UNIVERSITA` DI MODENA E REGGIO EMILIA

UNIVERSITA’ DI MODENA E REGGIO EMILIA
FACOLTA’ DI INGEGNERIA
Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica
Tesina per il
corso di Elettronica Biomedica
(Prof. S. Fonda e Prof. Luigi Rovati)
STUDIO DI INVASIVITA’
DEI SENSORI NELLE APPLICAZIONI BIOMEDICHE
Realizzata da:
Federico Donini
Daniele Neri
Anno Accademico 2002-2003
1
Indice
1.
1.1
1.2
Introduzione
Segnali biologici
Classificazione dei segnali biologici
2.
2.1
2.2
2.2.1
2.2.2
2.2.3
2.3
Trasduttori
Parametri caratteristici
Principali tipi di trasduttori
Trasduttori resistivi
Trasduttori capacitivi
Trasduttori induttivi
Trasduttori elettromagnetici
LVDT
RVDT
LVT
Pick-up magnetici
Trasduttori di luminosità
Fotoresistenze
Fotodiodi
Fototransistor
Celle fotovoltaiche
Optoisolatori
Encoder
Encoder assoluti
Encoder incrementali
Trasduttori piezoelettrici
Piezoelettrici
Piezoresistivi
Piezotransistori
Trasduttori di temperatura
Termocoppie
Termistori
NTC
PTC
RTD
Sensori allo stato solido
Trasduttori di temperatura a BJT e integrati
Lamine bimetalliche
Pirometri
Estensimetri (Strain Gauge)
Celle di Carico
Trasduttori di campo magnetico
2.4
2.5
2.5.1
2.5.2
2.5.3
2.5.4
2.5.5
2.6
2.6.1
2.6.2
2.7
2.7.1
2.7.2
2.7.3
2.8
2.8.1
2.8.2
2.8.3
2.9
2.9.1
2.10
4
6
7
9
9
11
11
12
14
15
15
16
16
17
18
18
19
20
21
22
23
24
25
26
26
27
27
28
28
30
30
31
32
33
33
35
35
36
39
41
2
te
2.11
2.12
2.12.1
2.12.2
2.13
2.14
2.14.1
2.14.2
2.15
2.15.1
2.15.2
2.16
2.16.1
2.16.2
Trasduttori di pressione
Trasduttori di velocità
Dinamo tachimetrica ed Alternatore Tachimetrico
Trasduttori di velocità digitali
Trasduttori di livello
Trasduttori di posizione
Potenziometri
Trasformatori differenziali
Flussometri ad Ultasuoni
Flussometri a tempo di transito
Flussometri Doppler
Elettrodi a gas per il sangue
Sensori per la misura del pH
Sensori per la misura della pressione parziale dei gas
42
44
44
45
46
48
48
51
52
52
54
56
56
56
3.
3.1
3.2
Strumentazione Biomedica
Problematiche
Specifiche
59
60
62
4.
4.1
4.1.1
4.1.2
4.2
4.3
4.4
4.4.1
4.4.2
4.4.3
4.5
4.5.1
4.5.2
4.5.3
4.5.4
Metodologie di Misura – Biosensori
Elettrodi
Elettrodo Ag-AgCl
Esempi di elettrodi
Microelettrodi
Elettrodi per EEG
Elettrodi per stimolazione
Termometro a Sensore Pirometrico Infrarosso
Sensori per Ecografia
Diagnostica Ottica
Cenni Teorici
Spettroscopia
Imaging
Cenni su Applicazioni Ottiche
Spettroscopia DLS
Testina Colorimetrica
Fluorometro Corneale
Tomografia Ottica dei Tessuti
66
66
70
75
76
77
78
79
80
81
81
83
83
84
85
87
89
90
5.
5.1
5.2
Sviluppi Futuri
Analisi Automatica di Segnali Bioelettrici
Olfattori
93
93
94
6.
6.1
6.2
Appendici
Normative di Sicurezza
Bibliografia
95
95
97
3
1. Introduzione
Il presente studio si propone di analizzare diverse categorie di sensori impiegati in ambito
diagnostico con l’obiettivo di osservare diverse metodologie di analisi, valutandone
l’efficacia in rapporto all’invasività.
La trattazione dell’analisi di un segnale biologico rappresenta un campo molto vasto, a
questo scopo lo studio che vedremo sarà articolato in varie parti, volte alla focalizzazione
delle singole fasi di analisi ed alle relative caratteristiche.
Inquadriamo, quindi, i campi d’interesse all’interno del diagramma che illustra le fasi
necessarie, dal rilevamento del segnale fino alla presentazione finale del risultato in una
rappresentazione interpretabile dall’utente:
Diagramma relativo ad un generico rilevamento biologico [1]
4
Lo studio è focalizzato alla trasduzione del segnale biologico, cioè all’interfaccia che traduce
il segnale biologico vero e proprio in una grandezza di natura opportuna adatta ad una
successiva elaborazione che permetta la presentazione del risultato all’utente finale [1]:
In ordine a tale analisi, lo studio presenta tre aspetti fondamentali:
•
Caratterizzazione dei diversi SEGNALI BIOLOGICI che debbono essere rilevati
•
I TRASDUTTORI che vengono effettivamente impiegati per la misura dei segnali
•
Le METODOLOGIE di MISURA, riguardo alle tecniche utilizzate direttamente sul
paziente e alla loro invasività
5
1.1 Segnali biologici
Si definisce segnale una grandezza fisica alla quale viene associata un’informazione
codificata.
Quelli biologici si distinguono in Basali ed Evocati
• Basali: sono segnali legati alla fisiopatologia, cioè al funzionamento, normale o in
presenza di malattia, dell’organismo vivente
Esempi :
- attività elettrica cerebrale (elettroencefalografia)
- attività elettrica cardiaca (elettrocardiografia)
- flussi ematici
- pressione arteriosa
- temperatura basale
• Evocati: sono segnali ottenuti come risposta ad un determinato stimolo imposto
dall’esterno
Esempi :
- potenziali evocati
- gittata cardiaca (metodo della diluizione)
- configurazione arterie coronariche (angiografia)
- immagini diagnostiche (radiologia, TAC, RMN)
- metabolismo del glucosio
6
1.2 Classificazione dei segnali biologici
Esistono diversi approcci nella classificazione dei segnali provenienti da un organismo, in
base a:
Natura della variabile rappresentativa dell’evoluzione
Natura della grandezza fisica caratterizzante
Sistema biologico da cui hanno origine
Proprietà dei tessuti che li generano
•
Per quanto riguarda il primo tipo di classificazione:
I Segnali Temporali sono grandezze significativamente caratterizzate dalla loro evoluzione
nel tempo (segnali bioelettrici)
Nei Segnali Spaziali la caratteristica più rilevante è la distribuzione spaziale
(bioimmagini, mappe)
Infine i Segnali Spazio-temporali rappresentano la combinazione di caratteristiche
spaziali e temporali (ecocardiografia dinamica, RMN funzionale)
7
•
Per natura della grandezza caratterizzante:
- Segnali elettrici
- Segnali chimici
- Segnali magnetici
- Segnali meccanici
- Segnali termici
•
Per sistema biologico che li ha generati:
- Sistema cardiovascolare
- Sistema nervoso
- Sistema endocrino
- Apparato muscolo-scheletrico
•
Per proprietà chimico-fisiche dei tessuti che li generano:
- Impedenza acustica
- Potere di assorbimento delle radiazioni
- Proprietà istologiche
- Proprietà metaboliche
- Proprietà termiche
- Proprietà elettriche, magnetiche
Esempi di grandezze biomediche misurabili:
Attività celebrale (EEG, MEG)
Proprietà meccaniche del timpano
Pressione intracranica
ERG, EOG
Temperatura corporea
Pressione arteriosa
Pressione intraesofagea
Flusso sanguigno
Attività elettrica cardiaca (ECG)
Respirazione (volumi: VO2 VCO2, pressioni: pO2 pCO2)
Suoni cardiaci, polmonari
Gittata cardiaca
Attività muscolare (EMG)
Radiopacità
Impedenza acustica
pH ematico
Concentrazioni enzimatiche
Movimenti
Mappe di potenziali/temperatura
Livello di idratazione, flusso sanguigno cutaneo
Interazione dinamica
Paragrafi 1.1 , 1.2 tratti da [2]
8
2.Trasduttori
I trasduttori sono dispositivi che hanno la proprietà di convertire una forma di energia in
un'altra. Quando la loro funzione è quella di rilevare il valore di una grandezza di
ingresso e trasformarlo in valore di un'altra grandezza, sono detti anche sensori o
trasduttori di misura.
Si possono classificare in:
- Trasduttori attivi o passivi. Si dicono attivi quando generano una tensione o una
corrente in seguito all'applicazione ad essi di una grandezza fisica; passivi quando variano
semplicemente le loro caratteristiche, sempre in seguito all'applicazione di una grandezza
fisica.
- Trasduttori di ingresso e di uscita. Questa classificazione è fatta in base alla
localizzazione del trasduttore, se all'ingresso del sistema o all'uscita.
2.1 Parametri caratteristici
I principali parametri che caratterizzano i trasduttori ed in base ai quali avviene la scelta
per una determinata applicazione, sono:
Grandezza fisica misurata
Range di impiego
È l'intervallo di valori della grandezza fisica di ingresso entro cui è previsto il
funzionamento corretto del sensore, entro cui cioè le caratteristiche rientrano nei limiti
stabiliti dai data sheet delle case costruttrici.
Valore di riferimento (Zero Point)
È il valore dell’uscita a riposo, a partire dal quale la grandezza di ingresso è misurata.
Funzione di trasferimento o caratteristica statica
È la relazione fra la grandezza elettrica di uscita e la grandezza fisica di ingresso, nel caso
di grandezze costanti o lentamente variabili nel tempo. Comunemente la funzione è
espressa in termini matematici o in forma grafica o mediante una tabella di valori.
9
Tipo del segnale di uscita
Il segnale di uscita è generalmente di tipo analogico e la grandezza di uscita può essere
una tensione, una corrente, una resistenza o una capacità; in alcuni casi, invece, come negli
encoder, il segnale è di tipo digitale.
Sensibilità
È definita come il rapporto fra la variazione della grandezza elettrica di uscita e la
variazione della grandezza fisica che l'ha prodotta.
Risoluzione
È la più piccola variazione della grandezza di ingresso che può essere rilevata dal
trasduttore. È generalmente data in percentuale rispetto al fondo scala.
Errore
È definito come la differenza fra valore rilevato della grandezza di uscita e valore teorico.
È importante l'errore di non linearità, nei casi in cui la caratteristica statica è rettilinea. Esso
è definito come il massimo scostamento fra curva reale e retta ideale, espresso in
percentuale del fondo scala. Si può presentare anche l'errore di isteresi.
Caratteristiche dinamiche
Caratterizzano il funzionamento del sensore in presenza di rapide variazioni della
grandezza di ingresso. Tra i parametri principali vengono considerati: tempo di risposta,
tempo di salita, tempo di assestamento, costante di tempo, caratteristiche di smorzamento
(nel caso di variazioni a gradino della grandezza di ingresso), risposta in frequenza (nel
caso di grandezze di ingresso ad andamento periodico nel tempo).
Deriva (Drift)
È la variazione del valore di riferimento, causata dall'invecchiamento dei componenti o
dalla variazione delle condizioni ambientali.
10
2.2 Principali tipi di trasduttori
2.2.1 Trasduttori resistivi
Un trasduttore resistivo può essere realizzato mediante un potenziometro connesso ad
una parte in movimento. In esso la tensione di uscita è funzione dello spostamento del
cursore;
infatti si ha:
Vu =
Vi ⋅ R2
R1 + R2
Il movimento può essere lineare o angolare, come nei potenziometri a rotazione; la
grandezza di uscita può avere andamento lineare, logaritmico od esponenziale (in teoria è
possibile realizzare qualsiasi tipo di funzione).
I trasduttori potenziometrici hanno i seguenti vantaggi:
• semplicità
• basso costo
• tensioni di uscita elevate
• possibilità di operare con tensioni continue o alternate
• facilità di taratura
Gli inconvenienti principali sono:
• attrito elevato
• sensibilità bassa
• rumore elevato nel caso di impiego di potenziometri ad alta resistenza
• usura
• sensibilità alle vibrazioni con generazione di componenti di uscita indesiderate
• risposta limitata in frequenza
Sono impiegati per rilevazione delle seguenti grandezze:
• spostamenti lineari ed angolari
• posizioni
• velocità ed accelerazioni angolari
11
2.2.2 Trasduttori capacitivi
I trasduttori capacitivi consistono, essenzialmente, in due superfici conduttrici, dette
armature, separate da un isolante, detto dielettrico. Una delle due armature è mobile e
quindi, in seguito ad una sollecitazione, varia la posizione reciproca delle armature. Il
comportamento è quello di un condensatore con capacità variabile.
In un condensatore ad armature piane e parallele, si ha la seguente relazione:
C=
Dove:
ε ⋅S
D
C capacità del condensatore,
ε costante dielettrica del materiale isolante,
S area della superficie delle armature,
D distanza fra le armature.
Vediamo uno schema di un generico trasduttore capacitivo:
Dalla relazione precedente si deduce che per variare la capacità si può o variare la
superficie affacciata delle armature o la distanza fra le armature stesse.
I trasduttori del primo tipo sono detti ad area variabile e sono impiegati per le misure
angolari o lineari, quelli del secondo tipo sono detti a distanza variabile e sono impiegati per
misure di piccoli spostamenti.
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I trasduttori capacitivi sono caratterizzati da:
• Compattezza
• Stabilità
• Linearità
• Buona accuratezza e risoluzione
Gli inconvenienti principali sono:
• Influenza delle capacità parassite dei terminali, dato il piccolo valore della capacità del
trasduttore
• Sensibilità alle variazioni di temperatura (che peraltro può essere superata impiegando
trasduttori costituiti da due capacità, una fissa ed una di misura, e circuiti di misura
opportuni in cui venga rilevato il rapporto fra le due capacità)
• Elevata impedenza di uscita (che, peraltro, in alcuni casi può essere un vantaggio, come,
ad esempio, quando il trasduttore debba essere inserito in parallelo ad un altro
dispositivo).
I trasduttori capacitivi possono essere impiegati, in particolare, per rilevazioni di:
• Posizioni
• Spostamenti lineari ed angolari
• Accelerazioni lineari
• Forze e pressioni
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2.2.3 Trasduttori induttivi
I trasduttori induttivi, indicati anche come trasduttori magnetici, sono caratterizzati dalla
variazione del valore dell'induttanza di un avvolgimento, a causa dello spostamento di un
nucleo o di una armatura.
Nella figura la posizione dell'armatura mobile rispetto al nucleo fisso determina le
dimensioni del traferro e quindi i valori della riluttanza del circuito e dell'induttanza della
bobina:
Trasduttore induttivo a riluttanza variabile
Un altro esempio consta in un nucleo di ferro mobile: inserendosi in misura maggiore o
minore all'interno della bobina, ne causa una variazione di induttanza, questa risulta
pertanto funzione della posizione del nucleo all'interno dell'avvolgimento:
Trasduttore ad induttanza variabile
In altri casi, come nei sensori di prossimità, si impiega un avvolgimento che, quando si
trova ad essere in prossimità di elementi ferromagnetici, ha un'induttanza variabile, che è
funzione della distanza dall'elemento ferromagnetico.
I trasduttori induttivi hanno il vantaggio di presentare un buon rapporto segnale/rumore.
Gli inconvenienti maggiori sono:
• L'ingombro
• Il peso
• I valori limitati di sensibilità
• L'influenza di campi magnetici esterni
• Le perdite per isteresi e correnti parassite nel nucleo
Possono essere impiegati nelle rilevazioni di:
• posizioni
• spostamenti lineari
• forze e pressioni
• prossimità
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2.3 Trasduttori elettromagnetici
I trasduttori elettromagnetici si basano sul principio dell'induzione elettromagnetica: ai
capi di un avvolgimento, interessato da un campo magnetico, si genera una forza
elettromotrice indotta quando vi è variazione del flusso concatenato.
