Gli obblighi di protezione (profili in tema di contratto di trasporto)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
SCUOLA DOTTORALE IN DIRITTO ED ECONOMIA DEI SISTEMI PRODUTTIVI
INDIRIZZO GIURIDICO – XXVI CICLO
TESI DI DOTTORATO
Gli obblighi di protezione
(profili in tema di contratto di trasporto)
Direttore
Chiar.mo Prof. Michele M. Comenale Pinto
Tutor
Chiar.mo Prof. Giovanni M. Uda
Tesi di dottorato di
Dr.ssa Vanna Cuccu
Anno accademico 2012/2013
La presente tesi è stata prodotta nell‟ambito della scuola di dottorato in Diritto ed Economia dei
Sistemi Produttivi dell‟Università degli Studi di Sassari, a.a. 2010/2011 – XXVI ciclo, con il supporto
di una borsa di studio finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA F.S.E. 2007-2013 - Obiettivo
competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale umano, Linea di Attività l.3.1.
INDICE-SOMMARIO
Pag.
Introduzione……………………………………………………………………………………...
1
CAPITOLO I
Gli obblighi di protezione.
Genesi e sviluppo teorico e pratico.
1.
Premessa…………………………………………………………………………………...
7
2.
La nascita degli obblighi di protezione in Germania. Motivi e percorsi…………………..
9
3.
L‟approccio francese al fenomeno protettivo: les obligations de sécurité………………...
21
4.
L‟elaborazione italiana in tema di obblighi di protezione…………………………………
26
5.
L‟impostazione originaria del codice civile e del codice della navigazione italiani………
42
6.
Le teorie più recenti sugli obblighi di protezione………………………………………….
51
7.
L‟obbligazione di protezione. Cenni e rinvio……………………………………………...
55
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II
8.
La normativa internazionale e europea…………………………………………………….
61
9.
Prime considerazioni conclusive…………………………………………………………...
76
CAPITOLO II
Le caratteristiche del fenomeno protettivo.
1.
Introduzione…………………………………………………………………………….
80
2.
La natura molteplice degli obblighi di protezione……………………………………...
81
3.
Il fenomeno protettivo tra dovere, obbligo e obbligazione: un‟incertezza non solo
87
terminologica…………………………………………………………………………...
4.
Oltre la terminologia e la concettualità classica: la teoria degli standards valutativi….
93
5.
L‟obbligazione di protezione. Patrimonialità e gratuità………………………………..
100
6.
(Segue) Determinatezza o determinabilità della prestazione protettiva………………..
105
7.
Critiche alla teoria del “trasporto sicuro”………………………………………………
109
8.
La posizione dell’obbligazione di protezione nella logica negoziale tra accessorietà e
113
strumentalità.La legale collateralità……………………………………………...…….
9.
Il nesso che determina la collateralità dell‟obbligazione di protezione………………...
125
10.
La natura della responsabilità derivante dall‟inadempimento dell‟obbligazione di
134
protezione……………………………………………………………………………….
11. Brevi riflessioni di chiusura…………………………………………………………….
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140
III
CAPITOLO III
Riflessioni su alcuni aspetti problematici in tema di
protezione nel trasporto aereo e marittimo.
1.
Considerazioni preliminari………………………………………………………………
144
2.
Verso una responsabilità oggettiva o ritorno ad una responsabilità per inadempimento
149
oggettiva?...........................................................................................................................
3.
Il confine tra protezione e autoprotezione: criteri semantici e temporali di
154
individuazione. La nozione di accident e di sinistro marittimo………………………....
4.
(Segue) La limitazione temporale dell‟obbligo di protezione…………………………...
160
5.
Il rischio dell‟impossibilità di proteggere………………………………………………..
167
6.
Il rischio d‟impresa approda ad una dimensione contrattuale…………………………...
174
7.
La socializzazione del rischio……………………………………………………………
178
8.
La tipizzazione del contenuto protettivo: il concetto di disagio e la nuova dimensione
181
pecuniaria dell‟assistenza………………………………………………….…………….
9.
Brevi (necessarie) considerazioni di chiusura in materia di trasporto amichevole………
193
Conclusioni…………………………………………………………………………………....
203
Bibliografia…………………………………………………………………………………….
213
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IV
Per curvi sentieri giungono tutte le cose buone alla meta.
(F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
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V
Introduzione.
Per capire di cosa si tratti quando si parla di obbligo di protezione
occorre partire da una triplice premessa.
In primo luogo, bisogna allinearsi con la teoria moderna
dell‟obbligazione e prendere le mosse da una visione della stessa più
ampia rispetto a quella che vede il mero contrapporsi tra prestazione e
controprestazione: l'attuazione del rapporto obbligatorio, infatti, porta
con sé il rischio che essa stessa sia causa ed occasione per la lesione di
interessi “altri” rispetto a quelli oggetto dell'obbligazione. La protezione
necessitata in questo caso non riguarda i beni e gli interessi direttamente
coinvolti dall‟adempimento, ma tutto ciò che della sfera giuridica di
ciascuna parte può essere leso in virtù del contatto giustificato dal
vincolo obbligatorio (1).
In secondo luogo, la stessa fattispecie contrattuale può contenere
essa stessa al suo interno, in maniera non esclusiva ma come elemento
imprescindibile, un impegno a proteggere la controparte; è il caso del
contratto di trasporto di persone nel quale la prestazione di trasferire si
svolge indiscutibilmente in un ambiente che, per le sue caratteristiche di
limitazione spaziale e di collocazione anomala, impone al vettore di
( 1 ) Così sintetizza il fenomeno uno dei più illustri teorici degli obblighi di
protezione, C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Jus 1976, 125
e, più di recente, ID., La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 447.
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1
impostare tutta una serie di misure di sicurezza di varia natura e
derivazione. In questo caso, pertanto, la protezione ha ad oggetto
un‟entità che è essa stessa direttamente coinvolta nell‟adempimento del
trasferimento.
In ultima istanza, affinché nasca un obbligo di tutela non si deve
ritenere che un vincolo obbligatorio debba necessariamente previamente
essere stato instaurato, né che una prestazione sia dovuta, né, infine, che
l‟adempimento della prestazione principale sia in corso, senza per ciò
dover d‟altro canto scomodare il principio dell‟alterumnonlaedere.
I predetti rilievi, si noti, oltre che premessa costituiscono la trama
del tessuto osservativo di quello che, per il momento, ritengo opportuno
definire semplicemente come protezione in generale o fenomeno
protettivo.
Più genericamente, la protezione si concreta in concetti come
prevenzione, assistenza, sicurezza e tutela i quali, anche singolarmente
considerati e legati ad una peculiare realtà, sostanziano quel dovere di
conservazione dell‟integrità da cui la categoria prende le mosse. Il
fenomeno protettivo, infatti, traduce in termini normativi una vicenda
tutta materiale di solidarietà socio-culturale di cui espressa menzione è
fatta, peraltro, nell‟art. 2 della nostra Costituzione. Ne deriva che
qualsiasi bene la cui lesione abbia connotati negativi per i valori del
sistema può costituire oggetto di protezione; più in particolare, i beni la
cui lesione assume un‟indiscutibile importanza sia dal punto di vista
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2
giuridico, sia da quello empirico, sono sicuramente quelli della persona e
della proprietà (2), ed è al primo dei due che in questa sede si rivolgerà
particolare attenzione.
Tuttavia, occorre altresì precisare che non si può discorrere di
fenomeno protettivo ogniqualvolta la protezione sostanzi l‟unica
prestazione; tale ipotesi, infatti,
non presenta ambiguità strutturali
semplicemente perché la violazione dell‟impegno protettivo si traduce
direttamente ed esclusivamente in un inesatto adempimento o in un
inadempimento della sola prestazione dedotta in contratto (3).
Evidentemente, non si può non cogliere negli aspetti fondanti della
protezione una forte vicinanza al principio del neminem laedere che
costituisce nel nostro ordinamento la base della responsabilità
extracontrattuale (4); non si può e non si deve ignorare, infatti, che anche
la responsabilità extracontrattuale muove da un‟esigenza di protezione.
Superando la visione individualistica della responsabilità aquiliana come
strumento di riparazione del danno subìto al di fuori di un rapporto
(2) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di protezione e tutela della persona, Milano,
1988, 3,4, 14.
(3) Così S. CICCARELLO, cit., 32, 33.
(4) Secondo Castronovo, mediante lo strumento degli obblighi di protezione le
lesioni che, al di fuori di un rapporto obbligatorio, darebbero vita ad un‟ipotesi di
responsabilità extracontrattuale, allorquando detto rapporto sussista assumono le
caratteristiche della violazione di un obbligo inter partes, facendo così nascere una
responsabilità di tipo contrattuale con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di
disciplina. Cfr. C. CASTRONOVO, cit. 125, ma anche, dello stesso Autore, La nuova
responsabilità civile, Milano, 2006, 457. Del problema dell‟esatta natura della
responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi di protezione si tratterà oltre, §
10.
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3
contrattuale (o, meglio, obbligatorio), anche essa è in realtà strumento per
garantire la sicurezza dei rapporti e anche essa scaturisce da un contatto
sociale, sebbene al di fuori di una già esistente relazione negoziale ( 5).
Tuttavia, non si deve cadere nell‟errore di ritenere che, qualora
sussista un vincolo obbligatorio tra due parti, il fenomeno protettivo dia
vita ad una mera trasposizione di un‟ipotesi di responsabilità
extracontrattuale nell‟alveo di quella contrattuale con il solo scopo di
favorire l‟economia processuale e di avvantaggiare il danneggiato. Come
si vedrà meglio nel presente lavoro, infatti, una simile affermazione, oltre
ad avere una connotazione apodittica, sarebbe tacciabile di superficialità
ed erroneità, nonché di avere una fonte al più equitativa, ma non di sicuro
giuridica.
Tutto ciò premesso, nella teorizzazione degli obblighi di protezione
sorgono interrogativi di non poca misura: occorre fare chiarezza su quali
siano i rapporti tra misura dell‟adempimento e anomalie del fenomeno
protettivo e quanto la volontà delle parti possa interferire con l‟entità
della protezione, individuare l‟esatto contenuto e l‟ampiezza del
fenomeno protettivo e le chiavi del suo funzionamento, a ciò sottostando
una compiuta individuazione della natura e della struttura del medesimo;
problematiche da ricondursi tutte al principale interrogativo che riguarda
i rapporti della protezione con l‟obbligazione principale e la sua
collocazione all‟interno della dinamica esecutiva del vincolo negoziale.
(5) Cfr.S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967, 33.
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Detti interrogativi, come si è fugacemente anticipato, sono
maggiormente avvertiti ed assumono una connotazione particolare con
riguardo al contratto di trasporto di persone, nel quale la collocazione del
passeggero in uno spazio al medesimo estraneo e per sua natura ostile,
pone il problema della conciliazione tra potere/dovere di vigilanza da
parte del vettore e facoltà di movimento del passeggero, oltre a quello
dell‟utilità di un trasferimento che non rispetti l‟integrità di ciò che viene
trasportato, passeggero o cosa che sia.
Per dare una risposta a questi interrogativi e procedere di
conseguenza ad un corretto esame della materia questo lavoro deve
conseguentemente prendere le mosse dallo studio preliminare delle
origini fenomeno protettivo e delle sue fonti normative, quindi effettuare
con perizia chirurgica l'analisi della sua struttura per poi raffrontare
l'esito teorico così ottenuto con il dato pratico anche con riferimento alle
fattispecie più peculiari ed alle problematiche più recenti rinvenibili nel
trasporto di persone, ove la settorialità della disciplina ed il crescente
impatto della normativa extra-nazionale, impongono un approccio aperto,
ossia privo di schemi rigidi e capace di mutare costantemente per
adeguarsi ai cambiamenti della realtà.
In particolare, ciò che la contingenza giuridica e sociale impongono
è un fenomeno socializzante che si sostanzia in una disciplina peculiare
che cerca di attagliarsi a nuovi rischi, con la conseguente «richiesta di
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5
nuovi fondamenti che facciano subentrare il diritto là dove sembrava
essere soltanto la carità» (6).
Da queste premesse derivano due fondamentali esigenze.
Innanzitutto, avere la piena consapevolezza delle situazioni di cui si parla
e la conoscenza dei criteri ispiratori della disciplina ad esse relativa ( 7);
quindi, per riuscire a comprendere appieno il fenomeno protettivo nella
sua configurazione contemporanea bisogna evitare «il pericolo insito in
una riduzione del diritto romano a “una specie di diritto naturale
eternamente vigente”» ( 8 ), richiamando la necessità di sostituire agli
schemi romanistici altri più adeguati alle esigenze contingenti, senza che
ciò significhi necessariamente rinnegare l‟importanza fondamentale del
diritto romano nella cultura giuridica. È quella che Mengoni chiama
«viva consapevolezza storica», che da sola «può permettere la piena
comprensione di disposizioni e concetti che gli irrigidimenti tradizionali
sembrano negare ad ogni nuova sistemazione» (9).
È quello che si cercherà di fare in questo lavoro.
(6) S. RODOTÀ, Il problema, cit., 38, nota 67
(7) Gli strumenti per il metodo di rilevazione dei rischi socializzati ci è fornito
daS. RODOTÀ, Il problema, cit., 37.
( 8 ) CosìS. RODOTÀ, Il problema, cit. 5, richiamando le parole di N. BOBBIO,
Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv, trim. dir. proc. civ. 1950, 363 ss.
(9) S. RODOTÀ, Il problema, cit., 6.
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6
CAPITOLO I
Gli obblighi di protezione.
Genesi e sviluppo teorico e pratico.
SOMMARIO:1. Premessa–2. La nascita degli obblighi di protezione in Germania. Motivi
e percorsi. –3. L’approccio francese al fenomeno protettivo: les obligations de
sécurité.- 4. L’elaborazione italiana in tema di obblighi di protezione -5.
L’impostazione originaria del codice civile e del codice della navigazione italiani. –
6.Le teorie più recenti sugli obblighi di protezione. – 7. L’obbligazione di protezione.
Cenni e rinvio. – 8. La normativa internazionale e europea. - 9. Prime considerazioni
conclusive.
1. Premessa.
Il fenomeno protettivo, comunemente ricondotto all‟unitaria
figura dei cosiddetti obblighi di protezione, trova la sua ragion d'essere
nell'eventualità che in seno ad un qualsiasi rapporto obbligatorio lo
svilupparsi delle vicende che ne derivano possano arrecare un pregiudizio
alla persona o ai beni delle parti, senza che ciò si sostanzi
necessariamente in un mancato o inesatto adempimento della prestazione
caratterizzante l'obbligazione.In pratica, ciò che, in condizioni normali,
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7
ciascuno ottiene con il semplice controllo di sé e della cerchia dei propri
beni e interessi, può trovare un limite dal momento in cui nasce un
legame obbligatorio; può infatti accadere che l‟autoprotezione non possa
più essere pienamente esercitata, giusta l‟apertura della sfera giuridica
del creditore ad interferenze derivanti dal debitore e giustificate dalla
condotta di adempimento di quest‟ultimo.
Obbligo o dovere di protezione, pertanto, sono espressioni che
traducono in termini generali la via per evitare non solo il danno, ma
altresì il pericolo di alterazione dello status quo inteso nel senso
dell‟integrità
fisica
e
patrimoniale
degli
obbligati,
attraversolo
spostamento dell‟asse del corrispondente potere da chi lo detiene per
natura a chi lo ottiene in via derivata in virtù di una volontà legale o
contrattuale (10).
Ciò
detto,
per
capire
le
ragioni
che
hanno
portato
all'individuazione e allo studio della materia è importanteavere chiaro in
mente il moderno concetto di obbligazione. La concettualizzazione degli
obblighi di protezione, infatti, è strettamente legata ad una visione
allargata del rapporto obbligatorionel quale convivono una prestazione di
preminente peso economico che potremmo definire caratterizzante e che
è espressamente prevista dal regolamento pattizio, assieme ad una serie
di ulteriori vincoli comportamentali, taluni unilaterali, talaltri bilaterali,
espressi o taciti, tutti comunque rivolti in direzione protettiva verso
(10) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 15.
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interessi “altri” rispetto a quelli strettamente perseguiti mediante la
prestazione caratterizzante e ad essi più o meno vicini. Questi ulteriori
interessi sonocomunque tutti finalizzati alla conservazione dello status
quo e, pertanto, ad evitare che il comportamento vincolato di una delle
parti sia occasione o causa di lesionialla persona o ai beni della
controparte (11).
2. La nascita degli obblighi di protezione in Germania. Motivi e
percorsi.
Così introdottoin generale il fenomeno protettivo, l‟intuizione
degli obblighi di protezione traspare già in epoca romana classica proprio
nel momento in cui è stata superatala visione dell'obligatio come mero
asservimento di una persona ad un'altra (12). Quando, infatti, si inizia ad
(11) Con riferimento al legame che deve sussistere tra l‟alterazione dello status
quo e l‟adempimento affinché si possa sensatamente parlare di obblighi di protezione ci
si deve interrogare se basti la mera occasionalità ovvero sia necessario un collegamento
più intimo tra la prestazione e la condotta lesiva. Sul punto ci si soffermerà meglio
infra, § 7, cap. II.
( 12 ) Sull‟argomento si vedano, più ampiamente: S. PEROZZI, Le obbligazioni
romane: prolusione letta il 14 aprile 1902, Bologna, 1902; F. C. SAVIGNY,
L’obbligazione (traduzione dall‟originale tedesco con Appendici a cura di G.
Pacchioni), Torino, 1912, 489 ss.; U. BRASIELLO, Obbligazione (dir. rom.), in Noviss.
dig. it. XI/1968, 554 ss.; G. CIAN, La figura centrale dell’obbligazione nell’evoluzione
giuridica contemporanea fra unitarietà e pluralità degli statuti, in Riv. dir. civ. 2002/I,
491 ss.; M. TALAMANCA, Obbligazione (dir. rom.), in Enc. dir. XXIX/1979, 1 ss.; L.
LAMBO, Obblighi di protezione, Padova, 2007, 19 ss.
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uscire dalla dimensione strettamente personale del rapportoobbligatorio,
questo diviene sempre più per il debitore un mero vincolo
comportamentale finalizzatoal soddisfacimento di un interesse del
creditore per mezzo dell‟esecuzione di una prestazione; in questo
contesto, da subito si manifesta l‟opportunità diricondurre a casi di
responsabilità contrattuale le ipotesi di dannoarrecato alla persona o ai
beni del creditore in sede di adempimento della prestazione dedotta in
contratto (13).
Tuttavia, i primi fondamenti della civilistica in materia sono stati
posti solo molto tempo dopo, quando, grazie alla dottrina Pandettistica,ha
inizio l'analisi consapevole dell'obbligazione intesa come categoria
generale unitaria separatamente considerabilerispetto alle singole
fattispecie concrete che, di volta in volta, ne determinano la genesi.
Mediante questo passaggio, infatti, si è potuto meglio cogliere il fatto che
in tutte le obbligazioni possono ben essere individuati interessi “altri”
rispetto a quelli rispondenti alla prestazione caratterizzante ed alla
controprestazione, ossia finalità che trascendono il programma negoziale
in senso stretto, ma che sono nella stessa misura di questo imprescindibili
dal contesto vincolante.
(13) Una dettagliata descrizione del fenomeno è fatta da L. LAMBO, Obblighi di
protezione, cit., 20 ss., 31, il quale sottolinea come, pur essendo in epoca romana il
rapporto obbligatorio visto ancora come relazione semplice, non mancassero fattispecie
in cui all‟obbligo di prestazione si affiancasse quello di tutelare l‟integrità del creditore;
la differenza rispetto all‟obbligazione in senso moderno risiede, pertanto, nella moderna
presa di coscienza e conseguente isolamento del fenomeno protettivo.
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Il primo passo in tal senso lo si deve alla teoria delle positive
Vertragsverletzungen, nata grazie all'acume del giurista tedesco Hermann
Staub, il quale, partendo da una lacuna del BGB ante-riforma ( 14 ), ha
avuto il merito di superare la considerazione minimalista e strettamente
patrimoniale che si ritrova nel puro binomio debito-credito, mettendo in
luce proprio la complessità del rapporto obbligatorio ed evidenziando
come la responsabilità contrattuale può derivare anche da eventi non
direttamente riconducibili a difetti dell‟adempimento dell‟obbligazione
principale; può infattiben accadere che, sebbene quest‟ultima sia stata
correttamente e puntualmente eseguita, il comportamento del debitore
abbia comunque cagionato la lesione di un diritto soggettivo del creditore
(15). È in questi casi cheassume spessore un quid pluris rispetto al mero
interesse alla prestazione dedotta in contratto e questo apparentemente
inafferrabile ulteriore contenuto necessita di essere oggetto di una
qualificazione e di una disciplina entrambe chiare ed inequivocabili
perché
coinvolge
interessi
che,
seppure
raramente
considerati
dall‟accordo negoziale, hanno per l‟ordinamento giuridico in generale un
rilievo non secondario rispetto agli scopi economicamente perseguiti.
(14) La richiamata riforma è quella introdotta con la legge sulla modernizzazione
del diritto delle obbligazioni (Gesetz zur Modernisierung des Schuldrects), entrata in
vigore il 1° gennaio 2002 positivizzando gli obblighi di protezione al § 241 BGB. In
merito si rinvia a L. LAMBO, cit., 58 ss.
(15 ) Così U. MAJELLO, Custodia e deposito, Napoli, 1958, 65. Tra gli esempi
citati si possono ricordare quello del chirurgo a cui, ad intervento terminato e ben
riuscito, sfugga di mano il bisturi in tal modo ferendo il paziente così come quello del
tagliaboschi che fa cadere l‟albero che abbatte sulla casa del vicino del proprietario
dell‟albero che ne ha richiesto la prestazione.
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Come appena accennato, il discorso di Staub nasce per un motivo
in verità molto semplice: fino a non molto tempo fa, contrariamente al
nostro codice civile il BGB non disciplinava l'ipotesi dell'inesatto
adempimento, limitandosi a regolare positivamente solo
i casi
dell‟impossibilità imputabile della prestazione e del ritardo ( 16 ). La
conseguente considerevole lacuna nella disciplina dell'obbligazione fu
quindi colmata dall'illustre giurista mediante ricorso all'applicazione
analogica della disciplina già esistente (§§ 280, 286, 325 e 326 BGB),
ossia di quella sul ritardo, sulla base della quale egli enuclea il
fondamentale principio secondo cui «chi viola colpevolmente un vincolo
obbligatorio con un comportamento positivo deve risarcire all’altra
parte i danni provocati di conseguenza» (17).
Ciò facendo, peraltro, Staub denomina le – nuove - ipotesi di
inesatto adempimento positiveVertragsverletzungen, ossia “violazioni
contrattuali positive”, ove l'aggettivazione “positive” è funzionale alla
distinzione rispetto alle “negative violazioni contrattuali” causative di
inadempimento e mora. Le conseguenze delle violazioni contrattuali
positive erano pertanto disciplinate alla stregua del ritardo, con la
conseguente ammissione non solo del risarcimento dei danni da esse
(16) H. STAUB, Le violazioni positive del contratto, Napoli, 2001, 39, traduzione
italiana con prefazione di R. Favale dell‟originale H. STAUB, Die positiven
Vertragsverletzungen, Berlin, 1903. Sul punto si veda L. LAMBO, Obblighi, cit., 33 ss.,
43 ss.
(17) H. STAUB, Le violazioni, cit., 2, 55.
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cagionati, ma altresì della possibilità di chiedere la risoluzione del
contratto (18).
Quanto affermato da Staub fu accolto con entusiasmo dai teorici e
costituì terreno fertile per lo sviluppo della teoriatedesca degli obblighi di
protezione, i quali, messi in luce dalla elaborazione delle violazioni
contrattuali positive, trovarono il loro pieno riconoscimento nella teoria
delle Schutzpflichten, per la quale siamo invece debitori nei confronti di
Heinrich Stoll.
Questisi
spinge
oltre
l'insegnamento
del
suo
predecessore,partendo proprio da quello che può essere considerato il
punto debole della teoria delle positiveVertragsverletzungen. Stoll,
infatti, mette finalmente in evidenza che il carattere negativo del
comportamento non può essere considerato esclusivo dell'inadempimento
e della mora se si considera che anche una condotta positiva può
comportare l‟inadempimento eche, viceversa, un omissione può
sostanziarsi in un adempimento semplicemente inesatto.
Procedendo di questo passo, Stoll definisce altresì la struttura
dell‟obbligazione qualificandola complessa (Organismus) e caratterizzata
dalla coesistenza dell‟interesse alla prestazione (Leistungsinteresse)
conl‟interesse
alla
protezione
(Schutzinteresse),
a
cui
corrispondonorispettivamente obblighi di prestazione e di protezione ed è
su quest‟ultimo aspetto che è opportuno soffermarsi.
(18) H. STAUB, Le violazioni, cit., 28.
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Lasciando da parte gli obblighi di prestazione che non destano
problemi rilevanti in questa sede, gli obblighi di protezione
(Schutzpflichten) (19), vengono inseriti da Stoll nel rapporto obbligatorio
in virtù dell‟operatività della clausola generale di buona fede (Treu und
Glauben)
che
impone
ad
ambedue
i contraenti un condotta
indifferentemente commissiva o omissiva,ma comunque protettiva degli
interessi indirettamente coinvolti nell‟adempimento e che si affianca al
comportamento
finalizzato
all‟adempimento
della
prestazione
principalmente dedotta dalle parti ( 20 ). Il meccanismo integrativo così
delineato opera pertanto a prescindere dall‟accordo in tal senso espresso
dalle parti perché è la volontà del legislatore, di cui è manifestazione la
clausola generale di Treu und Glauben, a determinarne le sorti.
In definitiva, premesso che,in generale, in fase di adempimento le
parti
devono
assumere
un
contegno
funzionaleal
conseguimentodelrisultato utile oggetto dell‟obbligazione, esse devono
altresì eseguire la prestazione che è stata espressamente prevista senza
arrecare alterazione alcuna allo status quo. Tutto ciò comporta
l'assunzione reciproca di una serie di obblighi che superano quelli
inerenti alla prestazione di base e che la dottrina delle Schutzpflichten
qualifica come accessori rispetto a questi ultimi. Tra questi obblighi
( 19 ) Il termine Schultzpflichten è stato coniato da KRESS, Lehrb. des allg.
Schuldrechts, München, 1929, passim e ripreso da Stoll. Cfr. L. MENGONI,
Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in Riv. dir. comm.,1954, I, 180 ss.
(20) Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 38.
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ulteriori si trovano proprio quelli che sono noti come obblighi di
protezione (21).
Con ciò Stoll non intende tuttavia discostarsi dal dato
fondamentale per cui anche questi ulteriori obblighi, pur essendo distinti
dagli obblighi di prestazione, volgono nella direzione dell'esatto
adempimento dell‟obbligazione complessivamente considerata (
22
).
Questo significa che colui che è legato da un vincolo obbligatorio,
creditore o debitore che sia, deve fare sì che l'interesse della controparte
sia interamente soddisfatto sia da un punto di vista interno al rapporto e
strettamente connesso con la genesi del vincolo, sia da un punto di vista
esterno
alla vicenda obbligatoria
in senso
stretto e attinente
all'inviolabilità dello status quo delle parti.
Mediante l'elaborazione degli obblighi di protezione pertanto, ciò
che è sempre esistito in una logica di extracontrattualità migra all'interno
dell'area contrattuale alla luce del contesto nel quale la lesione trova
origine e ragion d'essere. Il fatto che dei soggetti entrino in contatto tra
(21) Stoll, il primo, come si è visto, ad elaborare la distinzione tra interesse alla
prestazione ed interesse alla protezione e tra i relativi obblighi, ravvisa altresì la
possibilità di estenderne la portata oltre la fase esecutiva del contratto e, precisamente, a
quella precontrattuale; questa eventualità, accolta nel diritto civile tedesco, è di dubbia
configurabilità nel nostro, come si vedrà più avanti. Cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo
di protezione nel trasporto aereo di persone, Padova, 1994, 54 ss. e bibliografia ivi
citata. Gli obblighi accessori in questione, di fatto, sono stati suddivisi in base alla
vicinanza alla prestazione in Nebenleistungpflichten, se funzionali al corretto
adempimento della prestazione e Nebenpflichten, se a presidio di beni come la salute e
l‟integrità dei beni delle parti, cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 39, 40.
(22) Gli obblighi di protezione, infatti, partecipano al raggiungimento dello scopo
dell‟obbligazione, anche se, al contempo, la rilevanza delle Schutzpflichten prescinde
dal fatto che la prestazione principale sia già stata o possa ancora essere correttamente
adempiuta. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 41, nota 74, 42.
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loro per il regolamento dei rispettivi interessi, infatti, amplifica la
possibilità che ciascuno di essi possa arrecare pregiudizio all'altro
rispetto all'ipotesi di soggetti privi di contatto qualificato e giustifica la
maggiore tutela.
In questo modo l'obbligazione non è più vista come un Giano
bifronte in cui si contrappongono prestazione e controprestazione, ma
come fattispecie articolata in una duplice fenomenologia parallela che
corre su un unico binario i cui due componenti strutturali sono in più
punti collegati dal nesso negoziale, con la conseguente natura
contrattuale della relativa responsabilità (23).
La teoria elaborata da Stoll ha per lungo tempo rappresentato la
disciplina degli obblighi di protezione in Germania ed è, infine, confluita
nel comma 2 del § 241 BGB, nel quale si attribuisce dignità positiva agli
obblighi in esame affermando che l‟obbligazione può, in considerazione
del suo stesso contenuto, comportare per ciascuna delle parti l‟obbligo di
rispettare i diritti e prestare attenzione ai beni ed agli interessi
giuridicamente rilevanti della controparte (24).
( 23 ) Il pensiero dottrinale in tema di Schutzpflichten poi, pur mantenendo
l‟impostazione originaria, è stato ulteriormente affinato e completato; in particolare, ma
di questo di tratterà più diffusamente oltre, alcuni autori hanno ravvisato un‟ulteriore
distinzione all‟interno degli obblighi accessori di protezione che è quella intercorrente
tra obblighi di protezione in senso lato, prettamente collegati alla prestazione principale
e volti a definirne in maniera più compiuta il contenuto e le modalità, e obblighi di
protezione in senso proprio che (sebbene non previsti dall‟accordo delle parti al pari dei
primi), hanno l‟obiettivo di tutelare la conservazione dell‟integrità fisica e patrimoniale
della controparte dai danni che possono derivare dall‟adempimento o dal mero contatto
negoziale. Cfr. K. LARENZ, Leherbuch des Schuldrechts, I, München, 1987, 10 ss.
( 24 ) § 241, comma 2, BGB: «Das Schuldverhältnis kann nach seinem Inhalt
jeden Teil zur Rücksicht auf die Rechte, Rechtsgüter und Interessen des anderen
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Prima di questo intervento normativo tuttavia, una conferma
dottrinale successiva all‟elaborazione di Stoll circa l‟esistenza e la dignità
autonoma del fenomeno protettivo è giunta in tempi a noi più vicini
ancora una volta dallo studio tedesco, sebbene con peculiarità degne di
rilievo e forse oggi meritevoli di una rinnovata considerazione.
Nei primi anni ‟80, infatti, un notevole saggio scritto da Canaris
(25) smentisce la natura precaria, ossia di mero artificio correttivo delle
lacune del sistema giuridico civile tedesco, attribuita da Stoll ai doveri di
protezione.
Canaris, per inciso, dissente sulla natura essenzialmente aquiliana
dei doveri di protezione, alla violazione dei quali all‟interno di un
rapporto obbligatorio Stoll fa conseguire una responsabilità conforme ai
principî contrattuali solo per la necessità di non aggravare la posizione
probatoria del soggetto leso in seno, comunque, ad un adempimento.
Canaris considera questa impostazione sostanzialmente errata e
rinviene la ragione del suo assunto nello stesso BGB ante-riforma, là
Teilsverpflichten». A seguito della riforma gli obblighi di protezione non solo hanno
ottenuto un riconoscimento positivo, ma hanno altresì guadagnato la promozione al
grado di obblighi primari (Primärpflichten), assieme agli obblighi di prestazione
(Leistungpflichten); gli obblighi di prestazione sono, a loro volta, distinti in obblighi
principali (Hauptleistungspflichten, come quello di pagare il prezzo pattuito in una
compravendita), e obblighi accessori alla prestazione (Nebenleistungspflichten, come
l‟obbligo di dare informazioni). In questo modo si è altresì ottenuto la consacrazione
legislativa della natura complessa dell‟obbligazione e della fonte legale degli obblighi
di protezione, i quali, conseguentemente, esistono al di là dell‟esistenza e della validità
dell‟interesse alla prestazione a cui si affiancano. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 63, nota
131, 64 ss.
(25) Si tratta di W. CANARIS, Schutzgesetze – Verkehrspflichten – Schutzpflichten
– Schutzpflichten in Festschrift für K. Larenz zum 80, München, 1983 la cui traduzione
italiana Norme di protezione, obblighi del traffico, doveri di protezione (a cura di A. Di
Majo e M. R. Marella), è pubblicata in RCDP 1983, 567 ss.
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dove al § 618, comma I, sotto la rubrica «Obbligo di adottare misure di
protezione», si legge che l‟avente diritto alla prestazione di servizi è in
linea di principio tenuto a proteggere colui il quale sia obbligato a
prestarli dai rischi che possono minacciare la vita e l‟integrità fisica ( 26).
A ciò si aggiunga che, per costante opinione, l‟azione basata sull‟art. 618
BGB è sempre stata di natura contrattuale proprio in considerazione del
collegamento della trasgressione del suddetto obbligo con il contratto
(27).
Fin qui ciò che dice l‟Autore, in altre parole, è che nessuna lacuna
affliggeva il BGB e che quelli che nella traduzione italiana sono definiti
doveri di protezione già esistevano nel diritto positivo tedesco, di cui
Canaris, peraltro, non invoca alcuna riforma nel senso di un‟espressa
previsione e disciplina del fenomeno.
Peraltro, la visione di Canaris si rivela più ampia ed interessante
di quella dei suoi predecessori nel momento in cui afferma che non è il
contratto a rafforzare in senso protettivo la tutela della controparte, bensì
il «“rapporto particolare” che con esso entra in scena e che è già
anteriormente sorto, e l’accresciuta possibilità di incidenza, da ciò
(26) § 618, comma I, BGB: Pflicht zu Schutzmaßnahmen «Der Dienstberechtigte
hat Räume, Vorrichtungen oder Gerätschaften, die er zur Verrichtung der Dienste zu
beschaffen hat, so einzurichten und zu unterhalten und Dienstleistungen, die unter
seiner Anordnung oder seiner Leitung vorzunehmen sind, so zu regeln, dass der
Verpflichtete gegen Gefahr für Leben und Gesundheit soweit geschützt ist, als die Natur
der Dienstleistung es gestattet».
(27) W. CANARIS, cit., 803.
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derivante, sui beni della controparte» ( 28 ). L‟argomento merita una
riflessione.
Canaris semplicemente giudica riduttiva la distinzione tra pretese
nascenti dalla legge e pretese nascenti dal contratto condotta sulla base
del mero dato formale del momento in cui il danno si verifica e ritiene
più sensato sovrapporre al contratto e alla legge un più ampio «“unitario
rapporto di protezione” (Schutzverhältnis, n.d.r.) avente titolo nella
legge […] comprensivo di doveri di protezione tanto prima che dopo la
conclusione del contratto» (29). Quello che l‟Autore configura è, quindi,
un‟obbligazione legale di protezione vicendevolmente gravante sulle
parti a reciproco favore - nonché a carico e a vantaggio del terzo - che
comprende tutti i doveri di protezione legati al contratto e non in
occasione del contratto, di talché anche la fase antecedente e quella
successiva a quest‟ultimo ne siano interessate. L‟ulteriore conseguenza è
che i doveri di protezione in tal modo configurati non hanno natura
accessoria e pertanto non vengono meno in caso di nullità o
annullamento del contratto, né in tutti quei casi in cui un contratto non
esiste ma è stato suscitato, comunque, un affidamento giuridicamente
rilevante (30).
(28) W. CANARIS, cit., 806.
(29) W. CANARIS, cit., 807, 822 ss.
( 30 ) Gli obblighi di protezione così delineati da Canaris hanno un‟autentica
autonomia strutturale rispetto all‟obbligazione principale.
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Per quanto concerne poi l‟aspetto della disciplina, allorquando si
tratti di «obblighi di conservazione e custodia a tutela della vita,
dell’integrità fisica e della proprietà», secondo Canarisla generica
responsabilità per affidamento si traduce più specificamente in una
«responsabilità per le garanzie ricevute» (Anvertrauenshaftung) che
integra il vincolo negoziale giustificando in tal modo la natura
contrattuale delle pretese conseguenti alla violazione dei doveri di
protezione (31).
Così riassunte le principali posizioni sviluppatesi in Germania in
materia di obblighi di protezione, può essere messa in evidenza
l‟esigenza di colmare una lacuna del sistema quale motore dello sviluppo
del concetto protettivo in sede obbligatoria, esigenza che, come si è visto,
è stata colmata in prima battuta grazie all‟apporto integrativo della buona
fede ed in un secondo momento mediante una espressa previsione
positiva.
Malgrado il contesto normativo non presentasse lo specifico
vuoto di disciplina segnalato nel BGB tedesco, un percorso analogo è
stato seguito dalla evoluzione teorica francese e da quella italiana,
entrambe comunque prive di una previsione appositamente dedicata agli
(31) W. CANARIS, cit., 826, 827. Le conclusioni di Canaris, peraltro, non sono
sconosciute a quella giurisprudenza tedesca che, anche prima della riforma, aveva
ravvisato nel contatto negoziale e quindi non necessariamente nel contratto il
fondamento degli obblighi di protezione. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 57, 58, 65; F. X.
PIERRONET, Responsabilité civile et passagers maritimes, Marseille, 2004, 159 ss.
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obblighi di protezione, sebbene ciascuna con peculiarità che meritano un
esame distinto.
3. L’approccio francese al fenomeno protettivo: les obligations de
sécurité.
Mentre in Germania la dottrina sviluppava le teorie delle
violazioni contrattuali positive prima e delle Schutzpflichten poi, in modo
del tutto indipendentein Francia la giurisprudenza in materia di contratto
di trasporto di passeggeri muoveva passi analoghi introducendo la
categoria delle obligations de sécurité(32).
Fondata sugli artt. 1147, 1382 e 1384 del code civil come
obbligazione di garantire la sicurezza della controparte, la vicenda
francese trae origine ufficialmente dal famoso arresto della Cassazione
francese secondo il quale il vettore è tenuto a condurre il passeggero sano
e salvo a destinazionedal momento in cui questi inizia la salita sul
veicolo al momento in cui ha termine la discesa dal medesimo con
conseguente natura contrattuale della relativa responsabilità (33).
(32) Trattasi di figura di matrice giurisprudenziale che non è mai stata oggetto di
un‟approfondita teorizzazione da parte della dottrina. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit.,
158, 165, 169.
(33) Cour de cass. 21 novembre 1911. L‟affermazione secondo la quale il vettore
assume, assieme all‟obbligazione di trasferimento, quella di salvaguardare l‟integrità
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21
A differenza della teorizzazione tedesca, che ha trovato
ispirazione nel dato legislativo mancante sull‟inesatto adempimento ed in
quello esistente della clausola di buona fede ed ha avuto da subito una
portata generalizzata a tutto il sistema delle obbligazioni, la teorizzazione
delle obligations de sécurité muove i propri primi passi nell‟ambito di
uno specifico contratto alla luce del principio dell‟autonomia della
volontà che conferisce alle parti il diritto di scegliere il contenuto del
vincolo; ciò ha comportato, in un primo momento, la ricerca esasperata
della giustificazione dell‟obbligazione di sicurezza all‟interno del
rapporto obbligatorio, in una visione puramente consensualistica. Solo in
progresso di tempola teorizzazione francese si è allineata con quella
tedesca,
conducendo
le
obligations
de
sécurité
nell‟alveo
dell‟integrazione legale – più o meno esplicita - del contratto,
abbandonando l‟area meramente volontaristica (34).
Ad ogni modo, è da sottolineare come l‟approccio francese al
fenomeno
sia
stato
da
subito
chiaro
ed
inequivocabile
sia
sostanzialmente, sia terminologicamente.
L‟obligation de sécurité in senso proprio è,infatti, sempre stata
intesa come obligation déterminée de sécurité, per via del fatto che i
fisica del passeggero deriva dalla rilevazione della disparità di trattamento esistente tra
il trasporto di merci e quello di persone sostanziantesi nel fatto che solo nel primo il
danno causato nel corso del trasporto era riconosciuto come contrattuale, poiché nel
secondo la responsabilità del vettore per infortuni o morte del passeggero aveva natura
delittuale. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 160 ss.
(34) Non c‟è, pertanto, altra origine se non quella dell‟affidamento del creditore,
senza alcun richiamo al contatto negoziale. Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 160, 165,
170.
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22
teorici francesi hanno dal principiomesso in rilievo la differenza tra il
semplice dover fare solamente ciò che impongono la diligenza e la
prudenza per evitare il sinistro al creditore della prestazione di
trasferimento da un lato e l‟impegno affinché ad esso non derivi alcun
incidente dall‟altro. Evidentemente, mentre la prima ipotesi si sostanzia
in una mera obbligazione generale di prudenza e diligenza, la
secondaconcreta una vera e propria obbligazione di condurre il
passeggero a destinazione sano e salvo come autonomo impegno
contrattuale determinato e di carattere autonomo, sebbene accessorio (35).
(35 ) È importante mettere in luce come su questo doppio binario la civilistica
d‟oltralpe abbia elaborato la distinzione tra obbligazioni di mezzi (obligation générale
de prudence et diligence) e di risultato (obligation déterminée o de résultat). In H. E L.
MAZEAUD – A. TUNC, Traité théorique et pratique de la responsabilité civile délictuelle
et contractuelle, Paris, 1957, 115 ss. Gli autori spiegano egregiamente come la suddetta
distinzione, secondo la dottrina francese, è la semplice traduzione tecnico-giuridica di
un approccio psicologico alla realtà dei contratti. Tutte le obbligazioni, in sintesi, si
sostanziano nell‟attività necessaria a realizzare l‟obiettivo negoziale; tuttavia, nella
mente dei contraenti la maggior parte di esse punta ad un risultato pratico ben preciso
(ad es. trasportare un bene da un luogo ad un altro), ed è quest‟ultimo a prevalere anche
nella dinamica contrattuale. Ecco perché la categoria delle obbligazioni di risultato, in
verità, è un mero artificio. Dall‟altro lato, le obbligazioni di mezzi pure sono rarissime e
si sostanziano in quelle in cui il debitore si impegna esclusivamente ad una condotta
diligente per pervenire ad un risultato determinato, rimanendo invece il risultato
all‟esterno del dialogo negoziale (è il caso del medico che si impegna a curare e non già
a guarire il proprio paziente). In sintesi, premesso che la certezza di ottenere quanto
programmato contrattualmente non si può mai avere, il criterio distintivo tra una vera
obbligazione di mezzi ed una di risultato (o di mezzi impropriamente detta), risiede
nell‟incertezza del risultato che, nelle obbligazioni di mezzi, è tale da non coinvolgere
il debitore in caso di mancato raggiungimento dello scopo perseguito. Per quanto
concerne, in particolare, il contratto di trasporto, un‟obbligazione di mezzi nel senso di
«un’obbligazione generale di prudenza e diligenza» è stata individuata dalla
giurisprudenza francese nei successivi sviluppi delle obligations de sécurité con
riferimento ai momenti che precedono e seguono il trasporto in cui il vettore è tenuto
comunque ad un‟obligation de sécurité, sebbene di minore portata. Cfr. Cfr. L. LAMBO,
Obblighi, cit., 162. L‟assunto è stato, tuttavia, smentito dalla stessa giurisprudenza di
legittimità con la sentenza Cass. fr. 7 marzo 1989, ove si precisa che, premesso il
principio tassativo del non cumulo tra responsabilità contrattuale e responsabilità
extracontrattuale (délictuelle), l‟attore non ha la possibilità di scegliere quale via seguire
per ottenere il ristoro dei danni subìti, di talché il criterio discretivo deve essere
esclusivamente quello dell‟esistenza o meno di un contratto: conseguentemente, prima
dell‟inizio della salita e dopo la fine della discesa sul e dal mezzo di trasporto, non
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23
Di conseguenza, pur essendo entrambi i casi riconducibili alla
dinamica della responsabilità contrattuale, solo la seconda merita un
rilievo autonomo, costituendo la prima una mera modalità di esecuzione
dell‟obbligazione principale (36).
Tutto ciò ha condotto ad una visione unilaterale dell‟istituto,
aspetto che avvicina la civilistica francese a quella parte della dottrina
tedesca che, affinando il pensiero di Stoll, addiviene alla medesima
distinzione tra obbligo di diligenza e obbligazione di protezione
(37 ).L‟obligation de sécurité, infatti, vincola il debitore unilateralmente
fino al limite della «cause étrangère», ossia della forza maggiore, con la
precisazione che il danno alla persona del passeggero integra ex se
l‟inadempimento dell‟obbligation de sécurité (38).
Sebbene nata nell‟ambito del contratto di trasporto, la teoria delle
obligations de sécurité ha, in progresso di tempo, trovato applicazione in
potendosi individuare alcun legame negoziale, la responsabilità deve necessariamente
essere extracontrattuale. La considerazione dell‟obligation de sécurité come obligation
de résultat vale ancora oggi, come emerge ad esempio da Cass. fr. 5 luglio 2012, in Rev.
fr. de dr. aér. 2012, 3, 331 ss.
(36) H. e L. MAZEAUD – A. TUNC,Traité, cit., 191.
(37) Cfr. supra, nota 23.
( 38 ) L‟obligation de sécurité, infatti, integrando un‟obbligazione di risultato
(obbligo di condurre il passeggero a destinazione sain et sauf) comporta che al creditore
spetti solo la prova dell‟inadempimento mentre sul debitore grava la dimostrazione
dell‟assenza di colpa. Cfr. H. E L. MAZEAUD – A. TUNC, Traité, cit., 93 ss., 116, 191 ss.
In materia di trasporto stradale, inoltre, la teorizzazione delle obligations de sécurité ha
superato il puro fine di semplificazione dell‟onere probatorio in capo al passeggero,
ammettendo che il vettore debba rispondere anche del fatto del terzo che ha causato
l‟incidente stradale e delle colpe leggere del viaggiatore infortunato, accollando al
vettore anche i rischi tipici ma non evitabili del trasporto. Cfr. G. VISINTINI,
Inadempimentoe mora del debitore, Milano, 1987, 294, la quale ravvisa in ciò «quasi
un’obbligazione di garanzia che ha comportato una maggiore oggettivizzazione del
caso fortuito».
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24
tutti quei contratti in cui essa si giustifica per dispensare la vittima dalla
prova
della
colpa
del
debitore
(
39
),
con
l‟avvertimento
cheall‟elaborazione francese si deve anche la consapevolezza del fatto
che sebbene una moltitudine di contratti possano comportare un
adempimento potenzialmente pregiudizievole per la persona o i beni
della controparte, è solo là dove tra la sicurezza dell‟altro contraente e
l‟esecuzione della prestazione principale vi sia un legame stretto e
necessario che può parlarsi di obbligazione di sicurezza in generale,
dovendosi invece ritenere che una mera occasionalità non sia sufficiente
per poter individuare una base contrattuale per la relativa responsabilità.
La posizione francese, in sintesi, sebbene non tradottasi a livello
nazionale in alcuna previsione espressa, ancora oggi è riconosciuta come
valida e costituisce il fondamento giuridico di tutti quei contegni
protettivi che gravano sul debitore ogniqualvolta la prestazione principale
da questi dovuta non abbia essa stessa ad oggetto la protezione (40), ma
ciò nonostante trovi il proprio ambiente esecutivo direttamente nella
persona o nei beni della persona del creditore.
Il motivo di un tale successo è probabilmente dovuto al rigido
divieto del cumulo tra azione contrattuale ed extracontrattuale impostosi
(39) Attualmente, infatti, l‟obligation de sécurité interessa molteplici ambiti, fra i
quali la vendita di prodotti, la prestazione di servizi, la professione medica e il rapporto
di lavoro. Il successo della categoria in esame, peraltro, è dovuto in larga parte al
principio del non-cumulo tra azione contrattuale ed extracontrattuale che, tuttora,
rigidamente vige in Francia. Cfr. L. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 158.
( 40 ) Come nel caso dei c.d. contratti di protezione, così definiti dalla
giurisprudenza. Cfr. Cass. 11 novembre 2008 n. 26972.
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25
in Francia a partire dalla seconda metà del XIX secolo, impostazione che
ha reso necessario il riconoscimento del fenomeno protettivo e
l‟individuazione di un suo preciso ambito nella prima o nella seconda
forma di responsabilità, anche se, ancora oggi e malgrado le ragioni della
nascita delle obligations de sécurité, la giurisprudenza oscilla tra la
qualificazione contrattuale o delittuale delle obligations de sécurité (41).
4. L’elaborazione italianain tema di obblighi di protezione.
In Italia sono stati numerosi gli autori che hanno manifestato
interesse per l‟argomento protettivo in sede obbligatoria contribuendo,
con il proprio apporto singolare, ad un vivace dibattito sugli obblighi di
protezione e sulla relativa disciplina (42).
Tra costoro, il primo a dare una dimensione contrattuale al
fenomeno affermando che «il debitore di un'obbligazione è tenuto a tutte
le obbligazioni accessorie che rappresentano il mezzo necessario per il
raggiungimento dello scopo economico dell'obbligazione principale» è
stato Asquini, in uno scritto in tema di trasporto di persone pubblicato
(41) Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 161.
(42) Si segnala, al contrario, la non incisività del ruolo della giurisprudenza che
ha solo in misura minima contribuito alla definizione del concetto di obblighi di
protezione, limitandosi, nella gran parte dei casi, ad un approccio strettamente casistico
riconoscendone o negandone di volta in volta l‟esistenza nella fattispecie concreta.
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ben prima dell'entrata in vigore del codice del '42 ( 43). La precisazione
non è casuale. La dottrina italiana, infatti, pur avendo intrapreso
l‟approfondimento del fenomeno protettivo, restò a lungo fedele
all'impostazione romanistica dell'obbligazione intesa come mero scambio
tra prestazione e controprestazionepersino dopo che il legislatore del '42
ebbe introdotto il dovere di correttezza (art. 1175 c.c.) ( 44 )e che la
Costituzione ebbe illuminato di portata solidaristica detto canone (art. 2
Cost.).
Asquini, in un momento in cui il contratto di trasporto di persone
ancora viveva nel silenzio della legge nazionale ( 45), nell'auspicarsi con
lungimiranza un intervento normativo cogente che introducesse «la
responsabilità obiettiva per gli infortuni arrecati ai viaggiatori e ai terzi
che ponesse a carico del vettore tutti i casi fortuiti inerenti all'industria
dei trasporti restando esclusi al massimo i casi di forza maggiore in
senso romanistico e quelli implicanti una colpa del viaggiatore» (46), nel
suo elaborato esamina con acuta precisione sia tutte le teorie elaborate
fino a quel momento, sia quelle astrattamente ipotizzabili per una
(43)A. ASQUINI, La responsabilità del vettore per infortunio del viaggiatore, in
Riv. dir. comm. 1919/I, 350 ss.
(44) Cfr. L. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 66 ss.
