LA POESIA È DI CASA
Festa della poesia nelle Case della Cultura
La poesia è di casa
Festa della poesia nelle Case della Cultura
Sala Santa Rita
Casa della Memoria e della Storia
Casa dei Teatri
Progetto e catalogo a cura di Stefania Fabri e Maddalena Fallucchi
Promosso e organizzato da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Dipartimento Cultura –
V U.O. Servizio Programmazione e Gestione Spazi Culturali in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.
Illustrazioni di Costanza Maria Mongini
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ROMA CAPITALE
Sindaco
Gianni Alemanno
DIPARTIMENTO CULTURA
Direttore
Alessandro Voglino
Coordinamento comunicazione
Ufficio Comunicazione,
Relazioni Esterne e Siti Web
Maria Carla Mancinelli responsabile
Elisabetta Bitonte
Francesca Giannuzzi
Ugo Riccarelli
Dirigente V U.O.
Lucia Roncaccia
Hanno collaborato Costanza Maria Mongini
e Emiliano Rabuiti per Zètema Progetto Cultura
Coordinamento organizzativo
Servizio programmazione e
gestione Spazi Culturali
Stefania Fabri responsabile
Rachele Del Pozzo settore amministrativo
Flavia Ricci settore tecnico
Enrico Mastrangeli
Emilio Saletta
Progetto grafico e impaginazione
Dario Lucarini
Email: [email protected]
Tel/fax. 06 87131795
Assessore alle Politiche Culturali
e della Comunicazione
Umberto Croppi
Il ricordo di Maddalena Fallucchi, regista e drammaturga italiana da poco scomparsa, alla quale la scena romana resterà
per sempre debitrice, segna il catalogo di questo importante evento “La poesia è di casa”, che a mio parere rappresenta
un progetto di genere molto ben concepito. La sua struttura e la sua formula, del resto, hanno permesso alla poesia di
trovare albergo in tre luoghi-simbolo della cultura a Roma. Il fatto che i versi dei più noti autori siano stati declamati nella
Sala Santa Rita, nella Casa della Memoria e della Storia e nella Casa dei Teatri ha infatti suggellato un legame a oggi insolito tra la poesia, la storia e le arti. Ciò ha infatti rappresentato una novità forte rispetto alla pregressa tendenza a
confinare la poesia entro gli spazi dei festival, quasi fosse diventata un genere di nicchia, al massimo godibile da critici e
specialisti. Non è mai stato così, ovviamente, e il recente successo mondiale del film Bright Star di Jane Campion ne è stato
l’assoluta conferma, laddove al centro dell’opera non è tanto la biografia di John Keats quanto il vivere (e il morire) poeticamente. A Roma, tra l’altro, egli morì e fu seppellito, e il suo nome rimase “scritto sull’acqua”. Luogo di somma ispirazione romantica, la nostra città ha saputo assorbire la vena creativa di poeti e letterati che vi trovarono rifugio. Ma non basta: è a
Roma che le arti ritrovano tra loro quell’indispensabile empatia che le rende, ciascuna, parte di un’opera complessa, di
un’opera il cui linguaggio è comunque un’eco della poesia. E così il teatro, il cinema, la musica leggera, l’impegno civile,
tutti vengono declinati attraverso il linguaggio poetico. È una sorta di miracolo che, a Roma, è “di casa” e che questa rassegna ha saputo mostrare con grande sapienza.
Umberto Croppi,
Assessore alle Politiche Culturali
e della Comunicazione
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Omaggio a Maddalena Fallucchi
di Emanuele Bevilacqua
H
o conosciuto Maddalena Fallucchi al liceo, lei aveva circa quindici anni e io di più. E quell'incontro fra adolescenti è
avvenuto curiosamente proprio grazie agli interessi che sarebbero poi diventati il lavoro e la passione di Maddalena
negli anni a seguire, il teatro e dunque necessariamente la letteratura.
A quell'età ci si incontra all'ora di ricreazione davanti a un tramezzino o per un passaggio in scooter. Invece no. Qualcuno
fra gli amici della scuola aveva deciso di organizzare un reading di poesie e poi, con una certa ambizione, di scrivere una
pièce teatrale e rappresentarla prima della fine dell'anno scolastico. Le letture allora, fatte di nascosto, non quelle ufficiali
dei corsi, erano quelle degli eroi Beat: Kerouac, Ferlinghetti, Ginsberg. E anche i testi scritti da noi ragazzi avevano quel
sapore lì.
Quando il giovane “regista” della rappresentazione e organizzatore delle letture di poesia si mise in giro per fare il casting,
spuntò questa ragazza meravigliosa. Maddalena era bella, colta e intelligente, dotata di un humor che attirava tutti e tutti
respingeva. Nei giochi degli adolescenti di allora, ci si faceva scambi di battute veloci e feroci. Era una sorta di rap dell'epoca
fra veloci e precoci e lei batteva tutti. In più aveva un orecchio che le permetteva di riprodurre in modo buffo ma non caricaturale voci e dialetti con rapidità. L'effetto era di grande umorismo.
Maddalena poi parlava già perfettamente il francese e l'inglese, lingue che noi invece cominciavamo appena a studiare.
Non ricordo neppure il titolo di quel lavoro teatrale, ma mi ha permesso di avviare una amicizia che solo la malattia ha interrotto o forse trasformato.
Perchè sono partito così da lontano? Quello che mi preme dire è che Maddalena era già Maddalena Fallucchi a 15 anni
e che gli studi, il lavoro, e l'esperienza sono andati a infondere energia e carburante lì dove c'era già tanto talento.
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I passi successivi sono rintracciabili in un percorso noto, gli studi universitari con la laurea in letteratura americana, la passione
per il teatro che la porta a frequentare il corso di organizzazione teatrale tenuto da Fulvio Fo.
Terminato il percorso formativo comincia l’impegno nel teatro. E’ aiuto regista di Lavia, di Sbragia, di Scaparro. Poi è al
Piccolo Teatro di Milano dove lavora, sempre come aiuto regista, con Giorgio Strehler.
A Milano resterà tre anni prima di tornare a Roma e fondare con Fulvio Fo Il carro dell’orsa, la cooperativa teatrale con la
quale realizzerà tanti spettacoli straordinari.
Anche in questo periodo di crescita e di maturità Maddalena non rinuncia alla sua personalità e al suo humor, vederla durante le prove con gli attori era fantastico. Sapeva come condurli con garbo e usava lo stesso rap del liceo per tenerli a
bada quando qualcuno faceva i capricci, non trovava il tono giusto o la posizione giusta in palcoscenico.
Maddalena Fallucchi ha amato presentare al pubblico italiano lavori nuovi o pochissimo rappresentati. Partiva dunque
spesso da testi inediti, che traduceva lei stessa. Era questo il modo che preferiva per avvicinarsi a un autore e conoscerlo
nei dettagli e nelle sfumature. Lo ha fatto dall'inizio, a partire da Il ballo dei ladri (Les Bal des Voleurs del 1938) di Anouilh,
tradotto dal francese, il suo debutto alla regia nel 1986, e lo ha ripetuto tante volte, nei trenta e più spettacoli diretti nel
corso della sua carriera.
Anche quando si è trovata davanti a testi già tradotti in italiano, mi viene in mente Svolta pericolosa, testo scritto nel 1932
dal drammaturgo inglese John Boynton Priestley, rappresentato in Italia una sola volta nel 1950, lei volle ripartire dall'originale
per adattarlo al linguaggio più fresco che desiderava utilizzare.
Maddalena Fallucchi ha sempre lavorato così, con competenza ed entusiasmo, fino alla sua ultima impresa avviata nel
2007 e onorata fino a quando ha potuto, la cura e l'ideazione dei laboratori del teatro di Tor Bella Monaca, a Roma, certamente un progetto pilota a livello nazionale del «Teatro nelle periferie».
Mi è capitato in alcune occasioni di lavorare insieme a lei. Mi ha aiutato a tradurre testi inediti dei poeti e scrittori Beat in
occasione dell'uscita di miei libri per Theoria e Einaudi.
Nel periodo della mia direzione al Palazzo delle Esposizioni le chiesi di condurre, insieme a Luciano Lucignani, un laboratorio
di teatro. Lo fecero entrambi con grande capacità e leggerezza.
Nel 2008 abbiamo curato insieme una rassegna di letture nelle biblioteche romane in occasione della visita di Lawrence
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Ferlinghetti in Italia. Quel tipo di attività che richiede organizzazione e sensibilità artistica e difficile da fare dividendone la responsabilità con altri. Spesso è fonte di stress e di incomprensioni. Con Maddalena è stato puro divertimento. Tutto riusciva
facilmente.
Maddalena Fallucchi non stava mai ferma e ha sempre trovato il modo di affiancare al suo lavoro teatrale altre attività
come la radio nazionale dove ha curato numerose trasmissioni sul teatro o gli interventi ad appuntamenti culturali selezionati
e dunque mai banali. Amava partecipare gli appuntamenti annuali organizzati dall'University of Boulder le Conference on
World Affairs. E' stata ospite fissa per anni. A Boulder sono previsti interventi brevi e grande capacità di commentare poi “a
braccio” le tesi degli altri, sugli argomenti più vari. Si entusiasmava a giocare questo gioco con gli altri conferenzieri. Forse ritrovava quel clima da rap del liceo dove era fortissima.
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Introduzione
di Stefania Fabri
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a gennaio a marzo 2010 alla Casa dei Teatri, alla Sala Santa Rita e alla Casa della Memoria e della Storia si è
svolto il progetto “La poesia è di Casa”, curato da me e Maddalena Fallucchi, dedicato al mondo della poesia. Il 19
novembre 2009 si era svolto precedentemente alla Sala Santa Rita con successo un primo incontro dal titolo Assaggi
poetici quale anticipazione di tutti i generi che sono stati trattati da gennaio 2010 in poi, comprensivo anche di un commosso
omaggio alla poetessa Alda Merini. Come sempre nelle migliori opportunità si è svolto all’insegna di una stretta collaborazione
tra gli uffici del Dipartimento, Spazi Culturali e Comunicazione, e Zètema Progetto Cultura con lo straordinario apporto di
Maddalena Fallucchi che ha splendidamente utilizzato competenza, garbo e intelligenza nel curare la scelta dei testi e la
regia delle letture e persino, nel caso dei poeti afroamericani, anche nel tradurre testi ancora inediti in Italia.
Obiettivo del progetto è stato quello di delineare un percorso all’interno del vastissimo “universo poesia”, combinando i
“luoghi” – la Casa dei Teatri (LA POESIA VA IN SCENA), la Sala Santa Rita (VISIONI) e la Casa della Memoria e della Storia
(POESIA CIVILE) – a tre itinerari poetici legati alle specifiche vocazioni culturali di ciascuna “Casa”.
L’iniziativa si è connotata da subito come una festa vivace capace di proporre la poesia a vari livelli, attraverso l’interpretazione dei testi da parte di attori e attrici di forte personalità. Un viaggio tra poesia civile, romantica, libretti d’opera, versi
di paesi lontani e culture diverse, beat generation e altro. Non solo, ogni “Casa” ha ospitato anche le perfomance dei nuovi
autori attraverso delle “autopresentazioni” in cui la passione per la poesia si è scoperta tutt’altro che sopita.
Alla lettura delle poesie, poi, sono state abbinate musica dal vivo e ascolto di brani registrati per donare un contesto spe-
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cifico e suggestivo alle atmosfere nelle quali ogni componimento, dal Libretto d’opera alla canzone d’autore, dalla poesia
di impegno civile a quella romantica, si sviluppa legandosi alla storia, all’arte e allo spettacolo riferendosi anche ai contenuti
dello spazio che ha ospitato gli incontri. La Festa della Poesia nelle Case è stata di 4 giorni in ogni “Casa” e ha dimostrato
di poter diventare il punto d’incontro per gli appassionati di poesia della Capitale, laboratorio di idee, fucina di nuovi talenti
ed eventuale riferimento culturale per i prossimi anni. Anche grazie a questa iniziativa, dunque, le “Case” si sono caratterizzate
ancora una volta come luoghi di dinamismo culturale, in grado di offrire opportunità di approfondimento, di riflessione, ma
anche momenti di incontro, di convivialità, di nuova cittadinanza. L’affluenza del pubblico al ciclo è stata significativa e quindi
un dato importante, poiché segnala l’interesse verso iniziative culturali, capaci di dare un ambiente gradevole e “sapiente”
alla voglia di vivere emozioni estetiche condividendole con quelli che hanno la medesima sensibilità.
In sostanza, “La poesia è di Casa” si è rivelata un apprezzato appuntamento di ritrovo intellettuale e di approfondimento,
capace di trasmettere forti emozioni, di far rivivere poesie e testimonianze spesso dimenticate, di far conoscere e divulgare
testi poco noti o addirittura non ancora tradotti in lingua italiana. Naturalmente, il programma è stato accuratamente selezionato tra moltissimi testi e poesie ed è stato scelto e modulato in base alle caratteristiche di ogni “Casa”.
Così, per la Sala Santa Rita, dove spesso a livello espositivo si affronta il legame tra correnti artistiche e letteratura, si è
deciso di evocare sotto il segno del titolo VISIONI due filoni decisamente agli antipodi ma in qualche modo coincidenti: da
una parte il filone romantico dell’Ottocento il cui immaginario pieno di suggestioni è ancora potente per il pubblico contemporaneo, molto più incline al sentimento di quanto si possa immaginare, e dall’altro quello visionario moderno della canzone
d’autore (testi di Tenco, De André, Fossati e altri), che rappresenta in Italia una vera scuola di scrittura.
Per Casa della Memoria e della Storia si è presentata la POESIA CIVILE. La funzione sociale della poesia è una funzione
naturale, connessa proprio con il suo essere nella storia. Tuttavia vi sono momenti e autori che hanno sottolineato l’importanza
di una poesia che dovesse guardare di più ai problemi della società, alle vicende della storia. Per questo si è pensato di riproporre due autori di “culto” e nello stesso tempo proporre un’attenzione alla creatività contemporanea, nonché di dare
uno sguardo alla poesia spagnola per la sua passionalità e anche a quella afro-americana, che intende raccontare le storie
del popolo nero in modo da riflettere una cultura autentica – non solo la sofferenza ma anche l’amore per la musica, il saper
ridere nelle avversità, il linguaggio innovativo.
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Per la Casa dei Teatri, invece, il cui titolo è stato LA POESIA VA IN SCENA, il contenuto è stato, naturalmente, più legato al
divenire spettacolo: si è cominciato con la poesia medio-orientale le cui suggestioni provengono anche da un immaginario
antico e sofisticato, per proseguire con il Libretto d’opera dove la parola riacquista sostanza non sopravanzata dalla musica,
per finire con la poesia della beat generation dove ritmo e parola sono strettamente collegati.
In ogni spazio si è svolto anche un incontro con i GIOVANI autori di poesia, molto emozionante e carico di significati. I due
autori di volta in volta associati alla Casa sono stati perfettamente in linea con le suggestioni evocate dal titolo del ciclo di
ciascuno spazio, da Marco Gatto e Franca Mancinelli per la Sala Santa Rita, a Evelina De Signoribus e Davide Nota per la
Casa della Memoria, ad Alice Clarini e Paolo Ruffini per la Casa dei Teatri. Ogni giovane poeta è stato presentato da un
critico con la collaborazione di Marco Filoni e quindi hanno partecipato: Manuel Cohen, Francesco Mangone, Maria Grazia
Calandrone, Gianluca Pulsoni, Monica Maggi e Domenico Donatone.
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Visioni
Sala Santa Rita
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La poesia romantica
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
La Tigre di William Blake
I
n questa nostra selezione abbiamo voluto inserire sia i poeti romantici per eccellenza come Blake, Wordsworth, Coleridge,
Byron, Shelley, Keats, classificati come i “sei grandi” della poesia romantica, sia un gruppo di donne scrittrici dell’epoca vittoriana: le sorelle Brontë, Mary Shelley, Elizabeth Browning, rappresentanti di un’epoca dominata non solo dal sentimento
ma anche dalla capacità visionaria. I poeti romantici furono attivamente impegnati in una ricerca espressiva che giunse alla
creazione di un nuovo tipo di poesia in cui centrale fu l’intuizione poetica ritenuta superiore alla ragione, il tutto associato a
uno stile di vita in sintonia con la natura. Wordsworth stesso nella prefazione alle Ballate Liriche (scritte insieme a Coleridge
nel 1798), considerata vero e proprio manifesto del romanticismo poetico, definisce buona poesia “lo spontaneo debordare
di sentimenti potenti”.
Tuttavia ebbe modo di chiarire che un poema di valore avrebbe dovuto essere composto da qualcuno “posseduto da
una qualche più che usuale sensibilità organica”, in grado di produrre un pensiero profondo e a lungo meditato. Il tema dominante della poesia romantica è allora il saper filtrare l’emozione naturale attraverso la mente umana per creare arte, con
la consapevolezza della dualità creata dal pensiero unito alla sensibilità accentuata, vale a dire quella che individuiamo
come “visione”. Le sorelle Brontë che amavano la lettura di Byron, Coleridge e Wordsworth, pur se ripiegate in se stesse,
immerse nell’atmosfera cupa e selvaggia di un paesaggio gelido, tormentato dal vento del Nord, utilizzarono la loro sensibilità
esasperata esaltandola in versi cupi e tormentati che, ancora oggi, possono commuovere chi li legge.
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La “canzone d’autore” italiana
…E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Da Il cantico dei drogati. Fabrizio de Andrè
D
a Salvatore Di Giacomo a Luigi Tenco a Tricarico, la canzone italiana riesce a cogliere sempre i paradigmi lirici della
vita di tutti i giorni, lasciandosi semplicemente “usare”: una scena intimista, un flusso di coscienza, un’invettiva, un grido
d’amore, la canzone risponde al bisogno di oltrepassare barriere e perdersi in paesaggi altri, dove sia possibile volare.
Qualche volta, accade anche che il testo riesca a giocare su significati più o meno impliciti. S’avvia cioè verso un definitivo
approdo alla poesia. In questi casi la partitura musicale che abitualmente serve da amplificatore, sembra quasi sottrarsi alla
parola, che invece ci appare vivere di vita propria in tutta la sua allusività. Come la poesia, allora, la canzone d’autore
mostra una tessitura di fatto parallela, stracolma di suoni e levigature armoniche (o disarmoniche), partiture che nulla sottraggono alla ricerca del linguaggio scritto tout court, anzi in taluni casi ne esaltano la suggestione evocativa. L’apparente livello
popolare della canzone rende il testo più assimilabile e divulgativo, anche quando nella sperimentazione la cifra stilistica
dell’autore delle parole è vigorosa, come nel caso di Pasquale Panella oppure di Fabrizio De Andrè e persino di Francesco
Guccini. Sono solo canzonette? Se pensiamo a La guerra di Piero o a La donna cannone o ancora a La costruzione di un
amore ci riesce difficile non cogliere quelle sfumature e quel ritmo che sono propri della poesia. Gli autori proposti rappresentano un arco di scelte possibili, uno squarcio generazionale che tangenzialmente tocca l’intimo, l’esistenziale e l’impegno,
il grottesco e il disincanto, il racconto e la favola, descrivendo così diverse generazioni in movimento.
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La poesia civile
Casa della Memoria e della Storia
Su Bertolt Brecht e Franco Fortini
di Massimo Rendina
Le foreste crescono ancora.
I campi sono fertili ancora.
Le città ci sono ancora.
Gli uomini respirano ancora.
Da L’imbianchino parla
di grandi tempi a venire,
Bertolt Brecht.
Q
uesto di oggi è il quarto appuntamento che il Dipartimento Cultura del Comune di Roma dedica alla poesia, all’universo poetico: i primi tre si sono svolti nella Sala Santa Rita. Questo, cui ne seguiranno altri tre nella Casa della Memoria e della Storia, è dedicato alla poesia a contenuto sociale, messaggio all’uomo perché si riconosca nel suo
ruolo comunitario, poesia dell’impegno civile, aiuto al vivere solidale nell’itinerario comune cui dare senso e fine.
Pertanto invito attuale e pressante nel momento in cui la società e l’uomo stesso sembrano smarriti, scomparse le ideologie
con i miti palingenetici, fallite le esperienze egualitarie, resi sempre più difficili i punti di riferimento sociale.
In questo quarto appuntamento l’incontro è con Bertolt Brecht, nato ad Augusta nel 1898, e con Franco Fortini, nato a Firenze nel 1917. Un accostamento non casuale, essendo stato Fortini il traduttore di Brecht. Due personalità molto diverse ma
accomunate dalla stessa passione civica e dall’arte, convinte che la poesia possa agire nell’animo umano, rivolta a penetrare
nella cultura marxista senza peraltro cedere al settarismo militante, volendo soprattutto trarne le istanze morali. La poesia in
funzione riflessiva della condizione umana, intransigente nel rilevarne le contraddizioni, magistero tradotto in parole in cui assumono vero significato responsabilità e giustizia, recuperandone con passione il valore semantico, facendone giudizio
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ispirato dalla necessità socratica dell’autoriconoscimento, della rivelazione coscienziale, del sé nel farsi noi. Ma anche storicizzazione della libertà oppressa dalla ferocia nazista cui Brecht contrappone lo scherno poetico, svelando nel nazismo la
mostruosità grottesca, cerimoniale anche nell’orrore della fabbrica di morte. E Fortini impegnato nell’affermazione della libertà
coniugata con la giustizia sociale, e la solidarietà del vivere. Un invito, qui, a considerare la poesia come procedimento testimoniale che avanza con gli eventi sin dai primordi dell’umanità, constatando oggi più che mai il rapporto tra arte poetica
e denuncia della condizione umana e lo svelamento delle sue aspirazioni. Bertolt Brecht dunque, drammaturgo, regista
teatrale, autore di saggi letterari e racconti, ricordato e ammirato come poeta che fa dell’arte messaggio. Esempio davvero
singolare della rivolta morale che percorse la Germania alla nascita e all’affermarsi del nazismo. All’opposizione dei tedeschi
al nazismo non abbiamo forse dedicato, come Casa della Memoria e della Storia, sufficiente attenzione e quasi ignorata
è anche l’appartenenza alla resistenza di disertori. Quasi inesistenti sono le informazioni sulla brigata partigiana, il Frei Deutchland Batallion, interamente formata da tedeschi, operante nella zona di Bolzano e in Carinzia. Poco spazio nella memoria
storica occupa Rudolf Jacobs, alto ufficiale della marina germanica che l’8 settembre 1943 rese inutilizzabili i pezzi dell’artiglieria costiera sul litorale di La Spezia, unitosi con qualcuno dei suoi alla brigata Garibaldi Muccini e che morì il 13 novembre 1944 assaltando la caserma della milizia fascista a Sarzana.
Bertolt Brecht aveva cominciato a scrivere poesie a 15 anni e continuò per tutta la vita a farlo, usando il richiamo poetico
anche nelle produzioni cabarettistiche, improntandolo di uno stile particolare che colpirà altri autori e musicisti, toccando i
vertici della suggestione con le composizioni strumentali di Kurt Weill. Una lunga peregrinazione la sua, ventiduenne da Augusta
a Monaco e poi a Berlino dove collabora con Bronnen. È a Berlino che si avvicina ai comunisti, senza però iscriversi al partito.
