzatore dei servizi di pagamento le spese sostenute per l’adozione di misure correttive e preventive ai sensi del presente Titolo, salvo quanto previsto negli articoli 16, comma 4, 17, comma 5, e 24, © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 311 nisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di tali strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista 40. È espressamente previsto che l’istituto di emissione della carta di pagamento debba riaccreditare al consumatore i pagamenti in caso di: a) addebito eccedente rispetto al prezzo pattuito, ovvero b) uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L’istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore41. L’articolo in commento rappresenta la trasposizione dell’art. 19 della dir. 2011/83/UE42 e si configura in una linea di continuità con la disciplina comunitaria dei servizi di pagamento, di cui alla dir. 2007/64/CE, parte di una politica comunitaria tesa a privilegiare gli strumenti elettronici di pagamento per molteplici finalità, tra le quali la lotta contro la contraffazione, un maggiore controllo circa l’elusione fiscale, nonché comma 2. Quando applicabili, le spese sono concordate tra l’utilizzatore e il prestatore di servizi di pagamento in modo da risultare adeguate e coerenti con i costi effettivamente sostenuti da quest’ultimo. 2. Se un’operazione di pagamento non comporta conversioni valutarie da parte del prestatore di servizi di pagamento del pagatore, il pagatore e il beneficiario sostengono ciascuno le spese applicate dal rispettivo prestatore di servizi di pagamento. Resta impregiudicata la possibilità di prevedere forme di esenzione del beneficiario, nel caso sia un consumatore, da spese per accredito di somme, ivi inclusi gli emolumenti a favore di pensionati e lavoratori dipendenti. 3. Il prestatore di servizi di pagamento consente al beneficiario di applicare al pagatore una riduzione del prezzo del bene venduto o del servizio prestato per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento compreso nell’ambito d’applicazione del presente decreto. 4. Il beneficiario non può applicare spese al pagatore per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento. La Banca d’Italia può stabilire con proprio regolamento deroghe tenendo conto dell’esigenza di promuovere l’utilizzo degli strumenti di pagamento più efficienti ed affidabili. 5. Le disposizioni del presente articolo non producono effetti sul pagamento di eventuali spese concordate tra prestatori di servizi di pagamento o soggetti di cui essi si avvalgono”. 40 Si consideri, inoltre, quanto prevede l’art. 21, co. 3-bis, cod. cons, laddove stabilisce che: “È considerata, altresì, scorretta la pratica commerciale che richieda un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi”. 41 La disposizione recita: “1. Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti, ovvero nei casi espressamente stabiliti, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista. 2. L’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti in caso di addebitamento eccedente rispetto al prezzo pattuito ovvero in caso di uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. L’istituto di emissione della carta di pagamento ha diritto di addebitare al professionista le somme riaccreditate al consumatore”. 42 “Gli Stati membri vietano ai professionisti di imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista per l’uso di detti strumenti”. © Wolters Kluwer 312 Capitolo VI l’incremento della contrattazione a distanza43. Mentre gli aspetti di natura “pubblicistica” fanno riferimento ad esigenze d’ordine statuale (anche a livello europeo) quest’ultima esigenza ha decisi impatti sul mercato interno dal punto di vista economico. Se, infatti, si favorisce un completo “circuito” finanziario paperless, al di là dei profili di sicurezza “tecnica”, non possono non crearsi delle migliori condizioni per l’incremento delle contrattazioni per es. on line. Per questa ragione, appare evidente, come rafforzare la “neutralità” di tali strumenti, sul versante dei costi, favorisca la fiducia dei consumatori sul loro impiego. Non si è ancora giunti alla previsione di un divieto sull’introduzione di spese “specifiche” per l’uso di strumenti di pagamento senza contante, né di una totale liberalizzazione tariffaria, ma almeno con la direttiva sui consumatori si è scelto un compromesso che è quello di evitare l’aggiunta, a vantaggio del professionista, di un ulteriore costo a carico del consumatore oltre quello definito dal fornitore dei servizi di pagamento. Non vi è dunque un divieto ma neppure un obbligo. Viene lasciata la scelta al professionista se far gravare sul consumatore il costo del servizio di pagamento e, se sceglie questa soluzione, tale costo non deve superare quello dovuto dal professionista al prestatore dei servizi di pagamento. Potrebbe dunque consistere anche una quota del medesimo, sicché viene regolata una ripartizione (magari commisurata al prezzo pagato dal consumatore per l’operazione effettuata) tra il professionista ed il consumatore, entrambi “soggetti” – e terzi – rispetto allo strumento di pagamento. Quanto detto appare di particolare rilievo per la contrattazione telematica ma non si può intendere riduttivamente l’ambito della disposizione. Le indicazioni sul costo dei servizi di pagamento, riguarda ogni modalità (effetti cambiari, contrassegno, assegni, ecc.) e anche ogni modalità di conclusione dei contratti, non escluse quelle in forma tradizionale. L’art. 62, co. 2, cod. cons., passa dalla situazione generale ad una particolare, ossia, quella in cui è coinvolto – nell’operazione economica – un istituto di emissione di carte di pagamento. A detto istituto è posto un preciso obbligo di riaccredito al consumatore, quando gli sia stato addebitato un importo eccedente rispetto al prezzo pattuito. Si tratta, in questo caso – indipendentemente se la responsabilità dell’errore sia da addebitare al professionista ovvero all’istituto di emissione – di una dif43 Sui sistemi di pagamento elettronico (ed il loro valore) si rinvia al Capitolo IV, par. 9 e 10. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 313 formità tra il prezzo pattuito e quello che il consumatore, per effetto dell’errore, si trova addebitato. Il riaccredito va disposto anche nei casi in cui si sia presentato un comportamento fraudolento da parte del professionista o di un terzo. Il riferimento all’uso “fraudolento” richiama fattispecie penalistiche (ovviamente la truffa, compresa quella informatica) ma non è chiaro se tale situazione riguardi anche i comportamenti semplicemente contrari a buona fede del professionista (o di un terzo) rispetto alla vicenda contrattuale. Va da sé che, a seguito di una denuncia che palesi estremi di un reato, vi è ragione più che sufficiente per ritenere indebito ogni trattenimento nei confronti del professionista e, di conseguenza, l’istituto di emissione non può non essere tenuto alla restituzione. Nel caso di riaccredito delle somme al consumatore, l’istituto emittente provvedere ad addebitarle al professionista, così come normalmente gli accredita i costi per l’”operazione” tranne quando il disguido o l’errore nei pagamenti sia dovuto a responsabilità di detto istituto. 20. Segue: d) le comunicazioni telefoniche ed i pagamenti supplementari Il quadro degli “altri” diritti dei consumatori si conclude con due previsioni, l’una riferita all’impiego di linee telefoniche “dedicate” (con i numerosi profili di criticità per i “numeri” a pagamento), l’altra in tema di pagamenti supplementari. L’art. 64 cod. cons. prevede che qualora il professionista utilizzi “una linea telefonica allo scopo di essere contattato in merito al contratto concluso, il consumatore non è obbligato a pagare più della tariffa di base, fermo restando il diritto dei fornitori dei servizi di comunicazione elettronica di applicare una tariffa per dette telefonate”44. La previsione descrive il fenomeno dei c.d. “Call center”, ovvero i “numeri” che il professionista “dedica”, quale front-office per mantenere un diretto contatto con i consumatori. 44 Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 20 febbraio 2015 (http://www.governo.it/Governo/ ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=77929), ha approvato il D.D.L. sulla concorrenza che, all’art. 23 (rubricato “Costo delle chiamate ai servizi di assistenza ai clienti”) prevede: “1. Gli istituti bancari e le società di carte di credito assicurano che l’accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffazione ordinaria urbana. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigila sulla corretta applicazione della presente disposizione” (v. il testo del provvedimento in http://www.governo.it/ backoffice/allegati/77929-10028.pdf). La previsione tutela tutti i “clienti”, indipendentemente che siano o meno dei consumatori. © Wolters Kluwer 314 Capitolo VI È lasciato al professionista stabilire quali siano i contenuti dei “contatti” e quali siano le parti del contratto che li riguarderanno, fermo restando che, anche per questa via, permane l’obbligo a svolgere correttamente le proprie attività, con particolare riferimento ai contenuti informativi che vengono indicati al consumatore. Potrebbero trattarsi di servizi aggiuntivi che il consumatore potrebbe essere anche disposto a pagare. L’obiettivo della direttiva non è, però, quello di entrare nelle dinamiche aziendali, quanto quello di evitare che con la richiesta al consumatore di “interagire” attraverso un collegamento telefonico, questo si trasformi in un espediente per costruire una situazione lucrosa per il professionista a danno del consumatore. Questo non vuol dire, al contrario, che trattandosi di un “servizio” – svolto da professionisti del settore, spesso in outsourcing – non debba prevedere un addebito nei confronti del professionista e del consumatore (per quest’ultimo secondo la tariffa “base”). Infine, l’art. 65 cod. cons. disciplina le ipotesi di pagamenti supplementari. La disposizione recita: “Prima che il consumatore sia vincolato dal contratto o dall’offerta, il professionista deve chiedere il consenso espresso del consumatore per qualsiasi pagamento supplementare oltre alla remunerazione concordata per l’obbligo contrattuale principale del professionista. Se il professionista non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l’ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare il pagamento supplementare, il consumatore ha diritto al rimborso di tale pagamento”. I pagamenti supplementari sono pagamenti per ulteriori prestazioni accessorie del professionista che possono o meno accedere al contratto principale. Possono, dunque, prevedere una remunerazione “separata” (si pensi, per es., al “diritto di chiamata”) a condizioni che il consumatore abbia espresso un consenso “effettivo” rispetto a tale maggiorazione. Può accadere che, nella procedura di realizzazione dell’operazione contrattuale, il “meccanismo” preveda delle “scelte” del consumatore senza che questi – accettando, per es., delle ulteriori prestazioni (ovviamente non fondamentali rispetto all’oggetto principale del contratto) – si sia reso conto che queste decisioni, in realtà maggioravano il costo complessivo. Qualora il consenso non sia stato espresso ma sia divenuto la risultante del “meccanismo”, il consumatore ha diritto al rimborso delle © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 315 spese pagate per i “supplementi” e, aggiungiamo, anche il diritto al risarcimento dei danni. La previsione di “sistemi” che realizzando “indirette” accettazioni di prestazioni supplementari a vantaggio dei professionisti – data la loro valenza “procedimentale” – dovrebbero essere sottoposte anche al vaglio nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette. 21. Le garanzie per il bene acquistato: evizione e vizi della cosa Uno degli aspetti più rilevanti che ostacolano lo sviluppo del commercio elettronico è la diffusa idea che non siano presenti delle regole giuridiche in grado di assicurare al consumatore delle “garanzie” sul bene acquistato on line. Prima di continuare è bene evidenziare che la maggior parte di noi attribuisce al termine “garanzia” un significato che può divergere molto da quanto prevede il diritto che distingue tra garanzie “reali” è “personali”. Si ritiene, invece, che essere “garantiti” significa essere resi esenti da qualsiasi rischio. In realtà, con tutta evidenza, non si può immaginare che la vendita che avvenga on line possa essere assistita da garanzie superiori a quelle che “ordinariamente” concernono la vendita, così come molto spesso non è ben chiaro proprio quali siano queste garanzie “standard”. Il codice civile prevede, all’art. 1476 c.c., che sono obbligazioni principali del venditore: 1) quella di consegnare la cosa al compratore; 2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; 3) quella di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. Da quanto detto si evidenziano due tipologie di garanzia. Quella per “evizione” e quella “per vizi della cosa”. La prima ipotesi ricorre quando il compratore è privato del diritto sulla cosa acquistata in quanto è stato accertato in via definitiva che detta cosa è, in realtà, di proprietà altrui (artt. 1483-1489 c.c.). Il venditore non poteva quindi rivenderla e, comunque, il compratore non poteva acquistarne la proprietà. Si può avere evizione per effetto di una sentenza con cui è annullato il titolo di acquisto del venditore o, previo riconoscimen- © Wolters Kluwer 316 Capitolo VI to del diritto di proprietà di un terzo, il compratore è condannato a rilasciare la cosa. Il compratore evitto può chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (pagato o da pagare) se la proprietà rivendicata da altri è parziale. Può inoltre chiedere il risarcimento del danno se il venditore ha agito colposamente, ossia conoscendo o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza che il bene apparteneva ad altri. La garanzia per vizi è invece l’obbligo posto in capo al venditore di garantire “che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore” (art. 1490 c.c.). A differenza dell’evizione, non si tratta dunque di vizi che attengono alla condizione giuridica del bene venduto, ma di imperfezioni materiali che incidono sul valore o sulle possibilità di utilizzazione della cosa, dipendenti solitamente da anomalie dovute al processo di fabbricazione o di conservazione. Come per la garanzia per evizione, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, ovvero la riduzione del prezzo in relazione alla diminuzione del valore del bene a causa dei vizi in esso presenti. Può inoltre chiedere il risarcimento dei danni se il venditore ha agito colposamente (e, a maggior ragione, dolosamente), ossia conoscendo o potendo conoscere, con l’ordinaria diligenza, la difettosità del bene. Tali vizi o difetti, perché possa azionarsi la garanzia, devono sussistere già al momento della conclusione del contratto, anche se possono manifestarsi successivamente (ma solo come conseguenza di una causa preesistente). La garanzia non è dovuta, ai sensi dell’art. 1491 c.c., quando il compratore conosceva i vizi della cosa già al momento della conclusione del contratto o qualora i vizi stessi fossero facilmente riconoscibili, salvo, in quest’ultima ipotesi, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi, così inducendo in inganno il compratore. Si considerano vizi facilmente riconoscibili quelli che non presuppongono particolari sforzi di diligenza nel controllare la conformità del bene al contratto, ma sono individuabili a prima vista. Naturalmente, quello che potrebbe essere considerato uno “sforzo di diligenza” per il comune consumatore può non essere tale per un acquirente in possesso di specifiche conoscenze tecniche. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 317 La Corte di cassazione ha stabilito che “l’art. 1491 c.c., escludendo la garanzia qualora i vizi siano facilmente riconoscibili al momento della conclusione del contratto, pone a carico del compratore un onere di verifica della merce, posto che l’obbligo della garanzia per vizi sorge a carico del venditore limitatamente a quei difetti o manchevolezze della cosa di cui il compratore non potrebbe accorgersi adottando quella diligenza la cui omissione costituirebbe colpa grave. La norma infatti non esige da parte dell’acquirente un esame particolarmente accurato della merce, ma quel controllo a cui non può sfuggire l’individuazione dei vizi che siano percepibili prima facie, in relazione quindi anche alla particolare situazione in cui lo stesso compratore si trovi, pure nei riguardi della merce (si pensi, ad esempio, alla compravendita conclusa tra assenti o relativa a merce già imballata, e cioè ai casi in cui il controllo non sia possibile od agevole), ed alle cognizioni che, tenuto conto della sua condizione egli abbia o sia tenuto ad avere”45. La garanzia viene in essere, al contrario, quando i vizi non fossero facilmente riconoscibili da parte del compratore al momento della conclusione del contratto. Questi vizi sono detti “vizi occulti” e devono essere denunciati al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito eventualmente dalle parti o dalla legge (art. 1495, co. 1, c.c.). Il termine indicato decorre – secondo i nostri giudici – dal momento “in cui il compratore abbia acquisito certezza e non semplice sospetto che il vizio sussista”46. La denuncia non è necessaria quando il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizi medesimo oppure li abbia occultati (art. 1495, co. 2, c.c.). Il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa “può avvenire anche tacitamente, mediante il compimento di atti incompatibili con l’intenzione di respingere la pretesa del compratore o di far valere la decadenza, ciò che si ha quando il venditore provvede ad effettuare riparazioni a mezzo di propri tecnici oppure si offre di riparare o sostituire la cosa venduta, poiché con tali comportamenti mostra di aver accettato la denunzia del compratore senza porre alcuna questione in ordine alla sua tempestività e di aver ritenuto suo obbligo procedere all’eliminazione dei vizi, riconoscendo implicitamente, ma chiaramente, 45 46 Cass., 26 agosto 1993, n. 9008. Cass., 3 agosto 1994, n. 7202. © Wolters Kluwer 318 Capitolo VI che la denuncia del compratore era fondata”47. Inoltre, il riconoscimento da parte del venditore dei vizi della cosa venduta ed il contestuale impegno che egli assuma di eliminarli mediante le riparazioni o la sostituzione del prodotto difettoso con un altro, determina la costituzione di una nuova obbligazione, autonoma rispetto a quella originaria di garanzia e come tale svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c. (un anno), ma soggetta alla ordinaria prescrizione decennale. Per quanto concerne, invece, le modalità della denunzia da parte del compratore, non sono previste forme particolari. Quanto alla tempestività della denunzia, la Cassazione afferma che “deve essere verificata con riferimento al momento in cui essa è emessa e non a quello in cui è ricevuta dal destinatario”48. Ma la denunzia dei vizi “può essere fatta, in difetto di diversa previsione, con qualunque mezzo idoneo, e quindi anche mediante comunicazione telefonica”49. La prova dell’omessa o intempestiva denunzia è naturalmente a carico del venditore, e ciò si desume dalla semplice considerazione che è il compratore ad aver diritto all’azione di garanzia per i vizi della cosa, spettando dunque al venditore eccepire, offrendone le prove, che la denunzia non è stata effettuata o è pervenuta oltre i termini di legge. Se, successivamente alla denunzia di un vizio, ne sopravviene un altro, il compratore deve denunziare anche questo entro i termini previsti dalla legge, a meno che il secondo vizio non sia conseguenza del primo. In ogni caso, si tenga presente che l’azione per fare valere la garanzia per vizi si prescrive nel termine di un anno. Si parla anche di vizi c.d. “apparenti”, quando si tratta di difetti del bene che risultano oggettivamente riconoscibili con l’ordinaria diligenza. In questi casi, il termine per la denunzia al venditore non decorre dal giorno della scoperta, bensì da quello in cui il compratore è stato in grado di esaminare la merce, e cioè dal giorno della consegna. Del resto, lo stesso art. 1511 c.c., stabilisce che, nell’ipotesi di vendita di cose da trasportare da un luogo ad un altro, il termine per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno del ricevimento. 47 Cass., 12 giugno 1991, n. 6641. Cass., 27 gennaio 1986, n. 539. 49 Cass., 15 gennaio 1991, n. 328. 48 © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 319 22. Segue: la mancanza di qualità, la vendita di “cosa diversa” e la garanzia “di buon funzionamento” Diversa da quelle finora descritte è la garanzia per mancanza delle qualità promesse (art. 1497 c.c.) che stabilisce il diritto dell’acquirente ad ottenere la risoluzione del contratto, secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, nel caso in cui la cosa venduta non presenti le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Si tratta della cosiddetta “mancanza di qualità promesse o essenziali”, che si distingue dai vizi del bene in quanto questi ultimi attengono alle imperfezioni ed ai difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa, mentre la prima è inerente la natura della merce, e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra (si tratta di elementi che esprimono la funzionalità, l’utilità, il pregio della cosa). Quest’ultima situazione – specialmente per la “promessa” delle qualità di un prodotto – ha notevole rilevanza negli acquisti su Internet, laddove il bene potrebbe essere pubblicizzato e “presentato” in modo tale da ingenerare un affidamento sulle sue qualità. La disciplina del diritto alla risoluzione del contratto spettante al compratore in caso di mancanza delle qualità promesse o essenziali è identica rispetto a quella prevista per i vizi, ad eccezione del riscontro della colpa del venditore (le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, infatti, presuppongono - a differenza dall’ipotesi della risoluzione per vizi – l’accertamento della colpa del soggetto inadempiente); l’esercizio dell’azione è soggetta agli stessi termini di decadenza e prescrizione, e la giurisprudenza ammette la possibilità di agire anche con l’azione di riduzione e quella - autonoma - di risarcimento del danno. La “lamentela” sulla mancanza di qualità, a differenza della presenza di un vizio, non prevede la possibilità di richiedere la riduzione del prezzo. Ancora diversa dalla garanzia per i vizi e per la mancanza di qualità è l’ipotesi della consegna di aliud pro alio (una cosa per un’altra), che ricorre, per l’appunto, quando viene consegnato un bene completamente diverso da quello pattuito, ma anche “quando la cosa venduta presenti © Wolters Kluwer 320 Capitolo VI difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto”50. In questo caso il compratore è tutelato con l’ordinaria azione di risoluzione (non soggetta ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.) ovvero, alternativamente, con l’azione di esatto adempimento. 23. Altre garanzie. La garanzia dei beni di consumo. Le disposizioni sopra brevemente descritte delineano, come si è compreso, il sistema legale “minimo” di garanzie a tutela del consumatore contro i vizi della cosa venduta vigente nel nostro codice civile. L’art. 1490 c.c. consente, comunque, la stipula di patti che escludano o limitino la garanzia per i vizi, ma tali patti non hanno effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa. La Cassazione afferma che “la garanzia legale per i vizi della cosa venduta può, con apposita clausola contrattuale, essere modificata in modo da aumentare la garanzia medesima, potendo essere estesa anche a vizi non redibitori ovvero prevedere l’azione di esatto adempimento a favore del compratore alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia legale, di cui all’art. 1492 c.c., di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo. In tal caso, all’azione di esatto adempimento non sono applicabili i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art.1495 c.c., propri delle azioni derivanti dalla garanzia legale”51. Con apposita clausola contrattuale – sulla base dell’art. 1512 c.c. – può altresì essere prevista la “garanzia di buon funzionamento” della cosa: “se il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta, il compratore, salvo patto contrario, deve denunziare al venditore il difetto di funzionamento entro trenta giorni dalla scoperta, a pena di decadenza. L’azione si prescrive in sei mesi dalla scoperta. Il giudice, secondo le circostanze, può assegnare al venditore un termine per sostituire o riparare la cosa in modo da assicurarne il buon funzionamento, salvo il risarcimento dei danni. Sono salvi gli usi i quali stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso”. 