( 45 ) Il codice del 1865, infatti, non conteneva una disciplina del contratto di
trasporto, mentre il codice del commercio dedicava ad esso gli artt. 388 ss. nella sola
forma avente ad oggetto cose. Tuttavia, come si vedrà oltre nella trattazione, il primo
conosceva la figura dei vetturini, i quali si incaricavano del trasporto di persone o cose
per via terrestre o acquea.
(46) A. ASQUINI, cit., 356.
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27
definizione della responsabilità del vettore nel caso in cui un infortunio
fosse subìto da un passeggero, nell'intima ma consolidata consapevolezza
della peculiarità della fattispecie e pur tuttavia senza mai richiamare la
figura degli obblighi di protezione.
Essi, tuttavia, traspaiono in versione tendenzialmente stolliana nel
momento in cui Asquini afferma che il debitore è tenuto a tutte le
obbligazioni accessorie che siano il mezzo indispensabile perché l'opus
promesso abbia luogo (47), in tal modo sia distinguendo tra la prestazione
(l'opus) e la protezione, alla quale l'Autore attribuisce senza mezzi
termini un ruolo autonomo e accessorio in seno alla responsabilità
contrattuale ( 48 ), sia rendendo la protezione funzionale al corretto e
soddisfacente adempimento dell‟obbligazione principale dedotta in
contratto.
In poche parole,prendendo le mosse dalla disciplina della
locazione d'opera contenuta nel codice civile del 1865, figura nella quale
lo stesso codice ricomprendeva, peraltro, la figura dei c.d. vetturini, ossia
di coloro che «sì per terra come per acqua si incaricano del trasporto
delle persone o delle cose» (art. 1627, 2°, c. civ. abr.) (49),Asquini parte
(47) Il citato principio logico-formale era ben noto alla dottrina elaborata sotto il
codice previgente e prescindeva totalmente dalla buona fede, basandosi, invece, sui
criteri della necessità e della non contraddizione, come insegna U. MAJELLO, Custodia
e deposito, cit., 49 ss., il quale, si noti, critica l‟applicazione fattane da Asquni.
(48) Cfr. A. ASQUINI, cit., 360.
(49) Sul punto si veda G. RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, Milano, 1990,
1124.
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dalla premessa per cuiè principio generale delle obbligazioni quello
secondo il quale il debitore è tenuto a compiere tutte quelle attività che si
rivelano necessarie per il corretto adempimento dell‟obbligazione
principale etira le fila di un discorso che già il dato positivo introduceva,
affermando che il vettore deve fare tutto il possibile per condurre il
passeggero sano e salvo a destinazione.
L‟assunto, come si può notare,con l‟eccezione della reciprocità
degli obblighi asserita da Asquini, è molto vicino alle obligations de
sécurité francesi, ma viene comunque messo in discussione quando il
codice civile del 1942 riconosce che sia il debitore, sia il creditore hanno
il dovere di comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175
c.c.) ( 50 ). A partire da questo momento, infatti, la teorizzazione degli
obblighi di protezione assume maggiore spessore, ma è altresì
caratterizzata da una costante incertezza.
In questo contesto, la prima autorevole interpretazione delle
novità introdotte positivamente a livello nazionale ci deriva da Betti ( 51).
Con un‟iniziale condivisione teorica dei principî che hanno
condotto la dottrina tedesca a riconoscere dignità autonoma ma
accessoria agli obblighi di protezione, secondo l‟Autore il dovere di
(50) L‟art. 1175 c.c. positivizza nel nostro ordinamento il principio (accolto dalla
dottrina italiana già sotto la vigenza del codice del 1865 ed ereditato da quella tedesca),
della buona fede oggettiva intesa come «condotta leale e corretta che deve
caratterizzare le prestazioni di due soggetti posti formalmente sullo stesso piano». Cfr.
G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 273, 274 nota 2.
( 51 ) L‟opera di riferimento in materia èE. BETTI, Teoria generale delle
obbligazioni. Prolegomeni, Milano, 1953.
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comportarsi secondo correttezza è espressione della formale presa di
coscienza da parte del legislatore italiano dell'esistenza proprio di quegli
interessi “altri” rispetto a quelli inerenti alla sola prestazione principale
(52).La peculiarità di tali interessiè che essi impongono reciprocamente
alle parti in sede di adempimento di astenersi dal porre in essere
atteggiamenti che possano ledere l'integrità personale o patrimoniale
della controparte, analogamente a quanto prevede il principio
dell‟alterum non laedere allorquando dietro il danno non vi sia un
retroscena contrattuale.
Ciò che appare con evidenza (e in questo si coglie un
discostamento rispetto alle teoriche tedesche e francesi, ma anche da
quella dell‟Asquini), è il connotato essenzialmente negativo che Betti
attribuisce al dovere di correttezza ed al comportamento che ne
rappresenta la traduzione pratica, aspetto che fa quasi pensare ad una
forzatura
interpretativa
conseguente
all‟interessesuscitato
dall'introduzione del principio di correttezza e al sentito dovere di
distinguerlo da quello di buona fede, ben più consolidato nella dottrina. A
quest'ultimo, infatti, viene da Betti attribuito contenuto necessariamente
positivo, ossia di cooperazione attiva per la conservazione dello status
quo in un'ottica di complementarietà con il dovere di correttezza.
Non si può tacere, a questo proposito, che la Relazione al codice
civile in qualche modo forniva un supporto autorevole a questa
(52) Cfr. E. BETTI, Teoria generale, cit., 68, 76, 92.
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impostazione, affermando che: «la correttezza che impone l’art. 1175
c.c. […] non è soltanto un generico dovere di condotta morale; è un
dovere giuridico qualificato dall’osservanza dei principî di solidarietà
[…] questo dovere di solidarietà […] non è che il dovere di comportarsi
in modo da non ledere l’interesse altrui fuori dei limiti della legittima
tutela dell’interesse proprio, in maniera che […] ogni atto di esercizio
del diritto che, nell’esclusivo e incivile perseguimento dell’interesse
proprio, non urti contro l’interesse pubblico al coordinamento delle sfere
individuali» (53). È quindievidente che quanto sostenuto da Betti aveva le
sue buone ragioni di essere, posto che lo stesso legislatore prefigura
sostanzialmente in termini di astensione il contenuto della correttezza,
dopo averne definito i contorni alla luce del principio di solidarietà.
Dalla teoria di Betti pertanto, si ottiene che gli obblighi di
protezione sono il prodotto della sola correttezza e che quindi essi si
sostanziano esclusivamente in un impegno dal contenuto negativo di
astensione dall‟ingerenza nell‟altrui sfera giuridica ( 54). Tutto ciò che è
fattiva collaborazione è invece ricondotto dall‟Autore alla buona fede
contrattuale, dalla quale discendono obblighi integrativi del contenuto
obbligatorio. In definitiva, secondo Betti nell'ambito di un'obbligazione
occorre distinguere tra la buona fede, cheintegra il contenuto obbligatorio
ponendo a carico di entrambe le parti una serie di doveri ulteriori rispetto
(53) Relazione al Libro delle obbligazioni, Roma, 1941, 344,345.
(54) Cfr. E. BETTI, Teoria generale, cit., 68 e passim.
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a quelli scaturenti dalla volontà o dalla diversa fonte del vincolo nella
misura in cui ciò sia utile a tutelare il diritto della controparte (55), e la
correttezza, la quale invece impone semplicemente di astenersi da
condotte che, seppure giustificate dalla necessità di adempiere la
prestazione dovuta, possano portare ad esiti pregiudizievoli per l‟integrità
personale o patrimoniale di uno dei contraenti.
Entrambi i tipi di obbligo hanno, pertanto, portata bilaterale e la
conseguenza di questa impostazione rileva in caso di inosservanza degli
stessi. Pur essendo la violazione di entrambi i tipi di obblighi fonte di
responsabilità contrattuale, da un lato quelli derivanti dall‟interpretazione
del contratto secondo buona fede integrano il contenuto negoziale
assumendo un ruolo primario e distinto dall‟obbligazione principale, il
che li rendeautonomamente azionabili; dall‟altro lato, gli obblighi che
nascono dal dovere di correttezza sono consideratimeramente strumentali
rispetto alla nuda prestazione e pertanto il loro mancato rispetto può solo
tradursinell‟inadempimento dell‟obbligazione principale ai sensi dell'art.
1218 c.c. (56).
In sintesi, quasi sentitosi in dovere di creare un proprio spazio al
dovere di correttezza, Betti ha ritenuto corretto porredetto principio in
posizione di complementarietà nei confronti della buona fede attribuendo
al primo la parte negativa del fenomeno protettivo e lasciando quella
(55) E. BETTI, Teoria generale, cit., 94.
(56) E. BETTI, cit., 92 ss.
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positiva ad una buona fede intesa in senso “integrativo” del contenuto del
vincolo, qualsiasi sia la sua fonte (57). A questo primo aspetto di novità
deve aggiungersi la ricollocazione sistematica del fenomeno all'interno
dell'obbligazione: secondo l‟Autore, infatti, gli obblighi integrativi non
sono tutti uguali. Tra di essi, sulla base dell‟esigibilità in giudizio può
distinguersi tra obblighi integrativi primari e obblighi integrativi
strumentali, i primi con uno «scopo ausiliario a sé stante» e, quindi,
autonomamente esigibili, i secondi con il ruolo di assicurare
l‟adempimento della prestazione a cui sono connessi in modo
inscindibile in modo tale da essere impensabile per essi un azione in
giudizio autonoma. (58).
La teoria di Betti, peraltro, per quanto notevole non convinse tutti i
commentatori successivi, i quali dalla stessa presero spunto per ulteriori
diverse e altrettanto lodevoli elaborazioni teoriche in materia.
L'esistenza
successivamente
degli
obblighi
confermata
da
di
protezione,
Mengoni,
il
infatti,
quale,
è
stata
sulla
scia
dell‟elaborazione compiuta dall‟illustre predecessore, parla di obblighi
integrativi di protezione, sebbene con qualche distinguo, anzitutto
(57) Cfr. E. BETTI, cit. 96.Betti ha voluto in tal modo «differenziare nettamente
quel che è semplice conservazione dell'interesse della controparte, da quel che è
positivo adempimento dell'aspettativa di essa controparte riguardo al futuro», in questo
modo allontanandosi da quanto teorizzato da Asquini, il quale ricomprendeva
nell'ambito dei doveri protettivi «qualsiasi obbligazione accessoria», senza distinzione
sul contenuto commissivo od omissivo delle stesse.
(58) Cfr. E. BETTI, cit. 96 ss.
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terminologico, che enfatizza l‟origine del fenomeno protettivo e la
collocazione dello stesso nella dinamica negoziale.
Infatti, partendo, dalla sostanziale identificazione tra idue concetti
della buona fede e della correttezza, Mengoni preferisce parlare di
obblighi integrativi di correttezza, come l‟art. 1175 c.c. impone,
affermandoneanche egli la posizione accessoria e la natura autonoma,
senza tuttavia sostenerne l‟autonoma esigibilità (59).
Egli, inoltre, acutamente precisa la teoria di Betti, sottolineando
come la finalità negativa di siffatti obblighi che mirano alla
conservazione dello status quo, non comporti necessariamente un
contenuto negativo (60).
Il genio di Mengoni, infatti, supera la tanto affermata natura
essenzialmente extracontrattuale dei doveri protettivi, non già portandoli,
bensì rinvenendoli direttamente dentro il vincolo obbligatorio per il
tramite della buona fede (61). Per meglio dire, secondo l‟Autore la buona
fede integra da subito il contratto con un‟ulteriore obbligazione di
sicurezza di contenuto indifferentemente positivo o negativo, che è
l‟originario e unico fondamento dogmatico degli obblighi di protezione
(59) Pur avendo essi un contenuto autonomo, tale non è la loro natura. Cfr. L.
MENGONI, Obbligazioni, cit., 371, nota 17.
(60) L. MENGONI, Obbligazioni,cit., 368. Si noti che l‟Autore nega, rispetto alla
teoria di Betti, che possa essere attribuita natura di obblighi di protezione ai c.d.
«obblighi secondari non autonomi» o «obblighi integrativi strumentali», i quali, privi di
uno scopo autonomo, hanno la sola finalità di assicurare l‟adempimento della
prestazione principale di cui rappresentano la mera specificazione contenutistica e che
non sono, pertanto, autonomamente azionabili.
(61) L. MENGONI, Obbligazioni, cit., 369.
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(62) con ciò affermando anzitutto il parallelismo tra obbligazione primaria
e obbligazione di sicurezza (63), nonché la dipendenza strutturale della
seconda rispetto alla prima nel senso che il contenuto e la misura degli
obblighi di protezione sono dati dal rapporto specifico in cui sono inseriti
(64).
Mengoni, in sostanza, afferma che semplicemente il rapporto
obbligatorio si presenta come vicenda complessa all‟interno della quale
non può mancare anche una «collaterale obligation de sécurité» (65) che
si sostanzia nel preservare la persona e le cose della controparte dalla
possibilità che un danno possa derivare dallo svolgersi della particolare
relazione istituita in virtù del vincolo negoziale ( 66).
Malgrado la coincidenza semantica, l‟obligation de sécurité di
Mengoni si distanzia dall‟omonima figura elaborata dalla giurisprudenza
francese sul punto dell‟attribuibilità della stessa: la natura unilaterale
( 62 ) Cfr. L. MENGONI, Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. dir.
XXXIX/1998, 1072, 1098.
(63) Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni, cit., 370, nota 17 e 371.
(64) E non dal principio del neminem laedere. Cfr. L. MENGONI, Responsabilità,
cit., 98.
(65) L. MENGONI,Obbligazioni, cit., 372.
(66) Si tratta, come precisa l‟Autore, della risposta ad un interesse negativo di
protezione che si traduce, tuttavia, in un contegno di sostanza non esclusivamente
negativa.
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della figura d‟oltralpe, infatti, è sostituita, nella visione di Mengoni, da
una essenziale reciprocità (67).
A questo punto, un interessante posizione in tema di protezione è
fornita da chi afferma che i doveri protettivi si concretano in un interesse
semplice e non giuridico. Il principale esponente di detto pensiero è
Majello, il quale sostiene l‟inutilità della prospettata natura di
obbligazione del fenomeno protettivo ( 68 ). A detta dell‟Autore infatti,
può ipotizzarsi l‟esistenza dei soli generici doveri di protezione gravanti
su ogni componente della collettività a favore di chiunque, derivanti dal
principio del neminem laedere e, quindi, di natura essenzialmente
extracontrattuale, di talché non avrebbe alcun senso parlare di obblighi e ancor meno di obbligazioni - contrattuali di protezione. Ad avviso
dell‟Autore,pur non potendosiin linea di principio escludere che un
dovere di protezione acceda ad un rapporto obbligatorio, semplicemente
nel caso di danni derivanti dalla sua inosservanza è opportuno
riconoscere la possibilità di agire in via contrattuale. In altre parole, il
fatto che un rapporto obbligatorio renda necessario attivarsi in via
protettiva – sempreché non si tratti di un dovere preesistente alla nascita
(67) Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni, cit., 368.
(68) «Se, invero, anche il dovere di protezione fosse in correlazione con un diritto
soggettivo, esso non sarebbe più tale, ma si sostanzierebbe in un dovere di prestazione,
cioè in una obbligazione vera e propria. In tal caso la distinzione tra dovere di
protezione e dovere di prestazione non avrebbe più alcuna ragione di essere»,U.
MAJELLO, Custodia, cit., 67. Queste parole dell'Autore, in realtà, dimostrano la
necessità di evitare l'approssimazione terminologica. Infatti, basta distinguere tra
prestazione caratterizzante e prestazione di protezione per aver chiara la differenza tra le
due diverse prestazioni senza dover rinunciare a definirle tali solo per trovare in loro
una distinzione.
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dell‟obbligazione – lascia strutturalmente intatta la natura aquiliana del
dovere di protezione aprendo però la strada alla tutela contrattuale. La
conseguenza dell‟impianto elaborato da Majello è che essendo
invariabile la natura di dovere della protezione, ad essa si ricollega un
mero interesse semplice e non giuridico«che si trasforma in interesse
protetto solo quando la violazione del dovere sia stata la causa della
lesione di un diritto, alla cui tutela il dovere era diretto» (69).
Per queste ragioni Majello giungealla conclusioneper cui se è vero
che la responsabilità aquiliana deriva dalla violazione di doveri di
protezione, non è altrettanto vero che la violazione di un dovere di
protezione comporti necessariamente una responsabilità di tipo
contrattuale,
la
quale,
pertanto,
non
è
esclusiva
conseguenza
dell‟inadempimento di un‟obbligazione in senso tecnico (70).
In
questo
modo,
l‟Autore
appiattisce
la
distinzione
tra
responsabilità contrattuale e aquiliana, obliterando del tutto elementi
quali la specificità delle misure di protezione, la loro predeterminazione e
la loro correlazione ad un‟obbligazione a cui sono strettamente legate,
elementi che ne determinano una specificazione tale da essere
impensabile per un generico dovere di non ledere alcuno,sebbene egli
dimostri di conoscerela differenza tra quei doveri di protezione
(69) U. MAJELLO, cit., 60, 67.
(70) U. MAJELLO, cit., 60.
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preesistenti al contratto e ad esso non relati e quelli – rispettando la
terminologia dell‟Autore – che accedono al rapporto obbligatorio.
La difficoltà che Majello incontra nel mantenere il fenomeno
protettivo legato all‟esecuzione di un contratto nell‟alveo del semplice
dovere di protezione emerge chiaramente quando, proprio in tema di
trasporto di persone, afferma che «in queste e simili ipotesi ci troviamo di
fronte a casi di responsabilità contrattuale che non si ricollegano
all’inadempimento di un dovere di prestazione, bensì all’inadempimento
di un dovere di protezione, il cui contenuto è rappresentato dalla
diligenza del buon padre di famiglia e non da una determinata attività di
prestazione» (71). Dall‟assunto emergono alcuni punti critici. Il primo, di
natura evidentemente terminologica, è dovuto alla necessità di superare
l‟ostacolo derivante dal forzare la convivenza tra un‟obbligazione in
senso tecnico ed un dovere extracontrattuale convogliandoli verso un
unico regime di responsabilità: l‟Autore, infatti, riconduce quasi
apoditticamenteall‟inadempimento le lacune in entrambi i casi. Il
secondo, di natura sostanziale, riguarda invece il contenuto del dovere di
protezione che è individuato nella diligenza del buon padre di
famiglia.Oltre al fatto che è opinabile che la diligenza in seno ad un
contratto possa costituire derivazione del principio del neminem laedere
(71 ) U. MAJELLO, cit., 104 ss., 138, il quale, in sintesi, riconduce i doveri di
protezione all‟operatività dell‟art. 1176 c.c., ossia alla diligenza. Tuttavia, una simile
sovrapposizione deve ritenersi impossibile e non più predicabile sia in ossequio ad una
chiara distinzione legislativa tra buona fede e diligenza che, diversamente, diverrebbe
superflua, sia per la differente funzione svolta dalle due formule, come sottolinea G.
VISINTINI, Inadempimento, cit., 169 ss., 286.
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( 72 ), l‟Autore non fornisce adeguata spiegazione alla negazione della
possibilità che un contenuto protettivo possa assumere il rango di
prestazione.
Non a caso, l‟isolata teoria di Majello sul fenomeno protettivo si
pone in aperto contrasto con quella della dottrina a lui precedente,
contemporanea e successiva che, viceversa, differenzia prestazione e
protezione non tanto per il contenuto,quanto per la funzione ( 73 ).
Evidentemente, ciò che è sfuggito a questo Autore è che il fatto che
un‟obbligazione di sicurezza possa essere dedotta essa stessa come cuore
del programma negoziale ovvero sia legata inscindibilmente ad un‟altra
obbligazione in un contesto obbligatorio in cui solo la seconda
rappresenti la finalità economicamente rilevante, costituisce già di per sé
una notevole differenza strutturale che è quella che intercorre tra
un‟obbligazione autonoma principale ed un‟obbligazione, anch‟essa
autonoma ma, a seconda delle tesi, accessoria, strumentale o collaterale.
(72) La diligenza è, per costante opinione, metro valutativo del comportamento
del debitore in sede di adempimento e della sua conformità al programma negoziale.
Cfr. S. RODOTÀ, Diligenza (dir. civ.), in Enc. dir. XII/1964, 542. Esso svolge, pertanto,
la funzione di mero criterio di responsabilità del solo debitore e non è in grado di
aggiungere alcunché in termini di contenuti obbligatori, limitandosi a specificare la
prestazione dovuta, come osserva L. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 126..
(73) Si vedano in tal senso le opere di Betti e Mengoni. La tesi di Majello è stata
in qualche modo rivista e rilanciata circa un ventennio dopo da chi nega in generale la
natura autonoma e la posizione accessoria o strumentale della protezione, relegandola al
ruolo di mero fenomeno integrativo del rapporto negoziale (con l‟eccezione del
contratto di trasporto di persone o di cose, in cui la protezione è strumentale
all‟interesse specificamente dedotto). Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di protezione, cit.,
passim; per la protezione nello specifico contratto di trasporto si veda ID, 104.
Ciccarello, tuttavia, non riconduce alla diligenza l‟esistenza del dovere di protezione ma
ad un intervento – integrativo, per l‟appunto – autoritativo legale relativo ad un
interesse fondamentale esterno al rapporto. La tesi rimane, comunque, isolata.
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L‟autonoma configurabilità degli obblighi di protezioneè in buona
misura smentita anche da Natoli, il quale invece afferma che essi
sarebbero mere specificazioni dell‟obbligazione principale (74).
L‟Autore recupera il carattere unilaterale dei doveri di protezione
(o di sicurezza),i qualinascono dal «contatto sociale» derivante dal
rapporto obbligatorio alla luce del principio di correttezza sancito
dall‟art. 1175 c.c., per cui essi gravano solo sul debitore come mere
specificazioni di un unico adempimento, o meglio, dell‟adempimento
dell‟obbligazione dedotta in contratto, ma non riconosce ad essiuna
posizione né accessoria né, tantomeno, autonoma.
Esclusa, pertanto, la portata integrativa della buona fede o della
correttezza e la conseguente costituzione di un‟obbligazione di
protezione, il fenomeno protettivo si sostanzia, secondo la teoria in
esame, esclusivamente nella regola di correttezza intesa come
semplicenorma
di condotta che
impone alle parti un modus
comportamentale facente sì che esse tengano un contegno tale «da non
ledere l’interesse dell’altro fuori dei limiti della legittima tutela
dell’interesse proprio» (75).
Natoli, quindi, supera la distinzione tra il ruolo della buona fede e
quello della correttezza, riaccorpandoli in un unico metro valutativo del
(74) L‟opera di riferimento è U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio.
Il comportamento del creditore, e Il comportamento del debitore, entrambi in Trattato
di diritto civile e commerciale (a cura di S. Cicu-F. Messineo), IV, Milano, 1984.
(75) U. NATOLI,Il comportamento del creditore, cit., 29.
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comportamento del debitore destinato ad operare in sede di adempimento
e, come tale, validocriterio di considerazione dello stesso da parte del
giudice in un‟eventuale fase patologica del rapporto obbligatorio.
A ben vedere, tuttavia, gli obblighi di protezione da correttezza in
tal modo descritti da Natoli non sembrano differire più di tanto dalla
diligenza ex art. 1176 c.c. che lo stesso Autore descrive come «attività
strumentale a quella esplicitamente prevista» (76), soprattutto nel punto
egli in cui nega la natura accessoria dei primi ( 77 ) e afferma che «la
violazione dei doveri generici di lealtà e correttezza previsti dagli artt.
1175 e 1375 dà luogo a responsabilità per danni soltanto quando
concreti la violazione di un diritto altrui, già riconosciuto in base ad
altre norme» (78).
(76) U. NATOLI, Il comportamento del debitore, cit. 82.
(77) La natura accessoria viene negata sulla scorta della possibilità per il creditore
di rifiutare la prestazione o agire per la risoluzione per inadempimento in caso di
inosservanza dell‟obbligo protettivo, argomento svolto con riferimento all‟art. 2087 c.c.
(78 ) U. NATOLI, Il comportamento del creditore, cit., 23, 29. Secondo Natoli,
infatti, «la prestazione comprende tutte le attività che, anche se non esplicitamente
dedotte in obligatione, appaiono indissolubilmente concatenate in funzione del risultato
in relazione al quale si specifica l’oggetto del rapporto» imponendo unilateralmente al
debitore il compimento di tutte quelle attività necessarie «per dare l’opera compiuta» e
accogliendo così una visione unitaria ed omnicomprensiva dell‟adempimento. Tuttavia,
egli tenta di dare rilievo agli obblighi di protezione facendoli confluire nella correttezza
e buona fede ma attribuendo a queste un ruolo di specificazione non diverso da quello
derivante dalla diligenza. Sembra quasi che l‟Autore voglia convincere il lettore che,
malgrado la comunanza di ruoli, diligenza e correttezza – e buona fede – differiscano
per il contenuto, ma se si legge attentamente la sua opera si scopre che il contenuto è il
medesimo: adempimento dell‟obbligazione la prima e adempimento dell‟obbligazione
la seconda. L‟affermazione non è del tutto errata ma pecca laddove anche gli obblighi di
protezione vengono ricondotti indistintamente alla buona fede e correttezza, sia che
siano strumentali (che l‟Autore, incautamente descrive “accessori alla prestazione”, con
ulteriore confusione concettuale), sia che siano accessori (accessorietà che poi, si
ribadisce, l‟Autore nega poco dopo nella stessa trattazione). Cfr. U. NATOLI, Il
comportamento del creditore, cit., 17 e 18.
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La breve analisi fin qui svolta consente di cogliere come
l‟elaborazione italiana si contraddistingua per la riposta variegata che la
dottrina delle origini degli obblighi di protezione ha fornito (e quella più
prossima ai giorni nostri continua a riservare), all‟argomento. A
differenza di quanto accaduto in Francia e Germania, infatti, i principî di
buona fede, correttezza e diligenza si sono contesi il campo nell‟ambito
di teorizzazioni più o meno complesse e mai affermatesi in maniera tale
da ergersi al rango di visione dominante e non è da escludere che il
motivo di ciò vada ricercato nel mancato intervento chiarificatore della
giurisprudenza che, invece, fuori dall‟Italia è stato capace di dettare la
via da seguire. Il dato normativo italiano, infatti, al pari di quello tedesco
ante-riforma
e
francese
non
dispone
espressamente
a
favore
dell‟esistenza degli obblighi di protezione, sebbene possano in esso
essere rinvenuti alcuni aspetti fortemente indizianti nel senso della loro
autonomia.
5. L’impostazione originaria del codice civile e del codice della
navigazione italiani.
Come si è detto in precedenza, il codice civile del 1942 introduce
per la prima volta nell‟ordinamento italiano il canone della correttezza,
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immettendo così nel sistema un nuovo stimolo alla teorizzazione degli
obblighi di protezione che, per l‟appunto, in ciò ha trovato grande
motivazione. Tuttavia, questo non è il solo elemento rilevante in materia.
È di assoluto rilievo, infatti, la circostanza secondo la qualecon l‟entrata
in vigore del codice civile e del coevo codice della navigazione si assiste
alla delineazione di un contratto che solo in quel momento assume, nella
variante del trasporto di persone, un'utilità giuridicamente autonoma (79),
e nel quale il concetto di protezione è pregnante.
I due testi normativi, in particolare, risolvono implicitamente le
dispute sulla natura della responsabilità del vettore per i danni cagionati
alla persona del passeggero, con un‟impostazione a favore non solo di
un‟aprioristica contrattualità della relativa responsabilità, ma altresì
dell‟esistenza di un‟autonoma obbligazione di protezione che incombe
sul vettore (80).
A favore di questa tesi vi è, anzitutto, il dato letterale. L‟art. 1681
c.c. infatti (81), detta un sistema di risposta all‟eventuale sinistro occorso
(79) Con riferimento al trasporto marittimo di persone si esprime in tal senso A.
ZAMPONE, Il rischio dell'impossibilità della prestazione nel contratto di passaggio,
Napoli, 2008, 6. Cfr. anche G. ROMANELLI, I contratti di utilizzazione della nave e
dell’aeromobile, in Il cinquantenario del codice della navigazione (a cura di L. Tullio –
M. Deiana), Cagliari, 1993, 223, 224.
(80) V. A. ZAMPONE,Il rischio, cit., 11 ss.
(81) Art. 1681 c.c.: «Salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento
nell’esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la
personadel viaggiatore durante il viaggio e della perdita o avaria delle cose che il
viaggiatore porta con sé, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare
il danno. Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri
che colpiscono il viaggiatore. Le norme di questo articolo si osservano anche nei
contratti di trasporto gratuito».
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al passeggero durante il trasporto che, invertendo l‟ordinario onere
probatorio, avvicina al segno contrattuale la relativa responsabilità (82). Il
codice della navigazione, dal canto suo, con norma inderogabile e
distinta rispetto a quella che regola la responsabilità del vettore per
ritardo ed inadempimento (83), stabilisce anch‟esso a carico del vettore
una presunzione di responsabilità per le lesioni riportate dal passeggero,
prevedendo la possibilità di esonerarsi con la dimostrazione della non
imputabilità della causa dell‟evento lesivo o dell‟adempimento diligente
(84).
La scelta non è aprioristica ma opportunistica.
(82 ) A tal proposito piace a chi scrive riportare le parole di Majello, il quale
osserva che «ogni soluzione legislativa se talvolta, risolvendo un problema specifico,
rappresenta in un certo senso un progresso tecnico, quasi mai invece favorisce un
progresso rispetto al pensiero giuridico preesistente, anzi spesso, come nel nostro caso,
costituisce una remora per un suo ulteriore sviluppo».U. MAJELLO, Custodia, cit., 124,
nota 42.
(83) Art. 409 c. nav.: «Il vettore è responsabile per i sinistri che colpiscono la
persona del passeggero, dipendenti da fatti verificatisi dall’inizio dell’imbarco sino al
compimento dello sbarco, se non prova che l’evento è derivato da causa a lui non
imputabile». L’inderogabilità è sancita dall’art. 415 c. nav. L’art. 942 c. nav., in
ambito di trasporto aereo di persone, prevedeva che «Il vettore risponde […] per i
sinistri che colpiscono la persona del passeggero, dall’inizio delle operazioni di
imbarco al compimento di quelle di sbarco, a meno che provi che egli e i suoi
dipendenti e preposti hanno preso tutte le misure necessarie e possibili, secondo la
normale diligenza, per evitare il danno», sebbene con disposizione unitariamente
riferita anche all‟inadempimento e al ritardo. Si deve segnalare che, prima della riforma
della parte aeronautica, essendo questa parte del codice della navigazione stato redatto
traendo spunto dalla Convenzione di Varsavia del 1929, l‟art. 943 c. nav. comma primo
limitava il debito del vettore aereo per la responsabilità in caso di morte e lesioni del
passeggero (ma anche in caso di ritardo o inadempimento), a 5 milioni e 200 mila lire.
Sul punto si veda più approfonditamente infra § 8; sulla nozione di preposto si rinvia a
M. M. COMENALE PINTO, La nozione di «preposto» nel trasporto aereo, in Dir. trasp.
2001, 371 ss.; M. PIRAS, Gli ausiliari nel trasporto marittimo e aereo. Funzioni e
responsabilità, Cagliari, 2005.
(84) Sulla nascita del codice della navigazione è interessante leggere il saggio di
A. SERRA, Dal codice di commercio al codice della navigazione, in Il cinquantenario
del codice della navigazione (a cura di L. Tullio – M Diana), Cagliari, 1993, 5 ss.
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Il punto di partenza è che, come è noto, la responsabilità può essere
contrattuale o extracontrattuale: tertium non datur. Sebbene non sia
errato ammettere che la responsabilità possa avere origine diversa da
quella aquiliana e contrattuale, sostenere in base a ciò l‟esistenza di altri
tipi autonomamente configurabili di responsabilità avrebbe poco senso.
Premesso, infatti, che la stessa bipartizione tra contrattualità ed
extracontrattualità è inesatta giacché la prima non si limita a sanzionare
le conseguenze di un comportamento inadempiente in ambito
contrattuale, ma svolge i suoi effetti in qualsiasi ambito obbligatorio, che
provenga o meno da un contratto (85), ammettere che in relazione alla
differente origine della responsabilità si configuri un diverso regime non
permetterebbe comunque di superare la classica bipartizione per il
motivo molto semplice che i sistemi alternativamente previsti dal nostro
ordinamento giuridico per il risarcimento del danno sono solo due.
Superando l‟impasse terminologica, quindi, la responsabilità intesa
come risposta ad un comportamento causativo di un danno all‟altrui sfera
giuridica può avere uno sfondo duplice: l‟esistenza o l‟assenza di un
vincolo obbligatorio. In questo ambito si può davvero affermare che
tertium non datur.
(85) Ne deriva che, potendo essere molteplici le fonti di un‟obbligazione ai sensi
dell‟art. 1173 c.c., si versa in ipotesi di responsabilità anche quando il danno sia legato
ad un adempimento mancato, inesatto o ad un ritardo nell‟adempimento di un vincolo
nascente da un illecito o da qualsiasi altro atto o fatto ritenuto idoneo dall‟ordinamento a
produrre obbligazioni; del resto, lo stesso legislatore non aggettiva come contrattuale il
tipo di responsabilità in questione, limitandosi, invece, a riferirsi alla responsabilità del
debitore (art. 1218 c.c.). Cfr. V. CHINÉ – A. ZOPPINI, Manuale di diritto civile (diretto
da G. Alpa – R. Garofoli), Roma, 2009, 2087 ss.
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Ciò detto, altra fondamentale premessa è quella secondo la quale la
condotta protettiva in senso tecnico è dovuta verso un destinatario
determinato in ragionedell‟esistenza di un programma di comportamento
derivante dal rapporto giuridicamente rilevante intercorrente tra due
soggetti; è questa la base di un vincolo sostanziantesi nell‟affidamento
che il soggetto che subisce la limitazione di autoprotezione (86)sviluppa
verso l‟altro (87).
Facendo ad ogni modo salva la possibilità per il vettore di
dimostrare che l‟evento non deriva da causa a lui non imputabile ovvero
che esso abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, l‟impostazione
che è stata data è dunque quella di una responsabilità vigente in
consistenza di un preesistente vincolo.
È pur vero che nel titolo dedicato ai fatti illeciti il nostro codice
civile elenca una serie di ipotesi di responsabilità che, pur non derivando
da inadempimento, beneficiano di un regime probatorio a favore del
danneggiato simile a quello previsto a carico del debitore e che quindi il
particolare onere liberatorio previsto per il vettore non sia, di per sé,
indicativo della natura contrattuale della sua responsabilità.
(86) Cfr. § 1.
(87) Cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit. 94; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in
generale: art. 1173-1176, Bologna, 1988, 225 ss.; C. ROSSELLO, Responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale, cit., 298 ss.; L. BARASSI, La teoria generale delle
obbligazioni, Milano, II, 1964, 423; E. BETTI, Teoria generale, cit., 108 ss.; L.
MENGONI, Responsabilità contrattuale, cit., 1072;
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Orbene, se non è esatto parlare di responsabilità contrattuale, allo
stesso modo non lo è riferirsi ad una responsabilità extracontrattuale in
necessaria contrapposizione ad essa ( 88 ). Anche qui, infatti, il codice
civile usa una terminologia diversa da quella invalsa in dottrina e
giurisprudenza, parlando di responsabilità per fatto illecito. Alla luce di
questa premessa, le fattispecie di cui agli artt. 2047 c.c. e ss.,
comunemente considerate come speciali ipotesi di responsabilità
aquiliana, non lo sono necessariamente.
Si è detto che le più recenti elaborazioni dottrinali e
giurisprudenziali hanno messo in luce che, giusta la bipartizione tra i due
rami della responsabilità, in quello da inadempimento rientrano tutti i
danni cagionati dalla mancata osservanza di un vincolo; può quindi
ipotizzarsi che questo vincolo non nasca necessariamente da un accordo
o da un previo contatto, ma possa trovare la sua origine anche in altri
presupposti, come ad esempio nella prevedibilità del danno da parte del
soggetto tenuto a prevenirlo. In altre parole, si può sostenere che la
prevedibilità del danno è idonea ad ingenerare in coloro che vi sono
esposti il convincimento che il soggetto che si trova in un rapporto
qualificato con la cosa o la situazione pericolosa tale da avere il potere di
controllarla si avvalga di questo potere e li protegga. Sebbene non si tratti
di un autentico affidamento, posto che il vincolo non è comunque
(88) Di un rapporto di giustapposizione in luogo della comune contrapposizione,
vista la sempre più labile linea di confine tra i presupposti delle due forme di
responsabilità parlano G. CHINÈ – A. ZOPPINI, Manuale, cit., 2087.
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rafforzato dall‟accordo o, quantomeno, dal contratto, si capisce il perché
di un regime di responsabilità molto più vicino a quello del debitore,
poiché si tratta di ipotesi in cui in qualche modo è dovuta una protezione
determinata dalla natura della cosa o dell‟attività svolta, sebbene nei
confronti di qualsiasi membro della collettività. In questa chiave si
spiegano le fattispecie di cui agli artt. 2047 c.c. e ss. che, pur se collocate
nel titolo dedicato agli atti illeciti, prevedono forme di responsabilità più
gravose di quella tipica aquiliana (ed, in taluni casi, anche di quella
contrattuale), in capo a chi ha il potere di sorveglianza su qualcuno
(incapaci, figli minori non emancipati o persone soggette a tutela, allievi
e apprendisti, domestici e preposti), ovvero a chi esercita un‟attività
pericolosa o ha animali in custodia o è proprietario di un immobile in
rovina o circola con autoveicoli ( 89).
Così argomentando, si può arrivare a sostenere che il fatto illecito
di cui parla il legislatore sia semplicemente un fatto causativo di un
danno originato da un contesto che è non negoziale (per cui sarebbe
inadeguato parlare di responsabilità del debitore in senso tecnico), ma
(89 ) Il fattore ravvicinante le fattispecie di cui agli artt. 2047 ss. a quella da
inadempimento, sebbene in un‟ottica extracontrattuale degli obblighi di protezione, è
considerato anche da A. ANTONINI, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: il
diritto dei trasporti banco di prova di una adeguata evoluzione del regime di concorso,
in Resp. civ. e prev. 2010, 2, 253, 261. In particolare, l‟Autore muove dal generalizzato
ripensamento dei tradizionali confini tra azione contrattuale ed extracontrattuale per
approdare al favore verso una parificazione delle discipline così come emersa dal diritto
dei trasporti di rilevanza internazionale nel suo sviluppo moderno e contemporaneo. Le
fattispecie di cui agli artt. 2050 ss. c.c. hanno suscitato una riflessione in merito alla
natura del fenomeno protettivo anche in Benatti, il quale, tuttavia, trae dalla loro
esistenza argomento contrario alla vocazione contrattuale della relativa responsabilità.
Cfr. F. BENATTI, Osservazioni in materia di «doveri di protezione», Riv. trim. dir. e
proc. civ. 1960/II, 1342, 1359.
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non è necessariamente libero da un legame tra il danneggiante ed il
danneggiato. Anzi, in quest‟ottica il titolo IX del libro IV sembra
compiere una graduazione degli illeciti, partendo da quello che si verifica
in mancanza di qualsivoglia legame (art. 2043 c.c.), per arrivare a quelli
in cui un legame esiste nel senso della prevedibilità di cui si è appena
detto. In questo modo, anche la responsabilità del vettore per le lesioni
subìte dal passeggero, che presenta analogie con quella conseguente
all‟esercizio di attività pericolose nella versione civilistica, è di per sé
molto vicina a quella derivante da inadempimento ( 90).
A ciò devono aggiungersi alcune considerazioni di carattere più
prettamente pratico.
In primo luogo sarebbe stato giuridicamente antieconomico esigere
dal passeggero l‟individuazione dell‟agente responsabile. Infatti, in virtù
del contratto di trasporto il viaggiatore è tenuto a sottostare al
disciplinare imposto dal vettore ed a sostare negli spazi da questo messi a
disposizione ed è logica conseguenza di un siffatto potere di
regolamentazione e vigilanza la correlativa esposizione a rispondere dei
danni sofferti da colui che ne è assoggettato.
In secondo luogo, proprio perché il vettore ha il potere di
accogliere il passeggero dettandogli le regole per la sicura e corretta
fruizione degli spazi a lui messi a disposizione, è altrettanto conveniente
(90) Mentre nella versione contenuta nel codice della navigazione l‟onere della
prova è identico a quello del debitore di cui all‟art. 1218 c.c.
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ritenere che i sinistri che dovessero essere subìti dal secondo siano
riconducibili al primo nel momento in cui si dimostri una lesione
avvenuta nel contesto della dislocazione.
A ciò si aggiunga che lo stesso articolo 1681 c.c. è bipartito in
modo tale da rendere chiara la distinzione tra l‟impegno a trasferire il
passeggero e la necessità che quest‟ultimo sia protetto in modo tale da
giungere incolume a destinazione. L‟inciso secondo il quale «sono nulle
le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che
colpiscono il viaggiatore», mette infatti in evidenza l‟esistenza
dell‟obbligo di proteggere il passeggero e la rispettiva responsabilità in
caso di inadempimento (91).
Se questa è l‟impostazione normativa nazionale comune e speciale,
nel complesso tendenzialmente omogenea e riconducibile a principî
generali unitari, ben più complessa è la situazione che si è delineata a
partire dalla prima metà del „900 ad oggi nel contesto allargato della
comunità internazionale prima e di quella europea poi, ma di questo si
parlerà più avanti e non prima di aver illustrato almeno brevemente le
posizioni della dottrina italiana contemporanea.
(91) Cfr. C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione, cit., 145, 146.
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6. Le teorie più recenti sugli obblighi di protezione.
A parte qualche caso isolato, ancora oggi buona parte della
dottrina italiana crede nella buona fede integrativa dell‟autonomia
contrattuale capace di fondare una serie di obblighi accessori alla
prestazione principale a tutela dell‟interesse di protezione di ciascuna
parte, in particolare, di fondare obblighi di protezione dell‟integrità fisica
dell‟altro contraente (92).
In sintesi, l‟esistenza di uno spazio nel nostro ordinamento per gli
obblighi di protezione, così come la loro autonoma configurabilità, non
vengono più ignorati dai commentatori contemporanei.
Più precisamente, riconoscendo che lo scopo degli obblighi di
protezione è quello di fornire una tutela contrattuale ad interessi che non
sono stati oggetto di espressa pattuizione, la via per il loro ingresso
vincolante nella relazione tra le parti è stata spesso rinvenuta nell‟art.
1175 c.c., il quale èconseguentementevisto come l‟alter ego negoziale
dell‟art. 2043 c.c. (93).
Questa tesi postula con evidenza l‟indipendenza del vincolo di
protezione rispetto all‟obbligazione principale,ma appare come una
forzatura del sistema. In altre parole, l‟art. 1175 c.c. è considerato una
disposizione per mezzo della quale – in modo, peraltro, non esplicito –
(92) G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 286 ss.
(93) L. LAMBO, Obblighi, cit., 90.
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semplicemente si invertirebbe l‟onere della prova normalmente previsto
per l‟illecito extracontrattuale in virtù del fatto che quest‟ultimo sia, in
qualche modo, collegato ad un‟obbligazione.
Ebbene, una siffatta ricostruzione, non nuova oltretutto (94), non
solo svuota di contenuto l‟art. 1175 c.c., che invece fa espresso
riferimento alle parti e, quindi, al vincolo negoziale sottostante l‟obbligo
di protezione, ma ignora altresì la peculiare struttura del fenomeno
protettivo che, come meglio si vedrà oltre, pur vivendo autonomamente
rispetto all‟obbligazione nei confronti della quale ha persino un ambito
operativo più ampio, si collega necessariamente ad essa per la
determinazione dei suoi contenuti. In altre parole, la determinazione del
destinatario e del contenuto fanno sì che colui sul quale l‟obbligo
protettivo grava non sia tenuto ad un generico alterum non laedere(95).
Non manca neppure chi sostiene che sul debitore gravi
semplicemente un‟obbligazione dal contenuto prudente (96), ragione per
la quale già la prestazione principale racchiuderebbe in sé il contenuto
(94) Cfr. L. MENGONI, Obbligazioni, cit., 369. Anche S. CICCARELLO, Dovere,
cit., 251, con il suo richiamo ai tre iuris praecepta che si sostanziano negli standards
valutativi fornisce una visione molto vicina all‟identificazione fatta da Lambo.
(95) In questo senso si esprime C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile,
Milano, 2006, passim, il quale fa comunque discendere l‟obbligazione di protezione
dalla buona fede che è fonte di obblighi reciproci e non necessariamente corrispettivi;
più precisamente, essa fa insorgere un certo affidamento nei confronti del debitore
professionale dell‟obbligazione di prestazione, imponendo un obbligo comportamentale
che, pur sostanziandosi in un‟obbligazione, si distingue da quella di prestazione proprio
perché priva di contenuto prestazionale.
(96) Così C. BIANCA, Diritto civile. L’obbligazione, in Trattato di diritto civile e
commerciale (a cura di S. Cicu – F. Messineo), IV, Milano, 1990, 94.
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protettivo;in quest‟ottica, i tanto declamati obblighi di protezione altro
non sarebbero che mere specificazioni della stessa (97).
Sebbene suggestiva e non del tutto infondata, quest‟ultima teoria
ha tuttavia il difetto di consentire una tutela delle manchevolezze
protettive solo allorquando esse si riverberino in un inadempimento della
prestazione caratterizzante, risultato che è del tutto sconosciuto alla non
solo contemporanea disciplina nel trasporto. È quindi evidente come
questa impostazione non solo contrasti con la struttura positiva del
fenomeno protettivo, ma ignori del tutto l‟oramai consolidata
consapevolezza del carattere complesso dell‟obbligazione che sta alla
base della teorizzazione protettiva (98).
Quasi a coronamento di questo lungo ciclo di elucubrazioni
dottrinali, anche la Corte di Cassazione ha finalmente in tempi recenti
preso ufficialmente posizione in tema di buona fede e, nell‟occasione,
sebbene in maniera piuttosto defilata, anche sugli obblighi di protezione.
In
particolare,
essa
ha
dichiarato
di
accogliere
il
principio
integrazionistico della buona fede distinguendo tuttavia l‟integrazione
legale contrattuale ex art. 1175 c.c. da quella – anche essa legale, ma derivante da espresse previsioni normative ( 99 ); in tal guisa, si può
(97 ). È proprio sul terreno del trasporto di persone che questa tesi si sviluppa
sostenendo un‟integrazione causale tra il trasferimento e la sicurezza del passeggero.
Cfr. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 18 ss.
(98) Come giustamente fa notare L. LAMBO, Obblighi, cit. 114 ss..
(99) «Il richiamo alla legge contenuto nell’art. 1374 c.c. si estende anche alla
buona fede attraverso la previsione di cui all’art. 1375 c.c. (e all’altra norma di cui
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pensare che essa abbia altresì realizzato la scissione tra obblighi di
protezione derivanti dalla buona fede e ciò che ha, invece, i lineamenti di
un‟obbligazione di protezione.
In sintesi, emerge con sufficiente chiarezza dalla breve e sintetica
disamina fin qui compiuta il dato costante della ricerca di una fonte
idonea per l‟integrazione legale del contratto in senso protettivo, ma è
altrettanto incontestabile il fatto che detta integrazione è stata ed è quasi
esclusivamente ricondotta alla buona fede ed alla correttezza in un‟ottica
di esclusiva soddisfazione dell‟interesse all‟adempimento scevro da
implicazioni
pregiudizievoli,
manifestando
una
radicata
quanto
incomprensibile resistenza a parlare, là dove ve ne ricorressero i
presupposti, della protezione in termini di vera e propria obbligazione
(100).
all’art. 1175 c.c.), con la precisazione che l’interrelazione così stabilita tra le predette
norme non implica, però, che l’integrazione del contratto alla stregua della buona fede
sia assimilabile all’integrazione mediante puntuali previsioni normative, tenuto conto
che la natura di clausola generale della buona fede e il ruolo svolto dal giudice
implicano innegabilmente peculiari modalità di attuazione del precetto, danno luogo ad
un’”operazione integrativa giudiziale”, fondata sulla legge e comunque orientata da
criteri desumibili dal contesto normativo al quale la clausola inerisce», Cass. 10
settembre 2010, Buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale: il ruolo
del giudice nel governo del contratto,rel. n. 116. Nel documento in parola, tuttavia, la
Cassazione non menziona il meccanismo originario dell‟obbligazione di protezione di
cui all‟art. 1173 c.c.
( 100 ) Deve essere dato rilievo altresì ad un‟interessante recente studio sul
fondamento degli obblighi di protezione nello specifico ambito del trasporto di persone
condotto in un‟originale prospettiva storica da Tullio che ha il merito di giustificare fin
dalle origini la natura di obbligazione del fenomeno protettivo. Egli ritiene in sostanza
che il trasporto di persone originariamente si configurasse come una locazione di spazi
della nave ove il godimento di questi ultimi da parte del passeggero fosse funzionale al
trasferimento; in quest‟ottica, l‟obbligazione principale era costituita dalla locazione,
rimanendo invece il trasporto su un piano di accessorietà. Con il progressivo
capovolgimento di prospettiva delle obbligazioni romanistiche, il trasferimento è
assurto al ruolo di obbligazione principale, mentre è divenuta accessoria – ancorché
essenziale - la messa a disposizione di uno spazio idoneo a bordo del mezzo;
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7. L’obbligazione di protezione. Cenni e rinvio.
In questo contesto di per sé articolato, prima di spiegare le
motivazioni che portano ad affermare l‟esistenza di un‟autentica
obbligazione protettiva, bisogna fare i conti con una trilogia fenomenica
di non scarso rilievo: al bisogno di fare luce sugli obblighi di protezione
in generale, infatti, da un lato si aggiunge la necessità di un confronto
conil nuovo contenuto che la clausola di buona fede sta assumendo a
livello
europeo,
dall‟altro
si
impone
l‟analisi
della
disciplina
sovranazionale in materia di trasporto di persone che ha notevolmente
arricchito di contenuti ed ulteriormente reso complesso l‟istituto
protettivo.
Come premessa generale al problema può da subito essere detto
che si deve concordare con l‟affermazione secondo la quale parlare di
obblighi di protezione comporta – anche - uscire dal seminato della
buona fede. Più precisamente, la buona fede non ha, con riferimento alla
quest‟ultima obbligazione, integrata e rafforzata dalla buona fede, è divenuta lo
strumento dell‟obbligazione di protezione. La tesi, sostenuta da L. TULLIO, Contratto di
noleggio, in Trattato di diritto civile e commerciale (a cura di S. Cicu – F. Messineo),
Milano, 2006, 273 ss., è stata di recente riproposta in L. TULLIO, L’obbligazione di
protezione nel trasporto marittimo e aereo, in Dir. trasp. 2013, 349, 355 ss.
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materia in esame, l‟esclusiva eziologica ( 101) e sarebbe opportuno porre
fine alla confusione tra gli effetti della buona fede e della correttezza e
quelli di un‟obbligazione legale di protezione che deve essere, anche
essa, adempiuta nel rispetto degli artt. 1175 e 1375 c.c.