L‘Opera da tre soldi gli dà la notorietà a 31 anni. I nazisti iniziano la loro ascesa al potere accompagnando la propaganda
nazionalista con azioni violente. Quando il 27 febbraio 1933 incendiano il Reichstag, accusando gli oppositori, inizia la dittatura
di Hitler. Ogni forma di libertà viene soppressa. La polizia irrompe nel teatro dove Brecht rappresenta Linea di condotta e interrompono la rappresentazione. Cercano l’autore. Brecht è ricoverato in ospedale e di là fugge con la moglie e il figlio undicenne. Raggiunge Praga. Di là raggiunge la Svezia. Trascorso un breve periodo, si trasferisce in Finlandia e poi negli Stati Uniti.
La sua produzione letteraria, teatrale e poetica è ricchissima, multiforme nell’invenzione e originale nella forma. La sua produzione
teatrale assume un carattere epico popolare. Le poesie di Brecht hanno carattere di manifesto: si oppongono al credo religioso
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ultraterreno in nome dell’esistenza immanente, tragica, laddove nell’opera teatrale Galileo assume il ruolo simbolico della persecuzione religiosa tetragona a fronte della verità scientifica che restituisce tutta la dignità alla persona umana vessata dall’arbitrio settario di un potere ottuso, dovuto ad una presunta investitura divina. L’abbandono degli Stati Uniti di Brecht nel 1947
per ritornare a Berlino è dovuto all’anticomunismo che impronta il mondo intellettuale americano. Brecht si impegnerà sino alla
morte – per tumore nel 1956 – nella produzione teatrale nella Berlino Est, nel Berliner Ensemble. La poesia resta per lui una necessità spirituale e insieme un dovere di richiamare l’uomo ad esserlo sino in fondo, creatura privilegiata insostituibile.
Franco Fortini si chiamava in realtà Franco Lattes, figlio dell’avvocato Dino Lattes, di origine ebraica, e di Emma Fortini del
Giglio, il cui cognome assunse come pseudonimo sin da giovanissimo. Con l’avvento del fascismo, e ancor prima con le
violenze squadristiche, inizia un periodo difficile per la famiglia Lattes. Dino, antimonarchico e libertario per fede politica mazziniana, vive in condizioni precarie. Costringe i suoi a continue peregrinazioni in appartamenti in affitto. Quando Franco ha 7
anni, nel 1925, la notte tra il 2 e il 3 ottobre i fascisti compiono un’azione sanguinosa nei pressi del mercato San Lorenzo
(descritta da Vasco Pratolini nel romanzo Cronache di poveri amanti). Uccidono il socio dell’ufficio legale di Lattes, l’avvocato
Console, e la moglie. Dino Lattes si allontana da Firenze per sottrarsi agli squadristi. Un episodio che Franco Fortini non riuscirà
mai a dimenticare anche una volta raggiunta l’università. Parteciperà alle manifestazioni degli studenti inquadrati nei GUF
(Gruppi Universitari Fascisti) e prende parte più volte ai Littoriali della Cultura, come altre figure storiche dell’antifascismo come
Ingrao, Alicata, Moro o Taviani. Ai Littoriali di Palermo conosce Antonello Trombadori (che comanderà i GAP a Roma nella
Resistenza), Alberto Graziani e Bruno Zevi e si avvicina all’ideologia marxista e ai comunisti. Una propensione accentuata nel
1939 dalla sua espulsione dal GUF a seguito delle leggi razziali. Ciò non gli impedisce di ottenere l’insegnamento nel 1940,
quale supplente in un liceo tecnico di Civitanova Marche. È chiamato sotto le armi nel 1941, a guerra iniziata, a Civita Castellana come soldato semplice dove conoscerà Pietro Ingrao.
Arriviamo all’8 settembre 1943, all’armistizio e all’aggressione della Wermacht cui Fortini tenta di opporsi senza riuscire ad
organizzare i soldati senza ordini, sbandati. Si nasconde per sfuggire alla cattura, viene informato che suo padre è stato imprigionato come ebreo pericoloso. Riesce a raggiungere la Svizzera mettendosi al sicuro, esaurita la prima fase della sua
esperienza partigiana in Val d’Ossola. È in Svizzera che Franco Fortini matura intellettualmente, venuto anche a contatto con
religiosi della Comunità Valdese. Nel 1944, quando la guerra partigiana acquista un ruolo fondamentale nella Guerra di Li-
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berazione, raggiunge nuovamente l’Ossola per partecipare all’avventura della repubblica ossolana, occupandosi della propaganda e dell’ufficio stampa. Nel frattempo, il suo lavoro teatrale Il soldato rappresentato a Zurigo ottiene un vivo successo.
Rioccupata la Val d’Ossola dai nazifascisti, Fortini ripara nuovamente in Svizzera.
Tornato in Italia dopo la Liberazione, nel maggio 1945 collabora con «L’Avanti» e con «Milano Sera». Diventa amico di
Bonfantini e Vittorio Gatto, con i quali lavora al periodico «Il Politecnico». Scrive componimenti poetici, pubblicati nel 1946
e accolti favorevolmente dalla critica. Nel 1947 avviene l’incontro con Adriano Olivetti che lo assume nell’azienda di Ivrea
e lo invita a collaborare al movimento Comunità e al periodico che lo qualifica. È con l’adesione a Comunità che Fortini si
distacca dai comunisti. È il 1956 e i fatti d’Ungheria sono un evento ideologico traumatico. Una poesia, I Folli, lo rivela: «Il
ramo secco bruciò in un attimo / ma il ramo verde non vuol morire / dunque era vera la verità / soldato russo ragazzo ungherese
non v’ammazzate e dentro di me / da quel giorno ho saputo chi siete / e il nemico chi è».
La produzione di Fortini – articoli di giornale, prose, saggi – è molto vasta così come la sua opera poetica. Attraverso Laura
Betti, che porta al successo il suo Quella cosa in Lombardia conosce Pasolini. In quel periodo dirige anche la collana Piccola
Biblioteca Einaudi. Nel 1963 Fortini insegna in un liceo di Monza e collabora ai periodici di movimenti di sinistra come «Quaderni Piacentini» e «Giovane Critica». Nel 1968, Fortini è in prima fila nelle proteste studentesche e operaie, partecipando
anche ai funerali di Pinelli. Ritiene finita l’amicizia con Pasolini. La sua opera letteraria è sempre più conosciuta e premiata. Nel
1976 inizia la collaborazione al «Corriere della Sera», presto interrotta con il cambio di direzione, e successivamente collabora
con «Il Manifesto». Compie molti viaggi all’estero, anche in Israele dove vive la figlia adottiva Livia. Muore di un tumore allo
stomaco nel 1994 a Milano.
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Sulla poesia civile spagnola
di Laura Baldi
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.”
Da Elegia del silenzio di F. G. Lorca
G
li anni che precedono la guerra civile spagnola rappresentano una sorta di rinascimento culturale in una società attraversata da grandi cambiamenti. L’esperienza poetica si presenta vasta per il numero dei protagonisti e rappresenta un
mutamento culturale che apre la poesia spagnola alla cultura europea. L’esilio o la morte dei suoi rappresentanti sarà
un invito per una poesia di impegno civile capace di denunciare orrori e violenze nella difesa delle libertà e della democrazia.
La poesia di Federico Garcia Lorca è caratterizzata da un senso del tragico e del dolore espressione di una sofferenza
universale, che rifugge forme di autobiografismo. «Sono sempre dalla parte di coloro che non hanno niente», afferma Lorca.
La sua è un’esperienza che, se da una parte lo porta al recupero della cultura andalusa, dei temi ancestrali legati alla sua
terra, di quel mondo da dove ha inizio il suo viaggio poetico, dall’altra gli svela ogni sorta di discriminazione: è la scoperta
di un mondo tragicamente lacerato, popolato dagli esclusi e dai diversi. Il suo impegno civile parte proprio da questi ultimi.
C’è in Lorca un atteggiamento quasi profetico nel presagire inconsapevole la sua morte, cui sembra andare incontro, che
rappresenta una visione storica, un’anticipazione della tragedia in cui di lì a poco il mondo esploderà.
Diversa è l’esperienza poetica di Rafael Alberti, il cui impegno civile e politico sarà sempre manifesto in tutti i momenti del
suo percorso di vita. Diversa è anche la sua consapevolezza del ruolo della poesia, che è quello di testimoniare. «Si scrive
per qualcosa», dice Alberti: «La poesia deve sempre riflettere il dramma dell’uomo ed essere legata alla vita del mondo. Per
questo il poeta deve cercare la chiarezza espositiva, perché solo così può rivolgersi anche alle masse e agli esclusi. L’uomo
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deve essere la centralità del discorso poetico perché “L’uomo è tutto e tutto è dentro all’uomo”». A. Machado rappresenta
l’antecedente poetico di Lorca e Alberti. Appartiene alla Generazione del ’22: la sua poesia nasce alla luce di una visione
intimistica, pervasa da profonda malinconia e nostalgia, dove la natura assume un significato di esperienza totalizzante. L’evoluzione sociale e politica della Spagna lo portano sempre più a versi che diventano denuncia sociale, invito a scegliere e
a impegnarsi, nella certezza che solo questo possa dare un senso al vivere. Il ruolo della poesia diventa quindi dichiaratamente
di impegno, sotteso sempre da una fiducia nell’uomo e dal convincimento che un’umanità diversa sia possibile.
Con J.A. Goytisolo siamo in un’esperienza storica diversa, quella della generazione degli anni Cinquanta che non ha vissuto
direttamente l’esperienza tragica della guerra civile, ma subisce le conseguenze della sconfitta repubblicana. La sua poesia
si lega sempre a temi di attualità e la sua vocazione civile si esplicita nella denuncia del malessere di un paese sopraffatto
da una dittatura, che non è riuscita a migliorarne le condizioni di vita, a sconfiggere la miseria, nonostante si sia posta come
obiettivo la sua modernizzazione economica. Tutta la sua poesia è percorsa da un forte senso dell’ironia e da una capacità
di giocare con la parola e con il linguaggio anche quando indaga l’animo umano travagliato dalla sofferenza dell’Io.
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Sulla poesia civile afroamericana
di Annalucia Accardo
Ho conosciuto fiumi:
fiumi antichi come il mondo e più vecchi dello scorrere
del sangue nelle vene umane.
L’anima mia è cresciuta profonda come i fiumi.
Da Il negro parla di Fiumi di Langston Hughes
V
orrei aprire questa presentazione con le parole di Audre Lorde, una delle maggiori poetesse afroamericane che ha
lavorato molto sulla parola come forma di resistenza. «La poesia non è un lusso, per le donne la poesia non è un lusso.
È una necessità vitale della nostra esistenza […]. La poesia è un mezzo con cui aiutiamo a dare un nome a ciò che è
senza nome perché possa essere pensato […]. Possiamo imparare a rispettare le nostre sensazioni e a trasporle in linguaggio,
cosicché possano essere condivise. E dove quel linguaggio ancora non esiste, è la nostra poesia che aiuta a crearlo. La
poesia non è solo sogno e visione; è la struttura di base delle nostre vite. Pone le fondamenta per un futuro di cambiamento,
è un ponte sopra le nostre paure di ciò che non è mai esistito prima».
La poesia civile afroamericana è un universo vivace, eterogeneo, complesso e contraddittorio, che propone tematiche
che spaziano dalle invettive aperte alla ricerca di un’identità. Il linguaggio che usa è legato alla tradizione afroamericana,
ma non disdegna di utilizzare anche la tradizione occidentale.
È espressione di una molteplicità di scrittori e scrittrici, con posizioni culturali e politiche differenti, che si evolvono nel tempo
e che partecipano in modo trasversale a più movimenti.
Parlare di poesia civile afroamericana significherebbe dunque parlare di più di 250 anni di storia, di una serie di nodi problematici, rapporti con la tradizione, con l’Africa, con il potere, con le classi operaie ecc. Ho pensato quindi di concentrare
questa breve introduzione su tre momenti di maggiore fioritura artistica: il Rinascimento di Harlem intorno agli anni Venti, la
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nuova estetica nera intorno agli anni Sessanta e il rinascimento delle donne nere intorno agli anni Settanta. Prima però
cercherò di individuare alcuni elementi della cultura afroamericana, come la conquista dell’identità attraverso svariate forme
di resistenza, il confronto con la cultura dominante, al fine di catturare i significati più profondi e apprezzare la ricchezza e le
sfumature dei discorsi delle poesie che leggeremo. Per fare questo utilizzerò l’autobiografia di Frederick Douglass, la più importante tra le autobiografie scritte da ex schiavi prima della guerra civile, siamo nel 1845.
Nel raccontare la storia della sua vita, Douglass individua un paio di momenti cruciali, grazie ai quali conquistò la libertà
attraverso la fuga. Uno di questi consiste nella ribellione. Dopo mesi di maltrattamenti, Douglass decide di resistere al padrone
che avrebbe voluto frustarlo e scrive: «Questo scontro segnò la svolta decisiva nella mia carriera di schiavo, perché […] mi
restituì il senso della mia umanità». L’altro momento cruciale è legato all’uso di forme di resistenza oblique. Douglass capisce
l’importanza dell’istruzione in una lezione involontaria che riceve dal padrone. Il padrone spiega alla moglie che insegnare a
uno schiavo a leggere è, oltre che illecito, anche pericoloso, perché non è possibile tenere sotto controllo uno schiavo istruito;
e mentre il padrone parla, Douglass è là presente, che assiste alla scena. Da quel momento Douglass capisce che l’istruzione
è “la strada” verso la libertà, un’istruzione che dovrà conquistare di nascosto mettendo in atto numerosi stratagemmi e sotterfugi.
Gli schiavi, infatti, pur non ribellandosi tutti i giorni, reagivano sempre, adottando di volta in volta tecniche di resistenza diversificate, come sostiene George Rawick, uno dei più grandi storici della schiavitù, basandosi sui racconti orali degli ex schiavi,
nel libro, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba (1972, Feltrinelli).
Considerare il potenziale di ribellione degli schiavi soltanto esaminando le rivolte aperte, che pure ci furono, sarebbe
riduttivo. La forma fondamentale di ribellione fu dunque la dissimulazione e l’inganno, perché preservava gli schiavi da punizioni
immediate, in quanto impediva ai padroni di conoscere i loro pensieri, i loro progetti, e dava loro tempo e modo di organizzarsi
in forme di resistenza più articolate come la fuga e la rivolta aperta.
E ancora George Rawick dimostra che sempre nel tempo “dal tramonto all’alba” gli schiavi segretamente ricostruivano la
propria comunità, attraverso riti religiosi e magici, il canto, la danza, la predicazione e la preghiera. Come osserva Alessandro
Portelli, infatti, la grande tradizione orale dello spiritual, del sermone, della fiaba – e più tardi del blues, del gospel, del rap –
è lo strumento essenziale di sopravvivenza culturale nella piantagione come nel ghetto, e costituisce la fondazione della tradizione poetica scritta, la cui cifra è, ancora una volta, la dissimulazione, l’ironia, il doppio significato, il doppio codice.
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Ed è per questo che, per lungo tempo, gli spiritual sono stati fraintesi come espressioni della gioia di vivere degli schiavi, invece che essere riconosciuti nella loro vera essenza, come strumenti di resistenza e di elaborazione culturale di un popolo.
Gli spiritual mettono in atto una sovversione interna dei linguaggi e, attraverso un tessuto metaforico di figure religiose, parlano
della loro vita. Per esempio, la celebrazione della lotta di Mosè e degli ebrei, ridotti in schiavitù, contro gli egiziani, è un’implicita
condanna della condizione di schiavi, e l’aspirazione a un aldilà segnala spesso una determinazione più concreta a fuggire
verso la libertà. Partendo da queste premesse allora possiamo capire meglio la poesia di Paul Lawrence Dunbar (1895)
«Portiamo la maschera che ghigna e mente […] sorridiamo col cuore straziato e sanguinante». In questa poesia, in inglese
standard, Dunbar mette in guardia i lettori e critici bianchi dal credere che tutta la realtà sia nella superficie che i neri lasciano
intravedere.
Dunque i doppi sensi e la comunicazione in codice, oltre alla rivolta aperta, caratterizzano la cultura, la musica e il folklore
afroamericano e rimangono a tutt’oggi una delle soluzioni formali tipiche della loro produzione culturale sia orale, sia scritta.
Passando ora al Rinascimento di Harlem degli anni Venti, dobbiamo ricordare che alla fine della Guerra civile (1865), che
portò all’abolizione della schiavitù, nel Sud si andò progressivamente instaurando un regime di segregazione razziale, rinforzato
da violenze e linciaggi, perpetrati dal Klu Klux Klan, un gruppo terroristico di matrice razzista, nato nel 1866. Ciò diede impulso
a una migrazione di massa degli afroamericani verso le città del Nord, che industrializzazione e Prima Guerra mondiale contribuirono a incrementare. Ma la segregazione e le violenze ben presto dilagarono anche nelle città del Nord, tanto che nei
primi trent’anni del Novecento si contano oltre mille linciaggi.
A queste tendenze si contrapposero attivamente le associazioni politiche e culturali afroamericane, che promuovevano
consapevolezza e orgoglio razziale. In questo contesto, dopo la famosa estate rossa del 1919, in cui scoppiarono violenti
scontri razziali e rivolte popolari in molte città degli Stati Uniti, si assiste a una fioritura di creatività artistica afroamericana che,
anche se non limitata alla sola New York, ebbe per centro culturale Harlem, il quartiere nero di New York.
Harlem venne così definita “la capitale nera del mondo” o “la Mecca nera”, e si presentava come un centro particolarmente
vivace di creatività e sperimentazione in tutte le arti: dalla musica allo spettacolo, dalle arti figurative alla letteratura. Con la
migrazione era arrivata al Nord anche la musica afroamericana, il blues, il jazz.
E la musica attirava folle di avventori bianchi nei locali dei quartieri neri, come Harlem. Paradossalmente agli afroamericani
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era però precluso l’ingresso ad alcuni locali di moda dei loro quartieri, se non in veste di artisti o di inservienti, come per
esempio il celebre Cotton Club, dove suonava Duke Ellington. C’erano alcune eccezioni, come il Savoy e l’Apollo Theater,
gestito da afroamericani e con una clientela interrazziale. Il Rinascimento di Harlem è caratterizzato dalla diversità delle sue
forme di espressione. Nessuno stile letterario o artistico, né ideologia politica, lo possono definire. Esistevano tematiche comuni,
come l’interesse per le radici africane, un rinnovato senso di identità, un forte orgoglio di razza, una maggiore consapevolezza.
Quello che univa gli scrittori del movimento era la sensazione di partecipare a uno sforzo comune, il loro impegno nel tentare
di dare un’espressione artistica all’esperienza di essere afroamericani e l’aspirazione all’integrazione sociale e politica, terreno
fertile su cui si costruiranno le lotte per i diritti civili degli anni successivi.
Per segnare l’inizio del Rinascimento di Harlem, molti studiosi hanno scelto come data convenzionale l’anno dell’estate rossa
delle rivolte razziali, e cioè il 1919, che è anche l’anno della pubblicazione della poesia Se dobbiamo morire, di Claude
McKay, scrittore di origine giamaicana. Se dobbiamo morire è un classico della tradizione di protesta, «se dobbiamo morire
che non sia come maiali rinchiusi in un angolo ignominioso, mentre attorno a noi i cani arrabbiati e famelici irridono la nostra
maledetta sorte. Se dobbiamo morire moriamo nobilmente, che il nostro sangue prezioso non sia versato invano». Questo
componimento è espressione di autodeterminazione che caratterizza il “nuovo nero”, deciso a rifiutare una cittadinanza di
seconda classe e ad affermare i propri diritti contro l’oppressione razziale che regnava nella nazione intera. La particolarità
della poesia di McKay, che invita alla resistenza e alla rivolta, è l’uso della forma del sonetto, con un rigoroso rispetto delle
regole e dei procedimenti retorici della tradizione occidentale, un’altra forma di ironia: la dignità degli oppressi si dimostra
sia nella volontà di morire lottando, sia nella capacità di utilizzare le forme artistiche della tradizione occidentale, di cui si
sentono pienamente cittadini.
Ma la fioritura di poesia civile di questo periodo non si limita a questo. Langston Hughes, il più versatile e sperimentale tra i
poeti che occupano un posto di rilievo nel Rinascimento di Harlem, rielabora a livello poetico la tradizione orale afroamericana,
consapevole della sua ricchezza espressiva. Langston Hughes, che rimarrà prolifico a lungo, influenzando anche la generazione
successiva, ripropone e incorpora nelle sue poesie la ricchezza del ritmo e del suono, il gusto per l’improvvisazione linguistica,
l’antifonalità serrata del dialogo, l’uso martellante dell’anafora e dell’allitterazione, l’ironia e le immagini, della musica come del
folklore, dei sermoni come dei racconti, che non costituiscono i tratti distintivi soltanto della sua poesia ma di tutta la letteratura
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afroamericana. Un esempio per tutti è il suo indimenticabile Blues di stanchezza (1925) che leggeremo nel corso della serata.
La condizione particolare del poeta afroamericano nella società americana non è dunque una limitazione, ma è anche
una risorsa. Sempre Langston Hughes, nel saggio L’artista nero e la montagna razziale (1926), considerato il manifesto del Rinascimento di Harlem, rivendica l’autonomia individuale dell’artista; l’arte nera è dunque fatta per esprimersi liberamente, senza
curarsi di cosa pensi il pubblico, senza adeguarsi alle richieste né del pubblico bianco, né delle elite nere: «Noi giovani artisti
neri che creiamo oggi intendiamo esprimere il nostro io individuale dalla pelle scura, senza paura o vergogna. Se ai bianchi
piace, ne siamo contenti. Se no, non fa niente. Sappiamo che siamo belli. E anche brutti. Il tam tam piange e il tam tam ride.
Se alla gente di colore piace, siamo contenti. Se no, anche la loro disapprovazione non fa niente. Noi costruiamo i nostri
templi per domani, con tutta la forza che conosciamo, e ci ergiamo sulla cima della montagna, liberi dentro di noi». Ed esorta
«Che il fragore delle orchestre jazz nere e la voce possente del blues di Bessie Smith penetrino le orecchie chiuse dei semiintellettuali di colore affinché ascoltino e forse capiscano».
La cultura afroamericana, il blues, il jazz, il sermone, il dialetto, in questo modo, non rappresentano un limite, ma piuttosto una
risorsa da cui partire per rivendicare la piena umanità degli afroamericani.
Passiamo ora alla nuova estetica nera.
A partire dagli anni Cinquanta, ma ancor di più negli anni Sessanta, esplode la rivolta nera: dal movimento per i diritti civili
che pratica la lotta non violenta per l’integrazione, al Nazionalismo nero, al partito delle Pantere Nere che invece teorizza
lo scontro violento; ogni movimento con i suoi leader: Martin Luther King, Malcolm X, Stokely Carmichael.