50 51 Cass., 13 gennaio 1997, n. 244. Cass., 4 settembre 1991, n. 9352. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 321 Tale garanzia, che – quando prevista – opera autonomamente ed indipendentemente dalle regole legali della garanzia per i vizi della cosa venduta e della responsabilità per mancanza delle qualità promesse, può essere pattuita per rafforzare la posizione del compratore assicurata dalla generale disciplina per i vizi della cosa, operante invece anche nel silenzio dei contraenti, ma potrebbe anche costituire la sola garanzia voluta dalle parti, con esclusione dunque della garanzia ex art. 1490 c.c. In caso contrario, e cioè quando la garanzia legale per i vizi non sia esclusa, pur essendo stata pattuita la garanzia di buon funzionamento, qualora il compratore agisca per la risoluzione del contratto, ex art. 1492 c.c., senza porre alcuna pretesa fondata sulla garanzia di buon funzionamento, il giudice non può accogliere la richiesta – formulata dal venditore - di concessione di un termine per sostituire o riparare la cosa52. 24. Le garanzie nella vendita di beni di consumo nel Codice del consumo La disciplina della “vendita dei beni di consumo” (precedentemente contenuta, negli artt. 1519-bis. ss. c.c.) è ora contenuta nel Codice del consumo (artt. 128-135) con una titolazione non chiarissima: il riferimento alla “vendita di beni di consumo” (senza alcun riferimento alla “garanzia” che è il reale oggetto) non fa configurare tale vendita quale tipologia “speciale” di vendita di beni mobili, da una parte perché la disciplina vale per altri contratti e non solo per la (compra)vendita e, dall’altra, e ben più importante, trattasi dell’introduzione di una garanzia “legale” d’ordine generale e non particolare53. L’unica differenza è l’inapplicabilità ai beni immobili54. Per evitare problemi nei rapporti con altre discipline di tutela del consumatore e con il regime garanzie previste nel codice civile, l’art. 135 cod. cons. si premura di indicare che le disposizioni “non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”. Lo stesso vale anche per il venditore (si 52 Cass., 17 settembre 1981, n. 5155. V., di recente, R. CALVO, Il regime dei rimedi nelle vendite al consumo, in V. ROPPO, Trattato dei contratti, vol. I, Vendita e vendite, a cura di P. Sirena, Milano, 2014, p. 399 ss. 54 La disciplina non trova applicazione neppure ai contratti aventi ad oggetto servizi, diritti di credito e diritti di godimento. 53 © Wolters Kluwer 322 Capitolo VI pensi nei rapporti con il suo dante causa, come, del resto, indicato nell’ambito del diritto di regresso). Per quanto non previsto dal Codice del consumo dedicato alle garanzie nella vendita di beni di consumo, soggiunge l’art. 135, co. 2, “si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita”, ossia, in altre parole, alle garanzie che abbiamo già visto in precedenza. Le disposizioni sulle garanzie nella vendita di beni di consumo ha carattere imperativo: “È nullo ogni patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente capo. La nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice” (art. 134, co. 1, cod. cons.). Per quanto attiene all’impiego, per regolare il rapporto, della legislazione di un altro paese, l’art. 134, co. 3, prevede la nullità di “ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente paragrafo, laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea”. Questo significa che la protezione è assicurata solo se il contratto ha uno stretto collegamento con il territorio comunitario; quindi se si applica una legislazione di un paese ed il contratto non presenta “uno stretto collegamento”, la protezione del consumatore è esclusa. Nel passare all’esame delle disposizioni, l’art. 128 cod. cons. reca l’ambito di applicazione e le definizioni: 55 - per beni di consumo s’intendono qualsiasi bene mobile , tranne i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; l’energia elettrica; - per venditore, s’intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1”; 55 Tra questi rientrano anche beni immateriali, come i programmi per elaboratore, anche se non incorporati in un supporto materiale. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 323 - per garanzia convenzionale ulteriore, s’intende “qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore56, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità”; - per riparazione, s’intende “nel caso di difetto di conformità, il ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto di vendita”. Si tratta di una disciplina applicabile non solo alla vendita, ma anche ai contratti di somministrazione, di appalto, di opera, di permuta, e più in generale a tutti i contratti finalizzati, secondo la prescrizione comunitaria, alla fornitura di beni da fabbricare o produrre quando detti contratti abbiano per oggetto beni di consumo. Nella definizione di “garanzia” commerciale il legislatore italiano ha chiarito che si tratta di una garanzia “convenzionale” (ossia stabilita liberamente dalle parti) ed “ulteriore” a chiarire che il regime introdotto concerne la garanzia che opera di default. 25. Segue: il principio di conformità dei beni al contratto L’art. 129 cod. cons. prevede, anzitutto, che il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto. La conformità è presunta se coesistono le seguenti circostanze: a) i beni sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello; c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura; 56 Il produttore è il fabbricante o l’importatore del bene di consumo nel territorio della Comunità europea o qualsiasi altra persona che si presenta come produttore apponendo sul bene di consumo il suo nome, marchio o altro segno distintivo. © Wolters Kluwer 324 Capitolo VI d) sono altresì idonei all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti. La disposizione con un “se pertinenti” intende escludere la necessità della ricorrenza sempre di tutte le circostante potendosi presentare casi in cui ne ricorrano solo alcune. L’articolo affronta anche un punto “dolente”: quello relativo all’installazione dei beni acquistati. Il difetto di conformità che deriva alla installazione, ai sensi dell’art. 129, co. 5, cod. cons., “è equiparato al difetto di conformità del bene quando l’installazione è compresa nel contratto di vendita ed è stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilità. Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione”. Si tratta di una indicazione molto importante poiché in alcuni beni (l’esempio va alla vendita di computers) è nota l’altalenante giurisprudenza sull’accessorietà dell’installazione del bene consegnato, ovvero sulla sua ascrizione nel novero delle obbligazioni del venditore. In relazione alle “dichiarazioni pubbliche” sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura, il venditore non è vincolato se, in via alternativa, possa dimostrare che: 1) ignorava la dichiarazione e non poteva conoscerla con l’ordinaria diligenza (si pensi alle dichiarazioni rese da un agente all’insaputa della Casa mandante); 2) la dichiarazione è stata corretta al più tardi al momento della conclusione del contratto ed il consumatore ne era a conoscenza; 3) la dichiarazione non ha influenzato la decisione di acquisto del consumatore. Nel caso di dichiarazione corretta successivamente, la formulazione richiede che le correzioni siano adeguate sotto il profilo del contenuto sia che tali correzioni siano state rese conoscibili al consumatore, trattandosi di due profili sostanzialmente diversi, l’uno riguardante l’oggetto delle dichiarazioni, l’altro la possibilità di percezione da parte dei destinatari del messaggio pubblicitario originario. In sostanza la “smentita” per essere efficace e liberare la responsabilità del venditore, deve esse© Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 325 re effettuata nella stessa forma della dichiarazione cosicché possa risultare improbabile che il consumatore abbia percepito la dichiarazione e non la successiva rettifica. Il difetto di conformità non si riscontra se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore lo conosceva o non poteva non conoscerlo con l’ordinaria diligenza. Il difetto, altresì, non rileva se sia stato causato dal consumatore stesso con istruzioni o con materiali da lui forniti al venditore. In quest’ultimo caso è evidente il riferimento al contratto d’opera o d’appalto. 26. Segue: i diritti del consumatore L’art. 130 cod. cons., rubricato “Diritti del consumatore”, stabilisce, al co. 1, che il venditore “è responsabile» per «per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene”57. Lo stesso articolo stabilisce poi i diritti del consumatore che sono: a) quello del ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione; b) quello della riduzione adeguata del prezzo e, infine, qualora a) e b) siano impraticabili, c) quello della risoluzione del contratto, ad eccezione del caso in cui il difetto di conformità, non risolvibile con la riparazione o la sostituzione, sia di lieve entità (restando possibile solo la riduzione del prezzo). La scelta sulla riparazione o sostituzione spetta al consumatore a condizione che una scelta non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente onerosa rispetto all’altra. La scelta operata dal consumatore si considera eccessivamente onerosa qualora, rispetto all’altra possibilità, imponga al venditore spese irragionevoli, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell’entità del difetto di conformità; c) dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. 57 M. PALADINI, I rimedi al difetto di conformità nella vendita di beni di consumo, in AA.VV., La tutela dei consumatori in Internet e nel commercio elettronico, op. cit., p. 351 ss. © Wolters Kluwer 326 Capitolo VI Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene. Qualora la sostituzione sia risultata insoddisfacente, si ritiene che a partire dalla consegna del bene sostitutivo operi, su quest’ultimo, una nuova garanzia, per cui il consumatore può pretendere una nuova sostituzione ovvero la riparazione anche di quest’ultimo. Il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo sopra descritto; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene. È interessante la previsione che concerne l’indicazione, da parte del venditore, di un qualsiasi “rimedio” per ripristinare la conformità del bene qualora il consumatore, dopo la denuncia del difetto di conformità, non abbia effettuato alcuna scelta, rispetto alla riparazione ovvero alla sostituzione del bene. Il venditore, ad esempio, potrebbe offrire un diverso bene rispetto a quello oggetto del contratto del quale è stato riscontrato un difetto di conformità. Questa possibilità è però espressamente impraticabile nel caso di vendita a distanza, poiché è esclusa la sostituibilità del bene da parte del venditore anche con un bene di valore superiore a quello ordinato. Il consumatore può accettare o respingere la soluzione offerta dal venditore scegliendo un altro rimedio tra quelli previsti dall’articolo in commento. Non è detto in quale forma debba avvenire l’accettazione né se la mancata risposta circa la soluzione eventualmente offerta dal venditore imponga a quest’ultimo di richiedere espressamente una scelta sulle altre possibilità indicate dall’articolo. © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 327 La possibilità di soluzioni alternative è di estrema importanza, allorché la proposta del venditore consista nell’avvio di una procedura conciliativa, in cui la scelta del rimedio sia affidata ad un terzo. La pronta comunicazione che il consumatore deve dare al venditore della riparazione o sostituzione del bene effettuata dal terzo è, peraltro, evidentemente finalizzata allo scopo di documentare le spese anticipate per ottenere il rimborso. 27. Segue: i termini per l’esercizio dei diritti L’art. 132 cod. cons. stabilisce i termini per l’esercizio dei diritti da parte del consumatore. Il venditore è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro il temine di due anni dalla consegna del bene. Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Nel caso di beni usati, le parti possono limitare la durata della responsabilità di cui all’art. 132, co. 1, ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno. II consumatore decade dalla possibilità di esperire i “rimedi” previsti dall’art. 130 se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto. La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto o l’ha occultato. Una volta effettuata la denuncia, il consumatore deve esercitare l’azione entro 26 mesi dalla consegna del bene. Nel caso in cui il consumatore sia convenuto per l’esecuzione del contratto, questi può far valere i suddetti diritti, purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di prescrizione dell’azione. Il venditore finale, infine, ai sensi dell’art. 131, ha il diritto di regresso, quando il difetto di conformità sia imputabile ad una azione o ad una omissione del produttore, o di un precedente distributore. L’art. 131, poi, stabilisce le condizioni per il diritto di regresso del venditore, nei confronti dei suoi dante causa nella catena distributiva, qualora il difetto di conformità, di cui ha reso indenne il consumatore, sia imputabile ad una azione od omissione “del produttore, di un precedente © Wolters Kluwer 328 Capitolo VI venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario”. L’azione è possibile entro un anno da quando il venditore ha ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, fatto salvo patto contrario o rinuncia. 28. La garanzia accessoria o convenzionale L’art. 133 cod. cons. delinea la garanzia “commerciale” o, come è stata denominata, “garanzia convenzionale”. La garanzia convenzionale può essere prestata da chiunque (e non solo dal venditore) e, normalmente, viene prevista dal produttore. La dichiarazione relativa alla garanzia deve almeno indicare: a) la specificazione che il consumatore è titolare dei diritti previsti dagli artt. 128 ss.; b) che la garanzia medesima lascia impregiudicati tali diritti; c) l’oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, compresi la durata e l’estensione territoriale della garanzia, nonché il nome o la ditta e il domicilio o la sede di chi la offre. In sostanza la garanzia aggiuntiva deve fare comprendere la differenza con quella legale per cui deve essere indicata la protezione “ordinaria” del consumatore. La garanzia accessoria deve essere esplicitata in modo chiaro e comprensibile nonché essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue. La garanzia accessoria. proprio per il suo sorgere da un atto di autonomia negoziale, è valida anche se non rispetta le prescrizioni dell’art. 133 ed il consumatore “può continuare ad avvalersene ed esigerne l’applicazione”. È evidente, con questa previsione, l’obiettivo di non veder sacrificata la decisione di acquisto del consumatore magari proprio fondata sul pregio della garanzia accessoria. 29. Conseguenze della garanzia dei beni di consumo nella vendita on line Come si è accennato le “garanzie” nella vendita dei beni trovano applicazione anche nel caso in cui la vendita avvenga attraverso Internet. La © Wolters Kluwer La tutela dei consumatori. Obblighi informativi, consegna, recesso e garanzie 329 disciplina contenuta nel Codice del consumo ad una lettura attenta risulta particolarmente incisiva al riguardo. Essa, infatti, tutela maggiormente il consumatore contrapponendosi a quella prevista dal codice civile, poiché fa riferimento come “difetti” ad elementi soggettivi e non (solo) oggettivi. Anche in rapporto alla situazione di cui all’art. 1497 c.c. (mancanza di qualità promesse), la tutela è ben maggiore. Vediamone ora le conseguenze nella dinamica on line. Tolti i casi di vendita di beni immobili e di servizi, tutti i venditori sono soggetti alla disciplina che fa scattare la “garanzia” semplicemente a fronte dell’idea che il consumatore si fa del bene, attraverso l’attività precontrattuale del professionista. Ciò significa che grava sul venditore l’attenzione affinché nella descrizione del bene e nella sua possibile raffigurazione offerta sulla pagina web non sia – anche senza colpa – possibile una “rappresentazione” diversa del bene (si pensi, per es., al colore, etc.). La questione è, ovviamente, legata alla stessa natura dei mezzi telematici che non consentono una assoluta “esattezza” nella indicazione dei prodotti posti in vendita, se non con una attenta predisposizione degli elementi atti ad indicare al consumatore tutte le caratteristiche dei prodotti medesimi. Attualmente, tuttavia, tranne per i prodotti tecnici (quelli, cioè, assistiti da una “scheda tecnica”) non pare che i venditori on line abbiano prestato molta cura nell’ingenerare una conformità del bene al contratto. Il fatto che non ci sia un contatto fisico del consumatore con il bene compravenduto aumenta dunque i rischi che il bene stesso, nel momento in cui il consumatore lo riceve, non sia quello che ci si poteva ragionevolmente attendere. 30. La “garanzia” per i danni “da cosa difettosa” In ultimo è il caso di spendere qualche parola sulla possibilità di risarcimento del danno patito dall’acquirente nel caso di prodotti difettosi. Ci troviamo, anzitutto, di fronte alle responsabilità contrattuali ed extracontrattuali previste dal codice civile. Ai sensi dell’art. 1494, co. 2, c.c. il venditore deve risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa (azione da esercitare nei termini previsti dall’art. 1495 c.c.). Il risarcimento riguarda il danno subito dalla persona del compratore ovvero dalle cose diverse da quella acquistata a causa dei difetti di quest’ultima. © Wolters Kluwer 330 Capitolo VI Il compratore, comunque, potrebbe agire ex art. 2043 c.c., e cioè chiedendo il risarcimento per illecito extracontrattuale, per il quale vale la prescrizione di cinque anni, ai sensi dell’art. 2947 c.c. Sulla base dell’art. 2043 il compratore agirà nei confronti del produttore, qualora intenda chiedere il risarcimento direttamente a questo – e non al venditore – per danni cagionati dai difetti del prodotto. L’azione è, ovviamente, extracontrattuale poiché tra acquirente e produttore non si è mai instaurato un rapporto contrattuale. In tale situazione, però, il Codice del consumo (nel quale – agli artt. 114127 – è stata inserita la disciplina dello “storico” D.P.R. n. 224/1988), offre al danneggiato una più energica tutela, consentendogli di agire per il risarcimento del danno da prodotto difettoso direttamente contro il produttore, senza dover dimostrare (come nel caso dell’azione per illecito extracontrattuale) la responsabilità di quest’ultimo, ma semplicemente provando il danno, il difetto e la connessione causale tra questi. Spetterà invece al produttore “scagionarsi”, provando i fatti che tassativamente escludono la sua responsabilità. Il danno risarcibile si estende alla morte, alle lesioni personali ed alla distruzione o deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato (art. 123 cod. cons.). Si ricordi, tuttavia, che, per il danno a cose il risarcimento è possibile solo nella misura che ecceda la somma di 387 euro. Per le somme inferiori si tornerà a fare riferimento all’azione sulla base dell’anzidetto art. 2043 c.c. © Wolters Kluwer 331 CAPITOLO VII LA GESTIONE DELLE INFORMAZIONI E DEI DATI PERSONALI SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Definizioni ed ambiti applicativi - 3. L’informativa - 4. Il consenso - 5. Le particolari garanzie per il trattamento dei dati sensibili - 6. I diritti dell’Interessato (i c.d. “diritti ex art. 7”) - 7. La tutela dell’Interessato (poco più che cenni) - 8. Il trasferimento dei dati all’estero - 9. Brevi cenni sulla responsabilità del Titolare - 10. Il trattamento dei dati personali su Internet - 11. Segue: la forma scritta del consenso al trattamento di dati su Internet - 12. Raccolta di dati on line e relative indicazioni che devono essere fornite al navigatore - 13. Gli strumenti telematici ed il principio di territorialità della normativa in materia di privacy - 14. Le “tecniche” di “acquisizione” di dati personali: dai cookies alla geolocalizzazione - 15. L’anonimato in Rete - 16. Segue: il progetto TOR (e dintorni) 1. Introduzione L’attività di effettuare acquisti su Internet, ma anche semplicemente quella di navigare in Rete, implica che l’utente, più o meno inconsapevolmente, rilasci numerosi dati a diversi soggetti, che vanno, per esempio, dal fornitore di accesso alla Rete, al fornitore dei servizi Internet, al titolare del sito visitato e al soggetto che lo gestisce. Per prima cosa è opportuno individuare che cosa si intenda per riservatezza (privacy) e quale sia l’approccio normativo per la sua tutela. La privacy può essere definita come la sfera privata dell’individuo che l’ordinamento giuridico si preoccupa di tutelare da intrusioni indesiderate o non autorizzate da parte di soggetti terzi. Con il passare del tempo, il concetto, partendo da una concezione che individuava la “privacy” come il diritto ad essere lasciati da soli (c.d. “rigth to be left alone”), si è andato specificando, venendo ad assumere l’ulteriore significato di “trattamento consapevole” dei propri dati personali. La tutela della privacy trova le sue radici, per quanto riguarda le fonti normative, in atti internazionali e comunitari (vedi per esempio, le dir. nn. 95/46/CEE, 97/66/CE e 2002/58/CE). Con specifico riferimento all’ordinamento italiano, attualmente la materia è disciplinata, in particolare, dal D.Lgs. n. 196/2003, recante il Codice in materia di protezione © Wolters Kluwer 332 Capitolo VII dei dati personali (c.d. “Codice della privacy”), che ha abrogato la precedente L. n. 675/19961. Nell’affrontare il discorso della tutela della privacy è necessario tenere in considerazione che i risultati normativi costituiscono il punto di arrivo di delicate operazioni di bilanciamento di interessi contrapposti. Si può notare, da una parte, il contrasto di carattere pubblico, tra l’interesse dello Stato all’accertamento alla repressione dei reati, e l’interesse del privato cittadino a vedere tutelata la propria sfera privata; dall’altra, si può notare il contrasto di carattere privato tra l’interesse del venditore ad acquisire il maggior numero di informazioni possibili sulla controparte, anche al fine di realizzare e offrire un servizio migliore, e l’interesse dell’utente-potenziale acquirente a fare in modo che i propri dati siano forniti e trattati in maniera consapevole e lecita. Anche se la situazione negli ultimi tempi sta cambiando, inizialmente l’approccio al fenomeno era differente per quanto riguarda gli ordinamenti giuridici che potevano essere ricondotti all’ambito dell’UE – che, in presenza della dir. n. 95/46/CE, aveva un approccio sostanzialmente “normativo”, – nel senso che il trattamento necessariamente era (ed è) effettuato avendo come riferimento le previsioni di legge – rispetto a quelli che potevano ricondursi agli Stati Uniti e che, invece, erano caratterizzati da un approccio di carattere “commerciale”. In quest’ultimo contesto il trattamento era (ed è) effettuato avendo come riferimento il mercato: i titolari soggetti, al massimo, esponevano nelle c.d. “privacy policy” le modalità di trattamento, ma in realtà, quanto meno in un primo momento, non tenevano in grande considerazione l’esigenza di tutelare i diritti degli interessati. Questi ultimi, ove avessero voluto usufruire dei servizi/prodotti offerti, non avevano sostanzialmente altra scelta in relazione al conferimento dei propri dati, se non quella di rinunciare alla stipulazione del contratto. La sensibilità al problema della privacy è oggi radicalmente aumentata, soprattutto per due fattori. Il primo risiede nel potere fortemente “invasivo” delle nuove tecnologie telematiche, in grado di “schedare” velocemente ed in modo automatico i dati che “girano” su Internet (ed a “correlarli” tra loro). Il secondo fattore è legato, quale conseguenza, ai recenti eventi legati al terrorismo internazionale, sia da parte delle isti1 Il testo consolidato vigente del D.Lgs. n. 196/2003 è pubblicato nel sito del Garante: http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1311248. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 333 tuzioni che da parte del cittadino. Questi eventi hanno innalzato il livello di attenzione dei legislatori che, proprio ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico all’accertamento e alla repressione dei reati, hanno aumentato – a scapito dell’interesse privato del cittadino – la potenzialità “di controllo” (specie preventivo) degli interventi delle forze pubbliche nella sfera privata degli interessati. Il controllo per il rispetto della privacy nonché la diffusione tra le istituzioni e i cittadini della “cultura della riservatezza” è affidato – per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano – ad un’Autorità indipendente, il Garante per la protezione dei dati personali2. A livello Europeo, tutti i Garanti degli Stati membri, si riuniscono per adottare le strategie comuni nel c.d. Gruppo europeo ex art. 293. Ovviamente, ricorrendone i presupposti, la tutela è anche garantita dall’Autorità giudiziaria ordinaria. Importanti innovazioni in materia di trattamento dei dati personali dovrebbero intervenire con l’approvazione del nuovo Regolamento generale sulla protezione dei dati (Com 2012 11 def) proposto dalla Commissione Europea4. Il nuovo Regolamento introdurrà identiche regole in Europa e nei confronti di Stati terzi (riscrivendo quindi anche il Codice della privacy italiano)5. 2. Definizioni ed ambiti applicativi Per comprendere la normativa in materia di privacy, può essere utile riportare alcune definizioni di legge. Trattamento - Qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la 2 Il sito ufficiale del Garante per la protezione dei dati personali è in http://www.garanteprivacy.it. Il sito ufficiale del Gruppo di lavoro ex art. 29 dir. n. 95/46/CE è in http://europa.eu.int/comm/ justice_home/fsj/privacy/workinggroup/index_en.htm. 4 L’argomento è stato trattato brevemente al Capitolo I, par. 8. 5 È stata pubblicata la prima guida pratica in cui sono raccolti i principi e le regole in materia di protezione dei dati personali in vigore in Europa. La guida è stata redatta dal Consiglio d’Europa e dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. Il Manuale può essere scaricato cliccando sul seguente link: http://www.echr.coe.int/Documents/Handbook_data_protection_ENG.pdf. 3 © Wolters Kluwer 334 Capitolo VII cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati. Dato personale - Qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. Dati identificativi - I dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato. Dati sensibili - I dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Dati giudiziari - I dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli artt. 60 e 61 c.p.p. Dato anonimo - il dato che in origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o identificabile. Titolare - la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza. Responsabile - la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali. Incaricati - le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile. Interessato - la persona fisica, la persona giuridica, l’ente o l’associazione cui si riferiscono i dati personali. Comunicazione - il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qualun- © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 335 que forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione. Diffusione - il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della normativa in materia di privacy, è necessario tenere in considerazione, da una parte, l’elemento soggettivo, dall’altra quello oggettivo. L’elemento soggettivo è individuato nella figura del Titolare [e nella struttura più o meno complessa che a lui fa riferimento che comprende i Responsabili – figura facoltativa – interno e/o esterni, e gli Incaricati (figura obbligatoria)]. L’elemento oggettivo è individuato dal “trattamento”. Come visto, la definizione di trattamento è molto ampia, tale da comprendere una vasta gamma di attività che rilevano già dalla semplice raccolta. I due elementi sono coordinati dal principio di territorialità, in base al quale sono soggetti alla disciplina contenuta nel Codice i trattamenti di dati personali, anche se detenuti all’estero, che però siano effettuati da soggetti che sono stabiliti (ovvero che hanno una stabile organizzazione, da intendersi come sede legale o sede effettiva) nel territorio dello Stato o in un luogo comunque soggetto alla sovranità dello Stato. La normativa italiana in materia di privacy trova anche applicazione in relazione al trattamento effettuato da soggetti che sono stabiliti nel territorio di un Paese non UE e che impiegano strumenti situati nel territorio dello Stato, non necessariamente elettronici, ad eccezione dell’ipotesi in cui questi siano utilizzati soltanto ai fini del transito nell’UE. Nel caso di applicazione della normativa, il Titolare del trattamento deve designare un proprio rappresentante stabilito nel territorio dello Stato. Da ultimo, è necessario tenere in considerazione una caratteristica peculiare dell’utilizzo di Internet: la delocalizzazione, ovvero la difficoltà di individuare un preciso collegamento con un determinato ordinamento giuridico. Da questo carattere “internazionale” delle relazioni che vengono stipulate su Internet deriva che anche la normativa in materia di privacy deve tenere in considerazione anche di questo elemento e, in particolare, della possibilità che i dati siano trasferiti – più o meno inconsapevolmente – all’estero. © Wolters Kluwer 336 Capitolo VII La legge stabilisce che il trattamento deve essere effettuato nel rispetto di specifici principi. In particolare, i dati personali devono - essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; - essere raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; - essere: esatti e, se necessario, aggiornati, nonché pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; - essere conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’Interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. I dati personali trattati in violazione delle norme in materia di privacy non possono essere utilizzati. Nel momento in cui il trattamento abbia termine, per qualsiasi motivo, i dati: - devono essere distrutti; - possono essere ceduti ad altro Titolare, purché siano destinati ad un trattamento in termini compatibili agli scopi per i quali i dati sono raccolti; - possono essere conservati per fini esclusivamente personali e non destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione; - possono essere conservati o ceduti ad altro Titolare, per scopi storici, statistici o scientifici, in conformità alla legge, ai regolamenti, alla normativa comunitaria e ai codici di deontologia e di buona condotta. La cessione dei dati non conforme alle disposizioni di legge in materia di privacy è priva di effetti. 3. L’informativa Ogni trattamento è lecito in tanto in quanto l’Interessato è informato, ovvero se il Titolare, ovvero il soggetto che ha raccolto i dati, ha reso all’Interessato la c.d. “informativa”. L’informativa deve essere fornita prima dell’inizio del trattamento e può essere resa sia oralmente che per iscritto. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 337 Nel mondo reale, sarà scelta opportuna del Titolare quella di predisporre una informativa cartacea in duplice copia, al fine di farne sottoscrivere una all’Interessato per ricevuta: la conservazione di tale copia potrà semplificargli l’onere probatorio in merito all’effettiva avvenuta consegna dell’informativa all’Interessato. Ovviamente, nell’ambito di una transazione telematica, i problemi sono diversi. Come meglio si dirà più avanti, un sito dovrebbe predisporre una Privacy Policy generale (detta “compliance”), accessibile dalla home page e da ogni sottopagina, in cui descrivere in linea generale tutti i trattamenti che saranno effettuati sul sito; inoltre, dovranno essere predisposte tante specifiche informative quanti sono gli specifici trattamenti effettuati in sezioni speciali: ad esempio, nel caso di registrazione per accedere a servizi ulteriori. È infatti evidente che i dati dell’utente che semplicemente naviga nel sito saranno oggetto di un trattamento diverso rispetto a quelli dell’utente che si registra per poter accedere a servizi aggiuntivi, quali, ad esempio, la possibilità di ricevere newsletter o di accedere ad aree riservate per effettuare acquisti. Quanto al contenuto, la legge precisa (art. 13 del Codice della privacy) che devono essere indicate, in generale, oltre agli elementi eventualmente previsti da disposizioni specifiche: “a) le finalità e le modalità del trattamento cui sono destinati i dati; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati; c) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di responsabili o incaricati, e l’ambito di diffusione dei dati medesimi; e) i diritti di cui all’articolo 7; f) gli estremi identificativi del titolare e, se designati, del rappresentante nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 5 e del responsabile. Quando il titolare ha designato più responsabili è indicato almeno uno di essi, indicando il sito della rete di comunicazione o le modalità attraverso le quali è conoscibile in modo agevole l’elenco aggiornato dei responsabili. Quando è stato designato un responsabile per il riscontro all’interessato in caso di esercizio dei diritti di cui all’articolo 7, è indicato tale responsabile”. Inoltre, l’informativa può non comprendere gli elementi già noti al soggetto che fornisce i dati o la cui conoscenza può ostacolare in concreto © Wolters Kluwer 338 Capitolo VII l’espletamento, da parte di un soggetto pubblico, di funzioni ispettive o di controllo svolte per finalità di difesa o sicurezza dello Stato oppure di accertamento o repressione di reati. Con specifico riferimento a particolari settori, per esempio quello dei servizi telefonici di assistenza e informazione al pubblico, possono essere individuate dal Garante delle forme semplificate. I dati possono anche non essere raccolti presso l’Interessato. In questa situazione, salvo le deroghe espressamente previste dalla legge (per esempio, se i dati sono trattati in base ad un obbligo normativo, ovvero se sono trattati ai fini dello svolgimento di attività di investigazione difensiva, ovvero, infine, se comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato o si riveli impossibile), l’informativa deve comunque essere data all’Interessato (con l’aggiunta delle categorie dei dati trattati) all’atto della registrazione dei dati o, quando è prevista la loro comunicazione, non oltre la prima comunicazione. 4. Il consenso Il trattamento – effettuato da privati o da enti pubblici economici - è lecito in tanto in quanto avviene con il consenso espresso dell’Interessato. Per i soggetti pubblici (ovvero le P.A.), le regole sono diverse. Il consenso può riguardare l’intero trattamento, ovvero una o più operazioni dello stesso. Si considera validamente prestato se è: a) espresso liberamente, e specificamente in relazione ad un trattamento chiaramente individuato; b) documentato per iscritto (in questo caso, il riferimento alla forma scritta deve intendersi fatto alla possibilità di dare prova che lo stesso è stato prestato, mentre non costituisce requisito di validità per quanto riguarda il trattamento di dati di natura comune); c) informato (ovvero se l’Interessato ha ricevuto l’informativa). Nel momento in cui oggetto del trattamento sono dati di natura sensibile, il consenso deve essere manifestato in forma scritta (in questo caso, invece, la forma scritta costituisce un requisito per la corretta manifestazione del consenso). La legge, peraltro, con specifico riferimento al trattamento dei dati di natura comune, individua delle ipotesi in cui non è necessario ottenere il © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 339 consenso dall’Interessato, tra le quali si possono ricordare, ad esempio, i casi di trattamento: a) necessario per adempiere ad un obbligo normativo; b) necessario per adempiere ad un obbligo contrattuale o precontrattuale; c) di dati c.d. “pubblici”, ovvero provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, fermi restando i limiti e le modalità normativamente previsti per la loro conoscibilità e pubblicità; d) di dati relativi allo svolgimento di attività economiche, trattati nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale; e) necessario per la salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica di un terzo. 5. Le particolari garanzie per il trattamento dei dati sensibili Nel momento in cui oggetto di trattamento sono dati di natura sensibile (o giudiziaria), la legge prevede che siano adottate ulteriori garanzie a tutela dell’Interessato. In particolare, questi dati particolarmente delicati possono essere oggetto di trattamento soltanto con il consenso scritto dell’Interessato e previa autorizzazione del Garante, nel rispetto, in ogni caso, dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge6. In questo caso, come detto, il requisito della forma scritta del consenso deve intendersi riferito alla sua manifestazione, e quindi ne costituisce un presupposto di validità. Anche in questa ipotesi, come si preciserà in seguito, nell’ambito di una relazione telematica, si pone il problema di come manifestare in forma scritta il consenso, dato che, in sostanza, lo strumento utilizzato non lo consente, a meno di non adottare particolari accorgimenti tecnici ovvero operativi. 6 Secondo la Cassazione “Nel caso di trattamento di dati personali costituito dalla realizzazione e caricamento su sito Internet di un video, responsabile della violazione delle prescrizioni del D.Lgs. n. 196/2003 (ed in particolare del divieto di diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute) è colui che tale video abbia caricato e non già l’Internet host provider, che, limitandosi a fornire una piattaforma sulla quale gli utenti possono caricare liberamente i loro video, non è titolare di alcun trattamento se non allorquando, posto a conoscenza del dato illecito, non si attivi per la sua immediata rimozione o per renderlo comunque inaccessibile” (Cass. pen., sez. III, 17 dicembre 2013, n. 5107, in Giur. it., 2014, p. 2016, con nota di A. MACRILLÒ). © Wolters Kluwer 340 Capitolo VII La regola generale appena citata subisce, peraltro, delle eccezioni in relazione a specifiche situazioni espressamente previste in cui il trattamento di dati sensibili è comunque ammesso sia in assenza di consenso e di autorizzazione del Garante, sia in assenza di consenso, ma previa autorizzazione del Garante. 6. I diritti dell’Interessato (i c.d. “diritti ex art. 7”) La legge attribuisce all’Interessato particolari diritti della cui esistenza e del cui contenuto, come detto, deve essere data chiara notizia nell’informativa. In particolare, l’Interessato ha diritto: - di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, - di ottenere la loro comunicazione in forma intelligibile. L’interessato ha diritto di conoscere: a) l’origine dei dati personali; b) le finalità e modalità del trattamento; c) la logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici; d) gli estremi identificativi del Titolare, e degli altri soggetti coinvolti in operazioni di trattamento e facenti parte della sua struttura organizzativa, per esempio, i Responsabili; e) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne legittimamente a conoscenza. Inoltre, l’Interessato può chiedere: - l’aggiornamento, la rettificazione ovvero l’integrazione dei dati, con l’attestazione che tali operazioni sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato; - la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 341 Infine, l’Interessato può: - opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. I diritti sopra individuati possono essere esercitati – salve le eccezioni specifiche normativamente previste – con richiesta rivolta senza formalità al Titolare o al Responsabile. La richiesta da inoltrare al Titolare o al Responsabile può essere trasmessa anche mediante lettera raccomandata, telefax o posta elettronica, ovvero con altro idoneo sistema individuato dal Garante, in riferimento a nuove soluzioni tecnologiche. In certi casi, può anche essere effettuata oralmente. L’Interessato può esercitare i propri diritti personalmente o decidere di farsi assistere da una persona di fiducia. Alla richiesta, il Titolare, previa identificazione del soggetto richiedente e dei relativi poteri, deve dare tempestivo riscontro adottando anche misure volte a: a) agevolare l’accesso ai dati personali, anche attraverso l’impiego di appositi software finalizzati ad un’accurata selezione dei dati che riguardano singoli interessati identificati o identificabili; b) semplificare le modalità e a ridurre i tempi per il riscontro, anche nell’ambito di uffici o servizi preposti alle relazioni con il pubblico; c) i dati estratti possono essere comunicati al richiedente anche oralmente, ovvero offerti in visione mediante strumenti elettronici, sempre che in tali casi la comprensione dei dati sia agevole, considerata anche la qualità e la quantità delle informazioni. Se vi è richiesta, si provvede alla trasposizione dei dati su supporto cartaceo o informatico, ovvero alla loro trasmissione per via telematica. La comunicazione dei dati deve essere effettuata in forma intelligibile anche attraverso l’utilizzo di una grafia comprensibile7. In caso di comunicazione di codici o sigle devono essere forniti i parametri per la comprensione del relativo significato. 7 Il Garante ha predisposto un modello che può essere utilizzato per presentare le richieste ai sensi dell’art. 7. © Wolters Kluwer 342 Capitolo VII Ove non dovesse risultare confermata l’esistenza di dati che riguardano l’Interessato, il Titolare è legittimato a richiedere un contributo spese non eccedente i costi effettivamente sopportati per la ricerca effettuata nel caso specifico. 7. La tutela dell’Interessato (poco più che cenni) La tutela dell’interessato può essere fatta valere in sede amministrativa, rivolgendosi al Garante, ovvero avanti all’Autorità giudiziaria ordinaria. Davanti al Garante, si può proporre: - un reclamo circostanziato per rappresentare una violazione della disciplina in materia di privacy; - una segnalazione, se non è possibile presentare un reclamo circostanziato, al fine di sollecitare un controllo da parte del Garante sulla disciplina medesima; - un ricorso, per far valere gli specifici diritti di cui all’articolo 7. Il reclamo deve contenere, per quanto possibile, una dettagliata descrizione dei fatti e delle circostanze che ne costituiscono il fondamento, le disposizioni che si presumono violate e le misure richieste, oltre alle indicazioni del Titolare, del Responsabile, se conosciuto e dell’istante, nonché un recapito a cui inviare le comunicazioni. È sottoscritto dall’Interessato o da associazioni che lo rappresentano, deve essere presentato al Garante senza particolari formalità e deve avere allegata la documentazione utile ai fini della decisione e l’eventuale procura ad un difensore. Il Garante può predisporre un modello per la presentazione del reclamo. Il Garante, al termine del procedimento, può: - prescrivere al Titolare le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti (anche nel corso del procedimento); - disporre il blocco o vietare, totalmente o parzialmente, il trattamento che risulta illecito o non corretto, anche per effetto della mancata adozione delle misure di cui al precedente alinea; - vietare, totalmente o parzialmente, il trattamento relativo a singoli soggetti o a categorie di soggetti che si pone in contrasto con rilevanti interessi della collettività. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 343 Avanti al Garante, inoltre, l’Interessato può anche far valere i diritti di cui all’art. 7, proponendo specifico ricorso. I diritti di cui all’art. 7 possono essere fatti valere anche avanti all’Autorità giudiziaria, ma: - il ricorso al Garante non può essere presentato se, per il medesimo oggetto e fra le medesime parti, è stata adita l’Autorità giudiziaria; - l’Autorità giudiziaria non può essere adita se è stato presentato il ricorso al Garante per il medesimo oggetto e fra le stesse parti. Il ricorso è proposto nei confronti del Titolare e deve contenere: - gli estremi identificativi delle parti; - gli elementi posti a fondamento della domanda; - il provvedimento richiesto; - l’elezione di domicilio. Al ricorso deve essere allegata: - la documentazione utile ai fini della decisione; - la copia della richiesta rivolta al Titolare; - l’eventuale procura; - la prova del versamento dei diritti di segreteria. Il ricorso è rivolto al Garante, con sottoscrizione autenticata, a meno che la sottoscrizione non sia apposta presso l’Ufficio del Garante, ovvero da un procuratore speciale iscritto all’albo degli avvocati, ovvero con firma digitale. Il ricorso è validamente proposto se trasmesso al Garante con plico raccomandato ovvero per via telematica con sottoscrizione con firma digitale. Il Garante, ricevuto il ricorso, ne valuta l’ammissibilità e, preliminarmente, la non manifesta infondatezza, ascolta le parti, personalmente o a mezzo di procuratori, esamina eventuali memorie o documenti, dispone, se lo ritiene, perizie. In via provvisoria, il Garante può disporre il blocco totale o parziale di alcuni dati, ovvero la sospensione immediata di una o più operazioni di trattamento. Nel caso in cui ritenga fondato il ricorso, ordina, con provvedimento motivato, la cessazione del comportamento illegittimo, indicando le misure necessarie a tutela dei diritti dell’Interessato, assegnando un termine per la loro adozione. Se non vi è alcuna pronuncia nel termine di 60 © Wolters Kluwer 344 Capitolo VII giorni dalla presentazione del ricorso, questo si intende rigettato. Il provvedimento espresso è comunicato alle parti al domicilio eletto o comunque risultante dagli atti entro 10 giorni dalla pronuncia. È possibile proporre opposizione nei confronti della pronuncia espressa o del rigetto tacito avanti all’Autorità giudiziaria, a pena di inammissibilità, nel termine di 30 giorni dalla pronuncia o dalla data del rigetto tacito. L’Autorità giudiziaria ordinaria è competente a decidere sulle controversie relative all’applicazione delle disposizioni del Codice, comprese quelle relative ai provvedimenti del Garante e alla loro mancata adozione. L’azione si propone mediante deposito di ricorso nella cancelleria del Tribunale del luogo in cui risiede o ha sede il Titolare. La proposizione del ricorso non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento del Garante eventualmente impugnato, a meno che il Giudice, ricorrendo gravi motivi, disponga diversamente. Il Giudice, ove sussista pericolo imminente di danno grave e irreparabile può emanare i provvedimenti necessari e provvisori, convocando le parti per una udienza in cui potrà confermare, modificare o revocare i provvedimenti adottati. Il Giudice, fissata l’udienza di comparizione, può disporre anche d’ufficio l’adozione dei mezzi istruttori che ritiene necessari. Terminata l’istruttoria, le parti discutono oralmente la causa davanti al Giudice che, nella stessa udienza, pronuncia la sentenza mediante lettura del dispositivo, depositando le motivazioni in cancelleria nei successivi 3 giorni. Il Giudice può accogliere o rigettare la domanda, totalmente o parzialmente, disporre le misure necessarie, il risarcimento del danno, ove richiesto, e porre a carico del soccombente le spese del procedimento. La sentenza non è appellabile, ma è ammesso il ricorso per Cassazione. 