Alcuni dei tipi principali sono:
•
LVDT (Linear Variable Differential Transformer) o trasformatori differenziali
lineari
Essi consistono in un nucleo di ferro, un avvolgimento primario, alimentato in tensione
alternata, e due avvolgimenti secondari connessi in modo differenziale, come si può
vedere in figura; le bobine sono avvolte su un supporto, entro il quale può muoversi il
nucleo. Quando il nucleo è in posizione centrale rispetto ai due secondari, le tensioni
indotte ai loro capi sono uguali in ampiezza ma, dato il modo di connessione dei
secondari, si sottraggono e quindi la tensione di uscita è nulla. Lo spostamento del nucleo
rispetto alla posizione centrale fa sì che la tensione ai capi di un avvolgimento secondario
sia maggiore dell'altra e quindi si abbia tensione differenziale all'uscita. L’ampiezza è tanto
maggiore quanto più il nucleo si trova verso le estremità della propria corsa; la fase
dipende dalla posizione del nucleo rispetto ai due avvolgimenti secondari.
Trasduttore a trasformatore differenziale
La frequenza della tensione primaria è spesso di 50 Hz; vengono impiegate comunque
anche frequenze più alte, fino a 20 kHz, per ridurre le dimensioni dei componenti.
I vantaggi dei dispositivi LVDT sono:
• robustezza meccanica e affidabilità
• possibilità di separazione fra nucleo ed avvolgimenti (funzionamento senza attrito,
quindi elevata risoluzione)
• simmetria della struttura e del funzionamento (il traferro in posizione centrale implica
tensione di uscita nulla)
• possibilità di isolamento degli avvolgimenti, data la loro separazione dal nucleo mobile,
ad esempio mediante chiusura ermetica (ciò consente l'impiego in condizioni ambientali
difficili)
• separazione fra circuito di ingresso (primario) e circuito di uscita (secondario) con
possibilità, ad esempio, di facile separazione delle masse: ciò è utile nei casi di rilievi di
precisione, per evitare accoppiamenti indesiderati attraverso i collegamenti di massa, ed
indispensabile in sala operatoria per i particolarissimi accorgimenti per la sicurezza.
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Gli inconvenienti sono:
• il peso
• l'ingombro
• la sensibilità alle vibrazioni
I dispositivi LVDT trovano larga diffusione nelle rilevazioni di:
• posizioni
• spostamenti (anche di ampia escursione)
• velocità ed accelerazioni
• pressioni e forze
•
RVDT (Rotary Variable Differential Transformer) o trasformatori differenziali a
rotazione.
Hanno caratteristiche analoghe agli LVDT descritti precedentemente. Si differenziano per
il fatto di essere a rotazione: un nucleo, solidale con un albero, ruota, accoppiando in
misura diversa, a seconda della posizione, l'avvolgimento primario con i due avvolgimenti
secondari. Il nucleo, in questo caso, deve essere sagomato in modo opportuno, così da
garantire una buona linearità della risposta.
• LVT (Linear Variable Transformer) o trasformatori lineari variabili.
Essi consistono in una massa, costituita da un magnete, vincolato ad una molla; esso
costituisce il nucleo di un avvolgimento entro il quale si può muovere (in alcuni casi il
magnete è fisso e l'avvolgimento è mobile). Ai capi della bobina si genera una forza
elettromotrice indotta, causata dal movimento del nucleo, proporzionale alla velocità del
nucleo stesso.
I dispositivi LVT hanno i seguenti vantaggi:
• tensioni di uscita relativamente alte
• bassa impedenza di uscita
• costo limitato
Gli inconvenienti maggiori sono:
• peso
• ingombro
• difficoltà a rispondere a grandezze che variano a frequenze basse (inferiori ad una
decina di hertz) ed alte (superiori ad una frequenza dell'ordine di 1KHz)
Le applicazioni principali constano nella rilevazione di velocità ed accelerazioni lineari.
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2.4 Pick-up magnetici
Sono costituiti, nella loro forma più semplice, da un magnete permanente, posto in
prossimità di un oggetto di materiale ferromagnetico: sul magnete è avvolta una bobina.
Ai capi della bobina si genera una forza elettromotrice causata dallo spostamento del
materiale ferromagnetico rispetto al magnete. Un esempio è riportato in figura, nel quale
una ruota dentata, di materiale ferromagnetico, è posta di fronte al pick-up; in seguito alla
rotazione della ruota, si ha una successione di impulsi ai capi della bobina, causati dal
passaggio dei denti nelle vicinanze del pick-up.
Trasduttore a pick-up magnetico
Le realizzazioni possono essere diverse: l'elemento mobile può presentare un solo dente, il
cui passaggio davanti al pick-up determina gli impulsi di uscita; oppure l'elemento mobile
può essere realizzato mediante un magnete permanente, per aumentare l'ampiezza degli
impulsi di tensione.
I pick-up magnetici hanno il vantaggio di permettere la separazione fra elemento di
rilevazione ed oggetto della misura (nell'esempio di figura la ruota dentata non è infatti a
contatto con il pick-up), ciò consente misure particolari, come di flusso nei fluidi. il segnale
di uscita è inoltre di tipo impulsivo e quindi non necessita, della conversione A/D nei
sistemi di acquisizione dati.
Gli inconvenienti principali sono: la difficoltà nella misura di piccole velocità, siccome le
tensioni di uscita sono piccole e quindi risulta basso il rapporto segnale/rumore; la
difficoltà a realizzare ruote di piccole dimensioni, per limitare l'ingombro, e con elevato
numero di denti, per avere all'uscita un numero elevato di impulsi e quindi aumentare la
risoluzione del sistema.
I pick-up magnetici vengono usati per la misura di velocità di rotazione di alberi e per
rilevazioni ad essa collegate (ad esempio, inserendo la ruota dentata in un tubo in cui
fluisce un liquido, con l'asse perpendicolare alla direzione del flusso, è possibile effettuare
rilevazioni di velocità e di volume del fluido).
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2.5 Trasduttori di luminosità
Sono dispositivi che trasformano l'energia luminosa in energia elettrica. I fondamentali
trasduttori di luminosità sono le fotoresistenze, i fotodiodi e i fototransistor.
2.5.1 Fotoresistenze
Sono dispositivi a semiconduttore che sfruttano la proprietà di aumentare la propria
conducibilità elettrica quando sono colpiti dalla luce. Infatti, un fotone che colpisce un
elettrone impegnato in un legame covalente cede la sua energia, che può essere sufficiente
a liberare l'elettrone dal legame. Se ciò accade si origina nel semiconduttore una coppia
elettrone-lacuna in più in grado di partecipare alla conduzione elettrica. In pratica è lo
stesso fenomeno della conduzione dovuta alla agitazione termica con la differenza che in
questo caso l'energia non è termica ma luminosa.
I materiali più usati per realizzare le fotoresistenze sono il solfuro di cadmio CdS e il
solfuro di piombo PbS. Il primo ha una risposta spettrale centrata nella radiazione visibile,
il secondo è sensibile anche alle radiazioni ultraviolette.
Le fotoresistenze commerciali presentano una resistenza di buio dell'ordine del MΩ
(resistenza elettrica in condizioni di oscurità) ed un valore dell'ordine di 100Ω quando
sottoposte a forti flussi luminosi (intorno a 1000 lux). Possono dissipare potenze
dell'ordine di 1-2 W.
Uno svantaggio è la lentezza di funzionamento rispetto ai transitori assai rapidi dei
fenomeni luminosi. I tempi di salita e di discesa risultano superiori a 50-100ms ed
aumentano al diminuire dell'intensità della luce incidente. Ciò dipende dalla elevata vita
media dei portatori di carica che determina una elevata inerzia delle fotoresistenze.
E’ mostrato l'andamento, in scala logaritmica, della resistenza in funzione
dell'illuminamento per una resistenza al solfuro di cadmio CdS ; a lato il simbolo della
fotoresistenza [3]:
Le fotoresistenze vengono utilizzate nei circuiti per la regolazione automatica della
luminosità (display led, cinescopi) in funzione dell'illuminazione dell'ambiente. Se il
controllo automatico deve essere di tipo ON/OFF il dispositivo può azionare, tramite un
trigger di Schmitt, relè, triac, ecc.
18
2.5.2 Fotodiodi
Un fotodiodo è una giunzione PN la cui conducibilità aumenta in funzione dell'aumento
dell'intensità della luce incidente. Il fotodiodo si presenta in un minuscolo contenitore
munito di una finestrella trasparente attraverso cui entra la luce che colpisce la giunzione.
Generalmente il fotodiodo viene inserito in un circuito polarizzato inversamente e, in
assenza di luce, la corrente inversa che attraversa il dispositivo è dell'ordine di alcune
decine di nA per dispositivi al silicio ed è dell'ordine del µA per il germanio. Tale corrente,
definita anche col termine di corrente di buio, dipende dalla temperatura attraverso la
nota legge secondo cui la corrente inversa raddoppia se la temperatura aumenta di 10 °C.
La sensibilità è dell'ordine di alcune decine di nA/lux per cui per un illuminamento di
1000 lux si ottengono correnti dell'ordine di alcune decine di µA.
Il principio di funzionamento è il seguente: se una giunzione PN polarizzata inversamente
è colpita da un fascio di luce di opportuna lunghezza d'onda, in essa vengono liberate
nuove coppie elettrone-lacuna (oltre a quelle di origine termica) che aumentano il valore
della corrente del dispositivo. La fotocorrente dipende dalla intensità luminosa e quindi
dal numero di fotoni utili per unità di tempo nonché dalla loro lunghezza d'onda. Infatti,
la sensibilità spettrale di un fotodiodo interessa le radiazioni visibili con un massimo
compreso tra 0.7 µm e 0.9 µm.
La relazione di linearità tra la fotocorrente e l'illuminamento è notevole e la rapidità di
risposta ai fenomeni luminosi è anch'essa buona (intorno ai ps), ciò rende i fotodiodi
particolarmente indicati nelle applicazioni ad elevata velocità.
Confrontando fotodiodi e fotoresistenze si osserva che i vantaggi dei primi consistono in
una più elevata risposta spettrale in frequenza, migliore linearità di funzionamento e
minor sensibilità ai rumori. Gli svantaggi sono la limitata intensità della fotocorrente e la
forte dipendenza dalla temperatura.
In figura è mostrato lo schema elettrico di impiego di un fotodiodo; come convertitore
corrente tensione viene impiegato un amplificatore operazionale (A.O.):
In assenza di luce I= ID ove ID è la corrente di buio (dark current).
La fotocorrente IP (photo current) dipende dalla luce incidente: I= ID + IP .
Poiché la corrente I è compresa tra alcune decine di nA ed alcune decine di µA si dovrà
utilizzare un A.O. con correnti di polarizzazione trascurabili rispetto a tali valori. Gli A.O.
dovranno, pertanto, presentare impedenza di ingresso elevata, per cui saranno preferiti
quelli con ingresso a FET (LF351, LF355, LF356 ed altri).
19
2.5.3 Fototransistor
È un dispositivo realizzato per ovviare alla ridotta sensibilità dei fotodiodi. È costituito da
un normale transistor NPN la cui giunzione base-collettore, polarizzata inversamente,
viene esposta a radiazione luminosa.
Simbolo elettronico e circuito equivalente di un fototransistor.
Il terminale di base potrebbe anche non essere utilizzato; la corrente di base, in tal caso
viene fornita dalla fotocorrente della giunzione base-collettore. Il pilotaggio esterno della
base consente di variare la sensibilità del dispositivo.
IC = hFE Ib = hFE (Ir + I)
HFE , come noto, è il guadagno statico del componente.
Con il fototransistor si possono ottenere fotocorrenti dell'ordine di alcune decine di mA
con illuminamenti fino a 10.000 lux. La sensibilità può raggiungere il valore di alcuni
pA/lux. Per aumentare ulteriormente la sensibilità si ricorre ad una struttura denominata
fotodarlington. Per alimentare carichi in corrente alternata a tensione di rete si fa uso di
fototriac, il cui innesco avviene illuminando il dispositivo.
Un esempio di dispositivo commerciale e’ il Philips BPX25 le cui caratteristiche di
funzionamento sono descritte dalle curve [4]:
20
I fototransistor, i fotodarlington e i fototriac risultano un po' più lenti dei fotodiodi a causa
del maggior tempo di transito dei portatori di carica. Nella maggior parte delle
applicazioni i trasduttori ottici vengono utilizzati come interruttori.
2.5.4 Celle fotovoltaiche
Un fotodiodo non polarizzato, ai cui terminali viene collegato un carico, quando viene
colpito da un fascio di luce genera una fotocorrente, che attraversa il carico. In tal caso,
infatti, ai capi del fotodiodo si manifesta una d.d.p. definita come f.e.m. fotovoltaica, di
valore intorno a 0.5 V per dispositivi al silicio.
Si definisce cella solare un particolare fotodiodo ottimizzato per la generazione di f.e.m.
fotovoltaica. La corrente di cortocircuito di una tipica cella fotovoltaica è di 5 mA, che
corrisponde ad una resistenza nominale di 0.5 V/5 mA = 100 Ω
Per aumentare la f.e.m. fotovoltaica i fotodiodi vanno collegati in serie; per aumentare la
fotocorrente utilizzabile i fotodiodi vanno collegati in parallelo.
Schema di collegamento serie–parallelo di celle fotovoltaiche volto ad aumentare l’intensità della
massima corrente erogata al carico e la f.e.m. complessiva
L’esempio del collegamento di 6 celle fotovoltaiche fornisce una tensione V= 1.5 V e una
corrente fino a 10 mA.
21
2.5.5 Fotoaccoppiatori
( Optoisolatori )
Sono dispositivi costituiti da un diodo LED e da un fotorivelatore assemblati in un unico
contenitore. Il foto-rivelatore può essere un fotodiodo, fototransistor, fotodarlington o
fototriac.
Iniettando una corrente nel diodo LED, questo si illumina. La luce emessa colpisce il
fotorivelatore che genera fotocorrente. Questi dispositivi consentono di trasformare,
tramite accoppiamento ottico, un segnale elettrico in un altro segnale elettrico, separando
il circuito a monte da quello a valle.
Gli optoisolatori vengono utilizzati quando si desidera separare due circuiti elettrici,
mantenendo le medesime relazioni tensione-corrente.
L'isolamento elettrico tra il circuito di pilotaggio del diodo LED e quello del fotorivelatore
è superiore a 1 KV. Un esempio applicativo è l'alimentazione a tensione alternata di rete di
un carico di elevata potenza sotto il controllo di un segnale digitale.
In questo caso il circuito di interfaccia può essere costituito solamente da un
fotoaccoppiatore a fototriac. Tra le caratteristiche fondamentali di tale dispositivo (come
ad esempio per il modello V23100 di Siemens) ricordiamo il valore della tensione di
pilotaggio del diodo LED interno che va da 3 V a 40 V. La resistenza di ingresso è
superiore a 1 K Ω per cui l'assorbimento di corrente va da alcuni mA ad alcune decine di
mA.
La luce emessa dal diodo LED è in grado di innescare il fototriac interno capace, a seconda
dei modelli, di sopportare correnti di intensità di 10 A e tensioni di 1000 V. L'uso di tale
fotoaccoppiatore consente di tenere separati il circuito di comando a bassa tensione dal
circuito di potenza alimentato a tensione di rete.
Vediamone l’esempio tratto dal Data Sheet del dispositivo Siemens V23100 [5] per un
segnale TTL che pilota un fotoaccoppiatore a fototriac :
22
2.6 Encoder
Sono trasduttori di posizione di tipo digitale in grado di fornire un numero, espresso in un
codice (generalmente binario), in funzione dello spostamento.
Possono essere di tipo lineare (funzionanti per mezzo di un nastro forato) o angolare (con
disco forato).
Esempio di encoder a tre bit in codice binario naturale [6]:
a) lineare
b) sistema di lettura
c) angolare
23
2.6.1 Encoder assoluti
Gli encoder lineari sono costituiti da un nastro, quelli angolari da un disco, solidale
all'organo in movimento, suddiviso in un certo numero di piste che, ad intervalli regolari
di spazio, presentano zone opache e trasparenti corrispondenti a configurazioni
numeriche differenti. Il sistema di lettura, generalmente di tipo ottico, è costituito da tante
coppie di sorgenti di luce (diodi LED) e rivelatori di luce (fotodiodi) quante sono le piste
ed è in grado di trasformare in numero binario le zone opache e trasparenti. II circuito di
rivelazione fornisce lo 0 logico in corrispondenza della zona opaca ed 1 logico in
corrispondenza della zona trasparente. In presenza di zona opaca la luce emessa dal LED è
interrotta da tale zona; il corrispondente fotodiodo non è illuminato e la tensione ai capi
della resistenza in serie al fotodiodo è nulla (0 logico). Se la zona è trasparente la luce
emessa dal LED colpisce il fotodiodo; la fotocorrente scorre anche nella resistenza ai cui
capi si manifesta una tensione (1 logico).