Nel 1954 una storica sentenza della Corte Suprema rende illegale la segregazione razziale nelle scuole e mina la legalità
dell’intero sistema della segregazione, le cui violenze e ingiustizie venivano denunciate e combattute dal movimento dei diritti
civili. La lotta per i diritti civili fu lunga, contrastata e variegata, un esempio per tutti, il famoso boicottaggio degli autobus a
Montgomery, in Alabama, 1955, che coinvolse il 90 % della popolazione afroamericana e durò 381 giorni quando la Corte
Suprema sancì che non era più legale la segregazione negli autobus.
Questo periodo di grande fermento rivoluzionario culminò in un’ondata di rivolte razziali in seguito all’assassinio di Martin
Luther King Jr. nell’aprile del 1968, un’ondata che percorse l’intero paese e si protrasse per più di una settimana. Esattamente
una settimana dopo l’assassinio di King la Camera approvò il Civil Rights Bill con cui si metteva ufficialmente fine alla discrimi-
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nazione razziale sul mercato immobiliare. Il mutato atteggiamento della minoranza nera, che si organizza politicamente, la radicalizzazione della protesta contro la segregazione razziale, gettò le basi per un processo di ridefinizione dell’identità afroamericana ed ebbe anche un forte impatto culturale.
A livello accademico, suscitò riflessioni su come secoli di discriminazione avessero portato a un disinteresse per la storia e
la cultura afroamericana. Nelle università vennero fondati dipartimenti di studi afroamericani, che stimolarono una revisione
del canone letterario americano nel suo complesso. Il potere nero ebbe anche un corrispettivo artistico: la cosiddetta ”nuova
estetica nera”. La funzione sociale e militante dell’arte è al centro di questo movimento che rivaluta le origini africane della
cultura nera degli Stati Uniti e punta a una nuova comprensione e orgoglio culturale, cambiando radicalmente il modo di
pensare i rapporti tra letteratura della maggioranza e delle minoranze.
Questa stagione, contrariamente a quella del Rinascimento di Harlem, fin dall’inizio presenta una caratteristica di politicizzazione, estranea alla prima, e porta all’esclusione del pubblico bianco, determinante per il successo degli scrittori del Rinascimento di Harlem.
LeRoi Jones, che in seguito all’avvicinamento alla religione islamica (1967) cambia nome in Amiri Baraka, è considerato il
padre della “nuova estetica nera”. È autore di influenti saggi critici nei quali propone una figura di artista afroamericano. Un
artista che sempre più apertamente si trasforma in militante rivoluzionario, che fa della scrittura esplicito strumento di sovversione:
la mente che presiede al processo di rinascita culturale della nazione nera, ancora una volta attraverso il recupero degli
elementi portanti la tradizione orale afroamericana. “La nuova estetica nera”, privilegia perciò il contatto con il pubblico, in
reading di poesie, vere e proprie performance. Sono questi momenti di crescita collettiva, in cui artista e pubblico si arricchiscono reciprocamente, il cui fine primario è la maturazione politico culturale del pubblico.
Arte Nera (1969), di LeRoi Jones/Amiri Baraka, è considerato una sorta di manifesto poetico perché esprime lo spirito militante
e trasgressivo di quegli anni: «Vogliamo “poesie che uccidono”. Poesie assassine, poesie che sparano colpi di pistola». Non
siamo semplicemente di fronte a un discorso metaforico. Il clima politico del momento, nelle sue frange più avanzate, come
nel partito delle pantere nere, proponeva un confronto diretto con le strutture del potere, organizzando apparati di autodifesa
della comunità nera. Anche Nikki Giovanni teorizza in versi la necessità del ricorso alla violenza: «Volevo scrivere una poesia
con le rime ma la rivoluzione non si presta […] così ci ho ripensato e mi è venuto in mente che forse non dovrei scrivere affatto
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ma oliare il fucile […] forse questi non sono affatto tempi poetici» (For Saundra, 1968). E in La vera importanza di questo dialogo, sempre di Nikki Giovanni, il verbo uccidere è ripetuto ossessivamente 26 volte in una poesia di 51 versi, e nei versi in cui
non compare, è sostituito da avvelenare, sparare, morire, ecc. Questo filone di poesie si inserisce ancora una volta nella tradizione di resistenza e di lotta che risale ai tempi della schiavitù, la resistenza e la lotta come passaggio necessario per il riconoscimento della propria umanità e la ricostruzione della coscienza e dell’identità: per usare le parole di Malcolm X, «con
ogni mezzo necessario». Il limite a volte sarà un didatticismo ossessivo, un’immaginazione soffocata dall’aggressività teorica.
Il Rinascimento delle donne nere
Questa brevissima presentazione non può terminare senza prima aver accennato alla specificità dell’esperienza delle
donne afroamericane e al loro fondamentale apporto alla cultura e alla poesia.
La poetessa Margaret Walker, nella premessa al suo romanzo Jubelee (1966), un romanzo storico sull’Ottocento, racconta
che nella sua ricerca storica aveva trovato tre versioni della storia della schiavitù: quella bianca del Sud che vedeva nella
schiavitù un’istituzione benevola e necessaria, quella bianca del Nord che ne sottolineava gli orrori senza interessarsi alla
vita degli schiavi e quella nera che si concentrava sulla vita di schiavi straordinari, quasi sempre uomini, rappresentando le
donne nel ruolo di vittime passive.
Sin dalla schiavitù, dunque, l’identità delle afroamericane ha implicato un processo di differenziazione e di identificazione
con l’altro. In quanto donne, le afroamericane condividono la posizione subalterna delle bianche, ma al margine perché
sono nere, in quanto nere condividono la posizione subalterna dei neri, ma al margine in quanto donne. Sono dunque periferiche per entrambe i gruppi, al margine del margine. Dopo la loro fondamentale partecipazione al movimento abolizionista,
un primo momento di visibilità, è riscontrabile tra il 1890 e il 1910 tanto che questi decenni vengono definiti “L’era della donna
nera”. Negli anni Quaranta, la cultura afroamericana ottiene legittimazione e riconoscimento ufficiale proprio grazie alle
poesie di Margaret Walker e Gwendolyn Brooks. Gwendolyn Brooks è la prima persona di origine afroamericana a vincere un
premio prestigioso come il Pulitzer, nel 1949, con la sua seconda raccolta di poesie, Annie Allen.
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Ma è a partire dagli anni Settanta che l’inarrestabile presa di parola da parte delle artiste afroamericane, in parte facilitata
dall’affermazione a livello internazionale del movimento femminista, dà vita a quello che è stato definito “il Rinascimento delle
donne nere”, un fenomeno più ampio che in passato e reso più duraturo dalla presenza nelle università di docenti che hanno
dato e continuano a dare rilevanza accademica alla produzione letteraria delle afroamericane. Sono autrici di una critica
serrata nei confronti del razzismo all’interno del movimento femminista bianco.
Sono però critiche anche nei confronti di organizzazioni di protesta, quali il movimento per i diritti civili e il Partito delle
Pantere Nere, che avevano riservato alle donne un ruolo secondario e di supporto.
Parte integrante del Rinascimento delle nere è dunque l’attività della critica femminista afroamericana dedicata alla ricostruzione di una tradizione letteraria delle nere marginalizzate anche all’interno della tradizione critica afroamericana storicamente dominata da uomini.
Con Alla ricerca dei giardini delle nostre madri (1983), Alice Walker presenta una riflessione poetica sulla genealogia della
creatività artistica femminile nera a partire dalla prima poetessa afroamericana, Phillis Wheatley, che già nel Settecento otteneva fama internazionale con il suo volume di poesie.
In questa tradizione si inserisce Sono una donna nera (1970) di Mari Evans, una poesia che rappresenta una figura di donna
consapevole del proprio ruolo all’interno della comunità, il cui cammino è segnato dalla sofferenza, dai tempi della rivolta
degli schiavi alla seconda guerra mondiale, dalla guerra in Vietnam agli scontri con la polizia, in cui i neri hanno continuato a
morire; in mezzo a queste tragedie Mari Evans rappresenta la donna afroamericana come una donna salda, piena di coraggio,
punto di riferimento, «alta come un cipresso […] solida oltre ogni definizione, resisto, aggredita impervia indistruttibile Guardami
e rinnovati». Ma solidità e forza sono espresse con delicatezza attraverso un linguaggio musicale, il suo canto è «un arpeggio
dolce di lacrime […] che si può udire canticchiare la notte».
Personaggio di spicco è Gwendolyn Brooks, che esordisce a Chicago negli anni Quaranta e che, come molte altre scrittrici
nere, attraversa i vari movimenti e, pur nel periodo di maggior impegno civile e politico, non rinnega mai il suo sguardo di donna;
infatti, sin dall’inizio nelle sue poesie rappresenta personaggi femminili che si propongono con la loro determinazione di uscire
fuori da un anonimato cui storicamente erano state relegate.
Centrale in questo contesto è la riscoperta dei linguaggi della maternità: cosa significa essere afroamericana, donna e
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madre? Le loro poesie, come Per Tupac Amaru Shakur di Sonia Sanchez, o Litania per la sopravvivenza (1978) di Audre Lorde,
o Poesia in memoria di Alan Schindler, 22 anni di età (1997) di June Jordan, cantano di donne, che come madri, trasmettono
nel latte la resistenza ai figli; di donne, che come madri lottano affinché i sogni dei figli non riflettano la fine dei loro sogni; di
donne, che come madri sono costrette a seppellire i loro figli, ma questa volta «la terra non accetterà distinzioni».
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La poesia va in scena
Casa dei Teatri
Poesia mediorientale
La mia donna è venuta con me fino a Brest
è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede
si è fatta più piccola più piccola più piccola
un seme di grano nell’azzurro infinito…
La mia donna è venuta di Nazim Hikmet
I
poeti moderni del Medioriente asiatico provengono da luoghi perseguitati da un tormentato contesto politico e sociale,
che dal 1948 in poi, con gli squilibri conseguenti alla crisi post-coloniale, ha dato il via a una consistente emigrazione verso
l’Europa.
Ugualmente si può dire per i poeti classici vissuti anch’essi tra l’avvicendarsi di dominazioni, guerre, spostamenti di popoli migranti. Il succedersi di diverse religioni ha probabilmente originato la necessità di una forte e intima ricerca spirituale.
Un filo comune dunque attraversa le tematiche affrontate nella produzione narrativa e poetica di questi scrittori di diverse
epoche. Una delle tematiche più frequenti nella scrittura è riferibile quindi al dissesto socio-politico dei paesi d’origine. Un’altra
delle tematiche fondamentali, legata alle diverse forme di esilio nelle varie epoche, e dunque anche a un connaturato nomadismo interiore, è quella del viaggio, con la ghurbah conseguente, il doloroso straniamento di chi è lontano fisicamente e
metaforicamente dalla propria terra. Ed è viva tutta la sfera dei sentimenti, in particolare l’amore della tradizione classica rivisitato in chiave moderna, calato nella realtà estranea in cui si è intrapresa una lunga e dolorosa integrazione.
Così i brani scelti per la poesia mediorientale ci hanno accompagnato attraverso il misticismo di Rumi e Gibran, la profonda
spiritualità cristiana del Cantico dei cantici, la religiosità di Hafez, i canti rituali della Boqala e di Omar Khayyam, la poesia
impegnata e al tempo stesso struggente di Hikmet fino ad arrivare ai giorni più vicini a noi e alla storia dei nostri tempi con
Haidar Mahmud e Ronny Someck.
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Il Libretto d’opera
Nota introduttiva di Maddalena Fallucchi
Star trompette, star tampurri,
star chitarre e ciufoletti,
star strumenti in quantità
racazzine craziosine
per ballare, vubsassà.
Se nemiche star lontan
trinche vain, paesan.
Se nemiche star vicin,
zitte zitte nasconder.
Je andate, tu restate,
e tu panze conservate
per ballare, per trincar.
Aria di Tagliaferro Atto II
La Cecchina Libretto di
Carlo Goldoni
V
ogliamo partire dall’ascolto dell’Euridice di Iacopo Peri, Libretto di Ottavio Rinuccini, perché è considerata la prima
“opera” in senso compiuto della storia dell’opera. Siamo nel Seicento, e i letterati fiorentini si dilettavano a discutere
della tragedia greca; si chiedevano in particolare, se i cori fossero cantati o meno. Poiché non esisteva nessuna testimonianza, i letterati dei Cenacoli elaboravano teorie: è nata prima la parola, o il canto? E i cori erano più cantati o recitati?
Si arrivò così a teorizzare che la parola aveva in un certo senso un’importanza superiore a quella della musica (e dunque
il valore del contenuto poetico “Libretto” era assai importante), e si chiamò questo genere di rappresentazione “recitar cantando”. L’Euridice venne composta per celebrare le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia. È importante capire
che tutte le opere scritte e rappresentate nel Seicento nascevano in ambienti di corte, erano scritte per celebrare eventi e
sempre rappresentate all’interno della corte. Il contenuto spesso era a “doppio senso”, sotto le spoglie di divinità erano
sempre rappresentati i sovrani, e i finali si accordavano alla necessità di celebrare il potere. Questo anche a Roma, dove la
Chiesa stessa commissionò varie opere (si ricorda ad esempio il Sant’Alessio) per celebrare i propri fasti, specialmente da
parte dei Barberini.
Noi in questo excursus sui libretti dell’opera facciamo un salto di circa 100 anni e arriviamo direttamente al Settecento. Perché? Perché nel Settecento, per la prima volta, a Venezia, si verifica qualcosa di inusuale, che poteva però avvenire solo qui,
nella città del commercio, dove l’aristocrazia non era autocelebrativa come nelle altre città italiane. L’opera passa da feno-
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meno puramente elitario, a fenomeno “popolare”: nasce l’impresariato, si deve pagare un biglietto per assistere alle rappresentazioni. Cambiano totalmente le trame, e cambia la lingua, adatta a un pubblico più ampio. A Napoli invece, quasi contemporaneamente, i napoletani non si smentiscono e nasce l’Opera Buffa, con inserti linguistici spesso dialettali (La Molinara,
Lo Frate ‘nnammurato, Le Zite ‘ngalera), piccoli capolavori ancora oggi godibilissimi. Noi abbiamo deciso di fermarci qui e
di non addentrarci in quello che viene comunemente chiamato “melodramma”. Ci sarebbe voluta una settimana di incontri…
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Beat Generation
Sulla Vetta della Fame
piccoli rami
Tentano di crescere
Jack Kerouac
Q
uando negli anni Cinquanta Fernanda Pivano va per la prima volta negli Stati Uniti è una giovane studiosa. Grazie
a Cesare Pavese e a Elio Vittorini si innamorerà caparbiamente di un tessuto culturale che vorrà cogliere a fondo:
l’America degli anni post e pre-bellici, un viaggio che intraprenderà desiderosa di incontrare sul campo i maestri di
un fare arte con la parola che in Italia avevamo appena cominciato a conoscere. Immediatamente scopre un mondo di
sogni, ideali, valori e scelte di vita che non si stancherà mai di celebrare. Dal pacifismo di Norman Mailer, maestro riconosciuto
della narrativa americana, amato e contemporaneamente odiato dalla beat generation degli anni Sessanta, ma che a lui
e al suo anti-imperialismo si rifece, ai guru Ginsberg, Kerouac, Corso e Ferlinghetti, uomini che in nome di un’idea di ritorno all’essenzialità dell’Uomo, ai principi della libertà di espressione di tutte le forme e in contrasto con i pregiudizi del consumismo
capitalistico, hanno vissuto e scritto la propria esperienza esistenziale senza distinguere fra arte e vita. Il denominatore comune
che potrebbe contenere queste esperienze di vita e i linguaggi di una generazione di artisti a tutto tondo, sia per la scelta
individuale che creativa, di fatto condivisa anche dal pubblico e da altre figure impegnate negli stessi anni a rielaborare
nuove forme d’arte (musicisti, artisti visivi e performer) e in uno stile decisamente maudit, questo denominatore comune lo si riscontra in un uguale afflato nello stare al mondo con quella stessa indisciplinata ritualità bohémien dei Baudelaire, dei
Rimbaud o, in quegli anni, dei Doors. La cultura beat si ricollega a un certo maledettismo francese e inglese, al romanticismo
decadente, al comunitarismo che diverrà hippie e avrà in Patty Smith l’ancella testimone di un decennio musicalmente rivolu-
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zionario. Performance, letture pubbliche (uno degli apici sarà raggiunto col festival internazionale della poesia di Castelporziano, nell’estate della fine anni Settanta), recital e consumo di allucinogeni, be-bop e misticismo della carne, particolari
costumi sessuali, alcol e fughe in solitaria esclusione dal mondo, viaggi in Oriente, impegno politico e antimilitarista. Il beat,
oltre che rappresentare una generazione, ha rappresentato una cultura, in contrapposizione nell’idea della rivoluzione, antitesi
e tesi di una nuova visione del mondo non più circoscritto all’emisfero occidentale.
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Nuovi poeti
Franca Mancinelli
Nota di Manuel Cohen
N
ata a Fano nel 1981, Franca Mancinelli, tra le più significative proposte della nuova generazione poetica, con all’attivo buone apparizioni su riviste e antologie, ultima, in ordine di tempo, Il miele del silenzio, curata da Giancarlo
Pontiggia (Interlinea, Novara 2009). Mentre è del 2007 il suo esordio in volume con la raccolta Mala Kruna (Manni,
San Cesario di Lecce). Insita nella parola di Mancinelli è la percezione del procedere in un viaggio, come recita un suo
verso, «prenoto e annuncio ancora il mio partire», variamente declinato: sia esso una dimessa “gita”, o la percorrenza di una
tratta feriale e abitudinaria su di un treno interregionale, sia pure una passeggiata al mare, o la ricognizione millimetrica di
una stanza abitata, anche da presenze-ombre “emotive” inquietanti.
Fisico e affettivo, analogico e memoriale, esistenziale e ontologico, di disvelamento o di esperienza di sé e del mondo, di
un sé nel mondo. Il percorso indicato da Mala Kruna, locuzione udita pronunziare dall’autrice nel corso di un viaggio in
Croazia – con un che di sibillino, di oracolare quasi, a stigmatizzare un episodio che assume una valenza emblematica e assurge a configurazione di un destino – alla lettera, “piccola corona di spine”, muove da un io lirico riflettente su di sé, o alla
cui presenza rinvia per rispecchiamento l’acqua del mare, come in un andirivieni di maree, o lo specchio di un vetro.
Ma è da subito evidente che Mala Kruna, suddiviso in quattro sezioni, come tappe perimetrali di un percorso di certificazione
o disvelamento, è, come i versi pubblicati negli anni successivi su riviste e quaderni collettivi (Nodo sottile 5, Le Lettere, Firenze
2008), una ricognizione sulla sfera dei rapporti tout court. Dove l’esperienza dell’amore di coppia, ma anche allargata ai le-
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gami famigliari e all’amicizia, si fa sonar di una condizione di diffusa difficoltà, e radar che ne capti segnali di superamento.
Nei lavori più recenti, l’accensione analogica - che è uno dei tratti distintivi dell’autrice assieme al riferimento a un mondo
feriale variamente descritto nei suoi dati di quotidianità domestica: «Se oggi avessimo la febbre insieme / staremmo come
due cucchiai riposti / asciutti nel cassetto, / c’inventeremmo i piedi / avanti e indietro come stracci / per le carezze ai pavimenti,
/ o resteremmo nudi come chiodi / dimenticati in mezzo alla parete»; «tra qualche ora torna / la geometria rituale / dei piatti
che precedono i bicchieri / con le forchette accanto» – e con un uso parsimonioso e strategico di metafore e similitudini attinenti a un mondo di natura, viene confermata anche dalla osservazione della realtà creaturale e animale, che variabilmente
riallude, specifica e riverbera su stati d’animo e condizioni condivise con l’uomo. Ecco allora la suggestiva immagine delle
tartarughe fuoriuscite da uova schiuse, nella loro prima corsa verso il mare, o il passero chiuso in casa che tentando un’uscita
batte contro le tende e «oltre il vetro che divide / l’ossigeno dal cuore».
O i molti paragoni con cimici, formiche e cani. Tutto un mondo animale in cui si inscenano comportamenti umani. Strumenti
di questo viaggio di Franca Mancinelli sono le parole che seguono l’esperienza dell’osservazione ricognitiva (vedo, guardo,
leggo sono più che verbi ricorrenti, vere parole chiave), la sua indagine sul corpo (umano, e testuale) e sulla dimora (case
abitate e stanze della poesia). Parole raccolte intorno ad alcuni motivi ricorrenti e a elementi di raffinata figuralità semantica,
in versi brevi di partiture strofiche rastremate, legate da concatenazioni di suoni, allitterazioni, in cui si muove l’elemento prosodico ritmico testuale. Alle parole della poesia, Franca Mancinelli affida ogni fiducia, nella laica inquietudine del percepire
l’esistenza: «Qualcosa in noi respira / soltanto nel trasloco». Una parola che riveli o disveli: «Vorrei con le parole aprirti /
questa vita come una mano / che sul tavolo capovolta / aspetta d’essere riempita / stretta alla tua». Una scrittura molto avvertita, anche in certi testi brevissimi, molto confinanti con clausole aforismatiche, di buona efficacia o sintesi: «Se le parole
non vanno in un verso / non sono in nessun luogo».
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Inedito di Franca Mancinelli
da una sponda all’altra del fiume
dando un fianco ora l’altro alla lotta
le lenzuola erano garze
ma non potevano bendarmi gli occhi
non sfioravano la fronte
per quanto tirassi non coprivano
non custodivano il volto
e non potevo morire,
aspettavo tremando che crescesse
la marea fino a qui, che un orlo
azzurro s’allungasse
a toccare l’orizzonte, la punta
dell’ultima montagna.
48
Marco Gatto
Nota di Francesco S. Mangone
C
’è, nella poesia di Marco Gatto, nella scelta delle parole che fanno il suo verso, una sostanzialità che è della materia
terrestre. Perché mentre si tirano linee, a stabilire un “recinto” (ciò che chiamiamo poesia), si mostra un senso “altro”,
sempre un fuori-luogo da riprendere, e da ri-fare. Prendendo a prestito un’immagine da Franco Fortini, diciamo meglio
che i suoi versi (questi ultimi di Istantanee dal paese d’Occidente) prima che lirici sono enunciati: tagli obliqui d’uno sguardo
quotidiano che intravede l’altro-a-venire, così che da essere intesi nel loro significato prosastico, dunque, forte. Che si rivolgono innanzitutto al pensiero mentre si fa, alla capacità di aprire istanze per la mente, mentre indicano procedure. Insomma,
un qualcosa di degno che non si sente più da qualche tempo. La sua poesia non procede per abbagli, lampi di verità,
semmai per un lento e sicuro processo di sedimentazione del senso dovuto al calibrato confronto nel sintagma tra le parole.
La sua è poesia in cammino dove la prassi autoriflessiva serve innanzitutto a liberare il soggetto da una condizione parziale
e alienata.