Le più recenti riflessioni in tema di buona fede, peraltro, hanno ben
chiaro il ruolo della stessa quale clausola generale atta a precisare,
nell‟ambito di una singola fattispecie negoziale, il contenuto dei
comportamenti dovuti da ciascuna delle parti individuandoli alla luce dei
valori fondamentali emergenti dalla Costituzione ( 102). Di conseguenza, il
ruolo di detta clausola all‟interno di una relazione giuridicamente
rilevante non è principalmente quello di far nascere ulteriori obbligazioni
in capo alle parti, quanto quello consentire la selezione degli interessi
meritevoli di tutela all‟interno del rapporto (103) e solo in seconda battuta
far insorgere su entrambe le parti i relativi obblighi comportamentali. Ciò
non è sufficiente, tuttavia, per poter parlare di vere e proprie obbligazioni
autonome, neppure se in veste accessoria, dovendosi esaminare
attentamente, di volta in volta, se davvero i contenuti comportamentali
(101) In dottrina si afferma, tuttavia, che anche l‟effetto legale della nascita della
prestazione di protezione è derivata dalla buona fede rappresentandone la
«consacrazione legale». Cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo di protezione, cit., 67.
( 102 ) Parla, pertanto, di limite alla discrezionalità inexecutivis, G. ROMANO,
Interessi del debitore e adempimento, Napoli, 1995, 94 ss.
(103) Cfr. G. RECINTO, Buona fede ed interessi dedotti nel rapporto obbligatorio
tra legalità costituzionale e comunitaria, in Rass. dir. civ. 2002, 271, 281.
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ulteriormente esigibili alla luce della buona fede ne abbiano i tratti
salienti. Ma non solo.
Se la prestazione è ben lontana dal coinvolgere necessariamente la
persona o i beni del creditore e quest‟ultimo rimane quindi capace di
autoproteggersi, è bene chiarire che in tal caso la protezione può
senz‟altro considerarsi un mero aspetto delle modalità esecutive
dell‟adempimento, giusta la tendenziale scarsa probabilità di lesione che
ne può derivare. In questo caso, pertanto, è giusto ritenere che la buona
fede impongaad entrambe le parti una semplice esecuzione in modalità
tale da non sacrificare un interesse della controparte per approdare ad un
vantaggio proprio che sia giuridicamente irrilevante o subordinato
rispetto a quello dell‟altro (104), soprattutto con riferimento alla necessità
di
superare
impreviste
difficoltà
collegate
all‟esecuzione
della
prestazione (105).
In tale prospettiva, la buona fede non ha tanto la funzione di creare
nuove regole o quella di attribuire poteri e facoltà nuovi rispetto a quanto
previsto dalle norme esistenti o dall‟accordo (106),come invece ritiene chi
pensa agli obblighi di protezione alla stregua del frutto dell‟opera
( 104 ) In questo senso, peraltro, la buona fede copre perfettamente l‟ambito
dell‟abuso del diritto, in linea con le teorizzazioni che ne sanciscono la sovrapponibilità,
con la precisazione che nel nostro ordinamento, che ha finora rigettato una
generalizzazione del principio, mentre la prima ha un ambito operativo negoziale, il
secondo si estende al settore della convivenza tra consociati con particolare riferimento
alla proprietà. Cfr. G. CATTANEO, Buona fede e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc.
civ. 1971, 613 ss.; S. PATTI, Abuso del diritto (voce), in Dig. disc. priv. I/1987, 6.
(105) Cfr. G. RECINTO, cit., 292.
(106) Cfr. G. RECINTO, cit., 292.
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integrativa della buona fede sul contratto, bensì una funzione di
adeguamento delle posizioni dei contraenti, per il caso in cui uno dei due
si trovi in posizione di debolezza economica o normativa, in modo tale
che le loro condizioni, per quanto inespresso dalla volontà, divengano
conformi a quello che avrebbero disposto se avessero provveduto da sé
(107 ). In questo senso, gli obblighi di protezione assumono il carattere
della bilateralità che deriva dal fatto di veicolare l‟operatività del precetto
del neminem laedere all‟interno del contenuto contrattuale (108).
Diversamente accade quando si parla di obbligazione di protezione.
La differenza tra efficacia della buona fede e della correttezza (anche in
senso produttivo di obblighi di protezione), ed obbligazione legale di
protezione emerge chiaramente dalle parole della Cassazione, la quale,
acquisendo una progressiva lucidità sul punto è arrivata ad affermare che
«Il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto,
espressione del dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della
Costituzione, impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di
agire in modo da preservare gli interessi dell’altra - senza che ciò
rappresenti un apprezzabile sacrificio - e costituisce un dovere giuridico
autonomo a carico delle parti contrattuali o di quanto espressamente
stabilito da norme di legge; ne consegue che la sua violazione costituisce
(107) Cfr. C. CASTRONOVO, Il contratto nei “Principi di diritto europeo”, in Eur.
dir. priv. 2001, 186.
(108) Cfr. G. RECINTO, cit., 297, 298.
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di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno
che ne sia derivato» (109).
Come sarà più compiutamente illustrato nel prossimo capitolo, è
nel concetto di apprezzabilità del sacrificio che deve essere individuato il
punto di rottura tra ciò che è un semplice obbligo integrativo della
condotta inerente alla prestazione principale e ciò che invece è pura
obbligazione di protezione (110). Nel momento in cui il sacrificio non è
più solo apprezzabile perché diviene qualcosa di più, ossia trasmoda in
sforzo non ordinariamente esigibile, proprio alla luce della buona fede e
correttezza, per via della sua ingente onerosità intesa in senso ampio,
allora si approda ad un ambito differente, che è quello dell‟impegno
specifico e ricercato, rischioso e vincolante, tipico dell‟obbligazione.
Per quanto peraltro concerne il contenuto della clausola di buona
fede, i Principî di diritto europeo dei contratti (PECL) ( 111 ), che
(109 ) Cfr. rel. 116 cit. e giurisprudenza ivi citata. Si veda, nello stesso senso,
Cass. 15 febbraio 2007 n. 3462, la quale chiaramente afferma che «L’obbligo di buona
fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un
generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed
extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti di vita e di relazione, un
comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché
volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio».
(110) Secondo G. M. UDA, Buona fede oggettiva ed economia contrattuale, in Riv.
dir. civ. 1990/II, 365, 372, «il criterio di “apprezzabilità“, di natura strettamente
economica e ricavabile dall’analisi del caso concreto, costituisce il momento di
“rottura“ tra la violazione dell’obbligo di buona fede ed il comportamento lecito»; ciò
evidenzia come oltre la buona fede ciò che può rendere illecito un comportamento è
solo la presenza di un‟obbligazione che lo renda vincolante al di là del limite
dell‟apprezzabile sacrificio.
(111) Si tratta dei ben noti Principles of European Contract Law elaborati dalla
Commissione sul diritto europeo dei contratti (cosiddetta commissione Lando dal nome
del presidente, Ole Lando, che ha operato dal 1982 al 2001), i quali introducono una
disciplina generale del contratto a fronte della quale le norme nazionali sui singoli
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contengono molteplici riferimenti ad essa ( 112 ), la restituiscono in una
veste leggermente modificata e maggiormente in linea con due criteri
che, sebbene anche essi riconducibili alla correttezza e, più in generale,
alla solidarietà, sono più specifici e ben più connessi alla logica
economica europea: si tratta dei principî della ragionevolezza e della
proporzionalità ( 113).
In questa prospettiva, se la buona fede deve essere lo strumento per
pervenire ad un regolamento di interessi ragionevole ed equilibrato, è
impossibile ricondurre gli obblighi di sicurezza e protezione alla mera
clausola generale di buona fede se ne si considera la portata con
riferimento al contratto di trasporto di persone.L‟impegno gravante sul
vettore, infatti, raggiunge livelli di protezione e sicurezza tali da aver
contratti dovrebbero continuare a vigere (art. 1:101). Cfr. S. MAZZAMUTO, Contratto di
diritto europeo, XXI Secolo (2009), sull‟enciclopedia on line Treccani all‟indirizzo
internet http://www.treccani.it/enciclopedia/contratto-di-diritto-europeo_(XXI_Secolo)/.
Per la versione italiana dei PECL si veda C. CASTRONOVO, Principî di diritto europeo
dei contratti, parte I e II, Milano, 2001.
( 112 ) Tra le sedici citazioni della buona fede (accostata quasi sempre alla
correttezza), si segnalano per il particolare rilievo in questa sede quelle di cui agli artt.
1:102, 1:201, 1:302, 4:109, 5:102, 6:102 e 8:109. Secondo Corte di giust. UE «In
Germany, Italy and the Netherlands, the concept is highly developed and based on
extensive case law, whereas in France the concept is rather limited. In the United
Kingdom, a general doctrine on the principle of good faith does not exist at all. In
addition, the European court of Justice (ECJ, 1 april 2004, case C-237/02 Freiburger
Kommunalbauten GmbH Baugesellschaft & Co. KG v. Ludger Hofstetter and Ulrike
Hofstetter (2004) ECR I-3403) is reluctant to clarify the concept, leaving the
interpretations to the national courts», come fa presente A.DE VRIES, The Aim for
Complete Uniformity in EU Private Law: an Obstacle to Further Harmonization, in
European revue of private law 2012, 4, 920, 921.
( 113 ) Come impongono i PECL all‟art. 1:302: «Ragionevolezza: (1) E’ da
ritenersi ragionevole ciò che chiunque in buona fede e nella stessa situazione delle
parti dovrebbe considerare ragionevole. Nella valutazione di ragionevolezza si dovrà
tenere conto, in particolare, della natura e dell’oggetto del contratto, delle circostanze
del caso e degli usi e pratiche dei traffici o delle professioni coinvolte».Così G.
RECINTO, cit., 292 ss.
VANNA CUCCU, Gli obblighi di protezione (profili in tema di contratto di trasporto)
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comportato persino la messa in discussione della stessa natura di
responsabilità delle conseguenze relative ai sinistri che colpiscono la
persona del passeggero, avvicinando l‟ipotesi della lesione del
passeggero ad un accadimento futuro ed incerto possibile causa di un
sacrificio per lo stesso vettore, alla stregua di un ipotesi di rischio ( 114).
8. La normativa internazionale e quella europea.
L‟esposizione della disciplina sovranazionale in materia di
trasporto aereo e marittimo di passeggeri oltre ad essere piuttosto
complessa, è in costante divenire, sia per le frequenti novità positive, sia
per i numerosi interventi giurisprudenziali, soprattutto statunitensi e
comunitari, che ne hanno ulteriormente precisato i contenuti. È quindi
impensabile nonché inadeguato scegliere questa sede per una descrizione
dettagliata di quanto il legislatore comunitario prima ed europeo poi,
nonché il consenso internazionale, hanno, in progresso di tempo, previsto
a tutela del passeggero. Sarà vieppiù sufficiente richiamare in prima
battuta lo schema di disciplina attualmente dettata dalle singole fonti, per
poi precisarne il contenuto in modo funzionale allo scopo perseguito dal
presente
lavoro,
ossia
la
definizione
del
fenomeno
protettivo
(114) L‟opera di riferimento in tema è quella di A. ZAMPONE, Il rischio, cit.
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nell‟obbligazione di trasporto di passeggeri. Peraltro, si noti che
attualmente vige un netto parallelismo tra la normativa uniforme ed
europea da un lato e quella interna dall‟altro in materia di trasporto aereo
di passeggeri, giusto il rinvio dinamico contenuto nell‟art. 941 c.nav. alle
fonti, appunto, internazionali ed europee.
Fatta queste necessarie precisazioni preliminarisostanziali e
metodologiche,
è bene
iniziare conil ricordare che
la prima
manifestazione di volontà protezionistica sovranazionale nei confronti
dei passeggeri si è concretata nel settore del trasporto aereo con la
Convenzione di Varsavia del 1929 (CV) (115), nella quale si optava per
una responsabilità vettoriale modellata sul regime contrattuale fondato
sulla colpa presunta.Più di preciso, la CV prevedeva che il vettore aereo
avrebbe risposto del danno derivante da morte o lesioni del passeggero
salvo che esso avesse dimostrato l‟adozione, da parte sua odei suoi
(115) Convenzione per l‟unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo
internazionale aperta alla firma il 12 ottobre 1929 in occasione della omonima
conferenza intergovernativa. La Convenzione di Varsavia, resa esecutiva in Italia con l.
19 maggio 1932, n. 841, ha poi ispirato la redazione del codice della navigazione nella
parte relativa alla responsabilità del vettore per le lesioni subìte dal passeggero.
L‟ambito applicativo della CV era esteso ai trasporti internazionali aventi le
caratteristiche di cui all‟art. 1 CV. Le tappe normative che hanno preceduto l‟adozione
del codice della navigazione sono ripercorse in App. Genova 27 giugno 1970, in Dir.
mar. 1970, 559 ss. Sulla Convenzione di Varsavia sono innumerevoli i contributi che
potrebbero essere elencati, tra questi, in particolare si citano: G. ROMANELLI, Il
trasporto aereo di persone: nozione e disciplina, Padova, 1959; E. GIEMULLA – R.
SCHMID, Warsaw convention, The Hague, 1995; T. BALLARINO – S. BUSTI, Diritto
aeronautico e spaziale, Milano, 1988; G. SILINGARDI, Trasporto aereo (dir. nav.) in
Enc. dir. XLIV/1992, 1189 ss.
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dipendenti e preposti, di tutte le misure necessarie per evitare il danno
ovvero che fosse impossibile adottarle (116).
La prima impostazione internazionale era, pertanto, vicina a quella
francese delle obligations de sécurité, eccetto che per che l‟esimente, la
quale arrivava a superare la forza maggiore; autorevole dottrina ha infatti
ritenuto che la mancata menzione espressa della forza maggiore in chiave
di prova liberatoria fosse sintomatica della sua insufficienza a tal fine se
non accompagnata dall‟evidenza di aver adottato tutte le misure
necessarie per farvi fronte (117).
La particolare onerosità della prova contraria gravante sul vettore
era tuttavia alleggerita da un limite monetario che conteneva
l‟esposizione risarcitoria entro la somma di 125 mila franchi oro
Poincaré (118), superabile convenzionalmente o in caso di dolo o colpa
che, secondo il tribunale adito, fosse considerata equivalente al dolo.
(116) Art. 17 CV: «Le transporteur est responsable du dommage survenu en cas
de mort, de blessure ou de toute autre lésion corporelle subie par un voyageur lorsque
l’accident qui a causé le dommage s’est produit à bord de l’aéronef ou au cours de
toutes opérations d’embarquement et de débarquement».
(117) Così R. ROVELLI, Il trasporto di persone, Milano, 1970, 211.
(118) Cfr. T. BALLARINO, La imitazione del debito del vettore marittimo e aereo,
in Il cinquantenario del codice della navigazione (a cura di L. Tullio – M. Deiana),
Cagliari, 1993, 254 ss. Incidentalmente, può essere utile sottolineare come il limite
risarcitorio fosse stato, pertanto, stabilito mediante la cosiddetta tecnica delle clausole
oro che ancorava il valore monetario a quello dell‟oro. Nel caso in esame, la moneta
scelta era il franco oro Poincaré a 65,5 milligrammi di oro fino al titolo di 900
millesimi per unità (art. 22 CV). Il limite monetario originario, peraltro, esposto alle
svalutazioni auree verificatesi durante il secondo conflitto mondiale, fu portato con il
Protocollo siglato a L‟Aja il 28 settembre del 1955 a 250 mila franchi oro Poincaré (art.
22 CV emendata dal Protocollo). Anche il codice della navigazione, nella parte
aeronautica, prevedeva un limite al risarcimento per la morte e le lesioni del passeggero
(art. 943, primo comma, testo ante-riforma).
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Detta disciplina era poi blindata mediante la previsione della nullità
necessaria e parziale dei patti di esonero da responsabilità vettoriale o di
incremento della sua limitazione a sfavore del passeggero (119).
Due aspetti particolarmente interessanti della CV erano peraltro
rappresentati dalla parificazione sostanziale dell‟azione contrattuale a
quella extracontrattuale ai fini del risarcimento del danno eventualmente
subìto dal passeggero (120) e dall‟operatività della Convenzione stessache
era del tutto indifferente alla regolarità del biglietto di passaggio (121),
aspetti nei quali è facile leggere il riconoscimento di diritti fondamentali
ed irrinunciabili della persona esistenti, quindi, per via del trasferimento
e non del contratto di trasporto, ma comunque ad esso in qualche modo
collegati.
Quelli che erano i punti deboli della CV, ossia il limite debitorio
sempre più esiguo e una prova liberatoria incerta perché legata a un
contenuto normativo soggetto a variabilità al variare della legge
applicata, erano anche aspetti che minavano l‟utilità della stessa sia sotto
( 119 ) Art. 23 CV: «Toute clause tendant à exonérer le transporteur de sa
responsabilité ou à établir une limite inférieure à celle qui est fixée dans la présente
Convention est nulle et de nul effet, mais la nullité de cette clause n’entraîne pas la
nullité du contrat qui reste soumis aux dispositions de la présent Convention».
(120 ) Art. 24 CV: «Dans les cas prévus aux articles 18 et 19 toute action en
responsabilité, à quelque titre se soit, ne peut être exercéee que dans les conditions et
limites prévues par la présente Convention. Dans les cas prévus à l’article 17,
s’appliquent également les dispositions de l’alinea précédent, sans préjudice de la
détermination des personnes qui ont le droit d’agir et de leurs droits respectif».
(121) Non è previsto, infatti, che la mancata emissione o l‟irregolarità del biglietto
comportino per il passeggero il mancato riconoscimento dei diritti protettivi sanciti
dalla CV.
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l‟aspetto dell‟effettività della protezione del passeggero, sia sotto quello
dell‟uniformità della disciplina; da qui ebbe origine un lungo periodo di
tempo in cui la CV fu ripetutamente messa in discussione. Ne derivò una
serie di interventi normativi internazionali affiancati da misure correttive
private che cercarono di porre rimedio alle lacune della disciplina
convenzionale che, oltretutto, si scontrava con una sempre maggiore
consapevolezza del bisogno di sicurezza nel trasporto aereo conseguente
alla rapida espansione della domanda di quest‟ultimo ( 122).
(122) Le tappe di questa evoluzione possono essere così sinteticamente ripercorse:
nel 1955 il Protocollo dell‟Aja emendò la CV, dando in tal modo vita al sistema di
Varsavia-L‟Aja, il quale innalzò il limite debitorio a 250 mila franchi oro Poincaré (art.
22), e sottrasse al giudice nazionale il potere di individuazione dell‟elemento soggettivo
utile per superare la stesa limitazione mediante l‟adozione di una formula descrittiva
secondo la quale «Les limites de responsabilité prévus à l’art. 22 ne s’appliquent pas
s’il est prouvé que le dommage résulte d’un acte ou d’une omission di transporteur ou
de ses préposés fait, soit avec l’intention de provoquer un dommage, soit témérairement
et avec concience qu’un dommageen résultera probablement, puor autant que, dans le
cas d’un acte ou d’une omission de préposés, la preuve soit égalment apportée que
ceux-ci ont agi dans l’exercice de leurs functions» (art. 25). Sulla condotta temeraria e
consapevole si vedano: U.S. C.A., 11th Circ., 15 giugno 1999 Doris Cristina Piamba
Cortes v. America Airlines Inc., con nota di A. ZAMPONE, Sulla nozione di wilful
misconduct nella giurisprudenza statunitense alla luce dell’entrata in vigore del
Protocollo di Montreal n. 4, in Dir. trasp. 2001, 203, 215; ID., La condotta temeraria e
consapevole nel diritto uniforme dei trasporti: gli elementi caratterizzanti, in Studi in
onore di G. Romanelli, Milano, 1997; S. BOTTACCHI, Condotta temeraria e consapevole
e decadenza del vettore aereo dal beneficio della limitazione del debito, nota a Cass. 19
aprile 2001 n. 8328, in Dir. mar. 2002, 1288 ss.. Alla condotta temeraria e consapevole
si aggiunse, quale causa di decadenza dal beneficio della limitazione del debito, la
mancata menzione dei diritti del passeggero sul biglietto o l‟omissione del biglietto (art.
3). Lo scarso successo del Protocollo dell‟Aja, che non fu sottoscritto dagli Stati Uniti,
Paese in cui si concentrava il maggior volume di trasferimenti aerei su base mondiale e
la denuncia della CV da parte degli stessi, mobilitarono la comunità internazionale per
un rapido sviluppo evolutivo della normativa uniforme, portando all‟elaborazione prima
della Convenzione di Guadalajara del 1961, con la quale si integrava il sistema di
Varsavia-L‟Aja mediante l‟equiparazione del vettore di fatto a quello contrattuale e la
conseguente responsabilità solidale dei due nei confronti del passeggero, poi con il
Protocollo di Guatemala City del 1971, il quale aumentava ulteriormente la limitazione
debitoria a 1 milione e 500 mila franchi oro Poincaré ed escludeva qualsiasi possibilità
di esonero che non fosse la contributory negligence del passeggero (già nota, peraltro,
ai precedenti normativi), ed ebbe scarsissimo successo non tanto per il carattere
oggettivo della responsabilità, quanto per il costante apprezzamento dell‟oro. In sintesi,
dopo il 1971 il quadro normativo internazionale era caratterizzato dalla presenza di una
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convenzione internazionale di disciplina parziale del trasporto aereo parzialmente (CV,
1929), emendata in parte da un Protocollo (L‟Aja, 1955), su cui si innestavano un
successivo Protocollo integrativo sul vettore di fatto (Guadalajara, 1961) ed uno di
ulteriore modifica (Guatemala City, 1971), con la precisazione che ciascuno di questi
interventi si sostanziava in una convenzione autonoma; da qui la conseguente
asimmetria normativa derivante dal fatto che l‟adesione ad una di esse da parte di uno
Stato non implicava alcuna automatica adesione alle altre, antecedenti o successive che
fossero. A ciò si devono aggiungere la persistenza delle disciplina nazionali di ciascun
Paese relativamente agli aspetti non regolati dalla volontà internazionale edun accordo
amministrativo intervettoriale transnazionale, il cosiddetto Montreal Interim Agreement
(o CAB 18990) siglato tra il Civil Aeronautics Board, l‟organo federale statunitense di
controllo dell‟aeronautica civile relativamente alle tematiche economiche e le
compagnie aeree aderenti alla IATA, valido limitatamente per le compagnie aeree
firmatarie. Ad esso fecero seguito lo IATA Intercarrier Agreement on Passenger
Liability del 1995 (IIA, in Dir. trasp. 1996, 325 ss.), e l’Agreement to Implement the
IATA Intercarrier Agreement del 1996. Sul punto si vedano L. M. BENTIVOGLIO – S.
BUSTI, Diritto aeronautico. Le fonti convenzionali, Milano, 1980, 296 ss.; G.
MASTRANDREA – A. QUARANTA, Il problema dell’adeguatezza del limite risarcitorio
nel trasporto aereo di persone ed i recenti tentativi concreti di soluzione, in Dir. trasp.
1996, 709. L‟importanza di questi accordi stava nell‟aver, in via di fatto, intensificato la
tutela del passeggero mediante l‟adozione di misure quali la rinuncia al limite
risarcitorio e la possibilità di avvalersi della prova liberatoria. Per dare una sistemazione
logica e omogenea al quadro normativo di settore furono elaborati, nel 1975, i cosiddetti
Quattro Protocolli di Montreal, ciascuno indipendente dall‟altro ed avente come
contenuto la preesistente disciplina riordinata in quattro momenti. In particolare, il
primo richiamava la CV, il secondo il sistema di Varsavia-L‟Aja, il terzo il sistema di
Varsavia-L‟Aja come modificato dal Protocollo di Guatemala City ed il quarto (l‟unico
entrato in vigore), introduceva un nuovo regime di documentazione e di responsabilità
del vettore ma solo in materia di trasporto di merci. Cfr. V. R. CERVELLI – F.
GIUSTIZIERI, C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico: l’entrata in vigore del
Protocollo n. 4 di Montreal 1975, in Dir. trasp. 1999, 35 ss. L‟unica novità introdotta
dai quattro Protocolli era costituita dalla sostituzione del franco oro Poincaré con il
Diritto Speciale di Prelievo (DSP). L‟Italia, oltre alla CV (ratificata e resa esecutiva con
l. 19 maggio 1932, n. 841), ha ratificato il Protocollo dell‟Aja (l. 3 dicembre 1962, n.
1832) e la Convenzione di Guadalajara (l. 11 giugno 1967, n. 459), ma a suo tempo
predispose altresì gli strumenti per la ratifica dei protocolli di Guatemala City e di
Montreal (l. 6 febbraio 1981, n. 43, non ancora in vigore). Non si deve trascurare che, in
tutto questo, l‟Italia adottò, con l. 26 marzo 1983, n. 84, le novità introdotte dai
Protocolli I, II e III di Montreal, innalzando in tal modo i limiti risarcitori, e che la Corte
Costituzionale italiana, con sentenza 6 maggio 1985 n. 132 (in Dir. mar. 1985, 751 ss.
con nota di E. FOGLIANI, La limitazione della responsabilità del vettore aereo
internazionale di persone nel giudizio della Corte Costituzionale, dichiarò
incostituzionale la legge di esecuzione della CV proprio per la previsione di limiti di
responsabilità del vettore per il caso di morte o lesioni del passeggero. Il vuoto
normativo così creatosi fu colmato con l‟adozione della l. 7 luglio 1988, n. 274, volta a
stabilire congrui massimali di responsabilità del vettore aereo internazionale di
passeggeri con esclusivo riferimento alle lesioni personali o al decesso. Su questi aspetti
e le conseguenti problematiche scaturenti sul piano dei rapporti internazionali si
vedano: C. MEDINA, Dichiarazione di incostituzionalità della limitazione di
responsabilità del vettore aereo internazionale, in Dir. mar. 1986, 212 ss.: T.
BALLARINO – S. BUSTI, Diritto aeronautico e spaziale, cit., 662 ss.; ID., La
responsabilità del vettore aereo internazionale dal punto di vista italiano, in Dir. trasp.
1989/II, 7 ss.; G. SILINGARDI, L’istituto del limite risarcitorio: controllo di
costituzionalità ed autonomia delle parti, in Dir. trasp II/1992, 345 ss.; S. BUSTI,
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Punto d‟approdo della lunga evoluzione della disciplina del
trasporto aereo di passeggeri di cui la CV rappresenta il punto di partenza
è stata la Convenzione di Montreal del 1999 (CM) ( 123 ), ancora oggi
vigente, i cui contenuti sono stati integrati a livello europeo dal reg. (CE)
n. 261/2004 (124).
Dal punto di vista della protezione del passeggero, la CM prevede
che il vettore sia responsabile di ogni lesione fisica subìta per via di un
accident avvenuto dall‟inizio delle operazioni di imbarco al termine di
quelle di sbarco, secondo un metodo ormai noto come two tier liability
Contratto di trasporto aereo, in Trattato di diritto civile e commerciale (a cura di S.Cicu, - F. Messineo), Milano, 2001, 620 ss. Più in generale, per una rapida sintesi
dell‟evoluzione della tutela del passeggero nel trasporto aereo dalla CV alla
Convenzione di Montreal del 1999 si vedano A. ZAMPONE, Le nuove norme sulla
responsabilità del vettore aereo internazionale di passeggeri, in Dir. trasp. 2000, 7 ss.;
A. ANTONINI, La responsabilità del vettore aereo per il trasporto di persone e cose
nella più recente evoluzione normativa: protocolli di Montreal, Varsavia-Montreal,
regolamento comunitario, in Dir. trasp. 2000, 615 ss.
( 123 ) Convenzione di Montreal (CM) del 28 maggio 1999 adottata dalla
conferenza diplomatica indetta dall‟ICAO e finalizzata all‟unificazione di alcune norme
in materia di trasporto aereo, pubblicata in Dir. trasp. 1999, 1043 ss. A livello europeo,
il contenuto della CM era stato anticipato dal Reg. (CE) 2027/97 del 9 ottobre 1997, sul
quale si veda G. SILINGARDI, Reg. (CE) 2027/97 e nuovo regime di responsabilità del
vettore aereo di persone, in Dir. trasp. 1998, 621 ss. Sugli aspetti innovativi della CM
si vedano M. M. COMENALE PINTO, Riflessioni sulla nuova Convenzione di Montreal
del 1999, in Dir. mar. 2000, 798 ss.; ID., La responsabilità del vettore aereo dalla
Convenzione di Varsavia del 1929 alla Convenzione di Montreal del 1999, in Diritto e
storia, 2/2003; G. ROMANELLI, Diritto uniforme dei trasporti e Convenzione di
Montreal del 1999, in Il nuovo diritto aeronautico, Milano, 2002, 581 ss.; L. TULLIO,
Spunti sulla responsabilità del vettore aereo di persone, in Il nuovo diritto aeronautico,
cit., 599 ss. L‟estensione del contenuto della CM anche ai trasporti effettuati all‟interno
di un unico Stato membro è stata invece ottenuta con il reg. (CE) n. 889/2002 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 13 maggio 2002, sul quale si veda F.
TAMBURINI, Le novità introdotte dal reg. (CE) 889/2002 e le ragioni connesse alla sua
adozione, in Dir. trasp. 2003, 831 ss.Una versione non ufficiale in italiano della CM è
stata allegata alla legge 10 gennaio 2004, n. 12, di ratifica della stessa.
( 124 ) Reg. (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio dell‟11
febbraio 2004 che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai
passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato,
consultabile
su
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32004R0261:IT:HTML.
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sistem, ossia a binario doppio. Il doppio livello, più precisamente, nasce
dalla previsione di una somma di denaro (attualmente, in virtù del
meccanismo di aggiornamento quinquennale dei limiti previsto dall‟art.
24 della stessa Convenzione pari a 113.100 DSP) (125), al raggiungimento
della quale in sede di risarcimento cambia il regime liberatorio per il
vettore. Infatti, mentre fino alla suddetta soglia monetaria il vettore non
ha la possibilità di esonerarsi dal dover risarcire i danni lamentati dal
passeggero (sempre che, come previsto già dalla CV e poi ribadito nelle
convenzioni successive, la loro causa non sia da rinvenire nella
negligenza del passeggero reclamante o contributory negligence) (126 ),
allorquando il pregiudizio dovesse essere superiore, il vettore può
liberarsi dall‟obbligo di corrispondere la maggior somma, circoscrivendo
così il risarcimento nell‟ambito dei 113.110 DSP (127), purché dimostri
che la lesione non è derivata da causa imputabile a sé o ai suoi dipendenti
e preposti. In tutto questo, rimane la previsione che assoggetta l‟azione di
( 125 ) Somma originariamente ammontante a 100 mila DSP incrementata del
13,1% in virtù del fattore inflazionistico rilevato nel 2009 a seguito della prima
applicazione del meccanismo di adeguamento previsto nella stessa CM all‟art. 24. Sul
punto si vedano la notificazione della revisione dei limiti di responsabilità da parte
dell‟ICAO pubblicata in Dir. trasp. 2010, 559 ss., nonché E. FOGLIANI, Aggiornamento
dei limiti di Montreal 1999, questo sconosciuto (…all’ENAC), in Dir. trasp. 2011, 155,
155. Secondo alcuni autori, il doppio regime esisteva già nella CV che affiancava una
responsabilità soggettiva e presunta fino al limite di 125 mila franchi oro (poi divenuti
250 mila) e con possibilità per il vettore di fornire la prova liberatoria, ad una
responsabilità illimitata con onere della prova a carico del danneggiato. Cfr. G.
ROMANELLI, Diritto uniforme, cit., 586.
(126) Per un caso di colpa del passeggero si veda Cass. 15 febbraio 2006 n. 3285,
in Dir. trasp. 2007, 507, con nota di W. PAGLIEI, La colpa del danneggiato nel
trasporto aereo. Per una descrizione della contributory negligence si veda AA. VV.,
Codice dei trasporti, cit., 542 ss.
(127) Cfr. G. ROMANELLI, Diritto uniforme, cit., 583.
VANNA CUCCU, Gli obblighi di protezione (profili in tema di contratto di trasporto)
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68
risarcimento dei danni alle condizioni ed ai limiti previsti dalla
Convenzione, a prescindere dal titolo in base al quale si agisce ( 128).
Il reg. (CE) n. 261/2004, dal canto suo, ha ad oggetto il negato
imbarco, la cancellazione del volo ed il ritardo prolungato, ossia ambiti in
parte diversi rispetto a quelli regolati dalla CM; quest‟ultima, infatti, non
menziona le prime due fattispecie e, pur disciplinando la terza, lo fa in
modo tale da avere una portata più generale ( 129).
Ad ogni modo, ciò che rileva maggiormente in tema di protezione
all‟interno del reg. (CE) n. 261/2004 non sono tanto le fattispecie
disciplinate quanto i rimedi previsti per il caso del loro verificarsi. Il
riferimento è, in particolare, all‟obbligo di fornire pasti e bevande in
congrua relazione all‟attesa, di garantire il pernottamento in albergo ed il
relativo trasferimento dall‟aeroporto e viceversa, nonché di far sì che il
passeggero possa usufruire gratuitamente di almeno due comunicazioni
telefoniche o via internet o fax in ogni caso di bisogno conseguente ad
(128) Secondo Romanelli, la responsabilità del vettore aereo nella CM è, pertanto,
oggettiva entro i 113.100 DSP, mentre diviene soggettiva e presunta al loro
superamento. Cfr. M. M. COMENALE PINTO, Riflessioni, cit., 822; A. ZAMPONE, Le
nuove norme sulla responsabilità del vettore, cit., 7 ss.; G. ROMANELLI, Diritto
uniforme, cit., 582, 583, 586. Dissenziente rispetto all‟impostazione che duplica la
responsabilità pur in presenza di un unico evento dannoso è L. TULLIO, Spunti sulla
responsabilità del vettore aereo di persone, in il nuovo diritto aeronautico, Milano,
2002, 600 ss., secondo il quale si tratta di una responsabilità fondamentalmente
soggettiva e illimitata a cui si aggiunge una prestazione indennitaria con funzione
surrogatoria del risarcimento a carico del vettore fino al limite di – quelli che all‟epoca
erano – 100 mila DSP con riferimento al reg. (CE) n. 2027/97.
(129) Sui rapporti tra CM e il reg. (CE) n. 261/2004 in materia di ritardo si veda
L. TULLIO, Interventi interpretativi della Corte di giustizia europea sul reg. (CE)
261/2004, in Dir. trasp. 2009, 367 ss.
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69
una qualsiasi delle forme di impedimento vettoriale oggetto del
regolamento (130).
Più di recente, tuttavia, anche il rimedio della compensazione
pecuniaria ha assunto rilevanza in materia protettiva, ma di questo sarà
trattato più avanti (131).
Al contrario di quella aeronautica, la disciplina marittima
internazionale del trasporto di passeggeri è rimasta a lungo immutata e si
contraddistingue tuttora per un livello di protezione molto più basso.
Il primo intervento sovranazionale in materia è rappresentato dalla
Convenzione di Atene del 1974 (132 ), nella quale la responsabilità del
vettore per lesioni personali e morte del passeggero avvenute nel corso
del trasporto per causa o negligenza imputabile a sé o ai suoi dipendenti e
preposti nell‟esercizio delle loro funzioni è presunta, fino a prova
contraria, se conseguente ad uno degli eventi elencati ( 133), al di fuori dei
quali il passeggero è tenuto a dimostrare oltre al fatto di aver subìto un
(130) Art. 9 reg. (CE) n. 261/2004.
( 131 ) Il diritto alla compensazione pecuniaria è disciplinato dall‟art. 7. Sul
dibattito inerente alla sua natura si veda infra § 8, cap. III.
(132) Convenzione conclusa ad Atene il 13 dicembre del 1974 relativa al trasporto
per mare di passeggeri e dei loro bagagli.
( 133 ) Art. 3. Si tratta delle ipotesi di naufragio, abbordaggio, incagliamento,
esplosione, incendio o difetto della nave.
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70
pregiudizio nel corso del trasporto, anche l‟imputabilità al vettore o ai
suoi dipendenti e preposti della condotta causativa del pregiudizio (134).
Per lungo tempo inosservata dalla platea internazionale, nel 2001 la
Convenzione di Atene è stata oggetto di una revisione che ha portato
all‟adozione del Protocollo di Londra del 2002 (PAL)(
135
), con
riferimento al quale, vista la complessità del sistema venutosi in tal modo
a creare,è per il momento sufficiente dire che nelle fasi di imbarco e
sbarco e durante la permanenza a bordo, nonché, a certe condizioni,
durante il trasferimento dalla banchina alla nave e viceversa ( 136 ), il
vettore marittimo è responsabile della morte o delle lesioni personali del
passeggero causati da incidenti sia marittimi, sia derivanti da altra causa,
sebbene la natura del sinistro sia rilevante al fine della ripartizione degli
(134) Ai sensi dell‟art. 7 della Convenzione di Atene il relativo debito risarcitorio
è limitato a 7 milioni di franchi per trasporto (unità monetaria costituita da 65,5
milligrammi d'oro al titolo di 900/1000 di fino; art. 9). Anche in seno alla Convenzione
in parola vi è la previsione dell‟assoggettamento di qualsiasi azione alle condizioni ed ai
limiti da essa previsti (art. 12).
(135) Protocollo di Londra del 1 novembre 2002. Tra i primi commentatori del
testo consolidato cfr. F. BERLINGIERI, L’adozione del Protocollo di Londra 2002 alla
Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto per mare di passeggeri e loro bagagli, in
Dir. mar. 2002, 1498 ss.; P. J. GRIGGS,Developments in international maritime law, in
Dir. mar. 2003, 1058 ss. Si noti che la Convenzione di Atene nel testo emendato dal
Protocollo del 2002 è entrata in vigore per l‟Italia e l‟Unione europea il 31 dicembre
2012, come disposto dall‟art. 12 del reg. (CE) n. 392/2009 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 aprile 2009, consultabile sul sito ufficiale di divulgazione del diritto
europeo
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:131:0024:0024:IT:PDF.
(136) Si tratta dei casi in cui il prezzo di detto trasporto accessorio è compreso nel
biglietto ovvero è effettuato con un‟imbarcazione messa a disposizione del vettore che
effettua il trasporto a cui tale servizio di trasferimento accede. Art. 1, n. 8 PAL.
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71
oneri probatori (137). Il sistema che emerge dal testo consolidato, infatti,
si articola su un doppio livello di responsabilità sulla falsariga di quello
adottato nella CM che considera il sinistro marittimo nell‟accezione
specificata dalla stessa PAL quale giustificazione di un obbligo di
risarcimento che, fino alla somma di 250 mila DSP, può essere evitato
solo al ricorrere di determinate circostanze. Al superamento di tale
(137) Si riporta, in ogni caso, il testo dell‟art. 3 PAL: «1. Il vettore è responsabile
dei danni derivanti dalla morte o dalle lesioni personali subite da un passeggero a
causa di un incidente marittimo nella misura in cui, per il suddetto passeggero, tali
danni non siano superiori a 250 000 unità di conto per ogni singolo evento, a meno che
il vettore non dimostri che l'incidente: a) è dovuto a un atto di guerra, ad ostilità, a una
guerra civile, a un'insurrezione o a un fenomeno naturale di carattere eccezionale,
inevitabile e irresistibile; b) è stato interamente causato da un atto o un'omissione
intenzionale di un terzo. Se e nella misura in cui i danni superano il suddetto limite, il
vettore è ulteriormente responsabile a meno che non provi che l'evento dannoso non è
imputabile a sua colpa o negligenza. 2. Il vettore è responsabile dei danni derivanti
dalla morte o dalle lesioni personali subite da un passeggero per cause diverse da un
incidente marittimo se l'evento dannoso è imputabile a sua colpa o negligenza. L'onere
di provare la colpa o la negligenza spetta a chi promuove l'azione risarcitoria. 3. Il
vettore è responsabile dei danni derivanti dalla perdita o dal danneggiamento del
bagaglio a mano se l'evento dannoso è imputabile a sua colpa o negligenza. La colpa o
la negligenza del vettore si presume quando i danni sono stati causati da un incidente
marittimo. 4. Il vettore è responsabile dei danni derivanti dalla perdita o dal
danneggiamento di bagagli diversi dal bagaglio a mano a meno che non provi che
l'evento dannoso non è imputabile a sua colpa o negligenza. 5. Ai fini del presente
articolo: a) per «incidente marittimo» si intende il naufragio, il capovolgimento, la
collisione o l'incaglio della nave, un'esplosione o un incendio a bordo o un difetto della
nave; b) l'espressione «colpa o negligenza del vettore» comprende la colpa o la
negligenza dei suoi sottoposti nell'esercizio delle loro funzioni; c) per «difetto della
nave» si intende qualsiasi malfunzionamento, guasto o non conformità alle regole di
sicurezza applicabili in relazione a qualsiasi parte della nave o delle sue attrezzature
utilizzata per la fuga, l'evacuazione, l'imbarco e lo sbarco dei passeggeri, o per la
propulsione o il governo della nave, la sicurezza della navigazione, l'ormeggio,
l'ancoraggio, l'arrivo o la partenza dal luogo di ormeggio o di ancoraggio, o
il contenimento dei danni dopo un allagamento, o per la messa in mare dei mezzi di
salvataggio; d) il termine «danni» non comprende i danni punitivi o esemplari. 6. La
responsabilità del vettore ai sensi del presente articolo si riferisce unicamente ai danni
derivanti da incidenti verificatisi durante il trasporto. Chi promuove l'azione
risarcitoria ha l'onere di provare che l'evento dannoso è avvenuto durante il trasporto,
nonché l'entità del danno. 7. La presente convenzione lascia impregiudicato il diritto
del vettore di esercitare un'azione di regresso nei confronti di eventuali terzi o di
invocare il concorso di colpa ai sensi dell'articolo 6 della presente convenzione. Il
presente articolo lascia impregiudicato il diritto alla limitazione della responsabilità di
cui agli articoli 7 e 8 della presente convenzione. 8. La presunzione di colpa o
negligenza di una parte o l'attribuzione ad essa dell'onere della prova non impediscono
l'esame delle prove a favore di tale parte».
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somma, la possibilità per il vettore di non rispondere del danno derivante
da morte o lesioni del passeggero per via di un incidente marittimo è più
ampia, essendo sufficiente la dimostrazione della mancanza di colpa o
negligenza nella causazione dell‟evento dannoso.
Al contrario, l‟assenza di un sinistro marittimo nell‟eziologia del
pregiudizio esclude qualsiasi posizione di vantaggio probatorio per il
passeggero, il quale si trova nella condizione di dover dimostrare che
l‟evento dannoso è imputabile a colpa o negligenza del vettore. In
entrambi i casi, il risarcimento del danno per singolo evento non può
superare i 400 mila DSP, a meno che il passeggero provi il dolo o la
condotta temeraria e consapevole nella condotta dannosa del vettore o dei
suoi dipendenti e preposti (138).
Vi è infine da menzionare, per quanto riguarda il trasporto
marittimo di passeggeri, il reg. (UE) n. 1177/2010 (
139
). Esso,
analogamente agli scopi perseguiti dal reg. (CE) n. 261/2004 in ambito
aeronautico, si prefigge di garantire un elevato livello di protezione ai
(138) Art. 13 PAL: «1. Il vettore non può avvalersi dei limiti di responsabilità di
cui agli articoli 7 e 8 e all'articolo 10, paragrafo 1, qualora sia fornita la prova che il
danno risulta da un atto o un'omissione commessi dal vettore stesso con l'intenzione di
provocare un danno o temerariamente e con la consapevolezza che ne sarebbe derivato
probabilmente tale danno. 2. Il sottoposto o l'incaricato del vettore o del vettore di fatto
non può avvalersi dei suddetti limiti qualora sia fornita la prova che il danno risulta da
un atto o un'omissione commessi da tale sottoposto o incaricato con l'intenzione di
provocare un danno o temerariamente e con la consapevolezza che ne sarebbe derivato
probabilmente tale danno».
(139 ) Reg. (UE) n. 1177/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24
novembre 2010 relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie
navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004. Consultabile al
seguente
link:
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:334:0017:011:it:PDF.
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passeggeri, simile a quella offerta dagli altri modi di trasporto (140), con
particolare riguardo alla cancellazione ed al ritardo di un servizio
passeggeri o di una crociera (141). Per siffatte ipotesi, infatti, in termini di
protezione il vettore è tenuto a prestare l‟assistenza in termini di cibo,
bevande e alloggio (142), nonché una compensazione economica in caso
di ritardo all‟arrivo (143).
(140) Considerando 1 del regolamento.
(141) Considerando 12 e 13.
( 142 ) Art. 17 reg. (UE) n. 1177/2010: «Quando un vettore prevede
ragionevolmente che la partenza di un servizio passeggeri o di una crociera sia
cancellata o subisca un ritardo superiore a novanta minuti rispetto all’orario previsto
di partenza, offre gratuitamente ai passeggeri in partenza dai terminali portuali
spuntini, pasti o bevande in congrua relazione alla durata dell’attesa, purché siano
disponibili o possano essere ragionevolmente forniti. 2. In caso di cancellazione o
ritardo alla partenza che renda necessario un soggiorno di una o più notti o un
soggiorno supplementare rispetto a quello previsto dal passeggero, ove e allorché sia
fisicamente possibile, il vettore offre gratuitamente ai passeggeri in partenza dai
terminali portuali una sistemazione adeguata, a bordo o a terra, e il trasporto tra il
terminale portuale e il luogo di sistemazione, oltre agli spuntini, ai pasti o alle bevande
di cui al paragrafo 1. Per ciascun passeggero, il vettore può limitare il costo
complessivo della sistemazione a terra, escluso il trasporto tra il terminale portuale e il
luogo di sistemazione, a 80 euro a notte, per un massimo di tre notti. 3. In applicazione
dei paragrafi 1 e 2, il vettore presta particolare attenzione alle esigenze delle persone
con disabilità e delle persone a mobilità ridotta e dei loro accompagnatori».
(143) Art. 19 reg. (UE) n. 1177/2010: «1. Fermo restando il diritto al trasporto, i
passeggeri possono chiedere al vettore una compensazione economica in caso di
ritardo all'arrivo alla destinazione finale, come indicato nel contratto di trasporto. Il
livello minimo di compensazione economica è pari al 25% del prezzo del biglietto per
un ritardo di almeno: a) un'ora in un servizio regolare fino a quattro ore; b) due ore in
un servizio regolare di più di quattro ore ma non superiore a otto ore; c) tre ore in un
servizio regolare di più di otto ore ma non superiore a ventiquattro ore; oppure d) sei
ore in un servizio regolare superiore a ventiquattro ore. Se il ritardo supera il doppio
del tempo indicato alle lettere da a) a d) la compensazione economica è pari al 50% del
prezzo del biglietto. 2. I passeggeri in possesso di un titolo di viaggio o di un
abbonamento che subiscono ritardi ricorrenti all'arrivo durante il periodo di validità
dello stesso possono richiedere una compensazione economica adeguata secondo le
modalità di indennizzo del vettore. Tali modalità enunciano i criteri per la
determinazione del ritardo all'arrivo e il calcolo della compensazione. 3. La
compensazione economica è calcolata in relazione al prezzo effettivamente pagato dal
passeggero per il servizio passeggeri in ritardo. 4. Qualora il contratto di trasporto
riguardi un viaggio di andata e ritorno, la compensazione economica in caso di
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74
Come è oramai facile notare, nella disciplina internazionale in
materia di trasporto, malgrado l‟autonomia tra i vari testi, si sono
delineati dei tratti consolidati e, si potrebbe azzardare, immutabili, in
quanto acquisiti con una notevole consapevolezza e un considerevole
consenso, di talché può ben parlarsi di «principî e regole comuni» di
«una sorta di diritto uniforme comune in materia di trasporto e,
soprattutto, di responsabilità del vettore» (144). Il riferimento in materia
di trasporto di passeggeri è, oggigiorno, alla tendenza all‟oggettivazione
della responsabilità del vettore attuata mediante l‟adozione del sistema
del doppio livello, all‟inderogabilità della disciplina protettiva, al
riconoscimento della contributory negligence del passeggero quale causa
ritardoall'arrivo nella tratta di andata o in quella di ritorno è calcolata sulla base della
metà del prezzo del trasporto tramite tale servizio passeggeri. 5. La compensazione
economica è effettuata entro un mese dalla presentazione della relativa domanda. La
compensazione economica può essere effettuata mediante buoni e/o altri servizi se le
condizioni sono flessibili, in particolare per quanto riguarda il periodo di validità e la
destinazione. La compensazione economica è effettuata in denaro su richiesta del
passeggero. 6. La compensazione economica connessa al prezzo del biglietto non è
soggetta a detrazioni per i costi legati alla transazione finanziaria quali tasse, spese
telefoniche o valori bollati. I vettori possono introdurre una soglia minima al di sotto
della quale la compensazione economica non è prevista. Detta soglia non può superare
6 euro».
(144) Così, già un ventennio fa, G. ROMANELLI, I contratti di utilizzazione della
nave e dell’aeromobile, in Il cinquantenario del codice della navigazione (a cura di L.
Tullio – M. Deiana), 233, anche se, rispetto ad allora, la limitazione del debito vettoriale
non è più una costante, essendo assente nella CM. In un successivo scritto lo stesso
Autore profetizzava l‟influenza che la CM avrebbe potuto esercitare sui testi di diritto
uniforme successivi in materia di trasporto, così come è in parte avvenuto in ambito
marittimo. Con riguardo a quest‟ultimo settore, sebbene consapevole del fatto che
qualora la Convenzione di Atene del 1974 fosse stata rivista, difficilmente non si
sarebbe seguìto il solco tracciato dalla CM, Romanelli nutriva forti dubbi sulla
possibilità che ciò avvenisse, posto che essa, fino a pochissimo tempo fa avente
scarsissimo successo, prevedeva una responsabilità soggettiva e – in certi casi presunta, nonché limitata; viste, infatti, le notevoli difficoltà con cui si è recepito il
regime soggettivo e presunto, a maggior ragione era dato dubitare dell‟introduzione di
un regime, anche solo parzialmente, oggettivo. La Convenzione di Atene nella versione
emendata dal Protocollo di Londra del 2002, infatti, mantiene un regime più favorevole
per il vettore rispetto alla CM. Cfr. G. ROMANELLI, Diritto uniforme, cit., 593, 594.
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di riduzione o esclusione della responsabilità del vettore ealla regola di
assoggettare l‟azione per responsabilità del vettore alla medesima
disciplina a prescindere dal titolo contrattuale o meno in virtù del quale si
agisce e la parificazione dell‟azione del vettore a quella dei suoi
dipendenti e preposti nell‟esercizio delle loro funzioni.
9. Prime considerazioni conclusive.
Al termine di questa disamina introduttiva dei dati normativi e
dottrinali utili per l‟analisi del fenomeno, è già possibile affermare che i
cosiddetti obblighi di protezione non sono necessaria traduzione né della
buona fede, né della correttezza e ancor meno della diligenza (145): essi di
sicuro non appartengono al genus delle clausole generali dal contenuto
generico e non sono quindi destinatinecessariamente a dare la misura del
comportamento di una o ambedue le parti, individualmente o
(145) Il tratto comune tra la diligenza e l‟obbligazione di protezione potrebbe al
più essere ravvisato nell‟unilateralità, posto che entrambe gravano ovviamente solo sul
debitore. Tuttavia, innegabile, per il resto, è la profonda differenza che tra le due
intercorre essendo la prima un criterio di comportamento, la seconda un
comportamento. Esclude in radice che la diligenza possa essere la base del fenomeno di
protezione F. BENATTI, Osservazioni, cit. 1342 ss.
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76
relazionalmente considerate, perchépossono sostanziarsi in un vincolo
molto preciso (146).