L'uso di un comparatore consente di stabilire la soglia luminosa di commutazione:
Pilotaggio del LED a circuito per la rivelazione della zona opaca o trasparente [7]
Questo trasduttore di posizione, a causa della discretizzazione costitutiva, può apparire
dotato di un potere risolutivo inferiore rispetto ai tradizionali trasduttori di posizione di
tipo analogico (potenziometri e trasformatori differenziali). In realtà il potere risolutivo
viene deciso in base al numero di piste dell'encoder. Con 8 piste è possibile discriminare
ben 28 = 256 posizioni.
Con l'odierna tecnologia ognuna di queste posizioni può ridursi fino a 2.5µm di lunghezza
o di 2’ di grado. La risoluzione dei sistemi analogici, invece, resta limitata dal rapporto
segnale-rumore degli amplificatori elettronici utilizzati.
Un inconveniente degli encoder a codice binario naturale si ha quando il trasduttore,
passando da una posizione alla successiva determina la commutazione di almeno due bit.
Il sistema di lettura deve essere perfettamente allineato alle piste altrimenti si genera un
codice errato durante il passaggio da una posizione all'altra (la cosiddetta corsa critica).
Ad esempio, nel passaggio tra il codice 5 (101) e 6 (110), si potrebbe generare per un
momento il codice 100 oppure 111. Risulta facile ovviare a tale inconveniente codificando
il nastro, o il disco, con un codice binario a distanza di Hamming unitaria, come il codice
Gray.
24
2.6.2 Encoder incrementali
Gli encoder incrementali, anch'essi lineari o angolari, sono costituiti da fenditure
trasparenti equidistanti praticate sul nastro lineare o sul disco circolare. Il sistema di
lettura fornisce un impulso ogni qualvolta si presenta una fenditura sotto il suo campo
d'azione. Questi dispositivi non danno, quindi, un’informazione immediata della
posizione.
Un dispositivo di conteggio digitale incrementa la configurazione numerica ad ogni
impulso generato. Poiché l’encoder può muoversi in ambedue le direzioni e ruotare in
entrambi i sensi, è necessaria la presenza di un sistema in grado di rilevare il senso del
movimento. Il contatore, pertanto, deve essere di tipo bidirezionale. Viene praticata
un'altra serie di fenditure disposta sfalsata rispetto alla prima di 1/4 di posizione.
II sistema di lettura dispone di due fotodiodi con circuiteria in grado di fornire coppie di
forme d’onda quadra, sfasate fra loro in due modi relativamente al senso del movimento:
Discriminare il senso di rotazione risulta semplicissimo, inviando il segnale B all'ingresso
D ed il segnale A all'ingresso di clock di un latch D, l’uscita Q risulterà allo stato alto
quando il senso del movimento coincide con quello mostrato nella prima figura, allo stato
basso nell’altro. Quando l'encoder cambia il senso del movimento, l'uscita Q del latch
subisce una commutazione indicando, così, il nuovo senso. La linea Q può essere, quindi,
utilizzata per comandare la direzione del conteggio del contatore.
25
2.7 Trasduttori piezoelettrici
Nella generica definizione di trasduttori piezoelettrici vengono fatti rientrare, oltre a quelli
propriamente detti, anche i trasduttori piezoresistivi ed i piezotransistori.
2.7.1 Trasduttori piezoelettrici
Sono dispositivi che sfruttano la proprietà di alcuni materiali cristallini, come i cristalli di
quarzo, di generare una tensione quando sono sottoposti a sollecitazioni meccaniche:
Una pressione sul cristallo genera cariche che danno luogo ad una d.d.p. [8]
Generalmente sono impiegati materiali ceramici cristallini, caratterizzati da una maggiore
sensibilità rispetto ai quarzi. I trasduttori piezoelettrici si comportano come condensatori,
trascurando le componenti induttive e resistive; in seguito ad una sollecitazione meccanica
(lungo un asse del cristallo), si ha un accumulo di cariche sugli elettrodi del condensatore,
proporzionale alla sollecitazione, conseguentemente si manifesta una tensione data dal
rapporto fra carica e capacità.
I trasduttori piezoelettrici hanno i seguenti vantaggi:
• robustezza
• piccole dimensioni
• buona risposta alle alte frequenze
• non richiedono alimentazione
26
Gli inconvenienti maggiori sono:
• impedenza di uscita alta
• sensibilità alle variazioni di temperatura
• sensibilità a sollecitazioni rispetto assi diversi da quello della sollecitazione prevista
Sono impiegati nelle rilevazioni di:
• velocità ed accelerazioni lineari
• forze e pressioni
• onde sonore
2.7.2 Trasduttori piezoresistivi
Sono costituiti da semiconduttori drogati la cui resistività, quindi la resistenza, varia in
seguito ad una deformazione meccanica. Rispetto ai dispositivi piezoelettrici hanno il
vantaggio di dare una risposta in continua ed alle basse frequenze. Inoltre possono essere
sottoposti ad una tensione di lavoro relativamente elevata mantenendo una bassa
impedenza. Hanno l'inconveniente di richiedere alimentazione e di essere più sensibili alle
variazioni di temperatura.
Sono impiegati particolarmente come estensimetri, in virtù dell’assenza di isteresi e della
maggiore sensibilità nei confronti degli estensimetri a filo.
2.7.3 Piezotransistori
Sono costituiti da transistori nei quali la giunzione base-emettitore è di tipo piezoresistivo.
La sollecitazione meccanica provoca una variazione della corrente nella giunzione che,
conseguentemente, modula ed amplifica la corrente di collettore in modo proporzionale.
Nei confronti dei trasduttori piezoelettrici, i piezotransistori hanno il vantaggio di dare
una risposta sia in continua, sia alle basse frequenze. Permettono inoltre di ottenere un
segnale di uscita elevato, grazie all'effetto di amplificazione.
Anch’essi hanno l'inconveniente di richiedere alimentazione.
Vengono impiegati nella rilevazione di accelerazioni lineari, di forze e pressioni.
27
2.8 Trasduttori di temperatura
2.8.1 Termocoppie
Sono dispositivi che consentono di ottenere un’informazione sulla temperatura in forma di
segnale elettrico. Il funzionamento si basa sull'effetto Seebeck: riscaldando alla
temperatura Tc la saldatura di due metalli diversi si ottiene alle due estremità libere, poste
ad una temperatura di riferimento TR , una piccola f.e.m. proporzionale alla differenza tra
Tc e TR
(a) simbolo di una termocoppia
(b) collegamento di due termocoppie per eliminare la f.e.m. di giunzione ai morsetti del voltmetro [9]
Il loro funzionamento è regolato dalle seguenti due formule:
e = α ⋅ (Tc − TR )


V = Vc − VR = α ⋅  Tc − TR 


α è il coefficiente di Seebeck, espresso in µV/°C, che dipende dai due metalli costituenti il
giunto e dalla temperatura. Sebbene la linearità di funzionamento si abbia per piccole
variazioni di temperatura, le termocoppie trovano applicazione grazie all'ampio “spettro”
di temperature sopportabili (da - 200 °C a 1000 °C tipicamente). I materiali più usati sono
ferro-costantana, rame-costantana, cromo-alluminio.
Un inconveniente dell’effetto Seebeck consiste nella dipendenza del coefficiente α dalla
temperatura, che provoca una dipendenza non lineare della tensione dalla temperatura.
Per ovviare al problema si utilizza un’altra termocoppia Jr, il cui giunto caldo viene posto
ad una temperatura di riferimento TR nota, in questo modo la tensione misurata dalla
serie delle due termocoppie fornisce un valore differenziale. Inoltre i cavi di collegamento
ed i morsetti del voltmetro sono in rame in modo da eliminare la presenza di un ulteriore
contatto bimetallico.
28
La connessione della termocoppia al sistema di acquisizione deve avvenire tramite
terminali compensati. Questi vengono scelti in modo che le loro caratteristiche siano simili
a quelle dei metalli della termocoppia, la cui tensione viene trasferita al sistema di misura
con una minima perturbazione.
Per ottimizzare il comportamento della termocoppia spesso si ricorre a soluzioni più
complesse che evitano l'uso di giunti da porre a temperature di riferimento:
Sensore di temperatura con stadio intermedio ad operazionale [10]
29
2.8.2 Termistori
Sono dispositivi caratterizzati da una forte dipendenza della tensione di uscita dalle
variazioni di temperatura.
Si suddividono in:
• NTC : Negative Temperature Coefficient
• PTC : Positive Temperature Coefficient
All’aumentare della temperatura aumenta la resistenza nei PTC, l’effetto contrario si ha
negli NTC.
I termistori hanno i vantaggi di avere:
• grande sensibilità a piccole variazioni di temperatura (la resistenza può variare del 5%
per ogni grado centigrado di variazione della temperatura)
• bassi tempi di risposta
• ripetibilità della misura
• possibilità di grandi varietà di montaggi
I maggiori inconvenienti sono:
• la non linearità (la curva di trasferimento è di tipo esponenziale, però è possibile la
linearizzazione, mediante opportune reti resistive)
• il limitato range di temperatura di impiego (temperatura massima dell'ordine di
150°C).
NTC
I termistori NTC sono costituiti da miscele di ossidi di metallo (ferro, nichel, cromo,
cobalto, manganese) che, comportandosi da semiconduttori, riducono il loro valore
resistivo all'aumentare della temperatura, presentano quindi un coefficiente di
temperatura negativo.
Il grafico del tipico andamento della resistenza elettrica in funzione della temperatura per
un NTC è il seguente [11]:
30
PTC
I termistori PTC sono realizzati utilizzando titanato di bario (BaTiO3) o miscele di titanato
di bario e di stronzio (SrTiO3). Drogando il materiale con impurezze trivalenti di lantanio
o bismuto oppure con impurezze pentavalenti come antimonio o niobio si ottiene un
semiconduttore di tipo N con elevato coefficiente di temperatura positivo.
Per la realizzazione dei PTC si utilizza anche il silicio con opportuno livello di drogaggio
di tipo N. Il comportamento in funzione della temperatura di un PTC non è
semplicemente a coefficiente di temperatura positivo. Per basse temperature il coefficiente
di temperatura è negativo anche se non fortemente; per valori più elevati di temperatura,
invece, il coefficiente è fortemente positivo per poi divenire di nuovo negativo.
Il grafico dell’andamento resistivo di un PTC in funzione della temperatura e la
caratteristica corrente-tensione è il seguente [11]:
La temperatura di soglia T1 è denominata temperatura di Curie ed il suo valore, compreso
tra 50 °C e 200 °C, dipende dal particolare dispositivo utilizzato. Il grafico presenta il
comportamento effettivo del PTC nel campo di temperatura compreso tra T1 e T2 nel quale
è possibile una descrizione analitica approssimata con la formula:
RT = A + C ⋅ e BT
ove A, B e C sono costanti e T è la temperatura assoluta espressa in K.
In genere, lo studio dei circuiti comprendenti PTC si effettua graficamente piuttosto che
analiticamente, per evitare l’eccessiva approssimazione.
In campo elettrotecnico i PTC trovano impiego per la protezione contro i sovraccarichi,
infatti, collegando il PTC in serie al carico con corrente nominale inferiore a quella di picco
del PTC, quest'ultimo presenta una bassa resistenza. Se la corrente diventa superiore a
quella di picco, a causa di un sovraccarico, il PTC si riscalda rapidamente, supera il punto
di Curie e la sua resistenza aumenta notevolmente e ciò riduce drasticamente la corrente.
In tal caso termistore si comporta da fusibile automatico:
31
In campo elettronico sia gli NTC sia i PTC vengono impiegati come stabilizzatori.
Un esempio consta nello stabilizzare un oscillatore a ponte di Wien con operazionale,
utilizzando uno di questi dispositivi in luogo di una delle resistenze del ponte.
Queste applicazioni risultano interessanti in campo medico in ambito di condizionamento
del segnale, o nella protezione di sistemi elettricamente isolati propri dei circuiti di
sicurezza in ambito ospedaliero.
RTD (Resistance Temperature Detector) o termoresistenze o sonde di
temperatura resistive.
Sono trasduttori che alterano il loro valore resistivo al variare della temperatura secondo
la legge:
R = R0 (1 + α ⋅ T )
dove:
R0 è la resistenza a 0 °C;
α è il coefficiente di temperatura (°C -1)
T è la temperatura in °C
Se l’elemento resistivo è un metallo si parla di termoresistenza mentre se l'elemento
resistivo è un semiconduttore si parla di termistore. Le termoresistenze più utilizzate sono
costituite da metalli come il platino, rame e il nichel ed agiscono in un campo di
temperatura che va da -200°C ad alcune centinaia di °C.
Il coefficiente di temperatura α è positivo per cui all'aumentare della temperatura
corrisponde un aumento del valore resistivo. Il rame è poco usato perché, avendo bassa
resistività, risulta più ingombrante rispetto agli altri metalli a parità di altre condizioni. Il
nichel ha come vantaggio l'economicità ma ha un comportamento poco lineare.
Costruttivamente si realizzano avvolgendo il filo metallico intorno ad un supporto
ceramico o di vetro oppure depositando un film sottile di metallo su un substrato isolante.
Il tutto è incapsulato in un contenitore. Per evitare errori di misura dovuti
all'autoriscaldamento occorre limitare la corrente (massimo 10mA) iniettata nella
termoresistenza. I cavi di collegamento in rame debbono avere bassissima resistenza
(elevata sezione) per evitare errori di caduta di tensione in linea per variazione di
temperatura. Per la misura delle termoresistenze spesso si utilizza il ponte di Wheatstone.
32
2.8.3 Sensori allo stato solido
Detti anche sensori a semiconduttore, si basano sulla proprietà delle giunzioni a
semiconduttore, polarizzate direttamente, di variare la tensione ai loro capi di circa
-2,5 mV/°C.
Questa proprietà permette la realizzazione di sensori integrati che forniscono segnali
proporzionali alla temperatura.
Un inconveniente di questi dispositivi è il ridotto intervallo di temperatura in cui possono
lavorare; in genere la temperatura massima è limitata a valori dell'ordine di 150 °C.
Trasduttori di temperatura a BJT e integrati
Un comunissimo BJT può essere utilizzato come trasduttore di temperatura. Infatti, come
noto, polarizzando direttamente la giunzione base-emettitore si ha: VBE = 0.7 V nei BJT al
silicio.
Tale d.d.p. diminuisce con la temperatura di circa 2,5 mV per °C.
Il coefficiente di temperatura è negativo e pressoché costante di valore α = - 2,5 mV/°C.
Si ha:
VBE (T2 ) = VBE (T1 ) + α (T2 − T1 )
dove:
VBE (T1) è la d.d.p. alla temperatura T1
VBE (T2) è la d.d.p. alla temperatura T2
Nell’ipotesi di corrente costante la VBE dipende dalla sola temperatura. Deve essere
evitato l'impiego di correnti di intensità elevate che producono autoriscaldamento.
Il comportamento è soddisfacentemente lineare nel campo di temperatura da 0 a 100 °C.
33
Un esempio di schema elettrico di un termometro che utilizza un BJT come sensore è il
seguente [13]:
La temperatura influenza direttamente la polarizzazione del transistor, cosicché dalla
tensione di polarizzazione si può risalire alla temperatura cercata.
Facciamo un esempio numerico per determinare la generica temperatura T :
Per ipotesi T2 = T e T1 = 0 °C , quindi : VBE = VBE0 + α T
Si suppone V2 = VBE0/2 , da cui: V1 = - α T
Imponendo, infine: R2/ R1 = 39, si ottiene la relazione :
Se si desidera una maggior sensibilità, miglior linearità e un più ampio campo di
temperatura si possono utilizzare dei sensori di temperatura integrati appositamente
fabbricati, come ad esempio il dispositivo LM335 [14].
34
Lamine bimetalliche
Sono dispositivi costituiti da due o più lamine di metalli diversi saldate assieme.