È, in altri termini, un posizionarsi materialistico sul bordo della fine della postmodernità, un procedere per processi di emancipazione. E, da questo essere dentro e fuori la faglia temporale, intravedere e rileggere il passato e il presente per un futuro
immediato. Improrogabile, sembra essere, a sentire i sempre meno isolati “catastrofisti” inascoltati.
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Inedito di Marco Gatto
da Istantanee dal paese d’Occidente
Tutto e per sempre ci è dato, mi dici
mischiando il vero con il falso, il certo
con l’audace passo della ragione.
Lo dici – ed è atroce nel sentirlo –
mentre i fumi ti assalgono i capelli
e un profilo di curve incontra, muta
rima, l’ombra incerta del tuo volto:
ti assale, non sei più tu, sei l’altro
del tuo contorno.
del suo vagito: l’illusoria spina
del dire agli uomini quel che siamo.
Siamo l’Occidente,
lo vedi nei volti dello schermo:
adolescenti a Rosarno, a sera,
quando noi lenti accostiamo al telefono
i pensieri, sprangano a terra un uomo
africano. Chiede aiuto e non lo sentiamo.
Questa non è una confessione,
un rancore sprovvisto di carattere.
Semmai un cratere, un buco lavico
la cui luce funesta ti abbaglia il viso
stanco – dalla finestra le sirene
del traffico cittadino affogano
il silenzio – e si spegne nel niente
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Evelina De Signoribus
Nota di Maria Grazia Calandrone
I
l libro di Evelina De Signoribus comincia con la parola desolazione. Eppure no, Pronuncia d’inverno è un volume chiaro,
casomai di disagio terrestre, questo sì, ma di una trasparenza consapevole e affermata da un apparente stile colloquiale,
ma in effetti lavorato con una lingua estremamente avvertita.
Ci muoviamo da subito in un corale di creature che manifestano gesti e pensieri ma non hanno quasi corpo, sono trasumanate e assunte in una luce allegorica, in una mischia vivissima di visibili e invisibili dove non distinguo più i vivi dai morti, egualmente vociferanti.
Chi è Elsa, chi è Anna, chi è la signora di fronte, alla quale è dedicata la sezione dal titolo bellissimo, appunto, L’altare
della signora di fronte? Chi sono questi portatori di destino un po’ miseri che si attraversano perché sono spalancati come
piccole soglie su gesti all’apparenza quotidiani, ma segnati da una inconsistenza, da una sottilissima inquietudine e fragilità?
Troviamo, in questa giovane poetessa, la maturità di un sentimento già a posteriori, a volte quasi postumo: chi scrive guarda
alle cose senza nessun altro intervento che non sia un’accoglienza precocemente materna, anche nei confronti degli avi,
quando il mondo al condizionale, il binario parallelo alla vita evidente si manifesta attraverso il loro odore domestico. L’attitudine usa dei propri sensi e non è passiva e la poesia non è medianica, bensì contiene spostamenti ed è fatta da oggetti.
La perizia sta tutta nel lasciare spiragli, negli interstizi di luce, negli spazi in sospeso tra le cose. Torna alla mente una delle più
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belle poesie di Per un secondo o un secolo di Cucchi: «Attorno i vicini storpi che annusano, / sul portone il camion rosso dei
pompieri / e le tue povere urla sulle scale, / mentre ti portano via seduta, / piccolo corpo dal viso stravolto, depresso, / che
ogni tanto riesce a abbassarsi dolce / per dirmi: “Mi ricordo di lui, / così maschio e gentile, / mi ricordo di te, che volavi al laghetto / e alzavi le braccia, uccellino felice di vivere. / Io ti chiedo perdono, ma è andata così”».
La stessa fine meridiana, la stessa malinconia del “a cose fatte”, le somme tirate dopo, nella vecchiezza che non chiede più
nulla ma assume il suo proprio destino senza quasi più peso. Ma, mentre in Cucchi i fatti sono i fatti, in De Signoribus si avverte
uno slittamento millimetrico. Gli oggetti sono sempre lievemente altro da sé: spunti, porticine o portali, cunicoli, deviazioni dello
sguardo e, dietro lo sguardo, un cuore semplice. Siamo in un mondo all’improvviso pronto a diventare un altro mondo, a
mostrare la sua crepa, il sorriso del vivo che non è un sorriso, ma il margine di accesso a una pregressa incolumità, perché di
questo si tratta: Evelina De Signoribus ha nel cuore un mondo ancora intatto e sono in lei continui i gesti di compassione terrestre, venuti da un mondo prima del disincanto.
Altra protagonista non secondaria di questo giovane inverno è la casa, dalla soffitta alla cantina: il corpo vivo della casa
esplorato nelle tubature grevi, nei suoi contenitori abbandonati, nei cavi conduttori, nei segreti allacciamenti, nel mobilio manifesto, nei cartoni, lacerti, nei dettagli dell’uso e del disuso, fin negli sgabuzzini.
Casa rifugio dal freddo esteriore e però casa che resiste alla nostra completa ispezione, casa inquieta ma senza dolore,
una casa organica ma inerte, nella cantina della quale la specie umana si consegna alla polvere.
Rimane chiuso fuori il brusìo insidioso del prato.
Cosa stiamo denunciando dal principio infatti se non una separazione, una grave perdita di compassione e di sensitività?
Cos’è tutto questo libro se non una dichiarazione di Resistenza? Di veglia, per meglio dire ancora: per questo non dormo più
e vi vengo a svegliare. Sono tempi, ci dice Evelina De Signoribus, nei quali bisogna tenere alta la guardia come sentinelle
notturne, ci sono interni strapieni che bisogna setacciare con la cura che si deve alle cose comuni, voci domestiche delle
quali sarebbe vivificante rintracciare gli echi.
Di sacro ci sono le mura, forti e consolidate, una sorta di perimetro di sicurezza fuori e dentro il quale tutto pullula e ci abitua
al mestiere di vegliare, ci risolve a far entrare il caos di fuori e, se si riesce a infilarsi in un passaggio sconosciuto della giornata
e ci si pone in una posizione propizia a un avvento, si cerca di pregare, poiché non si desidera nient’altro.
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Nella sospensione del desiderio, dunque, in un canale del giorno, si rinviene questo bisbiglio quasi casuale, si aspetta che
qualcosa avvenga – o ritorni. Non si può trascurare questo passaggio, né i due bellissimi versi poco distante: «Tu sei dove
siedi come una bellezza scandita / in una crisi terrena. E io ti farei da scudo / forzando questo chiodo di tensione». Si sente
la forza di queste parole, il sacrificio fiero della persona che è dietro le parole. E la paura che le fa scorrere il sangue.
La scrivente si offre quale risarcimento, assume aspetti da ultimo titano / pirata e sirena del suo vanto. Il corpo del poeta è
un oggetto sensitivo inscritto (e forse scritto) in un mondo insensibile, un luogo di percezione, come dice bene Enrico Capodaglio nella sua bella introduzione: è diventata impresa da mistici abitare poeticamente la terra. C’è infatti quasi una santità
in questo corpo mite che si espone ad assumere il mondo assumendo una forma materna e omnicomprensiva. C’è una strana,
una quieta, una serenissima perfezione. Dunque Evelina De Signoribus fa poesia “civile” nel senso più nobile, custodendo i
simboli e la segnaletica della memoria.
Inoltre Pronuncia d’inverno è anche un libro di ascendenza poetica “matrilineare”, in quanto poggia le persone in alcuni
ambienti aneddiani: l’inverno stesso, la enumerazione degli oggetti, la tregua, il vivere occidentale. C’è la stessa malinconia
serena e lo stesso offrirsi come parabola: parabola come antenna ricevente e parabola come racconto evangelico. “Io” mi
uso per ricevere il mondo e restituisco in forma allegorica il tracciato di senso che ho ricevuto. Ma soprattutto parlo di cose
vere. Parlo del richiamare quei gesti sbagliati e trasformarli / renderli amore: questo è il desiderio, l’alchimia che si cerca – ma
dove? Dapprima spinti nell’abbraccio umano, che ci restituisca il corpo o almeno l’impressione di identificarsi in un corpo che
pare quasi morto per mancanza di nutrimento amoroso. Ma subito cerco di ripartire dai nomi delle cose certe. Ecco dove si
trova la Casa.
Se ci vogliamo addentrare in un disvelamento arbitrario, diremmo quasi che la persona abbia edificato sacre mura, una
pelle traslucida di parole e dentro porti un caos governabile – e dall’esterno alla semplicità del cuore lasci spiragliare il
mistero serpeggiante, pullulante e struggente della natura. Quando è sopportabile.
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Inedito di Evelina De Signoribus
L’unico bene
Sminuita fino a diventare quasi invisibile
una figurina con il fazzoletto in testa o tra le mani
che più non sente né caldo né freddo.
Rimpiccioliti anche gli occhi che guardano
appassiti dentro una fessura
che dà su un paese di nebbia.
Abbandonata la condizione civile
non è più né donna né altro
e questo forse è l’unico bene.
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Davide Nota
Un bestemmiatore di verità
Nota di Gianluca Pulsoni
I
l poeta è un bestemmiatore di verità che racconta e si fa raccontare dai versi che ne attraversano il “corpo” lirico. Davide
Nota, autore di due libri di poesia, Battesimo (LietoColle, 2005) e Il non potere (Zona, 2007) e di tanti altri interventi in
forma di poesia – su tutti, quelli della rivista on-line «La Gru» (http://www.lagru.org) e la splendida silloge presente nel numero
V della rivista «Chorus», una costellazione diretta da Federico Nicolao (http://www.chorusday.com) – non fa eccezione a
questo scandalo di dire ed esser detti, nello stesso tempo, dalla propria opera: come se ne fosse prigioniero.
Questa condizione, in realtà, è una condizione propria della coscienza di ogni scrittore degno d’esser considerato tale,
lo sappiamo bene e non scopriamo nulla di nuovo ma, in fondo – quel che almeno qui ci piacerebbe sostenere – è che tale
“situazione” diventa più acuta nei casi in cui si è di fronte a un’opera specificatamente “lirica”, che racconta e si racconta
attraverso l’azione del verso piuttosto che le forme del senso.
Si tratterebbe perciò di parlare di una “coscienza poetica”: né più né meno di questo. Ora, la coscienza poetica di Davide
Nota è tutta tesa, almeno nell’arco descritto dalle sue prime due opere e dal resto della sua produzione, verso un incontro dialettico molto serrato e duro con la Storia, su più livelli. Cerchiamo di focalizzarne i principali, per lasciare ai lettori tutto il resto.
In Battesimo c’è per esempio l’insistenza su un’idea di apertura dell’io verso il mondo, reso visibile e possibile oggetto di
esperienza grazie a una curiosità dello sguardo che cerca di conservare, nonostante tutto, una purezza e una giovinezza
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delle cose; in Il non potere invece, tale dialettica è rovesciata, provocando non un’apertura ma una chiusura dell’io nei confronti del mondo, che viene reso/rigettato dal corpo poetico come “negativo”, scoria, malessere.
A un secondo livello di lettura, questo rapporto io/mondo che appartiene alla sfera dei sensi ci pare possa avere come
corrispondenza ideale il dialogo tra biografia e Storia, cioè tra costruzione o, se si vuole, distruzione di un’identità poetica e
una continua tentazione di alterità che, pagina dopo pagina, prende forme e accenti diversi. Entrambi i libri, infatti, sono libri
“biografici”, ma tale idea di biografia risulta avere spesso un rapporto problematico con ciò che tecnicamente va a formare
ogni identità, ovvero l’esperienza. Nel primo libro, il “consumo” di esperienza è il desiderio a cui tende il battesimo del poeta,
qualcosa che si vuole, costi quel che costi; nel secondo, questo consumo si fa letteralmente impossibile e l’io si trova a vivere
l’altro aspetto del proprio battesimo, quello infernale d’essere nel mondo. In tutto questo, c’è di mezzo, c’è nel mezzo, la Storia
– come dimensione verticale a cui tendere e forse annullarsi – che qui viene tradotta come mancanza di Storia, quindi come
mancanza di continuità e dialogo tra individui, mancanza di prospettiva esistenziale, mancanza di coordinate sociali.
Ad un terzo livello di lettura, possiamo dire che questi due modelli, io/mondo e biografia/Storia, convergono verso la ripetizione del loro statuto dialettico che in questo caso, però, sta tutto interno a un solo elemento, ovvero la visione che lo
scrittore ha dell’idea di rappresentazione, resa in modo quanto mai preciso nella composizione omonima tratta dalla sua
silloge Viola.
In questo caso – ed è il caso più alto, dove l’espressione raggiunge una forza paradossale – tutto qui viene narrato e si fa
narrare, nei contenuti ma anche attraverso una torsione della forma tali da provocare una metamorfosi costante delle funzioni
che dovrebbe avere ogni rappresentazione, giungendo alla fine a un effetto paradossale e allucinatorio di una visione che
allude con mistero a qualcos’altro, in cui ogni scena pare de-quadrata, gli accordi tra le immagini sincopati, i particolari ingigantiti, il ritmo sospeso, la coscienza vigile e la fine – deo gratia – ignota.
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Inedito di Davide Nota
Rappresentazione
Partiamo,
come un livello di separazione
da infrangere.
*
In ogni cavo la sostanza mancante
in forma di lacrima chiamare.
Questo sembiante accarezzare.
Chiedo asilo? Decoro?
Poeta, cosa voglio ignoro.
Il quadro degli orizzonti è pieno.
L’ambiente ridicolo. Il possibile designato
vuoto. Ho sognato
una casa che non c’era e una sorella
nell’origine. Ma pure tu baciare
vuoi nel modo in cui morire
non sia più l’arido male. Ma l’altro
non esiste.
E per sognare servono i soldi.
*
Ho imparato l’allegria dei sampietrini bagnati,
la via di casa quando piove e tardi
la ragazza pallida che ti offre la mano.
“Spariranno?”. Non so, tutto è svanito,
e assieme al tutto anch’io che cerco
ristoro in una canzonetta sbandata.
Vorrei in fiamme vedere
le vetrine dei call center,
le agenzie interinali,
e con pietà francescana aggiungere
al fuoco nuovo fuoco.
Ma tutto quanto ricadrà su noi
che sete avremmo avuto
di sole e di fontana.
*
57
E San Lorenzo appare
nella sua scomposizione
di sabbia bagnata.
Avremmo detto: certo, avanziamo,
così come per fare un movimento qualsiasi.
La rappresentazione è salvaguardata.
Io voglio il meglio.
Se fuoco non arde. E fontana
ricorda. Verde. Blu.
Volevo il meglio
da questa generazione sballata
di pasticche e psicofarmaci.
Così certo, potremmo facilmente bruciare
il vecchio mondo rappresentato,
ma un enorme deserto illuminato a nuovo
non era certo il fine di questa guerriglia!
(La schermata del cielo
gelidamente oggettivo).
*
E quella notte apparvero infuocate croci.
Un cimitero di bottiglie incomprensibile ai più.
Paesaggio verde e nero
di infrarossi e fanale.
In fila pisciavamo contro il mare.
“Starò con i miei amici
fino alla fine del mondo”.
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Le magie di Alice
Nota di Monica Maggi
H
o conosciuto Alice solo attraverso le sue parole, e sono bastate a riempirmi memoria e cuore di qualcuno che, ammetto,
non ho ancora incontrato. Ancora adesso che scrivo non so che faccia abbia Alice, né di che colore siano i suoi
occhi o come risuona la sua voce. Non me ne voglia: non importa.
Io l’ho conosciuta solo e soltanto leggendo il ritmico andare a capo dei suoi versi, ed è stata fulminazione. Le ho detto
«non demordere, prova, e riesci».
Da sempre sono innamorata delle parole, ma solo di quelle ben usate, calate e inserite nel posto giusto del mondo. Delle
altre ho un rifiuto. Pentola, ad esempio, può essere il vocabolo più attraente del cosmo se incastrato e dipinto con i giusti
colori. Ed esattamente il contrario.
Ecco, Alice sa fare queste magie. Sa infilare le parole come perle di collana nel filo di nylon giusto, dritto, lucido e resistente.
Sa fare gioielli primitivi ed esoterici di vocaboli che, diversamente e in altro luogo, non saprebbero di nulla. Alice sa dire cose
che, messe insieme ad altre cose, toccano il cuore della gente in modo permanente.
Questo è accaduto a me.
Mi ha spedito un file che ho iniziato a leggere velocemente. Ma poi il mio ritmo si è rallentato. Ogni parola andava dopo
l’altra e insieme componevano musiche di scenari dove io vedevo Alice, la sentivo respirare, e camminare, e toccare e fuggire
andare e tornare. Mi sembrava di essere spettatrice privilegiata di un film per amanti voyeur girato solo per me, ero ipnotizzata
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e rapita da questa magia inaspettata. Il ritmo della parole. La loro scansione, la sovversione della rima che non ci sta, lo
schermirsi completamente subito dopo aver compiuto il miracolo. Alice è questo, è una meraviglia di parole che si muovono
vive e vere dopo che lei, madre e padrona, le spalma sul foglio o le carica come orsettini a molla. Se dovessi proprio trovare
poeta che le somigli, mi viene in mente la russa Anna Achmatova: «Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato, il riflesso
del vostro volto, vani palpiti di vane ali... fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi…. Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo,
come vuole la carne separarsi dall’anima, così io adesso voglio essere scordata». Un motivo c’è. Nello sconfinamento nell’ordinarietà straordinaria della nostra esistenza, Alice sa mettere fiori e tocchi di colore che fanno impazzire la mente. La rovesciano, la sovvertono, e anche un prevedibile pianto o una scolorita solitudine diventano magie di macchie indelebili. E allora
facciamo un gioco. Una poesia di Alice, quella che preferisco in assoluto, accanto ai versi della russa. Anna Achmatova: «Al
collo un filo di esili grani, celo le mani nel largo manicotto, gli occhi guardano distratti e non piangeranno mai più. Sembra il
volto più pallido per la seta che tende al lilla, arriva quasi alle sopracciglia la mia frangetta non ondulata. E non somiglia ad
un volo questa lenta andatura, quasi avessi sotto i piedi una zattera e non i quadretti del parquet. La bocca bianca è socchiusa, ineguale il respiro affannato, e sul mio petto tremano i fiori dell’incontro che non c’è stato». Alice: «Il mio merito comincia
dove finisco io/è sull’ala trasparente che mi prolunga all’infinito / è inchiodato in un punto oltre lo specchio / Il mio merito
finisce dove cominci tu / muore nei gesti che indossi per me/si riflette appena sopra la tua borsetta di plastica / e in un guizzo
prepotente si porta via i colori». Eccolo, lo stordimento creato dalla giostra vorticosa delle parole, usate per colpire con
forza e sovvertire il grigio di un dolore, rendendolo vero vivo e brillante, che poi così diventa violento e pulsa come il cuore.
Non è una meravigliosa magia?
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Inedito di Alice Clarini
Senza titolo
Oltre la carta e l’inchiostro
Oltre la penna e le parole
Oltre la bella copertina con sopra il tuo disegno
C’è quest’altra me a vegliare
Sulla porta
della nostra bella casa diroccata.
Ogni tanto si affaccia sul vialetto sterrato
E guarda oltre
e oltre ancora
Cose che non sono cose
Pensieri fuggiaschi sballottati fuori a caso
E lo stregatto che svanisce nel suo sorriso pianoforte.
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Paolo Ruffini
Nota di Domenico Donatone
L’
opera poetica di Paolo Ruffini, che vede all’attivo, per ora, un’unica raccolta dal titolo Lémma. Spargimento di cenere
(Editrice Zona, 2009), ha la peculiarità di essere moderna e classica al contempo: moderna, per lo slancio che la
sua versificazione assume sulla pagina, delineando una metrica di sintesi tra gli apparati verbali, aggettivali, deittici
e retorici (come l’uso dell’anacoluto) che danno spazio a una procedura stilistica in cui si compie il sintagma-verso; e classica per la sua capacità di cogliere il richiamo dei secoli passati (Catullo, Virgilio, Orazio, Petrarca, Dante, Donne, Marvell,
Foscolo, Ungaretti, Montale e, forse, anche l’ultimo Raboni) per inserirsi in un tema che appartiene da sempre al versante
degli universali, ovvero il tema della morte. Un tema che scaturisce da una profonda riflessione, privata quanto pubblica,
di natura anzitutto antropologica per capire qual è il destino dell’uomo. Destino dell’uomo è morire, e la misura della vita
è la morte.
In quest’opera Ruffini riflette a voce alta sulla scomparsa prematura del fratello, la cui diagnosi vuole essere “muor giovane
colui che al cielo è caro”. Così disse Menandro, così ribadisce Ruffini. Ma questo non è sufficiente per approdare a quella
condizione che, con un termine poco felice, è detta di apocatastasi: cioè di ritorno all’ordine, all’equilibrio. Tant’è che permane,
fino a sconfinare nel dolore più cieco, la sofferenza. Lo spargimento di cenere non cessa e ciò che scompare torna a vivere
e ciò che vive torna a morire: «Scrivo sulla tua tomba il mio nome».
Sarebbe un lusso ipocrita pensare a questa raccolta poetica come a una storiella comune, perché quello che sovverte
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l’ordine dei fattori è, per il poeta, continuare a crescere dentro questa corrente di “presenza/assenza” degli affetti, delle
cose. Dal suo lavoro inedito emerge il senso della remissione, dura, escatologica ed ebraico-cristiana, che s’inquadra nella
fissità del tempo: «e allora ammutolisco / perché non ho più niente / ormai più niente con me / se non questo tuo amore / che
ingigantisce il ventre | e spariglia preghiere».
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Inedito di Paolo Ruffini
Altre parole sparse poemetto felice
(primo movimento)
e allora ammutolisco
di giorno quasi fossi
un recluso nel vento
delle parole sparse
a semina lasciate
per un raccolto estivo
e allora ammutolisco
perché forse conviene
lasciarmi sopraffare
da tutto questo orrore
che lambisce la fede
congedando le idee
e allora ammutolisco
come ossi rinsecchiti
mi lascio levigare
e sento ticchettare
gli striduli rumori
della mia consunzione
e allora ammutolisco
aspettando quel conto
che pagherò domani
prima che si lascerà
deporre la ragione
offrendosi a buon prezzo
e allora ammutolisco
perché non ho più niente
ormai più niente con me
se non questo tuo amore
che ingigantisce il ventre
e spariglia preghiere
e allora ammutolisco
mio giovane amore
ché le ha stesse frasi
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uguali ritornelli
ma altre parole dette
d’altre parole sparse
Programmi di sala
Lawrence Ferlinghetti. Quadri di un mondo
andato
IL ROMANTICISMO
Charlotte Brontë. Vegliando il Desiderio
William Wordsworth. La mietitrice solitaria
SALA SANTA RITA – VISIONI
19 novembre 2009
ASSAGGI DI POESIA
Omaggio a Alda Merini
È più Facile / La Carne degli Angeli
LA CANZONE D’AUTORE
Herbert Pagani. L’Albergo a ore
Luigi Tenco. Ah, l’Amore!