Come sarà più approfonditamente esposto in seguito, ma già si è
avuto modo di intravedere, tuttavia, in materia di trasporto di persone è
oramai il dato positivo a porre a carico del vettore una serie di condotte
protettive, ragione per la quale è sempre più difficile, a fortiori, riuscire
ad affermare che si tratti di una mera specificazione dei principî di buona
fede e correttezza (147). D‟altro canto, la stessa dottrina sembra ormai
saper cogliere la distinzione tra gli obblighi di protezione derivanti dalla
mera elaborazione teorica come frutto dell‟integrazione del contratto
derivante dagli artt. 1175 e 1375 c.c. e obblighi che, invece, sono previsti
dalla legge per le specifiche figure contrattuali ( 148) ovvero nascono in
virtù del meccanismo creativo di cui all‟art. 1173 c.c. Così, mentre i
primi accedono in maniera imprescindibile alla prestazione principale
servendo alla sua realizzabilità, gli ultimi due appaiono accessori ma
autonomi; la conseguenza di siffatta bipartizione consiste in ciò che
( 146 ) Per un confronto tra fenomeno protettivo e clausole di buona fede,
correttezza e diligenza finalizzato all‟esclusione della loro sovrapposizione si veda S.
CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 155 ss.
( 147 ) Questo aspetto è ben messo in luce da S. CICCARELLO, Dovere di
protezione, cit., 22, 23, ove si afferma proprio che «la buona fede, in quanto concetto
generale e astratto, non impone un comportamento a contenuto prestabilito e dunque
non può essere facilmente fonte di specifici doveri. E allora quando non costituisca
oggetto della prestazione principale del contratto […] il dovere di protezione più
ragionevolmente fonda in via immediata la sua giuridicità sulla legge e si prospetta
come effetto legale tipico».
( 148 ) Cfr. G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 290in materia di obblighi
informativi.
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mentre gli obblighi, per così dire, integrativi non sono autonomi e
pertanto non si può discutere sulla natura della responsabilità in caso di
loro violazione ( 149 ), gli obblighi legali sono autonomi, ma la loro
inosservanza conduce a conseguenze allo stesso modo di natura
contrattuale per via della loro accessorietà ( 150 ) e della loro natura di
obbligazione.
Ad onor del vero, tuttavia, anche tra gli obblighi di protezione
legali in senso lato si può scorgere una distinzione. Mentre quelli previsti
come fattispecie precise dalla legge devono essere considerati
obbligazioni legali in senso stretto, non è così per gli obblighi di
protezione che nascono come obbligazioni derivanti da «altro atto o fatto
idoneo a produrle».
Premesso che in senso lato tutte le obbligazioni hanno una comune
fonte legale dal momento che l'art. 1173 c.c. consacra mediante una
legge in senso materiale i titoli che possono originarle, che sia negoziale
o legale la causa (151), detti titoli non sono altro che il presupposto di
fatto in corrispondenza del quale la legge fa sorgere l‟effetto
( 149 ) Che si riverserebbe, pertanto, nell‟inadempimento della prestazione
principale.
(150) G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 288 ss., 293.
(151) Sono le variae causarum figurae gaiane. Che fonte sia sinonimo di titolo lo
insegnano sia C. BIANCA, Diritto civile, cit., 5, sia G. IUDICA – P. ZATTI,Linguaggio e
parole del diritto privato, Padova, 2008, 225. Sull'unicità della fonte legale si esprime
chiaramente C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile,cit., 468, nota 58.
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giuridicamente vincolante costituito dall‟obbligazione ( 152 ). Ciò detto,
affermare che gli obblighi di protezione nascenti ex art. 1173 c.c. sono di
fonte legale, pur essendo corretto non rende giustizia al fatto che la loro
giustificazione fattuale - che è anche la scaturigine della tutela
obbligatoria legale - è costituita dall‟affidamento (153).
Il passaggio che si è appena svolto ha un ruolo tutt‟altro che
secondario nell‟evoluzione moderna e contemporanea dell‟istituto della
protezione. Ben illustrato già nelle teorizzazioni di Canaris, l‟ancorare la
protezione all‟affidamento ha infatti consentito la liberazione della
protezione dagli angusti ambiti modali e temporali della prestazione
principale, assurgendo ad obbligazione strutturalmente autonoma e di
maggior ampiezza sia della prestazione caratterizzante, sia dei doveri che
la regola dell‟alterum non laedere fa gravare colui che viene
comunemente definito “uomo della strada” (154).
(152) Di conseguenza, la differenza tra le due categorie è solo classificatoria e
non sostanziale. Anche nelle fonti cosiddette legali in senso stretto, infatti,
l'obbligazione consegue non già ad un'aprioristica statuizione legale ma al verificarsi di
un atto o fatto illecito o lecito, giuridico o naturale. Ciò detto, nella prima categoria
rientrano le obbligazioni da contratto o altro negozio, compresi quelli unilaterali, mentre
nella seconda sono da ricondursi le obbligazioni da illecito e tutte quelle altre che
derivano da altri eventi a cui l'ordinamento riconduce tale effetto, tra cui è da
annoverarsi l‟affidamento Al riguardo si noti che l‟art. 1173 c.c. non menziona
espressamente tra le fonti delle obbligazioni la legge (come invece accadeva nell‟art.
436 c.c. abr.) ma considera l‟ordinamento nella sua generalità quale metro di
valutazione dell‟idoneità di «altri fatti e atti» (diversi dal contratto e dal fatto illecito),
alla produzione di rapporti obbligatori. Cfr. P. RESCIGNO, Obbligazioni, in Enc. dir.
XXIX/1979, 134, 152, 153; M. GIORGIANNI, Obbligazione (dir. priv.), in Noviss. dig, it.
XI/1965, 581, 603.
(153) Cfr. C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità, cit., 468, nota 58.
(154) La responsabilità del passante, come viene definita da Castronovo, è quella
che si caratterizza per l‟assoluta indipendenza dell‟evento lesivo rispetto alle
circostanze in cui esso si verifica nel senso dell‟inesistenza di qualsivoglia vincolo,
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CAPITOLO II
Le caratteristiche del fenomeno protettivo.
SOMMARIO:1. Introduzione. - 2. La natura molteplice degli obblighi di protezione. - 3. Il
fenomeno protettivo tra dovere, obbligo e obbligazione: un’incertezza non solo
terminologica. - 4. Oltre la terminologia e la concettualità classica: la teoria degli
standards valutativi. - 5. L’obbligazione di protezione. Patrimonialità e gratuità. –
6.Determinatezza o determinabilità della prestazione protettiva.– 7. Critiche alla teoria
del “trasporto sicuro”. – 8. La posizione dell’obbligazione di protezione nella logica
negoziale tra accessorietà e strumentalità.La legale collateralità.– 9. Il nesso che
determina la collateralità dell’obbligazione di protezione. - 10. La natura della
responsabilità derivante dall’inadempimento dell’obbligazione di protezione. – 11.
Brevi riflessioni di chiusura.
1. Introduzione.
Il capitolo che qui si apre si propone di fornire una breve
descrizione tecnica delle caratteristiche dell‟obbligazione di protezione.
Si tratta di un passaggio privo di elementi innovativi o particolarmente
complessi, ma è il momento di transito imprescindibile per le tematiche
affidamento o previsione che la collettività potesse vantare nei confronti del soggetto a
cui è da ricondurre la relativa responsabilità.Si veda C. CASTRONOVO, La nuova
responsabilità, cit., 552.
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che si affronteranno nel capitolo finale di questo studio, a cui non
mancheranno, pertanto, frequenti rinvii.
In particolare, si apriranno diversi interrogativi a cui si cercherà di
dare una risposta nel terzo capitolo, o a cui in tale sede si aggiungeranno,
quantomeno, elementi di riflessione che nascono da una visione
economicamente orientata e prevalentemente europea dell‟assetto
giuridico contemporaneo del fenomeno protettivo.
Le direttrici dell‟evoluzione italiana della materia infatti suo due: il
ruolo determinante dell‟Unione europea nell‟imposizione della disciplina
e, corollario della precedente, il fatto che detto ruolo imprima una portata
più economica che giuridica agli sviluppi di settore.
Alla luce di questa breve premessa pertanto, si volge l‟attenzione
alle basi tecnico-giuridiche del fenomeno protettivo con l‟obiettivo di
approdare ad un esame completo dell‟obbligazione di protezione.
2. La natura molteplice degli obblighi di protezione.
Nel precedente capitolo si è visto come il contestare l‟assolutezza
dell‟assunto che sostiene l‟esclusiva origine da correttezza e buona fede
del fenomeno protettivo nascadalla consapevolezza del fatto che gli
obblighi di protezione non si sostanziano in un fenomeno unitario;
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viceversa, appare fondato compiereuna distinzione tra obblighi di
protezione e prestazione di protezione.
In questa prospettiva, dal punto di vista del contenuto la
prestazione di protezione è composta da tutta quella serie di
atteggiamenti commissivi ed omissivi in parte determinati o comunque
determinabili nonché economicamente valutabili, che solo il debitore
deve porre in essere( 155 ) perché funzionali alla realizzazione di una
determinata finalità giuridica o materiale che, nel trasporto, è quella di
evitare che la limitazione
alla libertà del passeggero dovuta
all‟adempimento o all‟inadempimento o ad un mero disservizio, non
alteri oltre quanto strettamente funzionale al trasferimento stesso lo staus
quo del passeggero(156).
Ben diversa è, invece, la categoria degli obblighi di protezione in
senso stretto, ai quali sono riconducibili gli aspetti protettivi vicendevoli
nel rapporto obbligatorio. La loro sostanza, ben meno pregnante della
prestazione di protezione, non risponde se non indirettamente ad esigenze
conservative, mediante l‟impegno a cooperare affinché le
-
(155) L‟unilateralità debitoria degli obblighi di protezione emerge chiaramente da
A. ANTONINI, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: il diritto dei trasporti,
banco di prova di una adeguata evoluzione del regime del concorso, in Resp. civ. e
prev. 2010, 2, 256.
( 156 ) Nel presente lavoro si accoglie, pertanto, la concezione di protezione
secondo la quale essa non deve necessariamente sostanziarsi in un comportamento in
senso stretto dell‟obbligato, sulla base del presupposto che non tutte le obbligazioni
comportano per il debitore un obbligo di fare; viceversa, la prestazione è quello
strumento che raggiunge la finalità di soddisfare un interesse dedotto in contratto
facente capo al creditore e che, si ribadisce, non sempre è conseguenza di un facere.
Cfr. C. BIANCA, L’obbligazione, cit., 40.
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eventualmente reciproche - prestazioni dovute siano svolte, oltre che
esattamente, senza arrecare danno alla controparte nei limiti di uno sforzo
diligente.Tali obblighi, peraltro, non sono facilmente descrivibili proprio
perché
strettamente
attinential
contenuto
delle
prestazioni
sia
caratterizzante, sia di protezione ed alle modalità con cui le stesse
vengono effettuate (157).
I fattori genetici degli obblighi di protezione sono pertanto
correttezza
e
buona
fede,
in
quanto
norme
di
valutazione
comportamentale (relazionale la prima e irrelata la seconda), valide con
riferimento all'adempimento di qualsiasi obbligazione,
compreso
quellodell‟obbligazione di protezione,la quale,invece, non deriva da
nessuna delle due (158). Di conseguenza, premesso che possa ipotizzarsi
una distinzione tra contenuto del contratto ed effetti dello stesso, parlare
per certi determinati aspetti di obbligazione e non di obblighi di
protezione consente di spostare il fenomeno protettivo dal piano degli
effetti a quello del contenuto del contratto, quest‟ultimo inteso sia in
(157) Con riferimento all‟esempio del contratto di appalto, si pensi al caso in cui il
committente paghi il corrispettivo con monete di taglio eccessivamente piccolo rispetto
all‟importo dovuto, oppure non avvisi l‟appaltatore dell‟esistenza di condizioni
particolari del luogo capaci di rendere in progresso di tempo la realizzazione dell‟opera
più gravosa di quanto previsto al momento della stipulazione del contratto, o viceversa
all‟ipotesi dell‟appaltatore che accetti un incarico relativo ad un‟opera pur consapevole
dell‟impossibilità di ottenere un pieno soddisfacimento delle esigenze del committente,
e via dicendo. È agevole notare come si tratti prevalentemente di condotte informative
che sono omesse o tenute in modo errato o, addirittura, ingannevole. Nell‟ambito della
prestazione di protezione, invece, l‟obiettivo è la protezione della controparte;
mantenendo come esempio il contratto di appalto per l‟edificazione di un immobile,
l‟appaltatore è tenuto a delimitare il cantiere, installare reti protettive, predisporre un
impianto di allarme nell‟impalcatura, rinnovare di frequente i propri strumenti da lavoro
ovvero farne verificare la perfetta funzionalità e via dicendo.
(158) Affermazione che trova conferma inS. CICCARELLO, cit., 186.
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senso volontario, sia in senso precettivo (159). In altre parole, mentre la
prestazione di protezione aggiunge contenuti al contratto già dalla sua
nascita convogliando istanze solidaristiche in un contegno vincolante, il
semplice obbligo di protezione integra il rapporto solo in sede esecutiva
con sfumature comportamentali prevalentemente legate all‟eventualità,
alla contingenza e, non ultimo, alle aspettative delle parti, con la
conseguenza che solo la prima lascia spazio ad una tutela preventiva.
Una precisazione deve inoltre essere fatta a riguardo del carattere
eventuale degli obblighi di protezione da buona fede pocanzi citato. È
facile infatti pensare che anche la prestazione di protezione possa trovare
esecuzione solo in risposta ad esigenze contingenti, richiamando essa
l‟idea di pronto intervento a tutela della salute e del benessere del
creditore. Questa prospettiva, però, si rivela sbagliata se si pensa al
contratto di trasporto di persone (così come, più in generale, ad un
qualsiasi contratto di appalto), nel quale una condotta attiva od omissiva
o di entrambi i tipi è sempre prevista nell‟ottica di prevenire lesioni o
rimediare alle loro conseguenze e se non determinata è quantomeno
determinabile in relazione al contesto che, in sede di adempimento, si
viene a delineare, senza che in questa logica alcuna importanza sia data
all‟aspettativa da parte del creditore. L‟eventualità, pertanto, può
riguardare alcuni aspetti della protezione ovvero la sua portata in
(159) Sul punto fa una lunga riflessione S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del
contratto, Milano, 2004, 76 ss.
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concreto, fermo restando che un suo contenuto minimo è sempre
espletato e che le sue varianti attuative altro non sono che comportamenti
comunque previsti da protocolli comportamentali che spesso è il debitor
stesso ad aver predisposto e quindi sa di dover tenere a fronte di
determinati presupposti.L‟obbligazione di protezione, quindi, esiste
imprescindibilmente ogniqualvolta la prestazione caratterizzante abbia
come area di adempimento cose o la stessa persona del creditore (160).
Le teorie più risalenti non hanno saputo cogliere questa
distinzione manifestando chiusura verso la possibilità di ipotizzare una
prestazione avente carattere protettivo e dotata diforti peculiarità, quali
autonomia, unilateralità, gratuità, imprescindibilità, collateralità.La colpa
di questo limite può essere attribuita al fatto che fino adun passato non
molto remoto lo sviluppo delle attività produttive e tecnologiche era
benlontanoda quelloodierno,ragione per la quale la prestazione di
protezione aveva necessariamente un contenuto ristretto, pressoché
limitatoalla
mera esecuzione del trasporto
diligente.Ovviamente,
l‟argomento è sostenibile a maggior ragione con riferimento ai
commentatori antecedenti l‟entrata in vigore del codice civile e del
codice della navigazione, che non conoscevano una disciplina del
(160) Peraltro, come si è visto nel capitolo precedente, con riferimento al contratto
di trasporto oramai le previsioni positive hanno delineato in modo penetrante la figura
dell‟obbligazione di protezione. In linea teorica generale comunque, si deve ritenere che
la fonte di riferimento nazionale dell‟obbligazione di protezione sia l‟art. 1173 c.c. Essa,
infatti, nasce dal contatto tra le sfere giuridiche dei contraenti e dall‟affidamento
conseguentemente ingenerato nel creditore, evento che è di per sé idoneo a concretare
uno di quei fatti rilevanti ai sensi dell‟art. 1173 c.c. al fine dell‟insorgenza di un vincolo
che solo in un secondo momento si specifica mediante le clausole generali di
correttezza e buona fede.
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contratto di trasporto che distinguesse il tratto dislocativo da quello
protettivo (161).Attualmente invece, con particolare riguardo al trasporto
di passeggeri, le cose stanno in modo profondamente diverso: sul vettore
gravano veri e propri doveri comportamentali commissivi ed omissivi
imposti dalla legge e dagli standards di settore che spesso comportano
ingenti investimenti e che è persino difficile ritenere che non influiscano
sulla determinazione della tariffa, portando a dubitare su uno dei tratti
tradizionalmente salienti dell‟obbligazione di protezione nel trasporto,
ossia la gratuità (162). In altri termini, se i primi studiosi della materia
hanno trovato nella buona fede la ragione degli obblighi di protezione lo
hanno fatto a ragion veduta ed in modo pienamente condivisibile anche
agli occhi del commentatore contemporaneo, purché questi sappia
cogliere le differenze storiche, culturali, giuridiche e sociali che
intercorrono tra il tempo dei primi passi in campo ad oggi; differenze che
hanno fatto sì che il contratto di trasporto si arricchisse di nuovi contenuti
obbligatori.
Si ribadiscequindi,che il dovere di comportarsi secondo buona
fede e i contenuti di protezione che in tal senso derivano, si manifestano
di aspetto generico e verificabili solo case by case, mentre l‟autentica
prestazione protettiva discende da un vincolo di contenuto piuttosto
(161) Anche se, non bisogna dimenticare che al momento dell‟elaborazione del
codice civile e del codice della navigazione era comunque già stata emanata la
Convenzione di Varsavia del 1929, a cui il secondo si è ispirato.
(162) Sull‟argomento si veda infra, § 8 del presente capitolo.
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preciso e solo in minima parte contestualizzabile, nonché rispondente alla
tutela di un valore primario del sistema (163). A ciò si aggiunga che anche
essa deve essere adempiuta secondo buona fede ed in ossequio a quegli
obblighi protettivi secondari e strumentali di cui si è diffusamente parlato
supra.
Ad ogni modo, è il caso di tessere gli elogi del legislatore del ‟42
che, con estrema sensibilità e lungimiranza ha avuto il merito di cogliere
il fenomeno illustrato in queste pagine agli albori e la capacità di
prevederne gli sviluppi non solo nazionali con una disciplina capace di
dettare il limite proprio fra un mero trasporto diligente ed eseguito
correttamente ed in buona fede e quella prestazione di protezione di cui
solo di recente si discute.
3. Il fenomeno protettivo tra dovere, obbligo e obbligazione:
un’incertezza non solo terminologica.
Ricorrendo ad una metafora, nelle pagine che precedono si è
avuto modo di analizzare, anche tramite un breve escursus storico, non
solo l'anima degli obblighi di protezione (il loro scopo, i loro principî
(163) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 168, il quale, tuttavia, si
esprime in termini di dovere di protezione.
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ispiratori, le loro ragioni giustificatrici), ma altresì tratti del loro corpo (la
loro natura, il loro funzionamento).
Si tratta ora di ritornare in qualche misura su quei passi per
analizzare in modo approfondito la struttura degli obblighi di protezione.
Il primo passo da compiere per uno studio completo del fenomeno
è nel settore della terminologia. Nell'avvicinarsi al tema, infatti, si nota la
facilità con cuinelle trattazioni inerentiall'argomento i termini obbligo,
dovere, obbligazione e prestazione, sono usati quasi come se tra
diessisussistesse una certa interscambiabilità. Certo, non si può avere la
pretesa di approfondire in questa sede un tema come quello delle
situazioni giuridiche soggettive passive per il quale, giustamente, si
rinvia ad altre sedi ed a più complete ed illustri disamine; tuttavia, il
dovere di fare chiarezza impone qualche breve precisazione.
La terminologia più diffusa quando si parla di protezione è quella
che fa uso alternativamente dei vocaboli “obblighi” o “doveri”,
quest‟ultimo, data la portata extracontrattuale, adottato presumibilmente
nella consapevolezza del fatto che la cura e la tutela che ne sostanziano
l'adempimento trascendono in qualche modo gli interessi della
controparte e possono pertanto ricomprendere anche situazioni non
immediatamente inquadrabili nell'ambito di un‟obbligazione.
Tuttavia,
questa
incertezza
terminologica
esprime
tutta
l'incertezza teorica che avvolge il fenomeno. Si deve infatti ricordare che,
pur nel silenzio del legislatore, secondo costante dottrina è possibile
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attribuire a dovere, obbligo e obbligazione, un preciso significato che
colloca ciascuno di essi in un preciso ambito fenomenico (164).
In particolare,
malgrado
il legislatore utilizzi in modo
apparentemente indifferente i termini dovere ed obbligo, una distinzione
tra i due viene ravvisata nell'indeterminatezza del destinatario nel primo
caso e nella non patrimonialità del comportamento dovuto nel
secondo.Più precisamente, il dovere in senso stretto è quella situazione
giuridica soggettiva passiva che deriva da una norma attraverso un
comando o un divieto imposto a chiunque, fra i componenti della
collettività, venga a trovarsi in una certa situazione (165 ). Ne deriva la
portata meramente generale della figura che rimane esterna rispetto ai
costituendi rapporti intersoggettivi e resta pertanto priva di un
destinatario determinato (
166
); di conseguenza, deve negarsi la
sostenibilità di una pretesa in senso tecnico da parte di coloro che, dalla
violazione del precetto, potrebbero essere pregiudicati ( 167).
Dall'altro lato, l'obbligo designa quella situazione giuridica
soggettiva passiva caratterizzata dalla determinatezza del destinatario per
via della sua collocazione interna ad un rapporto, con conseguente
(164) Si veda sul tema P. RESCIGNO, Obbligazioni,cit., 134 ss.
(165) Usando le parole di Miccio si può dire che «Il dovere di protezione può,
quindi, dirsi violato quando taluno col proprio comportamento imprudente o negligente
lede l’altrui sfera dei diritti soggettivi, viola, in altre parole, il principio del
neminemlaedere». Cfr. R. MICCIO, Delle obbligazioni in generale, Torino, 1961, 35.
(166) P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 140.
(167) U. SALVESTRONI, Nozioni generali di diritto civile, Milano, 2005, 11.
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possibilità di pretendere la relativa condotta; in altre parole, quando un
dovere viene inglobato da un diritto, il primo si trasforma in obbligo e
diviene esigibile a fronte di un‟autentica pretesa ( 168 ). Quest‟ultima,
tuttavia, non ha un contenuto patrimoniale né diretto, né riflesso, pur
essendo azionabile autonomamente (169).
I caratteri della determinatezza del destinatario e della
patrimonialità del comportamento dovuto si ritrovano invece entrambi
nell'obbligazione, la quale si pone nei confronti dell'obbligo in un
rapporto di genere a specie, avendo essi un unico contraltare: il diritto
soggettivo. Ne deriva che il risultato dell‟inosservanza di un obbligo così
come di un‟obbligazioneè la responsabilità contrattuale ( 170 ), proprio
perché il dovere così qualificato diviene parte integrante del rapporto in
funzione di strumento per il soddisfacimento dell‟interesse tutelato dal
diritto; a sua volta, l‟inadempimento dell‟obbligo rappresenta una
menomazione dell‟impianto, lesione di cui l‟autore non può non rendere
conto ( 171 ).Sulla figura dell‟obbligazione peraltro, non sorgono dubbi
circa l'esistenza e l'autonoma configurabilità, giusta l'attenzione
dedicatale dal legislatore che ha per essa confezionato una disciplina
(168) La tesi, consolidata in dottrina, è confermata in termini analoghi anche da C.
CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., 454.
(169) Cfr. C. BIANCA, L’obbligazione, cit., 82, nota 22.
(170) C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità, cit., 454.
(171) Cfr. U. MAJELLO, Custodia e deposito, cit., 57 ss.
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generale ad hoc,per mezzo della quale ci giunge una descrizione del
fenomeno, senza tuttavia che sia fornita una definizione della stessa.
Trasponendo questo discorso sul piano della protezione in seno ad
un vincolo obbligatorio inteso in senso ampio, è quindi evidente che nella
classificazione del fenomeno protettivo tutto si gioca sul carattere
patrimoniale o meno della stessa, essendo peraltro incontrovertibile che
non è corretto parlare di doveri di protezione se non con riferimento
all'ambito extracontrattuale o, al massimo, precontrattuale.
Infine, un importante e ulteriore elemento da considerare
nell‟attività di definizione della protezioneè che quando essa inerisce al
trasporto di persone, assume carattere monodirezionale (172): dal debitore
della prestazione caratterizzante al creditore. Questo perché il passeggero
mira ad un trasferimento utile in senso spaziale e temporale,
accompagnato dalla sicurezza che le limitazioni che subirà a tal fine non
saranno pregiudizievoli per la sua integrità psico-fisica e patrimoniale.Di
qui la presenza di un vero e proprio interesse obiettivamente valutabile e
particolarmente qualificato in veste di motore della prestazione di
protezione ( 173 ). Una prestazione, si noti, che avendo come oggetto
(172) In generale, tuttavia, può dirsi che il discorso vale per tutti quei contratti
che per la loro esecuzione necessitano di un contatto materiale con la persona e i beni
del creditore.
( 173 ) L‟importanza dell‟interesse nella genesi dell‟obbligazione è sancita
positivamente dall‟art. 1174 c.c, dal quale pertanto si desumono due criteri
fondamentali della teoria delle obbligazioni, ossia l‟indispensabilità di un interesse
creditorio e l‟assenza della necessità della patrimonialità della prestazione, come
sottolinea P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 194, 195. Sul ruolo dell‟interesse in
relazione al fenomeno dell‟inadempimento si svolgono le considerazioni di C. M.
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materiale del suo esplicarsi la persona, ha la duplice caratteristica della
tendenziale
evidenza
ed
irreversibilità
dell‟inesatto
o
mancato
adempimento. In altri termini, la lesione del creditoresi identifica con
l‟elemento oggettivo di quella che in questa sede si vuole definire come
prestazione di sicurezza e protezione della persona ed è perciò in sé e per
sé è ritenuta idonea a far presumere un adempimento della protezione in
qualche misura manchevole, così come è altresì causa di una delusione
definitiva dell‟aspettativa del creditore (174).
BIANCA, L’autonomia dell’interprete: a proposito del problema della responsabilità
contrattuale, in Riv. dir. civ. 1964, 478 ss. richiamando, peraltro, la c.d. giurisprudenza
degli interessi di Heck, tradizionalmente contrapposta alla giurisprudenza dei concetti,
come ricorda C. LUZZATI, La normalizzazione delle clausole generali. Dalla semantica
alla pragmatica, in RCDP 2013, II, 163 ss. Lo stesso Bianca, peraltro, ravvisa
nell‟interesse del soggetto debitore il limite all‟apprezzabilità del sacrificio, oltre il
quale egli non è tenuto ad andare «in mancanza di una particolare tutela giuridica».
Così C. M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento
contrattuale, in Riv. dir. civ. 1983, 205, 209, 210. Ciò è perfettamente in linea con il
concetto secondo il quale «la buona fede si concretizza in obblighi contrattuali specifici
che, per l’appunto, trovano fondamento nell’economia del contratto e mirano a far si
che anche gli interessi dell’altra parte, relativi al rapporto economico così come voluto
dai contraenti, siano salvaguardati». Così G. M. UDA, Buona fede oggettiva ed
economia contrattuale, cit., 366, 370 ss., il quale precisa altresì che il concetto di buona
fede trova concretezza, alla luce dei criteri della normalità e dell’affidamento, alla luce
della valutazione complessiva dell’economia contrattuale.
(174) Cfr. AA. VV., Codice dei trasporti, Milano, 2011 486, 490 ss.. A questo
riguardo, tuttavia, in progresso di tempo sono stati introdotti dalla giurisprudenza e dalla
normativa trasportisticamolti correttivi giustificati dai risvolti di utilità economico e
sociale dell‟attività vettoriale, quali la distinzione tra danni in occasione e danni a causa
del trasporto e quella tra incidente marittimo e non, nonché il sistema del two tier
liability e la limitazione del debito..
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4. Oltre la terminologia e la concettualità classica: la teoria degli
standards valutativi.
Come si è in precedenza affermato ed argomentato ( 175 ), il
generico dovere di protezione si trasfonde in un‟obbligazione che ha
origine nell‟art. 1173 c.c. e che ha ad oggetto una prestazione di
protezione; a partire da questo assunto però, parte della dottrina precisa
che protezione ed adempimento sono due vicende del rapporto
obbligatorio,
secondo
un‟impostazione
unificante
che
considera
l‟adempimento come «armonica e compiuta realizzazione di tutti gli
interessi insiti nel rapporto» (176), attraverso il richiamo ai c.d. standards
valutativi ( 177).
L‟individuazione
dellafigura
degli
standardso
canoni
valutativinasce da una sensibilità giuridica particolarmente profonda, tale
da consentire di cogliere e definire quell‟entità nebulosa e di variegata
composizione che aleggia sulla formazione giudiziale del diritto non solo
nei sistemi di Common law – dove trova la sua origine (178) – ma altresì
nei sistemi di civil law, ove si tenga conto del fatto che ogni giudice, alla
volta della decisione del caso pratico, non solo applica le norme esistenti
(175) Cfr. supra §9, cap. I.
(176) S. CICCARELLO, Dovere, cit., 241 ss. e nota 121, 65.
(177) Sull‟argomento si veda anche V. FALZEA, Gli standards valutativi e la loro
applicazione, in Riv. dir. civ. 1987, 1 ss.
(178) Cfr. A. FALZEA, cit., 1.
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ad ogni livello, ma fa altresì ricorso ai principî generali e lega le due
entità in un‟argomentazione nutrita di logica, etica ed equità (179). Questo
magma giuridico orienta l‟interprete verso un‟applicazione del diritto
socialmente e culturalmente conforme alla realtà anche attraverso una
vera e propria integrazione più o meno dettagliata della fattispecie
astratta in cui è stato sussunto il caso concreto.
Destinata ad un‟applicazione generalizzata, la teoria degli
standards valutativi è stata di particolare utilità a chi ha ravvisato in essa
la ragionedell‟integrazione del contratto in termini di dovere di
protezione. Per meglio dire, gli standards sarebbero la fonte del dovere di
protezione che, collocata al di sopra del sistema delineato dall‟art. 1173
c.c.,rivelerebbe l‟esistenza di un meccanismo idoneo aconsentire
l‟imposizionedei canoni protettivia qualsiasi
contratto
in modo
(179) Ciccarello qualifica come standards anche buona fede, correttezza e – forse
– diligenza, facendoli derivare dal principio generale della solidarietà. È evidente che in
questo caso vi è una sovrapposizione tra standars e clausola generale per cui ci si
domanda che scopo abbia teorizzare una categoria generale nuova per poi sovrapporla
ad una già esistente. Del resto, lo stesso Autore riconosce che «gli standards sono per
un verso tipi reali, in quanto riferiti a comportamenti e situazioni che trovano riscontro
nella realtà, ma sono anche tipi ideali nella misura in cui offrono indicazioni per la
determinazione di una “regola di decisione” del caso concreto», in tal modo
riconoscendo che almeno parte dei canoni valutativi si identifica con le clausole
generali. Probabilmente gli standards valutativi hanno una dimensione ampia che
ricomprende sia le clausole generali, là dove previste, sia tutto ciò che è il percorso
logico-argomentativo che si sedimenta nella storia giurisprudenziale e dottrinale e che,
non trovando riscontro normativo oggi, è destinato a costituirne le basi un domani. La
stessa solidarietà, peraltro, è per l‟Autore il principio generale da cui deriva anche lo
standardsdell‟honeste vivere nella declinazione dell‟alterum non laedere. Cfr. S.
CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 251 ss., 258. Per inciso, contrariamente a
quanto affermato da A. FALZEA, cit., 2, a modesto avviso di chi scrive l‟equità, pur
potenzialmente coinvolta nella decisione della fattispecie concreta non è una clausola
generale in quanto non è volta alla creazione di una regola superiore dotata di
universalità, bensì all‟elaborazione di una soluzione destinata ad operare entro i limiti
del singolo caso concreto.
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autoritativo, ma senza la necessità di individuarne l‟esatto referente
positivo (180).
Ebbene, a modesto avviso di chi scrive non è semplice sostenere
la tesi degli standards valutativi ed i relativi corollari quando si parla di
protezione, soprattutto con riferimentoaltrasporto aereo e marittimo di
passeggeri,ovela relativa obbligazionehain buona misuraun contenuto
imposto positivamente. Tuttavia, l‟onestà intellettuale impone di
applicarsi affinché non passi in secondo piano il fatto chei
contenutiinternazionali ed europei che tanta pregnanza hanno attribuito
alla disciplina hanno semplicemente tradotto un‟esigenza protettiva che
già la dottrina, la giurisprudenza e gli operatori del settore avevano
fortemente avvertito.In estrema sintesi, sebbene tradizionalmente si
sostenga che morale, etica e diritto siano distinti, non è meno vero che il
diritto traduce le istanze morali ed ideali della società in cui è destinato
ad operare (181) e che spesso entrano nella cultura giuridica in un primo
momento gradualmente e quasi impercettibilmente attraverso le aule dei
(180) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere, cit., 244, 254, 261, il quale così traduce in
pratica il pensiero di Falzea, secondo il quale gli standards«consentirebbero la
ricezione diretta dei modelli giuridici di comportamento dal sistema dei valori etico
sociali con la esclusione di una loro riformulazione costitutiva da parte del
legislatore», precisando inoltre che «questi modelli di azione, nel loro ufficio di norme
integrative, entrano in applicazione nello stesso momento in cui entrano in applicazione
le norme integrate: cioè nel tempo reale in cui, verificatosi il fatto giuridico, si definisce
compiutamente, nella sua attualità e concretezza, il problema giuridico e si pone la
necessità immediata della sua soluzione». Così A. FALZEA,cit., 16.
(181) Cfr. P. S. ATIYAH, An introduction to the law of contract, IV ed., Oxford,
1989, 2.
VANNA CUCCU, Gli obblighi di protezione (profili in tema di contratto di trasporto)
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tribunali, e solo in seconda battuta in modo netto e sensibile tramite
l‟opera del legislatore (182).
In questo senso effettivamente la teorizzazione degli obblighi di
protezione ha avuto origine in quel brodo primordiale dato dalla
riflessione dottrinale e da quella giurisprudenziale, ma ci si domanda
perché ricercare la fonte dell‟obbligazione di protezione in un‟entità che,
sebbene
utile
e
pregevole,
non
è
espressamente
prevista
dall‟ordinamento, se quest‟ultimo offre tutti gli strumenti per la sua
determinazione contenutistica, così peraltro sacrificando la certezza del
diritto. Attribuendo infatti alla protezione la natura di obbligazione
scaturente dagli obblighi di solidarietà, dal diritto alla salute e dal
bisogno di sicurezza che limita l‟iniziativa economica privata, si traduce
in obbligazione qualcosa che è notoriamente valore fondamentale del
sistema in attesa di “specializzazione”. Questo qualcosa, passando poi
attraverso l‟art. 1173 c.c., fa assumere alla protezione i caratteri
dell‟obbligazione
autonoma
e
non
della
mera
specificazione
dell‟obbligazione di trasferimento (183). Il risultato è che, a prescindere
dalle espresse previsioni che attualmente delineano il fenomeno,
(182) «Si tratta di modelli generali di vario tipo e di varia natura, ai quali fa
talora riferimento espresso il diritto formalizzato ma che altre volte costituiscono il
tacito presupposto delle leggi o degli altri fatti normativi», come afferma A. FALZEA,
cit., 1.
(183 ) Del resto lo stesso C. CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 263, che
propugna la tesi degli standards valutativi, afferma che tutta questa fenomenologia si
traduce in un‟obbligazione derivante da ogni altro o fatto idoneo a produrla in
conformità all‟ordinamento giuridico ex art. 1173 c.c.
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l‟obbligo di protezione, nasce in virtù del meccanismo solidaristico
combinato con l‟art. 1173 c.c. e si impone nel rapporto obbligatorio
attraverso un‟ulteriore obbligazione di fonte legale in cui, volendo tenere
conto della teoria degli standards valutativi, questi confluiscono; da ciò
deriva che in questa fattispecie lo standard esiste nei termini in cui esso è
adempimento dell‟obbligazione di protezione. In questo contesto lo
standard valutativo può ben precisare il contenuto della protezione alla
luce delle circostanze del caso non tanto diversamente da quanto facciano
buona fede e correttezza, ma non costituirne la fonte.
Un‟impostazione
basata
esclusivamente
sugli
standards
valutativi, invece, pone seri problemi in punto di esigibilità della mera
protezione. Non sembra infatti sufficiente affermare semplicemente che,
dal momento che per via dello standard valutativo si acclara che il
contenuto protettivo integra la prestazione, anche la protezione è
ammessa in automatico a ricevere la tutela contrattuale ivi compresa
l‟azionabilità anticipata rispetto alla verificazione del danno (184). Il fatto
stesso che si parli di una mera integrazione, infatti, e che detta
integrazione trovi spazio grazie a un meccanismo che, sebbene
storicizzati, applichi canoni dotati da una buona dose di inafferrabilità
nella fase pre-applicativa, non agevola di sicuro un‟eventuale esigibilità
anticipata rispetto al danno.
(184) Cfr. S. CICCARELLO, cit., 255.
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Pur essendo fondata e preziosa, pertanto, la teorizzazione dei
canoni valutativi si rivela insufficiente sul piano della protezione perché
malgrado possa contribuire alla spiegazione di un fenomeno non supera il
dato della sua genesi e non spiega quale conquista è conseguita ad una
siffatta elaborazione.
Anche il tentativo di accomunare standards valutativi e clausole
generali, al fine di riconoscere ai primi un ruolo diretto nella nascita
dell‟obbligazione di protezione, è destinato a non avere esito positivo
(185). Gli standards valutativi sonoinfatti più vicini alle c.d. norme sociali
di condotta (186 ) che alle clausole generali; in particolare essi, più che
dettare criteri generali di orientamento per la condotta delle parti,
forniscono modelli comportamentali di fatto, in ciò dando vita
alleespressioni concrete in cui le clausole generali a loro volta si
traducono(187) e quindi un fenomeno a queste ultime subordinato e non
già parallelo.
(185) Sui rapporti tra standards valutativi e clausole generali si veda E. FABIANI,
Norma elastiche, concetti giuridici indeterminati, clausole generali, «standards»
valutativi e principî generali dell’ordinamento, in Foro it. 1999, I, 3558, 3653 ss., il
quale sostiene la distinzione tra le due nozioni, sulla base del fatto che si deve
«riconoscere alle clausole generali la valenza di “norme di direttiva” che delegano al
giudice la formazione della norma (concreta) di decisione vincolandola ad una
direttiva espressa attraverso il riferimento ad uno standard sociale che non si esaurisce
nell’indicazione di uno scopo, bensì indica una misura di comportamento».
(186) Cfr. L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in RCDP
1986, 12. Il carattere fortemente storico degli standards valutativi è messo in evidenza
nel raffronto con i principî fondamentali (dotati, invece, di preminente idealità), dallo
stesso A. FALZEA, cit., 13.
(187 ) Appare quindi corretto sintetizzare gli standards valutativi nel principale
strumento di adattamento e applicazione - o concretizzazione - della norma giuridica e,
quindi, di creazione della c.d. realtà giuridica. Cfr. A. FALZEA, cit., 9 ss.
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Tutto questo fa ritenere fondato sostenere che pur essendo
clausole generali e standards valutativivalidi strumenti di orientamento
per gli attori economici, nonché fondamentali elementi logicoargomentativi per e nella decisione giudiziale (188), non è facile arrivare
ad affermare che essi possano essere la fonte dell‟obbligazione di
protezione. Si deve viceversa confermare che,per quanto riguarda il
nostro ordinamento, la genesi del fenomeno protettivo deve essere
ricondotto in generale agli artt. 2, 36 e 41 Cost. (189), dai quali, con o
senza l‟intermediazione degli standards valutativi, deriva l‟accoglimento
delle istanze di sicurezza del contraente privato del potere di
autoprotezione, poi convogliate in un vincolo obbligatorio in senso
stretto grazie all‟art. 1173 c.c.
(188) Si ribadisce che non si vuole con questo escludere che dati non puramente
giuridici entrino nella formazione del diritto, soprattutto vivente. In accordo con C. M.
BIANCA, L’autonomia dell’interprete: a proposito del problema della responsabilità
contrattuale, in Riv. dir. civ. 1964, I, 478 ss., passim, si ritiene che essi siano un
indispensabile strumento di genesi ed evoluzione del diritto in modo idoneo a soddisfare
le esigenze socio-economiche della società in cui nasce ed opera.
( 189 ) Si noti che la solidarietà, sebbene secondo impostazioni rinnovate dalle
differenti ideologie che la invocano, è principio noto non solo alla nostra Carta
fondamentale, bensì riconosciuto a livello sovranazionale. Si pensi al Trattato che
istituisce una Costituzione per l‟Unione Europea (2004/C 310/01), che integra
inglobandola la Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione europea (2010/C 83/02), il
quale dedica il capo IV della parte II proprio al suddetto principio, specificandone
l‟aspetto imprescindibile in tutta una serie di settori non solo economicamente rilevanti.
Un riflesso internazionale del dovere di solidarietà può essere peraltro visto nell‟art. 28
della Dichiarazione universale dei diritti dell‟uomo del 1948, ove si legge che «Ogni
individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e la libertà
enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati».
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5. L’obbligazione di protezione. Patrimonialità e gratuità.
Nel corso del presente lavoro, è emerso con chiarezza che chi
scrive accoglie l'impostazione secondo la quale il fenomeno obbligatorio
non può essere visto come il mero scambio tra prestazione caratterizzante
e controprestazione, ma è un microcosmo nel quale siffatto concetto
essenziale è solo il nucleo attorno al quale altri interessi, non
necessariamente di inferiore rilievo, sono coinvolti ed altri contegni sono
dovuti (190).
Acquisita dal lettore questa consapevolezza, ad avviso di chi scrive
e avendo riguardo alcontenuto del fenomeno protettivoconriferimento al
trasporto, non è possibile parlare del primo come di un generico dovere o
di un mero obbligo di protezione, essendo maggiormente congeniale alla
fattispeciefin qui delineata la nozione di obbligazione (191 ). Per questa
via, anche nell‟ambito della sicurezza oramai, così come è dato
riscontrare in ogni terreno obbligatorio, le parti ottengono che i diritti ed i
( 190 ) L'assunto è peraltro da tempo consolidato nella dottrina italiana. V. C.
CASTRONOVO,La nuova responsabilità, cit., 133, 134. Lo steso Autore parla di
«rapporto complesso, all’interno del quale l’obbligo di prestazione è solo il nucleo
fondamentale di una struttura integrata da una serie di situazioni soggettive ad esso
funzionalmente connesse»; cfr.C. CARSTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del
terzo, cit., 133, 134.
(191) Ovviamente, là dove il concetto di obbligo sia inteso in senso proprio e non
nel caso in cui sia utilizzato come sinonimo di obbligazione, come fa C. CASTRONOVO,
La nuova responsabilità, cit., passim.
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100
doveri rispettivi siano definiti con la massima certezza e che ciascuno sia
vincolato alle obbligazioni nascenti dal rapporto (192).
Fatte queste premesse, a sostegno della tesi della natura di
obbligazione in senso stretto del dovere protettivoè necessario esaminare
gli aspetti che possono destare una maggiore perplessità con riferimento
agli obblighi di protezione: patrimonialità e determinatezza o
determinabilità della prestazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è noto che il carattere della
patrimonialità nella prestazione sussiste anche quando questa non è
produttiva di un vantaggio economico nella sfera giuridica del creditore
( 193 ).Partendo quindi dall‟assunto secondo il quale la prestazione non
deve necessariamente condurre ad un arricchimento materiale del
creditore (art. 1174 c.c.), la valutabilità economica è un concetto che a
sua volta riflette l‟apprezzabilità, in un determinato contesto socioeconomico, del fatto che un certo contegno sia dovuto sulla base di un
vincolo giuridico a fronte di un sacrificio patrimoniale della controparte.
In altre parole, la patrimonialità è la traducibilità in termini monetari
dell‟importanza del comportamento dedotto in contratto, a prescindere,si
(192) Sulla base, pertanto, del tipico ruolo del diritto nella relazione sociale di tipo
contrattuale così come definito da P. STEIN – J. SHAND, I valori giuridici della civiltà
occidentale, Milano, 1981, 39, 40.
(193) La patrimonialità, secondo l‟interpretazione più rigorosa, è un carattere e
non un requisito della prestazione in quanto serve semplicemente per distinguere
un‟obbligazione (che, per l‟appunto, ha ad oggetto una prestazione dal carattere
patrimoniale), da un mero obbligo. Cfr. P. RESCIGNO,Obbligazioni, cit., 137, 138; A.
CHIANALE, Obbligazione, in Dig. disc. priv. XII/1995, Torino, 337, 341.
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101
noti, dalla natura pecuniaria della controprestazione (
194
). Detta
impostazione, peraltro, sorregge tutta la vita della prestazione e
dell‟obbligazione ed è particolarmente evidente nell‟eventuale fase
patologica dell‟inadempimento, quando l‟interesse del creditore è
soddisfatto dal risarcimento surrogatorio della prestazione ( 195).
Se, dunque, quello che la patrimonialità misura è la semplice
valutabilità economica della prestazione, tale aspetto è innegabilmente
presente nella prestazione di protezione al pari di quella caratterizzante.
Ci si domanda di conseguenza se possa ipotizzarsiche il passeggero
acquisti la prestazione di protezione e se, pertanto, egli possa avanzare
richieste restitutorie nel caso in cui giunga incolume a destinazione
malgrado la mancata adozione delle misure di protezione.
A tale quesito deve essere data risposta negativa. Sebbene, infatti,
non sia escluso che l'attività protettivapossa persino divenire oggetto di
un'implementazione oltre i limiti normativamente imposti in virtù una
(194) La patrimonialità, infatti, può anche derivare dalla volontà delle parti, come
nel caso della pattuizione di un corrispettivo o dell‟inserimento nel contratto di una
clausola penale, ipotesi in cui la valutazione convenzionale monetizza la prestazione,
come affermaA. CHIANALE, Obbligazione, cit., 340; nello stesso senso M. GIORGIANNI,
Obbligazione, cit., 585. Emblematiche in tal senso son le parole di R. MICCIO, Delle
obbligazioni, cit., 9: «la valutabilità economica consiste in un apprezzamento relativo
soggettivo per eccellenza, poiché la valutazione è atto dell’uomo e come tale non può
venire cristallizzata in un denominatore comune ed immutabile», quale sarebbe quello
del carattere oggettivamente patrimoniale della prestazione.
(195) Secondo la teoria generale delle obbligazioni, la delusione dell'aspettativa
creditoria «richiede un surrogato della cooperazione mancata» perché «accanto
all'interesse alla prestazione sorge nel creditore un interesse surrogatorio a conseguire
quel surrogato che gli è dovuto in seguito alla delusione della sua aspettativa che può
essere, sia reintegrazione in forma specifica (es. restituzione), sia risarcimento del
danno, così come è contemplato nell'art. 1123»,E. BETTI, Teoria generale, cit., 109, ma
anche 51 e 52; P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 186.
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strategia imprenditoriale di incentivazione della domanda ( 196), pare da
escludere la possibilità di individuare un autentico compensodestinato a
costituire
la
controprestazione
della
prestazione
di
protezione.Quest‟ultima, infatti, pur essendo essenziale al pari di quella
di trasferimento, non necessita di alcuna controprestazione da parte del
passeggero stante la sua natura legale; il passeggero, al più, è tenuto a
collaborare ai fini dell‟adempimento della stessa.
Non sembrainvece avere un ruolo nella gratuità della prestazione di
protezione l‟impossibilità di valutarne economicamente in via preventiva
la portata (197). La prassi di predisporre protocolli di sicurezza a cui gli
stessi vettori si impegnano ad adeguarsi, infatti, consente una certa
possibilità di stima del contenuto della prestazione di protezione e del
relativo valore economico. É pur vero che trattasi di prestazione dal
contenuto variabile ma, del resto, anche la stessa prestazione di
trasferimento contiene una certa variabilità a seconda della contingenza.
Si aggiunga, inoltre, che non si deve cadere nell'errore di ritenere che la
prestazione di protezione debba essere adempiuta in modo tale da far
fronte all'imprevedibile, assunto che renderebbe la prestazione in
questione in assoluto indeterminabile. L'adempimento della prestazione
di protezione, infatti, ha due limiti che ne disegnano i contenuti: la
prevedibilità del sinistro ed il fatto che lo stesso rientri nella sfera di
(196 ) U. CAMARDA, La sicurezza nel diritto della navigazione: molteplicità di
norme ed unicità di approccio sistematico, in Dir. trasp. 2010, 261, 262.
(197) Così A. ZAMPONE, Il rischio,cit., 55.
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azione e precauzione del vettore, diversamente ricorrendo un'ipotesi
diversa dalla relativa responsabilità per inadempimento (198).
Ritornando al quesito pocanzi posto, questa mancanza di
corrispettività e, quindi, la gratuità della prestazione di protezione,si
riverbera inevitabilmente sui rimedi esperibili in caso di mancata
adozione delle misure di sicurezza e di tutela da parte del
vettore.Mancando, infatti, un autentico corrispettivo è da ritenere che non
possa essere chiesta la riduzione del prezzo o la sua restituzione;
l‟autonomia tra le due prestazioni di trasferimento e di protezione porta
in aggiunta ad escludere che la prima possa avere un valore ridotto a
causa delle lacune della seconda, lasciando praticabile solo la via della
risoluzione dell‟intero contratto di trasporto (giustificata dall‟essenzialità
della protezione), e del risarcimento del danno (199).
(198) Anticipando per sommi capi quanto sarà meglio spiegato nel III capitolo,
l‟ipotesi richiamata è quella dell‟impossibilità dell‟adempimento della prestazione di
protezione. È dedicato al tema l‟intera opera di A. ZAMPONE, Il rischio, cit.
(199) Sul punto si veda meglio L. TULLIO, Interventi interpretativi, cit. 367, 368.
Tuttavia, secondo parte della dottrina l‟assistenza dovuta ai sensi dell‟art. 9 del reg.
(CE) 261/06 non sostanzia un obbligo di protezione ma una forma di risarcimento
anticipato del danno patrimoniale, nella forma del danno emergente, subìto dal
passeggero per l‟attesa in aeroporto. Cfr. S. GIACOBBE, La responsabilità del vettore
aereo per ritardo, in Studi su: negato imbarco, cancellazione del volo e ritardo nel
trasporto aereo (a cura di M. Deiana), Cagliari, 2005, 152.
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104
6.
(Segue)
Determinatezza
o
determinabilità
della
prestazione protettiva.
Vi è quindi da domandarsi se la prestazione protettiva sia
determinata o determinabile nel momento in cui inizia l'esecuzione del
contratto e sedebba ritenersi che essa abbia un «contegno di
cooperazione ben circoscritto»(200).
Preliminarmente deve essere ricordato che determinatezza e
determinabilità sono posti dal legislatore italiano sullo stesso piano; ciò
significa che affinché di prestazione si parli correttamente è sufficiente
che nel contratto «vi siano indici attraverso i quali giungere a
determinare la prestazione», la quale potrà benissimo essere determinata
nel corso dell‟adempimento (201), anche in virtù di fonti diverse da quella
da cui è scaturito il contratto ed è esattamente ciò che accade nella
prestazione di protezione.