Al variare della temperatura, la lamina bimetallica si deflette, a causa del diverso
coefficiente di dilatazione dei due metalli di cui è composta; l'altra estremità pertanto si
sposta e determina la chiusura o l'apertura di un interruttore. Sono impiegate in sistemi di
controllo, con limiti di temperatura di diverse centinaia di gradi centigradi.
Esempi di lamine bimetalliche commerciali [15]
Pirometri
Sono dispositivi sensibili alle radiazioni emesse da un corpo caldo.
Si dividono in pirometri ottici e pirometri a radiazione :
Nei primi la misura della temperatura avviene mediante confronto della luce
emessa dal corpo caldo con la luce emessa da una lampada di riferimento.
Nei secondi l'energia irradiata viene convertita in corrente tramite una termocoppia.
I pirometri hanno il vantaggio di permettere la rilevazione della temperatura di un sistema
senza che vi sia contatto fra sistema e dispositivo di misura; inoltre consentono la misura
di temperature elevate, fino ad alcune migliaia di gradi. Hanno l'inconveniente di essere
poco accurati e di avere scarsa linearità.
Esempio di pirometro ad infrarossi per la misura di temperatura a distanza [16]
35
2.9 Estensimetri (detti anche Strain Gauge o Strain Gage)
Sono dispositivi che si basano sulla variazione di resistenza dovuta ad una modifica del
rapporto sezione/lunghezza di un materiale sottoposto a sollecitazione e quindi
deformato.
Gli estensimetri possono essere a semiconduttore o a conduttore.
Gli estensimetri a semiconduttore, detti anche estensimetri piezoresistivi sono
caratterizzati dal fatto che la variazione di resistenza, dovuta alla sollecitazione, è causata
da una variazione di resistività, più che da una variazione del rapporto
sezione/lunghezza.
Hanno il vantaggio, rispetto agli estensimetri a conduttore, di avere una sensibilità
maggiore, di non risentire di isteresi meccanica e di permettere la realizzazione di
estensimetri integrati, provvisti anche di circuiti di amplificazione e di compensazione.
Hanno, peraltro, l'inconveniente di essere influenzati in misura maggiore dalle variazioni
di temperatura e di avere caratteristiche di linearità inferiori.
Gli estensimetri a conduttore possono essere di due tipi : non incollato ed incollato.
1. Gli estensimetri di tipo non incollato sono detti anche a filo e sono costituiti da
uno o più fili tesi fra due supporti isolanti, accoppiati al sistema di cui si vuole
determinare la deformazione. Il principio di funzionamento è schematizzato in
figura. Se si verifica una deformazione, ad esempio un allungamento, la
lunghezza dei fili aumenta e diminuisce la sezione; la variazione di resistenza,
rilevata ad esempio mediante un circuito a ponte, è funzione della
deformazione. Questo tipo di estensimetro ha l'inconveniente della fragilità, per
cui sono più diffusi gli estensimetri incollati.
Estensimetro a filo (non incollato) [17]
36
2. Gli estensimetri di tipo incollato detti anche a lamina o a strato metallico, sono
costituiti da un supporto isolante, su cui viene incollata una lamina di materiale
conduttore ad elevata resistività; la lamina viene incisa mediante processi
chimici o di fotoincisione, in modo da realizzare un percorso sinuoso, a griglia
(viene utilizzata, per creare il percorso conduttivo, anche la tecnica a film
sottile). Un esempio è schematizzato in figura. L'estensimetro viene incollato
all'elemento di cui si vuole determinare la deformazione, in modo che la
direzione della sollecitazione sia nella direzione del percorso conduttivo.
Schema di un estensimetro adesivo [18]
Si definisce, per caratterizzare la sensibilità degli estensimetri, un fattore di Gauge GF
(Gauge Factor). Esso è dato dalla relazione:
GF =
dove :
δR
δL
R
L
GF : fattore di Gauge
R e δR : resistenza e sua variazione causata da una deformazione
L e δL : lunghezza dell'estensimetro e sua variazione causata dalla
deformazione.
Valori comuni di GF, nei dispositivi a metallo, sono dell'ordine di qualche unità; si sale a
valori dell'ordine di un centinaio negli estensimetri a semiconduttore.
Come si intuisce, gli estensimetri trovano applicazione più per la misura di deformazioni
prodotte da sollecitazioni meccaniche (forze) piuttosto che come veri e propri trasduttori
di posizione.
Una tipica applicazione nel campo biomedicale consiste nell’applicazione dello Strain
Gauge ad una membrana porosa elastica, che posizionata all’interno di un vaso si deforma
in funzione del flusso sanguigno.
Poiché la variazione di resistenza non è elevata e poiché la sostanza utilizzata è sensibile
alla temperatura occorre prestare un po' di attenzione all’influenza di quest'ultima
grandezza. I costruttori di estensimetri metallici preferiscono utilizzare quelli che
presentano un basso coefficiente di temperatura come costantana, manganina e similari.
37
Per compensare gli effetti della temperatura si utilizzano due estensimetri: il secondo,
tuttavia, non viene sottoposto ad alcuna deformazione meccanica, così da fornire un
valore di riferimento. Per risalire alla sollecitazione che produce la deformazione dl/l su
un estensimetro di cui è nota la sensibilità GF, è necessario misurare la variazione di
resistenza δR/R.
La configurazione ideale è quella del ponte di Wheatstone nel quale una delle quattro
resistenze è l'estensimetro :
Ponte di Wheatstone per misurare la variazione di resistenza subita dall'estensimetro
Se l'estensimetro R1 subisce una variazione di resistenza δR1 la VAB non è più nulla e vale:
avendo posto R1 = R2 ed R3 = R4
Per ottenere una VAB di valore accettabile è necessario che il generatore Vi sia
sufficientemente grande ma non tale da generare nell'estensimetro una corrente superiore
alla massima stabilita dal costruttore (qualche decina di mA).
Per realizzare la compensazione in temperatura occorre sostituire ad R2 un secondo
estensimetro identico al primo, non sottoposto a deformazione.
38
2.9.1 Celle di Carico
Una comune applicazione degli estensimetri consiste nella realizzazione di trasduttori
dedicati alle misure di peso chiamati Celle di Carico.
Schema elettrico di una cella di carico a ponte di Wheastone [19]
Le principali configurazioni di questi trasduttori sono tre:
1. a punto singolo
2. a trazione – compressione
3. a sbalzo
1. Le celle di carico a punto singolo sono concepite principalmente per essere utilizzate
nelle bilance. La forza applicata alla superficie di carico provoca una deformazione del
corpo che viene misurata da un ponte di Wheastone formato da quattro estensimetri.
Il segnale d’uscita della cella è indipendente dal punto sul quale agisce il carico, inoltre
sono in commercio modelli che incorporano una protezione contro il sottocarico ed il
sovraccarico.
Cella di carico a ponte di Wheastone per la misura di peso [20]
39
2. Le celle di carico per trazione – compressione possono essere utilizzate per misure di
peso, per misure delle forze di compressione, oppure per la determinazione della potenza
d’uscita di un motore grazie alla misura della coppia di reazione prodotta.
Cella di carico per trazione – compressione [21]
3. Le celle di carico a sbalzo sono utilizzate nelle bilance a piattaforma a basso profilo,
nella pesatura, e nella misurazione di forze in generale.
Cella di carico a Pantografo [22]
40
2.10 Trasduttori di campo magnetico
Sono dispositivi atti a fornire una tensione proporzionale al campo magnetico incidente
sul trasduttore.
Appartengono a questa categoria i trasduttori a magnetoresistenze e quelli ad effetto Hall.
I primi sfruttano la proprietà di alcuni materiali, come ad esempio il permalloy (20% ferro
e 80% nichel), di modificare la propria resistività proporzionalmente al campo magnetico
che li attraversa. I secondi sono costituiti da una barretta di semiconduttore, ad esempio
GaAs, drogato tipo N o P :
Schema di un trasduttore ad effetto Hall [23]
Principio di base dell'effetto Hall: se un semiconduttore viene attraversato da una corrente
elettrica I quando è immerso in un campo di induzione magnetica B, si sviluppa una forza
elettromagnetica (forza di Lorentz) perpendicolare a B ed I che provoca un addensamento
di cariche su un lato del semiconduttore. Ciò origina una tensione VH, nella direzione
ortogonale a I e B, pari a:
VH = K B I
dove K è una costante dipendente dalle dimensioni della barretta, dal drogaggio e dal tipo
di semiconduttore impiegato.
I trasduttori di campo magnetico trovano una vasta applicazione pratica nelle misure
indirette di corrente, in misure di spostamenti lineari o angolari, ed anche come
interruttori di prossimità.
41
2.11 Trasduttori di pressione
Sono dispositivi in grado di fornire un segnale elettrico proporzionale alla pressione
esercitata su di una opportuna zona del trasduttore. Si ricorda che la pressione P è definita
come il rapporto tra la forza F e la superficie S sulla quale viene esercitata:
P=
F
S
Da tale definizione si deduce che, se è nota la superficie S, un trasduttore di pressione può
essere utilizzato per rilevare la forza incidente.
I trasduttori di pressione sono sostanzialmente costituiti da due parti:
1) sensore primario: è realizzato con molle, diaframmi, membrane, sostanze a
semiconduttore, ecc., che sotto l'azione della pressione da misurare subiscono
una deformazione;
2) trasduttore secondario: è costituito da un trasduttore di posizione, come un
estensimetro o un trasformatore differenziale, che ha il compito di trasdurre lo
spostamento del sensore primario in segnale elettrico.
In figura è presentato lo schema di principio di un trasduttore di pressione a tubo di
Bourdon [24]:
E’ costituito da un tubo a forma di U (esistono comunque altri modelli con tubi sagomati a
forma elicoidale, a spirale, ecc.) chiuso ad una estremità e solidale con il nucleo di un
trasformatore differenziale. La pressione P da misurare applicata all'altra estremità del
tubo provoca una deformazione e quindi un movimento del nucleo del trasformatore
differenziale, la cui tensione di uscita V risulta proporzionale alla pressione P. I trasduttori
di pressione di tipo meccanico, come quello a tubo di Bourdon, sono utilizzati nel campo
della regolazione pneumatica per valori compresi tra 0.1 e 50 Atm.
42
Per pressioni di valore più basso vengono impiegati trasduttori realizzati con circuiti
integrati. In pratica, sul chip del circuito integrato viene formato un diaframma di silicio
sul quale si realizzano quattro resistenze collegate a ponte. La pressione esercitata
dall'esterno sul diaframma provoca una variazione del valore resistivo del ponte, che
viene rilevato tramite la misura della tensione di squilibrio proporzionale alla pressione da
misurare.
Trasduttori di pressione a sensore ceramico (con elettronica integrata) [25]
Trasduttori di pressione e pressostati elettronici (estensimetrici) [26]
43
2.12 Trasduttori di velocità (tachimetri elettrici)
Sono dispositivi che forniscono una grandezza elettrica di valore proporzionale alla
velocità lineare o di rotazione di un oggetto in movimento. In questo paragrafo vengono
esaminate la dinamo tachimetrica ed una applicazione dell'encoder incrementale.
I tachimetri elettrici sono composti da un generatore calettato sull'albero di cui si vuole
rilevare la velocità di rotazione. Il generatore può essere di tensione continua (dinamo
tachimetrica), in tal caso fornisce all'uscita una tensione continua proporzionale alla velocità
di rotazione dell'albero; può essere un alternatore e in questo caso si ha all'uscita una
tensione alternata, la cui frequenza é proporzionale alla velocità di rotazione.
I tachimetri elettrici sono usati nella rilevazione di velocità.
Sono caratterizzati da:
• semplicità
• affidabilità
• possibilità di effettuare la misura della grandezza di uscita a distanza dal dispositivo di
misura, a differenza dei dispositivi di tipo meccanico.
Hanno i seguenti inconvenienti:
• dimensioni di ingombro
• peso
• limitata linearità ad un intervallo di valori di velocità.
2.12.1 Dinamo tachimetrica
È un classico trasduttore di velocità la cui struttura è analoga a quella di una comune
dinamo ad eccitazione indipendente.
In figura è presentato lo schema elettrico equivalente di una dinamo tachimetrica:
Il flusso di eccitazione Φ è mantenuto costante dalla tensione continua V applicata
all'avvolgimento di eccitazione.
È noto che in una dinamo ad eccitazione indipendente la tensione di uscita V0 vale:
V0 = K Φ n
dove: K è una costante costruttiva della macchina elettrica;
Φ è il flusso magnetico;
n è il numero di giri al minuto primo del rotore.
44
Posto KT = K Φ , si ha:
V0 = KT n
La formula precedente evidenzia il legame di diretta proporzionalità esistente tra velocità
di rotazione e tensione di uscita della dinamo.
Valori tipici di KT sono compresi tra 0,1 V e 1 V per una variazione di 100 rpm.
I principali difetti di una dinamo tachimetrica sono:
• tensione di uscita affetta da ondulazione dovuta al sistema collettore-spazzole tipico
delle dinamo
• usura delle spazzole e conseguente periodica manutenzione e sostituzione
• elevato errore di linearità: tipicamente contenuto entro il 2 %
I problemi precedenti vengono in parte compensati mediante l'uso dell'alternatore
tachimetrico. Esso è identico ad un alternatore per cui non presenta i difetti dovuti al
sistema spazzole-collettore. La tensione alternata di uscita viene resa continua da un
alimentatore stabilizzato. L'alternatore tachimetrico, insieme all'alimentatore, è spesso
denominato, impropriamente, dinamo tachimetrica poiché ne svolge la stessa funzione.
2.12.2 Trasduttori di velocità digitali
Sono realizzati da un encoder digitale di tipo incrementale e da un frequenzimetro che
fornisce un numero direttamente proporzionale alla velocità del dispositivo in
movimento. Infatti, nel caso di un encoder incrementale angolare, se N è il numero di
tacche distribuite sul disco ed S è il numero di impulsi generati in un secondo dal sistema
di lettura dell'encoder, la velocità di rotazione n [giri/minuto] vale:
n=
60
S
N
Il sistema di lettura dell'encoder, oltre che di tipo ottico, può essere di tipo magnetico. In
tal caso sul disco in rotazione viene posto un piccolo magnete permanente. Un trasduttore
di campo magnetico (ad esempio un sensore ad effetto Hall) ne rivela il passaggio ad ogni
giro. In tal caso la formula precedente è ancora valida ponendo N=1.
45
2.13 Trasduttori di livello
I trasduttori di livello sono dispositivi atti a rilevare il livello di un liquido contenuto in un
recipiente. A questa categoria di trasduttori appartengono anche i rivelatori di liquido
(fluid detector) in grado di controllare se il livello di un liquido ha raggiunto un massimo
o se è compreso entro due livelli prestabiliti.
Schematizzazione
potenziometrico :
di
un
trasduttore
di
livello
a
galleggiante
con
trasduttore
Il galleggiante è solidale al cursore di un sistema potenziometrico la cui tensione V0 è
direttamente proporzionale al livello h del liquido.
Un altro metodo per la misura del livello di un liquido è quello di utilizzare un trasduttore
di livello a capacità variabile :
Il sistema è costituito da due armature metalliche poste in due contenitori isolanti. Il
liquido interposto rappresenta il dielettrico del condensatore che si viene a formare.
Al variare del livello h del liquido varia la quantità di dielettrico, quindi il valore di ε, per
cui la capacità C diventa funzione del livello h essendo:
C =ε
S
d
dove: ε è la costante dielettrica;
S è la superficie;
d è la distanza tra le armature.
46
La capacità C è parte integrante di un oscillatore sinusoidale per cui il periodo di
oscillazione è proporzionale a C e quindi ad h. La frequenza dell'oscillatore è letta da un
frequenzimetro che, opportunamente tarato, indica il livello del liquido.
Per rilevare la presenza o l'assenza di un liquido entro un serbatoio si possono utilizzare
diverse tecniche, come il circuito integrato Fluid Detector LM1830 della National
Semiconductor del quale è mostrato un esempio in figura:
Applicazione di LM1830 con resistenza di riferimento esterna (RREF) [27]
Il raggiungimento del livello limite da parte del liquido viene segnalato da un LED
47
2.14 Trasduttori di posizione
Sono dispositivi che trasformano una posizione lineare o angolare in segnale elettrico.
Esempi di trasduttori di posizione sono i potenziometri, i trasformatori differenziali e gli
encoder digitali.