IL LIBRETTO D’OPERA
Ottavio Rinuccini. Primo Coro dell’Euridice
BRECHT/FORTINI
Bertolt Brecht. L’Opera da tre soldi
Franco Fortini. Canto / Foglio di via
LA POESIA DELLA BEAT GENERATION
Norman Mailer. L’economia dell’Amore
Diane Di Prima. Cento Larve / Canzone
alle 24
LA POESIA AFROAMERICANA
Amiri Baraka (LeRoi Jones). I detti di Mantan
Moreland
Langston Hughes. Io Pure
LA POESIA DEL MEDIO ORIENTE
Anonimo. Il Cantico dei Cantici
Rumi. Da “poesie mistiche”- La conoscenza
LA POESIA DI IMPEGNO CIVILE
Federico Garcia Lorca
Elizabeth Barrett Browning. In quanti modi ti amo
William Wordsworth. Versi scritti allo sbocciare della
Primavera / Versi scritti nei pressi di Richmond
Percy Bysshe Shelley. Serenata indiana / I pellegrini
del cielo / Versi scritti nel golfo di
Lerici
Mary Shelley. Oh Vieni da me
George Gordon Byron. Ti vidi piangere / È l’ora
John Keats. Voglio una coppa piena fino all’orlo/
Che mi ami tu lo dici / Al sonno/ Ode a un’urna
greca
Anne Brontë. Vento del Nord
Charlotte Brontë. Vita / La rosa
Emily Brontë. Stanza n°6 / Stanza n°26 / Stanza n°38
Samuel Taylor Coleridge. La ballata del vecchio
marinaio (parte prima )
21 gennaio 2010
La “canzone d’autore” italiana
Letture con ascolto degli stessi brani musicali di
Valeria Ciangottini e Fabio Pappacena
I GIOVANI AUTORI
Alice Chiarini. Madre
14 gennaio 2010
La poesia romantica
Letture di: Nunzia Greco e Massimiliano Mecca
Intermezzi musicali: Pierluigi Pietroniro (violino)
William Blake. Il Giardino dell’Amore / La Tigre
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Lucio Battisti. Emozioni
Gino Paoli. Senza fine
Francesco Guccini. Le osterie di fuori porta
Fabrizio De André. La canzone di Marinella
Luigi Tenco. Mi sono innamorato di te
Enzo Iannacci. Sfiorisci bel fiore
Luciano Ligabue. Niente paura
Luigi Tenco. Non sono io
Angelo Branduardi. Il dito e la luna
Giorgio Gaber. Far finta di essere sani
Pasquale Panella. Tu non ti pungi più
Francesco De Gregori. Viva l’Italia
Fabrizio De André. II cantico dei drogati
Ivano Fossati. La costruzione di un amore
Luciano Ligabue. Le donne lo sanno
28 gennaio 2010
Autopresentazioni di giovani autori
Manuel Cohen presenta Franca Mancinelli
da Mala kruna
INEDITI:
I (sonno)
II (lavoro)
III (scrittura)
IV (amore)
V (ritratti)
da Misura del tempo legge Francesco S. Mangone
Tutto sempre ci è dato… (da Istantanee dal paese
d’Occidente, inedita) legge Marco Gatto
Lo strappo esistenziale, troppo rapido…
da Misura del tempo legge Francesco S. Mangone
Al mattino… (da Misura del tempo)
legge Marco Gatto
La rabbia della retorica... (da Istantanee…)
legge Francesco S. Mangone
Memoria del giorno futuro (da Istantanee…)
legge Marco Gatto
L’angoscia dei minuti che si contano
(da Misura del tempo) legge Francesco S. Mangone
Se le guardo, mie strade… (da Istantanee)
legge Francesco S. Mangone
Souvenir di Cambridge (da Misura del tempo)
legge Francesco S. Mangone
Oltre il dolore… (da Misura del tempo)
legge Marco Gatto
ULTIME
Francesco S. Mangone presenta Marco Gatto
Ora nemmeno più i treni mi parlano…
69
CASA DELLA MEMORIA
E DELLA STORIA – pOESIA CIvILE
4 febbraio 2010
Il binomio poetico dell’impegno: Bertolt Brecht e
Franco Fortini
Serata presentata da Massimo Rendina dell’Anpi
(Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
Leggono: Magda Mercatali e Carlo Cartier
Intermezzi musicali: Federico Di Maio (percussioni)
Franco Fortini. Domenica dopo la Guerra
Bertolt Brecht. Canzoncina
Franco Fortini. Gli scomparsi
Bertolt Brecht. Quando ti portavo / Canto di
un’amata / L’Imbianchino / Sul muro / La guerra che
verrà / L’amore per il Führer
Franco Fortini. Tanto sudore umano /
Stanotte
Bertolt Brecht. Il Führer vi dirà / L’attrice in
esilio
Franco Fortini. Lontano lontano
Bertolt Brecht. Leggere il giornale
Franco Fortini. Il susino / Il mattino e la sera / La notte 18 febbraio 2010
oppresse
Bertolt Brecht. La Canzone del no e del si / Se la
POESIA AFROAMERICANA:
tazza / La Canzone della Brezza
Serata presentata da Anna Lucia Accardo per il
circolo Gianni Bosio
11 febbraio 2010
Leggono: Cinzia Villari e Massimiliano Mecca
Intermezzi musicali: Michele Villari (sax e clarino)
POESIA SPAGNOLA D’IMPEGNO CIVILE
Serata presentata da Laura Baldi per la Fiap
Langston Hughes. Blues di stanchezza
(Federazione Italiana Associazioni Partigiane)
Carolyn Rodgers. Non sulla poesia
Leggono: Cinzia Villari e Lorenzo Profita
Sam Cornish. Non ci siamo mai amati
Intermezzi musicali: Augusto Creni (chitarra)
Langston Hughes. Il negro parla di fiumi
Mari Evans. Sono una donna nera
Rafael Alberti. Anniversario
Langston Hughes. Io pure
J.A.Goytisolo. Sono così
Paul Lawrence Dunbar. Invito all’amore
F.G. Lorca. Romanza della Guerra Civile /Ballata triste Langston Hughes. Sono un nero
A. Machado. A Granada fu il crimine
Claude Mc Kay. Linciaggio
A. Goytisolo. Trittico del Soldatino / Uomo per bene Maya Angelou. Toccata da un angelo
F.G. Lorca. Ci sono anime
Etheridge Knight. Mentre te ne vai
R. Alberti. Vorrei cantare
Langston Hughes. Frammento afroamericano
F.G. Lorca. Morì all’alba / Canzone d’autunno
Bob Kaufman. Sono africano
J.A. Goytisolo. Sui grandi uomini / Le ragioni autentiJune Jordan. Poesia in memoria di Alan Schindler, 22
che del caso
anni di età
F.G. Lorca. Elegia del silenzio
Frederik Douglass. Stai diventando grigio
Sterling Plump. Poesia per i cantanti di blues
Maya Angelou. Poema inaugurale
Margaret Walker Alexander. Siamo stati
credenti
Amiri Baraka. La morte della ragione
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Sonya Sanchez. Questa non è una voce esile
Bob Kaufman. Benedizione
Amiri Baraka. I detti di Martin Moreland
Audre Lord. Litania per la sopravvivenza
Countee Cullen. Per un poeta / Sonya Sanchez /
Per Tupac Amaru Shakur
Nikki Giovanni. Scelte
Gwendolyn Brooks. La pazza
Harriette Mullen. Blah Blah
25 febbraio 2010
Autopresentazione dei giovani
Evelina de Signoribus presentata da Maria Grazia
Calandrone
senza titolo: da L’altare della signora di fronte
da Ingrandimenti: Non trovando il modo di evitare il
dolore
da Uscire:
Mi chiedo se sono ancora io
scendi lentamente dal letto
Davide Nota presentato da Gianluca Pulsoni
Da Battesimo: Battesimo /
Paesaggio
Da Il non potere: L’estasi / La condanna / Lampi
Da Viola: Gli orfani / Rappresentazione
13 marzo 2010
mandata a chiamare)
IL LIBRETTO D’OPERA
Leggono: Elisabetta Carta e Alessandro Quarta
Lettura aria Cecchina (almen fra queste piante)
Ascolto aria almen fra queste piante
Barbiere di Siviglia, Musica di Giovanni Paisiello,
di Giuseppe Petrosellini
CASA DEI TEATRI
LA pOESIA vA IN SCENA
Euridice, Musica di Iacopo Peri, Libretto di Ottavio
Rinuccini
6 marzo 2010
Lettura Coro Euridice (al canto al ballo)
Ascolto coro al canto al ballo
Lettura aria Basilio – la calunnia
LA POESIA MEDIORIENTALE
Leggono: Francesca Benedetti e Gianni Garko
Intermezzi musicali: Pierluigi Pietroniro (violino)
Anonimo. La Boqala
Anonimo. Cantico dei Cantici
Omar Khayyam. Quartine
Nazim Hikmet. La mia donna è venuta / Può darsi /
C’è un albero dentro di me
Kahlil Gibran. Da Il Profeta: Il dolore / La
bellezza / La morte
Erez Biton. Alkeskàs Ulferàn
Ronny Someck. Poesia patriottica / Gelsomino / Poesia su carta vetrata
Rumi. L’uomo di Dio / L’Amore
Yasin Taha Afez. Amore
Haidar Mahmud. Il Fiume dei Profeti
Hafez. Ottanta canzoni
Anonimo. Il Cantico dei Cantici
La serva padrona, Musica di Giovan Battista
Pergolesi, Libretto di Gennaro Antonio Federico
Lettura aria Rosina già riede primavera
Ascolto aria calunnia
La Molinara, Musica di Giovanni Paisiello, di Giuseppe Palomba
lettura duetto Serpina/Uberto (lo conosco a lettura duetto Rachelina Notaro (per marito a ussignoria)
quegli occhietti)
lettura aria Rachelina, or gli voglio imbrogliar la fantasia
lettura aria Serpina (stizzoso mio stizzoso)
Ascolto aria Ascoltate, vi dirò
Ascolto aria stizzoso mio stizzoso
Cecchina, ovvero la Buona Figliola, Musica di
Niccolò Piccinni, Libretto di Carlo Goldoni
lettura aria notaro, piano un po’
Ascolto aria piano un po’
Lettura aria di Tagliafarro (star trompette star tampurri) Cecchina, ovvero la Buona Figliola, Musica di
Niccolò Piccinni, di Carlo Goldoni
Ascolto aria star trompette star tampurri
Lettura aria Cecchina (che piacer che bel diletto)
Ascolto aria che piacer che bel diletto
Lettura aria Cecchina, Una povera ragazza
Lettura duetto cecchina/Marchese Ilvalor Militare
lettura duetto Marchese Tagliaferro (adesso l’ho Ascolto aria La Baronessa amabile idolo mio sei tu
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Il Maestro di Musica, Musica di Giovan Battista
Pergolesi, di Antonio Palomba
lettura aria lauretta son timida
lettura Colagianni Sono Cesare…..
Ascolto ARIA vo’ dirti basso basso
Le donne vendicate, Musica di Niccolò Piccinni,
di Carlo Goldoni
Lettura aria aurelia Un guerriero Giovinetto
Lettura cavatina conte sono bello, io già lo so
Ascolto cavatina sono bello
Lettura recitativo conte Il Malan che vi colga
Ascolto aria conte Cara quest’occhi miei
Il Matrimonio Segreto, Musica di Domenico Cimarosa, di Giovanni Bertati
20 marzo 2010
LA POESIA DELLA BEAT GENERATION
Leggono: Massimiliano Mecca e Cinzia Villari
Intermezzi musicali: Paolo Bernardi (pianoforte),
Francesco De Palma (contrabbasso), Michele
Villari (sassofono, clarinetto)
Domenico Donatore presenta Paolo Ruffini
Jack Kerouac
Lawrence Ferlinghetti
Carl Solomon
John Wieners
Gregory Corso
Bob Kaufman
Diane Di Prima
LeRoi Jones (Amiri Baraka)
Norman Mailer
Allen Ginsberg
Fernanda Pivano
Letture da Lèmma: che rappresentazione
sottraggo e mi sottraggo
eppure mi confondo
stamattina ho tentato
sorte ingrata averti
se pagasse sfiorire
ecco una qualche parte una certezza
dove quel pavimento luminoso
ti mostro col dito
Letture da Altre parole sparse (inedito poemetto in
costruzione): e allora ammutolisco…
27 marzo 2010
Lettura Cara Non dubitar
Ascolto Cara non dubitar
L’illusione
Quattro mura
Tra calcinacci e libri
Verso l’uscita
Madre
Grigio
Autopresentazioni di giovani autori
Alice Clarini presentata da Monica Maggi
Il mio merito
Come terra sotto vento
Il mio corpo è un motel
Io sono l’onda
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Biografie
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POESIA ROMANTICA
George Gordon Byron
Sesto barone di Byron, nasce a Londra il 22 gennaio
1788. Dopo il grand tour d’obbligo per l'aristocrazia
britannica, si mette in luce per il suo discorso politico
contro la repressione del luddismo, contemporaneo all'uscita dei primi due canti del Pellegrinaggio del cavaliere Aroldo, per la quale arriva inaspettato il successo.
Nei due anni seguenti pubblica: The Giaour, The Bride
of Abydos, The Corsair, Lara, improntate al genere del
melodramma romantico. Nel 1815 sposa Anna Isabella
Milbanke, la quale lo lascia l'anno seguente. In seguito
allo scandalo per le voci di relazioni incestuose ed
omosessuali va in esilio nel 1816 e lascia per sempre
l'Inghilterra per l’Italia, dove inizia a scrivere il “Don Juan”
e allaccia un rapporto stretto con la diciottenne Teresa
Gamba in Guiccioli. Entra nella carboneria attraverso i
contatti del fratello di Teresa e in seguito al fallimento
delle agitazioni si rifugia a Pisa, dopo aver pubblicato
Cain. Convinta Teresa a tornare a Ravenna, si imbarca
con il conte Gamba per Cefalonia, dove si andava formando una compagine inglese a sostegno della guerra d'indipendenza greca contro l'Impero ottomano.
Sbarca quindi a Patrasso nel gennaio del 1824, dove
vive gli ultimi mesi della sua vita, tra gli aspri contrasti dei
ribelli. In seguito a una febbre reumatica tramutatasi in
meningite, George Byron muore a Missolungi (Grecia) il
19 aprile 1824.
terno dedicandosi allo studio dei classici e alla composizione poetica. Nel 1844, l’uscita dei Poems la
rende una delle più popolari scrittrici del momento. La
lettura della sua raccolta di poesie spinse il poeta Robert Browning a scriverle per dirle che le aveva apprezzate molto. Nel 1845 si incontrano e poco dopo,
essendo il padre di Elizabeth fieramente contrario alle
loro nozze, si sposano di nascosto e fuggono insieme
a Firenze dove nasce il loro figlio, Pen. Elizabeth pubblica in seguito Sonnets from Portuguese (1850), Casa
Guidi Windows (1851), Aurora Leigh (1856) e Poems
before Congress (raccolta dei suoi poemi, 1860). Trascorrono insieme 15 anni, scrivendo entrambi, lei prendendo molto a cuore la causa indipendentista italiana
e componendo diverse poesie sul tema, con il proposito di far conoscere anche nella sua terra d’origine la
situazione italiana. Muore a Firenze nel 1861 e viene
seppellita con tutti gli onori nel cimitero degli inglesi,
dove ancora riposa.
William Blake
Poeta, pittore, artista incisore di grandissimo talento,
nasce il 28 novembre 1757 a Londra dal benestante
James Blake, commerciante di maglieria. È la madre Catherine a occuparsi della sua educazione. Nel 1780 un
suo acquarello viene esposto al pubblico nelle sale
della Royal Academy; sempre in quell'anno inizia a ricevere le prime commissioni come incisore. Nel 1783 Blake
pubblica il suo primo libro illustrato Schizzi poetici.
L’obiettivo di Blake era quello di combinare testi poetici
e illustrazioni sulla medesima lastra, elaborando un
Elizabeth Barrett Browing
Nasce a Coxhoe Hall (Durham, Gran Bretagna) nel nuovo metodo di stampa che rendesse possibile l'ope1806. Di salute malferma, visse per anni nel castello pa- razione. Blake battezza questa tecnica “stampa mi-
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niata” e il primo esempio è costituito dalla raccolta
poetica Canti dell'innocenza terminata nel 1789. Nel
1794 pubblica i Canti dell'esperienza. Il più importante
fra i lavori in prosa è Il matrimonio del Cielo e dell'Inferno,
pubblicato nel 1793 come libro miniato. Subisce un
processo nel 1804 per una lite con un soldato. Viene
sostenuto nel tempo nel suo lavoro tra arte e letteratura
da due mecenati. A partire dal 1821 inizia a lavorare
alle tavole per Il libro di Giobbe e per la Divina Commedia. Quest'ultimo lavoro comprende alcuni dei più
grandi capolavori di William Blake, purtroppo la morte
gli impedirà di portare a termine l'opera. La morte sopraggiunge il 12 agosto 1827, all'età di sessantanove
anni.
Percy Bysshe Shelley
Nasce a Field Place il 4 agosto 1792 e muore a Viareggio l’8 luglio 1822, è stato uno dei più grandi poeti
romantici. È forse più famoso per aver scritto opere da
antologia quali Ozymandias, l’Ode al vento di ponente
(Ode to the West Wind), A un’allodola (To a Skylark), e
La maschera dell’anarchia (The Masque of Anarchy);
ma quelli che vengono considerati i suoi capolavori
sono i poemi narrativi visionari come il Prometeo liberato
(Prometheus Unbound) e l’Adonais (Adonais). La vita
anticonformista e l'idealismo assoluto di Shelley ne
hanno fatto una figura discussa e oggetto di denigrazione per tutta la sua vita, un’esistenza complessa che
però ha contribuito a farne l'idolo delle due-tre generazioni successive di poeti (inclusi i grandi vittoriani, Robert Browning, Alfred Tennyson, Dante Gabriel Rossetti,
Algernon Swinburne e William Butler Yeats). Divenne inoltre famoso per la sua amicizia con i contemporanei John
Keats e Lord Byron e, come loro, per la sua morte pre- worth, un remoto villaggio nella stessa contea. L'abitamatura, avvenuta in giovane età. Era il marito di Mary zione si trovava presso la canonica della chiesa dove
Wollstonecraft Shelley, autrice del romanzo Frankenstein. il padre prestava servizio. Nel tempo iniziano una serie
di problemi legati alla instabilità economica. Charlotte
decide così di lavorare presso varie famiglie in qualità
Anne Brontë
Nasce nel villaggio di Thornton, nello Yorkshire, il 17 di governante e istitutrice. Insieme a Emily frequenta una
gennaio 1820. Come le sue due sorelle Emily e Char- scuola di perfezionamento a Bruxelles, per migliorare le
lotte, è autrice di novelle di contenuto romantico del- proprie conoscenze e il livello delle lingue. Nel 1844
l’era vittoriana: insieme costituivano il trio delle sorelle Charlotte è costretta a tornare a Haworth. Tra il 1846
Brontë, piuttosto singolare. Assieme a loro Anne pubbli- e il 1853 scrive e pubblica i suoi romanzi più famosi tra
cherà le sue poesie nel 1845, sotto lo pseudonimo di i quali spicca Jane Eyre e alcune poesie. Negli stessi
“Acton Bell”. Le principali novelle di Anne Brontë sono anni muoiono in poco tempo il fratello maggiore, Emily
Agnes Grey, pubblicata nel 1847, e The Tenant of Wil- e Anne per la tisi. Ormai autrice famosa, la sua vita camdfell Hall, pubblicata nel 1848. Agnes Grey racconta bia, ma comunque Charlotte preferì sempre la sua solidi una governante che affronta diverse sfortune senza taria dimora, considerata un rifugio. Usò uno
però perdere i suoi principi morali e mostra al contempo pseudonimo maschile, Currer Bell. Il Reverendo Arthur Bell
le difficoltà incontrate dalle donne della classe media Nicholl, con il quale intrattiene in seguito una fitta corriche intraprendono l’unica professione che gli doni ri- spondenza riesce finalmente a conquistare il suo affetto
spettabilità: il libro viene totalmente offuscato dal ca- e la sua stima. Dopo aver nascosto la loro relazione,
polavoro Cime tempestose della sorella Emily, uscito nel 1854 si sposano. La scrittrice muore però l'anno sucnello stesso anno. Il secondo romanzo di Anne Brontë, cessivo, il 31 marzo 1855, a seguito di un'affezione polThe Tenant Of Wildfell Hall (in italiano Il segreto della monare dopo essere stata costretta a letto per disturbi
signora in nero) è molto più intenso. Anne Brontë muore legati alla gravidanza.
il 28 maggio 1849 in un ricovero sulla costa di Scarborough (Inghilterra) - località in cui aveva ambientato Emily Brontë
le sue novelle - appena pochi giorni dopo esservi Nasce il 30 luglio 1818 a Thornton, nello Yorkshire (Ingiunta. Lì avrebbe dovuto curare la forma di tubercolosi ghilterra) dal reverendo Brontë e Maria Branwell. Nel
che l’affliggeva, stessa malattia di cui soffrirono anche 1835 Charlotte ed Emily entrano nella scuola di Roe
Head. Dopo tre mesi Emily torna a casa fisicamente dile sorelle.
strutta e il suo posto a Roe Head viene preso dalla sorella minore Anne. Il 12 luglio 1836 Emily scrive la sua
Charlotte Brontë
Nasce il 21 aprile 1816 a Thornton nello Yorkshire. A prima poesia mentre nel ‘38 entra come insegnante
pochi anni dalla nascita, la famiglia si trasferisce a Ha- nella scuola di Law Hill, ma abbandona dopo sei mesi.
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L'anno successivo Emily e Charlotte partono per Bruxelles dove frequentano il Pensionato Heger. Alla morte
della zia Elizabeth tornano a casa e ognuna di loro
eredita 350 sterline. Emily torna da sola a Bruxelles nel
1844 e comincia a trascrivere le sue poesie in due quaderni, uno senza titolo, l'altro intitolato Gondal Poems.
Charlotte trova questo quaderno nel 1845 e prende
forma in lei la decisione di pubblicare un volume dei
loro versi. Emily acconsente purché il libro esca con uno
pseudonimo. Nel 1846 esce quindi Poems di Currer
(Charlotte), Ellis (Emily) e Acton (Anne) Bell (Brontë). Nel
1847 viene pubblicato Cime tempestose che solleva
un gran clamore. È un romanzo ricco di significati simbolici, dove domina una sensazione di tensione e ansia
mista ad attesa e curiosità per la rivelazione finale. Il 28
settembre 1848 Emily si ammala durante il funerale del
fratello e muore anche lei di tisi il 19 dicembre dello
stesso anno.
Samuel Taylor Coleridge
Samuel Taylor Coleridge, una delle figure più importanti
del movimento romantico, nasce in Inghilterra a Ottery
Saint Mary (Devon) il 21 ottobre 1772. Ultimo di dieci
figli, dopo la morte del padre viene mandato a Londra.
Diventa un appassionato lettore e un ottimo studente.