Più precisamente, esaminando le fonti nel diritto della navigazione
marittima ed aerea ci si accorge che la prestazione di protezione è
determinatasia dal punto di vista sostanziale, sia dal punto di vista
temporale, nel senso che essa si concreta nell'obbligo del vettore di
(200 ) E. BETTI, Teoria generale, cit., 46. Secondo R. NICOLÒ, L’adempimento
dell’obbligo altrui, Milano, 1936, 61, nota 78, la prestazione, anche quando intesa come
strumento per il conseguimento da parte del creditore di una data utilità, si sostanzia
sempre e comunque in una certa attività positiva o negativa del debitore. Di
conseguenza la prestazione, avendo sempre come oggetto il comportamento del
debitore, dovrebbe altresì avere un contenuto prevalentemente determinato dalle parti.
(201) Così P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 189.
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adottare tutte le misure opportune al fine di evitare che un accident o un
incident (marittimo o meno che sia) cagioni un danno (bodily o personal
che sia), al passeggero durante l‟arco temporale in cui si ritiene che
questi sia incapace di autoproteggersi, nonché di far sì che, nello stesso
periodo, danni di ogni sorta o disagi possano derivare da un proprio
disservizio( 202 ); l'ipotesi è, pertanto, che la prestazione di protezione
comporti l'adozione di tutti le misure di sicurezza previste dallo stesso
vettore o suggeriti dalla contingenza, essendo il vettore chiamato a
rispondere della loro mancata o inesatta o incompleta adozione e dei
conseguenti danni (203).
In concreto poi, sono le circostanze che di volta in volta si
verificano
a
stabilire
quali
comportamenti
ne
costituiranno
l‟adempimento in un doppio livello che, a ben vedere, rispecchia lo
schema tipico delle obbligazioni di risultato (204).
(202) A. ZAMPONE, cit., esclude che il contenuto della prestazione di protezione
possa essere determinato a priori in via astratta e parla perciò di «obbligo a contenuto
aperto». In effetti, la protezione e la sicurezza sono obiettivi che possono essere
raggiunti o, perlomeno, perseguiti con misure che variano a seconda della tipologia di
trasporto di cui si tratta, del mezzo, delle condizioni di viaggio, e via dicendo. Tuttavia,
esistono strumenti, quali disciplinari, bestpractices, regolamenti interni, e via dicendo,
che ben possono istruire il vettore sulle misure concretamente idonee ad adempiere alla
prestazione protettiva. A ciò si aggiunga che i regolamenti comunitari in materia
assegnano un contenuto specifico ad alcuni aspetti della tutela del passeggero.
( 203 ) Questa impostazione porta ad escludere che le ipotesi normativamente
previste secondo le quali il vettore risponde per morte o lesioni del passeggero che
avvengano malgrado l'esatto adempimento dell'obbligazione di protezione, rientrino
nella categoria degli obblighi di protezione. Sul punto si veda infra § 5, cap. III.
(204)Sulla distinzione la letteratura è sterminata, ma per i suoi tratti fondamentali
ed i suoi aspetti critici possono essere citati alcuni scritti fondamentali, quali: L.
MENGONI, Obbligazioni «di risultato», cit., 180 ss.e 371 ss.; A. CHIANALE,
Obbligazione, cit., 341; M. GIORGIANNI, Obbligazione, cit., 581, 598;V. DE LORENZI,
Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Dig disc. priv. XII/1995, 397 ss. Al
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A fronte di questo assunto, deve però osservarsi che non sarebbe
comunque corretto, con riferimento all‟obbligazione di protezione nel
trasporto, parlare di obbligo di “garantire l'incolumità della persona” o di
“rendere una persona sana e salva”, ovvero usare simili formule, giacché
una tale impostazione sortirebbe effetti paradossali.
In primo luogo, l‟attività di protezione vettoriale sarebbe tanto
intensa da rendere il trasporto di persone non dissimile dal trasporto di
cose, con l‟azzeramento della libertà di movimento e autodeterminazione
del passeggero ( 205 ); in secondo luogo, il vettore sarebbe tenuto a
prestazioni che vanno ben oltre il mero trasporto e la mera collaterale
protezione, dovendosi altresì prodigare in interventi considerevolmente al
di fuori di quelli che può fornire un soggetto che non abbia competenze
medico-chirurgiche ( 206).
Tuttavia, non sembra corretto neppure definire il contenuto della
prestazione di protezione come un dovere di semplice vigilanza sul
riguardo, si noti che una delle più interessanti obiezioni alla possibilità di supportare la
distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato è quella che fa leva
sull‟unicità del regime di responsabilità, per cui essa al più inciderebbe sul giudizio di
impossibilità dell‟attività nelle prime e della realizzazione della finalità nelle seconde,
come correttamente afferma C. BIANCA, L’obbligazione, cit., 71 ss. Tuttavia, l‟attuale
disciplina del trasporto aereo e marittimo di persone supera questo ostacolo, proprio
perché tende ad assicurare il risultato dell‟integrità del passeggero, prevedendo una
responsabilità non basata sulla colpa – e, per certi versi, neppure sul nesso eziologico in caso contrario.
( 205 ) In questo si condividono pienamente le considerazioni di U. MAJELLO,
Custodia, cit., 112, v. anche nota 23.
(206) Corretta è, quindi, l'osservazione in tal senso fatta da U. MAJELLO, cit., 127.
Si ricordi, tuttavia, che l'illustre Autore nega con forza la natura di autonoma
prestazione del dovere di protezione, sostenendone invece la riconducibilità al dovere di
diligenza quale criterio di imputabilità delle lesioni o della morte del passeggero al
vettore, U. MAJELLO, cit., 130 e passim..
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passeggero diretto a renderlo incolume da pregiudizi ( 207).Esiste, infatti,
una via alternativa che si sostanzia in uninsieme di vigilanza, misure
precauzionali e misure riparatorie che confluisce nell'obbligazione di
protezione e che, pur essendo ad essa finalizzata, non deve
necessariamente condurre alla salvezza del passeggero o al ripristino del
suo stato di salute per ottenere l‟arrivo a destinazione incolume.Resta
infatti la possibilità che, pur a seguito del compimento da parte del
vettore di ogni attività di sicurezza e protezione opportuna, il passeggero
subisca delle lesioni, ipotesi che apre la strada a interrogativi
fondamentali che attualmente hanno sostituito, in tema di vivacità
dialettica, quelli sull‟autonoma configurabilità dell‟obbligazione di
protezione che fino a non tanto tempo fa costituivano il cuore del
problema. Tra le altre cose, ci si domanda se possa essere corretto
affermare semplicemente che il passeggero abbia diritto ad un trasporto
sicuro o se sia meglio discorrere di sicurezza e protezione nel trasporto.
7. Critiche alla teoria del “trasporto sicuro”.
(207) Cfr. U. MAJELLO, cit., 127. In senso conforme A. ZAMPONE, Il rischio, cit.,
141; in senso contrario A. ASQUINI, La responsabilità del vettore, cit., 357 ss.
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Di sicuro interesse nelle parole del legislatore nazionale e
sovranazionale èil fatto di aver messo in luce come l'aspetto protettivo
travalichi l'interesse meramente pubblicistico e solidaristico generale,
collocandosi
all'interno
del
rapporto
obbligatorio
in
modo
imprescindibile.Questa premessa di fondo, tuttavia, se ha messo un punto
fermo sull‟inammissibilità di un trasferimento posto in essere senza
misure protettive adeguate, ha evidenziato un altro dibattito: quello sul
rapporto tra il trasferimento e la protezione.
A tale riguardo è interessante notare che secondoparte della
dottrina la protezione è sostanzialmente connaturata alla causa del
contratto di trasporto di persone, di talché l'ipotesi del trasferimento del
passeggero che accettasse di viaggiare esonerando preventivamente il
vettore da responsabilità per morte o lesioni è ricondotta ad un caso di
nullità del contratto per mancanza di causa ( 208).La tesi dell‟integrazione
causale,
tuttavia,
comporta
tuttavia,
un‟inversione
di
marcia
nell‟evoluzione del fenomeno protettivo poiché provoca la conseguenza
di considerare la protezione come un mero aspetto, sebbene essenziale,
della prestazione di trasferimento.
Più precisamente, l‟assunto è in contrasto con due aspetti.
(208) Così G. CAMARDA, La sicurezza, cit, 261, 263. Secondo parte della dottrina,
anche qualora non si accogliesse la tesi della nullità del contratto che obliterasse in toto
gli aspetti protettivi a carico del debitore per mancanza di causa, la stessa ben potrebbe,
nel caso in esame, essere illecita per contrarietà a principî di ordine pubblico. Questi
ultimi, infatti, contenuti nella Costituzione o in Carte sovranazionali, ricomprendono
indiscutibilmente il valore della salute e della sicurezza alla stregua di diritti
fondamentali della persona inviolabili sia dal legislatore, sia dal singolo. Cfr. E. ROPPO,
Il contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iudica – P. Zatti), Milano, 2011,
78, 79.
VANNA CUCCU, Gli obblighi di protezione (profili in tema di contratto di trasporto)
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109
Il
primo,
di
natura
empirica,
riguarda
l‟ampiezza
degli
adempimenti in cui si articola la prestazione di protezione che non appare
come un mero contorno della prestazione di trasferimento. Essa, infatti,
così come trae origine dalla disciplina nazionale e non, ha un carattere
tanto ampio da comprendere anche lesioni subìte dal passeggeroprive di
collegamento con l‟attività di trasferimento in senso stretto ( 209 ); in
considerazione di ciò, è evidente la misura in cui parlare della protezione
come di integrazione causale del contratto di trasporto non è corretto
(210).
Il secondo, di natura positiva e sostanziale, lo si è già messo in luce
quando si è detto che il divieto di patti in deroga alla responsabilità del
vettore per i sinistri occorsi al passeggero altro significato non può avere
se non quello di riconoscere l‟autonoma esistenza di un‟obbligazione
avente ad oggetto la protezione. La norma, rinvenibile nell‟ordinamento
nazionale come specificazione del principio di cui all‟art. 1129 c.c., è ben
nota anche alla normativa europea e internazionale (211) ed ha una portata
fondamentale nel sostenere la tesi dell‟autonomia dell‟obbligazione di
(209)Si pensi all‟ipotesi dei danni causati dalla molestia del passeggero seduto nel
sedile accanto, come nel celebre caso Morris v. KLM Royal Dutch Airlinine deciso dalla
U.K. C.A. 17 marzo 2001.
(210) Sarebbe invece corretto se si parlasse genericamente di «giungere in modo
sicuro e confortevole a destinazione», come fa C. BIANCA, cit., 42. Tuttavia,
l‟espressione appare più come un‟esatta sintesi del mero programma negoziale e del
relativo risultato utile perseguito. Gli effetti di tale programma poi, si traducono nelle
obbligazioni di trasferimento e di protezione, di fonte, rispettivamente, volontaria e
legale.
(211) Art. 1681c.c., comma secondo, art. 23 CV, art. 26 CM e art. 18 PAL. Si
veda G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 77.
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protezione rispetto a quella caratterizzante. Una simile specificazione,
infatti, non avrebbe senso se la protezione fosse solo una componente
dell‟obbligazione principale perché una lacuna nella prima si
rifletterebbe automaticamente nell‟inadempimento della seconda, senza
bisogno di ulteriori precisazioni (212).
Alla tendenza che ritiene che trasferimento e sicurezza convergano
in un unico ambiente causale per cui la prestazione del vettore si
sostanzierebbe nel condurre il passeggero da un luogo ad un altro sano e
salvo (213), si è conseguentemente contrapposta quella che punta sul dato
positivo, affermando che la specificazione da parte del legislatore in seno
all‟art. 1681 c.c. in relazione ai sinistri che colpiscono la persona del
passeggero durante il viaggio sia sintomatica dell‟esistenza di una
distinta fattispecie contrattuale protettiva che si affianca a quella di
spostamento (214).
Un aspetto criticabiledella teoria del “trasporto sicuro”lo si rinviene
inoltrein un discorso di logica equità che si sviluppa da una fondamentale
domanda: se il vettore può giustificatamente interrompere o non
(212) La disposizione, pertanto, non può che riferirsi ad un obbligo autonomo,
come afferma G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 78; C. CASTRONOVO, Obblighi di
protezione, cit., 145 ss.
(213) U. NATOLI,L’attuazione del rapporto obbligatorio, cit., 18 ss. afferma che il
contenuto di sicurezza è parte integrante del contratto di trasporto e mero momento di
specificazione della prestazione principale in quanto finalizzato al corretto
adempimento di quest‟ultima. Sull‟argomento si veda anche U. BRECCIA, Diligenza e
buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, 72 ss.
(214)Cfr. C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione, 145 ss.
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111
compiere il viaggio per causa non imputabile e quindi viene meno la sua
responsabilità per inadempimento, deve ritenersi che cessino anche i
doveri di protezione verso il passeggero?
Se si rispondesse positivamente al quesito, il passeggero potrebbe
essere abbandonato a sé stesso in qualsiasi momento; viceversa, in caso
di risposta negativa si dovrebbe ritenere che il vettore, pur potendo non
effettuare il trasporto debba, quantomeno, adottare tutte le misure idonee
a garantirne l‟incolumità.
È quindi necessaria una risposta che consenta di svincolare la
protezione dalle vicende del trasferimento, a prescindere dal fatto che
questo sia o meno oggetto di un corretto adempimento. In questo modo la
protezione può beneficiare di un‟estensione applicativa maggiore,
abbracciando anche periodi che, in caso contrario, sarebbero assistiti da
un mero dovere di protezione extracontrattuale.Infatti, sostenendo la tesi
dell‟integrazione
causale,
venuto
meno
il
vincolo
negozialeal
trasferimento, il dovere di protezione dovrebbe ricollegarsi al generale
principio del neminem laedere, il quale impone semplicemente di evitare
che le proprie azioni possano dolosamente o colposamente arrecare
pregiudizio ad altri; detto dovere, pur potendo consistere sia in un
contegno negativo di mera astensione,sia anche positivo di attivazione,
non potrebbe mai arrivare ad imporre un determinato comportamento
protettivo a favore di un destinatario individuato. Ecco perché il dovere
di garantire la sicurezza ad un preciso individuo non può che ricollegarsi
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112
ad un vincolo obbligatorioin forze e un siffatto vincolo non può derivare
dalla semplice obbligazione di eseguire un “trasporto sicuro”, a meno che
si ritenga che essa inizi il suo adempimento prima e termini dopo
rispettivamente l‟inizio e la fine del puro trasferimento, e che trovi
adempimento anche in caso di mancato trasferimento, ipotesi inutilmente
complessa e, soprattutto, lontana dal dato positivo.
8. La posizione dell’obbligazione di protezione nella logica
negoziale tra accessorietà e strumentalità. La legale collateralità.
Nella breve rassegna introduttiva di questo lavoro si è fatto un
resoconto delle principali elaborazioni teoriche italiane ed estere, remote
e recenti, in tema di obblighi di protezione e si è così messo in evidenza
che ciò che è stato definito come doveri o obblighi di protezione, a
prescindere dalla fonte e in linea con la teorizzazione tedesca, ha
tradizionalmente riguardato vicendevoli obblighi che accompagnano la
prestazione
oggetto
dell‟obbligazione
e
che
sono
finalizzati
all‟ottenimento di un adempimento della stessa che sia esatto e non
pregiudizievole rispetto alla persona ed ai beni della controparte, pur nel
presupposto che gli obblighi di protezione «sorgono al di fuori del
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113
contratto e anche a prescindere da esso» (215).Nella stessa sede, si sono
più volte manifestati i dubbi di chi scrive sulla correttezza del carattere
assoluto che si tende ad assegnare ad un fenomeno protettivo così
delineato.
Peraltro, che il fenomeno protettivo non si risolva in questo
l‟aveva già intuito Betti, con la sua distinzione, all‟interno dei prodotti
della buona fede e della correttezza, tra obblighi integrativi primari (e
autonomi) ed obblighi integrativi strumentali (ma privi di autonomia)
(216).
La teoria di Betti, tuttavia, è stata definita in alcune elaborazioni
più recenti alla stregua di una superfetazione, posto che i doveri
integrativi, primari o secondari che siano, essendo ben lontani
dall‟aggiungere contenuti all‟obbligazione, si risolverebbero sempre e
comunque in una mera specificazione del contenuto dell‟obbligazione
principale ( 217 ); di conseguenza, la loro eventuale violazione darebbe
luogo semplicemente ad un inadempimento della prestazione principale
(218). In altre parole, lungi dall‟aver individuato il terreno operativo degli
(215) L. LAMBO, Obblighi, cit., 58.
(216) Cfr. E. BETTI, Teoria generale, cit., 90, 96. Si veda, supra, pag. 74 ss.
(217) La tesi, già propugnata da U. BRECCIA, Diligenza e buona fede, cit., 72 ss., è
stata più di recente sostenuta da L. LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 87 ss.
(218) Cfr. L. MENGONI, cit., 370, il cui pensiero in tal senso è stato ripreso da L.
LAMBO, Obblighi di protezione, cit., 88, 89.
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obblighi di protezione, Betti avrebbe solo reso artificiosamente più
articolata l‟operatività del principio di buona fede.
Orbene, è vero che la tesi dell‟illustre giurista possiede punti
criticabili, ma non pare corretto sintetizzarli nell‟inutilità. Viceversa,
l‟elaborazione di Betti ha inaugurato la via della molteplicità e settorialità
del fenomeno protettivo, affermando l‟inesattezza dell‟approccio che
parla indistintamente di obblighi di protezione. Betti, infatti, si è reso
primo portatore nella dottrina italiana della consapevolezza del fatto che
in seno ad un‟obbligazione vige non solo l‟obbligo di cooperare per
raggiungere il soddisfacimento dell‟interesse della controparte, ma altresì
il diritto di esigere da quest‟ultima il rispetto dell‟integrità della propria
sfera giuridica ( 219), in ciò distinguendo tra contenuti protettivi bilaterali e
funzionali al corretto adempimento e impegno protettivo unilaterale
autonomo rispetto all‟oggetto dell‟obbligazione allo stato puro (220 ). A
ciò è funzionale la stessa elaborazione di una terminologia nuova, volta a
superare, in maniera più che condivisibile, l‟accostamento generico alla
materia.
Ripercorrendo l‟insegnamento dell‟illustre giurista, pertanto, resta
da chiarire quale ruolo abbiano gli obblighi di protezione nella loro veste
contemporanea all‟interno della dinamica negoziale.
(219) Cfr. E. BETTI, Teoria generale, cit., 67.
(220) Punto sul quale, come si è visto in precedenza, persino l‟acuto pensiero di
Mengoni opera una discutibile sovrapposizione.
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115
Prima di svolgere qualsiasi approfondimento in merito, è bene
riepilogare in sintesi quali tesi si siano contese il campo fino ad oggi in
merito al ruolo degli obblighi protettivi all‟interno del fenomeno
obbligatorio.Pertanto, ad eccezione delle ricostruzioni che hanno ritenuto
di dover negare alla protezione, nell‟ambito di un contratto che possa
comportare una modifica peggiorativa dello status quo della controparte,
il ruolo di autonoma obbligazione, considerandola invece alla stregua di
un fine pratico legato al più alla diligenza ( 221 ) e quindi premessa
l‟autonomia dell‟obbligo di protezione, in generale si può affermare che
alriguardo il campo è stato conteso tra le due teorie dell‟accessorietà e
della strumentalità (222).
In estrema sintesi, se si analizza la disciplina delle obbligazioni
accessorie, è evidente il dato della precarietà della loro sorte,
inscindibilmente legata a quella dell‟obbligazione principale di talché, in
( 221 ) Cfr. U. MAJELLO, Custodia, cit., passim. In merito si può aggiungere a
quanto detto in precedenza che è forse proprio il rifiuto di concepire la protezione come
attività di intervento che si aggiunge ad un mero stato vigile da parte del debitore ad
aver condotto facilmente alcuni autori a negare il rango di autonoma obbligazione al
fenomeno in esame, non consentendone una descrizione precisa. In tal senso si esprime
anche R. MICCIO, Delle obbligazioni in generale, cit., 40 ss.
(222) Posto che la maggior parte degli autori propende per la natura accessoria
degli obblighi di protezione, sono a favore della strumentalità: S. CICCARELLO, Dovere
di protezione, cit., 261, che parla di «occasionale strumentalità» dell‟obbligo legale di
protezione nel senso che «il valore della persona è autonomo e come tale è tutelabile
ma può accadere che la sua mancata tutela determini l’impossibilità di adempiere
l’obbligazione specificamente prevista, come avviene ad esempio nel contratto di
trasporto di persona»; S. BUSTI, Contratto di trasporto aereo, in Trattato di diritto
civile e commerciale (a cura di Cicu – Messineo), XXVI, tomo III, Milano, 2001, 160
ss.; A. ANTONINI, Corso di diritto dei trasporti, Milano, 2008, 210. Si noti che spesso i
due concetti dell‟accessorietà e della strumentalità sono associati in un solo assioma
appiattendone, pertanto, i profili distintivi. Cfr. Cass. 16 novembre 2006 n. 24391 con
riferimento all‟obbligazione di custodia. Sostiene l‟accessorietà della protezione rispetto
al trasporto A. ASQUINI, La responsabilità, cit., 350.
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linea di principio, le prime non possono esistere senza la seconda e,
venuta meno quest‟ultima, cessa la ragion d‟essere delle prime ( 223 ).
L‟accessorietà, infatti, si sostanzia in un legame labile e occasionale
finalizzato al mero rafforzamento (o alla semplice agevolazione)
dell‟obbligazione principale(224) oppure dovuto a mera opportunità(225) e
perciò normalmente rimesso alla libera scelta delle parti (226).
Strumentalità
significa
invece
essenzialità
finalistica.
Le
obbligazioni strumentali si affiancano ad altre obbligazioni di cui
costituiscono il supporto finalizzato al corretto e completo adempimento,
sicché il venir meno dell‟obbligazione strumentalepuò pregiudicare
l‟esistenza di quella caratterizzante, pur non privandola di per sé di
giustificazione. Esse non sono autonomamente esigibili proprio perché
sono strettamente legate all‟obbligazione principale; di conseguenza la
loro rilevanza si apprezza solo in quanto dal loro inadempimento sia
( 223 ) Anche se non è escluso che l‟obbligazione accessoria si formi
compiutamente pur nell‟eventualità dell‟esistenza di quella principale come accade nel
caso della fideiussione per debito futuro o condizionale. Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di
protezione, cit., 39.
(224) Come nel caso della fideiussione prestata a garanzia del contratto di mutuo.
( 225 ) Si pensi alla fornitura del vitto e dell‟alloggio a bordo di un mezzo di
trasporto o al trasporto del bagaglio. Cfr. A. LEFEBVRE D‟OVIDIO – G. PESCATORE– L.
TULLIO, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2013, 428 ss.
(226) Tra l‟obbligazione principale e quella accessoria esiste «un collegamento
unilaterale nel senso che quella accessoria segue sempre le sorti di quella principale,
mentre di regola non avviene il contrario». Viceversa, se l‟obbligazione accessoria è
affetta da invalidità, quella principale rimane valida, anche se vi possono essere casi in
cui l‟obbligazione accessoria segue una sorte diversa rispetto a quella principale (cita
l‟esempio della fideiussione). Cfr. P FRANCESCHETTI – M. MARASCA, Le obbligazioni,
in Trattato di diritto civile (a cura di P Franceschetti), Santarcangelo di Romagna, 2008,
73 e 74.Sull‟accessorietà si veda, P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 147.
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117
derivato l‟inadempimento della prestazione principale (
227
). La
strumentalità, quindi, comporta una certa dose di funzionalità, per cui pur
essendo ciascuna obbligazione autonoma, il mancato adempimento
dell‟obbligazione strumentale compromette o rende impossibile la
corretta esecuzione di quella principale, potendosi con ciò affermare che,
in definitiva, l‟obbligazione strumentale completa quella principale (228).
Fatte queste precisazioni e trasponendo il discorso dalla teoria
delle obbligazioni alla concreta struttura del contratto di trasporto, non si
(227) Cfr. L. LAMBO, Obblighi, cit., 88.
( 228 ) Vi è chi è stato capace di individuare un punto di discrimine tra
strumentalità ed integrazione, ricomprendendo la protezione della persona in
quest‟ultima fenomenologia; in particolare, mentre qualificando l‟obbligazione di
protezione come strumentale essa manterrebbe la propria autonoma configurazione pur
perdendo la propria autonoma azionabilità, lo schema dell‟integrazione comporterebbe
l‟assorbimento dell‟obbligazione protettiva da parte di quella principale, di talché
quest‟ultima si arricchirebbe di ulteriori profili di sicurezza. Cfr. S. CICCARELLO,
Dovere di protezione, cit., 45 ss. In questo modo l‟Autore giustifica l‟inserimento
autoritativo ex lege della protezione nella dinamica del rapporto (61). Tuttavia, se si
sostiene che l‟adempimento della prestazione principale può prescindere dalla
protezione al punto di negarne l‟accessorietà, sembra a maggior ragione dovuto il rifiuto
dell‟integrazione, posto che quest‟ultima comporta l‟imprescindibilità assoluta del
contenuto integrativo rispetto a quello integrato. Forse per questo l‟Autore, malgrado, si
ribadisce, affermi che la protezione è frutto dell‟integrazione legale del rapporto
obbligatorio, definisce più avanti come strumentale la protezione nel trasporto di cose o
persone (104 ss.) e ne profila, addirittura, la natura di obbligazione autonoma (112,
132). L‟Autore, peraltro, sembra cadere nella falsa alternativa tra autonomia e
accessorietà, là dove afferma che «se si volesse pervenire ad una qualificazione tecnica
di questo rapporto di dipendenza, occorrerebbe dimostrare che il legame tra
obbligazione principale (nella prospettiva dell’adempimento) e obbligazione accessoria
(dovere di protezione) comporta precise implicazioni giuridiche […] ma siccome è ben
possibile ipotizzare un adempimento che prescinda dalla protezione e una idonea
protezione pur nel contesto dell’inadempimento dell’obbligazione principale, sembra
legittimo concludere che non è conducente una qualificazione del dovere di protezione
come obbligazione accessoria» .ID, cit., 43, 44. Si veda a tal proposito L. TULLIO,
L’obbligazione di protezione nel trasporto marittimo e aereo, cit., 349, 352, secondo il
quale l‟alternativa tra accessorietà e autonomia «è un problema scorrettamente
impostato, perché l’alternativa alla autonomia non è l’accessorietà ma la
strumentalità».
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può che rigettare la tesi della strumentalità degli obblighi di protezione ed
optare, al massimo, per la loro funzione accessoria (229).
Tuttavia, anche la ricostruzione in termini di mera accessorietà
può per certi versi non essere pienamente soddisfacente. Basti pensare
che di là dei casi in cui è la stessa protezione l'oggetto della prestazione
caratterizzante, qualsiasi attività può essere teoricamente svolta e portata
a termine senza la simultanea protezione. Ciò che si vuole dire è che, se
non si tiene conto delle conseguenze infauste che ne possono derivare
(ma che fortunosamente possono anche non verificarsi) e della
conseguente essenzialità e naturalità della sicurezza, l'attività materiale in
sé e per sé oggetto della prestazione caratterizzante può ben avere luogo
senza il supporto della protezione. L'affermazione è banale ma è dovuta
perché fondamentale per conoscere e comprendere la struttura degli
obblighi di protezione è sezionare con precisione chirurgica il rapporto
obbligatorio, con ciò mettendo in evidenza componenti note e meno note.
Un‟autorevole e condivisibile opinione sull‟argomento fornita da
Rescigno ha peraltro, all‟interno della vicenda obbligatoria, distinto
l‟esistenza di un «rapporto fondamentale» rispetto – e contrapposto - a
tutti quelli che dallo stesso derivano e che attorno allo stesso si ordinano.
A tal fine l‟Autore cita, tra le altre ipotesi, proprio i «doveri di protezione
posti a carico del debitore quando l’esecuzione della prestazione possa
(229) Si accoglie, pertanto, la tesi di L TULLIO, L’obbligazione di protezione, cit.,
352.
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procurare od accrescere le occasioni di lesione alla sfera dell’integrità
personale o patrimoniale del creditore», precisando che la posizione di
detti ulteriori rapporti rispetto al rapporto fondamentale deve essere
valutata di volta in volta, non potendosi aprioristicamente ricondurre al
modello della strumentalità o dell‟accessorietà. Per Rescigno, pertanto, è
meglio parlare di semplice connessione e attuare un‟autonoma
considerazione di detti rapporti, soprattutto tenendo conto «delle
specificità del loro contenuto […] anche prescindendo dall’evolversi e
dal compimento dell’intera operazione», con la conseguenza che ognuno
di questi rapporti connessi con il vincolo fondamentale meriterà una
valutazione a sé in termini di buona fede e dovere di correttezza,
valutazione capace di superare «il momento e le finalità della formazione
del consenso contrattuale» (230).
Ambedue le prestazioni, caratterizzante e protettiva, sono quindi
da considerarsi autonome me essenziali sia da un punto di vista
strutturale, sia da un punto di vista funzionale (231); esse sono pertanto
imprescindibili ma singolarmente azionabili sia in via anticipata e
preventiva, sia in sede successiva e riparatoria, e sono altresì prive di
interdipendenza in sede di adempimento (
232
). Ciò che detta il
(230) P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 147, 148.
(231) I caratteri dell'autonomia e dell'essenzialità sono espressamente riconosciuti
all'obbligazione di protezione anche da A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 36, e passim. In tal
senso si veda anche AA. VV., Codice dei trasporti, cit., 490.
( 232 ) Anche quando la c.d. obbligazione principale sia stata correttamente
adempiuta «l’osservanza di determinate cautele durante il trasporto assume rilievo,
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collegamento tra di esse è solo un legame giustificativo di tipo
consequenziale la cui esistenza segna la distinzione sia tra prestazione di
protezione e prestazione caratterizzante, sia - e di conseguenza - tra
prestazione di protezione derivante da un obbligo di protezione e
prestazione di protezione essa stessa caratterizzante ( 233 ). Si può a tal
proposito parlare di legalecollateralità (234).
In altre parole, pur non essendo la prestazione protettiva servente
rispetto alla prestazione caratterizzante, la prima trova nella seconda la
sua ragion d'essere quale effetto della volontà del legislatore nazionale o
pertanto, indipendentemente dal prodursi di un evento dannoso», come rileva F.
BENATTI, Osservazioni, cit., 1360, pur ricollegandone la genesi all‟art. 1175 c.c..
(233) Si noti che gli obblighi di protezione sono oramai diffusamente considerati
alla stregua di una prestazione, ma l'assunto deriva quasi da un aquis teorico dovuto
forse alla praticità di ancorare tutte le vicende obbligatorie ad un solo regime di
responsabilità più che alla consapevolezza delle ragioni che inducono a tale
affermazione. Parla espressamente di «inattuazione della prestazione di protezione di
prestazione»A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 24 e passim. La tesi sostenuta da chi scrive,
peraltro, nonostante la differenza terminologica, si allinea sostanzialmente a quanto
asserito da chi afferma che «vengono quindi prospettati ex lege due autonomi interessi
specifici» in relazione ai quali si parla di una «mera connessione tra la protezione e la
prestazione tipica […] nel senso che esse costituiscono strumenti per un adempimento
del rapporto inteso in senso onnicomprensivo», cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo di
protezione, cit., 62, 63.
(234) La prevalente dottrina definisce il rapporto tra l‟obbligazione di protezione e
quella di trasferimento in termini di complementarietà, così enfatizzando il fatto che in
qualche modo il contenuto protettivo sia determinato dai caratteri della prestazione
caratterizzante. Più precisamente, si sostiene tradizionalmente che la prestazione di
trasportare da un luogo ad un altro detti il limite spazio-temporale dell‟ampiezza della
prestazione protettiva, confinandola entro gli ambiti di influenza giuridica del vettore
sulla dimensione personale del passeggero. Cfr. A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 111. Chi
scrive condivide appieno tale impostazione, pur ritenendo che il concetto di collateralità
meglio sia confacente ai più recenti sviluppi degli obblighi di protezione nel trasporto
nella disciplina europea, rimanendo altresì adeguato rispetto all‟interpretazione
tradizionale del fenomeno. L‟argomento sarà più approfonditamente trattato nel III
capitolo.
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internazionale che affianca agli effetti voluti dalle parti o, comunque, noti
alle medesime, un'ulteriore obbligazione in senso lato (235).
Ciò detto, non bisogna cedere alla tentazione di affermare che la
collateralità spiegherebbe i suoi effetti rendendo irrilevante la prestazione
di protezione qualora venisse a mancare la prestazione caratterizzante.
L'assunto, infatti, trova un imponente ostacolo in tutti quei casi in cui,
seppure non dedotta essa stessa quale prestazione caratterizzante (caso
che, come già precisato, esula dal campo degli obblighi di protezione), la
protezione è dovuta malgrado l'impossibilità definitiva o temporanea,
anche non imputabile, della prestazione caratterizzante o il suo avvenuto
adempimento.Si pensi al dovere di prestare assistenza ai sensi dell‟art. 9
reg. (CE) n. 261/2004 e dell‟art. 17 reg. (UE) n. 1177/2010, casi in cui la
fornitura di pasti e bevande in congrua relazione all‟attesa o dell‟alloggio
e del transferconseguente il ritardo, la cancellazione o il negato imbarco,
è del tutto svincolata dal coinvolgimento del vettore nell‟eziologia
(235) In merito alla questione si può citare Cass. 6 febbraio 2008 n. 2800, secondo
la quale «è ius reception in giurisprudenza che il principio che sorregge l’eccezione
inadimpleti contractus e che trova la sua enunciazione nella formulazione dell’art. 1460
c.c., trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni
corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell’ambito di un approccio
sinallagmatico, il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, è
esteso – secondo il principio interpretativo-integrativo correlato all’obbligo di
correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) – alle cosiddette obbligazioni collaterali di
protezione, di collaborazione, di informazione, ecc.».Incidentalmente si sottolinea come
ancora una volta la giurisprudenza di legittimità italiana manifesta l‟apertura verso idee
nuove accanto alla chiusura nei confronti di categorie quasi affermate: a fronte
dell‟enunciazione del concetto di collateralità, infatti, si mantiene indifferenza verso i
tratti salienti dell‟obbligazione di protezione e la si accosta ai frutti del generico dovere
di correttezza (obbligo di collaborazione e informazione).
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dell‟evento ( 236 ).Occorre allora ribadire che la collateralità giustifica
esclusivamente la posizione di sopravveniente affiancamento dell'obbligo
di protezione rispetto alla prestazione caratterizzante e non fonda alcuna
subalternità dello stesso.
Per quanto riguarda la legalità invece, essa, come si è già detto,
attiene all'origine della prestazione di protezione, ma non solo. Il valore
aggiunto conferito dalla legalità lo si coglie quando si pensa che la
protezione dell'incolumità della persona è principio fondamentale del
sistema e, come tale, indiscussa causa giustificatrice dell'inadempimento
della prestazione caratterizzante (237).
La
legalità,
in altre parole,
giustificata dalla rilevanza
dell'interesse protetto, ha la forza di far prevalere la prestazione di
protezione su quella caratterizzante (238). L'assunto è chiaro se si pensa
proprio al contratto di trasporto di persone e si mettono a raffronto due
casi contrapposti: quello del passeggero che arriva a destinazione avendo
subìto una lesione e quello del passeggero che non viene trasferito ma
(236) È tuttavia interessante osservare come, sebbene in caso di ritardo prolungato
e negato imbarco aeronautici ovvero di ritardo alla partenza di almeno novanta minuti e
cancellazione marittimi, la corresponsione di cibo, bevande e alloggio sia positivamente
vincolata alla possibilità di una ragionevole previsione dell‟evento, la giurisprudenza
finora abbia ignorato questo elemento. Esso, può ritenersi, sarebbe stato in grado di
costituire un surrogato dell‟imputabilità consistente più che altro nella verosimiglianza,
ossia nell‟asserita attitudine del vettore di ritenere realistico e quindi non solo possibile,
ma altresì probabile, lo sviluppo di determinate contingenze. Ancor più degno di nota è
il contenuto dell‟obbligo assistenziale a seguito delle recenti pronunce della Corte di
giustizia europea al quale è dedicata la seconda parte del terzo capitolo del presente
studio a cui, pertanto, si rimanda.
(237) Osservazione giustamente fatta da A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 183.
(238) Sul punto si esprime negli stessi termini A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 39.
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resta incolume. A prescindere dalla grossolanità dell'esempio e dando per
ammesso tutto l'ipotizzabile atto a giustificare le posizioni dei due
altrettanto ipotetici passeggeri, ciò che è evidente è che mentre nel caso
in cui il vettore adempia all'obbligo di dislocazione ma non a quello di
protezione sarà chiamato a rispondere per la sua mancanza, qualora,
viceversa, egli evitasse al passeggero un pregiudizio sacrificando per ciò
il trasferimento, non solo sarebbe adempiente rispetto ad una prestazione
ma sarebbe altresì giustificato per l'inadempimento della prestazione di
trasferimento.
Tutto questo si traduce, in sintesi e contrariamente a quanto
tradizionalmente sostenuto, nel fatto che la protezione nel trasporto non
ha importanza solo interna, poiché non rileva solo se e quando la
prestazione di trasferimento non sia stata eseguita e, più in generale, non
è finalizzata alla mera conservazione della possibilità di adempiere la
prestazione caratterizzante (239).
I caratteri di autonomia e collateralità così conferiti hanno peraltro
un ruolo non secondario nella vita della prestazione di protezione, in
particolare in occasione di un‟eventuale patologia dell‟adempimento.
L‟accertamento di una lacuna nella protezione, infatti, non assume la
valenza di un mero criterio di valutazione dell‟eventuale inadempimento
nel trasporto, rivelando di per sé una lacuna che può essere oggetto di
( 239 ) La rilevanza meramente interna del fenomeno protettivo è ritenuta
determinante da Majello nell'escludere la natura di prestazione della custodia,
attribuendole, invece, il compito di criterio di responsabilità. Cfr. U.
MAJELLO,Custodia, cit., 24.
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124
azione autonomamente e preventivamente, e che èsingolarmente
sanzionabile in caso di mancato o inesatto adempimento.
9. Il nesso che determina la collateralità dell’obbligazione di
protezione.
La tesi finora esposta, tuttavia, abbisogna di precisazioni. Lascia
infatti perplessi il dato che emerge dall‟osservazione pratica del
fenomeno
protettivo:
non
un
mero
opportuno
rafforzamento
dell‟adempimento dell‟obbligazione principale e neppure un necessario
collegamento spazio temporale con quest‟ultima, ma piuttosto un legame
indisponibilee consacrato dalla disciplina positiva ( 240).
Con riguardo al suddetto legame, una riflessione attenta induce in
prima battuta a riconoscere che la mera occasionalità non può assurgere a
fondamento sufficiente della nascita dell‟obbligazione di protezione (241).
( 240 ) Manifesta dubbi sia sulla sostenuta accessorietà, sia sull‟ipotizzata
strumentalità degli obblighi di protezione G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 61.
(241) La distinzione è stata colta molto bene da Castronovo, il quale fa presente
che la violazione di una situazione soggettiva facente capo ad una delle parti può
rilevare giuridicamente in due sensi: quando la stessa prestazione coinvolga
direttamente la persona o i beni del creditore ovvero quando la lesione non ha alcun
legame con la prestazione se non un vincolo di occasionalità. La prima ipotesi vede la
protezione atteggiarsi in modo unilaterale da parte del debitore della prestazione
caratterizzante a favore del creditore, mentre la seconda fattispecie presenta carattere
bilaterale in ossequio al principio di buona fede che ne rappresenta la fonte. Cfr. C.
CASTRONOVO, La nuova responsabilità, cit., 566 ss.
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Non è pensabile, infatti, che il solo verificarsi di una lesione
giuridicamente rilevante in sede ad un adempimento, ma secondo una
modalità che prescinde totalmente da quest‟ultimo se non per la
coincidenza di tempo e di luogo in cui avviene, possa essere considerata
alla stregua di un inadempimento, oppure semplicemente beneficiare del
relativo trattamento in tema di responsabilità. Pur essendo una siffatta
impostazione capace di portare con sé il vantaggio di un onere probatorio
maggiormente favorevole per il soggetto danneggiato, bisogna ricordare
che la teoria degli obblighi di protezione non nasce con questa finalità.
Quello che si vuole raggiungere, invece, è la chiara distinzione tra ciò
che sta dentro un rapporto negoziale e ciò che sta fuori, senza preconcetti
sanzionatori o favoritismi compensatori.
Ciò premesso, è certo che una lesione che abbia i caratteri
dell‟illecito extracontrattuale non cambia natura solo perché avvenuta
contestualmente ad un adempimento: tale è e tale rimane.
Il discorso cambia solo quando all‟occasionalità si aggiunge una
connessione imprescindibile tra il danno e l‟adempimento che deriva dal
fatto che quest‟ultimo coinvolge di per sé la persona o i beni del
creditore. Questosignifica che quanto al debitore è richiesto per
soddisfare l‟interesse del creditore non può avvenire senza che
quest‟ultimo rimetta nelle mani del primo la sorte di beni fondamentali
quali la propria integrità fisica o patrimoniale. La conseguente
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esposizione al pericolo di una lesione o di una totale perdita di siffatti
beni, peraltro, sovrappone senza dubbio il piano contrattuale con quello
aquiliano, per cui l‟interprete è tenuto ad un attento vaglio delle
circostanze che hanno dato vita alla lesione, in tal modo potendo ben
addivenire alla corretta distinzione tra ciò che è danno derivante
dall‟inadempimento dell‟obbligazione di protezione e ciò che è lesione
extracontrattuale.
È fuor di dubbio che la distinzione richiama quella piuttosto
discussa tra danni “in occasione” e danni “a causa“ del trasporto (242).
Molto brevemente, premesso che in entrambi i casi il passeggero è
tenuto dimostrare il nesso causale tra il danno e il trasporto ( 243 ), la
distinzione consiste nel fatto che mentre nel caso di danni avvenuti “in
occasione“ del trasporto (ossia non derivanti da attività proprie del
vettore o dei suoi ausiliari, ma di terzi estrani o dello stesso danneggiato
e solo coincidenti con il trasporto), a fronte della dimostrazione da parte
(242) Chi scrive ritiene che una simile bipartizione non potesse essere sostenuta
prima dell‟entrata in vigore della Convenzione di Atene così come modificata dal
Protocollo di Londra del 2002. Essa, infatti, parte dalla differente natura della causa del
danno per approdare ad un articolato onere della prova in capo all‟istante, ossia al
passeggero danneggiato. Non è corretto neppure sostenere che la giurisprudenza sia in
linea con il dato internazionale, il quale, a differenza del codice della navigazione,
fornisce una netta distinzione tra danni derivanti da shipping incident e danni derivanti
da altra causa. Così facendo, quindi, sebbene sia da ritenere che la prova della natura
dell‟incidente gravi sul passeggero che agisca per il risarcimento del danno, la
discrezionalità del giudice risulta ridimensionata, così come il margine di errore del
passeggero stesso. Sulla prova della causa dell‟incidente nella Convenzione di Atene
emendata dal Protocollo di Londra del 2002 si veda F. BERLINGIERI, L’adozione del
Protocollo, cit., 1498, 1450; L. TULLIO, Breviario di diritto della navigazione, Milano,
2013, 182.
(243) Non grava, comunque, sul passeggero, la prova della causa specifica del
danno, come precisa M. SCARDIGLI, Sinistri «a causa» e sinistri «in occasione del
trasporto», in Riv. trim. dir. proc. civ. 1963, 1727, 1730 ss.
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del passeggero che il danno non si sarebbe verificato senza l‟occasione
del trasporto la prova liberatoria per il vettore si sostanzia nella
dimostrazione di aver usato l‟ordinaria diligenza nel predisporre le
misure a protezione dell‟incolumità dei passeggeri (244), in caso di danni
“a causa“ del trasporto (e che quindi sono connessi all‟attività del vettore
o dei mezzi dallo stesso adoperati attraverso un legame di derivazione),
davanti alla prova fornita dal passeggero del nesso di causalità fra
trasporto e danno, il vettore che voglia andare esente da responsabilità
deve provare che l‟evento dannoso è derivato da fatto non prevedibile o
inevitabile nonostante l‟uso della dovuta diligenza (245).
La suddivisione ( 246 ),che ha cercato in tal modo di proteggere il
vettore da eccessive pretese risarcitorie ed escluderne la responsabilità in
caso di danno da causa ignota ( 247 ), si fonda quindi sulla potenziale
duplicità della eziologia del danno: eventi riconducibili al vettore ed ai
suoi dipendenti e preposti nello svolgimento delle loro mansioni ovvero
circostanze non originate da costoro ma che non si sarebbero verificate se
(244) Cass. 3 luglio 1978 n. 3285. Sul punto si veda M. SCARDIGLI, Sinistri «a
causa», cit., 1727 ss.
(245) Cass. 29 marzo 1979 n. 1803. Cfr. A. LEFEBVRE D‟OVIDIO – G. PESCATORE
– L. TULLIO, Manuale, cit., 430, 440. Per una trattazione più diffusa si veda A.
ZAMPONE, Il rischio, cit., 127 ss.
(246) La teoria, elaborata da Fiorentino, sebbene priva di fondamento positivo, ha
trovato largo consenso in giurisprudenza. Cfr. A. FIORENTINO, Il contratto di passaggio
marittimo, Firenze, 1940, 116 ss.; E. MONZANI, Brevi note sulla responsabilità del
vettore marittimo di persone in Dir. mar. 2004, 515 ss. e giurisprudenza ivi citata;
AA.VV., Il Codice dei trasporti (a cura di L. Tullio – M. Deiana), Milano, 2011, 495.
(247) Sul tema si veda A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 127 ss.
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non avesse avuto luogo il trasporto (ad es. il passeggero che cade dalle
scale della nave). Mentre nel primo caso è facilmente individuabile una
connessione con l‟adempimento della prestazione caratterizzante, nel
secondo
non
sembra
rilevare
altro
legame
se
non
quello
dell‟occasionalità. Tuttavia, l‟occasionalità che è richiesta in questa
fattispecie non è sinonimo di mera coincidenza casuale. In altre parole, i
danni “in occasione” del trasporto intesi in senso proprio secondo la
teoria in esame non potrebbero aver luogo se non nell‟ambito di un
trasporto, per cui non possono esservi ricomprese quelle lesioni che, pur
avendo avuto luogo in dette circostanze, sono talmente generiche da
potersi verificare in qualsiasi contesto (si pensi al passeggero che viene
aggredito da un dipendente del vettore per la sottrazione del portafogli).
Non bisogna infatti perdere di vista la premessa secondo la quale la
sola connessione necessaria e sufficiente per poter parlare di
obbligazione di protezione è quella inerente al coinvolgimento del
creditore nell‟adempimento, ma senza dimenticare che la misura della
protezione non è un dato fisso ed immutabile perché cambia al variare
della possibilità di autoprotezione. Altrimenti detto, quanto minore è la
capacità del creditore di evitare che una lesione possa derivare
dall‟adempimento, tanto maggiore è il carico protettivo che grava sul
debitore (248), potendo, in teoria, arrivare a comprendere anche ipotesi
(248) Emblematica, in merito, la sentenza con cui la Cassazione ha ritenuto non
esclusiva la responsabilità del vettore con riferimento alle lesioni riportate da un
passeggero a seguito della caduta da una scala a bordo della nave in quanto scivolato
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allo stesso non riconducibili non solo sotto il profilo soggettivo, ma
neppure sotto quello causale.
Secondo questa impostazione, la distinzione tra danni a causa del
trasporto e danni in occasione del trasporto perde di spessore man mano
che la limitazione di movimento del passeggero si riduce, giustificando
l‟accresciuto carico protettivo in capo al vettore.
Ne è riprova il prodotto del confronto tra l‟impostazione della
regolamentazione del trasporto aereo di passeggeri da un lato e,
dall‟altro, la disciplina del trasporto marittimo internazionale di
passeggeri definitivamente introdotta con il Protocollo di Londra del
2002 alla Convenzione di Atene del 1974.
L‟art. 3 della Convenzione, infatti, fa una chiara distinzione tra
morte e lesioni del passeggero a causa di un incidente marittimo (par. 1),
e gli stessi eventi derivanti da cause diverse da un incidente marittimo
(par. 2).
Posto che per incidente marittimo si intende il naufragio, il
capovolgimento, la collisione o l‟incaglio, un‟esplosione o un incendio a
bordo, nonché un difetto della nave (ossia qualsiasi malfunzionamento,
guasto o non conformità alle regole di sicurezza applicabili in relazione a
qualsiasi parte della nave o delle sue attrezzature utilizzata per la fuga,
l‟evacuazione, l‟imbarco e lo sbarco dei passeggeri o per la propulsione o
per via della presenza di una sostanza detergente scivolosa sui gradini, posto che la
scala era dotata di corrimano, dispositivi antiscivolo e la potenziale pericolosità della
discesa era stata adeguatamente segnalata. Cfr. Cass. 24 ottobre 2007 n. 22337.
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il governo della nave, la sicurezza della navigazione, l‟ormeggio,
l‟ancoraggio, l‟arrivo o la partenza dal luogo di ormeggio o di ancoraggio
o il contenimento dei danni dopo un allagamento o per la messa in mare
dei mezzi di salvataggio) (249), ciò che qui interessa sottolineare è che
qualora il danno derivi da causa diversa dall‟incidente marittimo il
vettore risponde, purché si tratti comunque di un incidente avvenuto
durante il trasporto (250), entro lo stesso limite debitorio di 400.000 unità
di conto per passeggero per ogni singolo evento ( 251 ), ma l‟onere
probatorio assume una dinamica analoga a quella aquiliana, con il
passeggero costretto a dimostrare la colpa o la negligenza del vettore
nella causazione dell‟evento (252).
(249) Art. 3, par. 5, lett. a) e c) PAL.
(250) Art. 3, par. 6. Sulla durata del trasporto di persone fa chiarezza l‟art. 1, par.
1, n. 8, lett. a) Conv. Atene, affermando che «il trasporto comprende i seguenti periodi:
a) per quanto concerne il passeggero e/o il suo bagaglio a mano, il periodo nel quale
essi si trovano a bordo della nave o durante l'imbarco o lo sbarco e il periodo nel quale
sono trasportati per via d'acqua dalla banchina alla nave o viceversa, se il costo di tale
trasporto è compreso nel prezzo del biglietto o se l'imbarcazione adibita a
tale trasporto accessorio è stata messa a disposizione del passeggero dal vettore.
Tuttavia, con riferimento al passeggero, il trasporto non comprende il periodo nel
quale questi si trova in una stazione marittima o in un terminal marittimo o su una
banchina o altra infrastruttura portuale».
(251) Limite superabile in caso di dimostrazione del fatto che il danno sia derivato
da un atto o un‟omissione commessi dal vettore o da un sottoposto o incaricato dello
stesso con l‟intenzione di provocare un danno o temerariamente
e con la
consapevolezza che ne sarebbe derivato probabilmente un danno. Si vedano gli artt. 7,
par. 1 e 13, PAL.