8. Il trasferimento dei dati all’estero Come detto, una caratteristica delle relazioni telematiche è la possibilità che i dati dell’Interessato, più o meno inconsapevolmente, valichino i confini nazionali. In altre parole, i dati potrebbero essere oggetto di trasferimento all’estero. La legge prevede espressamente e disciplina il trasferimento all’estero, distinguendo l’ipotesi in cui questo avvenga verso Stati che appartengono all’UE, da quella in cui, invece, ciò sia fatto verso Paesi terzi. In © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 345 quest’ultimo caso, vengono specificamente individuati i trasferimenti consentiti e quelli vietati. Con specifico riferimento ai trasferimenti all’interno dell’UE, è espressamente richiamato il principio della libera circolazione dei dati personali, fatta salva l’adozione, in conformità della normativa vigente, di eventuali provvedimenti nel caso di trasferimenti volti ad eludere la normativa stessa. Per quanto riguarda, invece, i trasferimenti verso Paesi terzi, questi sono consentiti ove ricorrano particolari condizioni. Ad esempio, si possono citare i casi in cui: - l’Interessato abbia manifestato il proprio consenso espresso o, se si tratta di dati sensibili, in forma scritta; - il trattamento sia necessario per l’esecuzione di obblighi contrattuali; - il trattamento sia necessario per la salvaguardia di un interesse pubblico rilevante individuato dalla legge; - in presenza di autorizzazione del Garante, sulla base di adeguate garanzie per i diritti dell’Interessato, nel momento in cui tali garanzie sono: a) individuate dal Garante anche in relazione a garanzie prestate con un contratto; b) individuate con le decisioni della Commissione europea a seguito dell’accertamento che il Paese di destinazione, non appartenente all’Unione europea, garantisce un livello di protezione adeguato o che alcune clausole contrattuali offrono garanzie sufficienti. Sono invece vietati i trasferimenti non espressamente previsti dalla normativa vigente, nel momento in cui sono diretti verso un Paese di destinazione o di transito dei dati che non assicura un livello di tutela adeguato. A tale proposito rilevano anche le modalità del trasferimento e dei trattamenti previsti, le relative finalità, la natura dei dati e le misure di sicurezza. Tuttavia, è necessario brevemente segnalare che non avviene necessariamente un trasferimento di dati on line nel momento in cui si accede ad un sito. Per esempio, non sono considerati tali la pubblicazione dei dati su un sito Internet (che, invece, costituisce diffusione dei dati e, po© Wolters Kluwer 346 Capitolo VII tendo essere considerato come una forma di trattamento, è lecita in tanto in quanto rispetti i principi generali – in particolare, il consenso informato); né il semplice transito dei dati tra i vari nodi della Rete, non essendo possibile conoscere a priori effettivamente ma nemmeno potenzialmente quale sarà il percorso effettuato dai singoli pacchetti in cui verrà scomposto il messaggio8. 9. Brevi cenni sulla responsabilità del Titolare Il mancato rispetto della normativa in materia di privacy può comportare responsabilità: a) di carattere amministrativo; b) di carattere penale; c) di carattere civile. Per quanto riguarda la responsabilità di carattere amministrativo, questa può derivare, ad esempio, dall’omessa o inidonea informativa all’Interessato, punita con la sanzione del pagamento di una somma da tremila euro a diciottomila euro o, nei casi di dati sensibili o giudiziari o di trattamenti che presentano rischi specifici o, comunque, di maggiore rilevanza del pregiudizio per uno o più interessati, da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore. A questa sanzione si può aggiungere quella accessoria della pubblicazione dell’ordinanza-ingiunzione, per intero o per estratto su uno o più giornali indicati nel provvedimento che la applica. Per quanto riguarda la responsabilità di carattere penale, questa può derivare, ad esempio, dal trattamento illecito dei dati (la fattispecie è punita con la reclusione fino a tre anni), ovvero dalla mancata adozione delle misure minime di sicurezza. La condanna per uno dei delitti previsti dal Codice comporta la pena accessoria della pubblicazione della sentenza. Per quanto riguarda la responsabilità di carattere civile, il Codice considera il trattamento di dati come un’attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c. 8 Per maggiori informazioni v. http://www.garanteprivacy.it/home/provvedimenti-normativa/normativa/ normativa-comunitaria-e-intenazionale/trasferimento-dei-dati-verso-paesi-terzi. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 347 Ne consegue che: a) il Titolare è tenuto a risarcire i danni causati a terzi per effetto del trattamento, ove non dimostri di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo (si tratta di un caso di inversione dell’onere della prova in capo al Titolare, dal quale deriva l’utilità di adottare soluzioni, per esempio, in relazione alle misure di sicurezza, che siano superiori al minimo obbligatorio normativamente previsto); b) il danno non patrimoniale è risarcibile anche nel caso di trattamento illecito, in violazione di quanto disposto dall’art. 11 del Codice della privacy. 10. Il trattamento dei dati personali su Internet Il trattamento di dati personali su Internet che viene effettuato nel caso di accesso ad un sito (anche, ma non necessariamente, per fare acquisti) presenta alcune peculiarità rispetto al trattamento che, invece, può essere fatto nel mondo reale. Tali aspetti possono essere individuati, ad esempio: a) nella necessità di rispettare il requisito della forma scritta per documentare il conferimento del consenso al trattamento dei dati di natura comune, ovvero per la validità del conferimento del consenso al trattamento dei dati di natura sensibile; b) nelle caratteristiche, nelle modalità (on line) e nei contenuti delle informazioni che devono essere rese al navigatore, in relazione ai trattamenti dei suoi dati personali effettuati sul sito; c) nell’utilizzo di particolari tecniche che, spesso all’insaputa dell’utente, costituiscono operazioni di trattamento. 11. Segue: la forma scritta del consenso al trattamento di dati su Internet Senza entrare in questa sede in un esame approfondito del problema della forma scritta in caso di utilizzo di strumenti informatizzati e telematici, si può brevemente evidenziare come, allo stato, le soluzioni che possono essere adottate per soddisfare il requisito della forma scritta sono due. La prima consiste, in base alla normativa attualmente vigente (D.Lgs. n. 82/2005) nell’utilizzo della c.d. “firma digitale” che, apposta ad un do© Wolters Kluwer 348 Capitolo VII cumento informatico, consente di soddisfare, nel rispetto di determinate condizioni, il requisito della forma scritta9. Tale soluzione, peraltro, presenta lo svantaggio individuabile nella limitata diffusione di questo strumento, quanto meno in relazione alle transazioni proprie dell’ecommerce B2C che, di solito, sono di modico valore. La seconda soluzione, dettata da regole di buon senso pratico, consiste nell’impiegare gli strumenti tradizionali. Pertanto, nel caso di richiesta di consenso per il trattamento dei dati sensibili, ad esempio, si potrà stampare il relativo modulo, sottoscriverlo manualmente e inviare il modulo via posta ordinaria o via fax, ovvero inviare via posta elettronica (certificata) il file dell’immagine del documento in formato .pdf. 12. Raccolta di dati on line e relative indicazioni che devono essere fornite al navigatore Il Gruppo dei Garanti Europei ha adottato un provvedimento in cui fornisce alcune raccomandazioni in merito alle informazioni che devono essere fornite nel caso di raccolta di dati nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea10. Il presupposto è che qualsiasi raccolta di dati personali individuali ottenuta tramite un sito richiede che prima siano fornite determinate informazioni. In particolare, è necessario: - indicare l’identità, l’indirizzo fisico e quello elettronico del responsabile del trattamento e, ove possibile, quello del rappresentante eventualmente nominato; - indicare chiaramente la/le finalità del trattamento con il quale il responsabile raccoglie dati attraverso un sito web 11; - indicare chiaramente il carattere obbligatorio o facoltativo delle informazioni richieste12; 9 V., quanto detto al Capitolo III, par. 3. “Raccomandazione relativa ai requisiti minimi per la raccolta dei dati on line nell’Ue”, adottata il 17 maggio 2001, reperibile su http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/ 1609845. 11 Ad esempio, nel caso in cui tali dati vengano raccolti per stipulare un contratto (abbonamento ad Internet, ordine di prodotti, etc.) ed anche per la commercializzazione diretta, occorre che il Responsabile specifichi chiaramente le due finalità in questione. 12 Le informazioni obbligatorie sono quelle indispensabili all’espletamento del servizio richiesto. Ad esempio, è possibile evidenziare il carattere obbligatorio o facoltativo apponendo un asterisco all’informazione di carattere obbligatorio oppure, in alternativa, è possibile scrivere “facoltativo” accanto all’informazione non obbligatoria. Il fatto che la persona interessata non fornisca informazioni facoltative non deve tornarle a svantaggio in nessun modo. 10 © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali - - - - - 349 indicare l’esistenza di diritti, e delle condizioni per il loro esercizio, in base ai quali l’interessato possa esprimere il proprio consenso o, eventualmente, opporsi al trattamento di dati personali. È necessario parimenti fornire indicazioni sulle modalità di accesso, di rettifica o di cancellazione di tali dati o informazioni, sia riguardo alla persona o al servizio al quale occorre rivolgersi per l’esercizio di tali diritti, sia relativamente alla possibilità di esercitarli on line e all’indirizzo fisico del responsabile; elencare i destinatari o le categorie di destinatari delle informazioni raccolte. Al momento della raccolta di dati i siti Internet dovrebbero specificare se i dati raccolti saranno comunicati o resi disponibili a terzi – tra cui, in particolare, partner commerciali, imprese figlie, etc. – e le relative motivazioni (con finalità diverse dalla fornitura del servizio richiesto e per la commercializzazione diretta13); nel caso in cui sia previsto che il responsabile del trattamento trasmetta i dati a paesi esterni all’Unione europea, specificare se tali paesi garantiscono una protezione adeguata degli individui, fornendo informazioni specifiche a proposito dell’identità e dell’indirizzo dei destinatari (fisico e/o elettronico); fornire nome ed indirizzo (fisico e/o elettronico) del servizio o della persona incaricata di rispondere ad eventuali quesiti riguardanti la protezione di dati personali; indicare chiaramente l’esistenza di procedure di raccolta automatica di dati prima del loro utilizzo14, comunicando, comunque, la possibilità di opporsi alla raccolta prima di ricorrere a qualsiasi procedura automatica che provochi la connessione di un utente pc 13 In questi casi, è fondamentale che gli utenti dispongano di un’effettiva possibilità di opporsi on line a detta comunicazione cliccando su di una casella di spunta ed esprimendo così il proprio favore alla comunicazione dei dati con finalità diverse dalla fornitura del servizio richiesto. Dal momento che il diritto di opporsi può essere esercitato in qualunque momento, occorre menzionare anche nelle informazioni fornite alla persona interessata la possibilità di esercitare tale diritto on line. Si può presumere che, dal momento che il sovraccarico di informazioni negli schermi può comportare svantaggi, se non appaiono nomi di destinatari, il responsabile del trattamento si impegna a non comunicare le informazioni raccolte a terzi i cui nomi ed indirizzi non siano stati forniti (a meno che la loro identità sia ovvia), garantisce che la comunicazione dei dati sia necessaria all’espletamento del servizio richiesto dall’utente Internet e che tale comunicazione sia effettuata esclusivamente con quella finalità. 14 In particolare, dovranno essere fornite informazioni sul nome del dominio dal quale il server del sito trasmette le procedure di raccolta automatica, sulle finalità di dette procedure, sul loro periodo di validità, sull’eventualità in cui l’accettazione di tali procedure sia necessaria per visitare il sito e sulle possibili conseguenze di una loro disattivazione. © Wolters Kluwer 350 Capitolo VII ad un altro sito web (per es., allo scopo di evitare che un secondo sito possa raccogliere dati ad insaputa dell’utente, nel caso in cui questo venga automaticamente connesso da un sito ad un altro per visualizzare pubblicità sotto forma di banner15); - indicare le misure di sicurezza a garanzia dell’inviolabilità del sito, del grado di completezza e riservatezza delle informazioni trasmesse nella detta rete in applicazione della legislazione nazionale applicabile; - fornire le informazioni in tutte le lingue usate in tutto il sito e soprattutto nelle pagine dove avviene la raccolta dei dati personali; - verificare la coerenza delle informazioni contenute nei vari documenti destinati al sito (le sezioni “dati personali e protezione della vita privata”, i moduli elettronici, testi relativi alle condizioni generali di vendita e ad altre comunicazioni commerciali). Con specifico riferimento alle modalità di presentazione delle informazioni, alcune di queste dovrebbero apparire sullo schermo prima della raccolta, al fine di assicurare la legittimità del trattamento; dovrebbero essere fornite interattivamente e, nel caso di raccolta automatica, dovrebbero essere fornite attraverso la tecnica delle “finestre” pop-up. Si tratta delle informazioni che riguardano: - l’identità del responsabile del trattamento; - la/le finalità del trattamento; - la natura obbligatoria o facoltativa delle informazioni richieste; - i destinatari o le categorie di destinatari dei dati raccolti; - l’esistenza del diritto di accesso e di rettifica; - l’esistenza del diritto di opporsi a qualsiasi comunicazione dei dati a terzi con finalità diverse dalla fornitura del servizio richiesto e le modalità per esercitare tale diritto (ad esempio, fornendo la possibilità di cliccare su una casella di spunta); - le informazioni da fornire in caso di utilizzo di procedure di raccolta automatica; - il livello di sicurezza nel corso di tutte le fasi del trattamento compresa la trasmissione, ad esempio sulle reti. 15 Ad esempio, se un cookie viene collocato dal server del Responsabile del trattamento è necessario comunicare detta informazione prima che venga spedito all’hard disk dell’utente Internet, in aggiunta alle informazioni fornite grazie alla tecnologia esistente che si limita a specificare il nome del sito di trasmissione ed il periodo di validità di detto cookie. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 351 Per quanto riguarda il livello di sicurezza nel corso della trasmissione dei dati, dovrebbero essere utilizzati strumenti che consentano di visualizzare un’intestazione del tipo “Stai accedendo ad una connessione protetta”, oppure le procedure di informazione automatica presenti nei browser, come la comparsa di icone specifiche sotto forma di chiave o di lucchetto (https). È inoltre necessario consentire di accedere ad informazioni esaustive riguardo alla politica di tutela della sfera privata (comprese le modalità per l’esercizio del diritto d’accesso) direttamente dalla home page e ovunque vengano raccolti dati personali on line, predisponendo la c.d. Privacy Policy (generale). In relazione, poi, a specifiche aree del sito in cui vengono effettuati diversi trattamenti, è necessario predisporre delle altre informative, ad esempio, nel caso di registrazione per poter accedere a servizi aggiuntivi o ad aree riservate, e subordinare il relativo trattamento alla lettura (consapevole) del documento e all’eventuale manifestazione del consenso, ove necessaria. 13. Gli strumenti telematici ed il principio di territorialità della normativa in materia di privacy In un altro provvedimento, il Gruppo dei Garanti si è occupato dell’applicabilità della normativa in materia di privacy (avendo, ovviamente, come riferimento la dir. n. 95/46/CEE) con specifico riferimento alla possibilità di applicare il principio di stabilimento (ex art. 4 dir. n. 95/46/CEE) nell’ipotesi di utilizzo di particolari tecnologie quali, ad esempio, cookies, JavaScript, banner, spyware. La questione rileva soprattutto nel momento in cui si vuole verificare l’applicabilità della normativa citata, caratterizzata da un chiaro “collegamento territoriale” ad un ordinamento giuridico (il principio di stabilimento) ad una realtà “aterritoriale” quale è quella di Internet16. Un elemento comune nelle tecnologie sopra individuate (e di quelle di cui si parlerà nel paragrafo seguente) può essere costituito dal fatto che l’utente di Internet non è sempre necessariamente a conoscenza se il sito web da lui visitato o a cui fornisce dati (coscientemente o meno) sia 16 “Documento di lavoro sulla determinazione dell’applicazione internazionale della normativa comunitaria in materia di tutela dei dati al trattamento di dati personali su Internet da parte di siti Web non stabiliti nell’Ue”, adottato il 30 maggio 2002, reperibile su http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb//docweb-display/docweb/1609524 © Wolters Kluwer 352 Capitolo VII situato nell’Unione europea o no. La determinazione dell’ubicazione fisica per i domini privi di suffissi geografici non è possibile in mancanza di informazioni aggiuntive e persino per quelli per cui esistono elementi geografici non esiste alcuna garanzia che il sito sia effettivamente ospitato su un server nel paese indicato. 14. Le “tecniche” di “acquisizione” di dati personali: dai cookies alla geolocalizzazione. a) I cookies Attraverso l’utilizzo dei cookies17, il Responsabile è in grado di rilevare dati personali: tali file di testo vengono memorizzati sul disco rigido del personal computer di un utente, mentre una copia può essere tenuta dal sito o da un terzo. Nel caso di ulteriori comunicazioni, il sito accede alle informazioni memorizzate nel cookie (e pertanto nel computer dell’utente) al fine di rendere identificabile tale computer al Responsabile del trattamento. Quest’ultimo è quindi in grado di collegare tutte le informazioni raccolte nel corso delle precedenti sessioni con le informazioni rilevate durante le sessioni successive. In tal modo è possibile creare profili assai dettagliati degli utenti. I cookies rappresentano una componente standard del traffico HTTP e, in quanto tali, possono essere trasportati senza ostacoli con il traffico IP. Contengono informazioni sull’individuo che possono essere rilette dal sito Internet che li ha creati. Un cookie può contenere tutte le informazioni che il sito desidera includervi: pagine visualizzate, annunci pubblicitari selezionati, numero di identificazione dell’utente, etc. I cookie possono avere natura diversa: possono essere permanenti o avere durata limitata (c.d. “session cookie”). Il Set-Cookie si trova nell’intestazione di risposta HTTP, segnatamente nei collegamenti ipertestuali invisibili. Se viene stabilita una scadenza18, il cookie verrà memorizzato sul disco rigido dell’utente e ritrasmesso al sito che lo ha originato (o ad altri siti dello stesso sottodominio) per la 17 Vedi “Cookie” in http://it.wikipedia.org/wiki/Cookie. I cookies privi di scadenza fissa sono denominati “session cookies” e scompaiono quando il browser viene scaricato o al termine della sessione. 18 © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 353 durata prefissata. Questa ritrasmissione assumerà la forma di un “campo cookie”, che farà parte del browser chattering e avverrà senza alcun intervento dell’utente. Nel caso di utilizzo di cookies, pertanto, il computer dell’utente può essere considerato uno strumento il cui utilizzo rileva ai fini della applicazione della normativa contenuta nella direttiva 95/46/CE, in base ad un’interpretazione tecnologicamente orientata del richiamato art. 4. Ciò in base al fatto che il computer dell’utente è situato nel territorio di uno Stato membro e che il Responsabile del trattamento ha deciso di utilizzarlo ai fini del trattamento di dati personali (anche senza il controllo della persona interessata), disponendo quindi – ai fini di poter svolgere operazioni di trattamento – di uno strumento che non è utilizzato ai soli fini di transito nel territorio dell’Unione europea. La conclusione a cui è giunto il Gruppo di lavoro è quindi quella dell’applicabilità del diritto nazionale dello Stato membro in cui è ubicato il personal computer dell’utente con particolare riferimento alle situazioni in cui sono svolte operazioni di trattamento collocando cookies sul disco fisso dell’utente. A tale riguardo, in particolare, il Gruppo di lavoro ha evidenziato che l’utente dovrebbe essere informato quando un cookie viene ricevuto, memorizzato o spedito automaticamente dal sito visitato. Il messaggio fornito all’utente dovrebbe specificare, in termini chiari, quali informazioni si intendono memorizzare nel cookie e a quale fine, nonché il periodo di validità del cookie stesso. L’utente dovrebbe quindi poter scegliere se accettare o respingere la trasmissione o la memorizzazione di un cookie nel suo insieme e dovrebbe anche potere decidere quali informazioni dovrebbero essere conservate o eliminate da un cookie, in funzione ad esempio del periodo di validità dello stesso o dei siti Web che lo spediscono e lo ricevono19. Il Garante della privacy, con la delibera 8 maggio 2014, n. 229 ha individuato le modalità semplificate per rendere agli utenti l’informativa on 19 V. la Opinion del WP 29 n. 04/2012 in materia di Cookie Consent Exemption, adottata il 7 giugno 2012, ed il Working Document del medesimo WP 29 n. 02/2013, Providing guidance on obtaining consent for cookies, adottato il 2 ottobre 2013 (disponibili rispettivamente ai link http://ec.europa.eu/justice/dataprotection/article-29/documentation/opinion-recommendation/files/2012/wp194_en.pdf e http://ec.europa.eu/justice/data-protection/article-29/documentation/opinionrecommendation/files/2013/wp208_en.pdf); © Wolters Kluwer 354 Capitolo VII line sull’uso dei cookies e ha fornito indicazioni per acquisire il consenso, quando richiesto dalla legge20. Per proteggere la privacy degli utenti e consentire loro scelte più consapevoli si è stabilito che quando si accede alla home page o ad un’altra pagina di un sito web deve immediatamente comparire un banner ben visibile, nel quale sia indicato chiaramente: 1. che il sito utilizza cookies di profilazione per inviare messaggi pubblicitari mirati; 2. che il sito consente anche l’invio di cookies di “terze parti”, ossia di cookies installati da un sito diverso tramite il sito che si sta visitando; 3. un link a una informativa più ampia, ove vengono fornite indicazioni sull’uso dei cookies inviati dal sito, dove è possibile negare il consenso alla loro installazione direttamente o collegandosi ai vari siti nel caso dei cookies di “terze parti”; 4. l’indicazione che, proseguendo nella navigazione mediante accesso ad altra area del sito o selezionando un’immagine o un link dello stesso, si presta il consenso all’uso dei cookie. Per quanto riguarda l’obbligo di tener traccia del consenso dell’utente, al gestore del sito è consentito utilizzare un cookie tecnico, in modo tale da non riproporre l’informativa breve alla seconda visita dell’utente. L’utente mantiene, comunque, la possibilità di modificare le proprie scelte sui cookies attraverso l’informativa estesa, che deve essere linkabile da ogni pagina del sito. b) JavaScript I JavaScripts sono applicazioni software inviate da un sito al computer di un utente che consentono ai server remoti di far girare applicazioni sul computer dell’utente21. In funzione del contenuto del software, i JavaScripts possono essere utilizzati per visualizzare informazioni su una pagina web, ma anche per introdurre virus nei computer (i cosiddetti Java maligni) e/o per raccogliere e trattare dati personali memorizzati nel computer. 20 21 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3118884. V. “Javascript” in http://it.wikipedia.org/wiki/JavaScript . © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 355 Anche in questo caso, si è in presenza di una situazione in cui il Responsabile, nel momento in cui decide di utilizzare tali strumenti ai fini della raccolta e del trattamento dei dati personali, ricorre a strumenti rilevanti ai fini dell’applicazione della direttiva e, conseguentemente, dovrà ottemperare alle disposizioni della normativa vigente in materiali protezione dei dati personali e quindi, di conseguenza, alla legge del paese in cui è ubicato lo strumento. c) I banner I banner sono piccole caselle grafiche contenute e integrate nelle pagine web e svolgono una funzione essenzialmente pubblicitaria22. In base a particolari accordi con i proprietari dei siti (per esempio, i siti di motori di ricerca) una società di pubblicità può fare in modo che il computer della persona interessata, nel momento in cui “clicca” sul banner, si colleghi non soltanto con il motore di ricerca che intende visitare, ma anche con il server della società di pubblicità. In tal modo a tale società viene consentito non soltanto di inviare banner sullo schermo della persona interessata, ma anche, utilizzando il browser dell’utente, di rilevare l’indirizzo e le informazioni che la persona invia al motore di ricerca. I banner vengono inseriti nel sito web richiesto mediante un collegamento ipertestuale invisibile con la società di pubblicità. Il Responsabile del trattamento controlla, dal luogo in cui si trova, il funzionamento del browser in modo da metterlo in connessione con terzi e di trasmettere a questi informazioni. Un trattamento può essere individuato nell’utilizzo di link invisibili per fornire al cliente il banner più “adeguato”. In funzione della configurazione del browser, l’utente può essere a conoscenza del fatto che viene copiato un cookie e può fornire o meno il suo consenso. Il profilo del cliente è collegato al numero identificativo del cookie della società di pubblicità in modo tale che può essere arricchito ogni volta che il cliente visita un sito web legato contrattualmente con la società che effettua la pubblicità. In tal modo, si verifica una rilevazione aggiuntiva di dati personali dell’utente, attraverso il suo computer e senza il suo intervento, ogni volta che egli visita il sito web contenente il banner. 