Nel 1791 si sposta a Cambridge e dopo un periodo
di servizio militare incontra qui il poeta Robert Southey
(1774-1843), che lo influenzerà in modo particolare.
Coleridge diventa un fervente repubblicano. I due tentano di creare una comunità utopica (la “Pantisocracy”,
da realizzare in Pennsylvania), basata su principi egualitari e socialisti; il fine è il raggiungimento della pace
sociale e di uno sviluppo economico equo per tutti. Il
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progetto viene tuttavia abbandonato. Dalla loro amicizia nascerà comunque l'opera drammatica in versi, The
fall of Robespierre (1794). Nel 1796 pubblica varie
poesie. Poco tempo prima Coleridge aveva conosciuto
il poeta William Wordsworth, con il quale nasce un'amicizia che durerà tutta la vita. Insieme, i due scrittori pubblicano un libro di poesie intitolato Ballate liriche
(1798), tra cui la famosa Ballata del vecchio marinaio
(The Rime of the Ancient Mariner). Samuel Taylor Coleridge muore ad Highgate il 25 luglio 1834.
John Keats
Nato a Londra il 31 ottobre 1795, John Keats è considerato una figura di primo piano del movimento romantico, grazie soprattutto alla forza della sua poesia,
stilisticamente perfetta e dal grande potere evocativo.
I suoi testi, con la potenza della loro sensualità riescono
a dare valore trascendente alla bellezza terrena. Keats
sembra avviato alla carriera medica, ma è proprio nel
periodo degli studi al Guy’s Hospital che comincia a
scrivere i suoi primi versi. Il 3 Marzo 1817 esce la prima
raccolta poetica di Keats, Poems. È ormai definitivo:
Keats si dedicherà interamente alla poesia. Alla fine di
marzo si trasferisce con i fratelli a Hampstead, dove
l'anno seguente conosce Fanny Brawne, l’amore della
sua vita, mentre in aprile parte per una visita all'Isola di
Wight, dove inizia a stendere l’Endimione, altro suo capolavoro. Nel febbraio 1820 si manifesta il primo serio
attacco del male che, ventiseienne, l'avrebbe portato
alla morte: la tubercolosi. La più valida produzione poetica di Keats si situa tra la primavera e l'estate del 1818
ed include Ode to Psyche, Ode on a Grecian Urn e
Ode to a Nightingale. Muore il 23 febbraio 1821 a
Roma e viene sepolto nel Cimitero protestante di Roma.
La sua ultima richiesta viene rispettata ed è così che
sulla sua lapide si legge solo il poetco epitaffio, commissionato dai suoi amici Joseph Severn e Charles Brown.
William Wordsworth
Nasce a Cockermouth, il 7 aprile 1770. Insieme a Coleridge è ritenuto il fondatore del Romanticismo e soprattutto del naturalismo inglese, grazie alla
pubblicazione, nel 1798 delle Lyrical Ballads (Ballate
liriche). Benché il suo The Prelude (Preludio) goda di
una notevole fama, sono in realtà le Ballate a influenzare in modo determinante il paesaggio letterario ottocentesco. Il carattere fortemente innovativo della sua
poesia, ambientata nella cornice suggestiva del Lake
District, nel nord del Cumberland, sta nella scelta dei
protagonisti, personaggi di umile estrazione tratti dalla
vita di tutti i giorni, e di un linguaggio semplice e immediato che ricalca da vicino la loro parlata. Da considerare di eguale (se non maggiore) importanza per la
letteratura romantica inglese è la prefazione alla raccolta aggiunta all'edizione del 1802, di fatto un vero
e proprio saggio critico in cui sono esposte le ideecardine della poetica romantica. Per Wordsworth, Coleridge e Southey, che si ispirarono alla medesima
cornice paesaggistica dei Laghi, si può anche parlare
di Lake Poets, poeti lacustri; iniziatori di quello che è
passato alla storia come romanticismo etico (1798 –
1832) essi ne costituirono la prima generazione, mentre
nella seconda si possono annoverare George Gordon
Byron (1788 – 1824), Percy Bysshe Shelley (1792–
1822) e John Keats (1795–1821).
Mary Shelley
Nasce nel 1797, figlia del filosofo William Godwin, uno
degli esponenti più importanti del razionalismo anarchico, e di Mary Wollstonecraft, donna forte e determinata fra i primi personaggi della sua epoca a
promuovere i diritti della donna. Durante un soggiorno
in Scozia, incontra il giovane e geniale poeta ribelle
Percy Bysshe Shelley, che sposa nel 1816. Nel 1822,
dopo essersi trasferiti a La Spezia, Percy Shelley e un
amico partono alla volta di Genova: i due non torneranno più; il corpo del poeta viene rinvenuto tra i flutti il
15 luglio. Tornata a Londra dopo la morte del marito,
Mary vive in Inghilterra con i proventi del proprio lavoro
di scrittrice professionista. Autrice di vari romanzi, diverrà
famosa soprattutto per Frankenstein o il Prometeo moderno, il suo primo libro scritto quasi per gioco. Grazie
a recenti studi è stato possibile arrivare ad una più profonda conoscenza della produzione di Mary Shelley;
in particolare questi si sono concentrati su opere meno
conosciute dell'autrice, che includono romanzi storici
come Valperga (1823) e Perkin Warbeck (1830), romanzi apocalittici come L’ultimo uomo (1826), e i suoi
ultimi due romanzi, Lodore (1835) e Falkner (1837). Trascorre l’ultima decade della sua vita nella malattia, pro- LA CANZONE D’AUTORE
babilmente causata da un tumore al cervello, che la
ucciderà all'età di 53 anni, nel 1851.
Fabrizio De André
Nasce il 18 febbraio 1940 a Genova (Pegli). Studia
da ragazzo il violino e la chitarra. Nel ’56, scopre la
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canzone francese e quella trobadorica medievale. Il
suo primo disco è del ’58 (il singolo Nuvole barocche)
seguito da altri episodi a 45 giri, ma la svolta artistica
matura diversi anni dopo, quando Mina incide con successo La Canzone di Marinella. Da allora De André
produrrà brani diventati storici come La Guerra di Piero,
Bocca di Rosa, Via del Campo. Seguono altri album,
accolti con entusiasmo da un pugno di cultori ma passati sotto silenzio dalla critica: La buona novella (del
1970, una rilettura dei vangeli apocrifi) e Non al denaro né all'amore né al cielo, l’adattamento dell’Antologia di Spoon River, firmato insieme con Fernanda
Pivano, senza dimenticare Storia di un impiegato profondo lavoro di marca pacifista. La consacrazione internazionale arriva con Creuza de ma, nel 1984 dove
il dialetto ligure e l’atmosfera sonora mediterranea raccontano odori, personaggi e storie di porto. Il disco
segna una pietra miliare per l'allora nascente world
music italiana ed è premiato dalla critica come miglior
album dell'anno e del decennio. Nel 1989 intraprende
una collaborazione con Ivano Fossati e nel ‘90 pubblica Le nuvole, grande successo di vendite e di critica,
che è accompagnato da un tour trionfale. Muore nel
’99 stroncato da un male incurabile.
Francesco De Gregori
Nasce a Roma il 4 aprile 1951. Diciottenne, esordisce
al noto Folkstudio e a 21 anni realizza con Antonello
Venditti Theorius Campus. Nel ’73 esce Alice non lo sa
e nel ‘74 Francesco De Gregori mentre nel ’75 il grande
successo Rimmel, al quale segue nel ‘76 Bufalo Bill (definito da De Gregori il suo disco più bello). Nel ‘78,
dopo due anni di assenza, in seguito alla crisi per le
contestazioni nei concerti, il rientro sulle scene, in un’attività che segna una lunga lista di lavori, di splendide
canzoni composte e interpretate da altri artisti, collaborazioni con Dalla, Fossati, Ron, Fiorella Mannoia, Pino
Daniele, Franco Battiato, Giovanna Marini, Zucchero.
Nel 2006 pubblica un’antologia con i suoi brani più
rappresentativi dell’attività di un artista dallo stile originale, da molti imitato, ispirato all’amore per autori come
De Andrè, Dylan e Leonard Cohen. Nelle sue canzoni
troviamo sonorità rock e vicine alla musica popolare
oltre a un ampio uso lirico della sinestesia e della metafora, spesso di non immediata interpretazione, con
una cifra intimista, letterario-poetica ed etico-politica
in cui trovano spazio riferimenti all'attualità e alla storia,
che lo hanno reso uno dei cantautori più importanti dell'attuale scena musicale italiana. È considerato da molti
sia un cantautore sia un poeta, malgrado egli non ami
definirsi né l'uno né l'altro, ma solo "artista".
Giorgio Faletti
Nato ad Asti il 25 novembre 1950, Giorgio Faletti si è
laureato in Giurisprudenza ma l’idea di chiudersi in uno
studio legale non gli piaceva affatto. Forte del suo carisma istrionico, ci prova con lo spettacolo e dopo un
breve approccio col mondo della pubblicità si dedica
al cabaret, approdando quasi immediatamente al locale di culto per eccellenza, il Derby di Milano.
Nello stesso periodo sul palco del locale circola tutta
la crème della comicità degli anni a venire: Diego Abatantuono, Teo Teocoli, Massimo Boldi, Paolo Rossi e
Francesco Salvi (poi anche collega nel mitico Drive in).
Un’importante occasione si presenta quando ha modo
di partecipare alla fortunata commedia La tappezzeria
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di Enzo Jannacci. Il debutto televisivo arriva nel 1982
con la trasmissione Pronto Raffaella, per poi continuare
su Antenna 3 Lombardia con Il guazzabuglio al fianco
di Teo Teocoli per la regia di Beppe Recchia. Nello
stesso tempo porta avanti una carriera d’autore, collaborando ai testi di altri comici fra cui Gigi Sabani ed Enrico Beruschi. Partecipa inoltre a Fantastico ’90 al fianco
di Pippo Baudo, Marisa Laurito e Jovanotti e, successivamente, a Stasera mi butto... e tre! con Toto Cutugno.
In quel periodo, a causa di un’operazione al ginocchio
che lo costringe all’immobilità per circa due mesi, si avvicina casualmente al mondo della musica. Comincia
un’attività di cantautore che sfocia nel primo album Disperato ma non serio dal cui brano di punta Ulula viene
tratto un fortunato videoclip pluripremiato a Rimini Cinema, Umbria Fiction e al Festival di Cinema di Montreal.
Ivano Fossati
Nasce il 21 settembre 1951 a Genova, città dove continua a vivere fino ai primi anni ’80 quando decide di
trasferirsi, dopo molto viaggiare fra Europa e Stati Uniti,
in un piccolo paese dell’entroterra ligure. La sua passione per la musica si manifesta da bambino: a otto anni
inizia lo studio del pianoforte, ma si cimenta anche con
altri strumenti essendo un vero polistrumentista, così da
essere uno dei musicisti più completi e “colti” della scena
italiana. Il suo percorso artistico è molto complesso e
articolato e rappresenta esemplarmente una sintesi del
magma stilistico che potenzialmente si trova di fronte il
musicista contemporaneo, il quale vede aprirsi davanti
a sé numerose strade ed è costretto a scegliere quale
via percorrere oppure tentare di fonderle fra di loro. Fossati prima dei suoi approdi a capitoli più sofisticati e
meditati, ha cominciato suonando in alcuni gruppi di
rock progressive. Il momento aureo di questa sua fase
coincide con l'incisione nel 1971 del primo album,
Dolce acqua, alla guida dei Delirium. L’album contiene
il suo primo grande successo, il brano Jesahel, esploso
nel 1972. Un capitolo importante dell'evoluzione di Fossati è anche rappresentato dalla collaborazione con
altri cantautori di livello, fra cui è impossibile non nominare la sublimi canzoni firmate con Fabrizio De André o,
in seconda battuta, con Francesco De Gregori.
Giorgio Gaber
Nasce a Milano il 25 gennaio 1939. Frequenta Economia e Commercio alla Bocconi pagandosi gli studi
con serate in cui suona al Santa Tecla, famoso locale
milanese. Conoscerà qui Adriano Celentano, Enzo Jannacci e Mogol; quest'ultimo lo invita alla Ricordi per
un'audizione: è lo stesso Ricordi a proporgli di incidere
un disco. Comincia una brillante carriera con Ciao, ti
dirò, scritta con Luigi Tenco. Sono degli anni successivi
le indimenticabili Non arrossire, Le nostre serate, Le
strade di notte, Il Riccardo, Trani a gogò, La ballata
del Cerruti, Torpedo blu, Barbera e champagne. Nello
stesso periodo, il Piccolo Teatro di Milano gli offre la
possibilità di allestire un recital, Il signor G, il primo di una
lunga serie di spettacoli musicali portati in teatro che
alternando canzoni a monologhi trasportano lo spettatore in una atmosfera che sa di sociale, politica,
amore, sofferenza e speranza, il tutto condito con un'ironia tutta particolare, che smuove risate ma anche la coscienza. «Credo che il pubblico mi riconosca una certa
onestà intellettuale. Non sono né un filosofo né un politico, ma una persona che si sforza di restituire, sotto
forma di spettacolo, le percezioni, gli umori, i segnali che
avverte nell'aria.». Scompare il primo gennaio del 2003,
all'età di 63 anni, stroncato da una lunga malattia nella
sua villa di Montemagno a Versilia.
Francesco Guccini
Nasce il 14 giugno 1940 a Modena, dove torna nel
dopoguerra dopo aver trascorso i primi anni di vita
sull’Appennino pistoiese. Nel 1961 scrive la sua prima
canzone (L’antisociale) e durante gli anni Sessanta si fa
conoscere soprattutto come autore (Auschwitz per
l’Equipe 84 e Dio è morto per i Nomadi, di Augusto
Daolio) ed è vittima di una censura all’italiana: Dio è
morto, canzone di profonda spiritualità - trasmessa persino da Radio Vaticana - viene censurata dalla RAI,
perchè considerata blasfema. Nel 1967 il suo primo
disco, Folk Beat n. 1, con brani oggi considerati grandi
classici come Noi non ci saremo, Statale 17 e In morte
di S.F. (Canzone per un’amica). Tappe fondamentali
della sua musica possono essere considerati Radici del
1972 (con quello che è un po’ il suo inno: La locomotiva, ballata anarchica ispirata a una storia vera del
1893). Guccini ama considerarsi un cantastorie dai
quali ha ereditato una tecnica raffinata nella costruzione dei versi. Politico è il suo modo di raccontare le
cose e di poetare, legato ad una forma dubitativa
espressa attraverso l’ironia, che è una delle sue caratteristiche più interessanti. Non è un caso che Guccini
venga studiato nelle scuole come esempio di "poeta"
contemporaneo e che gli sia stato conferito nel 1992
il Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale per la sezione "Versi in Musica".
80
Enzo Jannacci
Nasce a Milano il 3 Giugno 1935. A dispetto della sua
immagine stravagante, Jannacci è un uomo di grande
rigore e sensibilità. Esercita infatti la professione di chirurgo, anche quando, baciato dal successo, avrebbe
potuto lasciare tutto. Ha frequentato il Conservatorio,
diplomandosi in pianoforte, in armonia, composizione e
direzione d’orchestra. Tra le sue prime esperienze ci
sono quelle al Santa Tecla, il tempio del rock’n’roll milanese dove suona insieme a Tony Dallara, Adriano Celentano e il suo grande amico Giorgio Gaber. La sua
natura artistica lo porta a esplorare un mondo che è
riuscito a tratteggiare con ironia e vena poetica ineguagliate: quello dei diseredati o della vecchia Milano,
il mondo dello spirito di solidarietà tipico del Nord e
delle vecchie osterie abitate da personaggi sanguigni
e veraci. È nel celeberrimo Derby di Milano, che per la
prima volta mette in evidenza le sue doti di intrattenitore.
Se ne accorge anche Dario Fo, che porta il giovane
Jannacci in teatro, un’esperienza che influenzerà una
caratterizzazione “teatrale” anche delle sue canzoni.
Jannacci ha una vasta produzione discografica di circa
venti album, una miriade di 45 giri (primo disco L'ombrello di mio fratello, 1959), un’attività che attesta quantitativamente, oltre che qualitativamente la sua
significativa presenza nel panorama della canzone
d'autore italiana.
Luciano Ligabue
Nasce a Correggio il 13 marzo 1960, cittadella emiliana nella quale inizia una lunga gavetta con gli Orazero. Nel 1987 Pierangelo Bertoli decide di pubblicare
nel suo album la sua Sogni di rock and roll. Dopo al-
terne fortune, nel 1989 Ligabue, separatosi dagli Orazero, si unisce con i ClanDestino e con questi entra per
la prima volta in uno studio di registrazione per realizzare l’album Ligabue, con il pezzo forte Balliamo sul
mondo che vince il premio più importante della sua fin
qui breve carriera, il Festivalbar Giovani. Dopo questa
esperienza, parte con una serie di oltre 250 concerti in
tutta Italia. Durante questo periodo compone le canzoni per i due album successivi: Lambrusco, coltelli, rose
& popcorn e Sopravvissuti e sopravviventi. I due dischi
consentono al cantante di mettere in luce le sue qualità
a 360 gradi, anche se pubblico e critica ancora faticano a riconoscerlo come un rocker di primo piano del
panorama musicale. Abbandona i ClanDestino e cambia la formazione della band. Prepara dunque l’album
Buon compleanno, Elvis, che segna il suo definitivo successo. Il lavoro di Ligabue non è solo quello del cantautore. La vena del rocker c'è da sempre e i grandi,
continui e frequenti concerti lo dimostrano. Dopo il doppio live Su e giù da un palco, i grandi concerti diventano enormi. Gli stadi più grossi del paese lo attendono.
Pasquale Panella
Volteggia nella scrittura come le sue parole scivolano
tra un settenario e un verso sciolto e un paradosso barocco, Panella (1950) è il paroliere più “corteggiato”
della scena musicale italiana. Esordisce con gli pseudonimi di Duchessa, poi Vanera e Vanda Di Paolo, ma
lascia tutti incantati e attoniti quando appare sulla
scena col proprio nome e cognome come alter ego di
Lucio Battisti in quel cantiere letterario-filosofico che è
stato la stagione della cosiddetta “pentalogia dei dischi bianchi”, che vanno da Don Giovanni a Hegel.
Sperimentare il senso contraddicendo i significati, ecco
un modo per amplificare i segreti della parola, un percorso che porta a deviare il genio della canzone pop
verso una traiettoria sperimentale e elettronica costruendo gioielli come L’apparenza, Le cose che pensano e Estetica. Oltre a scrivere e interpretare
monologhi come performer in recital, ha pubblicato in
forma di romanzo, ma anche di racconti e di poesie. Ha
scritto per Anna Oxa, Zucchero Fornaciari, Gianni Morandi, Mina, Amedeo Minghi, Sergio Cammariere, Nicky
Nicolai, Premiata Forneria Marconi e molti altri. È autore
della versione italiana dell’opera musicale Notre Dame
de Paris e autore del copione, del Libretto e dei testi
dell’opera musicale Giulietta e Romeo entrambi per la
firma compositiva di Riccardo Cocciante.
Gino Paoli
Nasce il 23 settembre 1934 a Monfalcone, ma è a Genova, dove si è trasferito da bambino, che Gino Paoli dopo aver fatto diversi mestieri - debutta come cantante da balera, per poi formare una band musicale
con gli amici Luigi Tenco e Bruno Lauzi. Nel 1960 realizza La gatta, un pezzo rigorosamente autobiografico
che inaspettatamente diventa un successo incredibile.
Paoli assieme a suoi “quattro amici” dà vita, a Genova,
alla canzone d’autore, forma di espressione musicale rivoluzionaria che mira a esprimere sentimenti e fatti di
vita reale con un linguaggio non convenzionale; la canzone, insomma, cessa di essere puro intrattenimento e
abbandona l'oleografia per diventare forma d'arte a
tutti gli effetti. Ormai lo squattrinato pittore è un cantante
ricco e celebre. E tuttavia un pomeriggio d’estate il cantautore si spara al cuore. «Volevo vedere cosa suc-
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cede», spiegherà poi. Il proiettile è tuttora nel suo petto,
come un souvenir. Con il crescere della popolarità subentrerà nell’uomo Paoli una crisi che lo porterà fuori
dalla scena musicale per alcuni anni di riflessione. Il suo
gran ritorno avviene con I semafori rossi non sono Dio,
realizzato su musiche del catalano Jean Manoel Serrat,
e Il mio mestiere. Entrambi parlano di libertà, democrazia, emarginazione, diversità.
Luigi Tenco
Nasce il 21 marzo 1938 in provincia di Alessandria. Il
suo esordio discografico avviene nel 1959 con la
pubblicazione di due singoli, Mai e Mi chiedi solo
amore. Cresciuto artisticamente a Genova, da profondo appassionato di jazz partecipa a differenti
esperienze musicali in gruppi che ebbero, tra le fila,
anche Bruno Lauzi, Gino Paoli e Fabrizio De André e,
col gruppo dei Cavalieri, con Jannacci al pianoforte,
Gianfranco Reverberi al vibrafono, Paolo Tomelleri al
clarino e Nando De Luca alla batteria. Dal 1959 al
1963 incide per il gruppo Ricordi un album e una ventina di singoli, tra i quali Mi sono innamorato di te e Io
sì. Dal 1964 al 1965 il cantante alterna le canzoni
d'amore (Ho capito che ti amo, Ah .. l’amore, l’amore)
con ballate di carattere sociale (Vita sociale, Hobby,
Giornali femminili e altre ancora), che verranno pubblicati però solo dopo la sua morte. Nel 1967 partecipa
allo sfortunato Festival di Sanremo che acuirà una già
profonda crisi interiore che il sensibile cantante covava
da tempo. La motivazione ufficiale del decesso è in un
biglietto trovato nella sua stanza, un’accusa di incomprensione della giuria, che bocciava la sua Ciao
amore, ciao (nell’occasione cantata in coppia con
Dalida) per promuovere canzoni di basso livello come (La resistibile ascesa di Arturo Ui) e nel 1947 viene rappresentata senza successo la seconda versione di
Io, tu e le rose e La rivoluzione.
Leben des Galilei (Vita di Galileo). Il 30 ottobre 1947
compare davanti al Comitato per le attività antiameriBINOMIO DELL’IMPEGNO
cane; ottenuto il visto lascia gli Stati Uniti e si stabilisce
in Svizzera, poi nel 1948 giunge a Berlino Est attraverso
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht nasce il 10 febbraio 1898 ad Augusta, la Cecoslovacchia (gli è rifiutato il passaggio attraverso
in Germania, da una famiglia benestante. Durante la la Germania Federale). Nel 1949 fonda il Berliner Enprima guerra mondiale cominciò a scrivere occupan- semble, che diverrà una delle più importanti compagnie
dosi suprattutto di teatro. Nel 1920 si trasferì a Monaco teatrali, e fino alla morte si dedica soprattutto all’attività
e nel 1924 andò a Berlino, dove cominciò a lavorare di regista. Da tempo malato, muore il 14 agosto 1956.
per il teatro. Scrive critiche teatrali per il giornale socialista Ausburger Volkswille e nello stesso anno si avvicina Franco Fortini
al movimento spartachista. La sua prima commedia di Franco Lattes è nato a Firenze nel 1917 da padre
successo è Trommeln in der Nacht (Tamburi nella notte), ebreo e madre cattolica (Fortini è il cognome della
scritta nel 1920 e rappresentata a Monaco nel 1922; madre da lui adottato nel 1940). Ha vissuto a Firenze
nel 1927 esce la prima raccolta di poesie, Hauspostille gli anni giovanili, si è laureato in Giurisprudenza ed in
(Libro di devozioni domestiche) e Brecht matura la con- Lettere, entrando in contatto sia con i protagonisti della
versione al marxismo. Nel periodo 1929-32 scrive vari stagione dell’Ermetismo, sia con gli intellettuali che prima
drammi didattici, in cui si propone di diffondere il mate- della guerra hanno fatto la storia della cultura italiana,
rialismo dialettico, di contribuire a rovesciare il regime, di da Montale a Noventa e Vittorini.