(252) Più precisamente, nel caso di incidente marittimo il vettore risponde senza
poter dimostrare la propria estraneità all‟incidente fino alla somma di 250.000 unità di
conto, a meno che l‟incidente sia derivato da atto di guerra, ostilità, guerra civile,
insurrezione o evento naturale eccezionale, inevitabile e irresistibile o, infine, da un atto
o un‟omissione intenzionale di un terzo. Il vettore può esonerarsi dal risarcimento del
danno che ecceda la somma di 250.000 unità di conto (fino alle 400.000 unità),
provando che l‟evento dannoso non è imputabile a sua colpa o negligenza. Allorquando
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L‟impostazione che emerge dalla Convenzione in parola, pertanto,
rafforza quella distinzione tra danni a causa del trasporto e danni in
occasione del trasporto, si potrebbe dire spingendo questi ultimi fuori dal
contesto contrattuale (253), seppure prevedendo un limite all‟esposizione
debitoria del vettore. In termini di protezione ciò appare a prima vista
come una perdita diterreno rispetto alle conquiste ottenute nel settore
aeronautico ed all‟impostazione del codice sia civile, sia della
navigazione.La disciplina del trasporto di passeggeri in ambito
aeronautico, infatti, concentra la tutela su altri punti nodali, che sono
quelli di accident, di bodily injury e di ambito temporale della
protezione, senza vincolare strettamente la causa aeronautica del danno al
diritto alla protezione (254).
Ad un più attento esame, tuttavia, ci si accorge che la natura
extracontrattuale della responsabilità del vettore in caso di danni
derivanti da causa diversa da un sinistro marittimo non è collegata
all‟inadempimento della prestazione di assistenza, vigilanza e sicurezza
semplicemente perché essa in tal caso non sussiste; ci si trova infatti di
fronte ad una lesione verificatasi al di fuori del terreno obbligatorio
la causa del danno sia un incidente non marittimo il vettore è chiamato a risarcire il
danno causato fino al limite delle 400.000 unità di conto solo se il passeggero ne
dimostra la colpa o la negligenza. È chiaro che, qualora pur essendo la natura
dell‟incidente chiaramente marittima la causa rimanesse ignota, ciò comporterà per il
vettore il non potersi esonerare entro il valore di 250.000 unità di conto, così come
impossibilità di esonero da responsabilità per il vettore vi è quando la causa
dell‟incidente marittimo sia il fatto non intenzionale del terzo.
(253) Cfr. L. TULLIO, Breviario, cit., 183.
(254) Sui concetti richiamati nel testo si rinvia a quanto esposto al §3, III cap.
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protetto. In altri termini,con riferimentoalle attività che, sebbene svolte a
bordo di una nave non siano riconducibili all‟ambito marittimo, il vettore
assume il mero obbligo di trasferimento, essendo l‟obbligo di protezione
presente solo al fine di evitare i danni che derivino da un incidente
marittimo ( 255 ),ossia una lesione collegata (nel senso previamente
esposto), all‟attività di trasferimento per acqua.
Pertanto, sebbene criticabile dal punto di vista della fondatezza
( 256 ),anche nella teoria che distingue i danni a causa del trasporto da
quelli verificatisi in occasione del medesimo emerge chiaramente che vi
è un ambito che mai potrebbe essere considerato tra gli obblighi di
protezione per la sua natura irrimediabilmente extracontrattuale che lo
priva di quel nesso di legale collateralità di cui si è parlato e ed è quello
delle lesioni che nulla hanno in comune con l‟adempimento al di là del
tempo e del luogo in cui si verificano e che per tale ragione non possono
essere distinte da analoghe lesioni verificatesi al di fuori dell‟ambiente
negoziale.
(255) Così L. TULLIO, Breviario, cit., 183.
(256) Cfr. A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 127 ss.
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10. La natura della responsabilità derivante dall’inadempimento
dell’obbligazione di protezione.
Che il tema della responsabilità del vettore di per sé rappresenti una
terra di confine tra l‟area dell‟inadempimento e quella dell‟illecito è
emerso
ripetutamente
nel
corso
della
trattazione.La
tendenza
all‟avvicinamento delle due sfere, peraltro, non si è affievolita nel corso
del tempo, orientandosi, viceversa, verso una conferma (257). Con questo,
si noti, non si vuole rinnegare l‟esistenza di una differenza strutturale tra
le diverse ipotesi di risposta al danno, che è invece indiscutibile; tuttavia,
si deve prendere atto del fenomeno di convergenza tra le due e
soprattutto riconoscere l‟importanza degli obblighi di protezione in
questa dinamica (258).
Una delle ragioni di questa attitudine è infatti derivata proprio
dall‟arricchimento contenutistico dell‟obbligazione, la quale, ottenuto il
riconoscimento della complessità della propria struttura, ha aperto la
discussione in merito alla qualificazione della responsabilità conseguente
(257) Sulla labilità del confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale
si veda anche A. LEPRE, Responsabilità aquiliana e contrattuale: un unico modello
giurisprudenziale di responsabilità, in Giur. mer. 2007/XI, 3063 ss.
( 258 ) Non si può e non si deve ignorare il fatto che anche la responsabilità
extracontrattuale muove da un‟esigenza di protezione; superando la visione
individualistica della responsabilità aquiliana come strumento di riparazione del danno
subito al di fuori di un rapporto contrattuale (o, meglio, obbligatorio), anche essa è
strumento per garantire la sicurezza dei rapporti e anche essa scaturisce da un contatto
sociale, sebbene al di fuori di una già esistente relazione negoziale, come afferma S.
RODOTÀ. Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967, 33.
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alle violazioni di tutta quella serie di obblighi accessori, strumentali o
collaterali che in tal modo sono stati individuati ( 259 ). Non è un caso,
infatti, che il progressivo assottigliamento della linea di demarcazione tra
la forma contrattuale e quella extracontrattuale di responsabilità sia in
diretta relazione con l‟aumento degli adempimenti di sicurezza, in
dipendenza, a sua volta, con la misura della capacità di autoprotezione
del creditore (260).
Un altro, non meno importante motivo è poi dato dall‟apporto
normativo sovranazionale, il quale ha da tempo introdotto una sostanziale
parificazione tra i due titoli di responsabilità, prevedendo espressamente
l‟identità della loro disciplina (261).
Più in particolare, qualche dubbio sulla natura del rimedio può
riguardare il caso di mancata assistenza ai sensi degli artt. 9 del reg. (CE)
n. 261/2004 e 17 del reg. (UE) n. 1177/2010.
(259) Cfr. S. ROSSI, Contatto sociale (fonte di obbligazioni), in Dig. disc. priv.,
V/2010, 347. Sulla natura di inadempimento dell‟obbligo di protezione del passeggero
che confluiscono a loro volta nell‟obbligazione di protezione “allo stato puro”, ossia
svincolata dall‟obbligo di custodia della persona, si veda A. ANTONINI, La
responsabilità, cit., 620 ss.
(260) Si addice particolarmente, pertanto, la qualifica di «categoria-cuscinetto tra
la responsabilità contrattuale e quella da delitto», attribuita agli obblighi di protezione.
Cfr. S. ROSSI, Contatto sociale, cit., 349.
(261) In questo senso il diritto dei trasporti è considerato il «pioniere» dei nuovi
istituti, come ricorda A. ANTONINI,Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale,
cit., 253, 267, il qual fa un elenco completo di tutte le fonti internazionali in materia di
trasporto che hanno parificato l‟azione extracontrattuale a quella contrattuale. Con
particolare riferimento al trasporto aereo internazionale di persone si veda l‟art. 29 della
CM (e, prima, l‟art. 24 della CV), mentre in tema di trasporto marittimo internazionale
di passeggeri è l‟art. 14 della Convenzione di Atene a sancire l‟identità di trattamento.
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Il punto chiave della questione risiede nel fatto che i presupposti
dell‟assistenza in questione sostanziano non già un inadempimento
imputabile della prestazione di trasferimento(essa, infatti, non è
corrisposta in considerazione di un danno, né postula un‟attribuibilità
della sua causa giustificatrice )(262), bensì un impedimento alla stessa la
cui causa può non essere riconducibile al vettore e che fa scattare lo
specifico obbligo di fornire pasti e bevande, alloggio e transfer,
possibilità di comunicare, il che rivela, viceversa, che il suo scopo è
quello di prevenire lesioni e disagi al passeggero al ricorrere di
determinate circostanze.
L‟assistenza prevista dalla disciplina marittima ed aeronautica
europea pertanto non ha natura risarcitoria, rappresentando invece una
componente della prestazione di protezione del passeggero ( 263 ). La
ragione è sempre la stessa: la protezione è un‟asse avente agli estremi da
un lato il passeggero e dall‟altro il vettore, lungo la quale il cursore della
titolarità scorre verso l‟una o l‟altra estremità in considerazione della
contingenza. Subire una cancellazione del servizio di trasferimento o un
ritardo prolungato o vedersi negare l‟imbarco ha un unico significato per
il passeggero, che è quello di non potersi spostare così come
(262) Cfr. L. TULLIO, Interventi interpretativi, cit., 367, 369. Propende invece per
un inserimento degli obblighi di assistenza previsti dal reg. (CE) n. 261/2004 nell‟alveo
della responsabilità del vettore, qualificandoli come «unasorta di riconoscimento
anticipato delle classiche forme di risarcimento del danno patrimoniale»,A. MASUTTI,
Il ritardo aereo ed i rimedi del legislatore comunitario, in Dir. trasp. 2007, 1038, 1043,
1054.
(263) Così anche L. TULLIO, L’obbligazione di protezione, cit., 362.
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programmato dovendo in aggiunta sostare per un periodo indeterminato
in un contesto circoscritto sia dal punto di vista dello spazio, sia da quello
delle possibilità di svolgimento delle proprie attività esistenziali. In
termini di protezione questo si traduce in una forte riduzione delle
capacità “autoconservative” per il passeggero con un conseguente
accrescimento del potere di assistenza da parte del vettore. Su
quest‟ultimo, pertanto, è logica conseguenza che gravi la relativa
prestazione.
Conseguentemente, è solo a fronte del diniego assistenziale che il
vettore subisce un richiamo di tipo risarcitorio, sempreché il fatto abbia
ingenerato un danno e che questo sia individuato e quantificato (264).
Questa impostazione, si noti, si incastra perfettamente nel sistema
delineato dai rapporti tra la disciplina europea e quella internazionale,
evitando interferenze sui limiti e le condizioni del risarcimento dettati
dall‟art. 29 CM.Gli attriti, in particolare, avrebbero potuto riguardare il
fatto che l‟art. 29 citato non solo prevede che ogni azione di risarcimento
a qualsiasi titolo esperita debba essere esercitata alle condizioni ed entro i
(264) Si noti, per inciso, che il mancato ossequio delle prescrizioni contenute nel
reg. (CE) n. 261/2004 comporta l‟inflizione al vettore delle sanzioni pecuniarie previste
dal d. lg. n. 69 del 27 gennaio 2006 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6
marzo 2006), emanato in ottemperanza al dettato di cui all‟art. 16 del reg. (CE) n.
261/2004. La previsione, che aggiunge un‟indubbia importanza pubblicistica alla
protezione, non muta la natura delle lacune assistenziali. Essa, infatti, si aggiunge al
risarcimento del danno operando su un piano diverso ed ulteriore rispetto a quello
contrattuale, così come è consueto per qualsiasi forma di sanzione, al solo fine di
«garantire una concreta ed effettiva tutela dell’utente del servizio ed al contempo una
efficienza generalizzata dei servizi di trasporto aereo», come sottolinea B. FIORE, in La
cancellazione del volo e le sanzioni amministrative a carico del vettore che non ha
compensato e assistito i passeggeri, in Dir. trasp. 2009, 214 , 218.
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137
limiti previsti dalla stessa CM, ma dispone altresì che essa non deve
concedere spazio«ad alcuna riparazione a titolo punitivo, esemplare o
comunque non risarcitorio».
Il risarcimento inteso
in termini
assistenziali, infatti, potendo prescindere dal requisito dell‟esistenza del
danno (l‟assistenza deve essere fornita anche al passeggero che non ne
abbia bisogno), potrebbe configurare un‟ipotesi di riparazione a titolo
punitivo o esemplare e comunque non necessariamente risarcitoria,
ponendosi con ciò in aperto contrasto con la CM.
A confermaredal punto di vista giurisprudenziale la natura non
risarcitoria dell‟assistenza è, peraltro, intervenuta la Corte di giustizia
europea ( 265 ), la quale ha espressamente affermato che la mancata
fornitura dei rimedi immediati e uniformi previsti dall‟art. 9 del reg. (CE)
n. 261/2004dà luogo al diritto al risarcimento del danno (che ben può
sostanziarsi semplicemente nelle spese sostenute per il vitto, le bevande,
l‟alloggio e le comunicazioni non forniti dal vettore), precisando inoltre
che detto rimedio non costituisce un risarcimento «supplementare» ai
sensi dell‟art. 12 dello stesso regolamento ( 266 ). In altre parole,
considerato che l‟art. 12 del reg. (CE) n. 261/2004 lascia aperta la
( 265 ) C. giust. UE, sez. III, 13 ottobre 2011, causa C-83/10, Aurora Sousa
Rodríguez e a. v. Air France SAin Resp. civ. e prev. 2012, I, 92 ss., con nota di S.
INVERNIZZI, La Corte di giustizia ed un caso di volo interrotto e in Dir. trasp. 2012, I,
193 ss., con nota di V. CORONA, Il risarcimento per l’inadempimento degli obblighi di
assistenza del vettore aereo.
( 266 ) Punto 43. La sentenza in realtà estende la sua portata anche alla
compensazione pecuniaria prevista dall‟art. 8, della quale tuttavia si preferisce trattare
nel prossimo capitolo.
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138
possibilità per il passeggero di chiedere un risarcimento c.d.
supplementare dal quale può essere detratto il risarcimento concesso ai
sensi dello stesso regolamento, attribuendo all‟assistenza in sé carattere
risarcitorio, non solo essa, una volta prestata, dovrebbe essere detratta
dall‟eventuale ulteriore somma richiesta, ma le rifusione delle spese
sostenute dal passeggero al quale le stesse misure venissero negate
dovrebbe avere titolo proprio nell‟art. 12, trovando fondamento nello
stesso regolamento ed andando eventualmente ad aggiungersi ad altre
voci di danno.
Il fatto che, invece, il risarcimento supplementare abbia un
fondamento giuridico diverso dal regolamento (267) non esclude però la
possibilità che lo stesso contenga in qualche sua parte una previsione
risarcitoria, anche seci si interroga sulla correttezza dell‟aggettivazione
supplementare. Forse, infatti, sarebbe stato più consono il riferimento ad
un risarcimento che fosse altresìcomplementare, ossia di completamento
eventuale rispetto a quanto già ottenuto e non solo supplementare, ossia
di rispondenza ad esigenze straordinarienel senso di ulteriori rispetto a
quelle assistenziali.
(267) Punto 38. Il risarcimento supplementare può, invero, essere accordato sulla
base della disciplina nazionale o internazionale uniforme, come precisa S. INVERNIZZI,
cit., 106.
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139
11. Brevi riflessioni di chiusura.
Giunti a questo punto nello studio del fenomeno protettivo e prima
di passare all‟analisi delle problematiche più spinose, ma anche più
recenti, sull‟argomento a cui ripetutamente si è fatto rinvio nel corso del
capitolo che ora volge al termine, è possibile svolgere alcune parziali
considerazioni.
In particolare, premessa la natura di autonoma prestazione della
protezione nel trasporto oramai acquisita anche dalla giurisprudenza di
legittimità ( 268 ), alcuni aspetti di essa sembrano minare la legale
collateralità di cui si è parlato nel corso del presente capitolo. Infatti,
mentre nella normativa nazionale ed in quella internazionale gli obblighi
di protezione sono capaci di seguire in modo naturale il trasferimento,
seppure distinguendosi da esso già positivamente, le peculiari previsioni
specifiche di assistenza di matrice europea pongono interrogativi
fondamentali nella comprensione del fenomeno; in particolare, ci si
domanda che rapporto abbia con il trasferimento e la relativa sicurezza il
(268) Cass. 11 novembre 2008 n. 26972, ove, si afferma che «quanto al contratto
di trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni
del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante
il viaggio (art. 1681 c.c.)» e, dando per scontata la risarcibilità del danno patrimoniale
derivante dallo squilibrio economico derivante dall‟eventuale inadempimento, si precisa
altresì che «Il vettore è quindi obbligato a risarcire a titolo di responsabilità
contrattuale il danno biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra
ipotesi di inadempimento-reato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati con
riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in relazione
all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il risarcimento del danno non
patrimoniale nella sua ampia accezione».
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140
fatto di dover garantire il sostentamento durante l‟attesa causata dal
disservizio anche se di sole due ore o il fatto di corrispondere
immediatamente una sommadi denaro forfetaria per un impedimento del
servizio (269).
Se, infatti, emerge già dal dato normativo così come dai principî
generali consolidati a livello costituzionale e internazionale che il dover
svolgere un‟attività preventiva e rispondere delle lesioni del passeggero
comporta una prestazione aggiuntiva di vigilanza e sicurezza, quando la
sicurezza esce di scena viene a mancare il substrato teorico della
costruzione degli obblighi solidaristici. Manca, in altre parole, quella
gravità motivazionale che giustifica un intervento legale capace di
insinuarsi nelle mura contrattuali alterandone la naturale struttura.
Ecco quindi che a fronte dell‟integrità della vita, l‟esigenza di
comunicare ad altri il proprio ritardo o di non saltare un pasto (magari
secondario),
appaiono
come
necessità
superflue
e
rinunciabili,
soprattuttose si considera l‟utilità sociale dell‟attività di trasporto da parte
di chi la esercita,per cui l‟obbligo imposto dalla legge di farsi carico di
queste ulteriori richieste sembra una punizione, o meglio, il ristoro
(269) In tal senso anche V. CORONA, Il risarcimento, cit., secondo la quale «la
previsione degli obblighi di assistenza, così come della compensazione pecuniaria
forfetaria, è del tutto peculiare perché si discosta dai principî generali in materia di
responsabilità contrattuale ed in particolare dall’imputabilità dell’inadempimento e,
soprattutto, dall’esistenza di un danno».
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141
anticipato di un danno che la stessa legge dà al vettore la possibilità di
detrarre da un eventuale successivo risarcimento (270).
Per fare fronte a tali perplessità, bisogna precisare chela protezione
è qualcosa di più ampio della mera sicurezza. Se quest‟ultima è stata
giuridicamente definita come «il complesso di leggi, regolamenti, ordine
e discipline, di natura preventiva, dettati con riferimento ai tre elementi
uomo-ambiente-macchina allo scopo tecnico (comune alle varie
discipline) di contenere i rischi ad un livello accettabile, livello che –
sotto il profilo del diritto – coincide con la tutela della salvaguardia
dell’incolumità pubblica» (271), la protezione contemporanea va oltre e si
sostanzia nell‟adozione di tutte quelle misure che, anche solo
opportune,sappiano evitare al passeggero sia che un danno affligga la sua
integrità personale e patrimoniale, sia che un qualche disagio ne alteri lo
status quo.
( 270 ) Autorevole dottrina, infatti, ha ritenuto che la compensazione, pur non
avendo funzione risarcitoria data la corresponsione indipendente dall‟allegazione e
dimostrazione di un danno, si avvicina ad essa, «venendo comunque corrisposta in
situazioni di verosimile disagio per il passeggero e, soprattutto, assimilata ad
un’anticipazione rispetto al risarcimento ottenuto poi dal danneggiato». Così S. BUSTI,
La responsabilità del vettore, cit., 175. Nelle stesse pagine, tuttavia, l‟Autore ritiene che
misure assistenziali e compensazione pecuniaria siano obblighi di ordine pubblico,
negando di conseguenza ad esse spazio nel campo privatistico. Su un punto, comunque
sia, chi scrive è d‟accordo: la detraibilità degli importi ricevuti a titolo di
compensazione dal risarcimento eventualmente ottenuto in un secondo momento non
basta a qualificare la compensazione stessa come risarcimento; S. BUSTI, cit., 178.
(271) Così F. PELLEGRINO, Sicurezza e prevenzione degli incidenti aeronautici,
Milano, 2007, 71.
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142
Si supera, pertanto, sia a livello preventivo, sia a livello riparatorio,
il mero diritto alla sicurezza ed alla salute (272) e si approda ad una tutela
più simile a quella tipica della materia dei diritti del consumatore, nella
quale, data la forte convergenza di istanze politico-sociali (273) più che
strettamente giuridiche, il tratto protettivo è configuratonon tanto intorno
alla figura del danno, quanto a quella del disagio, portando con ciò
all‟evitare al consumatore fastidi e lungagginispesso derivanti dal
comportamento del professionista a fronte di un difetto del servizio o del
bene fornito e facendo peraltro operare il rimedio risarcitorio solo là dove
il presidio protettivo fallisse o non fosse praticabile.
Probabilmente queste peculiarità, assieme a quelle tipiche del
sistema del two tier liability, potrebbero far pensare ad una forma di
garanzia ex lege, ma non solo. Gli interventi delle istituzioni europee
sulla portata del dato normativo hanno spesso saputo mettere in difficoltà
gli interpreti, stimolandoli sempre di più ad abbandonare i canoni
interpretativi tradizionali e ad allontanarsi dalle categorie tradizionali del
diritto di origine romanistica, dando vita alle questioni che saranno
esaminate nel prossimo capitolo.
(272) Il diritto alla sicurezza, riconducibile alla più ampia tutela della salute, è il
contraltare del dovere di protezione «quale prestazione non accessoria, ma
automaticamente e indissolubilmente annessa all’obbligazione principale nascente da
un qualsiasi contratto di trasporto di persone», secondo F. PELLEGRINO, cit., 84.
(273) Così V. ZENO-ZENCOVICH, Il contratto di trasporto aereo e la tutela del
consumatore, in Il nuovo diritto aeronautico, Milano, 2002, 729.
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CAPITOLO III
Riflessioni su alcuni aspetti problematici in tema di
protezione nel trasporto aereo e marittimo
SOMMARIO:1. Considerazioni preliminari. -2. Verso una responsabilità oggettiva o
ritorno ad una responsabilità per inadempimento oggettiva? - 3. Il confine tra
protezione e autoprotezione: criteri semantici e temporali di individuazione. La nozione
di accidente di sinistro marittimo. - 4. (Segue) La limitazione temporale dell’obbligo di
protezione. – 5.Il rischio dell’impossibilità di proteggere. - 6. Il rischio d’impresa
approda ad una dimensione contrattuale. - 7. La socializzazione del rischio.– 8. La
tipizzazione del contenuto protettivo: il concetto di disagio e la nuova dimensione
pecuniaria dell’assistenza.9. Brevi (necessarie) considerazioni di chiusura in materia di
trasporto amichevole.
1. Considerazioni preliminari.
Il graduale ma oramai consolidato passaggio dalla società
dell‟avere, basata su logiche proprietarie statiche, a quella del fare,
orientata invece verso il dinamismo del mercato el‟efficienza
concorrenziale, ha trascinato con sé il problema della perdita del
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controllo sul legame tra danneggiato e danneggiante, nel senso che per
via della crescente complessità del sistema economico, il pregiudizio
eventualmente cagionato dall‟attività produttiva o di fornitura di servizi è
divenuto sempre meno riconducibile ad un preciso soggetto o ad un
certocomportamento e, anche quando lo è,può risultare difficile ottenere
ristoro dal diretto responsabile ( 274 ). Lo sviluppo della tecnica, infatti,
non solo ha dato vita a sempre più numerose occasioni di danno, ma ha
altresì cambiato sia la struttura del binomio danno-responsabilità, sia
l‟atteggiamento dell‟ordinamento sociale prima e giuridico poi, nei
confronti di tali novità. In particolare, si è assistito ad una sempre
maggiore inevitabilità ed anonimia del danno,aspetti che si sono
riverberati nell‟inutilità della ricerca del soggetto a cui imputarne le
conseguenze secondo gli ordinari criteri non solo soggettivi, ma altresì
oggettivi. Ciò perché una maggiore automazione, meccanizzazione e
informatizzazione, non possono non allontanare il soggetto fornitore sia
dal servizio reso, sia dal soggetto fruitore, al contempo aumentando le
ipotesi di danno non riconducibile direttamente all‟agire umano, ma
altresì rendendo il pregiudizio tanto frequente da divenire un
accadimento ordinario o, quantomeno, prevedibile ( 275).
( 274 ) L‟affermazione trae ispirazione dalla riflessione di G. B. FERRI, La
responsabilità del vettore verso il passeggero, in La nuova disciplina del trasporto aereo
(a cura di L. Tullio), Napoli, 2006, 56, 57.
(275) S. RODOTÀ, Il problema, cit., 19 ss. Il discorso, sebbene condotto all‟inizio
di un‟attenta analisi sulla responsabilità civile, ha, anche per ammissione dello stesso
Autore, un carattere generale che investe tutto il diritto privato.
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145
L‟ovvia conseguenza è la crisi del meccanismo di imputazione
della responsabilità che si avvale della valutazione dell‟elemento
soggettivo della colpa o del dolo, con risvolti negativi soprattutto in quei
settori in cui l‟elevata pericolosità dell‟attività si deve conciliare con
l‟utilità sociale del servizio reso o del bene distribuito e la conseguente
imprescindibilità della stessa. Questi ultimi aspetti, infatti, sono capaci di
procurare elevati profitti, ma forniscono altresì la via per un abuso di
posizione, soprattutto in virtù di una forte asimmetria informativa tra i
contraenti (276).Da ciò deriva un particolare fenomeno secondo il quale a
fronte di un servizio necessario per la collettività, da un lato quest‟ultima
si trova costretta ad affrontarne i costi in termini di pericolosità e di
difficoltà di ottenere il ristoro della sua dannosità, dall‟altro siffatte
circostanze fanno sì che chi fornisce il servizio subisca un progressivo
crollo della domanda; in un‟interminabile spirale degenerativa poi, la
conseguenza alimenta la sua causa, con il risultato finale di un regresso
in termini di offerta e accessibilità al servizio stesso.
(276) L‟asimmetria informativa si sostanzia proprio nella mancata conoscenza, da
parte di un contraente, di elementi fondamentali riguardanti il contratto che si intende
stipulare, quali l‟assunzione consapevole dei rischi ad esso inerenti, come sottolinea E.
GABRIELLI, Il consumatore e il professionista in I contratti dei consumatori, I (a cura di
E. Gabrielli – E. Minervini), Torino, 2005, 25 e 24, nota 50, ove si cita C. CAMARDI,
Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di
consumo nel sistema del diritto della concorrenza, in Eur. dir. priv. 2001, 703
ss.L‟affermazione ci ricorda le parole di Trimarchi, il quale fa notare che solo in un
mercato ideale i contraenti hanno la perfetta conoscenza di tutti i dati della produzione e
si comportano, pertanto, in modo perfettamente razionale; cfr. P. TRIMARCHI,Sul
significato economico dei criteri di responsabilità contrattuale, in Riv. trim. dir. proc.
civ. 1970, 512, 513.
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Orbene, il settore dei trasporti costituisce un laboratorio molto
efficace per la verifica e l‟osservazione di quanto si è appena descritto, in
quanto rappresenta un emblematico e concreto esempio dell‟esistenza di
attività lucrative imprenditoriali dotate di un‟indubbia utilità sociale.
L‟attività trasportistica tende infatti, seppurenell‟ottica del profitto
imprenditoriale, alla garanzia del pieno soddisfacimento del diritto alla
mobilità, ma si può altrettanto correttamente dire cheessa, sfruttando
l‟insopprimibile esigenza di spostamento,è volta a generare profitti.Ma
non solo. Come meglio sarà illustrato in seguito, in esso e nella sua storia
si trova altresì la dimostrazione del fenomeno della crisi del criterio della
colpa.
Dal canto suo, il rimedio alle conseguenze dell‟anzidetta spirale
degenerativa è da ricercare nellapredisposizione diforme di supporto che
siano a favore sia dell‟impresa, sia dei fruitori del servizio, con interventi
da attuare su un piano non solo economico, ma anche giuridico o,meglio,
individuabili per il tramite di un‟analisi economica del diritto. Questo è il
motivo per il quale, proprio in virtù della dimensione sociale del
contratto di trasporto, nel rapporto tra la volontà dei contraenti si sono in
progresso di tempo inseriti fattori ultronei, ma non secondari,spesso
difficilmente conciliabili tra loro, quali sono le logiche di mercato e
concorrenziali e quelle solidaristiche.
Tutto questo riassume le vicende della nascita dell‟obbligazione di
protezione e delle conseguenze del suo inadempimento. Come si è detto
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147
in fase di apertura del presente lavoro infatti, già l‟entrata in vigore della
Costituzione introduceva nel nostro ordinamento la soluzione al
problema per il tramite del criterio solidaristico di cui all‟art. 2 Cost., per
cui, malgrado la dimensione degli obblighi di protezione nel trasporto
aereo e marittimo sia oramai sovranazionale, è interessante notare come
il nostro ordinamento contenesse il germe dei più attuali sviluppi in
materia fin dal momento costituente.
Grazie all‟art. 2 Cost. quindi, dalla necessità di individuare a quale
soggetto, per colpa o dolo, fosse imputabile l‟evento causativo del danno,
l‟attenzione si è progressivamente spostata verso l‟opportunità di
selezionare su quale parte del rapporto obbligatorio far ricadere le
conseguenze del fatto pregiudizievole, seguendo sì il criterio della colpa,
ma anche della capacità di meglio sopportarne le conseguenze, ove il
requisito della “miglior capacità di sopportazione” non sempre è
delineato scientificamente ed esattamente perché spesso è il frutto di
scelte meramente politiche, etiche o economiche. Lo sviluppo che ne è
derivato, evidentemente, è a favore della crescente oggettivizzazione
della responsabilità fino al limite del rischio o della garanzia (277).
A tutto questo si deve aggiungere che il configurare una
responsabilità tanto ampia da avvicinarsi al concetto di rischio inteso
come dovere di dare una risposta traducendo in termini di costo un danno
(277) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere di protezione, cit., 179 ss., nota 42, il quale
mette in luce come un siffatto meccanismo rischia di involvere a danno della collettività
sulla quale potrebbe ricadere il costo sociale ed economico dello stesso, a detrimento
della stessa solidarietà che l‟aveva generato.
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148
cagionato ad altri anche a prescindere dalla valutazione sull‟attribuibilità
dell‟evento e sulla colpevolezza dell‟autore,ha introdotto con decisione
nell‟ambito della struttura protettiva anche l‟istituto dell‟assicurazione,
sebbene fattispecie ben diversa da quella della responsabilità ( 278).
2. Verso una responsabilità oggettiva o ritorno ad una
responsabilità per inadempimento oggettiva?
Come è noto, il primo italiano ad avviare in dottrina un‟analisi
economica della responsabilità contrattuale è stato Pietro Trimarchi (279),
secondo il quale gli schemi fondamentali della responsabilità contrattuale
possono essere ricondotti all‟alternativa tra responsabilità per colpa,che
consegue alla violazione di norme di diligenza, e responsabilità
oggettiva, che consente invece di liberarsi solo con la prova del fatto che
l‟inadempimento è dovuto ad «una causa esterna all’impresa del
(278) Cfr. G. B. FERRI, La responsabilità del vettore, cit., 61 ss., la quale in tal
modo coglie una seconda via per l‟attuazione del fenomeno della c.d. socializzazione
della responsabilità. In tal senso si esprime anche G. VISINTINI, Inadempimento, cit.,
288, secondo la quale «l’evoluzione di certi doveri di protezione(ndr: che, secondo
l‟Autrice, trovano comunque la loro fonte nella buona fede e ne sono specificazione),
soprattutto di quelli aventi ad oggetto la persona umana, come nel trasporto di persone
e nel contratto di lavoro subordinato, prepara ad una maggiore oggettivizzazione della
nozione di causa non imputabile, e apre la strada allo strumento dell’assicurazione per
la copertura di certi rischi».
( 279 ) Così G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 147.L‟opera di riferimento è P.
TRIMARCHI, Sul significato economico, cit., 512 ss.
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debitore e di carattere catastrofico, mentre le cause interne all’impresa
restano a carico del debitore anche se siano incolpevoli» (280). In questa
bipartizione, la responsabilità oggettiva riveste il ruolo di strumento
capace di operare la migliore redistribuzione delle risorse tra i soggetti
del mercato, sia addossando i costi conseguenti ai danni derivanti
dall‟inadempimento su quello più forte (non solo in senso economico, ma
soprattutto in senso strategico, perché dotato dei mezzi utili a
metabolizzare il relativo sacrificio), sia mediante il progresso tecnologico
(che in tal modo è stimolato), sia infine perché rendendo più certa la sorte
dell‟eventuale controversia disincentiva la litigiosità (281).
Trimarchi si è fatto quindi portatore di una visione della
responsabilità oggettiva che spinge ai confini della controllabilità le
cause di esonero per il debitore,così ottenendoil favore dalla migliore
dottrina a noi contemporanea, la quale ha saputo in ciò individuare i
lineamenti di un futuro, economicamente valido, sviluppo della teoria
della responsabilità contrattuale d‟impresa (282).
Se questa è la posizione di Trimarchi, l‟assetto che invece in
progresso di tempo si è venuto a creare nel campo del trasporto di
passeggeri, in particolare in quello aereo, comporta un innegabile
riavvicinamento alla teoria oggettivistica dell‟inadempimento elaborata
(280) Così P. TRIMARCHI, cit. , 521.
(281) Cfr. P. TRIMARCHI, cit., 523 ss.
(282) Cfr. G. VISINTINI, Inadempimento, cit., 163 ss.
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da Osti, secondo la quale fonte di responsabilità contrattuale è
l‟inadempimento tout court, a prescindere dall‟elemento soggettivo che
lo connota. Dettateoriavede infatti dolo e colpa attenere esclusivamente
all‟imputazione
dell‟impossibilità
della
prestazione
e
non
già
all‟inadempimento:più di preciso, posto che la mancata esecuzione della
prestazione comporta ex sé l‟inadempimento, solo la prova dell‟assenza
di dolo o colpa e dunquela dimostrazione dell‟imprevedibilità ed
inevitabilità dell‟evento che lo ha causato può esentare il debitore dal
risponderne (283).
A ben vedere però, nella disciplina del trasporto aereo di
passeggeri, sebbene solo in parte, si è persino andati oltre. C‟è stato
infatti, un superamento della teoria della responsabilità contrattuale
oggettiva sia nel senso inteso da Trimarchi, sia in quello elaborato da
Osti, in modo tale da rendere inevitabile evocare il concetto di rischio.
Bisogna a questo punto precisarepreliminarmenteche il rischio
generalmente inteso più che un criterio di imputazione della
responsabilità è un fenomeno descrittivo di caratteri comuni ad
espressioni diverse e non possiede un preciso significato sistematico:
quando si parla di“responsabilità per rischio“, infatti, si intende la
responsabilità
in senso
disgiunto
e contrapposto
a quello
di
“imputabilità” e si dà atto del fatto che un soggetto subisce le
(283) G. OSTI, Scritti giuridici, Milano, 1973, passim. Cfr. inoltre G. VISINTINI,
Inadempimento, cit., 103 ss.; G. CHINÈ – A. ZOPPINI, Manuale, cit., 1911 ss.
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conseguenze pregiudizievoli di un certo evento - a sua volta lesivo dei
diritti di un altro soggetto – senza che detto evento sia a questi
riconducibile, eccezion fatta per la previsione che gliene addossa il costo
economico. Il sacrificio così sopportato, infatti, consiste in un esborso
monetario costituente quantificazione – precisa o forfetizzata – e
traduzione pratica del pregiudizio subìto dal terzo.
È dunque evidente che in ciò sostanziandosi, il rischio appare
come comprensivo di criteri di imputazione che possono essere i più
svariati, quali,per citare qualche esempio, quelli della preposizione, della
disponibilità di un bene, dell‟esercizio di una certa attività ( 284). Ad ogni
modo, riducendo il rischio ai suoi tratti salienti può in un certo senso
essere individuata una definizione dello stesso come imputazione di un
sacrificio ad un soggetto quale conseguenza di un danno subìto da un
terzo in virtù di una mera previsione legale o negoziale.
In tutto ciò, il rischio resta comunque un fatto specifico e non un
generale criterio di imputazione. Il motivo che giustifica la previsione poi
è esterno al fenomeno ed attiene, questo si, al canone di attribuzione del
rischio.
È poi vero che parlare di rischio significa usare un concetto che
necessita di essere messo in relazione con qualcosa affinché assuma un
significato, sicché la possibilità che si debbano subire le conseguenze di
condotte a sé non imputabili neppure causalmente è tradizionalmente
(284) Cfr. S. RODOTÀ, Il problema, cit., 176.
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152
ricondotta in campo contrattuale al concetto di rischio dell‟impossibilità
della prestazione (285).
Certo è anche che il fatto stesso che si parli delle conseguenze di
un qualcosa che abbia i connotati dell‟impossibilità ha senso solo se ciò
che di impossibile si intende sia espressamente ricondotto da una fonte
normativa vincolante per chi ne deve rispondere ( 286). In questo senso si
coglie la duplice relatività del concetto di rischio in quanto relato al
sacrificio minacciato ed al soggetto che di quel sacrificio deve
rispondere. Poiché si tratta, come detto, di condotte non imputabili a
nessuna delle parti in rapporto, è dunque dall‟esterno che deve essere
stabilito chi dei due soggetti è opportuno che ne patisca le conseguenze
in considerazione della disponibilità del correlativo potere ( 287 ), si
potrebbe dire, di protezione.
Quest‟ultimo, come già si è avuto modo di dire, nel campo
dell‟integrità della persona che sia interessata da una prestazione che
necessariamente la coinvolge, si distribuisce tra debitore e creditore
mediante l‟individuazione di un punto di equilibrio fra protezione e
( 285 ) Sul concetto di rischio si veda S. ORLANDO, Rischio e vendita
internazionale, Milano, 2002, 19 ss., 38. Sul rischio contrattuale si veda altresì E.
BETTI, Teoria generale, cit., 154 ss., con il quale chi scrive è d‟accordo sul fatto che il
problema del rischio nei termini di cui sopra non è esclusivo dei contratti sinallagmatici,
ma «può sorgere rispetto a qualsiasi tipo di contratto, anche ad obbligazione
unilaterale» e non solo con riferimento alla perdita del diritto alla prestazione da parte
del creditore, ma altresì avendo riguardo al danno eventualmente patito a causa di detta
perdita (158, 160).
(286) Cfr. S. ORLANDO, Rischio, cit., 23.
(287) Si veda, ancora, S. ORLANDO, cit., 24, 32.
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153
autoprotezione che varia a seconda della possibilità che la seconda si
esplichi e della sua conseguente ampiezza.
Con riferimento a quest‟ultimo aspetto, si apre una problematica
relativa proprio all‟individuazione del momento discriminante il potere di
protezione da quello di autoprotezione che è opportuno affrontare prima
di ogni ulteriore approfondimento sulla tematica del rischio.
3. Il confine tra protezione e autoprotezione: criteri semantici e
temporali di individuazione. La nozione di accident e di sinistro
marittimo.
La dimensione ad un primo esame tendenzialmente totalizzante
della protezione del passeggero trova un duplice limite nella natura
dell‟evento causativo del danno e nel momento in cui esso si verifica
(288); l‟art. 17 CM infatti,condiziona la risposta risarcitoria del vettore al
(288) Il limite diventa triplice se si esclude dall‟alveo dei danni risarcibili il danno
c.d. psichico, ossia i pregiudizi rilevabili sul piano emotivo, in particolar modo se non
ricollegati ad una lesione di tipo corporale.Sulla nozione di danno psichico e, più in
generale, per un‟attenta analisi della terminologia adottata nella CM in materia di danno
e risarcimento si rinvia a A. ANTONINI, Il danno risarcibile nel trasporto aereo di
persone, in La nuova disciplina del trasporto aereo (a cura di L. Tullio), Napoli, 2006,
81, 86. Si veda inoltre A. ZAMPONE, Sulla risarcibilità del danno psichico nel trasporto
internazionale di persone (nota a U.K. H.L. 2001, King. V. Bristow Helicopters Ltd. v.
KLM), in Dir. trasp. 2003, 1012 ss. Interessante per la completa ricostruzione della CV
e della CM in tema, anche alla luce della giurisprudenza internazionale, è la pronuncia
Ehrlich v. American Airlines, 360 F.3d 366 (2nd circ., 2004). Il punto, invero, è ancora
vivamente dibattuto e, sebbene la giurisprudenza maggioritaria sia propensa ad
escluderne la autonoma rilevanza, non mancano le aperture ad una soluzione
affermativa, come fa notareM. PIRAS, Il danno non patrimoniale nel trasporto aereo, in
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verificarsi di un accidenta bordo o nel corso di una qualsiasi delle
operazioni di imbarco o di sbarco, aggiungendo dunque allo sbarramento
quantitativo dei 113.100 DSP quello qualitativo della natura della causa
del danno e quello spazio-temporale dato dal momento (e, di
conseguenza, dal luogo), in cui esso si verifica.
Per quanto concerne il primo aspetto, la nozione di accident è
stata correttamente definita una nozione aperta, ossia da valutare caso per
caso (289), posto che il termine utilizzato dal legislatore uniforme non è di
per sé idoneo a fornire un senso univoco alla disciplina e rinvia, quindi,
alla lex fori per la sua precisazione (290).
Sta di fatto che la parola in questione, significante infortunio
inatteso, ha sostituito, nel passaggio dal regime di Varsaviache già
parlava di accident, il termine event contenuto nel Protocollo di
Guatemala City del 1961 (
291
), evitando peraltro l‟utilizzo della
Dir. trasp. 2012, 387 ss.; in tema si veda anche E. G. ROSAFIO, L’azione
extracontrattuale, in La nuove disciplina del trasporto aereo (a cura di L. Tullio),
Napoli, 2006, 255, 278 ss.. Sostiene l‟autonoma risarcibilità dei danni psichici alla luce
della legge nazionale stante la non esaustività della disciplina della CML. TULLIO, Il
danno risarcibile nel trasporto aereo: il danno morale, in Dir. trasp. 2011, 777 ss.
(289) L. TULLIO, L’obbligazione di protezione, cit., 350, 365.
(290) Così S. BUSTI, Contratto di trasporto aereo, cit., 417.
(291) Il Reg. (CE) n. 2027/07 parlava anche esso di accident: art. 3, «The liability
of a Community air carrier for damages sustained in the event of death, wounding or
any other bodily injury by a passenger in the event of an accident shall not be subject to
any financial limit, be it defined by law, convention or contract».
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parolaincident, indicativo, invece, del mero infortunio, non ulteriormente
qualificato (292).
È quindi invalsa, non senza un dibattito che a tutt‟oggi non può
dirsi completamente sopito, l‟interpretazione secondo la quale per
accident si intende un evento inusuale, inaspettato nonché esterno al
passeggero (293). Rimangono conseguentemente esclusi i danni derivanti
( 292 ) Sul punto si veda M. M. COMENALE PINTO, Riflessioni sulla nuova
Convenzione di Montreal, cit., 798, 828 ss. Peraltro, lo stesso art. 17 CM utilizza il
termine accident al primo comma con riferimento ai passeggeri, mentre adotta il
termine event con riferimento ai bagagli, come fa notare B. BERTUCCI, La Convenzione
di Montreal del 28 maggio 1999, in CUST, Atti dell‟incontro di studio, Ispica 29 agosto
– 4 settembre 1999, Messina, 2000, 270.
(293) È la definizione fornita dalla U.S. S.C. nel celeberrimo caso Air France v.
Sacks, 470 U.S. 392 (1985), ove si parla di accident in termini di «an unexpected or
unusual event or happening that is external to the passenger», confermata nella più
recente giurisprudenza statunitense; cfr. Shawn Carriker, et al v. Emirates Airlines, Inc.,
(5th Circ. 2012). Ad onor del vero una definizione ufficiale di accident la si rinviene
nell‟Annex 13 alla Convenzione di Chicago del 1944 sulle Accident Investigation, ove
per esso si intende: «An occourrence associated with the operation of an aircraft which
take place between the time any person boards the aircraft with the intention of flight
until such time as all such persons have disembarked, in wich: a) a person is fatally or
seriously injured as result of: - being in the aircraft, or – direct contact with any part of
the aircraft, including parts which have became detached from the aircraft, or – direct
exposure to jet blast, except when the injuries are from natural causes, self-inflicted or
inflicted by other persons, or when the injurues are to stowaways hiding outside the
areas normally available to the passengers and crew; or b) the aicraft sustains damage
or structural failure which: - adversely affects the structural strenght, performance or
flight characteristics of the aircraft, and – would normally require major repair or
replacement of the affected component, except for engine failure or damage, when the
damage is limited to the engine, its cowlings or accessories or for damage limited to
propellers, wing tips, antennas, tires, brakes, fairings, small dents or puncture holes in
the aircraft skin or c) the aircraft is missing or is completely inaccessible».
Dall‟accident l‟ICAO distingue l‟incident, intendendo per esso «An occourence, other
then accident, associated with the operation of an aircraft which affects or could affect
the safety of operation». Un‟attenta analisi delle due disposizioni è stata fatta da F.
PELLEGRINO, Sicurezza e prevenzione, cit., 110 ss. Per completezza è bene dire che
l‟Annex 13, insieme agli Annexes 1, 6. 8. 11, 13 e 14, confluirà con entrata in vigore a
partire dal 14 novembre 2013 nell‟Annex 19 in vista di una progressiva armonizzazione
della disciplina di standards e pratiche raccomandate ICAO. Cfr. anche G.
MASTRANDREA, L’obbligo, cit.,181 ss. Ritiene invece estranee alla nozione di accident
la repentinità e l‟imprevedibilità dell‟accadimento, S. BUSTI, Contratto, cit., 417,
poiché, secondo l‟Autore, «per accident si deve intendere lo stesso infortunio del
viaggiatore, che già di per sé costituisce un fatto anomalo occorso durante le
operazioni di trasporto, senza che si possa andare a pretendere che siano il passeggero
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da circostanze che, malgrado siano pregiudizievoli, abbiano il carattere
della frequenza o anche della mera prevedibilità, oltre a quelli che siano
sviluppo di un fenomeno interno del passeggero (294).
od i suoi aventi diritto a dimostrare puntualmente situazioni di anormalità del servizio
aereo».
(294) In quest‟ottica si capisce, di conseguenza, perché sia ritenuto estraneo al
concetto di accident il caso in cui il passeggero sia interessato da DVT (deep vein
thrombosis,ossia trombosi venosa profonda), patologia che si manifesta soprattutto al
livello degli arti inferiori e che si ritiene comunemente causata dalla lunga permanenza
in posizione seduta in spazi troppo stretti per potersi muovere. La sindrome, pertanto, è
detta anche “sindrome della classe economica”, anche se i casi verificatisi in classi
superiori, o addirittura in contesti diversi dal traporto aereo, smentirebbe l‟assunto
sull‟eziologia necessariamente collegata al trasporto aereo economico, come ricorda
uno dei più attenti commentatori del fenomeno M. M. COMENALE PINTO, La sindrome
della classe economica, in http://www.dirittoestoria.it/9/Contributi/Comenale-PintoSindrome-classe-economica.htm#_ftn6, nonché G. N. TOMPKINS JR, Deep Vein
Thrombisis (DVT) and Air Carrier Legal Liability – The Mith and the Law, in Air & Sp.
L. 2001, 231 ss.In effetti non vi sono ancora evidenze scientifiche che definiscano
l‟insorgenza della DVT come conseguenza immediata e diretta della ristretta libertà di
movimento a bordo di un aeromobile. Piuttosto, è stata individuata una serie di fattori
predisponenti e cause concomitanti la sua insorgenza, quali l‟ereditarietà, i trattamenti
ormonali, il fumo, l‟aver assunto bevande alcoliche prima del volo, la scarsa
idratazione, la carenza di ossigeno, la mancata deambulazione. Cfr. G. GUERRIERI,
Italian Court Denies Recovery for Cerebral Haemorrhage Following 18.5-Hour
Aircraft Journey, in Air & Sp. L. 2010, 79 ss.. La DVT, dunque, è attualmente
considerata una risposta, almeno in parte, personale ed interna del passeggero a
condizioni del tutto normali e consuete di volo. Peraltro, si ritiene che non costituisca
evento inusuale ed inaspettato e dunque non sia un accident il mancato avviso circa la
possibile insorgenza della sindrome ed i metodi per la sua prevenzione. Sulla DVT e le
tematiche ad essa collegate si vedano: G. N. TOMPKINS JR., DVT litigation update:
September 2004, in Air and Space law, 2004, 312 ss.; U.K. C.A. 3 luglio 2003, The
deep vein thrombosis and air group litigation, in Dir. mar. 2005, 256 ss. con nota di L.
PALMIERI, La D.V.T. non costituisce un “accident” ai sensi della Convenzione di
Varsavia; M. POLKOWSKA, Some Observations on Civil Air Carrier Liability in
International Air Carriage – “Accident”, “Damage” and Jurisdiction, in Uniform Law
Review, 2010/I, 109 ss. Sull‟esclusione delle conseguenze di un già compromesso stato
di salute del passeggero dalla nozione di accident si veda A. ZAMPONE, Le nuove norme
sulla responsabilità del vettore, cit., 7, 20 Tuttavia, non mancano pronunce in cui, con
generale riferimento al carattere esterno della lesione, si è negato che una preesistente
situazione patologica del passeggero potesse escludere la responsabilità del vettore,
come in C.A. Paris 14 maggio 1987, S.té CAMAT et autre c. Dubosq et autre(solo
massima), in Dir. trasp. 1989/I. È invece ascrivibile alla categoria degli accidents
l‟ommessa assistenza al passeggero, anche eventualmente conseguente un principio di
DVT. Sul punto si veda L. PALMIERI, Ancora sulla nozione di “accident” in base alla
convenzione di Varsavia, nota a sent. U.S. S.C. 24 febbraio 2004, Olympic Airways v.
Rubina Husain, in Dir. mar. 2006, 930 ss., ove, tra le ipotesi in cui il vettore potrebbe
essere considerato responsabile per i danni da DVT, si cita il caso «di una compagnia
aerea che omette di avvisare i passeggeri del rischio DVT, nonostante le procedure
standard glielo impongano», ricordando in tal modo che l‟obbligazione di protezione è
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157
In dottrina è stato correttamente osservato che la preferenza
definitivamente accordata al termine accident, in luogo di quell‟event
utilizzato nel Protocollo di Guatemala City, ha escluso che sul vettore
ricadesse un‟autentica garanzia relativa alla copertura economica di
qualsiasi infortunio per il solo fatto che esso si fosse verificato a bordo
dell‟aeromobile o dall‟inizio delle operazioni di imbarco al termine di
quelle di sbarco con la sola eccezione del caso in cui lo stesso stato di
salute del passeggero sia la causa del pregiudizio. In altre parole, con
l‟utilizzo del termine eventsul vettore sarebbe ricaduto l‟intero rischio
connesso all‟attività di trasporto, indipendentemente dal carattere usuale,
prevedibile ed evitabile o meno del fatto lesivo (295).
legata ad una determinazione, legale e negoziale, autonoma e prevalentemente
preventiva del suo contenuto e solo in minima parte individuabile a posteriori alla
stregua di un mero aspetto di valutazione del corretto adempimento della prestazione di
trasferimento. La valorizzazione dell‟aspetto negoziale, peraltro, non solo consente di
includere l‟omissione (tradizionalmente considerata dalla giurisprudenza anglosassone
un non-event e perciò esclusa dal genus degli accidents), nella categoria accident
quando corrisponda ad un mancato ossequio di una previsione, ma consente altresì,
come meglio si vedrà oltre, di superare la natura meramente responsabilistica del
sistema del two tier liability, come afferma A. ZAMPONE, Il rischio, cit., passim. Del
resto, la scarsa incidenza della DVT sul totale dei trasferimenti passeggeri comporta che
detta sindrome potrebbe ben essere considerata, al di là delle logiche soggettive, un
rischio ben collocabile sul mercato assicurativo. Sul punto si veda M. M. COMENALE
PINTO, La sindrome, cit. Il fatto è che, o si fa ciò continuando però a sostenere la natura
interna al passeggero del fenomeno (e in tal caso altre istanze potrebbero derivare per
ipotesi del tutto analoghe), ovvero, trattandosi di messa in gioco della salute del
passeggero, nel momento in cui la DVT dovesse essere riconosciuta come evento
esterno al passeggero sarebbe del tutto logico pretendere dal vettore una protezione
adeguata ad evitarne l‟insorgenza. Sull‟onere probatorio relativo alla sussistenza di un
accident nel senso finora specificato si veda E. CARGNEL, Trombosi nel trasporto
aereo: nesso di causalità e nozione di incidente, nota a sent. Trib. Busto Arsizio 24
marzo 2009, in Dir. trasp. 2010, 459, 462 ss., ove si prendono le distanze dalla tesi che
addossa al passeggero il compito di individuare la causa del danno e la sua
riconducibilità al vettore, sia con riferimento ai danni di entità inferiore o pari a – quelli
che all‟epoca erano ancora - 100.000 DSP (e quindi in relazione alla natura di accident
del fatto lesivo), sia con riguardo a quelli che superano tale somma (e pertanto in
funzione dell‟imputabilità dell‟evento al vettore).