22 “Banner” su http://it.wikipedia.org/wiki/Banner. © Wolters Kluwer 356 Capitolo VII L’applicabilità della normativa presa in considerazione risulterebbe anche in relazione all’utilizzo dei c.d. software “spyware”, ovvero di programmi in grado di rilevare informazioni dell’utente e che vengono installati in un computer ad insaputa del proprietario, ad esempio in occasione del download di un software più vasto (come un software per ascoltare musica), al fine di inviare informazioni personali riguardo alla persona interessata (ad esempio, i titoli delle canzoni che la persona preferisce ascoltare) 23. Si tratta di applicazioni software di monitoraggio che utilizzano spesso JavaScript e altre tecniche simili e fanno chiaramente ricorso agli strumenti della persona interessata (computer, browser, disco rigido, ecc.) per rilevare dati e inviarli ad un altro sito. Dal momento che, per definizione, sono utilizzate senza informare l’utente, tali tecnologie rappresentano una forma di trattamento invisibile e illegittimo. Nella pratica, pertanto, il Gruppo dei Garanti ha individuato alcune conseguenze derivanti dall’applicazione della normativa in materia di privacy. In particolare: - al fine di rendere la rilevazione dei dati personali corretta e lecita, il Responsabile deve definire chiaramente le finalità di tale trattamento; - il Responsabile deve anche garantire che i dati sono adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati; - la rilevazione deve essere fondata su motivi legittimi (consenso inequivocabile, esecuzione di un contratto, adempimento di un obbligo legale, perseguimento di interessi legittimi del responsabile, ecc.) e all’interessato è riconosciuto il diritto di accesso, rettifica o cancellazione dei propri dati personali e opposizione al trattamento; - l’Interessato deve essere come minimo informato in merito all’identità del Responsabile e del suo eventuale rappresentante, alle finalità della rilevazione, ai destinatari e ai propri diritti; - un altro importante aspetto è costituito dalla sicurezza del trattamento dei dati che può richiedere al Responsabile, fin dalla rileva23 Vedi “Spyware” su http://it.wikipedia.org/wiki/Spyware. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 357 zione, di adottare specifiche misure tecniche ed organizzative al fine di garantire la protezione dei dati personali dalla distruzione accidentale o illecita, dalla perdita accidentale o dall’alterazione, dalla diffusione o dall’accesso non autorizzati, in particolare, quando il trattamento comporta trasmissioni di dati all’interno di una rete; tali misure devono garantire un livello di sicurezza appropriato rispetto ai possibili rischi e alla natura dei dati da proteggere. Per quanto concerne i dati sensibili, devono essere utilizzate ulteriori misure che garantiscano maggiori requisiti di sicurezza. d) Commercializzazione diretta via mail e invio di newsletter Per quanto riguarda la commercializzazione diretta tramite posta elettronica (e, in genere, il Direct Marketing), il Gruppo di lavoro ha stabilito che: - gli indirizzi di posta elettronica reperiti nelle aree pubbliche di Internet all’insaputa delle persone interessate, ad esempio nei gruppi di discussione, non si possono considerare come raccolti lecitamente. Conseguentemente, non possono essere utilizzati con finalità diverse da quelle per le quali sono stati originariamente resi pubblici e quindi, in particolare, non possono essere utilizzati per la commercializzazione diretta; - l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica per la commercializzazione diretta è consentito a condizione che questi siano stati raccolti lealmente e legalmente, e quindi soltanto nel caso in cui sia stata fornita alle persone interessate idonea, chiara e completa informazione della possibilità dell’uso di tali dati per la commercializzazione diretta e che dette persone abbiano manifestato il proprio consenso in maniera consapevole ed esplicita, per esempio selezionando una specifica casella di spunta; - infine, l’invio di posta elettronica a scopo promozionale deve altresì prevedere la possibilità di esercitare il recesso on line dall’elenco di indirizzi impiegato; Con specifico riferimento alla spedizione di newsletter, è necessario procurarsi il previo consenso delle persone interessate e garantire la possibilità di opporsi ad ulteriori spedizioni sin dall’inizio e in qualsiasi mo© Wolters Kluwer 358 Capitolo VII mento, fornendo idonea, chiara e completa informativa riguardo a questa possibilità ogniqualvolta viene spedita una newsletter e consentendo la possibilità di cancellarsi dall’elenco degli indirizzi ad ogni invio 24. Sul tema è intervenuto, di recente, il Garante della privacy (delibera 25 settembre 2014)25 che ha vietato l’uso dei dati a fini commerciali ad una società che inviava e-mail promozionali senza consenso agli utenti registrati a un servizio di newsletter. Ora la società, destinataria del provvedimento inibitorio dell’Autorità, potrà utilizzare i dati fin qui raccolti solo per inviare la newsletter. Se vorrà inviare e-mail promozionali dovrà modificare il form di registrazione in modo da consentire agli utenti la possibilità di esprimere, un preventivo consenso “ad hoc” per la ricezione di e-mail promozionali. Di conseguenza, chiunque compila un form on line per ricevere una newsletter deve poter decidere, liberamente e consapevolmente, se acconsentire alle comunicazioni promozionali, alla profilazione, all’invio dei suoi dati ad altre società e, in generale, a tutti i tipi di trattamenti che vanno al di là del servizio richiesto. La registrazione alla newsletter, inoltre, non può essere condizionata al rilascio del consenso anche per altre finalità. e) Motori di ricerca I motori di ricerca, da sempre, hanno creato delle perplessità circa la “tracciatura” ed archiviazione dei dati di coloro che li utilizzano, seppur il loro “trattamento” dovrebbe avvenire sulla base di “aggregati” statistici. I profili di preoccupazione risiedono anche nell’impiego di algoritmi che sono in grado di “prevedere” la “tipologia” di un “utente” sulla base di quelli che vengono detti “Small World”, senza che sia necessario acquisire dati personali26. 24 Per limitare usi indiscriminati del Telemarketing (telefonico e telematico) a seguito dell’emanazione del D.P.R. n. 178/2010, è stato istituito nel 2011 il Registro delle Opposizioni per richiedere di non ricevere offerte promozionali. L’iscrizione può avvenire: - tramite web sul sito ufficiale (www.registrodelleopposizioni.it); - inviando il modulo pdf per email ([email protected]); - inviando il modulo pdf per fax (06.542.24.822); - telefonando al numero 800.265.265; - inviando per posta raccomandata il modulo pdf a Gestore del Registro Pubblico delle Opposizioni – Abbonati – Ufficio Roma Nomentano – Casella Postale 7211 – 00162 ROMA. 25 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3457687. 26 Sul ruolo svolto dai motori di ricerca di Internet nel trattamento dei dati personali si è a più riprese pronunciato il Garante della privacy sin dal provv. del 10 novembre 2004, su “Reti telematiche e Internet. Motori © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 359 Sull’invasività dei motori di ricerca si segnala, da ultimo, l’accordo tra Google ed il Garante della privacy in base al quale il colosso di Mountain View dovrà assoggettarsi a verifiche periodiche che monitorino l’avanzamento dei lavori di adeguamento della propria piattaforma alla normativa nazionale27. L’Autorità ha approvato il protocollo di verifica che dovrà essere operativo entro il 15 gennaio 201628. Il documento prevede aggiornamenti trimestrali sullo stato di avanzamento dei lavori e la possibilità per l’Autorità di effettuare, presso la sede americana di Google, verifiche di conformità alla disciplina italiana delle misure in via di implementazione. In base al protocollo, l’Autorità potrà monitorare costantemente le modifiche che Google deve apportare ai trattamenti dei dati personali degli utenti che usufruiscono dei suoi servizi, tra cui il motore di ricerca, la posta elettronica, la diffusione di filmati (tramite YouTube) e il proprio social network. Le attività richieste sono le seguenti: - Informativa privacy - La società dovrà migliorare la privacy policy, rendendola chiara, accessibile e differenziandola in base ai servizi offerti (ad esempio Gmail, Google Wallet, Chrome, etc.). L’informativa dovrà includere, tra l’altro, dettagli sulle finalità e modalità del trattamento dei dati degli utenti, inclusa la profilazione effettuata mediante l’incrocio dei dati tra diversi servizi, l’utilizzo dei cookies e di altri identificativi come il fingerprinting (un sistema che raccoglie informazioni sulle modalità di utilizzo del terminale da parte dell’utente e le archivia direttamente presso i server della società). Dovrà inoltre predisporre un archivio con le precedenti versioni del testo dell’informativa, così da consentire agli utenti di verificare le modifiche via via apportate. di ricerca e provvedimenti delle Autorità indipendenti: le misure necessarie a garantire il c.d. diritto all’oblio” (in http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1116068). Cfr. anche il “Parere 1/2008 sugli “aspetti della protezione dei dati connessi ai motori di ricerca” adottato il 4 aprile 2008 dal “Gruppo di lavoro art. 29 per la protezione dei dati personali”, reperibile su http://ec.europa.eu/ justice_home/fsj/privacy/index_en.htm. 27 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3740038. 28 Approvazione del protocollo di verifica che disciplina le attività di controllo da parte del Garante sulle prescrizioni impartite a Google il 10 luglio 2014 - 22 gennaio 2015 in http://www.garanteprivacy.it/web/ guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3738244. © Wolters Kluwer 360 Capitolo VII - Consenso dell’utente - Se vorrà profilare chi utilizza i suoi servizi, Google dovrà prima ottenerne il consenso informato. Tale meccanismo dovrà essere implementato, anche se con differenti modalità, sia per i nuovi account, sia per quelli già esistenti. Dovrà essere data piena attuazione anche al provvedimento generale adottato dal Garante sull’uso dei cookies e su altre modalità di tracciamento degli utenti, inclusi quelli che non si sono registrati presso i servizi della società29. A tutti gli interessati dovrà comunque essere garantito il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati per finalità di profilazione. - Conservazione e cancellazione dei dati - La multinazionale statunitense dovrà ulteriormente migliorare le modalità di conservazione e di cancellazione dei dati personali degli utenti. In particolare, dovranno essere garantite tempistiche precise per la cancellazione dei dati, sia di quelli on line sia di quelli archiviati su sistemi di back-up. Dovranno essere revisionate le regole interne relative all’anonimizzazione, affinché la procedura adottata sia realmente efficace e conforme alle indicazioni già fornite dai Garanti europei. - Richieste di rimozione delle informazioni dai risultati di ricerca da parte degli utenti - Continuerà lo scambio di informazioni in merito alle richieste di rimozione che Google ha ricevuto da parte degli utenti italiani, così da poter monitorare le modalità di applicazione del cosiddetto diritto all’oblio (c.d. “delisting”). L’orientamento è anche frutto della decisione della Corte di giustizia, nel (discusso) caso Google Spain, laddove ha stabilito che “L’articolo 2, lettere b) e d), della direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come “trattamento di dati personali”, ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contenga29 V. quanto detto, in questo par., alla lett. a). © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 361 no dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il “responsabile” del trattamento summenzionato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di cui sopra”30. f) Social network Molti profili inerenti la privacy sono generati dall’utilizzo (ormai massivo) di social network31. In particolare, la questione tocca le sue vette massime con riferimento a Facebook essendo questa una piattaforma che si fonda proprio sull’immissione di un enorme quantitativo di dati personali. E, infatti, rispetto ai potenziali rischi il sistema è stato implementato con misure in grado di aumentare la consapevolezza (e la gestione) da parte degli utenti circa la visibilità dei contenuti immessi 32. 30 Corte giustizia UE, Grande Sez., 13 maggio 2014, n. 131/12, Google Spain SL, Google Inc. c. Agencia Espanola de Proteccion de Datos (AEPD), Mario Costeja Gonzalez, in Corriere giur., 2014, p. 1471 ss., con nota di G. SCORZA, Corte di giustizia e diritto all’oblio: una sentenza che non convince. Per un ampio commento sul tema v. anche F. DI CIOMMO, Quello che il diritto non dice. Internet e oblio, in Danno e resp., 2014, p. 1101 ss. (con ampia bibliografia) che, giustamente, evidenzia la “Vittoria di Pirro” dell’avv. Mario Costeja Gonzàlez che “ha certamente vinto la sua battaglia contro Google, in quanto chi scrive il suo nome su “Google.es” non visualizza più l’articolo del quotidiano spagnolo “La Vanguardia” e, dunque, per questa via non può scoprire che nel 1998 il ministero del lavoro iberico aveva sequestrato e messo all’asta la sua abitazione. Tuttavia, scomparso dalle pagine europee del motore (come “Google.it” o, per l’appunto, “Google.es”) in ottemperanza alla nota sentenza, l’articolo in questione è facilmente rinvenibile on-line (o meglio, rinvenibile come se niente fosse) utilizzando “Google.com”, e cioè la pagina americana del motore di ricerca, o, tanto per fare un altro esempio, “Google.sm”, e cioè la versione sanmarinese, che agli italiani peraltro non crea nemmeno problemi di lingua. E ciò in quanto Google fuori dal territorio europeo non è obbligato a rispettare la sentenza della Corte di Giustizia e può, dunque, continuare a fornire le risposte che crede (tendenzialmente le più complete possibili) alle interrogazioni degli utenti. Il diritto non lo dice, ma l’assenza di confini geografici e nazionali in Internet, così come la globalità e la ubiquità della Rete, rendono facilmente aggirabili, sul piano tecnico, le disposizioni (tanto legislative, quanto pretorie) delle autorità nazionali”. Per il diritto dell’interessato (nel caso di notizia del suo arresto poi non corretta dal successivo proscioglimento) alla rimozione delle informazioni che lo riguardano (non dal motore di ricerca ma dal sito in cui queste sono appostate) v. Cass., 5 aprile 2012, n. 5525, in Danno e resp., 2012, p. 701 ss., con nota di F. DI CIOMMO e R. PARDOLESI, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela della identità dinamica. È la rete, bellezza! 31 Si pensi, per es., che dal 1 gennaio 2015, attraverso App graph (per iOs e per Android), Twitter potrà conoscere quali altre applicazioni sono presenti sullo smartphone. È possibile disattivare questa funzione. Per farlo, ancora prima dell’aggiornamento su iOs, occorre accedere alle impostazioni, poi su privacy, quindi su pubblicità e attivare la spunta su “Limita raccolta dati pubblicitari”. Su Android, invece, Google Settings, poi Ads e infine “spuntare” Opt Out of Interest-Based Ads. Dopo l’aggiornamento, invece, si deve cercare il settaggio di “Tailor Twitter based on my apps” dalle impostazioni dell’account su entrambi i sistemi operativi. 32 La politica di privacy di Facebook è pubblicata in https://www.facebook.com/note.php?note_id= +322234645300. Va osservato che risale al 2009 un tempo che, rispetto, all’evoluzione dei social media lascia perplessi. E, in effetti, una delle ultime modifiche prevede che la “raccolta di informazioni” (alle quali si è acconsentito accedendo al social network) ora concerne anche quello che è presente sul dispositivo sul quale si scaricano le App dei social network, anche se non ha niente a che vedere coi social in questione. V., quanto riporta, F. NICASTRO in http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/10/facebook-twitter-addio-privacy-i-socialspiano-pc-smartphone-tablet/1261613/. © Wolters Kluwer 362 Capitolo VII Al momento della pubblicazione di un post l’utente dispone di una serie di opzioni rispetto alla condivisione del post stesso. Le problematiche sono poi esponenziali se si tiene conto del photo-tagging, geo-tagging e post-tagging, anche a seguito dell’acquisizione di Instagram da parte di Facebook, avvenuta nel 2012. Una delle funzioni maggiormente discutibili è quella relativa alla visualizzazione di chi abbia letto un post nel gruppo, ovvero data e ora di visualizzazione del messaggi privati, con ciò elidendo una delle libertà dei “navigatori”, ossia quella di “stare a guardare” (senza fare nulla)33. Il tema, data la sua “sensibilità” è stata oggetto di una Risoluzione del Garante della privacy risalente, tuttavia, al 200834. Detta Risoluzione prevede le seguenti raccomandazioni (sia a carico degli utenti che dei fornitori di servizi). Per gli utenti: 1. Pubblicazione delle informazioni - Gli utenti di servizi di social network dovrebbero valutare con attenzione se e in quale misura pubblicare dati personali in un profilo creato su tali servizi. Occorre tenere presente che le informazioni o le immagini pubblicate potrebbero riemergere in tempi successivi (ad esempio, in occasione della presentazione di una domanda d’impiego). Soprattutto, i minori dovrebbero evitare di fornire l’indirizzo o il numero telefonico di casa. Sarebbe opportuno valutare se utilizzare nel profilo uno pseudonimo anziché il nome reale. Tuttavia, gli utenti devono ricordare che la tutela offerta dall’utilizzo di pseudonimi è piuttosto limitata, in quanto altri potrebbero individuare chi vi si cela dietro. 2. La privacy degli altri - Gli utenti devono rispettare la privacy altrui. Occorre particolare attenzione se si pubblicano dati personali relativi a soggetti terzi (comprese foto con o senza didascalie o etichette) senza il consenso di tali soggetti. Per i fornitori: 1. Norme e standard in materia di privacy - I fornitori devono rispettare gli standard in materia di privacy vigenti nei Paesi ove operano. A tale scopo, dovrebbero consultarsi, se necessario, con le autorità per la protezione dei dati. 33 Attività detta lurking (http://it.wikipedia.org/wiki/Lurker). La Risoluzione è stata presentata alla 30ma Conferenza internazionale delle Autorità di protezione dei dati (Strasburgo, 15 - 17 ottobre 2008), in cui testo è in http://www.garanteprivacy.it/web/guest/ home/docweb/-/docweb-display/docweb/1560428. 34 © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 363 2. Informazioni relative agli utenti - I fornitori dei servizi di social network devono informare gli utenti in merito al trattamento dei dati personali che li riguardano, secondo modalità trasparenti e corrette. Inoltre, devono fornire informazioni veritiere e comprensibili sulle conseguenze derivanti dalla pubblicazione di dati personali in un profilo, nonché sugli altri rischi in materia di sicurezza e sulla possibilità che soggetti terzi (comprese, ad esempio, le forze dell’ordine) accedano legalmente a tali dati. L’informativa deve indicare anche le modalità per una corretta gestione dei dati personali relativi a terzi che siano contenuti nei singoli profili-utente. 3. Controllo da parte degli utenti sui dati che li riguardano - È necessario che i fornitori potenzino ulteriormente la capacità degli utenti di decidere l’utilizzo dei dati contenuti nei rispettivi profili per quanto riguarda i membri della comunità. Devono consentire agli utenti di limitare la visibilità dell’intero profilo, nonché di singoli dati contenuti nel profilo o ottenuti attraverso funzioni di ricerca messe a disposizione della comunità. Inoltre, i fornitori devono consentire agli utenti di decidere sugli utilizzi ulteriori dei dati di traffico e dei dati contenuti nei rispettivi profili (ad esempio, per quanto riguarda attività di marketing). Come minimo, devono offrire la possibilità di negare il consenso (opt-out) rispetto all’utilizzo dei dati non sensibili contenuti nel profilo, e prevedere un consenso previo (opt-in) rispetto all’utilizzo di dati di natura sensibile contenuti nel profilo (ad esempio, dati relativi ad opinioni politiche o all’orientamento sessuale) nonché rispetto ai dati di traffico. 4. Impostazioni di default orientate alla privacy - Inoltre, i fornitori devono prevedere impostazioni di default orientate a favorire la privacy degli utenti per quanto riguarda le informazioni contenute nei singoli profili. Le impostazioni di default sono essenziali ai fini della tutela della privacy; è noto come solo una minoranza degli utenti che aderiscono ad un determinato servizio si preoccupi di modificare tali impostazioni. Le impostazioni in oggetto devono essere particolarmente restrittive se il servizio di social network è destinato o rivolto a minori. 5. Sicurezza - I fornitori devono continuare a potenziare e garantire la sicurezza dei sistemi informativi, impedendo accessi abusivi ai profiliutente, utilizzando standard riconosciuti per quanto concerne la programmazione, lo sviluppo e la gestione delle rispettive applicazioni, e ricorrendo a verifiche e certificazioni indipendenti. © Wolters Kluwer 364 Capitolo VII 6. Diritti di accesso - I fornitori devono riconoscere alle persone (siano esse membri del servizio o meno) il diritto di accedere e, se necessario, apportare modifiche a tutti i dati personali detenuti dai fornitori stessi. 7. Cancellazione dei profili-utente - I fornitori devono permettere agli utenti di recedere facilmente dal servizio, cancellando il rispettivo profilo ed ogni contenuto o informazione da essi pubblicato attraverso il servizio di social network. 8. Utilizzo di pseudonimi - I fornitori devono consentire la creazione e l’utilizzo, in via opzionale, di profili basati su pseudonimi e promuovere il ricorso a tale modalità opzionale. 9. Accesso da parte di soggetti terzi - I fornitori devono prendere misure atte ad impedire che soggetti terzi possano raccogliere attraverso dispositivi di spidering e/o scaricare (o raccogliere) in massa i dati contenuti nei profili-utente. 10. Indicizzazione dei profili-utente - I fornitori devono garantire che i dati relativi agli utenti siano navigabili da parte dei motori di ricerca soltanto con il previo consenso espresso ed informato da parte del singolo utente. Deve essere prevista per default la non-indicizzazione dei profiliutente da parte dei motori di ricerca. g) App Il Gruppo dei Garanti internazionali della privacy (GPEN - Global Privacy Enforcement Network), hanno chiesto, alle piattaforme che propongono App su smartphone e tablet, di obbligare gli sviluppatori ad informare gli utenti, prima che questi scarichino le App, sugli eventuali dati personali che verranno raccolti e sul loro uso. È infatti emerso che le App più scaricate dagli utenti chiedono infatti l’accesso ad una gran quantità di dati senza spiegare adeguatamente per quali scopi queste informazioni sarebbero state usate. La questione è stata posta all’attenzione dei principali players di Internet, ossia Apple, Google, Samsung, Microsoft, Nokia, BlackBerry e Amazon, sollecitandoli ad assicurare precise garanzie a protezione dei dati degli utenti che usano le applicazioni mobili35. 35 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3602261. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 365 h) Pagamenti con tablet e smartphone Con la delibera 22 maggio 2014, n. 258, Il Garante ha definito il «Provvedimento generale in materia di trattamento dei dati personali nell’ambito dei servizi di mobile remote payment»36. Rientrano nella disciplina sia il mobile remote payment, in cui i pagamenti vengono attivati dal cliente a distanza mediante il telefono cellulare, sia il mobile proximity payment, dove i pagamenti si effettuano avvicinando il dispositivo mobile ad un apposito lettore POS37. In entrambi i casi è, comunque, implicato il trattamento dei dati personali dell’utente, tra cui numero telefonico, dati anagrafici, informazioni sul servizio o sul prodotto acquistato, importo, oltre, potenzialmente, a quelli di natura sensibile, come convinzioni religiose o preferenze sessuali. I provider ed i venditori dovranno fornire agli utenti l’informativa, da inserire poi nel modulo per la portabilità del numero, al momento dell’acquisto della scheda prepagata o della sottoscrizione dell’abbonamento telefonico, cioè gli strumenti necessari, alternativamente, per effettuare il pagamento. Gli aggregatori potranno predisporre una pagina apposita per l’informativa e la richiesta del consenso38. I provider e gli aggregatori, che operano come Responsabili del trattamento, non dovranno richiedere il consenso per la fornitura del servizio di mobile payment. Al contrario, il consenso sarà obbligatorio, sia per gli operatori che per i venditori, per le attività di marketing, oppure nel caso in cui i dati vengano comunicati a terzi. Sarà necessaria la predisposizione di sistemi di autenticazione forte per l’accesso ai dati e di procedure di tracciamento degli accessi e delle operazioni, oltre alla codificazione di prodotti e servizi ed al mascheramento dei dati con sistemi crittografici. Infine, i dati degli utenti dovranno essere cancellati dopo sei mesi, mentre l’indirizzo IP dell’utente dovrà essere cancellato dal venditore, una volta terminata la procedura di acquisto. 36 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3161560. Si rinvia a quanto detto al Capitolo IV, par. 8. 38 Sulle App con funzioni di “aggregatore” v. http://hworld.it/aggregatori-di-feed-notifiche/. 37 © Wolters Kluwer 366 Capitolo VII i) georeferenziazione e geolocalizzazione Con il termine “georefenziazione” s’intende l’attribuzione a un dato di un’informazione relativa alla sua dislocazione geografica. Un esempio è Google Maps in cui è possibile cercare negozi o località di interesse dei quali vengono fornite non solo le tipiche informazioni che restituisce un motore di ricerca, ma viene evidenziata sulla mappa la posizione geografica ad essi riferita. La “rappresentazione” – seppur aggiornata – è “statica”, ossia si riferisce ad un dato momento nel tempo (e, quindi, nello spazio). La “geolocalizzazione” è, invece, l’identificazione della posizione geografica “reale” di un dato soggetto od oggetto a seconda delle tecnologie impiegate39. Come risulta evidente, in entrambe le tipologie di “registrazione”, si evidenziano criticità in materia di dati personali visto che possono arrivare a “compendiare” i movimenti delle persone (o la collocazione esatta di oggetti). In tema di privacy, vale la pena di ricordare la multa inflitta a Google dal Garante in relazione al servizio Street View. La questione è sorta quando le Google Cars percorrevano le strade italiane senza essere perfettamente riconoscibili e non consentendo, in tal modo, alle persone presenti nei luoghi percorsi di decidere se sottrarsi o meno alla “cattura” 39 Le tecnologie più utilizzate di RLT (Real Time Location) sono, al momento, le seguenti: a) GPS – Tag (ricevitore GPS) – Funzionamento (Costellazione di satelliti trasmittenti geostazionari per la triangolazione – Precisione (da 1 a 20 metri), in http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_Posizionamento _Globale; b) D-GPS – Tag (ricevitore D-GPS) – Funzionamento (uguale al GPS con errore diminuiti mediante stazioni di terra) – Precisione (da 1 a 5 metri), in http://it.wikipedia.org/wiki/GPS_differenziale; c) Cell-ID – Tag (mobile devices o Sim tag) – Funzionamento (cella alla quale il device o il tag è connesso) – Precisione (da 50 metri a 1 km), in http://en.wikipedia.org/wiki/Cell_ID; d) Telco – Tag (mobile devices o Sim tag) – Funzionamento (triangolazione tra celle (BTS) delle Telco) – Precisione (da 20 a 200 mt nelle aree cittadine), in http://it.wikipedia.org/wiki/Stazione_radio_base; e) Wi-Fi – Tag (Pc Wi-Fi, Tag Wi-Fi) – Funzionamento (triangolazione tra tre o più Access point) – Precisione (da 2 a 5 metri), in http://it.wikipedia.org/wiki/Wi-Fi; f) Rfid passivo – Tag (Tag passivi HF/UHF) – Funzionamento (un tag trasmette il suo ID quando entra nel campo di emissione di un reader) – Precisione (da 1 cm a 10 metri dal ricevitore), in http://it.wikipedia.org/ wiki/Radio-frequency_identification; http://www.comefunziona.net/arg/rfid/7/; g) Rfid attivo – Tag (Tag attivi RF) – Funzionamento (un tag trasmette il suo ID di continuo e viene localizzato quando il ricevitore entra nel suo campo di emissione) – Precisione (da 1 cm a 100 metri dal ricevitore), in http://it.wikipedia.org/wiki/Radio-frequency_identification; http://www.comefunziona.net/arg/rfid/6/; h) UWB – Tag (Tag attivi UWB) – Funzionamento (Il Tag emette in continuo il suo ID e viene localizzato dal ricevitore che entra nel suo campo) – Precisione (da 10 cm fino a 30 cm), in http://en.wikipedia.org/ wiki/Ultra-wideband; i) ZigBee – Tag (Tag attivi) – Funzionamento (Triangolazione reciproca tra tag (rete mesh) con almeno 4 tag in posizione nota) – Precisione (da 50 cm a 1 metro), in http://www.zigbee.org/; http://it.wikipedia.org/ wiki/ZigBee. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 367 delle immagini. Numerose erano state le segnalazioni all’Autorità da parte di persone che non desideravano comparire nelle foto pubblicate on line (che, peraltro, permangono in rete per un tempo considerevole e possono essere ingrandite). Il Garante aveva prescritto alla società di rendere le “Google cars” facilmente individuabili, attraverso cartelli o adesivi ben visibili, di pubblicare sul proprio sito web, tre giorni prima dell’inizio delle riprese, le località visitate dalle vetture di Street View, stabilendo che per le grandi città è necessario indicare i quartieri in cui circolano le vetture. Analogo avviso deve essere pubblicato da Google sulle pagine di cronaca locale di almeno due quotidiani e diffuso per mezzo di un’emittente radiofonica locale per ogni regione visitata. Le misure sono state tempestivamente adottate da Google40. Sulla geolocalizzazione, il Gruppo di lavoro dei Garanti, nel 2011, ha stabilito l’applicazione delle norme sulla privacy ai geo-data (e cioè i dati sugli spostamenti degli utenti raccolti attraverso tecnologie come il GPS o il Wi-Fi), per i quali, quindi, è necessario aver previamente acquisito il consenso degli utenti alla loro raccolta. Le informazioni devono poi essere trattate in maniera autonoma, con la possibilità di modificarle o revocarne la raccolta in qualsiasi momento 41. Le Raccomandazioni prevedono: 1. Consenso specifico - Non sarà più sufficiente il consenso generico contenuto nei lunghi documenti dei “termini di servizio”: i produttori di telefonini e i fornitori di servizi mobili dovranno chiedere un consenso specifico per la raccolta dei geo-data. 2. Trasparenza - Gli utenti dovranno essere “continuamente informati” su come vengono utilizzati i dati sulla località, in modo da prevenire forme di “monitoraggio segreto”. Una delle soluzioni proposte riguarda l’introduzione di un’icona che avverte quando i geo-data vengono raccolti. 3. Applicazioni - C’è poi il gran numero delle applicazioni terze che accedono ai geo-data. L’Unione Europea ha ribadito che dare il consenso ad un’applicazione non vuol dire che l’utente autorizza qualsiasi altra applicazione alla raccolta dati. 4. Tempi ridotti - Il consenso per il trattamento di queste informazioni va chiesto ad intervalli regolari, dopo un certo periodo di tempo. 40 41 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3033237. http://ec.europa.eu/justice/policies/privacy/docs/wpdocs/2011/wp185_en.pdf. © Wolters Kluwer 368 Capitolo VII 5. Revoca - Gli utenti devono avere la possibilità di revocare la raccolta “senza nessuna conseguenza negativa per l’utilizzo del dispositivo”. 6. Accesso - Gli utenti devono avere la possibilità di “accedere, rettificare e cancellare i propri profili”. 7. Divieto del tracking dei dipendenti - Le misure diventano più severe nel caso dei dipendenti. I dati raccolti dai dispositivi mobili non devono essere utilizzati dai datori di lavoro per controllare dove si trova un proprio lavoratore. A questi ultimi deve essere sempre data la possibilità di “spegnere i servizi di monitoraggio al di fuori dell’orario di lavoro”. Sul “controllo” dei dipendenti può essere citata una decisione del Garante del 9 ottobre 2014, in base alla quale due società telefoniche sono state autorizzare ad utilizzare i dati di localizzazione geografica, rilevati da una App attiva sugli smartphone in dotazione ai lavoratori, purché adottino adeguate cautele a protezione della loro vita privata. Secondo il Garante lo smartphone per le proprie caratteristiche è destinato a “seguire” la persona che lo possiede, senza distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro. Il trattamento dei dati di localizzazione può presentare, quindi, rischi specifici per la libertà (es. di circolazione e di comunicazione), i diritti e la dignità del dipendente. Di conseguenza le società dovranno garantire che le informazioni visibili o utilizzabili dalla App siano solo quelle di geolocalizzazione, impedendo l’accesso ad altri dati, quali ad esempio, sms, posta elettronica, traffico telefonico. E dovranno configurare il sistema in modo tale che sullo schermo dello smartphone compaia sempre, ben visibile, un’icona che indichi ai dipendenti che la funzione di localizzazione è attiva. I dipendenti dovranno essere ben informati sulle caratteristiche dell’applicazione (ad es., sui tempi e le modalità di attivazione) e sui trattamenti di dati effettuati dalle società. La rilevazione dei dati di geolocalizzazione prospettata dalle società non sarebbe poi continuativa, ma avverrebbe a intervalli stabiliti42. 42 http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3505371. V., in precedenza, il provv. del 2012 in http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/ docweb/1923293. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 369 l) Internet delle cose Il Gruppo di lavoro dei Garanti europei ha diffuso un documento sulle modalità in cui deve essere affrontato l’Internet delle cose43. Per prevenire l’utilizzo abusivo dei dati personali (e degli oggetti connessi), si chiede la piena trasparenza da parte delle imprese, anche in ragione dell’asimmetria tecnica ed informativa di chi gestirà le piattaforme per il “collegamento”. Vengono identificati tre fronti problematici: - wearable computing (abiti, accessori, occhiali, etc.); - quantified self (sensori e altri strumenti biometrici utilizzati per la misurazione di prestazioni o condizioni corporee); - domotica (elementi propri dell’abitazione o ospitati nell’abitazione, quali sensori o elettrodomestici). La proposta dei Garanti è basata su tre versanti. Il primo consiste nella previsione di “garanzie” sin dalla fase progettuale (c.d. “privacy by design”). Il secondo versante prevede che all’utilizzatore debba rimanere il controllo dei dati trattati dall’oggetto in ogni fase (ad esempio mediante protocolli informatici “privacy friendly”). L’utilizzatore deve quindi essere pienamente consapevole del trattamento dei propri dati e deve aver concesso un consenso “informato, libero e specifico”. Infine, non pare che si possa immaginare la predisposizione, in tempi brevi, di un ‘set’ di regole giuridiche per fenomeni in rapida evoluzione, per cui la soluzione è quella di un approccio etico al problema, ossia un ragionamento in cui il rispetto dei dati personali sia parte integrante di un “atteggiamento” pro-mercato. 15. L’anonimato in Rete Quando si effettuano operazioni sulla Rete, si lasciano tracce ovunque. Infatti quando ci si collega, vengono automaticamente trasmesse alcune informazioni tra cui: - l’indirizzo IP; - Internet Provider (ISP); - nazione di provenienza; 43 http://ec.europa.eu/justice/data-protection/article-29/documentation/opinion-recommendation/files/ 2014/wp223_en.pdf. © Wolters Kluwer 370 Capitolo VII - il nome, la versione e il produttore del programma che viene utilizzato; il nome e la versione del sistema operativo; la cronologia degli ultimi siti visitati; informazioni sui precedenti collegamenti ad un precedente sito (in quale giorno e a che ora); - informazioni sui server ai quali è stata effettuata una connessione; 44 - (talvolta) l’indirizzo e-mail . In pratica, si potrebbe affermare che la “navigazione in chiaro” comporta, nella normalità del caso, il rilascio “spesso inconsapevole” di numerose informazioni che possono essere poi utilizzate per vari scopi, dalle persone che (legittimamente o illegittimamente) riescono a raccoglierle. Come visto, molti siti (soprattutto commerciali) utilizzano anche un meccanismo di identificazione che permette di identificare un utente anche a distanza di tempo, e può rivelare loro, la frequenza con cui il sito è stato visitato, la durata di permanenza e il “percorso” della navigazione effettuata. Ciò avviene, spesso, attraverso l’utilizzo dei cookies o dei JavaScript, la cui attivazione può peraltro essere disabilitata nel browser dell’utente. La tecnologia, come consente di poter “tracciare” la navigazione dell’utente, consente anche, adottando gli opportuni strumenti, la “navigazione anonima”, ovvero la spedizione di messaggi di posta elettronica senza la possibilità di individuare il mittente. In Rete esistono servizi di anonimato che consentono di impedire l’identificazione del navigatore: ciò è reso possibile in quanto l’indirizzo web di destinazione non viene chiamato direttamente dall’utente (o meglio, rendendo noto il suo indirizzo IP di accesso), ma attraverso il sito che fornisce l’anonimato, che preleva tutti i file richiesti dall’utente e li invia al suo computer45. Pertanto, il computer a cui “collegare” la navigazione risulta essere quello che fornisce il servizio di anonimato, rimanendo nascosto, in definitiva, l’indirizzo IP dell’utente che vuole rimanere anonimo. 44 Per sapere cosa c’è negli zombie cookies del nostro sistema v. anonymitychecker.com (che rilancia http://www.stayinvisible.com/). Per molte informazioni in merito v. http://www.notrace.it al cui interno è presente un sistema di controllo (http://www.notrace.it/spy.asp). 45 I principali software per la navigazione anonima – ad opinione di chi scrive - sono i seguenti: MultiProxy, ProxyWay, JAP/JonDo, UltraSurf. Per chi utilizza come browser Explorer, Opera o Firefox, detti programmi possono essere “coordinati” con il software Proxomitron, il cui sviluppo si è interrotto con la morte del suo autore. Gli è succeduto con funzionalità analoghe il programma Open-source, rilasciato con licenza GNU GPL, denominato Proximodo. © Wolters Kluwer La gestione delle informazioni e dei dati personali 371 Nel caso di utilizzo di web-proxy46 o di multiproxy è necessario disabilitare l’uso dei cookies al fine di non compromettere l’anonimato, considerato il fatto che, quando si accede nuovamente ad un sito già visitato, il semplice fatto che si sia accettato un cookie permette al server di partenza di riconoscere il profilo dell’utente. Da un punto di vista tecnico un server proxy può essere considerato come un dispositivo in grado di intercettare le richieste provenienti dai client, per procurare dai vari siti le pagine HTML e replicarle in locale. In sostanza, è un server che permette di accedere ad un sito senza mostrate l’indirizzo IP di partenza. Nel caso di collegamento “tradizionale – in chiaro” ad un particolare sito, il browser si collega alla pagina richiesta e la scarica in locale sul computer; l’amministratore di sistema del sito sarà peraltro a conoscenza dell’indirizzo IP dell’utente, oltre ad altre numerose informazioni. Utilizzando, invece, un server proxy, l’IP registrato sul sito sarà quello del server proxy. Il server proxy, peraltro, registra l’indirizzo IP dell’utente. Un maggior grado di sicurezza può essere raggiunto concatenando più server proxy: più lunga è la catena e più difficili saranno le operazioni per rintracciare l’utente. 16. Segue: il progetto TOR (e dintorni) Per la navigazione anonima si può fare riferimento ai Proxy CGI che sono dei siti attraverso i quali navigare su Internet. Tra questi vanno menzionati: - Anonymouse che consente tre opzioni: a) navigazione anonima (AnonWWW); b) invio di mail anonime (AnonEmail); c) partecipazione anonima a newsgroup (AnonNews)47; - Change IP Country Anonymizer, per cambiare la nazione dalla quale si vuole (far credere di) operare (con la relativa modifica dell’indirizzo IP)48; 49 - Hydemyass ; 46 V. “Proxy” su http://it.wikipedia.org/wiki/Proxy. I proxy server sono computer collegati alla rete e permettono ai dati delle trasmissioni di transitare attraverso di essi. Il navigatore si collega al proxy e gli invia le richieste. Il proxy si collega al server del sito web e gli inoltra la richiesta del navigatore. Ricevuta la risposta, la ritorna al navigatore. Non tutti i proxy sono anonimi tanto che, per evitare rischi, è opportuno utilizzarli in modo concatenato. 47 http://anonymouse.org/. 48 http://anonymizer.nntime.com/ 49 https://www.hidemyass.com/ (a pagamento); https://www.hidemyass.com/proxy (gratuito). © Wolters Kluwer 372 Capitolo VII CTunnel50. La soluzione più all’avanguardia è però costituita dal Progetto TOR. TOR (acronimo di The Onion Routers) è una Rete costituita da una serie di server (detti “relay”) – che possono essere anche i nostri stessi computer – che svolgono il servizio di intermediazione attraverso la crittografia stratificata. In sostanza, i dati inseriti dall’utente, prima di arrivare al server del sito web richiesto, vengono “smistati” (e cifrati) attraverso i relay in modo casuale, in analogia con il funzionamento a “pacchetti” della Rete Internet51. TOR funziona solo con i flussi TCP e con applicazioni che supportano il protocollo SOCKS. Ne consegue che i siti web non capiscono da dove ricevono la richiesta. Per aumentare la sicurezza, tutti i dati scambiati tra i server sono crittografati in modo tale da impedirne la lettura e, ogni dieci minuti, il percorso dei dati viene modificato per evitare che, con il tempo di connessione lungo, sia possibile rintracciare le informazioni52. TOR (oltre che dal programma medesimo) è costituito da un insieme di applicazioni che sono: a) Vidalia (che ne costituisce l’interfaccia grafica)53; b) Privoxy (che funge da proxy locale per la navigazione con lo standard SOCKS); c) TORbutton (per chi naviga con Firefox è il “gestionale” di TOR). TOR è il sistema utilizzato per accedere al Deep Web, ossia per la navigazione “sicura” anche in ambienti non leciti54. Per questa ragione molti siti non consentono l’accesso a chi naviga utilizzando tale sistema55. - 50 http://www.ctunnel.com/. TOR può essere utilizzato anche per la navigazione sicura da smartphone. V. http://www.navigaweb.net/ 2013/10/navigare-con-tor-su-android-e.html. 52 Il Progetto TOR è spiegato in https://www.torproject.org/ nel quale è presente sia la documentazione necessaria. Per il download v. https://www.torproject.org/download/download. R. DINGLEDINE, N. MATHEWSON, P. SYVERSON, Tor: The Second-Generation Onion Router, in http://www.dtic.mil/dtic/tr/fulltext/ u2/a465464.pdf. 53 E dalla quale si può vedere la rete attraverso la quale TOR gestisce i dati. 54 C. FREDIANI, Tor è ancora anonimo?, in http://www.wired.it/internet/web/2014/11/25/tor-anonimo/. Pare che sia stato possibile, attraverso una analisi di correlazione del traffico, monitorare il traffico in entrata e in uscita dai nodi TOR. In una notizia riportata sulla stampa si informa che in un post pubblicato sul blog del Progetto TOR, l’associazione responsabile della gestione della rete, ha comunicato di aver ricevuto un attacco neutralizzato solo cinque mesi dopo. L’obiettivo sarebbero quei soggetti che “attraverso Tor ha creato e gestisce siti web e servizi online in modo anonimo, attraverso gli “hidden services”, i servizi (e i traffici anche illegali) nascosti” (http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-07-31/tor-attacco-hacker-ha-violato-mesi-anonimatoutenti-204102.shtml?uuid=ABCPcFgB). 55 Per ulteriori informazioni v. anche http://proxoit.altervista.org/index.html. 51 © Wolters Kluwer 373 CAPITOLO VIII GLI STRUMENTI PER LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Il ricorso all’Autorità giudiziaria ordinaria - 3. Le ADR - Alternative Dispute Resolution - 4. Segue: la direttiva 2013/11/UE sull’ADR per i consumatori - 5. La Class action - 6. Le ODR - On line dispute Resolution: il Regolamento 524/2013/UE - 7. Una visione “aziendale” della conciliazione on line - 8. Segue: conciliazione nei contratti B2B - 9. Segue: conciliazione nei contratti B2C - 10. Altre soluzioni non contenziose: reclami e segnalazioni 1. Premessa Il problema della risoluzione delle possibili controversie connesse al commercio elettronico costituisce un evidente e riconosciuto ostacolo alla diffusione del fenomeno. La tematica può essere suddivisa lungo due fronti problematici. Da una parte i rapporti tra imprese (B2B), laddove la natura transnazionale di Internet può generare che la contrattazione avvenga su un sito di un soggetto straniero e, quindi, può risultare difficile la conoscenza delle regole applicabili al caso concreto, nel momento in cui sarebbe applicabile un ordinamento giuridico straniero. Stante la peculiarità dello strumento utilizzato, risulta pertanto non semplice, a meno di valide pattuizioni fra le parti, determinare l’ordinamento, la legge e il giudice competente, dato che questi elementi possono essere individuati, nel momento in cui non si può fare ricorso al criterio della volontà delle parti, in base al luogo di conclusione del contratto. Nell’ambito delle transazioni telematiche, la difficoltà di individuare il luogo di conclusione del contratto è dovuta al fatto che uno spazio vero e proprio (un collegamento fisico e reale ad un ordinamento giuridico specifico), nel senso fisico del termine, non è facilmente rintracciabile, dal momento che le parti si collegano da due luoghi diversi attraverso i propri computer per “accedere” al cyberspazio, o addirittura il collegamento può avvenire attraverso una connessione mobile. Dall’altra parte, con riferimento ai rapporti tra imprese e consumatori (B2C), la prassi negoziale registra transazioni aventi normalmente modico valore, in relazione alle quali, proprio per questa caratteristica, il fat© Wolters Kluwer 374 Capitolo VIII to di adire la giustizia comporta oneri maggiori rispetto al risultato perseguibile. Ma non si tratta di situazioni affatto trascurabili se si ragiona sul loro numero e sulla loro frequenza. Sia per le imprese che per i consumatori, inoltre, vi è l’evidente punto dolente legato ai tempi dell’accesso alla giustizia (le imprese – se possono e vogliono – hanno lo strumento costoso, ma discreto dell’arbitrato) che contrasta decisamente con la peculiarità dell’immediatezza dei rapporti telematici. La necessità di assicurare una maggiore tutela ai consumatori – come si vedrà nel prosieguo – ha indotto il legislatore comunitario (e quindi quelli dei paesi membri) a prevedere una tutela “rafforzata” sia nelle norme che negli strumenti attivabili. 