"trasformare" anziché di interpretare la realtà. Si lega al Richiamato alle armi nel 1941, dopo l'armistizio dell'8
partito comunista nonostante non sia iscritto. Dopo l'in- settembre 1943 fugge in Svizzera dove si unisce ai parcendio del Reichstag (27 febbraio 1933), lascia la Ger- tigiani della Valdossola. Finita la guerra si stabilisce a
mania nazista con la famiglia; in maggio i suoi libri Milano, e unisce all'insegnamento un'intensa attività di
vengono bruciati. Dal 1933 al 1947 risiede in esilio in collaborazione a riviste politiche e culturali. Dal 1948
Danimarca, Svezia, Finlandia, Unione Sovietica e Stati al 1953 ha lavorato alla Olivetti; successivamente è
Uniti. Del 1935 è Furcht und Elend des dritten Reichs (Ter- stato collaboratore delle riviste «Comunità», «Officina»,
rore e miseria del Terzo Reich), nel 1939 scrive Mutter «Ragionamenti», «Il menabò», «Quaderni rossi», «QuaCourage und ihre Kinder (Madre Courage e i suoi figli) derni piacentini»; tra i quotidiani, prima dell’«Avanti!», poi
e compone la raccolta delle sue maggiori liriche, Sven- del «Manifesto», del «Corriere della sera» del «Messagdborger Gedichte (Poesie di Svendborg). Nel 1940 ini- gero», «II sole - 24 ore».
zia la stesura di Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui Dal 1971 al 1989 è stato titolare della cattedra di Sto-
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ria della critica letteraria della Facoltà di Lettere di
Siena, dove ha svolto l'intera carriera accademica.
Nel 1985 gli è stato conferito il Premio Montale - Guggenheim per la poesia. È morto a Milano nel novembre
1994.
Massimo Rendina
Nato a Mestre nel 1920, frequentò la facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna. Prestò servizio militare in fanteria nei guastatori con il grado di
sottotenente e partecipò alla campagna in URSS, prima
di essere congedato nell'autunno 1942.
Dopo l’8 settembre si trasferì in Piemonte, dove prese
parte alla lotta di liberazione. Militò prima nella 19a brigata Giambone Garibaldi con funzione di capo di SM
e successivamente nella 103a brigata Nannetti della
1a div. Garibaldi, della quale fu prima comandante e
poi capo di SM. Resta ferito e diventa invalido di
guerra. Lo zio Roberto Rendina fu ucciso alle Fosse Ardeatine a Roma. Riconosciuto partigiano dall’1/11/’43
al 7/5/’45. Attualmente è presidente dell’Anpi di Roma,
giornalista Rai, docente universitario di Scienze della
comunicazione, membro del comitato scientifico dell’istituto Luigi Sturzo. Ha pubblicato: Italia 1943-45. Guerra
civile o Resistenza?, e Dizionario della Resistenza italiana.
POESIA CIVILE SPAGNOLA
Rafael Alberti
Nasce a El Puerto de Santa María, Cadice, da una famiglia italiana. Dopo una tranquilla infanzia trascorsa a
Madrid, comincia a interessarsi alla pittura ed entra in
contatto con gli artisti e gli scrittori nella Residencia de
Estudiantes, i futuri protagonisti della Generazione del
’27. Nel 1924 pubblica la raccolta di poesie Marinero
en tierra che vince il Premio nacional de Literatura e nel
1927 Cal y Canto al quale seguono Sobre los ángeles, Sermones y moradas e El hombre deshabitado. Una
nuova fase inizia con l’avvento della Repubblica. Nel
1931 entra nel Partido Comunista de España (PCE), e
partecipa alla lotta contro il fascismo. Nel 1939, dopo
la sconfitta repubblicana, si rifugerà in Francia, poi in Argentina, quindi in Italia a Roma dove, con la sua compagna Maria Teresa, frequenta i circoli intellettuali
progressisti, che lo accolgono anche per la sua qualità
di democratico in esilio da un regime dittatoriale. Ha un
lungo sodalizio culturale con la poetessa italiana, ispanista, Elena Clementelli, e si lega a un gruppo di critici
letterari romani, tra cui Walter Mauro e Luigi Silori, collaborando anche con il gruppo musicale cileno Inti Illimani, anch’esso composto da esiliati. Solo dopo la
morte di Francisco Franco rientrerà in Spagna nel 1977
e otterrà il Premio Cervantes.
Federico García Lorca
Nasce vicino a Granada il 5 giugno 1898 dove studia
legge e si laurea nel 1923. Profondamente legato alla
terra andalusa, dipinge, scrive poesie, si occupa di teatro e musica. Nel 1928 fonda e dirige «El Gallo», rivista
letteraria di Granada di cui uscirono, nonostante un discreto successo, solo due numeri. Nel 1929-30 fu a New
York come studente della Columbia Univesity, poi a
Cuba. Nel 1932 il ministero della pubblica istruzione
della Repubblica (proclamata l’anno precedente) dà
a Lorca e allo scrittore E. Ugarte l’incarico di organiz-
zare un gruppo teatrale universitario, La Barraca che,
portando i classici nei piccoli centri, doveva contribuire
a rinnovare la cultura del Paese. Nel 1936 contribuisce
con Alberti e Bergamín a fondare l'Associazione degli
intellettuali antifascisti: redige e firma, assieme ad altri
300 intellettuali spagnoli, un manifesto d’appoggio al
Frente Popular, che appare sul giornale comunista
«Mundo Obrero» il 15 febbraio, un giorno prima delle
elezioni che la sinistra vince di poco. Il 17 luglio 1936
scoppia l'insurrezione militare contro il governo della Repubblica: inizia la guerra civile spagnola. Il 19 agosto
Federico García Lorca, che si era nascosto a Granada
presso alcuni amici, viene trovato, rapito e portato a
Viznar, dove, a pochi passi da una fontana conosciuta
come la Fontana delle Lacrime, viene assassinato.
Juan Goytisolo
Nato a Barcellona, il 6 gennaio 1931, ha pubblicato
il primo libro a 25 anni, a Parigi, dove ha risieduto per
lunghi anni. Espatriato durante il regime franchista, approfondisce il tema dell'immigrazione. Attualmente risiede
tra Parigi e Marrakech. Considerato un profondo conoscitore della cultura mussulmana, è stato anche corrispondente di guerra per «El Pais» in Cecenia e Bosnia.
Il suo interesse per la varietà delle culture, alimentato
anche dalla sua esperienza di scrittore itinerante, lo ha
portato a sostenere la prospettiva di un'unità di valori
tra le civiltà in conflitto. Le sue opere, centrate spesso
sul tema dell'infanzia e dell'adolescenza, sono un duro
atto di accusa al regime di Francisco Franco e alla
classe dirigente spagnola.Tra queste ricordiamo Juegos
de manos, racconto della ribellione di un gruppo di
giovani borghesi al conformismo della società moderna;
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Duelo en Paraìso, che descrive la guerra civile. Tra i suoi
titoli tradotti in italiano: Oltre il sipario (L’ancora del mediterraneo, 2004), Karl Marx Show (Cargo, 2005), una
denuncia, in chiave ironica, degli orrori televisivi e una
presa d’atto del fallimento del marxismo; La Spagna e
gli spagnoli (Mesogea, 2005), graffiante e lucidissimo
saggio che attacca le fondamenta su cui è stato costruito il mito di una nazione granitica lontana dai suoi
ideali di diversità e convivenza pacifica.
Antonio Machado
Nato a Siviglia nel 1875 e morto a Collioure, Francia,
nel 1939, è tra i massimi poeti di lingua spagnola d'ogni
tempo. Le tappe fondamentali della sua produzione
sono le raccolte poetiche Soledades (1903), Campos
de Castilla (1912), Nuevas canciones (1924) e la III
edizione delle Poesías completas (1933), contenente
il Cancionero apócrifo.
Dopo gli studi a Madrid, Machado visse a Soria, Baeza
e Segovia come insegnante di francese. Durante la
guerra civile spagnola, rimase instancabilmente e attivamente fedele al legittimo governo repubblicano, morendo in esilio, pochi chilometri dopo la frontiera
francese e pochi giorni dopo averla oltrepassata.
POESIA AFROAMERICANA
Annalucia Accardo
È professore associato di Lingue e Letterature angloamericane presso il Dipartimento di Lingue, Letterature
e Culture moderne dell’Università degli studi di Roma La
Sapienza. Il suo studio, Il racconto della schiavitù negli
Stati Uniti d’America (1996), si occupa dell’intreccio tra
rappresentazione della schiavitù e le sue modalità in
quanto fatto storico, con un’attenzione particolare al
modo in cui i ruoli di gender influiscono sulle forme della
rappresentazione stessa, segnando così una tappa importante nei suoi due principali campi di ricerca: quello
della scrittura delle donne e quello della cultura afroamericana. Altri settori di ricerca, sui quali ha pubblicato,
sono: le forme letterarie dell'autobiografia, l'intertestualità
tra tradizione letteraria egemonica e quella delle minoranze e tra forme letterarie più tradizionali, come quelle
tipiche della letteratura degli Appalachi, e forme della
scrittura postmoderna. Sta completando una monografia su Grace Paley, figura di spicco nel panorama contemporaneo degli Stati Uniti, che presenta una geniale
capacità di intrecciare innovazione letteraria, differenti
forme artistiche e complessità tematica. Fa parte del circolo Gianni Bosio e della redazione di «Àcoma, Rivista
Internazionale di studi Nord Americani».
Maya Angelou
Ritenuta una figura chiave del Movimento Americano
per i Diritti Civili, Maya Angelou, il cui vero nome è Margherite Johnson (1928), è diventata famosa come scrittrice con il romanzo autobiografico I Know Why The
Caged Bird Sings del 1969 e a seguire per il successo
di All God’s Children Need Travelling Shoes del 1986.
Inoltre, grazie alla raccolta di versi Just Give Me a Cool
Drink of Water 'Fore I Die del 1971 ha ricevuto una nomination per il prestigioso premio Pulitzer. Da questa raccolta la Angelou ha recitato On The Pulse of Morning
in occasione della cerimonia di insediamento del presidente americano Bill Clinton. È stata insignita nel corso
degli anni di numerosi riconoscimenti accademici e dot-
torati, dalle università Yale, a quella del Kansas, del
Ghana e dalla Rockfeller Foundation in Italia, pur non
avendo mai ricevuto una educazione universitaria. Il suo
amore per la musica e il teatro l’ha portata a ricevere
un Tony Awards e un Grammy nel 1993 per il Miglior
Album Parlato per On the Pulse of Morning.
Amiri Baraka
«Se Elvis era il Re, chi è James Brown, Dio?». È questa
un’affermazione di Amiri Baraka che bene riassume il
pensiero di uno dei più prolifici autori neri d’America.
Amiri Baraka, all'anagrafe Everett LeRoi Jones (1934), è
poeta, scrittore, saggista, drammaturgo, musicista e critico musicale. Ha studiato alla Rutgers University, alla
Columbia e alla Howard University senza mai laurearsi.
Nel 1967, tuttavia, divenne lecturer nella San Francisco
State University e nel 1984 ebbe un incarico di professore cattedratico nella Rutgers University. Ha fondato nel 1964 la Black Arts Repertory Theatre/School
(BART/S). In seguito alla morte di Malcolm X, avvenuta
nel 1965, si è convertito all'Islam, cambiando nome. È
stato leader dell'organizzazione musulmana Kawaida
fino alla sua “conversione” al marxismo, avvenuta negli
anni Sessanta. Respinge l’accusa che i suoi poemi siano
anti-semiti e ricorda che le sue accuse sono invece rivolte allo Stato d’Israele e non agli ebrei. La Anti-Defamation League è stata tra quanti lo hanno criticato,
denunciando i suoi poemi come anti-semiti, sebbene
Baraka e i suoi difensori definiscano le sue pozioni “antisioniste”. Il suo primo volume di poesie Preface to a
Twenty-Volume Suicide Note è stato pubblicato nel
1961. Insieme alla poetessa Amina Baraka, nel frattempo
divenuta sua moglie, ha pubblicato nel 2003 The Es-
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sence of Reparations, una raccolta di saggi sugli importanti temi del colonialismo, dell'oppressione nazionale e
del razzismo. In Italia è uscito un suo importante manuale
musicale dal titolo Il popolo del blues. Sociologia degli
afroamericani attraverso il jazz (Shake, 2003).
Gwendolyn Brooks
Gwendolyn Brooks (1917 - 2000) si avvicinò alla letteratura e alla scrittura grazie alla lungimiranza dei suoi
genitori, i quali le fecero conoscere i poeti Langston
Hughes e James Weldon Johnson, dell’Harlem Renaissance. Pubblicò la prima poesia in una rivista per bambini a tredici anni, mentre a sedici anni ne aveva già
scritte circa settantacinque. A diciassette anni iniziò a
spedire i suoi lavori a Lights and Shadows, una rubrica
di poesia della rivista afroamericana «Chicago Defender». Lo stile andava dalle tradizionali ballate e sonetti
all'utilizzo dei ritmi del blues in versi liberi, e i suoi personaggi erano spesso ispirati dalla povertà del centro
della città. Nello stesso periodo frequentò il Wilson Junior College, dove si laureò nel 1936. La prima raccolta
di poesie, A Street in Bronzeville, venne pubblicata nel
1945 dalla casa editrice Harper and Row e ricevette
un immediato consenso dalla critica. Quell'anno le
venne consegnata la prima Guggenheim Fellowship e
fu una delle “Due giovani donne dell’anno” nel magazine «Madmoiselle». Nel 1950 pubblicò la seconda
raccolta, Annie Allen, con la quale vinse il Eunice Tietjens
Prize dalla rivista «Poetry» e il Premio Pulitzer per la poesia, il primo vinto da un'afroamericana. Nel 1962 John F.
Kennedy la invitò a leggere le sue opere nel festival di
poesia della Biblioteca del Congresso, e successivamente iniziò a lavorare come insegnante di scrittura
creativa in diversi istituti. Nel 1967 partecipò a una conferenza di scrittori alla Fisk University dove disse di aver
riscoperto la sua negritudine. Questa riscoperta è riflessa nel libro In The Mecca, un lungo poema su una
madre alla ricerca del proprio figlio perduto in un quartiere popolare di Chicago. Il libro venne nominato per
il National Book Award per la poesia. Ha dichiarato che
per creare “grandezza” non bisogna creare un poema
epico. La grandezza, spiega la Brooks, «puoi trovarla
in un piccolo haiku, cinque sillabe, sette sillabe». Un
esempio di questa filosofia è il poema We Real Cool.
Nel 2002 venne inserita nel 100 Greatest African Americans, dizionario biografico che raccoglie le importanti
personalità afroamericane della storia.
Samuel Cornish
Cornish è nato nel Sussex County, Delaware (1795 1858), da genitori liberi. Nel 1815 si trasferisce a Philadelphia e successivamente a New York nel 1821. Si
avvicina alla vita spirituale tanto che a New York organizza una congregazione di presbiteriani neri. Nel 1822
fu ordinato sacerdote e la sua parrocchia fu ufficialmente riconosciuta come la Prima Chiesa Presbiteriana
nera della città. Ricoprirà successivamente posizioni di
responsabilità all'interno della American Bible Society e
dell’American Missionary Society.
Cornish è stato uno dei membri fondatori della American
Anti-Slavery Society. Nel 1840, lascia l’American AntiSlavery Society in polemica con William Lloyd Garrison
in merito al ruolo della religione all’interno del movimento
abolizionista. Si adoperò come giornalista e redattore
per informare il pubblico sui temi dell’abolizionismo. Con
John Russwurm fonda il primo giornale nero nel 1827, il
«Freedom’s Journal», testata dichiaratamente di sinistra.
Nel 1829, dopo una flessione nelle vendite causata
dalla direzione editoriale di Russwurm, cambia il nome
della giornale in «Rights off All». Successivamente sarà
redattore dal 1837 al 1839 per il «Colored American».
Sposò Jane Livingston nel 1824 a New York, città nella
quale Samuel Cornish visse la maggior parte della sua
vita.
Countee Cullen
Countee Cullen (1903 –1946) è uno dei maggiori autori afroamericani. Adottato dal reverendo Frederick
Ashbury Cullen, da cui ha ereditato il cognome, crebbe
nel quartiere Harlem della Grande Mela ed ebbe
un’educazione cristiana metodista. Nel 1923 si laureò
presso l’Università di New York e le sue riflessioni e poesie furono pubblicate sui giornali «The Crisis» e «Opportunity». Fu poi accettato come studente presso
l’Università di Harvard, nel 1926 decise di visitare l’Europa e in particolare la Francia. Tornato negli USA nel
1928, conobbe Yolanda Du Bois, la figlia di William Edward Burghardt Du Bois. Morì per un'infezione ai reni.
Paul Laurence Dunbar
Nato nel 1872, il poeta raggiunse fama nazionale grazie al poema Lyrics of a Lowly Life del 1896. Nacque a
Dayton da genitori fuggiti dalla schiavitù, suo padre era
un veterano della guerra civile. Unico studente di colore
a frequentare la Dayton Central High School, della
quale era sia l’editore del giornale scolastico, sia il capoclasse, sia il presidente della società letteraria della
scuola. Ha anche fondato il primo bollettino afroamericano della città. Il suo primo lavoro venne pubblicato
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in un giornale dai suoi amici, i fratelli Wright. I quali investirono poi nel «Dayton Tattler», un giornale indirizzato
alla comunità nera, edito e pubblicato da Dunbar. La
sua prima raccolta di poesie, Oak and Ivy, venne pubblicata nel 1892. Scrisse di poesia, racconti, romanzi e
un testo teatrale. Compose inoltre le parole per In Dahomey, il primo musical scritto ed interpretato interamente da afroamericani ad apparire a Broadway, nel
1903; il musical venne poi rappresentato in tournée in
Inghilterra e America per più di quattro anni, risultando
una delle produzioni teatrali più fortunate dell’epoca.
Durante la sua vita, venne enfatizzato molto il fatto che
Dunbar fosse di pura discendenza nera, senza neppure
un antenato bianco. Le opere di Dunbar sono conosciute per il suo linguaggio, per l’uso del dialetto afroamericano e per il tono colloquiale, con una brillante
struttura retorica. Gran parte dei suoi lavori sono in inglese standard, anche se alcuni sono stati scritti nel dialetto parlato dagli afroamericani. Nel 1897 Dunbar si
recò in Inghilterra per eseguire letture dei suoi lavori nel
circuito letterario di Londra. Incontrò il brillante e promettente Samuel Coleridge-Taylor che musicò alcune
delle sue poesie e che venne spinto dall'influenza di
Dunbar a usare le melodie delle canzoni africane e
afroamericane nelle sue composizioni successive. Nel
1975 fu emesso un francobollo commemorativo degli
Stati Uniti con l'effigie di Paul Dunbar.
Mari Evans
Nata nel 1929, è autrice di poesie, racconti brevi, sceneggiature e libri per bambini. Membro del Black Arts
Movement. Nel 1970 scriveva «Sono una donna nera
[…] alta come un forte cipresso […], indistruttibile ed
A Parigi, come altre menti creative dell’epoca (Ernest
Hemingway e Gertrude Stein tra gli altri) abitò a Montparnasse, culla del movimento culturale e artistico della
capitale francese. Ritornò ad Harlem nel 1924, durante
il periodo conosciuto come l'Harlem Renaissance (il Rinascimento di Harlem). Nel 1926 lavorò al «Journal of
Negro Life and History». Nel 1930 il suo primo romanzo
Not Without Laughter gli valse la medaglia d’oro Harmon per la letteratura. Autore di romanzi, racconti brevi
e lavori teatrali, ritratti penetranti e vivaci della vita dei
neri in America tra gli anni Venti e gli anni Sessanta, oltre
a una poesia che omaggia il lirismo di Walt Whitman,
nel 1961 fu invitato a far parte del National Institute of
Arts and Letters. Come molti artisti neri dell'epoca, si sentì
attratto dalle promesse del socialismo come alternativa
a una America segregata. Ma nonostante fosse vicino
ad alcune organizzazioni come i John Reed Clubs e la
Lega per la lotta per i Diritti dei Neri, fu più un simpatizzante che un partecipante attivo. Studiosi e biografi
concordano sul fatto che Hughes fosse omosessuale e
che molte delle sue poesie contengano allusioni riLangston Hughes
Suo bisnonno, Charles Henry Langston, era il fratello di guardo al suo orientamento sessuale; lui affrontò il tema
John Mercer Langston, il primo afroamericano a essere in modo più esplicito nel racconto Blessed Assurance.
eletto a una carica pubblica nel 1855. Il giovane Lan- Morì per le complicazioni di un tumore nel 1967.
ston cominciò a scrivere poesie all'età di tredici anni. E
proprio i primi anni di vita rappresentarono per lui un Nikki Giovanni
serbatoio di esperienze, avendo vissuto in molti posti. Nata nel 1934, è cresciuta a Lincoln Heights, periferia
Diplomato nel 1919, passò un anno in Messico con il di Cincinnati e nel 1960 ha iniziato gli studi alla Fisk Unipadre, situazione che lo rese profondamente infelice versity di Nashville, dove si è laureata con lode in Storia.
tanto che, colpito da depressione, meditò il suicidio. Nel 1969 ha iniziato a insegnare al Livingston College
Nel 1923 a bordo di una nave da carico viaggiò fino della Rutgers University. La Giovanni ha dato alla luce il
in Senegal, Nigeria, Camerun, Congo Belga, Angola, suo unico figlio, Thomas Watson Giovanni, il 31 agosto
Guinea e, di seguito, in Italia e Francia, Russia e Spagna. 1969 mentre era in visita a Cincinnati per il Labor Day
ermetica» (I am a Black Woman). Nel biennio del
1969/1970 ha lavorato come scrittrice residente
presso l’Indiana University-Purdue, dove ha insegnato
corsi di letteratura afroamericana. Dal 1968 al 1973 la
Evans ha prodotto, scritto e diretto il programma televisivo chiamato The Black Experience per la WTTV di Indianapolis. Successivamente, nel 1975, ha ricevuto una
laurea ad honorem dal Marion College. Ha continuato
la sua carriera di insegnante presso la Indiana Universiy-Purdue (dal 1978 al 1980), alla Washington University di Saint Louis (1980), presso la Cornell University (dal
1981 al 1985) e alla State-University di New York - Albany (nel biennio 1985/1986). Altri titoli sono il libro di
poesie Night Star 1973-1978 (1981), il racconto per
bambini Jim Flying High (1979) e le sceneggiature come
River of My Song (1977) e Portrait of a Man (1979). Nel
2002 è stata nominata per un Grammy Award grazie al
testo The Long Road Black to Freedom, scritto per
un’antologia di Black Music.