2.14.1 Potenziometri
Sono dispositivi a tre terminali costituiti da un elemento resistivo su cui è possibile far
scorrere un contatto strisciante. Due terminali sono collegati agli estremi dell'elemento
resistivo R mentre il terzo terminale è collegato al contatto strisciante. La resistenza tra
quest’ultimo ed uno dei terminali assume il valore RX < R. Applicando agli estremi del
potenziometro una tensione VI , si manifesta tra il terminale centrale e quello di
riferimento una d.d.p. VO data dalla nota relazione del partitore :
VO = VI
RX
R
Se l’elemento resistivo è perfettamente omogeneo, esistendo un legame tra resistenza e
lunghezza del potenziometro, si intuisce la proporzionalità tra la posizione assunta dal
contatto strisciante e la tensione che si ricava tra il terminale collegato a tale contatto e
massa.
Se il potenziometro è lineare, detta l la lunghezza dell'intera corsa del contatto strisciante
cui corrisponde la resistenza totale R = k l e detta x la quantità di cui si è spostato il cursore
collegato al contatto strisciante, la resistenza RX tra cursore e contatto di riferimento vale:
RX = k x
Sostituendo le espressioni di R ed RX nella precedente si ottiene:
VO = VI
x
l
Poiché VI ed l sono costanti la formula precedente fornisce il legame di proporzionalità tra
la tensione di uscita e l’entità dello spostamento del cursore (per un potenziometro
lineare):
48
Se il potenziometro è angolare, detto θ l'angolo complessivo della corsa del contatto
strisciante, a cui corrisponde la resistenza totale R = k θ, e detto α l’angolo di rotazione del
cursore collegato al contatto strisciante, la resistenza R(α) tra cursore e contatto di
riferimento vale:
R (α) = k α
sostituendo nell’equazione del partitore questi parametri si ottiene:
VO = VI
α
θ
Poiché VI e θ sono costanti la formula precedente fornisce il legame di proporzionalità tra
a tensione di uscita e l’angolo descritto dal cursore [28]:
Le formule precedenti, relative al partitore, sono valide nelle ipotesi che non vi sia alcun
carico applicato ai morsetti di uscita del trasduttore. In presenza di carico è sufficiente
interfacciare il potenziometro tramite un adattatore di impedenze, ad esempio un
inseguitore a guadagno unitario con operazionale.
I potenziometri con funzione di trasduttore sono caratterizzati da un ridotto attrito tra il
cursore e l'elemento resistivo e si presentano lineari in ogni condizione di funzionamento.
Contrariamente ai potenziometri che venivano realizzati con filo conduttore avvolto in
spire su di un supporto isolante - in cui la resistenza elettrica non variava con continuità
limitando il potere risolutivo - negli attuali potenziometri l'elemento resistivo è costituito
da uno strato metallico o da un film plastico, per cui il potere risolutivo è limitato
esclusivamente dalla granularità dello strato.
Potenziometri a filo: lineare ed angolare ad un solo giro [29]
49
La sensibilità di un potenziometro è definita come la variazione di tensione di uscita VO
dovuta ad uno spostamento unitario del cursore. Vale VI/l per il potenziometro lineare e
VI/θ per quello angolare. La sensibilità aumenta proporzionalmente alla tensione di
ingresso VI .
Un altro importante parametro dei potenziometri è la linearità. La caratteristica
resistenza/posizione nei potenziometri lineari in realtà non è rettilinea a causa della non
perfetta omogeneità dell'elemento resistivo e delle condizioni di contatto del cursore [30]:
Si definisce errore di linearità indipendente il rapporto tra la massima deviazione ∆ri della
caratteristica reale rispetto alla caratteristica ideale e il valore massimo di resistenza R del
potenziometro.
Tale errore, spesso, è espresso in percentuale con tipico valore intorno a ±0.1%
ε% =
∆ri
100
R
50
2.14.2 Trasformatori differenziali
Sono noti anche con il nome di trasformatori ad E per la sagoma del nucleo magnetico.
Sulle due colonne esterne si dispongono in serie due avvolgimenti in modo che risultino in
opposizione di fase. Sulla colonna centrale si applica un avvolgimento alimentato a
tensione alternata VI :
Trasformatore differenziale [31]
(a) costituzione
(b) schema elettrico equivalente
Il flusso magnetico viene generato dalla colonna centrale. Sul nucleo è inserita una
traversa mobile in grado di variare la quantità di flusso indotto nelle colonne laterali. Se la
traversa è in posizione perfettamente simmetrica rispetto alla colonna centrale, le f.e.m. V1
e V2 indotte sugli avvolgimenti delle colonne laterali sono uguali ed opposte, quindi la
tensione di uscita VU è nulla.
Spostando la traversa mobile verso destra o sinistra aumenta l'accoppiamento magnetico
nei confronti di una colonna rispetto all'altra. In questo modo le due f.e.m. indotte nelle
colonne laterali risultano diverse. La tensione di uscita VU aumenta linearmente
all'aumentare dello spostamento laterale x della traversa mobile :
In particolare il modulo di VU è proporzionale allo spostamento mentre lo sfasamento ϕ
ne indica la direzione. Si osservi che VU è alternata. Per ottenere una tensione di uscita
continua e proporzionale allo spostamento x si utilizzano un raddrizzatore a doppia
semionda ed un filtro capacitivo come nei normali alimentatori.
Trovano applicazione come trasduttori di piccoli spostamenti; il tipico valore di sensibilità
è di 50 mV/mm. Rispetto ai potenziometri risultano più affidabili e presentano minori
attriti.
51
2.15 Flussometri ad ultrasuoni
I flussometri ad ultrasuoni sono una categoria di trasduttori utilizzati per misurare la
velocità del sangue attraverso due metodi:
• direttamente sui vasi esposti
• in modo transcutaneo
Nel primo caso tali strumenti utilizzano il metodo detto del tempo di transito, nel secondo
utilizzano l'effetto Doppler. Quest’ultimo viene oggi largamente utilizzato nella pratica
clinica. Entrambi presentano il vantaggio di non alterare apprezzabilmente le proprietà
fisiche del fluido di cui si vuole misurare la velocità.
2.15.1 Flussometri a tempo di transito
I flussometri a tempo di transito si basano sulla misura della differenza ∆t tra i due diversi
tempi che un'onda ultrasonica impiega per attraversare un mezzo in movimento,
dipendentemente dal senso di propagazione concorde od opposto alla velocità del fluido.
Lo schema a blocchi di un tale flussometro è riportato in figura :
Schema a blocchi di un flussometro di transito
Il sensore utilizza due cristalli piezoelettrici, fatti funzionare alternativamente da
emettitore e ricevitore.
Schema di un flussometro a tempo di transito [32]
I due cristalli sono posizionati a distanza d sulle pareti opposte del vaso. Si è indicato con θ
l'angolo formato dalla loro congiungente con l'asse del vaso, quindi con la velocità assiale
del fluido u(r) .
52
Nel caso di profilo piatto di velocità
u(r) = u0
la relazione ∆t-u tra la differenza dei tempi di transito e la velocità media del fluido può
facilmente essere ricavata osservando che i due tempi di transito risultano rispettivamente:
t12 =
d
c + u0 ⋅ cosϑ
t21 =
d
c − u0 ⋅ cosϑ
La velocità del fluido risulta :
∆t ⋅ c 2
u0 =
2d ⋅ cosϑ
Questo tipo di flussometro per la misura della velocità del sangue prevede il
posizionamento di cristalli piezoelettrici direttamente sul vaso da esaminare, rappresenta
quindi un metodo piuttosto invasivo di misura.
53
2.15.2 Flussometri Doppler
I flussometri basati sull'effetto Doppler non richiedono l'accesso diretto al percorso del
fluido di cui interessa misurare la velocità e, pertanto, possono essere utilizzati come
flussometri transcutanei. Essi richiedono la presenza, nel fluido, di particelle in grado di
riflettere gli ultrasuoni, condizione largamente verificata nel caso del sangue.
Il principio di base del funzionamento è quello di misurare le differenze di frequenza tra
l'onda emessa e l'onda riflessa dalle particelle in movimento presenti nel fluido in esame:
Misura transcutanea del flusso sanguigno tramite sensori piezoelettrici [33]
Per determinare la relazione tra la variazione di frequenza e la velocità della particella
riflettente si consideri la particella P come un ricevitore in moto, con velocità assiale u .
P rileverà una frequenza fi . Essendo l'emettitore fermo e (u cos α) la componente della
velocità del ricevitore lungo la direzione di propagazione del suono, il ricevitore R rileverà
la frequenza fr .
Dato che il ricevitore è fermo, mentre la sorgente (particella P) ha una componente di
velocità lungo la direzione di propagazione pari a (u cos β), risulta:
( )
2 f r ⋅ cos α +2 β
fD ≡ fr − fI =
c
dove fD è la frequenza Doppler definita come differenza fra la frequenza della radiazione
incidente fi e quella riflessa fr .
La velocità del flusso risulta proporzionale alla frequenza doppler attraverso un fattore
che dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione riflessa e dalla geometria del
sistema.
54
Confronto fra flussometri Doppler ad emissione continua e pulsata
Schema di pre-elaborazione del segnale Doppler [34]
I flussometri ad emissione continua sono i più semplici, ma soffrono di due limitazioni:
•
•
il segnale riflesso proviene da un volume di fluido che generalmente contiene particelle
con velocità anche assai diverse tra loro;
sono necessari due cristalli piezoelettrici, uno per il ricevitore ed uno per l'emettitore.
Un flussometro ad emissione pulsata emette impulsi sinusoidali di ultrasuoni con
frequenza fs tra i 4 e gli 8 MHz e con frequenza di ripetizione f0 tra i 10 ed i 20 kHz.
Tra due successive emissioni lo stesso sensore è utilizzato come ricevitore, evitando così la
necessità di un secondo cristallo. Si noti che, abilitando il cristallo alla ricezione solo dopo
un prefissato ritardo dall'emissione td ci si garantisce che la riflessione provenga da un
volumetto posto ad una distanza dal trasmettitore data dalla relazione 2d=c td (2d è la
distanza percorsa dal fascio di ultrasuoni tra andata e ritorno). Si elimina così
l’approssimazione di misura propria dei flussometri Doppler ad emissione continua.
Il flussometro pulsato, oltre ad una maggiore complessità tecnologica, presenta un limite
intrinseco sulla profondità massima alla quale può effettuare misure di velocità.
Si noti che il funzionamento pulsato è idoneo a misurare anche un profilo di velocità, dal
momento che le informazioni provenienti da volumetti fluidi contigui possono essere
acquisite, memorizzate ed elaborate in parallelo. Tale modalità è, infatti, alla base dei
sistemi più complessi attualmente impiegati in diagnostica cardiovascolare, quali i
profilometri multigate ed i color flow mapping.
55
2.16 Elettrodi a gas per il sangue
2.16.1 Sensori per la misura del pH
Sono sensori per la misura in vitro. I più comuni sono composti da un filo di argento
clorurato immerso in soluzione fisiologica all’interno di una provetta.
Dispositivi più complessi contengono al loro interno due sezioni separate: la prima viene
esposta al fluido in analisi; la seconda, isolata in una soluzione tampone, ha funzione di
riferimento.
a sinistra: elettrodo di vetro per la misura del pH
a destra: elettrodo in vetro di misura del pH con annesso elettrodo di riferimento [35]
2.16.2 Sensori per la misura della pressione parziale dei gas
La più importante misura chimico-fisica è la pressione parziale dell’ossigeno e del
diossido di carbonio contenuti nel sangue. La pressione parziale di un gas disciolto è il
contributo che esso dà alla pressione totale di tutti i gas. La pressione parziale è
proporzionale alla quantità di gas disciolta. L’efficienza degli apparati cardio-vascolare e
respiratorio si riflette in questi importanti parametri.
La pressione parziale dell’ossigeno pO2 , chiamata spesso tensione dell’ossigeno, può
essere misurata sia in vitro che dal vivo.
56
Il principio basilare è mostrato in figura [36]: un filo di platino o di un altro metallo nobile,
contenuto nel vetro per motivi isolanti, con la sola punta esposta, è immerso in un
elettrolita nel quale l’ossigeno è libero di diffondere. Un elettrodo di riferimento di
alluminio clorurato viene anch’esso immerso nell’elettrolita.
Il catodo e l’elettrodo di riferimento sono separati dal sangue per mezzo di una membrana
attraverso la quale può diffondere l’ossigeno. Se viene applicata una tensione di 0,7V tra
l’elettrodo di riferimento (anodo) ed il filo di platino (catodo) la riduzione dell’ossigeno
avviene sul catodo di platino. Può quindi essere misurata una corrente che risulta
proporzionale alla reazione di ossidoriduzione.
Il catodo in platino e l’elettrodo di riferimento possono essere integrati in una unica unità
(elettrodo di Clark). Questo elettrodo può essere inserito in sacche di sangue per misurare
in vitro. Esiste una versione miniaturizzata che può essere innestata in un catetere per il
posizionamento in varie parti del sistema vascolare per misure dirette in vivo.
Uno dei problemi riguardanti questo metodo di misura della pO2 è che il processo di
riduzione assorbe una certa quantità di ossigeno nella zona attorno al catodo, inoltre si
riscontra una graduale diminuzione della corrente con il passare del tempo. Questi effetti
sono stati minimizzati nei moderni elettrodi.
57
Il principio che permette la misura della pressione parziale del diossido di carbonio pCO2
si basa sul fatto che esiste una relazione lineare fra il pH della soluzione ed il logaritmo
della pCO2 . Esistendo altri fattori che influenzano il pH, il trasduttore per la rilevazione
della pCO2 viene costruito circondando un elettrodo per pH con una membrana
selettivamente permeabile alla CO2 .
Un moderno elettrodo sviluppato per la pCO2 è chiamato elettrodo di Severinghaus. In
questo trasduttore la membrana permeabile alla CO2 è costruita in teflon, che non è
permeabile agli altri ioni che potrebbero modificare il pH. Lo spazio tra il teflon ed il vetro
contiene una matrice costituita da un sottile strato di cellofan, nylon o vetro/legno.
Questa matrice serve come supporto per uno strato acquoso di bicarbonato nel quale le
molecole di anidride carbonica gassosa possono diffondere liberamente.
Uno dei problemi che affliggeva i primi tipi di elettrodi per CO2 era l’ammontare del
tempo richiesto dalle molecole per diffondere attraverso la membrana e ottenere la lettura.
Il principale vantaggio dell’elettrodo di tipo Severinghaus consiste nella rapidità con la
quale può essere ottenuta la lettura, ottenuta migliorando la membrana e lo strato di
bicarbonato. In alcune applicazioni, la misura delle pressioni parziali di ossigeno ed
anidride carbonica sono combinate in un unico elettrodo che include anche una mezza
cella comune. Questo tipo di elettrodo combinato è mostrato in figura [37]:
58
3. Strumentazione Biomedica
Conclusa la trattazione delle caratteristiche dei trasduttori da un punto di vista elettronico,
verrà ora presentato il loro impiego in campo biomedico nelle applicazioni diagnostiche.