(295) Così osserva G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 182 ss.
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Ciò detto, è opportuno precisare altresì che il sinistro così
individuato
può
avere
qualsivoglia
matrice,
purché
comporti
unamodificazione in senso peggiorativo della saluto del passeggeroe sia
legato a un‟anomalia del servizio che può prescindereanche dalla
necessaria riconducibilità a quest‟ultimo in senso eziologico ( 296 ),
essendo l‟unico aspetto rilevante quello relativo al fatto che si tratti di
un‟anomalia rispetto al normale svolgimento dell‟attività di trasferimento
e quindi che l‟accident sia avvenuto a bordo del mezzo o durante le
operazioni di imbarco o sbarco.
Differisce
radicalmente
l‟approccio
della
PAL
verso
la
definizione della causa del danno, limitando la protezione ai soli casi di
incidente marittimo, il quale ha un significato diverso rispetto a quello di
accident: mentre quest‟ultimo, infatti, è concetto variabile, il primo è
definito con precisione dal legislatore ( 297 ), il che evita, a monte,
eventuali incertezze circa cosa debba intendersi per incidente marittimo.
(296) Cfr. S. BUSTI, Contratto, cit. 420. Sono pertanto stati considerati alla stregua
di accident i casi di pirateria o attacchi terroristici, così come le lesioni derivanti dalla
condotta di un altro passeggero. Sul punto si vedano: G. MASTRANDREA, Profili
dell’obbligo di protezione del passeggero nel trasporto aereo: la delimitazione
temporale della responsabilità e la nozione di sinistro, in La tutela del turista (a cura di
G. Silingardi – V.Zeno-Zencovich), Napoli, 1993, 286. U.S. C.A. (2nd circ. 2000),
Wallace v. KLM Korean Air, e U.K. C.A. 17 maggio 2001, Morris v. KLM Royal Dutch
Airlines, in Dir. trasp. 2002, 678, solo massima
(297) Così L. TULLIO, L’obbligazione di protezione, cit., 349, 365 ss.
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159
4.
(Segue)
La
limitazione
temporale
dell’obbligazione
di
protezione.
Dal punto di vista della delimitazione temporale dell‟obbligo di
protezione, occorre fare delle diverse precisazioni.
Premesso che già sotto la vigenza della CVin tema di trasporto
aereo di passeggeri e del codice della navigazione per quanto riguarda il
trasporto marittimo di passeggeri l‟interpretazione ampia delle nozioni di
imbarco e sbarco escludeva che avessero rilievo ai fini della protezione
vettoriale l‟ingresso e l‟uscitadal mezzo di trasporto intesi in senso stretto
(298), attualmente nella CM il riferimento è ancora, oltre al periodo in cui
il passeggero si trova a bordo dell‟aeromobile o della nave, a quello che
si estende dall‟inizio delle operazioni di imbarco al compimento delle
operazioni di sbarco ( 299 ). Nella PAL il riferimento invece è, oltre al
(298) In tal senso opera il riferimento alle operazioni di imbarco e sbarco nella
CM e l‟interpretazione prevalente dell‟art. 409 c. nav., come precisa DE MARCO, La
responsabilità civile nel trasporto di persone e cose, Milano, 1985, 265. La teoria di
riferimento è quella dei rischi dell‟aria elaborata dalla giurisprudenza francese sotto la
vigenza della CV, secondo la quale, il passeggero che avesse voluto beneficiare della
presunzione di responsabilità in essa prevista avrebbe dovuto dimostrare la
verificazione del danno dal momento della salita a bordo dell‟aeromobile a quello della
discesa dal medesimo, intesi entrambi in senso materiale. Cfr. G. MASTRANDREA,
L’obbligo, cit., 162, 163.
(299) È da subito opportuno dire che detta formula non può essere applicata al
ritardo ed alla conseguente protezione, posto che non avrebbe senso parlare di ritardo
cagionato dall‟inizio delle operazioni di imbarco al compimento di quelle per lo sbarco.
La CM nulla dice in merito, tranne fare riferimento al ritardo nel trasporto, di talché
l‟interpretazione preferibile, anche alla luce di una lettura congiunta della CM con il
reg. (CE) n. 261/2004, è quella che considera il ritardo come il superamento dell‟orario
previsto di arrivo del volo. Cfr. S. BUSTI, La responsabilità del vettore aereo per danni
da ritardo, in La nuova disciplina aeronautica (a cura di L. Tullio), Napoli, 2006, 127,
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160
periodo in cui il passeggero si trova a bordo della nave, all‟arco
temporale che si svolge durante l‟imbarco e lo sbarco (300), con l‟ulteriore
precisazione che la protezione si estende, in quanto considerato trasporto,
anche al «periodo nel quale sono trasportati per via d'acqua dalla
banchina alla nave o viceversa, se il costo di tale trasporto è compreso
nel prezzo del biglietto o se l'imbarcazione adibita a tale trasporto
accessorio è stata messa a disposizione del passeggero dal vettore» (301),
150. Parla di «arrivo non puntuale a destinazione» che può, a sua volta, essere
considerato in maniera soggettiva, escludendo quindi la relativa responsabilità se il
vettore prova di aver adottato le opportune misure di diligenza, ovvero oggettiva, ossia
come ritardo considerevole, al più depurato da un margine forfetario di tolleranza, S.
GIACOBBE, La responsabilità del vettore aereo per ritardo, in Studi su: negato imbarco,
cancellazione del volo e ritardo nel trasporto aereo (a cura di M. Deiana), Cagliari,
2005, 87, 93 ss., la quale, tuttavia, ritiene preferibile, al fine di superare l’eccessiva
indeterminatezza della tesi oggettiva, considerare il mero superamento dei tempi di volo
rispetto all’orario previsto di arrivo con la possibilità per il vettore di esonerarsi
dimostrando di aver adottato tutte le misure necessarie e possibili per evitare il danno,
sempreché quest’ultimo sia provato nella sua esistenza ed entità. Deve essere oltretutto
precisato che mentre la CM disciplina il solo ritardo all’arrivo, il reg. (CE) n. 261/2004,
disciplina positivamente il ritardo alla partenza, ma, alla luce delle più recenti
innovazioni giurisprudenziali europee, è destinato a regolare, altresì, il ritardo all’arrivo.
Sul punto si veda infra § 8.
(300) Art. 1, punto 8), lett. a) PAL: «il “trasporto” comprende i seguenti periodi:
a) per quanto concerne il passeggero e/o il suo bagaglio a mano, il periodo nel quale
essi si trovano a bordo della nave o durante l'imbarco o lo sbarco e il periodo nel quale
sono trasportati per via d'acqua dalla banchina alla nave o viceversa, se il costo di tale
trasporto è compreso nel prezzo del biglietto o se l'imbarcazione adibita a
tale trasporto accessorio è stata messa a disposizione del passeggero dal vettore.
Tuttavia, con riferimento al passeggero, il trasporto non comprende il periodo nel
quale questi si trova in una stazione marittima o in un terminal marittimo o su una
banchina o altra infrastruttura portuale». Art. 17.1 CM: «Il vettore è responsabile del
danno derivante dalla morte o dalla lesione personale subita dal passeggero per il fatto
stesso che l'evento che ha causato la morte o la lesione si è prodotto a bordo
dell'aeromobile o nel corso di una qualsiasi delle operazioni di imbarco o di sbarco».
Come si è detto in precedenza, già sotto la vigenza del solo art. 409 c. nav. le attività di
imbarco e sbarco, considerate intrinsecamente pericolose, erano considerate oggetto di
protezione.
( 301 ) La PAL fa propria, pertanto, una precisazione fatta dalla dottrina con
riguardo alla CM, ossia la natura di «operazioni sostanziali del trasporto» delle attività
di trasferimento tramite interpista dei passeggeri, le quali dunque «in mancanza
dell’operato delle stesse da parte di terzi, dovrebbero essere svolte direttamente dal
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mentre è esclusa nel periodo in cui il passeggero
«si trova in una
stazione marittima o in un terminal marittimo o su una banchina o altra
infrastruttura portuale».
Evidentemente, ci si trova ancora una volta davanti al fenomeno
per cui la pluralità di soggetti legislativi, la settorialità delle norme e la
natura di compromesso della disciplina mettono a dura prova la coerenza
dell‟ordinamento.
Ad ogni modo, malgrado siano tuttora discusse le nozioni di
imbarco e sbarco, l‟interpretazione prevalente con riferimento alla CM,
proprio per il riferimento alle «operazioni», è quella che individua
l‟inizio e la fine di queste due fasi mediante il criterio della distinzione
dagli altri utenti aeroportuali e del raggruppamento a ciò finalizzato; in
tal modo, le fasi in questione sono ravvisabili dal momento in cui i
passeggeri di un volo si mettono in fila al gate per il ritiro della carta
d‟imbarco e l‟accesso al finger o all‟area di transito verso l‟aeromobile,
al momento in cui il gruppo di scioglie con il varco della porta di sola
uscita dall‟area protetta degli arrivi ( 302 ). In questo modo, qualsiasi
attività di spostamento verso l‟aeromobile è posta sotto la protezione del
vettore, senza le precisazioni riguardanti il fatto che detto trasferimento
vettore», come rimarca M. BADAGLIACCA, L’attività di interpista nel sistema di
Varsavia, nota a Cass. 25 settembre 2001, n. 12015, in Dir. trasp. 2002, 235, 243.
(302) Questa interpretazione è sostenuta dalla migliore dottrina, fra cui si possono
citare T. BALLARINO – S. BUSTI, Diritto aeronautico e spaziale, cit., 629; S. BUSTI,
Contratto, cit., 425; G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 157; A. LEFEBVRE D‟OVIDIO L. TULLIO – G. PESCATORE, Manuale, cit., 479 ss.
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sia o meno compreso nel prezzo del biglietto o posto in essere a cura
dello stesso vettore, come invece fa la PAL (303).
Meglio precisato, il criterio suddetto si traduce nella strumentalità
dell‟azione: imbarco e sbarco comprendono, in tal senso, tutti i «momenti
finalizzati a che il volo abbia inizio o concluda i suoi effetti per il
passeggero», tenendo conto, per la loro individuazione, di fattori quali il
luogo in cui il passeggero si trova e di ciò che il passeggero fa in quel
dato momento ( 304 ). Ciò che conta, in altre parole, è quella che nel
presente lavoro è sempre stata definita come limitazione della libertà di
autodeterminazione del passeggero proprio in funzione delle attività
vettoriali, non essendo determinante, si noti, l‟effettiva vigilanza da parte
del personale della compagnia aerea in quanto basta che l‟utente sia
costretto a tenere una condotta vincolata affinché la prestazione di
trasferimento possa avere luogo (305).
Tenuto conto di queste teorie e del fatto che esse così come sono
appaiono tuttavia troppo ampie e dai confini discutibili,icriteri dirimenti
sembrano essere, invece, quello dell‟apparenza della protezione (e della
( 303 ) In senso contrario alla considerazione del trasporto su interpista come
operazione di imbarco si veda Cass. 25 settembre 2001, n. 12015 con nota contraria di
M. BADAGLIACCA, L’attività di interpista nel sistema di Varsavia, cit., 232, ove
l‟Autore precisa che «le operazioni di assistenza a terra, in particolare il trasporto dei
passeggeri per mezzo di interpista al fine di condurli ai piedi delle scalette dell’aereo,
costituiscono operazioni sostanziali del trasporto – e ciò perché rientrano […]
nell’ambito temporale di responsabilità vettoriale – che, in mancanza dell’operato delle
stesse da parte di terzi, dovrebbero essere svolte direttamente dal vettore».
(304) Così. S. BUSTI, Contratto, cit., 421. 422.
( 305 ) Il triplice ordine di presupposti da verificare per l‟individuazione della
responsabilità del vettore sono elencati in Day v. TWA, U.S. C.A. (2nd circ.1975).
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163
correlativa evidente carenza di autoprotezione),assiemeal conseguente
affidamento della propria persona da parte del passeggero al vettore, i
quali criteri superano entrambi i singoli concetti di raggruppamento o di
strumentalità (306). Per questa via risulta chiaro che il passeggero che non
rileva inequivoci segnali di protezione non può invocarla, anche se ciò
che egli fa può ad un primo esame apparire necessario e strumentale;
diversamente, infatti, si potrebbe considerare oggetto di protezione
qualsiasi attività svolta dal singolo al fine di poter essere trasportato, ivi
compreso, per esempio, il fatto di aver percorso il tratto di strada che
conduce al porto o all‟aeroporto o l‟aver semplicemente dovuto
attraversare quest‟ultimo o sostarvi ( 307). Il tratto comune delle attività
citate a titolo esemplificativo è, infatti, quello dell‟ignoranza da parte del
vettore della presenza del passeggero sotto la sua cura per via della
mancanza di elementi che ne limitino inequivocabilmente la libertà di
( 306 ) Così chi scrive ritiene debba essere inteso il criterio elaborato da
Mastrandrea, secondo il quale occorre «considerare tutto il tempo in cui il passeggero
affida comunque la propria persona al vettore, comprendendo in questa delimitazione
temporale anche le fasi in cui il passeggero, che inequivocabilmente mostra interesse
ad usufruire della prestazione di trasporto, è sottoposto alla vigilanza, anche solo
potenziale del vettore medesimo, in luoghi in ogni caso sottoposto al controllo di
questi». Cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 174, poi sostanzialmente confermato in
ID., L’ambito temporale della responsabilità del vettore per morte o lesioni del
passeggero, in La nuova disciplina del trasporto aereo (a cura di L. Tullio), Napoli,
2006, 76 ss.
( 307 )Al riguardo si noti come la permanenza forzata dei passeggeri
nell‟aerostazione dovuta al dirottamento dell‟aeromobile è considerata alla stregua di
una fase del volo – dirottato – sebbene anomala, comportando, di conseguenza, la
protezione da parte del vettore. Cfr. G. MASTRANDREA, L’ambito temporale, cit., 76. E.
GIEMULLA – R. SCHMID, Warsaw Convention, cit., 27, invece, ritengono esclusa la
protezione in caso di forced-stopover, anche se occorre precisare che si tratta di
un‟interpretazione risalente alla vigenza della CV, quando la responsabilità era
comunque legata alla diligenza del vettore e, di conseguenza, alla sua condotta in senso
stretto.
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164
movimento e di autodeterminazione e rendano evidente il correlativo
controllo compensativo da parte del vettorestesso (308).
In ciò consiste, ad esempio, la differenza tra uno spostamento
interno all‟area aeroportuale successiva ai controlli di sicurezza, ma
effettuata perché il vettore è costretto a cambiare gate(e quindi a far
spostare la fila), oppure perché il volo è stato interrotto per ragioni
tecniche (transit-stopover) o, ancora, per via di un dirottamento (forcedstopover), rispetto a quello simile del passeggero che cerca in autonomia
di non perdere una coincidenza (transfer-stopover) (309): non nella mera
collegialità o meno della condotta dei passeggeri, bensì nella libertà di
scelta di questi e nell‟assenza di presidi (indicazioni, presenza di
personale, avvisi e simili), limitativi da un lato e protettivi dall‟altro, da
parte del vettore.
Certo è che restano comunque delle zone d‟ombra, quali quella
relativa alla fase del check in, la quale come è noto, si svolge nell‟area
aeroportuale aperta al pubblico approssimandosi ai banchi della
( 308 ) Già sotto la compilazione della CV, infatti, era stato escluso che la
responsabilità del vettore si estendesse dal momento di arrivo all‟aeroporto di partenza
al momento di uscita dall‟aeroporto di destinazione, mediante la riscrittura del
documento preparatorio CITEJA sulla responsabilità del vettore aereo di passeggeri
che, invece, conteneva una previsione in tal senso. Del resto, il mero ingresso nell‟area
aeroportuale da parte del passeggero non rende edotto della sua presenza il vettore. Così
E. GIEMULLA – R. SCHMID, Warsaw Convention, cit., 22 ss. Tuttavia, con la
presentazione ai banchi di accettazione ciò non si può più affermare, e questo ha
condotto gli stessi Autori a sostenere che in quella fase e con esclusivo riferimento ad
essa il vettore risponde della condotta non diligente del personale, ma si tratta, bisogna
ricordarlo, di interpretazioni date in applicazione della CV.
(309) Sul punto si vedano T. BALLARINO – S. BUSTI, Diritto aeronautico, cit., 631;
S. BUSTI, Contratto, cit., 425.
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165
compagnia di volo. Al riguardo, la giurisprudenza ha ritenuto opportuno
escludere la responsabilità del vettore per gli infortuni del passeggero
(310), anche se potrebbero ben ipotizzarsi casi in cui potrebbe sostenersi il
contrario; del resto, a tal fine sono posizionate in detta area strutture di
cui il vettore usufruisce e le operazioni di accettazione sono svolte dai
suoi dipendenti. Tuttavia, a voler essere precisi sembra proprio mancare
in questi casi la limitazione di movimento del passeggero e l‟evidenza
della protezione, in quanto, giustamente, la fase di accettazione non è
ancora momento di «presa in custodia» del passeggero ( 311 ), ma fase
amministrativa preparatoria al trasporto dei passeggeri, utile per
verificare l‟identità dei passeggeri, normalmente per assegnare loro il
posto e consegnare la carta di imbarco, nonché solitamenteper
controllare, ricevere in consegna e/o registrare il bagaglio(312).
(310) Cfr. M. BADAGLIACCA, cit., 237, nota 3. Altro momento critico è quello del
passaggio ai controlli di sicurezza: il carattere necessario degli stessi, infatti, potrebbe
indurre a ragionare in termini di strumentalità rispetto all‟esecuzione del trasporto del
passeggero. Tuttavia, a favore dell‟esclusione di detta fase da quella di operazione di
imbarco e, quindi, dalla sfera di protezione del vettore, militano diverse considerazioni.
In primo luogo, detti controlli sono normalmente effettuati da soggetti privi di uno
stretto collegamento con il vettore e, viceversa, operanti a favore di molteplici vettori
operanti su voli nazionali ed internazionali; in secondo luogo, il loro svolgimento è
finalizzato alla sicurezza non del singolo volo ma di tutta la società, come hanno
dimostrato i tragici eventi dell‟11 settembre 2001; in terzo ed ultimo luogo, la CM, così
come la CV, non si applicano ai controlli di sicurezza in quanto materia da esse non
disciplinata. In tal direzione si è mossa la pronuncia Ester Dazo v. Globe Airport
Security Services, U.S. C.A. (9th circ. 2001)
(311) Espressione usata da G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 164. Dal check in,
al massimo, inizia la presa in custodia del bagaglio del passeggero.
(312) A tal proposito può considerarsi anche la facoltatività del check in ai banchi
d‟accettazione, sostituibile con l‟auto-check in ai totem appositamente predisposti in
aeroporto nell‟area aperta al pubblico o on line.
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166
Il limite spazio-temporale dunque, è fondamentale nella sua precisa
delimitazione in quantoqualifica le operazioni proprie o estranee
all‟esercizio dell‟impresa vettoriale e, allo stesso tempo, rende
«caratteristico» del trasporto l‟accadimento ( 313 ). Per rispondere al
meglio a questa esigenza è da condividere la scelta compiuta nella nuova
disciplina marittima, ove a ben vedere, le aree escluse dalla copertura
protettiva (stazioni marittime, terminal, banchine e simili), sono
infrastrutture aperte al pubblico ove non vi è la benché minima
sorveglianza da parte del vettore fino al momento in cui il passeggero si
approssima alle scalette destinate alla salita a bordo del mezzo.
5. Il rischio dell’impossibilità di proteggere.
Dopo la breve premessa di carattere generale sul rischio e l‟esame
del concetto di accident nonché sull‟estensione temporale della
protezione, quello che in questa sede preme altresì esaminare è
l‟esistenza di previsioni che addossano al vettore il costo di eventi ad
esso non riconducibili, oltre a quello di quanto è alla sua impresa
(313) S. BUSTI, Contratto, cit., 416, 420.
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167
addebitabile, traduzione evidente di quelle soluzioni di compromesso di
cui si è discusso in sede introduttiva nel presente capitolo.
Orbene, questo compromesso attualmente vuole che nel trasporto
aereo e, sebbene con delle significative varianti, in quello marittimo di
passeggeri, viga il meccanismo noto come two tier liability system, con
riferimento al quale sono state prospettate diverse ricostruzioni teoriche.
Autorevole dottrina ha infatti ritenuto che le conseguenze a cui è
soggetto il vettore in caso di morte o lesioni del passeggero sia pur
sempre da ricondurre a quello della responsabilità contrattuale, sebbene
con cambiamento del regime al raggiungimento della soglia dei 113.100
DSP;
stando
a
quanto
premesso,
da
una
responsabilità
per
inadempimento oggettiva si passa ad un‟ordinaria responsabilità per
inadempimento di tipo soggettivo per colpa presunta (314).
Altra parte della dottrina invece, sulla base dell‟inopportunità di
ipotizzare un duplice sistema di responsabilità per un unico fatto
causativo dell‟inadempimento ritiene che l‟entità del danno sia da
considerare un elemento del tutto avulso dal meccanismo di accertamento
della responsabilità civile ed attinente esclusivamente al momento
(314) Così G. SILINGARDI, Reg. CE 2027/97, cit., 1998, 621; A. ANTONINI, La
responsabilità, in Dir. trasp. cit., 629 e 630 e ID., La responsabilità del vettore aereo di
persone nel trasporto nazionale e nel trasporto internazionale, in Dir. mar. 2000, 1180,
1192. In questo doppio livello si coglie un assoluto tratto di originalità consistente
nell‟aver fatto convivere nel medesimo ambito di responsabilità due istituti in netta
contrapposizione tra loro, così A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 64. Parla di «duplice regime
di responsabilità» anche M. M. COMENALE PINTO, Riflessioni sulla nuova Convenzione
di Montreal del 1999, cit., 798, 822.
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168
quantificativo dello stesso ( 315 ). Secondo la tesi in esame dunque la
previsione del limite dei 113.100 DSP non comporta una variazione del
tipo di responsabilità, la quale rimane pur sempre di tipo soggettivo ed
illimitato,
aggiungendo
semplicemente
a
carico
del
vettore
un‟obbligazione indennitaria surrogatoria del risarcimento e scevra da
intenti sanzionatori (316).
Vi è poi chi parla di garanzia, assumendo alla base dell‟assunto la
totale estraneità del ristoro dei danni entro i 113.100 DSP alle logiche
della responsabilità e la corrispondente riconducibilità alla mera
qualificazione giuridica del soggetto debitore (317). Tuttavia, il concetto
di garanzia si rivela inadeguato nel momento in cui mira al sicuro
ottenimento di un risultato di carattere prettamente economico e quindi di
una conservazione di carattere tendenzialmente assoluta, diversamente da
quanto accade in materia protezionistica, ove l‟obiettivo di mantenimento
dello status quo è comunque relativo (318).
(315) In tal senso L. TULLIO, Spunti sulla responsabilità del vettore, cit., 599 ss.
(316) La ragion d‟essere di un siffatto meccanismo è da ricercare, per la tesi in
esame, nelle esigenze di solidarietà sociale che, riconosciute dal nostro ordinamento e
non solo, mirano a tutelare «la posizione del passeggero contro il mero fatto della sua
pregiudizievole alterazione, prescindendo dall’imputabilità dell’inadempimento». Così
L. TULLIO, Spunti sulla responsabilità, cit., 601.
(317) Cfr. G. B. FERRI, La responsabilità, cit., 70, secondo il quale la previsione
di un‟indennità sostanzia il rimedio, ma non il motivo dello stesso, che invece deve
essere ricercato nella natura di garanzia, la quale sostituisce il comune criterio
dell‟imputabilità con quello della qualificazione giuridica del soggetto.
(318) Mentre, come si vedrà, per la teoria del rischio l‟obbligazione di riparare il
danno è la contropartita necessaria per i vantaggi derivanti dall‟attività che ha cagionato
il danno, per la teoria della garanzia l‟obbligazione di indennizzare la vittima si
giustifica con la violazione dei suoi diritti; la garanzia di sicurezza, peraltro, trova un
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169
Proprio l‟argomento della garanzia ci avvicina al motivo per cui
non si tratta di una forma di responsabilità, neanche oggettiva: se è vero
infatti che il vettore non è assoggettato ad un assoluto rispondere, è anche
vero che esso non risponde sulla base del nesso eziologico, come una
responsabilità oggettiva pura vorrebbe. Il vettore, infatti, risponde per il
solo danno che deriva da un accident e quindi non in generale un danno
derivante dalla sua attività, bensì una lesione che provieneda un evento
inusuale, inaspettato ed esterno al passeggero. In altri termini, al di là
dell‟obbligazione
di
protezione,
che
impone
di
affrontare
preventivamente l‟ordinario e il prevedibile e che giustamente darebbe
luogo a responsabilità per l‟eventuale inadempimento, il vettore aereo
risponde anche di ciò che non può prevedere e, quindi, prevenire
mediante la prestazione protettiva.
Ciò aprepertanto la stradaad una quarta via, rappresentata dal
rischio
dell‟impossibilità
di
adempimento
dell‟obbligazione
di
protezione. L‟ottica è tendenzialmente quella dell‟analisi economica del
diritto e dell‟ottimale allocazione dei costi del rischio dell‟impossibilità
di adempiere l‟obbligazione di sicurezza, posto chein questo modo il
rischio dell‟inadempimento incolpevole finisce col gravare sul soggetto
di norma contrattualmente ed economicamente più forte, ossia il vettore.
limite nel diritto di procurare tale danno («droit de commettre tel dommage»), come
afferma B. STARK, Essai d’une théorie générale de la responsabilité civile, Parigi,
1947, 43, 44.
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170
Si scopre, di conseguenza, che l‟obbligazione di protezione non è
solo passibile di inadempimento, comportando pertanto la responsabilità
del vettore per l‟inattuazione imputabile, ma per previsione legale è
altresì fonte di rischio dell‟impossibilità, con il conseguente peso per il
vettore di subire le conseguenze economicamente infauste della morte o
delle lesioni del passeggero che non fossero ad esso imputabili fino alla
somma dei 113.100 DSP (319).
Peraltro, sebbene sia vero che il problema del rischio inizia dove
finisce la responsabilità per inadempimento (320) ed è conseguenza della
liberazione del debitore per impossibilità sopravvenuta della prestazione
(
321
),nella disciplina del trasporto
l‟inadempimento
della
prestazione
aereo
prevista dalla
protettiva
ed
il
CM
rischio
dell‟impossibilità del suo adempimento si cumulano se il danno causato
non supera il valore di 113.100 DSP rendendo irrilevante l‟indagine
sull‟origine del danno.Con ciò non si vuole predicare l‟alternatività del
rischio rispetto alla responsabilità per colpa perché nel mezzo vi è la
responsabilità oggettiva (322), che pure è stata richiamata da autorevole
(319) Al superamento della somma di 113.100 DSP il rischio dell‟impossibilità
cessa di gravare sul vettore e transita sul passeggero.
(320) Sui caratteri del rischio si veda G. ALPA, Rischio contrattuale (dir. vig.), in
Enc. dir. XL/1989, 1144 ss.
(321) E. BETTI, Teoria generale, cit., 163.
(322) Chi scrive dissente, pertanto, dalle teorie che identificano la responsabilità
contrattuale oggettiva con il rischio. Cfr. L. MENGONI, Responsabilità contrattuale (dir.
vig.), cit., 1072 ss.
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171
dottrina per spiegare il fenomeno entro i 113.100 DSP.Il fatto è che nel
caso in esame si supera persino il collegamento tra il fatto lesivo e la
condotta del vettore e dei suoi dipendenti e preposti, attribuendo al
debitore della prestazione di trasferimento ogni accident che si verifichi
dall‟inizio delle operazioni di imbarco al termine di quelle di sbarco, a
prescindere dal fatto che esso sia attinente o meno con la natura
dell‟attività svolta.
Il primo livello del sistema, pertanto, non comporta una
responsabilità oggettiva, ma direttamente un rischio contrattuale, posto
che non ha senso per il vettore individuare la causa del danno per capire
se questa sia o meno a lui imputabile, ma solo per verificare che si tratti
di un accident, né importa la sua diligenza nell‟adottare le misure idonee
ad evitare il danno nel momento in cui esso deriva da un accident
verificatosi nell‟arco temporale stabilito, giusta l‟irrilevanza del risultato
di siffatte indagini (323). La causa riduttiva o estintiva del relativo obbligo
risarcitorio o, forse sarebbe meglio dire, indennitario, consiste
esclusivamente nella contributorynegligence del passeggero, la quale
altro non è se non il risultato di un‟alterazione del rapporto tra protezione
e autoprotezione posto alla base del rischio di dover rispondere delle
lesioni al passeggero che giustifica una riconsiderazione in senso
riduttivo di quest‟ultimo. In altre parole: se il passeggero non esercita la
(323) Chi scrive pertanto condivide quanto affermato da A. ZAMPONE, Il rischio,
cit., 56 e da L. TULLIO, L’obbligazione di protezione, cit., 360.
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172
dovuta autoprotezione, l‟area del rischio che resta scoperta è quella a suo
stesso carico.
Considerazioni analoghe possono essere fatte con riguardo alla
PAL, ove in caso di danno derivante da sinistro marittimo (324) il vettore
ha conservato la possibilità di esonerarsi da responsabilità fino a 250.000
unità di conto dimostrando che il danno sia derivato da una serie di eventi
riconducibili a fortuito o forza maggiore (guerra, ostilità, guerra civile,
insurrezione o fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile e
irresistibile, oppure dolo di un terzo, oltre alla contributory negligence
del passeggero). La necessità che la causa immediata del danno sia
l‟incidente marittimo, assieme all‟elenco delle cause di esonero infatti,
semplicemente circoscrive la causa del danno rilevante evitando
l‟approccio casistico che caratterizza il concetto di accident contenuto
nella CM, ma trattandosi di rischi anomali detti presupposti permettono
comunque che sul vettore gravino sia un‟obbligazione di protezione dal
contenuto ampio, sia le conseguenze di un‟eventuale impossibilità non
imputabile di adempimento dell‟obbligazione di protezione (325).
( 324 ) Il danno derivante da causa diversa dal sinistro marittimo, si ricorda, è
trattato dalla PAL alla stregua di un illecito extracontrattuale.
( 325 ) Cfr. A. ZAMPONE, Il rischio, cit., 248 ss.; L. TULLIO, L’obbligazione di
protezione, cit., 349, 365. Resta il fatto che per il vettore marittimo, tuttavia, l‟ampiezza
dell‟elencazione di casi eccettuati che sottrae alcune ipotesi di impossibilità non
imputabile di adempimento della prestazione di protezione avvicina molto la risposta al
danno ad una forma di responsabilità soggettiva per colpa presunta superabile mediante
la prova della non imputabilità della causa del danno, perdendo quel carattere ampio di
protezione che caratterizza il regime aereo. Tuttavia, fa notare A. ZAMPONE, Il rischio,
cit., 259, che una simile interpretazione non avrebbe senso perché comporterebbe che la
responsabilità di secondo livello sarebbe più ampia di quella di primo livello.
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173
6. Il rischio d’impresa approda ad una dimensione contrattuale.
Ciò che fin qui è stato esposto converge in una ricostruzione che
richiama con forza la teoria del rischio d‟impresa.
Si tratta in verità di un‟elaborazione che non ha finora trovato larga
affermazione nel nostro ordinamento,
essendo
esso
imperniato
tradizionalmente sulla responsabilità per colpa. I rari casi di
responsabilità non qualificatida un elemento soggettivo, infatti, solo in
via minoritaria sono stati ricollegati al rischio d‟impresa, intendendosi
tale l‟accettazione, da parte del soggetto che esercita un‟attività
riconducibile all‟universo produttivo in generale, di sostenere i costi
degli eventuali danni causati dallo svolgimento della stessa anche
incolpevolmente. In altre parole, in questa ricostruzione ciò che rileva ai
fini dell‟obbligo risarcitorio è che l‟evento dannoso sia avvenuto
nell‟esercizio lecito di un‟attività in virtù della quale si trae un profitto,
poiché colui che la svolge è ritenuto il controllore della stessa ed è in
grado sia di meglio sopportare o prevenirne i costi, sia di redistribuirli
sulla collettività mediante manovre dei prezzi (
326
) o politiche
commerciali. In questo modo, il rischio diviene uno degli elementi di
costo del prodotto o del servizio e permette di addivenire ad un duplice
( 326 ) «Il principio del “rischio” corrisponde ad una esigenza di “giustizia
distributiva”, espresso dalla convinzione che colui che trae un profitto da un’attività
deve assumersi tutti i danni che quella attività ha provocato», così G. ALPA – M.
BESSONE, La responsabilità, cit., 106, 107, 167.
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174
fine: una maggiore equità del sistema ed una probabile ottimale
allocazione dei costi (327).
Il criterio di riferimento è, pertanto, di tipo più economico che
giuridico ( 328 ) e lascia di conseguenza invariata la dicotomia colparischio, senza mai approdare al rango di criterio autonomo di attribuzione
delle conseguenze di un evento dannoso (329).
Va comunque chiarito che la teoria del rischio d‟impresa si è
sviluppata
con
extracontrattuale (
quasi
330
esclusivo
riferimento
alla
responsabilità
), alfine di temperare le difficoltà dei terzi
danneggiatiad ottenere un risarcimento per mezzodella presunta
prevedibilità del danno (in quanto connesso con uno specifico rischio
(327) Come faceva notare Calabresi, infatti, la teoria del rischio d‟impresa opera
egregiamente anche quando i costi dei danni derivanti da un‟attività sono sconosciuti
perché la teoria in esame è in grado di introdurre nella dimensione sociale correttivi che,
anche su base di scelte meramente opportunistiche e non economicamente ponderate,
agevolano il mercato. Per dimostrarlo l‟Autore fa l‟esempio dell‟impianto industriale
che, con le sue immissioni arreca danni alla popolazione residente nel circondario: in tal
caso, secondo l‟Autore «spetterà al mercato individuare il metodo più conveniente […]
e siccome è probabilmente più economico che sia l’industria a pagare i proprietari,
anziché i proprietari, tra loro associati, a pagare l’industria, la responsabilità
dell’industria sarà giustificata. E questa non è una conseguenza della comparazione dei
costi, di cui non conoscevamo l’ammontare, ma una conseguenza del fatto che,
rendendo responsabile l’impresa, si sono diminuiti gli ostacoli ad un’azione correttiva
del mercato». Cfr. G. ALPA – M. BESSONE, La responsabilità, cit. 173, 174.
( 328 ) La figura del rischio d‟impresa è stata, in realtà, molto fugace e
riconducibile agli albori del socialismo giuridico come ricorda G. ALPA – M. BESSONE,
La responsabilità, cit., 98.
(329 ) Di ciò viene fatto aperto riconoscimento già tempo fa in G. ALPA – M.
BESSONE, La responsabilità, cit., 90.
( 330 ) Come ricorda F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale: una distinzione attuale?, in RCDP 1987, I, 79, 81, 83, la quale
menziona l‟oggettività del comportamento come strumento utile per l‟attrazione e il
superamento efficace di specifiche problematiche di responsabilità nell‟ambito del
rapporto contrattuale.
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175
legato all‟attività) e la sua conseguente accettazione da parte
dell‟imprenditore, il quale è ritenuto sicuramente in grado di approntare
gli strumenti più opportuni (anche di tipo assicurativo), per la sua
prevenzione e riparazione.
Gli sviluppi in materia navigazionistica, invece, hanno inglobato a
pieno titolo il rischio d‟impresa nella dimensione contrattuale. Il primo
superamento della obbligazione di protezione in senso stretto a favore del
rischio d‟impresa si ha già con l‟entrata in vigore della CMprima e della
PAL poi per mezzo dell‟adozione del two tier liability sistem con
riferimento alla prima soglia monetaria (113.100 DSP nella prima e
250.000 unità di conto nella seconda). La peculiarità di tale sistema,
infatti, risiede nell‟impossibilità per il vettore di sottrarsi dalla
corresponsione al passeggero del risarcimento per il danno subìto entro
tale somma, con la sola eccezione della contributory negligence di
quest‟ultimo e dei casi specificamente elencati dalla PAL ( 331 ). Solo
qualora il danno superasse detto limite monetario e solo per la cifra
eccedente il vettore è ammesso a liberarsi dall‟obbligo di risarcire il
danno se prova che il danno non è derivato da colpa propria o dei propri
dipendenti e preposti ovvero è dovuto a colpa di un terzo. In un siffatto
meccanismo risulta evidente, pertanto, che il dover rispondere di un
(331 ) Sempre che, si noti, il danno verificatosi abbia i connotati previsti dalla
disciplina convenzionale e quindi si tratti di una bodily injury verificatasi a seguito di un
accident avvenuto tra l‟inizio delle operazioni di imbarco e la fine delle operazioni di
sbarco, come prevede l‟art. 17 CM ovvero di un danno derivante da sinistro marittimo
secondo la PAL.
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danno che deriva da una causa a sé non imputabile è cosa diversa dalla
responsabilità per inadempimento di un‟obbligazione.
Queste considerazioni possono pertanto concludersi affermando
che dalla CM in poi, i testi normativi in materia di trasporto aereo e
marittimo di passeggeri si sono collocati nell‟area della volontà di
addossare al soggetto economicamente più forte – nel senso di influenza
sulle regole di mercato – ossia sull‟imprenditore, «le conseguenze
pregiudizievoli
di
un
evento
dannoso
indipendentemente
dall’imputabilità dello stesso a sua colpa: «il droit des catastrophes […]
deconnecté des responsabilitiés”» (che, inteso in senso stretto, impone
allo Stato di risarcire ai cittadini i danni subiti in conseguenza di atti
terroristici), è il modello di riferimento in tal senso (332).
Nel trasportodi passeggeri, pertanto, si è definitivamente passati dal
sistema della responsabilità a quella del rischio. In altri termini,
consapevoli del fatto che in detto settore molti rischi possono tradursi in
pregiudizio e che molti di essi siano da considerarsi alla stregua di un
evento naturale di cui difficilmente possa essere individuato il soggetto a
cui ricondurre la causa, nel presupposto secondo il quale sarebbe
profondamente ingiusto lasciare simili danni privi di misure di
riequilibrio, la domanda a posteriori «per colpa di chi si verificò questo
danno?» è stata sostituita con quella preventiva «a rischio di chi,
(332) Cfr. G. SILINGARDI, Reg. CE 2027/07, cit., 636.
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potrebbe verificarsi questo danno?», affiancando alla risposta a carico
del vettore, l‟obbligo assicurativo minimo (333).
7. La socializzazione del rischio.
Considerato quindi il rischio d‟impresa oramai entrato a pieno
titolo anche nella responsabilità contrattuale, il fenomeno che ne
consegueè la legalizzazione della c.d. socializzazione dello stesso, in
virtù della quale si cerca di approdare alla migliore allocazione delle
risorse mediante una distribuzione prestabilita delle conseguenze di un
evento
dannoso
che
prescinde
dall‟imputabilità
e,
persino,
dall‟attribuibilità in senso eziologico. Altrimenti detto, il dato positivo,
nel contemperamento degli interessi tra danneggiante e danneggiato,
privilegia il secondo spostando su di esso l‟attenzione e la tutela; per far
ciò, fa ricadere direttamente sul primo, ma indirettamente sulla
collettività, tutte o una parte delle conseguenze del danno e ciò solo
perché ritiene equo nonché socialmente ed economicamente conveniente
detta scelta (334). Si tratta di una scelta di politica del diritto che è inversa
rispetto a quella della tradizionale educazione giuridica non solo italianae
(333) Si condivide pertanto l‟osservazione quasi premonitrice fatta da P. STEIN –
J. SHAND, I valori giuridici della civiltà occidentale, Milano, 1981, 125.
(334) G. ALPA – M. BESSONE, La responsabilità, cit., 21 ss.
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che si colloca in parziale contrasto con il principio del nessuna
responsabilità
senza
colpa
che
ha
informato
le
codificazioni
ottocentesche e seguenti ( 335 ). Il sistema basato sulla soggettivazione
della responsabilità, infatti, risponde ad una logica di sviluppo delle
attività produttive, soprattutto di dimensione industriale; al contrario,
l‟oggettivazione della responsabilità e, a maggior ragione, la teoria del
rischio, comportano la valorizzazione dell‟individuo e la risposta ad
esigenze sociali, secondo la visione che vuole il superamento della
direttiva del “lasciare le perdite là dove si trovano” (336)
Come anticipato in precedenza, il percorso è ben noto alla
disciplina della responsabilità vettoriale aeronautica, ove si è passati dalla
responsabilità per colpa (per giunta dotata di un limite debitorio), al c.d.
two tier liability sistem, quindi alla tutela a tutto tondo del reg. (CE) n.
261/2004 e del reg. (UE) n. 1177/2010, infine, alle modifiche
giurisprudenziali del primo, in un cammino verso una sempre minore
possibilità di esonero da parte del vettore e sempre minore necessità di
dimostrazione del danno da parte del passeggero.
Si è quindi invertito in ogni senso il meccanismo di risposta al
danno, ponendo al centro di esso la vittima e rendendolo preventivo più
che riparatorio, distributivo più che sanzionatorio.
(335) G. ALPA – M. BESSONE, La responsabilità, cit., 27 ss.
(336) G. ALPA – M. BESSONE, La responsabilità, cit., 118.
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Resta da considerare la carenza dell‟elemento deterrente di un
sistema basato sul mero rischio d‟impresa.Se è vero che di rischio si
tratta entro la soglia dei 113.100 DSP o delle 250.000 unità di conto, non
si paventa forse la possibilità che il vettore sia tentato da forme di
efficient breach of contract? Come si colloca questo fenomeno con la
tutela dell'incolumità fisica del passeggero?
L‟obbligazione di protezione in tutto questo gioca un ruolo
essenziale: rende coercibile in via anticipata una condotta che,
diversamente, potrebbe essere ignorata dal debitore.
Il vettore, infatti, potrebbe essere indotto dall‟esito prevedibile
dell‟avverarsi del rischio che addosserebbe ad esso le conseguenze
negative dell‟evento anche in mancanza di un difetto a lui riconducibile
ad ignorare il dovere di protezione. Ciò perché l‟obbligazione di
trasporto può ben essere adempiuta anche nell‟inosservanza dell‟obbligo
protettivo e perché, probabilmente, il diffuso e costante rispetto del
codice comportamentale di sicurezza avrebbe un costo maggiore delle
conseguenze di un singolo incidente. Il diritto diviene quindi «orientativo
per il futuro, nel senso che ha(nno) lo scopo di indicare all’individuo
come agire o non agire, ed ha(nno) altresì lo scopo di garantirgli – nella
maniera più certa possibile – quali saranno gli effetti conseguenti a
determinati tipi di comportamento» (337).
(337) F. H. LAWSON, The Rational Strength of English Law, 1951, 68, citato da P.
STEIN – J. SHAND, I valori giuridici, cit., 347.
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Da tutto ciò deriva che la visione solidaristica degli obblighi di
sicurezza non è più circoscritta al rapporto tra le parti ma fuoriesce da
esso estendendone le conseguenze sulla collettività che ne subisce il
costo alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta.
8. La tipizzazione del contenuto protettivo: il concetto di disagio e
la nuova dimensione pecuniaria dell’assistenza.
Riassumendo quanto detto finora, il fenomeno protettivo nel
trasporto aereo e marittimo di passeggeri deve ritenersi convogliato in
un‟obbligazione di protezione avente contenuto complesso solo in parte
determinato, ma comunque determinabile e, in taluni casi, tipizzato
almeno in parte da previsioni positive e da protocolli comportamentali
adottati dal debitore della medesima.
Tuttavia, da qualche anno si assiste ad un fenomeno nuovo che
ha, in qualche modo, turbato le contemporanee elaborazioni dottrinali
riguardanti gli obblighi di protezione. Si è, infatti, assistito, da un lato
all‟ampliamento del fenomeno protettivo e, dall‟altro, alla tipizzazione
del suo contenuto.
Più di preciso, l‟obbligo di protezione non è più – solo - sinonimo
di obbligo di sicurezza, essendo, per volontà legislativa, finalizzato non
più alla mera salvaguardia dell‟integrità psico-fisica del passeggero nei
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181
termini in cui si è precisato, ma altresì alla prevenzione di eventuali
disagi che possano offendere quest‟ultimo con, inoltre, una dilatazione
temporale dell‟impegno del vettore in tal senso; a ciò si aggiunga che
siffatto impegno non è stato il frutto volontario di una scelta vettoriale
ma un‟imposizione positiva sovranazionale che, seppure per grandi linee,
ne ha tipizzato il contenuto, spesso con risultati sorprendenti.
Il riferimento è, in particolare, al reg. (CE) n. 261/2004.
Infatti, apochi anni dall‟adozione del reg. (CE) n. 261/2004, le
istituzioni europee hanno, su più fronti, manifestato la volontà di
ampliare ulteriormente l‟ambito assistenziale a favore del passeggero,
con provvedimenti di dubbia fondatezza sia sul piano formale, sia sul
piano dei contenuti. In particolare, l‟espansione protettiva si è registrata
nel senso di ammettere un sostegno pecuniario forfetario per i disagi
subìti dal passeggero, nonché nell‟espansione dell‟arco temporale in cui
detti disagi rilevano ai fini dell‟assistenza. Ma andiamo per gradi.
In un primo momento, nella sentenza Sturgeon e a. (338) la Corte di
Giustizia affermava l‟innovativo principio secondo il quale i passeggeri
di voli ritardati possono essere assimilati ai passeggeri di voli cancellati
ai fini del riconoscimento del diritto alla compensazione pecuniaria
allorquando, a causa del ritardo, subiscano una perdita di tempo pari o
superiore a tre ore, ossia quando giungono alla loro destinazione finale
(338) C. giust. CE 19 novembre 2009 (proc. riun. C-402/07 e C-432/07), in Dir.
trasp. 2010, 113 ss., con nota di V. CORONA, La compensazione pecuniaria per il
ritardo aereo tra diritto positivo e giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia.
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tre o più ore dopo l‟orario di arrivo originariamente previsto, salvo che il
vettore dimostri che il ritardo prolungato è dovuto a circostanze
eccezionali che non si sarebbero potute evitare anche se fossero state
adottate
tutte le misure del caso, ossia circostanze che sfuggono
all‟effettivo controllo del vettore stesso (339).
In altre parole, premessa la distinzione concettuale tra ritardo e
cancellazione del volo (340), in considerazione del fatto che il reg. (CE) n.
261/2004 persegue l‟obiettivo di garantire ai passeggeri un elevato livello
di protezione a prescindere dal fatto che si trovino in una situazione di
negato imbarco, cancellazione o ritardo prolungato poiché si tratta i ogni
caso di impedimenti che causano fastidi o gravi disagi tra loro
assimilabili, con una pronuncia più creativa del diritto che interpretativa
( 341 ), la Corte è giunta ad affermare che il diritto alla compensazione
pecuniaria, previsto espressamente dal reg. (CE) n. 261/2004 solo per i
casi di negato imbarco e cancellazione del volo, deve essere riconosciuto
(339 ) Punto 69 sent. Sturgeon e a. Sulla portata della nozione di «circostanze
eccezionali», si veda la sentenza C. giust. CE 22 dicembre 2008 (causa C-549-07),
Wallentin-Hermann, in Dir. trasp. 2009, 801 ss., con nota di V. CORONA, Le
circostanze eccezionali e le prestazioni del vettore aereo in caso di cancellazione del
volo.
(340) Punti 29-39 sent. Sturgeon e a.
(341) La portata innovativa e non meramente interpretativa della sentenza non è
passata inosservata a V. CORONA, La compensazione, cit., 128 e a M. BRIGNARDELLO, I
diritti dei passeggeri nel trasporto marittimo e nelle altre modalità: uniformità e
differenze, in Dir. mar. 2012, 786, 793.
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anche ai passeggeri di voli ritardati ( 342 ). Ciò che, tuttavia, rileva in
questa sede, non è tanto l‟estensione del riconoscimento di siffatto diritto,
quanto il fondamento a cui lo stesso è stato ricondotto.
Nello specifico, in un primo momento la compensazione pecuniaria
è stata ricondotta ad una forma di risarcimento standardizzato ed
immediato del danno rappresentato dalla irreversibile perdita di tempo
(343), in tal modo sollevando critiche circa la compatibilità di una simile
affermazione con il dettato della CM. Se, infatti, nulla osta ad una
compensazione pecuniaria in funzione risarcitoria nei termini di cui al
reg. (CE) n. 261/2004 per le ipotesi di negato imbarco e cancellazione del
volo in quanto fattispecie non contemplate dalla disciplina internazionale
uniforme, lo stesso non vale in materia di ritardo. Questo perché l‟art. 19
della CM prevede una prova liberatoria ben precisa per il caso di ritardo
di qualsiasi durata, stabilendo che il vettore aereo è responsabile del
danno derivante da ritardo a meno che dimostri che egli stesso e i propri
( 342 ) Tale statuizione, si noti, è avvenuta sulla base di argomentazioni non
pienamente condivise dalla dottrina, per la conoscenza delle quali, non ritenendosi
questa la sede opportuna, si rinvia alle trattazioni di Cfr. V. CORONA, La
compensazione, cit., 125 ss.
(343) Punti 51 e 52 sent. Sturgeon e a. La natura risarcitoria della compensazione
pecuniaria, peraltro, era stata già affermata nella sent. Corte giust. CE 10 gennaio 2006
(causa C-344/04), IATA e ELFAA, punto 72. In dottrina si ricorda che la compensazione
è stata qualificata da alcuni come risarcimento determinato forfetariamente
riconducibile ad un illecito contrattuale, escludendo così la natura di indennizzo dovuto
a compimento di un fatto lecito dannoso, come fa A. ANTONINI, Corso di diritto dei
trasporti, cit., 234. Altri autori hanno invece ritenuto più corretto considerare la
compensazione alla stregua di una forma di assistenza; cfr. L. TULLIO, Interventi
interpretativi, cit., 371; altri ancora, infine, l‟hanno definita una penale ex lege con
l‟ulteriore funzione di «garantire un ristoro forfetario per danni che sono difficilmente
quantificabili e dimostrabili», come afferma M. PIRAS, Il danno non patrimoniale nel
trasporto aereo, in Dir. trasp. 2012., 387, 398.