2. Il ricorso all’Autorità giudiziaria ordinaria Le controversie possono essere risolte utilizzando diversi strumenti che possiamo suddividere nettamente tra : a) ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria; b) utilizzo di Alternative Dispute Resolution. Anche le controversie che derivano da una relazione di commercio elettronico accedono all’Autorità giudiziaria ordinaria in base ai principi generali posti dall’ordinamento giuridico. È preliminarmente necessario determinare se la controversia abbia portata esclusivamente nazionale ovvero se possa avere risvolti di carattere internazionale. Nel primo caso (in linea generale), l’Autorità giudiziaria italiana avrà la “giurisdizione” (inteso come potere di decidere) su quella specifica controversia; in linea altrettanto generale troverà applicazione la normativa italiana. La questione, peraltro, deve necessariamente tenere conto della (potenziale) transazionalità della transazione, soprattutto in considerazione delle tecnologie utilizzate. Passaggio successivo è quello di determinare quale sia il giudice competente. A ciò suppliscono le norme stabilite dal Codice di procedura civile in materia di competenza. La regola generale è quella in base alla quale la causa viene instaurata avanti al Giudice del luogo in cui il convenuto (cioè la persona nei con- © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 375 fronti del quale viene promossa la causa) ha la propria residenza – domicilio – sede. In alternativa, è possibile promuovere una causa avente ad oggetto l’esecuzione di obbligazioni (contrattuali) anche avanti al Giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione o quest’ultima deve essere eseguita. In un contesto telematico, come si è detto, potrebbe essere difficile determinare il luogo ed il momento in cui è avvenuta la conclusione del contratto con l’incontro delle volontà delle parti. Ove possibile, sarebbe preferibile definire la questione in una specifica clausola contrattuale, con le precauzioni del caso in relazione alla sua valida approvazione. Ove sia consentito, la competenza territoriale può essere individuata in base ad un accordo tra le parti. Infine, per alcune specifiche materie (ad es.: in materia di diritti di proprietà intellettuale o industriale), è stabilita per legge la competenza funzionale di giudici specifici (i c.d. Tribunali delle Imprese, ex Sezioni specializzate). Sulle predette considerazioni influiscono la qualità delle parti e le determinazioni contrattuali (nel caso in cui, ovviamente, sia in contestazione una responsabilità di carattere contrattuale). Infatti, vi è maggiore libertà di azione nel momento in cui la controparte non sia un consumatore. In una relazione tra imprese, è possibile, ad esempio, derogare contrattualmente alla competenza territoriale. In altre parole, l’impresa che vende il prodotto o offre il servizio può stabilire una clausola in forza della quale tutte le controversie che deriveranno dal rapporto contrattuale dovranno essere promosse soltanto avanti ad un giudice (che ragionevolmente, per questioni di economicità) corrisponderà con quello della propria sede legale/operativa. Ancora, il fornitore potrà decidere di inserire delle clausole che limitino la sua responsabilità. Piuttosto, con specifico riferimento alla relazione di commercio elettronico, il problema sarà quello di avere una clausola valida ed efficace tra le parti. Infatti, la clausola che deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria o di limitazione della responsabilità (ove, come molto probabile, sia inserita in un testo riportante le Condizioni generali) rientra tra quelle che richiede – ai sensi degli artt. 1341 e ss. c.c. – la doppia sottoscrizione: sul © Wolters Kluwer 376 Capitolo VIII punto quindi è necessario assicurarsi che sia rispettato il dettato normativo (specifico richiamo e doppia approvazione in forma scritta)1. Diverso discorso, invece, nel momento in cui la controparte sia un consumatore. In tale situazione, infatti, la normativa stabilisce – a tutela del consumatore, ritenuto parte contraente debole – che sia considerata vessatoria (fino a prova contraria) la clausola che ha per oggetto di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore”. In altre parole, la norma individua il c.d. “Foro del consumatore” avanti al quale l’impresa dovrà promuovere ogni eventuale causa o potrà essere convenuto in giudizio. Nel momento in cui la controversia abbia anche elementi di internazionalità (situazione non infrequente, attesa la portata internazionale del commercio elettronico), entra in gioco anche un altro elemento. Potrebbe essere necessario infatti individuare lo Stato i cui giudici hanno il potere di decidere su quella controversia e la legge che è applicabile a quella controversia. Anche in relazione a tali aspetti, sono previsti (a livello nazionale, comunitario ed internazionale) regole di carattere generale, situazioni che possono essere derogate pattiziamente (nel caso di rapporti tra imprese) e situazioni inderogabili (nel momento in cui è parte un consumatore). 3. Le ADR – Alternative Dispute Resolution Le ADR sono forme alternative di soluzione delle controversie. Tra queste si possono individuare: a) l’arbitrato; b) la mediazione; c) le procedure di riassegnazione dei nomi di dominio. a) l’arbitrato - In estrema sintesi, l’arbitrato è uno strumento di soluzione delle controversie attraverso il quale le parti affidano la decisione di una controversia già insorta oppure delle future controversie che dovessero scaturire dai propri rapporti (aventi ad oggetto diritti disponibili) ad un soggetto privato (arbitro). 1 V. quanto detto al Capitolo IV. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 377 Il potere di decidere viene conferito dalle parti all’arbitro in forza di uno specifico accordo o di una clausola contrattuale. La procedura può essere “amministrata” da un Organismo specializzato e le parti possono decidere di applicare il Regolamento da questo realizzato. Il potere di decidere da parte del terzo (che può essere un soggetto individuale o plurisoggettivo, detto “Collegio”) deriva da una manifestazione di volontà delle parti per la quale la legge prevede il particolare requisito della forma scritta. Nel caso in cui tale dichiarazione sia un atto autonomo, si parla di compromesso; qualora sia inserita in un contratto, si parla invece di clausola compromissoria. Ove inserita in condizioni generali, la clausola deve essere oggetto di doppia sottoscrizione. Anche in tale situazione, nel caso di commercio elettronico, la clausola deve essere validamente approvata, tenuto conto delle peculiarità dello strumento utilizzato per la conclusione del contratto. La clausola compromissoria comporta infatti una deroga all’autorità giudiziaria ordinaria e, come tale, deve essere considerata ai fini della sua validità. Nel sistema delle Camere di commercio – come si può vedere dai relativi siti – sono disponibili servizi di arbitrato (in genere vengono denominate “Camere arbitrali”)2. b) la mediazione - La mediazione, invece, è uno strumento di risoluzione delle controversie in cui l’obiettivo non è quello di ottenere una decisione, ma il raggiungimento di un accordo (una volta ripresa la comunicazione tra le parti), favorito dall’attività di un soggetto (il mediatore), terzo, indipendente e neutrale rispetto alle parti coinvolte3. In alcune materie, la legge prevede che, prima di promuovere una causa, le parti siano obbligate ad esperire un tentativo di conciliazione. 2 Come, per es., quelle di Milano (www.camera-arbitrale.it/), di Venezia (www.camera-arbitralevenezia.com/), di Roma (www.cameraarbitralediroma.it/), etc. 3 In ciascuna delle Camere di commercio è attivo un servizio di mediazione (conciliazione) che, basandosi su una procedura unica a livello nazionale, semplice, rapida ed economica offre assistenza a cittadini e imprese per intraprendere con sicurezza la risoluzione stragiudiziale delle controversie. Da oltre dieci anni le Camere di commercio, insieme ad Unioncamere, sono impegnate nella promozione degli strumenti della giustizia alternativa. Uno sforzo che è stato valorizzato dalla recente riforma sulla mediazione civile e commerciale, in base alla quale a partire da marzo 2011 per numerose fattispecie di controversie sarà obbligatorio rivolgersi in prima battuta ad uno degli organismi di conciliazione accreditati, tra cui ovviamente le Camere di commercio. © Wolters Kluwer 378 Capitolo VIII Medesimo risultato, può essere raggiunto inserendo una specifica clausola nel contratto o nelle condizioni generali (c.d., “clausola di tentativo obbligatorio di conciliazione”). A tale riguardo, dal momento che non si tratta di una clausola che costituisce una deroga all’autorità giudiziaria (come avviene, invece, nel caso della clausola compromissoria), ove inserita in condizioni generali, non sarebbe necessaria la doppia sottoscrizione. Esistono organismi di conciliazione pubblici e privati. La maggior parte ha una competenza generale. Ma vi sono anche organismi di mediazione con una competenza specifica. c) le procedure di riassegnazione dei nomi di dominio - La procedura di riassegnazione di un nome di dominio è uno strumento di risoluzione alternativo delle controversie volta a consentire ad un soggetto di ottenere la assegnazione a proprio nome di uno specifico nome di dominio che è stato illegittimamente assegnato ad altri. Ciascun TLD prevede una propria procedura di riassegnazione, che costituisce l’applicazione procedurale della normativa sostanziale che stabilisce i requisiti per poter ottenere l’assegnazione sotto quel particolare TLD. Con specifico riferimento al ccTLD “.it”, è necessario fare riferimento Regolamento per la risoluzione delle dispute corredato dalle Linee guida legali4. Le procedure di riassegnazione sono gestite dai Prestatori del Servizio di Risoluzione delle Dispute (PSRD): a dette procedure trovano applicazione sia i documenti sopra enunciati, sia i Regolamenti procedurali dei singoli PSRD5. 4 Di cui si è già detto al Capitolo II. La procedura di riassegnazione è applicabile a tutti i domini “.it” la cui registrazione ad opera di terzi sia stata oggetto di previa opposizione formale. Lo scopo della procedura è quello di verificare la legittimità del diritto o titolo all’uso del dominio da parte del soggetto che appare come formale assegnatario e di verificare che il nome a dominio non sia stato registrato e/o venga mantenuto in mala fede. Il ricorso a questa procedura può avere come unico esito o la riassegnazione del dominio al soggetto che ha iniziato l’opposizione o il rigetto del suo reclamo. Trattandosi di una procedura amministrata (della durata massima, fino a decisione definitiva, di circa due mesi), non è previsto tra i poteri del PSRD il potere di condanna a forme di risarcimento, così come le spese del procedimento restano a carico del ricorrente anche in caso di accoglimento del suo reclamo (il recupero delle spese sostenute può semmai essere esperito solo successivamente mediante la giustizia ordinaria). La procedura di riassegnazione non impedisce il ricorso, anche successivo, alla magistratura, ma essa non può essere attivata se si è già dato inizio ad un giudizio ordinario avente ad oggetto il nome a dominio o se si è in attesa di un giudizio pendente da parte di un giudice 5 © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 379 ordinario (se invece un giudizio ordinario viene instaurato da una delle parti mentre pende una procedura di riassegnazione, quest’ultima si estingue immediatamente). Il PSRD abilitato predispone una "Lista di esperti" di non meno di 15 persone, tra i quali il ricorrente sceglierà l’esperto (nel caso di scelta di un "Collegio unipersonale") o indicherà la volontà che il ricorso sia deciso da tre esperti cui il PSRD affiderà la decisione. La scelta del PSRD cui far svolgere la procedura spetta a chi contesta il nome di dominio, restando a suo esclusivo carico le relative spese. Il Registro è estraneo al merito del procedimento e non è responsabile dell'operato dei PSRD che gestiscono la procedura di riassegnazione. Tra i nominatavi che compongono la Lista, chi intende presentare un ricorso potrà selezionare l'esperto o il nominativo di uno dei tre esperti che condurranno la procedura di riassegnazione, secondo le istruzioni e le tariffe riportate nell'apposita sezione del sito del PSRD. Possono essere sottoposti alla procedura di riassegnazione i nomi di dominio “.it” per i quali un terzo (denominato "ricorrente") che abbia preventivamente inoltrato al Registro la lettera di opposizione, affermi e provi che: 1. il nome di dominio sottoposto ad opposizione è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio od altro segno distintivo su cui egli vanta diritti, o al proprio nome e cognome; 2. l'attuale assegnatario (denominato "resistente") non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome di dominio contestato; 3. il nome di dominio è stato registrato e viene utilizzato in mala fede. Se il ricorrente prova che sussistono assieme le condizioni (a) e (c) ed il resistente non prova di avere diritto o titolo al nome di dominio oggetto di opposizione, tale nome di dominio viene trasferito al ricorrente stesso all'esito della procedura condotta dal PSRD. Il resistente sarà ritenuto avere diritto o titolo al nome di dominio contestato qualora provi che: a. prima di avere avuto notizia della opposizione ha usato o si è preparato oggettivamente ad usare il nome di dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni e servizi; oppure b. che è conosciuto, personalmente, come associazione o ente commerciale, con il nome corrispondente al nome di dominio registrato, anche se non ha registrato il relativo marchio; oppure c. che del nome di dominio sta facendo un legittimo uso non commerciale o commerciale senza l'intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato. Le seguenti circostanze, se dimostrate, saranno ritenute prova della registrazione e dell'uso del dominio in mala fede: a. circostanze che inducano a ritenere che il nome di dominio è stato registrato con lo scopo primario di cedere, concedere in uso o in altro modo trasferire il nome di dominio al ricorrente, titolare di un nome oggetto di un diritto riconosciuto o stabilito dal diritto nazionale o comunitario, o ad un suo concorrente, per un corrispettivo, monetario o meno, che sia superiore ai costi ragionevolmente sostenuti dal resistente per la registrazione ed il mantenimento del nome di dominio; b. la circostanza che il nome di dominio sia stato registrato dal resistente per impedire al titolare del diritto ad un nome, marchio, denominazione anche geografica o altro segno distintivo riconosciuto dal diritto nazionale o comunitario, di utilizzare tale nome, denominazione, marchio o altro segno distintivo in un nome di dominio corrispondente ed esso sia utilizzato per attività in concorrenza con quella del ricorrente o, per gli enti pubblici, magistratura od altri organi dello Stato, in modo da sviare cittadini che ricerchino informazioni relative ad attività istituzionali; c. la circostanza che il nome di dominio sia stato registrato dal resistente con lo scopo primario di danneggiare gli affari di un concorrente o usurpare nome e cognome del ricorrente; d. la circostanza che, nell'uso del nome di dominio, esso sia stato intenzionalmente utilizzato per attrarre, a scopo di trarne profitto, utenti di Internet ingenerando la probabilità di confusione con un nome oggetto di un diritto riconosciuto o stabilito dal diritto nazionale e/o comunitario oppure con il nome di un ente pubblico; e. il nome di dominio registrato sia un nome proprio, ovvero un nome di ente pubblico o privato per il quale non esista alcun collegamento dimostrabile tra il titolare del nome di dominio e il nome di dominio registrato. L'elencazione di cui sopra è meramente esemplificativa. Il collegio di esperti potrà quindi rilevare elementi di mala fede nella registrazione e nell'uso del nome di dominio anche da circostanze diverse da quelle sopra elencate. Nel caso in cui il PSRD decida la riassegnazione del nome a dominio “it” oggetto di opposizione, la sua decisione sarà eseguita dal Registro, a meno che esso non riceva, entro 15 giorni dal momento in cui ha ricevuto la decisione del collegio, una comunicazione adeguatamente documentata da parte del resistente di aver iniziato un procedimento giudiziario in relazione al nome a dominio oggetto di opposizione. Nel caso in cui il procedimento giudiziario promosso dal resistente si estingua, il Registro darà esecuzione alla decisione del collegio su istanza della parte interessata. © Wolters Kluwer 380 Capitolo VIII Con specifico riferimento al ccTLD “.eu” (gestito dall’Eurid)6, è necessario fare riferimento alla seguente normativa comunitaria: Reg. (CE) n. 733/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 aprile 2002, relativo alla messa in opera del dominio di primo livello .eu e Reg. (CE) n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione7. Le procedure di riassegnazione sono gestite dalla Corte Arbitrale CECA che applica le relative regole procedurali8. Con specifico riferimento agli altri ccTLD ed ai GTLD, è necessario fare riferimento ai rispettivi registri ed alle relative regole, in base alle quali determinare anche i soggetti abilitati a risolvere le procedure di riassegnazione e le regole applicabili a dette procedure. Un punto di partenza può essere costituito dalla pagina dedicata alle Domain Name Dispute Resolution del sito dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale9. 4. Segue: la direttiva 2013/11/UE sull’ADR per i consumatori Nel 2013 l’UE ha adottato una nuova direttiva in tema di ADR (dir. n. 2013/11/UE del 21 maggio 2013)10 dedicata esclusivamente alle controversie che riguardano i diritti dei consumatori. Riguarda, infatti, tutte le controversie del consumo transfrontaliere (B2C) ad esclusione di quelle tra imprese (B2B). Essa ricomprende i sistemi ADR che si basano sull'intervento di un terzo (arbitrato, conciliazione, mediazione, etc.), ma non le negoziazioni dirette tra le parti o i tentativi messi in atto dal giudice per favorire la composizione della controversia oggetto di un procedimento giudiziario. La direttiva punta a risolvere alcuni problemi identificati dalla Commissione che compromettono l’efficacia delle procedure ADR esistenti: lacune nella copertura, scarsa consapevolezza dei consumatori e qualità disomogenea delle procedure. Infine, la procedura di riassegnazione di nome di dominio sottoposto ad opposizione può essere riproposta fra le stesse parti per lo stesso nome di dominio (nel caso di diniego della riassegnazione al ricorrente) ove all’esito della decisione siano intervenuti fatti nuovi che motivino l’instaurazione di una nuova procedura, ovvero tali fatti non fossero conosciuti durante la prima procedura. 6 http://www.eurid.eu/it. 7 http://www.adreu.eurid.eu/adr/adr_rules/index.php. 8 http://www.adreu.eurid.eu/index.php; http://www.adreu.eurid.eu/adr/adr_rules/index.php. 9 http://www.wipo.int/amc/en/domains/. 10 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:165:0063:0079:IT:PDF. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 381 Gli aspetti principali della nuova normativa sono: - assicurare la facile accessibilità ai meccanismi ADR, cosi che tutti i consumatori possano presentare una controversia sia on line sia off line e che un caso non possa essere rifiutato da un organo ADR a meno che non sia fornita una valida giustificazione; - permettere l'accesso ai meccanismi ADR solo ai consumatori, in quanto i professionisti dispongono già di adeguati strumenti giudiziari per tutelare i propri interessi; - assicurare l'indipendenza delle persone addette all'ADR, introducendo requisiti professionali e regole per la loro nomina da parte di organi collegiali; - assicurare la trasparenza delle procedure, prevedendo anche la pubblicazione di "decisioni esemplari" per favorire lo scambio di migliori pratiche ed incoraggiare i professionisti a migliorare gli standard; - assicurare l'efficacia delle procedure per rendere gli ADR più vantaggiosi rispetto alla procedure convenzionali (con l'introduzione di un limite massimo di 90 giorni per la soluzione di una controversia, con possibilità di proroga nei casi previsti); - offrire la possibilità alla parti di una controversia sottoposta a ADR di scegliere se accettare o meno una decisione vincolante; - assicurare che i consumatori abbiano accesso ad informazioni accurate e chiare sulle modalità di accesso agli organismi ADR, chiedendo ai professionisti di fornire tali informazioni in una vasta gamma di documenti e senza imporre condizioni eccessivamente onerose. 5. La Class action Nei confronti del soggetto che commercia tramite Internet rivolgendosi ai consumatori a partire dal 2009, è stata introdotta in Italia l’azione di classe risarcitoria (art. 49, L. n. 99/2009 e art. 140-bis, cod. cons.). Con la class action i consumatori possono richiedere il risarcimento di danni derivanti da: - violazione di diritti contrattuali; - danni da prodotto difettoso; © Wolters Kluwer 382 Capitolo VIII - pratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali che abbiano cagionato pregiudizi a consumatori e utenti. I protagonisti della class action sono: a) dal lato attivo: a. consumatori e utenti titolari di “diritti individuali omogenei”; b. eventualmente affiancati dalle associazioni di consumatori. b) dal lato passivo: a. solo le imprese (o altri soggetti responsabili di pratiche commerciali sleali o comportamenti anticoncorrenziali). L’azione di classe italiana si distingue da quella statunitense innanzitutto per il sistema dell’opting-in: i potenziali membri di una certa classe di consumatori possono volontariamente aderire all’azione giudiziale collettiva e, di conseguenza, beneficiare o subire gli effetti della sentenza. I consumatori che non hanno aderito, invece, non possono beneficiare della sentenza eventualmente favorevole (quindi, ad esempio, non possono ottenere il risarcimento in essa previsto) né subiscono gli effetti di quella sfavorevole; tuttavia mantengono il diritto di agire individualmente per la tutela dei propri diritti. La procedura prevede che un consumatore (oppure, per suo conto, un’associazione di consumatori) presenti domanda al tribunale competente che la legge stabilisce essere quello del capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa chiamata in causa11. Questa scelta è penalizzante per il consumatore il quale, in molti casi, è costretto a “giocare fuori casa”, con conseguenti disagi logistici, con ciò disponendo in modo meno favorevole: 12 - sia rispetto a quanto previsto dal Codice del consumo ; - sia rispetto a quanto previsto alle norme ordinarie, che consentono a chiunque agisca in giudizio la scelta tra alcuni fori alternativi che potrebbero risultare più vicini rispetto al capoluogo di regione13. 11 Sono previsti alcuni accorpamenti: per la Valle D’Aosta è competente il Tribunale di Torino, per il Trentino Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia, il Tribunale di Venezia, per le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise, il Tribunale di Roma e per la Basilicata e la Calabria, quello di Napoli. 12 L’art. 33 del D.Lgs. n. 206/2005, infatti, riconosce al consumatore il diritto inderogabile di agire in giudizio e di essere chiamato in giudizio davanti al tribunale del luogo della propria residenza o domicilio. 13 Ai sensi dell’art. 20 c.p.c., il Tribunale del luogo in cui è stato stipulato il contratto, oppure del luogo dove si è verificato l’evento su cui si fonda il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale, oppure del luogo in cui deve eseguirsi l’obbligazione oggetto del giudizio. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 383 Una volta che il tribunale abbia ritenuto ammissibile l’azione di classe, potranno aderire a essa altri consumatori e utenti che si trovino in una situazione di fatto e di diritto “omogenea” a quella del consumatore promotore. Questo è un aspetto che è stato recentemente innovato. In precedenza, infatti, per poter aderire all’azione di classe era necessario essere titolari di diritti “identici” a quelli del promotore; oggi, invece, è sufficiente la sola “affinità” tra posizioni soggettive. Alla fine del giudizio, il tribunale, se accerta la responsabilità dell’impresa, può provvedere alla liquidazione delle somme dovute ai consumatori promotori dell’azione, e agli aderenti, anche in via equitativa, oppure può stabilire un criterio omogeneo per il calcolo delle somme dovute ai consumatori e fissare un termine per la relativa liquidazione in via transattiva. L’istituto, peraltro, ad oggi ha avuto scarso successo per alcuni punti deboli attualmente non risolti in maniera soddisfacente per quanto riguarda il consumatore. In particolare, sembra che non presenti, per i singoli consumatori, vantaggi sostanziali rispetto all’azione individuale, la quale, anzi, risulta meno complessa e incerta, meno costosa e maggiormente remunerativa. La portata plurisoggettiva dell’azione di classe comporta, infatti, l’accettazione di logiche risarcitorie di tipo equitativo, che prescindono dalla specifica valutazione di tutte le voci di danno. Pertanto, sino a oggi, soltanto le associazioni di consumatori se ne sono avvalse. Inoltre si osserva che l’istituto è ancora “giovane” dal punto di vista delle azioni promosse, la maggior parte delle quali si sono interrotte per questioni di carattere processuale. Dal punto di vista dell’impresa si osserva che la class action, pur con i limiti sopra evidenziati, comporta comunque un certo aumento dei rischi e ciò sostanzialmente a causa della pluralità degli avversari che l’impresa deve fronteggiare nell’ambito del medesimo giudizio. Maggiore potrebbe infatti essere il rischio istruttorio, in quanto, pur non essendo previsti mezzi di prova speciali, tutti i consumatori (promotori e aderenti) possono giovarsi di eventuali prove della responsabilità dell’impresa, che anche solo uno degli altri sia in grado di fornire. © Wolters Kluwer 384 Capitolo VIII Inoltre, la molteplicità di avversari comporta il rischio di un incremento dei costi in caso di soccombenza, sia quanto all’entità del risarcimento sia quanto al rimborso delle spese legali. Infine, il profilo del rischio per l’impresa è in ogni caso in astratto limitato e prevedibile, in quanto il sistema dell’opting-in cristallizza il numero di consumatori al momento della scadenza del termine per aderire all’azione, seppure, ovviamente, è prevedibile che la sentenza che definisce la class action in senso favorevole ai consumatori, possa costituire un precedente per le azioni individuali successive. 