Il seguente prospetto lega i principali tipi di analisi alle strumentazioni generalmente
impiegate, specificandone i campi di misura in ambito biologico:
Tecnica di Misura
Range
Ballistocardiografia
0 – 7 mg
0 – 100 µm
Pressione vescicale
1 – 100 cm H2O
Uroflussometria
1 – 100 ml/s
Flusso sanguigno
1 – 300 ml/s
Pressione Arteriosa (diretta)
10 – 400 mmHg
Pressione Arteriosa
(indiretta)
Pressione venosa
25 – 400 mmHg
Strumentazione
Metodo
Accelerometro Strain Gauge
Misura differenziale con
amplificatori operazionali
Manometro Strain Gauge
Mediante sondino connesso
direttamente al trasduttore
Celle di carico
Ponte di Wheastone
Flussometro (ultrasonico o
magnetico)
Misura diretta dal sensore in
prossimità del vaso
Manometro Strain Gauge
Ponte di Wheastone
Sfigmomanometro e
fonendoscopio
0 – 50 mmHg
Strain Gauge
Ponte di Wheastone
Gas nel sangue
PO2
PCO2
PN2
PCO
PH sanguigno
30 – 100 mmHg
40 – 100 mmHg
1 – 3 mmHg
0.1 – 1 mmHg
Sensori
Elettro-chimici
6.8 – 7.8
Gittata cardiaca
4 – 25 l/min
ECG
0.5 – 4 mV
Elettrodo Specifico
In vitro
Diluizione
Flussometro
Elettrodi di superficie
EEG
5 – 300 µV
EMG (profondità)
EMG (superficie)
0.1 – 5 mV
0.1 – 5 mV
In vitro
Elettrodi di superficie
Misura con amplificatori
operazionali
Elettrodi ad ago
Elettrodi di superficie
59
Potenziali oculari
EOG
ERG
Pressione gastrointestinale
50 – 3500 µV
0 – 900 µV
0 – 100 cm H2O
Potenziali nervosi
Pletismografia
0.01 – 3 mV
Dipende dall’organo
Flusso respiratorio
0 – 600 l/min
Peso
0 – 300 kg
Temperatura
32 – 40 °C
Elettrodi di superficie
Ponte di Wheastone
Manometro Strain Gauge
Mediante sondino connesso
direttamente al trasduttore
Elettrodi di superficie o
profondità
Camere pletismografiche
Cinghie pletismografiche
Termistore nasale
Flussometro
Estensimetri Strain Gauge
Celle di carico
Termistori / Termocoppie
Circuito differenziale con
sensore e riferimento
3.1 Analisi delle problematiche riguardanti la Strumentazione
Biomedica
In relazione alla diversa natura di tutte le grandezze biologiche che possono essere
misurate, ai diversi principi fisici su cui si basa il funzionamento dei sensori, ed alle
caratteristiche tecnologiche degli stessi, è importante considerare alcuni aspetti rilevanti:
•
Accessibilità della grandezza da misurare
Alcune analisi possono essere effettuate mediante una misura diretta, rilevando
direttamente la grandezza rappresentativa. Altre debbono necessariamente essere
ricavate in modo indiretto attraverso la valutazione di altre grandezze.
•
Invasività della strumentazione
Un aspetto importantissimo di tutti i tipi di analisi è l’impatto sul paziente, sia dal
punto di vista clinico - chirurgico (disagio del paziente durante l’esame, tempi di
recupero, effetti collaterali della tecnologia diagnostica impiegata), sia da quello
psicologico.
•
Disturbi alla misura
Spesso l’entità dei segnali biologici è molto bassa in relazione al “rumore” dovuto alle
attività fisiologiche dell’organismo, e le analisi non possono essere effettuate con
sollecitazioni maggiori, che comprometterebbero la salute del paziente.
60
Tutti questi aspetti rientrano nello studio di realizzabilità, in quanto uno strumento di
analisi non deve possedere solamente le caratteristiche tecnologiche, quali: semplicità di
impiego, buona affidabilità, aderenza agli standard di sicurezza e costi non sproporzionati
in rapporto all’utilizzo. Sono inoltre importanti gli aspetti precedentemente descritti, legati
all’accessibilità della misura in rapporto all’invasività che essa comporta.
A questo proposito è importante notare che le problematiche descritte sono strettamente
correlate. Spesso risulta possibile effettuare la medesima analisi sia direttamente, sia
indirettamente, con metodi più o meno invasivi, ottenendo così risultati con diversi gradi
di accuratezza. Occorre quindi valutare attentamente la tecnica più opportuna da
utilizzare.
In relazione a tali considerazioni emergono i seguenti vincoli:
•
Valori delle misure molto piccoli rispetto a misure analoghe in altri campi (tensioni mV
o µV, pressioni 100 mmHg, ecc.)
•
Rapporto segnale rumore sfavorevole
•
Bande in bassa frequenza (tipicamente audio) e DC
•
Variabili inaccessibili direttamente (gittata cardiaca)
•
Diagnostica complessa (il sistema è vivente e presenta grande variabilità)
•
Limitazioni all’energia applicabile dall’esterno (RF, US, RX)
•
È richiesta grande affidabilità, soprattutto per dispositivi critici per la vita
•
Stringenti norme di sicurezza elettrica e generale (meccanica, chimica, biologica)
•
Salvaguardia del personale (RX, sicurezza elettrica) oltre che del paziente
•
Semplicità di utilizzo da parte di operatori non tecnici
61
3.2 Analisi delle specifiche
A questo punto dello studio risulta necessario introdurre una serie di definizioni relative
ai diversi aspetti del processo, a partire dal “pick-up” del segnale biologico fino ad
arrivare alla grandezza di uscita, adatta ad essere interpretata o rappresentata.
In questo contesto possiamo individuare vari parametri:
•
•
•
•
Specifiche dei sensori (ingresso)
Specifiche dell’uscita
Specifiche dell’alimentazione
Errori ed affidabilità delle strumentazioni biomediche
Specifiche dei sensori (ingresso)
Misurando :
Quantità fisica, proprietà o condizione misurata
Misura differenziale o assoluta :
Differenza tra due quantità o rispetto ad un riferimento
Campo operativo :
Campo fisso o regolabile della grandezza di ingresso
Campo di sovraccarico :
Campo di ingresso tollerato senza danni allo strumento
Tempo di recupero dal sovraccarico :
Tempo richiesto per il ritorno alla regione operativa lineare dopo un sovraccarico
Sensibilità :
Uscita dello strumento per ingresso unitario
Impedenza di ingresso :
Impedenza generalizzata (meccanica, elettrica) è il rapporto tra la variabile “forza”
(tensione, forza, pressione) e la variabile “flusso” (corrente, velocità, flusso).
Il prodotto rappresenta una potenza.
Principio operativo del sensore :
Principio fisico di funzionamento. Può essere espresso come Funzione di Trasferimento
(F.d.T.)
Costante di tempo o risposta ai transitori :
Sebbene la costante di tempo sia identificabile solo per strumenti caratterizzati da F.d.T.
del primo ordine, può comunque essere considerato quello relativo al polo dominante.
Altre informazioni possono essere ricavate dalla frequenza di risonanza e smorzamento.
62
Risposta in frequenza :
Modulo e fase della risposta in frequenza del sistema.
Eccitazione del sensore :
Campo di frequenze ed ampiezze specifiche del sensore. Valori tipici, massimi e minimi.
Isolamento :
Caratteristiche di isolamento elettrico o altri metodi di protezione da micro shock e macro
shock.
Dimensioni :
Dimensioni e metodo di accoppiamento del sensore primario al misurando.
Cure particolari per l’utilizzo :
Alcuni sensori possono essere danneggiati da un utilizzo scorretto, ad esempio da urti, da
campi magnetici o elettrostatici oppure dalla corrosione dovuta a fluidi corporei.
Metodo di elaborazione :
Elaborazione analogica (circuitale) e numerica (circuitale o software). Può essere anche
espressa come funzione di trasferimento comprendente il rumore aggiunto.
Compensazione :
Eventuali compensazioni delle caratteristiche dei sensori (non linearità, equalizzazione di
banda ecc.)
Specifiche dell’uscita :
Quantità di uscita :
Normalmente una tensione o corrente che pilota un sistema di visualizzazione. Può essere
analogica o digitale.
Campo di variabilità dell’uscita :
Campo di variabilità lineare dell’uscita e livelli di saturazione.
Potenza di uscita :
Massima potenza trasferibile al carico, caratterizzato da una determinata impedenza.
Impedenza di uscita :
Impedenza generalizzata (meccanica, elettrica) è il rapporto tra la variabile “forza”
(tensione, forza, pressione) e la variabile “flusso” (corrente, velocità, flusso).
Il prodotto rappresenta una potenza.
Velocità di presentazione :
Massima frequenza di rappresentazione del dato in uscita.
Risposta in frequenza del visualizzatore.
63
Temporizzazione dell’uscita :
E` determinata da: ritardo di elaborazione, tempo di campionamento dei dati, intervallo di
rappresentazione.
Interfacciamento :
Capacità di interfacciamento con altri strumenti.
Specifiche dell’alimentazione:
Requisiti di alimentazione :
Tensione e frequenza di alimentazione (AC-DC). Tolleranza agli sbalzi di tensione e di
frequenza. Potenza richiesta, eventualmente in funzione dell’ingresso.
Nel caso di alimentazione a batteria, gli stessi requisiti, capacità e durata della batteria e
numero di ricariche.
Protezione :
Fusibili, diodi, isolamento, interruttori differenziali, magnetotermici, PTC.
Errori ed affidabilità delle strumentazioni biomediche
Accuratezza globale :
Massima differenza tra quantità misurata e quantità vera (a causa degli errori di misura,
indipendentemente dalla loro natura).
Ripetibilità :
Variazione dell’uscita nel tempo con ingresso costante.
Non linearità :
Deviazione dal funzionamento lineare (isteresi, zona morta, soglia, ecc.).
Suscettibilità alle interferenze :
Sensibilità alle interferenze esterne. Nel caso di segnali elettrici: interferenze condotte ed
irradiate.
Rumore :
Massimo valore picco-picco del rumore elettrico e non, riportato all’ingresso (rumore
riscontrato in uscita in rapporto con la F.d.T).
Rapporto segnale rumore (SNR) :
Rapporto tra valore di picco del segnale e quello del rumore. Può essere espresso da una
frazione (10:1) oppure in decibel: 20Log10(S/N). È dipendente dalle larghezze di banda.
64
Stabilità :
E` la capacità di mantenere costante l’uscita in corrispondenza ad un ingresso costante.
E` suscettibile di variazioni dipendenti da: tempo, temperatura, umidità, urti e vibrazioni.
Viene considerata al netto del tempo di “regime”.
Minimo numero di cicli :
Minimo numero di operazioni (es. accensione–spegnimento) che porta alla degradazione
delle specifiche.
Vita operativa :
Tempo minimo di funzionamento continuo o intermittente oltre il quale le specifiche si
degradano.
Vita di immagazzinamento (di stoccaggio) :
Tempo necessario e condizioni ambientali che portano lo strumento, non operativo, alla
degradazione delle specifiche.
Affidabilità (MTBF):
Tempo medio tra i guasti dei singoli componenti o dell’intero dispositivo.
Molto importante per i dispositivi impiantati.
Specifiche generalizzate
Aderenza alle normative :
Corrispondenza dei singoli componenti e dell’intero strumento alle normative
internazionali e nazionali.
Requisiti ambientali :
Condizioni di: temperatura, umidità, altitudine, accelerazioni, radioattività, corrosione
indicate per il corretto funzionamento ed immagazzinamento.
Connessioni meccaniche ed elettriche :
Compatibilità con altri strumenti e interfacciamenti meccanici
Materiale di consumo :
Carta, gel per ultrasuoni, elettrodi usa e getta, materiale chimico. Costi relativi.
Manutenzione e ricambi :
Contratti di manutenzione, tempo di intervento. Costi dei ricambi.
65
4. Metodologie di misura - Biosensori
4.1 Elettrodi
Caratterizzazione interfaccia elettrodo - elettrolita
Come parametro quantitativo globale definiamo il potenziale di contatto (potenziale di
semielemento) come il potenziale che si crea quando un elettrodo metallico viene immerso
in una soluzione elettrolitica contenente ioni positivi dello stesso metallo. A causa delle
reazioni di ossido-riduzione all’interfaccia elettrodo-elettrolita si crea una diversa
concentrazione di cationi ed anioni nella soluzione immediatamente a ridosso
dell’elettrodo (doppio strato di cariche). Tale squilibrio nella concentrazione crea una
differenza di potenziale tra la porzione di soluzione elettrolitica vicina all’elettrodo ed il
resto della soluzione: il potenziale di contatto.
Una volta applicato l’elettrodo alla superficie corporea, precedentemente trattata con
pasta elettrolitica, si crea un doppio strato di cariche all’interfaccia elettrodo/pasta e
dunque un potenziale (EC), che costituisce parte del segnale che viene misurato [38]:
E` necessario conoscere il valore di EC per compensare la lettura che si vuole effettuare.
66
L’utilizzo di un voltmetro non consente una misura adeguata di EC, poiché un secondo
potenziale si crea tra pasta elettrolitica e microelettrodo del voltmetro [39].
Si ricorre dunque ad una misura di laboratorio:
si assume nullo il potenziale di contatto dell’elettrodo di idrogeno (semielemento di
riferimento)
Misura del potenziale di contatto con il metodo dell’elettrodo di idrogeno [40]
67
Da tale misura, in condizioni standard, è stata ricavata una tabella che esprime i potenziali
di contatto dei metalli più usati per la realizzazione degli elettrodi.
Reazione
Potenziale di contatto [V]
Al 3+ + 3e- → Al
Zn 2+ + 2e- → Zn
-1.662
-0.762
Cr 3+ + 3e- → Cr
Fe 2+ + 2e- → Fe
Cd 2+ + 2e- → Cd
Ni 2+ + 2e- → Ni
Pb 2+ + 2e- → Pb
2H+ + 2e- → H2
AgCl + e- → AgCl
Hg 2 Cl 2 + 2e- → 2Hg + 2Cl Cu 2+ + 2e- → Cu
Cu+ + e- → Cu
Ag+ + e- → Ag
Au 3+ + 3e- → Au
-0.744
-0.447
-0.443
-0.257
-0.126
0.000
+0.222
+0.268
+0.342
+0.521
+0.780
+1.498
Se la misura avviene in condizioni non standard (variazioni di temperatura e
concentrazione), il potenziale di contatto cambia in accordo all’Equazione di Nernst
applicata alla reazione di ossidazione
dove:
- E0 è il potenziale di contatto standard (misurato rispetto all’elettrodo di idrogeno)
- R è la costante universale dei gas perfetti: 8.31 J/(mol K)
- T è la temperatura
- n è la valenza del metallo dell’elettrodo (catione + )
- F è la costante di Faraday: 96500 C/mol
- aC+ è l’attività della specie catione, funzione della sua concentrazione
68
In condizioni di equilibrio perturbato, causato dall’inevitabile passaggio di corrente, il
potenziale di contatto cambia ulteriormente rispetto al suo valore standard. Tre sono le
manifestazioni di questo sovrapotenziale:
•
sovrapotenziale ohmico: è dovuto alla caduta di potenziale proporzionale alla
resistenza dell’elettrolita e alla corrente (non necessariamente lineare)
•
sovrapotenziale di concentrazione: dovuto alla variazione di concentrazione in
prossimità dell’interfaccia elettrodo-elettrolita causata dal passaggio di corrente
•
sovrapotenziale di attivazione: è legato alla predominanza di un verso della reazione
elettrochimica (ossidazione o riduzione) causata dal passaggio di corrente.
Questi effetti devono essere tenuti in considerazione ed eliminati dalla misura del
potenziale bioelettrico. Se è garantita la stabilità del contatto elettrodo-tessuto, si
manifestano come un rumore di modo comune agli elettrodi; dunque è relativamente
semplice eliminarne gli effetti sulla misura.
Si differenziano due categorie di elettrodi ideali:
•
elettrodi perfettamente polarizzabili : non c’è passaggio di cariche tra elettrodo e tessuto
•
elettrodi perfettamente non polarizzabili : c’è libero passaggio di cariche tra elettrodo e
tessuto
Il modello per i perfettamente non polarizzabili è una resistenza:
Il modello per i perfettamente polarizzabili è una capacità:
69
4.1.1 Elettrodo di Argento – Argento Clorurato
L’elettrodo Ag-AgCl approssima il comportamento di un elettrodo perfettamente non
polarizzabile.
In sezione ha un’architettura del tipo mostrato in figura [41]:
Una volta applicato l’elettrodo Ag-AgCl alla superficie corporea, precedentemente trattata
con la pasta elettrolitica, avvengono le seguenti reazioni denotate dalla figura [42]:
70
Durante il Funzionamento avvengono due serie di fenomeni, conseguentemente alla
direzione della corrente:
•
Corrente entrante
Gli atomi di Ag si ossidano formando cationi Ag+ e liberando elettroni, che saranno i
veicoli di carica a valle dell’elettrodo. I cationi Ag+ si riducono con gli anioni Cl- formando
cloruro di argento AgCl, che si deposita sull’elettrodo contribuendo al film di AgCl- , di
conseguenza si deposita AgCl a scapito dell’Ag [43]
•
Corrente uscente
I cationi Ag+ si riducono utilizzando elettroni che arrivano all’elettrodo e depositano Ag
sullo stesso. Le molecole di AgCl si dissociano in anioni Cl-, che conducono all’interno del
tessuto, e cationi Ag+ che contribuiscono alla cattura di elettroni. Si deposita Ag a scapito
dell’AgCl [44]
71
In condizioni di equilibrio il prodotto delle attività degli ioni Ag+ e Cl- è costante:
a Ag+ ⋅ aCl- = K s
in presenza di una elevata attività di Cl- (come nei tessuti biologici) il potenziale di
contatto vale:
Il potenziale di contatto dipende dall’attività degli anioni Cl- (gli altri termini sono costanti)
Gli ioni Cl- sono disciolti in grande quantità nei tessuti e fluidi biologici (oltre che nella
pasta elettrolitica). Questo fa sì che la loro attività (aCl-) sia elevata e non dipenda da
variazioni di concentrazione di Ag+ dovuta al passaggio di corrente. Questa caratteristica
rende l’elettrodo Ag-AgCl molto stabile.