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dipendenti e preposti hanno adottato tutte le misure che potevano
ragionevolmente essere richieste per evitare il danno o che fosse
impossibile adottarle ( 344 ), e poiché l‟art. 29 della stessa Convenzione
impone il rispetto delle condizioni e dei limiti da essa previsti per ogni
azione di responsabilità intentata contro il vettore (345), è evidente che
l‟imposizione di un risarcimento forfetario ed immediato (anzi,
anticipato), dovuto con la sola eccezione delle circostanze eccezionali
non fosse per nulla aderente al testo internazionale.
È per questo che la stessa Corte di Giustizia, con un interessante
revirement interpretativo (
346
), ha attribuito alla compensazione
(344) L‟art. 19 della CM così recita:«The carrier is liable for damage occasioned
by delay in the carriage by air of passengers, baggage or cargo. Nevertheless, the
carrier shall not be liable for damage occasioned by delay if it proves that it and its
servants and agents took all measures that could reasonably be required to avoid the
damage or that it was impossible for it or them to take such measures».
(345) Art. 29 della CM: «In the carriage of passengers, baggage and cargo, any
action for damages, however founded, whether under this Convention or in contract or
in tort or otherwise, can only be brought subject to the conditions and such limits of
liability as are set out in this Convention without prejudice to the question as to who are
the persons who have the right to bring suit and what are their respective rights. In any
such action, punitive, exemplary or any other non-compensatory damages shall not be
recoverable». Secondo la dottrina questa previsione esclude, di fatto, sia il concorso, sia
il cumulo tra azione contrattuale ed azione extracontrattuale allorquando, in sede ad un
contratto di trasporto, un unico fatto lesivo si configuri simultaneamente come
violazione dell‟art. 2043 c.c. e come inadempimento dell‟obbligazione promessa.
Peraltro, l‟art. 941 c. nav. nella formulazione conseguente la revisione della parte
aeronautica del codice della navigazione, rinviando espressamente alle norme
comunitarie ed internazionali in tema di trasporto aereo di persone e bagagli, fa sì che
sia la CV, sia il reg. (CE) n. 889/2002, si applichino, oltre che ai vettori nazionali dotati
di licenza comunitaria, anche a quelli di essa privi, estendendo così la relativa disciplina
al diritto interno, anche con riferimento ai rapporti tra azione contrattuale ed
extracontrattuale. Cfr. E. G. ROSAFIO, L’azione extracontrattuale, in La nuova
disciplina del trasporto aereo (a cura di L. Tullio), Napoli, 2006, 254, 264 ss., 282
( 346 ) Sentenza C. giust. 23 ottobre 2012 (proc. riun. C-581/10 e C-629/10),
Nelson e a., in Dir. trasp. 2013, 491 ss. Interpretazione che, considerato il contenuto
innovativo della precedente sentenza Sturgeon e a., potrebbe essere definita come
«interpretativa di una sentenza interpretativa che poi tale non è». Sul punto, sia
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pecuniaria corrisposta per il ritardo all‟arrivo natura assistenziale ( 347 ),
attraverso un discorso che ruota interamente attorno al concetto di
disagio che già può trovarsi nei considerando del reg. (CE) n. 261/2004
(348).
Più precisamente, la Corte elabora con metodo sillogistico la sua
interpretazione sulla base di due premesse: partendo dalla considerazione
per cui la perdita di tempo non è qualificabile come danno ma solo alla
stregua di un disagio ( 349 ), essendo la compensazione pecuniaria un
semplice rimedio per la perdita di tempo, la compensazione pecuniaria
non può essere qualificata come risarcimento del danno ma solo come
rimedio per un disagio (350).
Con questo assunto, tuttavia, la Corte riesce a rimuovere i profili di
incompatibilità con gli artt. 19 e 29 della CM, ma non le perplessità sulla
consentito rinviare a V. CUCCU, Brevissime considerazioni sui nuovi standard europei
di tutela per il ritardo aereo all’arrivo: disagi, responsabilità condivisa e assistenza
pecuniaria, in Dir. trasp. 2013, 503 ss.
(347) Punti 51-58 sent. Nelson e a.
(348) Si veda il considerando n. 2 del reg. (CE) n. 261/2004, ove si legge che «Il
negato imbarco, la cancellazione del volo o i ritardi prolungati sono causa di gravi
disagi e fastidi per i passeggeri», oltre al considerando n. 12. Nelle più recenti sentenze
in materia di compensazione pecuniaria e ritardo prolungato, il binomio disagi e fastidi
è più che ricorrente, e, eccettuata la sentenza IATA e ELFAA in cui netta era la presa di
posizione della Corte a favore della natura risarcitoria della compensazione pecuniaria,
spesso il primo sembra essere usato, forse non del tutto consapevolemente, come
sinonimo di danno. Si vedano le già citate sentenze Sturgeon e a., Nelson e a., ma anche
la più recente Corte giust. 31 gennaio 2013 (causa C-12/11), McDonagh c. Ryanair Ltd.
(349) Cfr. punto 51. In realtà sarebbe stato più opportuno dire che la perdita di
tempo, semplicemente, sostanzia e si identifica con il ritardo ed è, l‟antecedente logico e
causale del danno.
(350) Cfr. punto 49.
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natura assistenziale della compensazione pecuniaria; per superarle essa fa
ricorso ad un altro sillogismo che parte dal presupposto dell‟esistenza di
rimedi assistenziali standardizzati e immediati ex art. 7 reg. (CE) n.
261/2004 giustificati dalla tendenziale prevedibilità e omogeneità dei
disagi e fastidi che la perdita di tempo causa nella generalità dei
passeggeri per i casi di negato imbarco, cancellazione del volo e ritardo
alla partenza. Orbene, seguendo il ragionamento della Corte, se ciò è
ammesso, posto che anche il ritardo all‟arrivo può essere causa di disagi
e fastidi anch‟essi tendenzialmente omogenei ( 351 ), deve ritenersi
opportuno prevedere un rimedio forfetizzato anche in questa fase,
sebbene la diversa posizione del passeggero renda più adeguata la forma
monetaria della compensazione rispetto a quella, per così dire, materiale
dell‟assistenza ex art. 7 reg. (CE) n. 261/2004 (352).
Il discorso, logicamente corretto, è sicuramente apprezzabile sul
piano equitativo, ma sfugge su più fronti alla dimensione giuridica della
tutela del passeggero.
Anzitutto, ciò che turba il giurista è la terminologia: ci si interroga,
in altre parole, sul significato di disagio e sulla sua collocazione nella
materia della protezione del passeggero.
Nelle espressioni usate dalla Corte, si coglie un significato di
disagio differente da quello di fastidio - al quale viene spesso accostato -
(351) Sul punto si veda la sentenza IATA e ELFAA, punto 43.
(352) Cfr. V. CUCCU, cit., 506.
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ma comunque a quest‟ultimo vicino: un discostamento in senso
peggiorativo dalla situazione di normalità di entità variabile identificabile
con la fatica e le privazioni derivanti dall‟essere costretti a rimanere in un
ambiente circoscritto, non confortevole e con mezzi limitati. Orbene, a
questo concetto di disagio ben si collega quello di assistenza e sostegno.
In questo senso, peraltro, la giurisprudenza di legittimità italiana ha
dato di recente segnali di convergenza con quella europea, dal momento
che attualmente ha riconosciuto ed ammesso l‟autonoma configurabilità e
risarcibilità del danno esistenziale inteso comecompromissione delle
normali potenzialità di esplicazione e realizzazione della personalità del
danneggiato,
derivante,
prevalentemente,
dall‟essere
costretti
a
modificare il proprio abituale stile di vita (353).
( 353 )Molto brevemente è bene ricordare che, onde evitare facili duplicazioni
risarcitorie, l‟ammissibilità dell‟autonoma voce del danno esistenziale non è, ad oggi,
mai stata pacifica. Nato in sede giurisprudenziale come risposta alla possibilità che una
lesione possa interessare, oltre alla salute (tutelata come danno biologico ex artt. 2043
c.c. e 32 Cost.) ed al danno morale (ex art. 2059 c.c.), anche valori diversi ma
comunque fondamentali alla luce dell‟art. 2 Cost., esso ha messo in discussione il
consolidato sistema tripolare che contrapponeva al danno-evento biologico i danniconseguenza rispettivamente patrimoniali e morali configurato da C. cost. 14 luglio
1986, n. 184 (comunemente detta sentenza Dell’Andro dal nome del giudice relatore).
Con le sentenze gemelle del 2003, infatti (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828), e il
significato ampio e costituzionalmente orientato attribuito all‟art. 2059 c.c. (avallato da
C. cost. 11 luglio 2003, n. 233), il danno non patrimoniale (così divenuto unica
alternativa al danno patrimoniale nel nuovo sistema bipolare), è ricondotto al solo art.
2059 c.c. e suddiviso in tre autonome componenti: danno morale soggettivo (patema
d‟animo e turbamento psichico), danno biologico (danno alla salute psico-fisica ex art.
32 Cost.) e danno esistenziale (danno a qualsiasi altro interesse costituzionalmente
garantito). In tema di danno non patrimoniale in caso di negato e ritardato imbarco dopo
le sentenze del 2003 si veda G. DI GIANDOMENICO, Il danno non patrimoniale per
negato o ritardato imbarco, in Dir. trasp. 2005, 2 ss. In questo modo si è giunti alla
consacrazione dell‟autonoma risarcibilità del danno esistenziale, messa in discussione
successivamente dall‟intervento della Cassazione (Cass. SU 11 novembre 2008, n.
26972, 26973, 26974 e 26975), quando è stato affermato che «il danno non
patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie
variamente etichettate», attribuendo al danno esistenziale la sola valenza descrittiva di
una “voce” del danno patrimoniale complessivamente inteso riconoscibile solo in caso
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Siffatta forma di danno dinamico-relazionale che racchiude, in
sintesi, qualsiasi alterazione della vita quotidiana di cui si sia data prova,
è stato ritenuto infatti risarcibile anche in assenza di un danno biologico
ad esso associato, in quanto sebbene non corrispondente ad un valore
inviolabile (quale è quello alla salute), è comunque espressione della
compressione «oltre quella soglia di tollerabilità indotta da elementari
principî di civile convivenza» di un interesse fondamentale anche esso
costituzionalmente tutelato (354).Peraltro, la riammissione dell‟autonoma
risarcibilità
di
siffatta
forma
di
danno-disagio
apre
scenari
di lesione grave dei diritti inviolabili della persona. In questo senso si citano, tra le tante
Cass. 20 novembre 2012 n. 20292; Cass. 12 febbraio 2013 n. 3290; Cass. 24 maggio
2013 n. 12985. Ciò non significa che il danno esistenziale non esista, bensì che grava
sul giudice l’onere di verificarne la sussistenza e l’entità, come afferma Cass. civ. 17
aprile 2013 n. 9231, in Dir. e giust. 2013, 521 ss., con nota di R. SAVOIA, Ai
danneggiati spetta un risarcimento personalizzato e comprensivo di tutti i pregiudizi
subiti. Un'altra (l'ennesima) tirata d'orecchi della Cassazione ai giudici di merito di
manica eccessivamente stretta, ai fini dell’integralità del risarcimento, punto su cui fa
chiarezza P. ZIVIZ, Danno esistenziale: nuova tappa di un lungo cammino, in Resp. civ.
e prev. 2013, 1, 116 ss. La stessa Cassazione, tuttavia, cede il passo ad un minore rigore
quando, nella sentenza 25 febbraio 2009, n. 4493 ammette che «nel giudizio di equità
del giudice di pace, venendo in rilievo l'equità ed. formativa o sostitutiva della norma di
diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non
patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, fissata dall'art. 2059 ce, sia pure
nell'interpretazione costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il
giudice di pace, nell'ambito del solo giudizio d'equità, può disporre il risarcimento del
danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge e di quelli attinenti
alla lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti, sempre che il
danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso presunzioni) il pregiudizio
subito, essendo da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti una
conseguenza automatica dell'illecito». Attualmente, dopo una lunga ininterrotta catena
di pronunce di legittimità in cui il danno esistenziale è stato considerato una mera voce
descrittiva di una componente del danno non patrimoniale, Cass. 3 ottobre 2013 n.
22585 sembra aver reintrodotto l‟autonoma risarcibilità del danno esistenziale,
argomentando sulla base dell‟art. 612bis c.p., nel quale «sembrano efficacemente
scolpiti […] i due autentici elementi essenziali della sofferenza dell’individuo: il dolore
interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana», entrambi suscettibili di
danni autonomamente risarcibili, «ma se, e solo se, rigorosamente provati caso per
caso, al di là delle sommarie ed impredicabili generalizzazioni».
(354) Cass. n. 22585/2013 cit.
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inimmaginabili vista lafrequente verificazione in casi quali il ritardo, il
negato imbarco e la cancellazione della partenza (355).
Ci si domanda, poi, quanto possa espandersi nello spazio e nel
tempo l‟assistenza al passeggero di un volo ritardato. Dire, infatti, che la
compensazione pecuniaria per il ritardo all‟arrivo ha la funzione di
fornire al passeggero uno strumento per ovviare ai disagi che deve
affrontare nel momento in cui giunge a destinazione dopo l‟orario
originariamente previsto, significa allungare l‟assistenza oltre la durata
del contratto, o meglio, oltre l‟adempimento dell‟obbligazione di
trasferimento.
Come conseguenza di questo fenomeno si dovrebbe mettere ancora
una volta in discussione sia il contenuto degli obblighi di protezione, sia
il necessario collegamento con l‟obbligazione caratterizzante il rapporto
negoziale. In questo è sicuramente d‟aiuto la configurazione autonoma
dell‟obbligazione di protezione.
È, infatti, vero che l‟obbligazione di protezione è autonoma rispetto
a quella di trasferimento, ma è altresì vero che le due prestazioni sono
legate da un nesso che nel corso del presente lavoro è stato definito di
legale collateralità, il quale sembra affievolirsi qualora si affermi che, a
prestazione di trasferimento adempiuta, il vettore debba ancora
proteggere il passeggero che sia oramai, per così dire, tornato nella sua
dimensione naturale.
(355) Come fa notare G. DI GIANDOMENICO, cit., 3, 4.
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190
Ricondurre
anche
la
compensazione
ad
una
dimensione
assistenziale, peraltro, sebbene in linea con il carattere protettivo del reg.
(CE) n. 261/2004 e con i futuri previsti sviluppi della materia ( 356 ),
lascerebbe aperto il problema dell‟interpretazione dell‟art. 12 dello stesso
che fa menzione di un «risarcimento concesso ai sensi del presente
regolamento» e che altro non può essere se non la compensazione
pecuniaria.
Il sistema potrebbe tuttavia essere ricondotto all‟ordine se si
inquadrassero i rimedi strettamente assistenziali (cibo, bevande, alloggio,
etc.) nell‟ambito dell‟adempimento in natura di un obbligo di fare e se la
compensazione pecuniaria
venisse ricondotta al genere delle
obbligazioni indennità.
L‟obbligazione di indennità, che, secondo Rescigno, è da preferire
«quando la responsabilità patrimoniale discende da un atto lecito(ma la
mera preferibilità evidentemente non esclude la sua praticabilità anche in
caso di illecito, n.d.r.), non in ogni caso differisce dal risarcimento del
danno quanto alla misura della riparazione, comprensiva delle perdite
(356) Si veda la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al
Consiglio COM(2011) 898 definitivo, la quale all‟art. 7, rubricato «Diritto a una
compensazione», stabilisce che «a determinate condizioni, il diritto ad una
compensazione obiettiva e standardizzata in caso di forte ritardo all'arrivo fa parte
degli standard minimi fondamentali di qualità per tutti i modi».
Tale compensazione mira a mitigare il disagio sopportato da tutti i passeggeri,
anche garantendo ai passeggeri un aiuto minimo all'arrivo per consentire loro di
affrontare il disagio immediato causato dal forte ritardo non previsto, in modo analogo
all'assistenza cui hanno diritto in caso di ritardo alla partenza.
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191
sofferte e dei guadagni mancati»(357). Peraltro,«Quando la norma parla
di danno e indennità […] non vi è alcuna deviazione da quei principi ma
nemmeno sostanziale deroga quando una limitazione quantitativa è
prevista, d’indole oggettiva o soggettiva»(358).In altre parole, in sostanza
tra indennità e risarcimento del danno non vi è differenza di contenuto,
bensì di collocazione logico-temporale: mentre il risarcimento postula la
verifica dell‟elemento soggettivo della colpa o del dolo e si pone,
necessariamente, in successione rispetto a tale fase, l‟indennità ne
prescinde e l‟obbligo della sua corresponsione è stabilito dalla legge a
priori in virtù del solo nesso di causalità (giustamente spezzato dalle
circostanze eccezionali), secondo un ammontare definito o da
determinare in maniera adeguata.
Tutto questo discorso sull‟obbligazione di indennità rileva
particolarmente in tema di obbligazioni di fare. Esse, come è noto, hanno
il carattere dell‟incoercibilità da cui deriva, in caso di inadempimento, la
prevalenza del rimedio risarcitorio rispetto all‟adempimento in natura.
Secondo Rescigno questa caratteristica attribuirebbe alle obbligazioni di
fare la caratteristica di obbligazioni di indennità fin dal momento della
loro nascita, con ciò comportando il superamento del primo comma
( 357 ) P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 157. L‟indennizzo, o indennità, è
tradizionalmente considerato una forma di risarcimento, seppure attenuato, che si
inserisce, come tale, nel contesto della responsabilità, come ricorda correttamente A.
ZAMPONE, Il doppio livello di responsabilità per morte o lesioni del passeggero, in Dir.
trasp. 2012, 621, 625.
(358) P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit. 157 ss.
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dell‟art. 1218 c.c. che punta al corretto adempimento ed approdando
direttamente all‟obbligo risarcitorio ( 359 ). Trasferendo il discorso sul
piano della compensazione pecuniaria, potrebbe ipotizzarsi che essa sia
la traduzione pecuniaria – di vocazione risarcitoria – di obblighi di fare
imprevedibili ed indeterminabili a priori di natura assistenziale,
assumendo in tal modo una natura quasi ibrida, o meglio, di
collegamento tra l‟originario intento di protezione materiale posttrasporto e, data l‟estrema difficoltà di attuazione, la sua diretta
traduzione monetaria in una sorta di fictio risarcitoria.
9. Brevi (necessarie) considerazioni di chiusura in materia di
trasporto amichevole.
Fino a questo momento il presente lavoro ha avuto ad oggetto il
fenomeno protettivo nella forma “naturale” del contratto di trasporto,
ossia quella effettuata a fronte di un corrispettivo, monetario o meno. Ai
fini della configurazione contrattuale, infatti, al trasporto a titolo oneroso
è equiparato quello c.d. gratuito, ossia effettuato in mancanza di un
corrispettivo in denaro, bensì a fronte di un‟utilità differente (si pensi ai
biglietti gratuiti emessi dal vettore a fronte di una campagna di
(359) P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., 194.
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193
fidelizzazione), ma pur sempre rispondente ad un incentivo utilitaristico.
In
tal
caso,
l‟indiscutibile
presenza
di
una
controprestazione
economicamente valutabile a favore del vettore, fa sì che la forma
gratuita e quella onerosa di trasporto siano perfettamente allineabili (360).
In questa comunanza sostanziale di causa non si inserisce il
trasporto c.d. amichevole o di cortesia. La distinzione tradizionale tra
trasporto a titolo oneroso e trasporto gratuito rispetto a quello amichevole
o di cortesia vuole che solo i primi due abbiano un assetto contrattuale ed
una responsabilità della conseguente medesima natura, mentre al terzo
debba conseguire una responsabilità analoga a quella extracontrattuale in
caso di lesione del passeggero; ciò deriva dall‟art. 414 c. nav. ( 361), dal
riferimento esclusivo al trasporto a titolo oneroso o gratuito fatto dall‟art.
(360) Così S. BUSTI, Contratto, cit., 231.
(361) Art. 414 c. nav. Responsabilità del vettore nel trasporto amichevole: «Chi
assume il trasporto di persone o di bagagli a titolo amichevole è responsabile solo
quando il danneggiato provi che il danno dipende da dolo o colpa grave del vettore o
dei suoi dipendenti e preposti». In materia di trasporto gratuito, invece, l‟art. 413 c. nav.
dispone che: «Le disposizioni degli articoli precedenti che regolano la responsabilità
del vettore e i limiti del risarcimento da questo dovuto si applicano anche al contratto
di trasporto gratuito». Sulle prestazioni di cortesia in generale si veda G. GHEZZI,
Cortesia (prestazioni di) in Enc. dir.1962/X, 1048 ss.Un‟attenta ricostruzione del
percorso dottrinale e giurisprudenziale della figura del trasporto amichevole è fatta da
L. MASALA, Trasporto gratuito e trasporto amichevole: l’interesse alla compagnia
quale elemento discriminante, in Dir. trasp. 1991/II, 121 ss. L‟applicazione dell‟art.
414 c. nav. è, peraltro, esclusa per la nautica da diporto, ove la responsabilità civile per
danni ai terzi derivanti dalla navigazione è regolata dall‟art. 2054 c.c., come disposto
dall‟art 40 d. lg.8 luglio 2005, n. 171 c. dip. (Codice della nautica da diporto). Nel
trasporto aereo la forma gratutita non è regolata; si ritiene, pertanto, applicabile per
analogia l‟art. 414 c. nav., con l‟esclusione degli aeromobili da diporto, a cui potrebbe
applicarsi l‟art. 40 c. dip. Cfr. A. LEFEBVRE D‟OVIDIO – G. PESCATORE – L. TULLIO,
Manuale, cit., 491.
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1681 c.c.(362) e dalla inapplicabilità della CM e della PAL ( 363), nonché
dei regolamenti più volte citati in questa sede ( 364 ). La giustificazione
intima della scelta positiva, tuttavia, è da rinvenirsi, alla forma
solidaristica di trasporto amichevole, sostanziantesi nell‟assenza di un
interesse giuridicamente rilevante da parte del vettore, il quale effettua il
trasferimento sulla base di relazioni, anche solo occasionali, di cortesia
( 362 ) Il codice civile non menziona il trasporto amichevole. Tuttavia, «nella
relazione del guardasigilli al codice civile (n. 708) si esprimeva l'opinione che nel
trasporto eseguito a titolo di mera amicizia o cortesia, la condotta dell'autore del
danno dovesse essere valutata "in applicazione del principio cui si è ispirato l'art. 414
del codice della navigazione", che limita la responsabilità al dolo ed alla colpa grave
del vettore», come è ricordato in Cass. 26 ottobre 1998 n. 10629, per cui anche nel
trasporto in generale deve ritenersi sussistente la distinzione tra la forma gratuita e
quella amichevole. Ad ogni modo, è da escludere la possibilità che al trasporto
amichevole terrestre possa applicarsi l‟art. 414 c. nav., stante la natura eccezionale di
quest‟ultima norma. Sul punto di veda A. FLAMINI, Il trasporto amichevole, Napoli,
1977, 49, 114 ss., secondo il quale è possibile ipotizzare un‟applicazione analogica
dell‟art. 414 c. nav. al trasporto amichevole terrestre in quanto il primo, pur essendo
speciale, è altresì eccezionale rispetto all‟art. 2043 c.c., poiché detta una responsabilità
attenuata (per colpa grave) per un‟ipotesi di condotta solidale. Attualmente, la tesi
maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza, soprattutto alla luce della sentenza Cass. 5
luglio 1989 n. 3223 (in Dir. trasp. 1991/II, 219 ss.), è quella che vede l‟art. 2054 c.c.
destinato a disciplinare i danni da trasporto amichevole, anche nei confronti del
passeggero. L‟art. 2043 c.c. resta confinato al volo da diporto e sportivo. Cfr. A.
ANTONINI, cit., 95 ss.;M. RIGUZZI, Il contratto di trasporto, Torino, 2006, 66
(363) Nella PAL l‟esclusione del trasporto amichevole si evince dal riferimento
esclusivo e plurimo al contratto di trasporto. Il passeggero trasportato con il consenso
del vettore affinché accompagni un veicolo o anomali vivi oggetto di un contratto di
trasporto (art. 1, n. 4), è da ritenersi gratuito ma non amichevole perché basato
comunque su un rapporto di convenienza economica e non su intenti solidaristici, posto
che il trasporto del mezzo o dell‟animale comprendono in tal caso anche il trasferimento
funzionale dell‟accompagnatore. Per un elenco di ipotesi analoghe si veda G.
MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 270.
(364) Nel reg. (CE) n. 261/2004, il riferimento al vettore in senso professionale ed
la necessità che l‟applicazione dello stesso sia condizionata a formalità quali la
prenotazione portano ad escludere l‟applicabilità al trasporto di tipo amichevole; anche
nel reg. (UE) n. 1177/2010 la terminologia è esclusiva del contratto oneroso di trasporto
(ci si riferisce a parole quali: biglietto, servizio di trasporto o crociera, consumatore, e
via dicendo).
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( 365 ) e quindi senza che alla base vi sia alcuno scambio o elemento
egoistico.
Orbene, ciò detto, la domanda che ci si pone è la seguente: se la
gratuità della prestazione non è di per sé determinante nell‟attenuazione
della responsabilità del vettore, posto che il trasporto gratuito è
considerato equiparabile a quello a titolo oneroso (366), quale è la ragione
che spinge ad alleviare la protezione nel trasporto di cortesia?
Se il fenomeno protettivo nel contratto di trasporto trova la sua
ragion d‟essere nel dovere di solidarietà che transita sotto forma di vera e
propria obbligazione nel rapporto attraverso la previsione legale, quid
iuris in caso di trasporto amichevole che è espressione proprio di quel
principio di solidarietà che fonda la protezione?
( 365 ) Cfr. A. ANTONINI, Il trasporto amichevole: lineamenti generali ed
inadeguatezza della disciplina del codice della navigazione, in Dir. trasp. 2004, 91, 92;
A. LEFEBVRE D‟OVIDIO – G. PESCATORE – L. TULLIO, Manuale, cit., 490. S. BUSTI,
Contratto, cit., 239, fa tuttavia notare come, qualora si ravvisasse un negozio nel
trasporto a titolo di cortesia, lo scopo solidaristico atterrebbe ai soli motivi, mentre la
causa del rapporto sarebbe pur sempre il trasferimento verso la corresponsione di un
utilità, in denaro o meno, con la conseguente incomprensibilità della differente
disciplina. Per questo, ma non solo, l‟Autore finisce con il sostenere l‟assenza del
vincolo negoziale e la natura extracontrattuale della responsabilità del vettore di cortesia
(249 ss.), ciò comportando l‟impossibilità di poter presumere la portata contrattuale o
meno del trasporto da elementi quali la veste professionale del vettore; viceversa,
l‟elemento negoziale deve essere oggetto di verifica attenta caso per caso (254).
( 366 ) Cfr. M. COMPORTI, Il nuovo caso della giurisprudenza francese sulla
responsabilità nel trasporto di cortesia: un esempio da imitare, in Foro it. 1978, V,
182, 195, il quale si manifesta molto critico nei confronti dell‟impostazione tradizionale
che aggrava la posizione del passeggero a titolo di cortesia. Dal canto suo, G.
MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 269, compie anch‟egli la precisazione in tema di
irrilevanza della gratuità della prestazione di trasporto, precisando che nelle due forme gratuito e oneroso - di trasporto, la tutela del passeggero da parte del lettore deve
considerarsi assolutamente identica. Ciò, del resto, è in linea con la gratutià della
prestazione protettiva.
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Sul tema tanto si è discusso e molto si è detto (367), sia a favore
della necessità di equiparare il trasporto amichevole a quello gratuito, sia
contro una simile possibilità, sia per rilevare l‟eterogeneità del sistema e
l‟ingiustizia di un trattamento differenziato tra il trasporto amichevole
terrestre e quello marittimo (368).
Per fare chiarezza sul punto si deve preliminarmente concordare sul
fatto che il carattere amichevole esclude la giuridicità e, quindi, la
vincolatività dell‟impegno (
369
); la mancanza dell‟obbligazione di
trasferimento, pertanto, porta con sé l‟assenza della collaterale
obbligazione di protezione. Ciò non significa, tuttavia, che colui che
effettua il trasporto di cortesia non sia interessato da un impegno
protettivo, giusto il particolare rapporto che, in tal modo, si instaura con
il soggetto trasportato. Così il vettore di cortesia potrà in qualsiasi
momento decidere di interrompere la propria attività solidaristica, senza
per ciò incorrere in alcuna responsabilità se non quella relativa al
pregiudizio che il passeggero non avrebbe subìto se il trasporto non fosse
mai iniziato (370), ma durante lo svolgimento della stessa o in caso di sua
interruzione,
potrà essere
chiamato
a rispondere
delle
lesioni
( 367 ) Per un‟efficace sintesi delle diverse posizioni assunte dalla dottrina in
merito si veda G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 272 ss., ivi comprese le annotazioni
bibliografiche in esso riportate.
(368) Cfr. A. ANTONINI,Il trasporto amichevole, cit., 96, 07.
(369) Cfr. S. CICCARELLO, Dovere, cit., 209.
(370) Cfr. A. ANTONINI, Il trasporto amichevole, cit., 94.
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197
eventualmente cagionate al passeggero. È tuttavia evidente che in questo
caso le due parti, vettore e passeggero, «sono un po’ più che estranee e
un po’ meno che legate da un formale vincolo negoziale» ( 371 ) e
potrebbero perciò essere interessate da quella nuova forma ibrida di
responsabilità da contatto sociale che è la massima espressione della
crescente contaminazione tra le due tradizionali sfere di responsabilità:
quella contrattuale e quella extracontrattuale ( 372 ). Seguendo questa
strada, anche il vettore di cortesia assumerebbe un vincolo disciplinabile
alla stregua di un contratto. Tuttavia, ciò che osta ad una simile
conclusione è che manca nel caso in questione quella considerazione
della relazione sociale tra vettore e passeggero da parte dell‟ordinamento
idonea a far sorgere una serie di doveri comportamentali tali da
giustificare la prospettiva contrattuale della relativa responsabilità. In
altre parole, nella responsabilità da contatto sociale il vincolo protettivo
non deriva dalla volontà delle parti, né da una previsione espressa, bensì
dall‟esistenza di un rapporto speciale tra le parti interessate ritenuto
rilevante a tal fine dall‟ordinamento per la importanza sociale dello
stesso, attraverso un fenomeno che sembra quasi residuale e
generalizzante rispetto alle figure di cui agli artt. 2047 ss. c.c.; non a
(371) Così G. CHINÈ – A. ZOPPINI, Manuale, cit., 2090.
(372) Sulla responsabilità da contatto sociale si veda S. ROSSI, Contatto sociale,
cit., 346 ss.
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198
caso, si parla di contatto sociale qualificato (373), con ciò intendendo un
rapporto con un soggetto esercente funzioni «non riconducibili alle
comuni attività svolte dai soggetti dell’ordinamento», in considerazione
della disciplina dettata dall‟ordinamento e del singolo contatto giuridico
oggettivamente considerato, da cui derivano «aspettative e affidamenti
[…] protetti dall’ordinamento», pur rimanendo distinto dal contatto
giuridico ( 374 ). Alla luce di queste considerazioni, data l‟assenza di
rilevanza sociale e, dunque, l‟anonimia del trasporto amichevole appare
errato ipotizzare al riguardo la sussistenza di una responsabilità da
contatto sociale qualificato.
Per questa via peraltro, si esclude anche la configurabilità di
un‟obbligazione di protezione senza obbligo primario di prestazione, la
quale, per l‟appunto, fonda la responsabilità contrattuale in assenza di
contratto proprio sul contatto sociale ( 375 ) tra passeggero e vettore di
cortesia ( 376).
Un‟altra possibilità per ottenere che un‟obbligazione di protezione
sussista che nel trasporto amichevole è data dall‟applicabilità dell‟art.
(373) I casi più emblematici sono, infatti, ricondotti alle attività di istruzione o
medico-sanitarie o, ancora, di mediazione.
( 374 ) Così Cons. St. 6 agosto 2001 n. 200104239 con riferimento al contatto
sociale qualificato derivante dall‟attività provvedimentale della pubblica
amministrazione.
(375) Così S. ROSSI, cit., 351.
(376) Per tale tesi si richiama C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità, cit., 573
ss.
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2054 c.c. ed è quella che la giurisprudenza di legittimità più recente ha
voluto percorrere (377), superando il precedente orientamento che riteneva
la norma in questione applicabile solo nei confronti dei terzi, escludendo
dal loro ambito i soggetti trasportati. La norma in questione stabilisce al
primo comma che «Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è
obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla
circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per
evitare il danno». Tuttavia, se una simile impostazione risolve i problemi
in tema di trasporto terrestre, aprendo la via della responsabilità
quantomeno presunta del vettore, resta la peculiare previsione dell‟art.
414 c. nav.
La strada per evitare il profondo discrimine che sussiste tra il
passeggero che beneficia di un gesto di cortesia e quello che ottiene il
trasporto a fronte di uno scambio al fine di garantire in entrambi i casi un
elevata
operatività
della
protezione
è
stata
ravvisata
quindi
nell‟interpretazione evolutiva dell‟art. 414 c. nav., o meglio, del concetto
di onerosità e cortesia, attraverso l‟attualizzazione del significato di
(377 ) Cfr. Cass. 26 ottobre 1998 n. 10629, secondo la quale posto che «l'art.
2054, comma 1, c.c. non fa, invero, alcuna distinzione tra chi, rispetto alla circolazione
del veicolo, sia terzo e chi vi partecipi […] l’art. 2054, c.c. esprime, in ciascuno dei
commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
che da tale circolazione, comunque, ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale
che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito)». La
Corte utilizza, peraltro, un argomento forte di coerenza sistematica, quando afferma che
«non è, d'altro canto, fondatamente sostenibile che le inversioni dell'onere probatorio a
favore del danneggiato poste dagli artt. 2050 (responsabilità per l'esercizio di attività
pericolose), 2051 (danno cagionato da cose in custodia), 2052 (danno cagionato da
animali) e 2053 (rovina di edificio) del codice civile non trovino applicazione allorché
la vittima sia - come il trasportato dicortesia - ospite del presunto responsabile e gli
debba per questo gratitudine».
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interesse giuridicamente rilevante. Se, infatti, si è arrivati a considerare
tale anche la mera compagnia del passeggero, qualsiasi interesse provato
dal vettore che si erga a condizione dell‟assunzione dell‟obbligo di
trasportare può divenire giuridicamente rilevante come “moneta di
scambio” per il passaggio ( 378 ). Tuttavia, la stessa giurisprudenza di
legittimità che aveva mosso i propri passi in tale direzione è sugli stessi
ritornata qualche tempo dopo, ricordando che il discrimine tra trasporto
oneroso e gratuito e trasporto amichevole è la presenza o meno di un
contratto e non la mera sussistenza di un interesse, il quale, peraltro,
sussiste sempre e comunque sebbene più o meno valutabile
economicamente. Diversamente si attribuisce rilevanza al solo carattere
dell‟interesse (379).
Tutto questo conduce ad una sola conclusione: la fonte legale
dell‟obbligazione di protezione nel trasporto deve trovare conferma
proprio alla luce del trasporto amichevole ove si ha altresì l‟evidenza
dell‟autonomia tra trasferimento e protezione. In altre parole, l‟impegno a
trasportare qualcuno fa assumere la qualità di vettore ma non è la qualità
di vettore che fa nascere l‟obbligazione di protezione. Ciò da cui
quest‟ultima deriva è la volontà del dato positivo previa valutazione degli
interessi in gioco e considerazione dell‟opportunità che il criterio
solidaristico prevalga su quello di convenienza economica allorquando la
(378) Cfr. G. MASTRANDREA, L’obbligo, cit., 281.
(379) Cfr. G. MASTRANDREA, cit., 282.
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legge che governa il fenomeno è quella dei grandi numeri. In ciò trova
ultima conferma il fatto che la sicurezza e la protezione non involgono
tanto i temi della responsabilità, quanto quelli della migliore allocazione
delle risorse.
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202
Conclusioni.
Le considerazioni da ultimo svolte consentono di affermare che
attualmente ci si trova davanti ad un‟inoltrata fase di socializzazione
delle conseguenze potenzialmente pregiudizievoli – quasi delle
esternalità - di attività che, sebbene profittevoli, garantiscono la piena
realizzazione di istanze fondamentali; in questo modo si sta compiendo
un passo ulteriore rispetto a quel processo di “depatrimonializzazione”
del diritto che ha preso avvio con l‟emanazione della Costituzione e «che
ha determinato un mutamento di prospettiva nella interpretazione delle
norme relativi ai rapporti interprivati», facendo sì che la realizzazione
dell‟interesse patrimoniale sia solo «strumentale alla realizzazione delle
esigenze personali del soggetto» (380).
In questo processo un ruolo di primo piano hanno svolto - e
continueranno a svolgere – gli obblighi di protezione, i quali sono
efficace veicolo delle istanze solidaristiche all‟interno di un terreno
tipicamente dominato dalla volontà pattizia. In altre parole, se l‟ambito
extracontrattuale è, per così dire, considerato normalmente “aperto” a
divieti generali imposti dall‟alto, non è così per il settore negoziale, nel
quale
l‟ingerenza
dall‟esterno
è
tradizionalmente
vista
come
un‟eccezione per un codice che, come il nostro, si ispira a scelte liberali.
(380) D. CASTROVINCI, Il problema dell'inesigibilità della prestazione, in Giust.
civ. 1988/II, 346, 355.
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203
Ciò detto, dal punto di vista più strettamente civilistico, chi scrive
ritiene di aver fatto sufficiente chiarezza in merito alla sussistenza di una
duplice fenomenologia riconducibile agli obblighi di protezione
generalmente intesi: da un lato vi sono correttezza e buona fede, clausole
generali che fanno sorgere una serie di obblighi autonomi, ma accessori,
finalizzati a preservare i beni e la persona di una delle parti negoziali da
comportamenti scorretti della controparte prima della stipulazione o
durante l‟esecuzione del contratto; dall‟altro lato vi è invece
l‟obbligazione di protezione che si sostanzia in una serie di veri e propri
adempimenti di sicurezza che vanno oltre i meri accorgimenti
solidaristici e comportano un notevole sacrificio alla parte su cui
gravano. Peraltro, le prime vivono in stretta connessione con
l‟adempimento dell‟obbligazione a cui si riferiscono, compresa quella di
protezione e sono capaci, se disattese, di causare un inesatto
adempimento stessa; la stessa buona fede inoltre, che in prima battuta
esplicita il contenuto del vincolo con riferimento alle prestazioni dedotte
in contratto orientandolo in senso solidaristico, in seconda battuta
fornisce al giudice un criterio valutativo dell‟esattezza dell‟adempimento.
L‟obbligazione di protezione, invece, ha fonte legale e deriva, al di là
delle eventuali previsioni di settore, dal combinato disposto degli artt. 2 e
41 Cost. e 1173 c.c. ogniqualvolta la prestazione caratterizzante
coinvolga la persona o i beni della controparte in modo necessario e non
solo occasionale in virtù del materiale affidamento del primo al secondo.
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Ciò che risulta evidente quindi, è che in materia di protezione da un lato
vi è l‟art. 2043 c.c. che disegna l‟illecito extracontrattuale con
riferimento al generico dovere di protezione che deriva dal precetto del
neminem laedere e dall‟altro esiste un sistema costituito dagli artt. 1218,
1175, 1375, 1176 c.c. applicabili tutti anche alle carenze protettive che
sostanzino un inadempimento dell‟obbligazione legale di protezione che
grava sulla parte del vincolo negoziale che, a fronte del diminuito potere
di autocontrollo della controparte sulla propria integrità fisica causato
dall‟adempimento, veda incrementare il proprio corrispondente potere di
controllo e, quindi, di protezione.
Per tale via, si noti, si ottiene l‟interessante risultato di superare la
diffusa difficoltà, attribuita proprio all‟esistenza di previsioni specifiche
di protezione, ad ammettere l‟esistenza di un principio generale alla luce
del quale la nascita dell‟obbligazione collaterale di protezione possa
trovare generalizzata applicazione (381).
Chi scrive si pone pertanto sostanzialmente in linea con le
teorizzazioni più recenti riguardanti il fenomeno protettivo negoziale, le
quali trovano sempre maggiori consensi tra i giuristi del settore del diritto
della navigazione, ma ancora timidi approcci da parte del civilista, ivi
( 381 ) Bisogna tuttavia aggiungere al riguardo, che il nostro codice civile si
caratterizza proprio per la scelta sistematica di evitare una parte generale, anche se il
legislatore è spesso caduto nella tentazione di far ricorso agli strumenti tipici di questa
pur sotto l‟apparenza di norme dettate in relazione ad istituti particolari. Cfr. S.
RODOTÀ, Il problemadella responsabilità civile, Milano, 1967, 92.
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compresa la giurisprudenza di legittimità, ancora in parte propensa ad
attribuire forza integrativa quasi onnipotente alla buona fede.
La buona fede invece (e con essa la correttezza), è solo una
clausola generale che detta una regola di condotta a cui le parti devono
attenersi e che fornisce al giudice «notevoli margini di azione per
adeguare le pattuizioni contrattuali in modo da individuare in concreto i
comportamenti esigibili in base ai canoni di lealtà e salvaguardia» (382).
Ciò significa che la visione attualmente prevalente delle due clausole
realizzatrici della solidarietà è quella valutativa (già nota, peraltro, alla
dottrina di Natoli, sebbene in una diversa prospettiva); pertanto, esse
incidono sì sul contenuto del rapporto, ma solo da un punto di vista
interno alle parti definendone la qualità del comportamento e limitandone
l‟autonomia privata, ma non tanto per «contrapporre la logica dei
contraenti rispetto a quella della collettività, quanto per scegliere, tra
più soluzioni possibili, quella socialmente più desiderabile» (383).
Ciò è ben diverso dall‟affermare che in virtù della buona fede
esiste, a priori, un dovere comportamentale definito nel contenuto e nel
destinatario.
(382) C. Cass., Rel. 116, cit.
(383) S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, 184. In
questo contesto il giudice dispone del potere di adeguare il contenuto contrattuale in una
fase antecedente o, comunque, contemporanea all‟esecuzione del contratto e non
esclusivamente di valutare il comportamento delle parti in una fase successiva
all‟adempimento come invece sosteneva Natoli. Cfr. Rel. 116, cit. In tal senso si veda
Cass. 9 marzo 1991 n. 2503; Cass. 20 aprile 1994 n. 3775, annotata da V. CARBONE, La
buona fede come regola di governo della discrezionalità contrattuale,in Corr. giur.
1994, 572 ss.
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Peraltro, anche ipotizzando la possibilità di una predeterminazione
o, quantomeno, tipizzazione del contenuto della clausola di buona fede,
coloro che si sono cimentati in tale opera con riferimento alla
salvaguardia non hanno individuato alcuno specifico obbligo di
protezione nel senso in cui essi sono stati fin qui considerati, ma solo
comportamenti – di contenuto positivo e negativo – finalizzati a tutelare
l‟utilità della controparte, nei limiti in cui ciò non comporti un
apprezzabile sacrificio (384)
Si continuerà comunque e giustamente a parlare di poteri del
giudice in funzione integrativa dell‟autonomia contrattuale, ma in
un‟ottica che rimane quella dell‟adempimento dell‟obbligazione principale e protettiva - e secondo un meccanismo che non sembra
potersi spingere tanto avanti da far nascere vere e proprie obbligazioni
ulteriori a carico delle parti, ma solo obblighi di completamento dirimenti
( 384 ) Si legge nella Rel. 116 cit.: «Richiedendo comportamenti diversi in
relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, l’obbligo di buona fede non si
presta ad essere predeterminato nel suo contenuto. La dottrina, sulla base anche
dell’elaborazione giurisprudenziale, ne ha comunque tentato una qualche tipizzazione.
In particolare é stato affermato17 che il canone di lealtà si concretizza in tre principali
comportamenti negativi: il non suscitare intenzionalmente falsi affidamenti, il non
speculare su siffatti affidamenti e il non contestare ragionevoli affidamenti comunque
ingenerati nell’altra parte. Inoltre, in relazione all’obbligo di salvaguardia, sono stati
individuati18 come comportamenti tipici di buona fede: a) l’esecuzione di prestazioni
non previste in contratto ma necessarie o utili per salvaguardare l’utilità della
controparte, purché non comportino un apprezzabile sacrificio b) le modifiche al
proprio comportamento, se necessarie a salvaguardare l’utilità della controparte,
sempreché non determinino un sacrificio apprezzabile; c) la tolleranza delle modifiche
della prestazione di controparte, se ciò non pregiudica apprezzabilmente il proprio
interesse; d) il dovere di avviso e di informazione di tutte le circostanze rilevanti per
l’esecuzione del contratto e, in particolare, di quelle la cui conoscenza permette alla
controparte di evitare un aggravio di spese o di effettuare una prestazione errata; e) il
corretto esercizio dei poteri discrezionali, il che assume particolare rilevanza in
materia di promozioni e di poteri disciplinari e risulta strettamente connesso al tema
dell’abuso di diritto».
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l‟adempimento nella direzione dell‟esattezza e fuori dai pericoli
dell‟abuso del diritto.
La considerazione del fenomeno protettivo nell‟ambito della mera
auto-integrazione del contratto – peraltro rimessa al potere successivo del
giudice – è quindi oramai anacronostica sia perché asistematica, sia
perché postula una netta separazione tra la sfera pubblica, con la legge
autointegrata dall‟analogia e dalle clausole generali, e quella privata, in
cui la volontà regna sovrana, distinzione tipica del liberismo che ha
caratterizzato lo sviluppo economico industriale post-bellico ma
recessiva oggi. Viviamo, infatti, un‟epoca nella quale l‟intervento
pubblico è sempre più incisivo nei rapporti tra privati ed in cui in questi
ultimi la realtà voluta cede il passo a quella imposta dalle
predeterminazioni (come accade nei contratti per adesione), o dalla realtà
fattuale (si pensi ai contratti “di fatto” o alla responsabilità “da contatto”)
(385).
Fornita in tal guisa una risposta alle domande che in sede
introduttiva ci si poneva, l‟analisi del fenomeno protettivo si è però
rivelata altresì una sede privilegiata per mettere in luce problematiche di
più ampio respiro e legate all‟evoluzione della società e del diritto. In
(385) Si noti che questi rilievi non sono più, ormai, solo appannaggio di fumose
elaborazioni dottrinali, ma emergono come presa di coscienza netta e indubbia anche
dalla giurisprudenza. Si veda in tal senso Cass. 10 settembre 2010, Rel. n. 116, Buona
fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale: Il ruolo del giudice nel governo
del contratto, la quale, peraltro, mette in luce come questo complesso fenomeno di
composizione del contenuto contrattuale non sia necessariamente dovuto alla lacunosità
del relativo regolamento.
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particolare, nel corso dello studio della materia è emerso come il diritto
dei contratti sia sempre meno scienza “nazionale e pura”.
Sul primo aspetto non c‟è molto da aggiungere all‟evidenza,
soprattutto al termine del presente lavoro, nel quale si è potuto
apprezzare uno dei massimi esempi di erosione del potere legislativo
nazionale a favore di quello sovranazionale, in particolare di natura
europea.
Quanto al secondo carattere, la scienza del diritto dei contratti è
sempre meno pura perché - forse proprio o anche per via della crescente
internazionalizzazione – risulta esposta all‟infiltrazione di forti spinte
economiche e politiche nella sua genesi, interpretazione e applicazione, il
che impone una sempre maggiore apertura del giurista verso le confinanti
scienze da cui tali elementi derivano.
A tal proposito, sia consentito a chi scrive citare ancora una volta
Trimarchi, il quale faceva notare che nel sistema contrattuale, a
differenza di quello extracontrattuale, il criterio economico può
benissimo sostituire, di regola, altri criteri, divenendo il canone unico e
incontrastato di valutazione; tenendo infatti conto del fatto che
l‟imprenditore è indotto ad adottare nuove misure di protezione
ogniqualvolta il loro costo è inferiore alla riduzione della spesa derivante
dall‟eventuale responsabilità contrattuale, quest‟ultima «deve dunque
essere regolata tenendo presente l’opportunità di spingere creditore e
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debitore ad adottare una combinazione di misure di diligenza che sia
ottima dal punto di vista dell’economia generale» (386).
La conferenza delle parole di Trimarchi sta nel fatto che dal
momento in cui l‟elemento economico domina la scena legandosi alle
istanze solidaristiche, il diritto civile deve prendere consapevolezza del
fatto che tutto diviene molto più empirico e monetizzabile e così stando
le cose, molto è destinato a cambiare. In particolare, il momento, la
direzione ed il contenuto della risposta ad eventi lesivi sono portati a
seguire le logiche della convenienza sotto diversi aspetti. È così, infatti,
che si arriva anche nel campo contrattuale a parlare di rischio, ossia di
onere della sopportazione del peso economico delle conseguenze infauste
dell‟attività produttiva su chi beneficia dei profitti da quest‟ultima
derivanti, evitando gran parte delle difficoltà relative all‟accertamento
della colpa ( 387 ); ed è per via della convenienza, inoltre, che si
predispongono norme tendenzialmente semplici, posto che quanto più
semplice è la regola, tanto più prevedibile sarà la decisione e tanto più
incoraggiata la decisione in via stragiudiziale della controversia, con un
notevole effetto sull‟economia giudiziale ( 388 ). Infine, è attraverso la
(386) P. TRIMARCHI, cit., 513, 530.
(387) Nei rapporti tra «imprese e consumatori, […] che si tratti di danni cagionati
dalla cosa venduta, oppure di infortuni subiti dal viaggiatore […] l’impresa sarà di
regola più consapevole del rischio, più preparata ad affrontarlo e meglio e meglio in
grado di assorbire il danno», come affermaP. TRIMARCHI, cit., 527, il quale però
auspica altresì che in un‟ipotetica futura “società del benessere“, ogni cittadino sia
assicurato per qualsivoglia danno alla persona, qualunque ne sia la causa (516).
(388) P. TRIMARCHI, cit., 517.
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strada dell‟economia che il diritto, spesso, diventa strumento di politica
sociale e di conseguente sostegno delle fasce più deboli.
Sembra pertanto auspicabile, anche in virtù della contaminazione
appena descritta, che il diritto civile si apra in modo osmotico
quantomeno alle altre branche del diritto, soprattutto a quelle più
influenzate dalle tendenze europee ed internazionali - a loro volta
piuttosto libere dai condizionamenti derivanti da rigidi schemi
concettuali giuridici - come è quella del diritto della navigazione. Il
diritto civile, infatti, si rivela ancora troppo legato agli schemi
tradizionali con la conseguente difficoltà di comprensione verso i rapidi e
continui mutamenti socio-politico-economici che interessano l‟epoca
attuale, che si traduce, inevitabilmente, in una costante incertezza
giurisprudenziale.
In ultima istanza, la spiegazione del percorso evolutivo della
disciplina di quel fenomeno che questo lavoro ha cercato di definire,
esaminare e descrivere e che comunemente è denominato obblighi di
protezione, forse è stata data tempo fa, quando, sebbene in tema di
illecito civile, è stato affermato che «l’accadimento dannoso, nei campi
segnati dal progresso, non è più il prodotto di una fatalità cieca, di un
destino avverso che impedisce il verificarsi del danno: esso diviene un
fatto che si accompagna ordinariamente all’operare umano, rimanendo
però sottratto alla tradizionale configurazione dell’elemento della
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volontà, dal momento che si tratta di danni che devono accadere» (389).
Per questo motivo, l‟obbligazione di protezione è uno strumento che,
sebbene calato nella dimensione negoziale, è sottratto anch‟esso alla
volontà, dal momento che è un istituto che deve esistere.
(389) S. RODOTÀ, Il problema, cit., 21.
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