6. Le ODR - On line dispute Resolution: il Regolamento 524/2013/UE A livello comunitario, la prima normativa che ha trattato il tema delle Online Dispute Resolution è stata la dir. n. 2000/31/CE sul commercio elettronico (attuata con il D.Lgs. n. 70/2003) che, all’art. 17 afferma: “gli Stati membri provvedono affinché, in caso di dissenso tra il prestatore e destinatario del servizio della società dell’informazione, la loro segnalazione non ostacoli l’uso, anche per vie elettroniche adeguate, degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale”. Nella successiva dir. n. 2008/52/CE, che ha disciplinato diversi aspetti della mediazione, il legislatore ha rimarcato, ancora una volta, l’utilità delle ODR così che anche il D.Lgs. n. 28/2010 riporta, all’art. 3, che: “la mediazione può svolgersi secondo le modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo”. Da ultimo si va verso l’unificazione – almeno a livello di “piattaforma” di accesso14 – degli strumenti di risoluzione delle controversie secondo quella che è la previsione del Reg. (UE) n. 524/2013 (regolamento sull’ODR per i consumatori)15. 14 La DG SANCO della Commissione Ue, in un Documento di consultazione su Il ricorso a forme alternative di risoluzione delle controversie come strumento per risolvere le controversie relative alle transazioni e alle prassi commerciali nell'Unione europea (http://ec.europa.eu/dgs/health_food-safety/dgs_consultations/ ca/docs/adr_consultation_paper_18012011_it.pdf) del 2011, ha censito 750 sistemi diversi di ADR negli Stati membri. Per ulteriori informazioni v. http://ec.europa.eu/consumer-adr. va però ricordato che esiste anche la piattaforma europea ECC-Net (Centro Europeo Consumatori http://ec.europa.eu/consumers/ecc/index_it.htm) che, operativa dal 2005, risponde a tutte le richieste individuali di informazioni e chiarimenti da parte dei consumatori nel caso di problematiche transfrontaliere, offrendo assistenza individuale nella valutazione dei casi e nella presentazione di reclami. 15 Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori), in GUUE del 18 giugno 2013, n. L 165 e in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOL_2013_165_R_0001_01&from=IT. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 385 L’obiettivo del legislatore comunitario è quello di creare nei consumatori fiducia nella dimensione digitale del mercato interno e trarne vantaggio: a tale scopo, è necessario che essi abbiano accesso a mezzi facili, efficaci, rapidi e a basso costo di risoluzione delle controversie derivanti dalla vendita di beni o alla fornitura di servizi on line, soprattutto quando i consumatori fanno acquisti transfrontalieri16. Il Regolamento intende “contribuire, mediante il raggiungimento di un livello elevato di protezione dei consumatori, al corretto funzionamento del mercato interno, in particolare della sua dimensione digitale, mettendo a disposizione una piattaforma ODR europea (“piattaforma ODR”) che agevoli la risoluzione extragiudiziale indipendente, imparziale, trasparente, efficace, rapida ed equa delle controversie on line tra consumatori e professionisti”. La scelta di uno strumento normativo comunitario di diretta applicazione deriva dal fatto che i consumatori e i professionisti continuano a incontrare difficoltà in particolare nel trovare soluzioni extragiudiziali alle controversie derivanti da operazioni transfrontaliere effettuate on line. Pertanto tali controversie restano spesso irrisolte. L’ODR offre una soluzione. Tuttavia, mancano meccanismi che consentano ai consumatori e ai professionisti di risolvere le controversie con mezzi elettronici; tale mancanza comporta svantaggi per i consumatori, ostacola in particolare le operazioni transfrontaliere on line, crea una situazione di squilibrio per i professionisti e, di conseguenza, frena lo sviluppo generale del commercio telematico. Il Regolamento trova applicazione alla risoluzione extragiudiziale di controversie avviate da consumatori residenti nell’Unione nei confronti di 16 In sintesi l’Unione europea si pone l’obiettivo di istituire una piattaforma elettronica che funzioni come uno sportello unico, consentendo ai consumatori di inviare direttamente i propri reclami all'ente nazionale competente in tema di soluzione alternativa del contenzioso e di risolverlo interamente online entro 30 giorni. Si è scelto di elaborare una normativa dedicata al commercio elettronico perché l’assenza di sistemi efficaci di ricorso per tali transazioni impedisce lo sviluppo del mercato digitale. Il regolamento prevede: - l'applicazione a tutte le transazioni online, ivi comprese quelle effettuate a livello nazionale; - il rafforzamento del ruolo della rete dei consulenti dei consumatori, per esempio prevedendo che contribuiscano a risolvere problemi linguistici o assistano le parti nella scelta del sistema ADR nel caso in cui la piattaforma ne abbia individuato più di uno; - che i consulenti dei consumatori abbiano come base i Centri europei dei consumatori; - l’introduzione di un termine massimo di 7 giorni lavorativi per il trattamento del reclamo da parte della piattaforma ODR; - la proroga a 90 giorni il termine per la soluzione della controversia da parte dell'organismo ADR. È stato, inoltre, adottato un piano di azione per il periodo 2014-2018 per cercare di interconnettere tutti i registri di interesse generale per il miglior funzionamento dei sistemi di giustizia elettronica a livello europeo. © Wolters Kluwer 386 Capitolo VIII professionisti stabiliti nell’Unione e disciplinate dalla dir. n. 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013 sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (direttiva sull’ADR per i consumatori). Al fine di assicurare che la piattaforma ODR possa essere utilizzata anche per le procedure ADR che consentono ai professionisti di presentare reclami nei confronti dei consumatori, il Regolamento dovrebbe applicarsi parimenti alla risoluzione extragiudiziale di controversie avviate da professionisti nei confronti di consumatori per cui le pertinenti procedure ADR siano proposte dagli organismi ADR inseriti in elenco a norma dell’art. 20, par. 2, della dir. n. 2013/11/UE. Infine, il Regolamento dovrebbe applicarsi anche alle operazioni on line effettuate a livello nazionale onde garantire condizioni di effettiva parità nel settore del commercio elettronico. Il citato Regolamento si applicherà – in generale e salvo alcune disposizioni specifiche – a decorrere dal 9 gennaio 201617. Il Regolamento mira a istituire una piattaforma di ODR a livello dell’Unione18. La Commissione ha il compito di sviluppare la piattaforma ODR ed è responsabile per quanto riguarda il suo funzionamento, comprese tutte le funzioni di traduzione necessarie, la sua manutenzione, il suo finanziamento e la sicurezza dei dati. Lo sviluppo, il funzionamento e la manutenzione della piattaforma ODR assicurano, nei limiti del possibile, la tutela della vita privata fin dalla fase di progettazione (“privacy by design”) e l’accessibilità e l’utilizzabilità 17 Ad eccezione delle seguenti disposizioni: – l’art. 2, par. 3, e l’art. 7, parr. 1 e 5, che si applicano a decorrere dal 9 luglio 2015, – l’art. 5, par. 1 e 7, l’art. 6, l’art. 7, par. 7, l’art. 8, par. 3 e 4, e gli artt. 11, 16 e 17, che si applicano a decorrere dall’8 luglio 2013. 18 La piattaforma ODR dovrebbe: - essere un sito web interattivo che offre un unico punto di accesso per consumatori e professionisti che desiderano risolvere in ambito extragiudiziale le controversie derivanti da operazioni on line; - fornire informazioni generali sulla risoluzione extragiudiziale delle controversie contrattuali tra professionisti e consumatori derivanti da contratti di vendita o contratti di servizi on line; - consentire ai consumatori e ai professionisti di presentare reclami mediante la compilazione di un modulo elettronico disponibile in tutte le lingue ufficiali delle istituzioni dell’Unione e di accludere i documenti pertinenti; - trasmettere i reclami all’organismo ADR competente; - mettere a disposizione gratuitamente uno strumento elettronico di gestione dei casi che consenta agli organismi ADR di condurre on line la procedura di risoluzione della controversia con le parti mediante la piattaforma ODR stessa. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 387 della piattaforma stessa da parte di tutti, comprese le persone vulnerabili (“design for all” - progettazione universale). La piattaforma ODR costituisce l’unico punto di accesso per i consumatori e i professionisti che desiderano risolvere in ambito extragiudiziale le controversie oggetto del Regolamento e consiste in un sito web interattivo che offre un accesso elettronico e gratuito in tutte le lingue ufficiali delle istituzioni dell’Unione. Gli operatori commerciali on line dovranno fornire sui propri siti web un apposito link alla piattaforma ODR. Gli Stati membri hanno 24 mesi di tempo (cioè fino a metà del 2015) per recepire la Direttiva nella legislazione nazionale. La piattaforma ODR diventerà operativa sei mesi dopo la fine del periodo di recepimento. Tra le varie funzionalità, la piattaforma ODR deve in particolare: a) mettere a disposizione un modulo di reclamo elettronico che può essere compilato dalla parte ricorrente; b) informare del reclamo la parte convenuta; c) individuare l’organismo o gli organismi ADR competenti e trasmettere il reclamo all’organismo ADR cui le parti hanno concordato di rivolgersi; d) proporre uno strumento elettronico di gestione dei casi che consenta alle parti e all’organismo ADR di condurre online la procedura di risoluzione della controversia mediante la piattaforma ODR; e) fornire alle parti e all’organismo ADR la traduzione delle informazioni che sono necessarie per la risoluzione della controversia e che sono scambiate tramite la piattaforma ODR; f) mettere a disposizione un modulo elettronico tramite il quale gli organismi ADR trasmettono le informazioni necessarie; g) mettere a disposizione un sistema di commenti (feedback) che consenta alle parti di esprimere il proprio punto di vista sul funzionamento della piattaforma ODR e sull’organismo ADR che ha trattato la loro controversia; h) rendere pubblico quanto segue: i) informazioni generali sull’ADR quale mezzo extragiudiziale di risoluzione delle controversie; ii) informazioni sugli organismi ADR inseriti in un elenco, che sono competenti a trattare le controversie oggetto del regolamento; © Wolters Kluwer 388 Capitolo VIII iii) una guida online sulle modalità di presentazione dei reclami tramite la piattaforma ODR; iv) informazioni, incluse le modalità di contatto, sui punti di contatto ODR designati dagli Stati membri; v) dati statistici sui risultati delle controversie trasmesse agli organismi ADR tramite la piattaforma ODR. Per presentare un reclamo alla piattaforma ODR la parte ricorrente deve compilare il modulo di reclamo elettronico accessibile sulla piattaforma ODR. Le informazioni presentate dal consumatore devono essere sufficienti per determinare l’organismo ADR competente19. Un reclamo presentato alla piattaforma ODR è trattato se tutti i campi necessari del modulo di reclamo elettronico sono compilati. Ove il modulo di reclamo non sia compilato per intero, la parte ricorrente è informata del fatto che il reclamo non può essere trattato se non vengono fornite le informazioni mancanti. Su ricevimento di un modulo di reclamo debitamente compilato, la piattaforma ODR trasmette alla parte convenuta, in modo facilmente comprensibile e senza indugi, in una delle lingue ufficiali delle istituzioni dell’Unione prescelta da detta parte, il reclamo unitamente ai seguenti dati: 19 In particolare, si tratta delle seguenti informazioni: 1) indicare se la parte ricorrente è un consumatore o un professionista; 2) il nome, l’indirizzo e-mail e l’indirizzo geografico del consumatore; 3) il nome, l’indirizzo e-mail, il sito web e l’indirizzo geografico del professionista; 4) il nome, l’indirizzo e-mail e l’indirizzo geografico del rappresentante della parte ricorrente, se del caso; 5) la lingua o le lingue della parte ricorrente o del rappresentante, se del caso; 6) la lingua della parte convenuta, se nota; 7) il tipo di beni o servizi cui fa riferimento il reclamo; 8) indicare se il bene o servizio è stato offerto dal professionista e ordinato dal consumatore su un sito web o tramite altri mezzi elettronici; 9) il prezzo dei beni o servizi acquistati; 10) la data di acquisto dei beni o servizi da parte del consumatore; 11) indicare se il consumatore ha contattato direttamente il professionista; 12) indicare se la controversia è o è stata precedentemente presa in considerazione da un organismo ADR o da un organo giurisdizionale; 13) il tipo di reclamo; 14) la descrizione del reclamo; 15) se la parte ricorrente è un consumatore, gli organismi ADR che il professionista è tenuto o si è impegnato a utilizzare conformemente all’art. 13, par. 1, della dir. n. 2013/11/UE, se noti; 16) se la parte ricorrente è un professionista, l’organismo o gli organismi ADR che il professionista si impegna o è tenuto a utilizzare. © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 389 a) l’informazione che le parti devono trovare un accordo su un organismo ADR in modo da poter inoltrare il reclamo a quest’ultimo e che, se le parti non raggiungono un accordo o se non viene identificato alcun organismo ADR competente, il reclamo non sarà trattato; b) informazioni circa l’organismo o gli organismi ADR competenti a trattare il reclamo, se indicati nel modulo di reclamo elettronico o identificati dalla piattaforma ODR in base alle informazioni fornite in detto modulo; c) nel caso in cui la parte convenuta sia un professionista, un invito a dichiarare entro dieci giorni di calendario: - se il professionista si impegna o è tenuto a ricorrere a uno specifico organismo ADR per la risoluzione delle controversie con i consumatori, e - a meno che non sia tenuto a ricorrere a uno specifico organismo ADR, se il professionista è disposto a ricorrere a uno o più organismi ADR tra quelli indicati nel modulo di reclamo elettronico o identificati dalla piattaforma ODR in base alle informazioni fornite in detto modulo; d) nel caso in cui la parte convenuta sia un consumatore e il professionista sia tenuto a ricorrere a uno specifico organismo ADR, un invito a trovare un accordo entro dieci giorni di calendario in merito a tale organismo ADR, oppure, nel caso in cui il professionista non sia tenuto a ricorrere a uno specifico organismo ADR, un invito a scegliere uno o più organismi ADR tra quelli indicati nel modulo di reclamo elettronico o identificati dalla piattaforma ODR in base alle informazioni fornite in detto modulo; e) il nome e le modalità di contatto per il punto di contatto ODR nello Stato membro in cui la parte convenuta è stabilita o residente, nonché una breve descrizione delle funzioni di cui all’art. 7, par. 2, lett. a) del Regolamento. Al ricevimento delle informazioni richieste, inviate dalla parte convenuta, la piattaforma ODR comunica senza indugi e in modo facilmente comprensibile alla parte ricorrente, in una delle lingue ufficiali delle istituzioni dell’Unione prescelta da tale parte, le seguenti informazioni: a) l’informazione di cui al par. 3, lett. a) del Regolamento; © Wolters Kluwer 390 Capitolo VIII b) nel caso in cui la parte ricorrente sia un consumatore, informazioni circa l’organismo o gli organismi ADR indicati dal professionista a norma del par. 3, lett. c), nonché un invito a trovare un accordo in merito a un organismo ADR entro dieci giorni di calendario; c) nel caso in cui la parte ricorrente sia un professionista e tale professionista non sia tenuto a ricorrere a uno specifico organismo ADR, informazioni circa l’organismo o gli organismi ADR indicati dal consumatore, nonché un invito a trovare un accordo in merito a un organismo ADR entro dieci giorni di calendario; d) il nome e le modalità di contatto per il punto di contatto ODR nello Stato membro in cui la parte ricorrente è stabilita o residente, nonché una breve descrizione delle funzioni di cui all’art. 7, par. 2, lett. a). Le informazioni di cui al par. 3, lett. b), e al par. 4, lett. b) e c) contengono una descrizione delle seguenti caratteristiche di ciascun organismo ADR: a) il nome, le informazioni di contatto e l’indirizzo web dell’organismo ADR; b) le tariffe relative alla procedura ADR, se del caso; c) la lingua o le lingue in cui può essere condotta la procedura ADR; d) la durata media della procedura ADR; e) la natura vincolante o non vincolante dell’esito della procedura ADR; f) i motivi per cui un organismo ADR può rifiutare il trattamento di una determinata controversia a norma dell’art. 5, par. 4, della dir. n. 2013/11/UE. La piattaforma ODR trasmette automaticamente e senza indugio il reclamo all’organismo ADR che le parti hanno concordato di utilizzare. L’organismo ADR cui è stato trasmesso il reclamo informa senza indugio le parti se accetta o rifiuta di trattare la controversia. L’organismo ADR che ha accettato di trattare la controversia informa altresì le parti in merito alle sue norme procedurali e, se del caso, sui costi della procedura di risoluzione della controversia interessata. Se le parti non riescono a trovare un accordo su un organismo ADR entro 30 giorni di calendario dalla presentazione del modulo di reclamo o © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 391 se l’organismo ADR rifiuta di trattare la controversia, il reclamo non sarà trattato. Un organismo ADR che ha accettato di trattare una controversia: a) conclude la procedura ADR entro il termine di cui all’art. 8, lett. e), della dir. n. 2013/11/UE; b) non impone la presenza fisica delle parti o dei loro rappresentanti, a meno che le sue norme procedurali prevedano tale possibilità e le parti siano d’accordo; c) trasmette senza indugio le seguenti informazioni alla piattaforma ODR: i) la data di ricevimento del fascicolo relativo al reclamo; ii) l’oggetto della controversia; iii) la data della conclusione della procedura ADR; iv) l’esito della procedura ADR; d) non è tenuto a condurre la procedura ADR tramite la piattaforma ODR. 7. Una visione “aziendale” della conciliazione on line La conciliazione on line dovrebbe andare incontro ad una esigenza di giustizia? A nostro avviso, prima di essere visti quali metodi di giustizia, occorre farne vedere le potenzialità in termini di efficienza aziendale per poi, una volta entrati nelle “logiche” imprenditoriali, farne apprezzare la loro “sostanza” che è quella affidare alla autoregolamentazione del mondo delle imprese, strumenti che riaffermino in altre vesti principi generali e non solo principi di mera convenienza economica20. Preliminarmente occorre constatare che: a) on line si trovano delle condizioni generali di contratto, ossia dei meccanismi di contrattazione già pre-determinati; b) il commercio elettronico B2B è profondamente diverso da quello B2C. Dalla prima constatazione possiamo trarre che il rischio nella predisposizione del modello è posto a carico dell’impresa predisponente e ciò si ripercuote anche sulle possibilità di successo che potrà avere il suo business. Questo perché la strutturazione del modello contrattuale di rap20 E.M. TRIPODI, I sistemi di conciliazione on line: dalla soluzione delle controversie alla gestione dei rapporti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Dir. Internet, 2005, p. 205 ss. e, con il titolo, Commercio elettronico: le prospettive della conciliazione on line, in Riv. dir. econ. e gest. nuove tecnologie, 2005, p. 67 ss. © Wolters Kluwer 392 Capitolo VIII porto con gli utenti ha delle precise influenze sia nel front-office che nel back-office dell’attività. Ovviamente quanto detto, a monte, richiede che una impresa sappia che, nel predisporre delle condizioni generali di contratto, non adempie solo ad obblighi di legge (come ritengono i più), ma determina – o, meglio, dovrebbe – la stessa dinamica della sua attività on line. Non è un caso che sia poco più di una chimera la contrattazione one-to-one che non solo è possibile ma potrebbe essere un proficuo terreno da battere da parte di imprese fortemente evolute. La seconda constatazione è davvero all’insegna dell’ovvio: il B2B è diverso dal B2C. La diversità è, anzitutto, nella complessità strutturale dell’impresa e, secondariamente, nel rapporto “tra pari” che connatura i contraenti. Nel B2C invece l’impresa si pone automaticamente su un piedistallo in cui, per poter conseguire massa critica, non può perdere troppo tempo in una economia delle differenziazioni negoziali. Le due constatazioni sopra indicate portano necessariamente verso una diversificazione, non solo degli strumenti negoziali, ma anche relativa conciliazione. 8. Segue: conciliazione nei contratti B2B Nel B2B le relazioni tra le imprese sono troppo importanti (e remunerative) per poter liquidare qualsiasi perplessità manifestata dalla controparte con un “invito” a recarsi in tribunale, per cui occorre un sistema non tanto (e non solo) per dare “giustizia” quanto per ricondurre la risposta alla perplessità nell’ambito di una profittabilità aziendale reciprocamente condivisa dalle parti. In queste situazioni nella conciliazione è ravvisabile una struttura fortemente analoga ad una clausola di rinegoziazione del contratto. Più un’applicazione del principio di conservazione del rapporto, dunque, che una ipotesi di soluzione giustiziale. E non si dice nulla di nuovo se, già nel 1997, Guido Alpa, con un contributo sulle Nuove frontiere del diritto contrattuale21, osservava che la disciplina generale del contratto nella sua evoluzione derivante dalla prassi, sia interna che internazionale, è decisamente orientata verso la sequenza conservazione/adeguamento/rinegoziazione del contratto, soprattutto nei contratti di durata22. 21 In Contr. impresa, 1997, 961 ss. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, al quale adde le osservazioni di M. TIMOTEO, Contratto e tempo. Note a margine di un libro sulla rinegoziazione, in Contr. impre22 © Wolters Kluwer Gli strumenti per la soluzione delle controversie 393 Questo potrebbe essere di ostacolo ad un possibile impiego della rinegoziazione del contratto B2B one-shot che non necessariamente dà luogo ad un rapporto di durata. Si parla di “rapporto di durata” nel senso che giuridicamente si è soliti attribuire all’espressione23, che non è lo stesso significato che può ad essa attribuire l’impresa. Questa persegue sempre dei rapporti “di durata”, cioè di durata della relazione di affari tra le parti, anche se costituita da una successione di contratti. Ecco, allora, che una conciliazione che ridiscuta i termini del contratto concluso tra le parti, contribuisce non solo ad evitare le aule di giustizia, quanto a “ritarare” il business per fare in modo che il rapporto tra le parti possa proseguire anche nel futuro. Si tratta della conservazione di un rapporto e non solo del singolo contratto in questione. Inutile aggiungere le altre implicazioni sulla stessa organizzazione aziendale che si possono facilmente immaginare. Rispetto alla rinegoziazione è sufficiente ricordare che – nonostante la sua possibile applicazione a fattispecie non contrattuali – è una attività che di solito, ove sfoci nella modifica del precedente accordo, assume natura contrattuale, in virtù della formula contenuta nell’art. 1321 c.c., che così definisce proposta ed accettazione conformi dirette a regolare il preesistente vincolo patrimoniale24. Anche così leggendola, la conciliazione è evidentemente molto distante da quelle valutazioni che compie il giudice o un arbitro chiamato a stabilire chi “ha ragione” in un disputa. Apparentemente tutta la questione della conciliazione (o rinegoziazione) del contratto ruota attorno a considerazioni di tipo economico per cui la soluzione che ci si attende dovrebbe tener conto solo di questi parametri. Così facendo, però, la soluzione della questione – secondo quelli che sono i dettami dell’analisi economica del diritto – fa pendere la bilancia a svantaggio della parte che più facilmente poteva prevenire (o assicurarsi) circa le possibili sopravvenienze o bugs negoziali25. Ma se si ragiona in termini di contratti standard si verifica un evidente cortocircuito: il predisponente utilizza contratti standard proprio per far gravare sull’aderente alcuni costi. Soprattutto se si ha avuto l’accortezza di presa, 1998, p. 619 ss. nonché V.M. CESARO, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000. V., anche, F. MACARIO, Rischio contrattuale e rappor