Circuito equivalente:
Il modello più semplice della struttura elettrodo-elettrolita è:
con:
- Epc : potenziale di contatto
- Cd : capacità del doppio strato di cariche all’interfaccia elettrodo-elettrolita (da cui
deriva il potenziale di contatto)
- Rd : resistenza offerta dallo strato tra le due facce della capacità Cd
- RS : resistenza del complesso elettrodo-elettrolita
72
L’impedenza Z risulta:
Da tale relazione di osserva che :
•
per frequenze elevate l’impedenza è costante: Z=RS
•
per frequenze prossime allo zero (ingresso in continua) l’impedenza è ancora costante e
maggiore che nel caso precedente: Z = Rd + RS
•
per tutta la banda di frequenza l’impedenza sarà funzione della frequenza
L’andamento dell’impedenza sarà del tipo [45]:
Come osservato, la resistenza dipende dalla frequenza della corrente in ingresso e dalla
quantità di corrente che attraversa l’interfaccia elettrodo-tessuto.
73
Circuito equivalente del complesso elettrodo - elettrolita – cute [46]
In condizioni di misura stabili, è possibile eliminare gli effetti delle trasformazioni
elettrochimiche all’interfaccia elettrodo-elettrolita-tessuto.
Le principali cause di artefatti sono:
•
•
I movimenti: nel caso di elettrodi perfettamente polarizzabili comportano notevole
rumore, essendo ragguardevole l’effetto capacitivo e le conseguenze di ogni
movimento sull’equilibrio del doppio strato di cariche all’interfaccia.
Negli elettrodi perfettamente non polarizzabili gli effetti sono minimi, essendo scarso
l’effetto capacitivo dell’accoppiamento
I movimenti all’interfaccia elettrolita - cute
Utilizzi degli elettrodi:
• Rilevazione e stimolazione :
Adesivi usa e getta (pre-jelled)
Adesivi riutilizzabili (adesivo usa e getta ed elettrolita)
• Solo per rilevazione
A suzione (ventosa + elettrolita)
Adesivi riutilizzabili polarizzabili (adesivo usa e getta)
• Elettrodi di profondità (ad ago)
Aghi singolo e multi-elettrodo
Aghi single-fiber
Fili sottili isolati
74
4.1.2 Esempi di Elettrodi
Esempi di Elettrodi di superficie sono: elettrodi a Suzione (ECG), elettrodi a piastra,
elettrodi a punte, elettrodi “Spray-on”
Elettrodi di Superficie: (a) A punte (b) A Suzione (c) Adesivo [47]
Elettrodi ad ago e filo (percutanei) [48]
Sono composti da acciaio del diametro di 25-125 mm:
Quelli a filo vengono utilizzati nei casi in cui l’ago risulta troppo rigido:
75
Microelettrodi
Sono elettrodi di piccole dimensioni, del diametro che varia da 0.5 a 5 mm, che permettono
il collegamento elettrico delle strumentazioni di analisi in settori particolarmente ristretti
del corpo:
Microlettrodo metallico: ago appuntito elettroliticamente [49]
Schema di applicazione di un microelettrodo in vetro:
Microelettrodo di vetro: micropipetta riempita di un elettrolita [50]
76
Elettrodi per Elettroencefalogramma
Per l’EEG vengono utilizzati elettrodi di superficie, solitamente di Ag-AgCl grazie alla
buona stabilità ed al basso rumore: 5-50 µV.
Vengono posizionati secondo lo schema di figura [51]:
77
Elettrodi per stimolazione
Gli elettrodi per stimolazione si differenziano da quelli per l’analisi dei segnali, in quanto
nella stimolazione elettrica le correnti in gioco sono più elevate. Per evitare la diffusione di
ioni metallici nel corpo occorre, inoltre, utilizzare pattern di stimolazione a media nulla,
cosicché l’integrale della carica netta entrante sia nullo.
Elettrodo di polimero conduttore, con connettore a pin metallico
Nel caso dei Neurostimolatori intracorporei gli impulsi elettrici vengono trasmessi da un
dispositivo, simile al pacemaker, impiantato sotto la pelle nel petto del paziente. Gli
elettrodi sono posizionati direttamente nella zona del muscolo da stimolare e collegati al
neurostimolatore attraverso sottili cavi sottocutanei isolati elettricamente.
Un esempio di neurostimolatore è il sistema Activa di Medtronic, che rappresenta una
importante innovazione nel trattamento di malattire e disordini motori.
Il trattamento Activa utilizza uno stimolatore intracorporeo per portare impulsi elettrici
accuratamente controllati verso specifiche aree del cervello. Questo trattamento blocca i
segnali “sbagliati” provenienti dal cervello che causano i tremori associati a patologie
quali distonia e morbo di Parkinson.
Neurostimolatore interno “Activa Parkinson’s” e relativa sonda per stimolazione [52]
78
4.2 Termometro a Sensore Pirometrico Infrarosso
Un esempio di strumentazione studiata per la minima invasività consiste nel termometro
Thermofocus di Tecnimed. Questo strumento per la misurazione della temperatura senza
contatto consente la rilevazione delle radiazioni infrarosse emesse dal corpo.
Avvicinandolo alla pelle del paziente, ad una distanza determinata da un sistema di
puntamento ottico, Thermofocus indica immediatamente la temperatura corporea.
L’apparecchio rappresenta un’innovazione importante che permette una lettura della
temperatura igienica, sicura, facile, economica ed istantanea.
Risulta essere particolarmente indicato per pazienti nei quali qualsiasi altro termometro
invasivo è fastidioso, e nei casi di profilassi contro infezioni batteriche e virali, quando
ogni contatto deve essere evitato.
La distanza corretta viene indicata semplicemente facendo coincidere due fasci luminosi [53]
Caratteristiche tecniche del termometro infrarosso a distanza Thermofocus
Distanza di lavoro: 3 cm circa stabilita mediante segnalazione ottica
Campo di temperatura sulla fronte del soggetto: 34/42,5°C
Campo di temperatura altre misurazioni: 15/50°C c.a.
Campo di temperatura ambiente di lavoro: 16/40°C
Grado di accuratezza (secondo norme ASTM E1965-98):
da 22°C a 35.9°C = +/- 0.3°C
da 36°C a 39°C = +/- 0.2°C
da 39,1°C a 42,5°C = +/- 0.3°C
Il termometro può rilevare anche temperature inferiori o superiori a questi livelli,
ma la precisione non è garantita, ha le dimensioni di un pennarello e pesa meno di 100g.
79
4.3 Sensori per Ecografia
Un’importante innovazione nel campo della diagnostica per immagini è rappresentata
dall’ecografo, che consente la creazione di immagini di profondità sfruttando gli
ultrasuoni. Questa caratteristica rende l’analisi molto meno invasiva rispetto alla
radiografia, vantaggio sempre crescente grazie alla progressiva miniaturizzazione degli
ecoscanner con conseguente riduzione dell’energia della radiazione ultrasonica impiegata.
Alcuni esempi di sensori per ecografia sono mostrati in figura [54]:
Permette la visualizzazione dei tessuti molli, impossibile da ottenere mediante raggi X,
anche se la qualità dell’immagine è inferiore rispetto a quella ottenibile mediante
Risonanza Magnetica (metodo notevolmente più invasivo).
Lo svantaggio principale di questo tipo di tecnologia è l’impossibilità di ottenere
immagini dell’apparato scheletrico.
Inoltre, la mancanza di dati attendibili sulla pericolosità dell’assorbimento di ultrasuoni da
parte dell’organismo rende difficile quantificare l’invasività di questo metodo. Per questo
motivo sono in fase di sviluppo metodi a bassissima invasività che sfruttano radiazioni
luminose con lunghezze d’onda variabili da 500 a 1000nm.
80
4.4 Diagnostica Ottica
La luce è in grado di rivelare molte caratteristiche del tessuto senza danneggiarlo
minimamente.
Mediante aghi o cateteri endoscopici può essere trasportata via fibre ottiche, ciò permette
di raggiungere punti remoti all’interno del corpo. Questa caratteristica costituisce il punto
di forza delle tecniche ottiche.
Non penetra in profondità nei tessuti: la luce visibile ha una penetrazione di qualche mm
mentre la luce nel vicino infrarosso di qualche cm.
Da un lato questo fatto rappresenta un aspetto negativo, poiché è possibile analizzare solo
un modesto volume di tessuto; d’altro canto la maggior parte del corpo umano è costituita
da sottili strati di tessuto, perciò le tecniche ottiche sono molto utili nell’analisi localizzata.
Spettro delle radiazioni elettromagnetiche utilizzate in campo biomedico;
sono evidenziate le frequenze nel campo del visibile [55]
4.4.1 Cenni teorici
Spettro di assorbimento del tessuto
La figura in basso mostra gli spettri di assorbimento principali dei tessuti biologici.
Vengono mostrati anche i coefficienti di assorbimento in corrispondenza di alcune tipiche
lunghezze d’onda utilizzate in campo biomedico, con particolare riguardo ai laser [56].
81
Tecniche di autofluorescenza e diffusione dinamica di luce per diagnosi di patologie.
Si dicono materiali attivi quelle sostanze in cui l’eccitazione di atomi per mezzo di una
radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda λ1 produce l’emissione di una radiazione
di lunghezza d’onda λ2 > λ1 [57]
Gli atomi dei materiali attivi, sottoposti ad una radiazione elettromagnetica, passano da
uno stato energetico fondamentale ad uno stato eccitato ad energia maggiore. Tornando
probabilisticamente allo stato fondamentale liberano energia, sotto forma di radiazione
elettromagnetica di lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella della radiazione
eccitante.
Si definisce fluoroforo una sostanza che emette radiazione quando viene investita da
radiazione luminosa.
Alcuni fluorofori di origine biologica:
Le applicazioni mediche in campo ottico si dividono in due categorie generali:
1. La spettroscopia : la spettroscopia dei tessuti a più lunghezze d’onda permette la
quantificazione dei componenti del tessuto che contribuiscono allo spettro di una
determinata zona del tessuto stesso. E’ possibile quindi esaminare i componenti del
tessuto biologico senza rimuoverlo. Tale procedura è denominata biopsia ottica.
82
2. L’imaging : l’identificazione di un oggetto all’interno del tessuto (ad es. un tumore) e la
mappatura dello stato funzionale del tessuto (ad es. la perfusione1 del sangue)
richiedono più della semplice spettroscopia. Per realizzare una ricostruzione
tridimensionale di un tessuto è necessaria una triangolazione di più misure in
posizioni diverse.
4.4.2 Spettroscopia
Per realizzare un’analisi spettrale è possibile utilizzare più tecniche quali la spettroscopia
di assorbimento, la spettroscopia di fluorescenza o la spettroscopia a raggi infrarossi.
Esempi clinici tuttora in via di sviluppo sono:
• l’ossimetria NIR per valutare lo stato di ossigenazione di muscoli periferici e cervello
• misure di pH gastroesofageo mediate tecniche colorimetriche
• il monitoraggio dell’iperbilirubinemia nei neonati
• la localizzazione di tumori ai polmoni, al colon e in altri tessuti utilizzando tecniche di
diffusione o fluorescenza
• il controllo del glucosio tramite misure ottiche
4.4.3 Imaging
Combinando la spettroscopia con l’imaging è possibile ottenere un’immagine spettrale
pesata.
Alcuni esempi pratici sono:
• Mapping di perfusione sanguigna
• Mapping di emorragie cerebrali
• Mapping dell’ossigenazione del tessuto
• Mapping della distribuzione di pigmenti fluorescenti
Le tecniche di spettroscopia ed imaging nel vicino infrarosso permettono misure di
ossigenazione dei tessuti.
Alcune applicazioni ed ambiti di ricerca sono:
•
•
•
•
•
Diagnosi di patologie del sistema vascolare (occlusioni, ischemie, ecc..).
Studio dell’effetto di farmaci su tessuti e cervello.
Monitoraggio dell’ossigenazione cerebrale durante operazioni chirurgiche ed in
neonatologia.
Monitoraggio del consumo di ossigeno e della concentrazione di emoglobina in caso di
tumori.
Tomografia ottica (imaging cerebrale).
1
Perfusione : introduzione di sostanze medicamentose attraverso la circolazione saguigna, in tutto
l’organismo, o in zone limitate di esso.
83
4.5 Cenni su Applicazioni Ottiche
I risultati più significativi della ricerca biomedica riguardano:
(i)
strumentazione diagnostica che utilizza laser e tecniche elettro-ottiche
(ii)
test e analisi del sangue non invasivi mediante tecniche spettrometriche e
colorimetriche
(iii)
tecniche di tomografia ottica per l’imaging di tessuti
Attualmente sono state realizzate alcune interessanti soluzioni tuttora allo stato di
sviluppo, delle quali saranno illustrati alcuni esempi:
•
Spettroscopia a dispersione dinamica di luce (Dynamic light scattering spectroscopy)
di tessuto oculare in-vivo
•
Sensore colorimetrico per test del sangue
•
Fluorometro corneale portatile per diagnosi oftalmiche
•
Sistema per tomografia ottica di tessuti
I paragrafi 4.5, 4.5.1, 4.5.2, 4.5.3, 4.5.4 e le relative immagini sono tratti da [58]
84
4.5.1 Spettroscopia dinamica a dispersione di luce
( Dynamic Light scattering Spectroscopy ) di tessuto oculare in vivo
La dispersione dinamica di luce (DLS) è una tecnica ben nota per la misura dell'agitazione
termica di particelle in sospensione, soluzioni di macromolecole e altri sistemi liquidi
complessi.
L'informazione ottenibile per mezzo di misure DLS è contenuta nella forma della funzione
di autocorrelazione di intensità della luce dispersa. Quando il moto dei centri di
dispersione è principalmente browniano, la funzione di autocorrelazione decresce in
modo monotono verso un valore finale idealmente uguale alla metà del valore iniziale.
Un metodo per ricavare l'informazione voluta dalla funzione di autocorrelazione consiste
nell'analisi della distribuzione del tasso di rilassamento. Essa può essere utilizzata per
determinare la distribuzione delle dimensioni delle proteine nel volume sotto esame
quando l'esperimento è condotto in vitro.
Sfortunantamente, quando sono in esame gli occhi del paziente, vincoli aggiuntivi imposti
dalle membrane dell'occhio e dalle interazioni fra centri di dispersione possono influire su
questa relazione. Perciò la distribuzione del tasso di rilassamento è stata scelta come
"impronta digitale" del tessuto oculare sotto esame. Questo approccio, seppur qualitativo,
si è dimostrato efficiente per scopi diagnostici.
L'occhio umano ha l'unico vantaggio di essere trasparente alle radiazioni visibili e del
vicino infrarosso. Così, diverse zone dell'occhio con diversi tipi di macroproteine sono
esaminabili tramite DLS, così come si possono individuare alterazioni strutturali
dell’umore vitreo.
Le misurazioni sono critiche a causa della ridotta dispersione di questi tessuti oculari,
infatti l'umore vitreo disperde approssimativamente trenta volte meno rispetto alle lenti
ottiche.
Altri fattori di disturbo sono rappresentati dai movimenti dell'occhio e dal battito delle
palpebre. Inoltre la limitata accessibilità attraverso la pupilla e l’impossibilità di accrescere
la risoluzione mediante un aumento di potenza del laser richiedono l'uso di
apparecchiature DLS ad alta sensibilità.
85
Il sistema
Una descrizione del sistema di misura è mostrata in figura.
Lo strumento è costituito da tre blocchi principali:
1. l'apparecchio microscopico
2. l'unità di controllo
3. il correlatore digitale, connesso ad un PC
L'unità di controllo e l'apparecchio microscopico sono connessi mediante due fibre ottiche
single-mode di 3 metri di lunghezza. L'apparecchio è costruito all'interno di un normale
microscopico oftalmico. Sono stati utilizzati raggi di eccitazione e sensori a fibra singlemode per aumentare le performance del sistema permettendo misure DLS affidabili nel
vitreo. La geometria a raggio cavo permette un utilizzo ottimale dell'apertura della pupilla
per la messa a fuoco del raggio di eccitazione. L'operatore può osservare direttamente il
volume sotto test (VUT - Volume Under Test) ed osservare il raggio anulare riflesso dalle
diverse interfacce presenti nell’occhio per determinare con sufficiente accuratezza la
posizione del VUT lungo l'asse dell'occhio.
Ad esempio, quando il VUT si trova nel mezzo della cornea, l'operatore vedrà, attraverso
gli oculari posti dietro la lente M2, due anelli identici, riflessi dall'epitelio e dall'endotelio
corneali; se il VUT si trova nel vitreo, il diametro dell'anello proiettato sulla retina è
inversamente proporzionale alla distanza dal tessuto retineo.
Un correlatore digitale viene utilizzato per l'elaborazione del segnale. Esso utilizza il
cosiddetto "schema simmetrico di normalizzazione" ed è quindi adatto per brevi misure di
medie temporali. Questa peculiarità può essere sfruttata per evitare i problemi dovuti al
movimento degli occhi , effettuando una media dei dati provenienti da cinque brevi cicli
di misura in un periodo di 10 secondi. Sono state realizzate misure DLS su tessuti corneale
e vitreo con laser di eccitazione di potenza 5-30µW.
L’aspetto innovativo di questo sistema è la possibilità di effettuare misure DLS in vivo sul
tessuto oculare
86
4.5.2 Testina colorimetrica a basso costo per test del sangue
La qualità dell’analisi clinico-chimica del siero sanguigno è largamente influenzata da
sostanze, contenute nel campione, che interferiscono prima dell’analisi. In particolare,
lipemia, emolisi e bilirubinemia sono le tre cause primarie di interferenza.
La selezione dei campioni adatti ad essere analizzati può essere effettuata mediante
ispezione visiva del colore del siero. Questo metodo è laborioso e costoso, e i risultati sono
altamente soggettivi.
E' stato sviluppato un nuovo sensore colorimetrico a stato solido specificamente
progettato per determinare concentrazioni dell'interferente. Il dispositivo calcola l'integrità
dal campione di siero senza l'intervento umano e determina accuratamente la presenza di
lipemia, emolisi, e bilirubinemia senza consumo del campione o di reagenti.
La misura può essere effettuata direttamente nel tubo in vetro normalmente usato negli
analizzatori clinico-chimici. Questo sistema permette una selezione automatica del
campione, che può facilmente essere integrata nelle moderne strumentazioni.
Il sistema
La determinazione degli interferenti si basa sulla misura dei coefficienti di estinzione a
quattro diverse lunghezze d'onda.
Il sistema consta di tre blocchi principali:
1. il sensore ottico (testina)
2. l'unità di controllo
3. la scheda A/D, connessa ad un PC
La testina ottica è un sensore di colore a stato solido, compatto (diametro = 15.9 mm,
altezza = 6.4 mm) e di basso costo. Le due principali funzioni dell'unità di controllo sono:
conversione della luce dispersa raccolta in un segnale analogico di tensione e controllo dei
LED di eccitazione. La scheda A/D acquisisce i segnali elettrici dall'unità di controllo e
genera i segnali di temporizzazione.
87
L'unità di controllo è montata su di una scheda AlO2 di dimensioni 5x5cm con tecnologia
surface-mount, con un layout progettato al fine di minimizzare grandezze parassite,
effetti spuri e disturbi. In figura sono mostrate la testina ottica e l'unità di controllo.
Le prestazioni del sistema sono state calcolate rispetto all’Hitachi 704 [59] come strumento
di riferimento. Il grafico seguente mostra l’esempio di output del sensore in funzione della
concentrazione di lipidi.
Il sensore è semplice, compatto, poco costoso ed adatto ad essere integrato nei moderni
analizzatori clinico-chimici, riducendo così i costi di laboratorio e i rischi d’infezioni.
88
4.5.3 Fluorometro corneale portatile a basso costo per diagnosi oftalmiche
La rilevazione dei primi stadi della retinopatia diabetica (DR – Diabetic Retinopathy) è di
grande interesse in medicina. A questo scopo, è dimostrato che l’autofluorescenza corneale
può essere un eccellente indicatore della situazione dei primi stadi della DR.
E’ stato sviluppato un set di prototipi di fluorometri corneali a basso costo, pensati come
mezzi per effettuare uno screening della popolazione a rischio di DR, e per monitorarne
l’evoluzione della patologia. Il sistema può essere pensato come componente addizionale
per le slitlamp commerciali, o come un’unità autonoma.
Il sistema
Una serie di LED blu, opportunamente filtrati per ottimizzare l’emissione, attiva la
fluorescenza corneale tangenzialmente all’occhio. La fluorescenza emessa viene raccolta
da un fluorometro e da questo proiettata verso un fotomoltiplicatore attraverso opportuni
filtri.
Sistemi aggiuntivi sono disponibili per facilitare il puntamento e per migliorare la qualità
del segnale.
Il sistema è stato testato sia su persone sane, sia su pazienti affetti da DR, evidenziando
buoni risultati in entrambi i casi.
89
4.5.4 Sistema per tomografia ottica di tessuti
L’interferometria a bassa coerenza (LCI), anche conosciuta come interferometria a luce
bianca (WLI), viene largamente utilizzata nelle strumentazioni optoelettroniche per
applicazioni biomedicali ed industriali. Rappresenta un metodo per la misura di distanze
assolute senza necessità di contatto.
La risoluzione assiale è funzione unicamente delle caratteristiche di coerenza della luce
emessa, quindi le caratteristiche spettrali della luce di eccitazione possono essere poste in
correlazione alla risoluzione spaziale.
Recentemente sono stati introdotte sorgenti luminose a semiconduttori, che risultano
essere poco costose in quanto compatibili con le apparecchiature per fibre ottiche.
Utilizzando la luce ad ampia larghezza di banda, ed a bassa coerenza, dei diodi a
superluminescenza (SLD) è stato possibile ottenere risoluzioni di 10-20µm. Questi
dispositivi rappresentano una soluzione particolarmente economica data la loro
produzione su larga scala.
Il Sistema
La luce proveniente dal SLD viene collimata dalla lente L1 e focalizzata da un’altra lente
L2 sul bersaglio TG. Parte della luce emessa viene retroriflessa dallo specchio
semiriflettente SS. Quest’ultima, assieme a quella riflessa da TG, ripercorre il raggio
principale fino alla giunzione emittente causando una variazione del livello di potenza.
Le due onde retroriflesse non interferiscono fra loro in quanto la loro differenza di
cammino ottico è molto alta rispetto alla ridotta lunghezza di coerenza della sorgente.
Tuttavia l’interfaccia di emissione (aria-semiconduttore) opera una seconda riflessione dei
raggi entranti che vengono a loro volta riflessi da SS e TG.
90
Supponendo nulla la lunghezza di coerenza della radiazione emessa dal SLD e
trascurando gli spessori di SS, L1 ed L2, il fenomeno di interferenza alla giunzione può
essere osservato quando viene soddisfatta la seguente condizione:
d2 + f = 2 (q + f)
I test preliminari su tessuto biologico sono stati effettuati su di un’ala di mosca. La figura
mostra la mappa di riflessione, denotando le coordinate x ed y sul piano in esame. L’asse z
coincide con quello ottico dell’interferometro.
La fotografia è stata ottenuta mediante un microscopio a fibre ottiche e la cornice
rettangolare denota l’area in esame sul piano (x, y).
Il segmento all’interno rappresenta l’area di ispezione sul piano (x, z). Questo esempio
evidenzia la corrispondenza fra la morfologia del campione e la mappa di riflessione.
91
La figura seguente mostra la tomografia ottica della camera anteriore di un occhio di
vitello. L’eccellente rapporto segnale rumore è stato ottenuto con una potenza ottica
inferiore a 120µW
Effettuando misurazioni multiple con più sorgenti e più rilevatori è possibile la
realizzazione della tomografia ottica.
La figura sottostante mostra una tomografia ottica del cervello e denota la capacità di
rilevazione di emorragie (zona rossa sulla sinistra) derivante dal forte assorbimento della
luce da parte dell’emoglobina del sangue.
92
5. Progetti in fase di studio – Sviluppi futuri
Viene di seguito presentata una panoramica sugli sviluppi delle tecnologie biomediche
diagnostiche, in particolare nell’ottica di una drastica riduzione dell’invasività [60].
5.1 Strumenti per analisi automatica di segnali bioelettrici con
tecnologia di reti neurali
Nell’ultimo decennio si sono verificati profondi mutamenti nelle esigenze delle attività
diagnostiche strumentali della medicina. Tali mutamenti sono in parte legati al progresso
che l'elettronica ha compiuto rendendo disponibili apparecchiature totalmente nuove
come la Tomografia Computerizzata, la Risonanza Magnetica, la Tomografia ad Emissione
di Positroni, l’Ecografia.
Questi complessi fenomeni di evoluzione non sono avvenuti in modo uniforme nei diversi
ambiti della medicina; ad esempio la rilevanza delle patologie del Sistema Nervoso é
cresciuta significativamente ed ha posto difficili problemi di valutazione strumentale.
Mentre altri settori, come la cardiologia e la radiologia, hanno già raggiunto un livello di
maturità e disponibilità di strumentazioni adeguate, il campo della diagnostica
neurologica è tuttora lontano da risultati di questo livello.
Sono in fase di studio sistemi che permettano di qualificare i segnali neurofisiologici e le
immagini biomediche mediante il riconoscimento automatico che sfrutta la tecnologia
delle reti neurali.
Un’altra evoluzione importante si è verificata nel campo dell’archiviazione di dati
provenienti da rilevazioni biomediche, resa possibile dall’esponenziale aumento della
capacità delle memorie di massa.
Questa evoluzione comporta la possibilità di creare archivi elettronici ed interconnessioni
fra apparecchi, rendendo possibili:
•
•
•
•
creazione intelligente di archivi
consultazione degli archivi
elaborazione off-line dei dati
trasferimento in altre sedi di diagnosi e cura
In questa ottica gli strumenti diagnostici sono visti come nodi di una rete di
strumentazioni mediche contenenti dati di interesse, con dislocazione geografica anche
molto ampia.
Gli obiettivi della ricerca volgono alla realizzazione di strumentazioni capaci di
monitorare parametri essenziali per la valutazione delle funzioni cerebrali e
cardiocircolatorie. Caratteristiche essenziali debbono essere accessibilità dei dati,
immediatezza e ripetibilità. Un sistema di questo tipo permetterebbe, inoltre, la
tempestività nelle diagnosi, la sorveglianza di pazienti critici e, più in generale, un alto
livello qualitativo nelle condizioni di emergenza.
93
5.2 Strumentazione per l'analisi e l’elaborazione di risposte a
stimoli olfattori da sensori artificiali
Il sistema olfattorio biologico è di notevole complessità ed il relativo funzionamento è
tuttora solo parzialmente noto. La parte recettiva appare relativamente semplice rispetto
alle connessioni con i centri nervosi.
Le ricerche sull'olfatto artificiale sono abbastanza recenti, legate agli sviluppi tecnologici
che hanno consentito di mettere a punto sensori adatti a rispondere a stimoli olfattori.
La capacità discriminatoria è ottenuta attraverso l'elaborazione dei segnali inviati da una
moltitudine di recettori, ognuno con sensitività individuale ad un ristretto numero di
stimoli. Questo implica che la selettività è realizzata dalle reti di neuroni connesse alle
cellule recettrici. Un simile approccio è stato seguito fino ad oggi negli sforzi volti alla
realizzazione di un naso artificiale, sviluppando quindi sensori altamente specifici.
Sulla base di ciò, uno sforzo considerevole va alla analisi ed elaborazione dei segnali
provenienti dai sensori, per progettare un software che codifichi adeguatamente
l'informazione. Lo studio si focalizza quindi nell’utilizzo delle conoscenze ottenute per la
progettazione di strumenti software per l’analisi dei segnali provenienti dai sensori
olfattori.
L’obiettivo è quello di creare una libreria di odori volta a dotare il sistema artificiale di
memoria, che consenta di associare gli stimoli a particolari sostanze e situazioni. Una tale
libreria consentirebbe al sistema di distinguere tra diverse classi di odori basandosi su
regole stabilite a priori. Un modello chimico-elettronico è realizzabile mediante un array di
sensori a polimero conduttore, che risultano altamente sensibili alla presenza di sostanze
chimiche gassose. I segnali che si ricavano da questi sensori sono variazioni percentuali di
resistenza rispetto al valore di base.
94
6. Appendici
6.1 Normative
Normative di sicurezza riguardanti la Strumentazione biomedica
Vi sono direttive comunitarie che regolamentano l’accesso al mercato
•
IEC 60601-1 a livello europeo
Dispositivi biomedici per diagnosi in vitro
Dispositivi biomedici impiegati sull’uomo
•
Norma CEE 93/42
Dispositivi biomedici impiantabili attivi
•
Norma CEE 90/395
Ricerca e sviluppo tecnologico nel settore sanitario
Enti preposti all’aggiornamento delle norme
In ambito internazionale
• ISO International Standard Organisation
• IEC International Electrotechnical Committee
In ambito europeo
• CEN Comitato Europeo di Normazione
• CENELEC Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnica
Elettrotecnica In ambito italiano
• UNI Ente per l’Unificazione nell’Industria
• CEI Comitato Elettrotecnico Italiano
95
Esempio di norme CEI e norme Europee per dispositivi biomedicali
Norme generali per la sicurezza CEI 62-5 IEC 60601-1
Norme particolari per:
elettrobisturi
CEI 62-11
defibrillatori
CEI 62-13
elettrocardiografi
CEI 6215
sistemi di monitoraggio
CEI 6218
apparecchi per emodialisi
CEI 6219
elettroencefalografi
CEI 6261
IEC 60601-2-2
IEC 60601-2-26
Normative USA - FDA
I dispositivi erano inizialmente suddivisi in tre classi a seconda dell’impatto sull’uomo
dalla siringa all’elettrocardiografo, al pacemaker.
Sono stati in seguito suddivisi in 7 classi:
•
Preamendment (28 Maggio 1976 – elettrocardiografo)
•
Postamendment (risonanza magnetica)
•
Substantially equivalent devices (ECG digitale)
•
Implanted devices (stimolatori, pacemaker)
•
Custom devices (protesi dentarie, plantari)
•
Investigational devices (cuore artificiale)
•
Transitional devices (dispositivi passati dalla regolamentazione sui farmaci a quella sui
dispositivi biomedicali)
96
6.2 Bibliografia
[1],[2],[8],[32],[33],[34],[35],[36],[37],[38],[39],[40],[41],[42],[43],[44],[46],[47],[48],
[49],[50],[51],[54]
Laboratorio di Bioingegneria
Department of Computer Engineering and System Sciences University of Pavia
http://linus2.unipv.it
[58] Optoweb
Dipartimento di Ingegneria Elettronica, Università di Brescia
http://optoweb.ing.unibs.it
Data sheets
[3],[10],[13],[14],[27] http://www.national.com
[4],[11],[12] http://www.philips.com
[5] http://www.siemens.com
[7],[9] http://www.toshiba.com
[15] http://www.cantherm.com
[16] http://www.magna-projects.com
[19],[20],[21],[22] http://www.deltatechitaly.com
[25],[26] http://www.dseurope.com
[59] http://www.hitachi.com/Apps/hitachicom/home.jsp
[52] Activa Therapy
http://www.brainpacemaker.com
[53] Azienda Tecnimed
http://www.tecnimed.it
[60] Consorzio Tec.Ele.Biomed.
http://www.tecelebiomed.it
[55],[56],[57]
Dispense Prof. Fonda, Prof. Rovati
http://lola.unimo.it/~fonda/ELBIOM
[6],[17],[18],[23],[24],[28],[29],[30]
Lorenzi,Ocera "Sistemi e Automazione", Tramontana
Ambrosini, Perlasca "Sistemi e Tecnologie", Tramontana
[31] F. Cottignoli, "Macchine elettriche", Calderini
Schemi realizzati con FidoCAD di Lorenzo Lutti
www.enetsystem.com/~lutti
97