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Weekend. Più tardi ha affermato che ha avuto un figlio
fuori dal matrimonio perché nella sua convinzione il matrimonio era solamente un’istituzione e non avrebbe mai
avuto un ruolo importante nella sua vita. Dopo la nascita del figlio, Nikki Giovanni cambiò le sue priorità,
concentrandosi esclusivamente sul bambino. Ha affermato infatti: «Non riesco ad immaginare di vivere senza
di lui. Ma posso vivere senza la rivoluzione, senza il socialismo nel mondo... ho un bambino. Le mie responsabilità sono cambiate». Dopo l’esperienza della malattia,
che l’ha vista vittima di un cancro al polmone, ha dichiarato che questa parentesi nella sua vita non l’ha
fatta diventare una persona migliore: «se hai bisogno
di un’esperienza vicina alla morte per apprezzare la
vita, allora stai perdendo tempo». Nel 2005 ha scritto
l’introduzione al libro Breaking the Silence: Inspirational
Stories of Black Cancer Survivors. Nel 2007 Nikki Giovanni parla ai partecipanti del corteo dopo il massacro
del Virginia Tech di Blacksburg, istituto dove dal 1987
ha insegnato scrittura e letteratura. È stata anche professoressa di poesia del pluriomicida sudcoreano
Seung-Hui Cho, uno dei responsabili della terribile
strage, secondo episodio per gravità in fatto di massacri scolastici nella storia degli USA, dopo il disastro
della Bath School, e che è costato la vita a trentadue
persone.
June Millicent Jordan
Poetessa caraibica (1936 - 2002), ha attraversato la
scrittura come romanziera, giornalista, drammaturga e
insegnante, tre decenni da autrice impegnata che
l’hanno resa una delle voci più appassionate e compassionevoli del suo tempo occupandosi di razzismo,
identità di genere, sessualità, politica, guerra, violenza
e diritti umani, la Jordan ha svolto un ruolo fondamentale
nel raccontare i movimenti Black artistici, sociali e politici
del ventesimo secolo. Descrisse la complessità della sua
infanzia in Who Look at Me (1969) e nella autobiografia
Soldier: A Poet’s Childhood (2000). Nel saggio For My
American Family (1986) esplora i conflitti del sentirsi nera
ma al contempo «completamente immersi in un universo
bianco», collabora con il musicista John Adams e il produttore Peter Sellers per la stesura di un Libretto d’opera
contemporanea, diventa editorialista per il «The Progressive». Come insegnante inizia nel 1967 presso il City College di New York. Successivamente dal 1968 al 1978
insegna alla Yale University, al Sarah Lawrence College
e al Connecticut College. Dal 1989 al 2002 è professore ordinario nei dipartimenti di inglese, studi delle
donne e studi afroamericani alla University of California
Berkeley. Qui fonda nel 1991 la Poetry for the People,
un programma didattico di scrittura che consente agli
studenti di usare la poesia come mezzo di espressione
artistica. I punti cardine di questo lavoro saranno poi
pubblicati nel 1995 dai suoi studenti col titolo June Jordan’s Poetry for the People: A Revolutionary Blueprint. Ha
ricevuto numerosi riconoscimenti e premi, tra i quali una
sovvenzione Rockefeller nel biennio 1969/1970 per la
scrittura creativa, una borsa di studi dal National Endowment for the Arts nel 1982 e un premio dall’Associazione
Nazionale dei Giornalisti Neri nel 1984.
Bob, non ultime le credenze voodoo della nonna materna. All’età di tredici anni si imbarcò nella marina mercantile, navigando in giro per il mondo fino al 1940,
quando approdato a New York per studiare letteratura
incontrò William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Con loro
si trasferì a San Francisco, dove incontrarono Gregory
Corso, Jack Kerouac e Lawrence Ferlinghetti, ovvero la
scena Beat americana. Traendo ispirazione dal jazz di
derivazione bebop, Kaufman cominciò a recitare le sue
composizioni spontanee nei bar, nei caffè e nelle strade,
guadagnandosi il soprannome di “The Man Original
Bebop” (in Francia era conosciuto come il Rimbaud
americano). D’altronde, gran parte delle sue pubblicazioni sono la trascrizione delle sue performance orali.
Nel 1959, con Ginsberg, John Kelley e William Margolis
fonda la rivista «Beatitude», dedita a lanciare giovani
poeti. Nonostante i successi delle sue letture pubbliche,
la vita personale di Kaufman si consuma in difficoltà finanziarie, dipendenza da stupefacenti e detenzione,
attraversando lunghi periodi di ritiro e solitudine. Nel
1978 scrive all’editore Raymond Foye «Voglio essere
anonimo… La mia ambizione è quella di essere completamente dimenticato». Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Poems, 1956-1978 (1981); Watch My Tracks
(1971) e Golden Sardine (1966).
Etheridge Knight
Nato da una povera famiglia rurale nel 1931, a quattordici anni, dopo aver terminato il nono anno di scuola,
decise di abbandonare gli studi. D’indole ribelle, traBob Kaufman
Nato a New Orleans (1925 - 1986) da madre nera scorse la giovinezza facendo lavori umili abusando di
cattolica della Martinica e da padre ebreo ortodosso anfetamine, marijuana ed eroina. Nel 1947, nel tentatedesco, educazioni che molto influenzarono il bambino tivo di trovare uno scopo alla sua vita entrò nell'esercito.
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Finita la sua vita militare Knight si stabilì a Indianapolis
dove imparò l'arte del toasting (una primigenia forma
letteraria del contemporaneo Rap musicale). Si dedicò
a letture come l’autobiografia di Malcolm X e le poesie
di Langston Hughes. Divenne famoso con la sua opera
prima, Poems from Prison, nel quale ricordava in versi i
suoi otto anni di prigione scontati dopo un arresto per
rapina nel 1960. Grazie all’aiuto dei poeti Amiri Baraka,
Don Lee, Gwendolyn Brooks e Sonia Sanchez, Knight
ottenne la scarcerazione nel 1968. Ispirato da queste
ultime iniziò a scrivere le proprie esperienze, attingendo
soprattutto al toasting e trasformandolo in poesia. Le
poesie che scrisse in questo periodo suscitarono l’interesse di Dudley Randall, editore e poeta, il quale pubblicò la sua prima raccolta e salutò Knight come uno
dei maggiori poeti del New Black Aesthetic. Knight continuò a scrivere per tutta la vita dopo la scarcerazione.
Belly Song and Other Poems, pubblicato nel 1973,
tratta i temi del razzismo e dell'amore. L'anno successivo
gli venne conferita una Guggenheim Fellowship. Knight
credeva che il poeta fosse un “ficcanaso” o un intermediario tra la poesia e il lettore. Elaborò questo concetto nel 1980 nel suo lavoro Born of a Woman.
Audre Lorde
Audre Lorde si definiva così: «Sono nera, lesbica, femminista, guerriera, poeta, madre». Nata nel 1934 nel
quartiere di Harlem a New York, da genitori originari dei
Caraibi, per mantenersi continuando a studiare ha fatto
l'infermiera, l'operaia, l'impiegata e la bibliotecaria. Ha
poi insegnato all'Hunter College di New York, e successivamente ha viaggiato in tutto il mondo per tenere
conferenze e seminari. Ha pubblicato undici raccolte di
poesie, tra cui The Black Unicorn (1978) e Our Dead
Behind Us (1986), e sei libri in prosa, dal romanzo Zami
(1982) ai saggi di Sister Outsider (1984). Con il convegno “I Am Your Sister: forging global connections
across differences” del 1990 arriva la consacrazione
internazionale della sua figura di letterata e donna impegnata. Dopo una lunga lotta contro il cancro, testimoniata nel bellissimo The Cancer Journals (1980), è
morta il 17 novembre 1992 a Sainte-Croix, nelle Isole
Vergini, dove viveva da sette anni con la sua compagna Gloria Joseph.
Claude McKay
Claude McKay (1889 - 1948) è scrittore e poeta giamaicano. Fece parte del movimento dell’Harlem Renaissance e scrisse tre romanzi: Home to Harlem, best-seller
che vinse l’Harmon Gold Award for Literature, Banjo e
Banana Bottom. Fu autore inoltre di una raccolta di racconti e di due libri autobiografici. Il suo libro di poesie,
Harlem Shadows (1922) fu tra i primi libri pubblicati durante l’Harlem Renaissance, mentre la raccolta di poesie
scelte, Selected Poems fu pubblicata postuma nel
1953. Giovanissimo McKay attirò l’attenzione di Walter
Jekyll, che lo aiutò a pubblicare il suo primo libro di poesie, Songs of Jamaica nel 1912 in lingua Patois (un dialetto che unisce lessico inglese con la costruzione
grammaticale africana). Ma è negli USA che McKay rimase scioccato dal radicato razzismo che vide a Charleston, dove in molte strutture pubbliche si applicava il
principio della segregazione razziale. Mal sopportando
«la vita semi-militare e robotizzata di quel posto»,
McKay si iscrisse alla Kansas State University. Nonostante
la sua carriera universitaria procedesse bene, nel 1914
McKay decise che non voleva diventare agronomo e
si trasferì in Giappone dove sposò la fidanzatina di gioventù, Eulalie Lewars. Nel 1917 McKay vide due sue
poesie pubblicate sulla rivista «Seven Arts» con lo pseudonimo di Eli Edwards, mentre continuava a lavorare
come cameriere per le ferrovie. Nel 1919 conobbe
Crystal e Max Eastman, fondatori ed editori di «The Liberator» (dove McKay avrebbe lavorato come CoExecutive Editor fino al 1922). Fu qui che pubblicò una
delle sue poesie più famose, If We Must Die, durante
l’“Estate Rossa del 1919”, un periodo di intensi scoppi
di violenza razziale contro la gente di colore nelle società anglo-americane. Questo successo coincise col
momento in cui diventò uno scrittore professionista.
McKay si unì a un movimento di attivisti radicali neri che
non erano soddisfatti né del nazionalismo nero di Marcus Garvey, né dell'organizzazione riformista della classe
media NAACP. Lo scopo del movimento era l'autodeterminazione delle persone di colore nel contesto di
una rivoluzione socialista, una organizzazione rivoluzionaria semi-segreta, l'African Blood Brotherhood. A Londra, dove si trasferì si avvicinò al socialismo e cominciò
a leggere Marx, frequentando l’International Socialist
Club. Nel 1920 iniziò una regolare collaborazione con
il «Workers’ Dreadnought» e con la WFS, un gruppo comunista attivo nell’East End di Londra. Divenne il primo
giornalista di colore nel Regno Unito. Frequentò la Communist Unity Conference che in seguito fondò il Partito
Comunista del Regno Unito. In quel periodo riuscì a far
anche pubblicare alcune delle sue poesie nel «Cambridge Magazine», edito da C. K. Ogden. Nel 1922 visitò la Russia sovietica e assistette al quarto Congresso
dell’Internazionale comunista a Mosca durante la quale
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incontrò molti dirigenti bolscevichi come Trotsky, Bucharin
e Karl Radek. Nel 1928 McKay pubblicò il suo romanzo
più noto, Home to Harlem, che vinse l’Harmon Gold
Award for Literature. Il romanzo, che ritrae la vita di
strada di Harlem, avrebbe avuto un grande impatto
sugli intellettuali di colore dei Caraibi, dell’Africa occidentale ed europei. Rimasto deluso dal comunismo,
McKay aderì agli insegnamenti sociali della Chiesa cattolica e si fece battezzare.
Carolyn Rodgers
Carolyn Rodgers, scrittrice e poetessa statunitense, nata
nel 1945 e recentemente scomparsa è stata una protagonista del Black Arts Movement (Bam), impegnata
per la crescita culturale della popolazione nera. Eretica,
il suo femminismo e la sua opera poetica e letteraria
non furono graditi alla leadership maschile delle organizzazioni black. Le sue idee rivoluzionarie e radicali
smantellavano la visione tradizionale della donna nella
comunità afroamericana. Con i suoi racconti e soprattutto con le sue poesie, la Rodgers ha dato voce alle
rivendicazioni delle donne ed è stata una protagonista
della lunga battaglia contro il razzismo e l’esclusione
sociale. Ha scritto nove raccolte di liriche nelle quali ha
svelato esperienze, sofferenze e aspirazioni delle ragazze nere d’America. Alla metà degli anni Sessanta,
quando era una delle più importanti esponenti del Bam,
fondò la casa editrice Third World Press insieme a Haki
Madhubuti, con cui pubblicò due libri di versi, Paper
Soul e Songs of a Blackbird. Poco dopo fondò la sua
casa editrice, l’Eden Press, con cui ha stampato i successivi libri. Al lavoro letterario ha affiancato innumerevoli
workshop, incidendo nella formazione di centinaia di
Canada, a Cuba e nei Caraibi. L’autrice fa anche parte
di Plowshares, della Brandywine Peace Community. Supporta inoltre il National Black United Front. Era membro
del CORE (Congress for Racial Equality), dove ha incontrato Malcolm X. Ha scritto molti testi teatrali e libri che
trattano la vita e le lotte dell’America Nera, tra i quali
due antologie di letteratura: We Be Word Sorcerers: 25
Stories by Black Americans e 360° of Blackness Coming
Sonia Sanchez
Sonia Sanchez, all’anagrafe Wilsonia Benita Driver at You. È conosciuta inoltre per la sua innovativa fusione
(1934), è autrice di oltre una dozzina di libri di poesie, di generi musicali, come il blues, con le forme poetiche
di testi teatrali e di libri per bambini. Nel 1943 si è tra- tradizionali quali gli haiku e i tanka.
sferita ad Harlem per vivere con il padre, la sorella e la
matrigna, che era la terza moglie del padre. Nel 1955 Margaret Walker
ha ottenuto la laurea in scienze politiche all’Hunter Col- Nata nel 1915, è poetessa e scrittrice afroamericana,
lege, dove aveva seguito anche alcuni corsi di scrittura figlia di un pastore metodista, nel 1935 consegue il
creativa. In seguito, ha completato il percorso post-lau- Bachelor of Arts Degree presso la Northwestern Univerrea alla New York University, dove aveva studiato poesia sity e successivamente nel 1936 inizia a lavorare con
con Louise Bogan. Nel 1972 è entrata a far parte della la Write Project del Progress Works Administration. Nel
Nation of Islam, lasciata dopo tre anni per la sua visione 1942 consegue il master in scrittura creativa presso la
dei diritti delle donne in evidente contrasto con quella University of Iowa diventando nel trentennio che va dal
dell’organizzazione. Sanchez ha sposato il poeta Ethe- 1949 al 1979 professore in letteratura presso la Jackridge Knight, dal quale ha poi divorziato. Ha insegnato son State University. Fonda nel 1968 l’Institute for the
in otto università e ha tenuto lezioni in oltre 500 campus Study of History, Life and Culture of Black People (oggi
in tutti gli Stati Uniti, tra cui la Howard University. Ha inoltre denominato il Margaret Walker Alexander National Resostenuto l’introduzione di un corso di studi sulla comu- search Center). Tra le sue opere più famose si ricorda
nità e sull'arte nera in California. Sonia Sanchez è stata For My People, vincitore nel 1942 del Yale Series of
la prima a creare e tenere un corso universitario incen- Younger Poets Competition, e il romanzo Jubilee
trato sulle donne di colore e la loro letteratura negli Stati (1966), crudo racconto della schiavitù nella biografia
Uniti. È stata la prima a ricoprire la carica di Presidential di sua nonna. Pubblica nel 1973 October journey, voFellow alla Temple University, dove ha iniziato a lavorare lume di poesia, al quale seguirà nel 1989 This is my
nel 1977. Ha mantenuto tale carica fino al 1999, century: new and collected poems. Nel 1988 citerà in
quando si è ritirata. Ha tenuto letture pubbliche delle giudizio l’autore Alex Haley, sostenendo che il suo rosue poesie in Africa, Cina, Australia, Europa, Nicaragua, manzo Roots: The Saga of an American Family aveva
giovani, ha insegnato al Columbia College (19681969), all’Università di Washington (1970), al Malcolm
X Community College (1972), all’Albany State College
(1972), all’Università dell’Indiana (1973). È stata anche
un critico letterario per il «Chicago Daily News» ed editorialista del «Milwaukee Courier».
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violato il diritto d’autore del suo Jubilee. Il caso è passato in prescrizione.
POESIA MEDIORIENTALE
La Boqala
La Boqala è un rito di divinazione e di poesia. Le sedute si tengono di notte, e vi sono ammesse solo le
donne. La padrona di casa porta un boccale (boqala)
pieno d’acqua e ogni donna vi deposita un gioiello.
La più anziana lo fa girare sette volte sopra un braciere,
recitando formule d’incantesimo.
Chiede a ciascuna donna di pensare a una persona
cara o una situazione che la preoccupa. Poi, recita una
Boqala, una poesia corta di quattro o cinque versi. La
poesia può provenire dalla memoria secolare degli avi,
oppure dall’improvvisazione del momento. Poi, le donne
chiedono a una vergine di prendere a caso un gioiello
dal boccale. La proprietaria del gioiello deve trovare
nella poesia recitata quel che può essere illuminante
della sua vita e dei suoi amori, annunciarle partenze,
gioie o dolori. E così via.
Questa poesia anonima e orale è essenzialmente cittadina e femminile, e ha radici profonde nella storia del
Mediterraneo. Le donne algerine soffrono di una libertà
limitata e di un avvenire incerto: la Boqala permette loro
di evadere e nello stesso tempo di strappare il proprio
futuro dalle mani degli uomini per affidarlo alla poesia.
Cantico dei Cantici
Attribuito al re Salomone, celebre per la sua saggezza,
per i suoi canti e anche per i suoi amori, Il Cantico dei
Cantici fu composto non prima del IV secolo a.C., ed è
e Vsevolod Meyerhold. Tornato in patria, venne arrestato più volte con l’accusa di propaganda comunista,
e dal 1938 al 1950 rinchiuso nella prigione di Bursa. Fu
Erez Biton
Nato in Algeria da famiglia di origine marocchina, nel poeta, playwright, romanziere e memorialista. La sua
1948 Biton emigra in Israele con la famiglia. È conside- poesia è centrata sulla denuncia sociale, tanto da esrato uno dei primi leader della battaglia sociale degli sere definito un “comunista romantico” e un “rivoluzionario romantico”.
ebrei di origine orientale.
Le sue poesie sono state tradotte in oltre 50 lingue.
Muore nel 1963.
Kahlil Gibran
Nato in Libano nel 1883. Strutturato nella forma del versetto, Il Profeta racconta del rapporto tra l’uomo e la Omar Khayyam
natura, secondo la filosofia mistica e panteistica che Non si conosce la data esatta della sua nascita, avcaratterizza la filosofia dell’autore. Continuamente in bi- venuta verso la metà del secolo XI°, nella Persia Nordlico tra il sermone e l’epigramma, tra la parabola e l’afo- Orientale. Considerato da alcuni un mistico, da altri un
risma, la sua prosa poetica è ricca di allegorie visionarie dissacratore e ateo scettico, o ancora un filosofo che
esprime in versi l’ansia di conoscere il Vero.
che richiamano i Salmi e l’Apocalisse.
Khayyam si esprime attraverso le Quartine, un genere
letterario che comporta immagini obbligate.
Hafez
Visse nel XIV° secolo nella città persiana di Shiraz. L’appellativo di Hafe, con il quale divenne conosciuto, si- Haidar Mahmud
gnifica “colui che conosce a memoria il Corano”. Si dice Haidar Mahmud è un poeta giordano contemporaneo,
in Iran che due libri non possano mancare in ogni casa: nato nella città di Haifa, conosciuto per le sue poesie
il suo Canzoniere e Il Corano. Dai suoi versi, che tutti di carattere nazionalistico. Nelle sue poesie prevale la
sanno recitare a memoria, si ricavano addirittura vaticini vitalità e l’autenticità dei sentimenti, e si avverte una viper predire il futuro. La sua opera poetica si compone sione chiara e ottimista del poeta circa il futuro del popolo arabo in generale e quello Giordano e Palestinese
di circa 500 canzoni.
in modo particolare. Fra le sue opere ricordiamo le seguenti raccolte poetiche: Scusa per un imprevisto guasto
Nazim Hikmet
Nato a Salonicco nel 1902, quando la Grecia era an- tecnico, Dalle parole dell’ultimo testimone, Scorre questa
cora sotto il dominio turco. Nel 1921 fuggì dalla Turchia notte e L’Oleandro canta sul fiume.
e andò in Russia, a Mosca, dove si inserì nel movimento
culturale rivoluzionario dell’URSS, rimanendo colpito e Giala ad-Din Rumi
ispirato dagli esperimenti letterari di Vladimir Mayakovsky Nato nel 1207 in Persia, fondatore della confraternita
uno degli ultimi testi raccolti nel canone della Bibbia.
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sufi dei “dervisci danzanti”, è considerato il massimo
poeta mistico della letteratura persiana.
Ronny Someck
Nato a Bagdad, emigra con la famiglia in Israele nel
1953. Due sue antologie poetiche sono state tradotte
in arabo. Gli sono stati assegnati diversi premi letterari,
e recentemente il premio Hans Berghhuis alle serate internazionali di poesia di Maastricht.
Yasìn Ţaha Hafež
Poeta iracheno nato nel 1936 nella città di Bagdad.
Iniziò i suoi studi scolastici nella scuola Al-Fadl a Bagdad, ma li completò nella città di Bâquba laureandosi
nel 1961 alla facoltà di pedagogia, con indirizzo lingue straniere. Lavorò come docente di lingua inglese,
e fu segretario della redazione della rivista «At-taliâ aladabeia» («L’avanguardia letteraria») e redattore
capo della rivista «Ath-thaqafa al-ajnabeia» («La cultura straniera»). Successivamente pubblicò una decina
di raccolte poetiche, fra cui citiamo: Il mostro e la memoria (1969), La torre (1977), Il canto (1978), Muoiono
i fiori (1986), Una notte di vetro (1987) e infine Le poesie della bella signora (1988). Molti altri suoi scritti di
poesia e critica sono stati pubblicati da giornali e riviste
in Iraq e nel resto del mondo arabo. Il poeta fa parte
della generazione dei letterati appartenenti alla scuola
della poesia moderna, i suoi scritti hanno un contenuto
ricchissimo di vocaboli, di espressioni compatte e significative, e lo stile dominante nei suoi lavori è quello della
poesia libera.
LIBRETTO D’OPERA
un certo successo anche l’opera buffa Amor vuol sofferenza, messa in musica da Leonardo Leo. Viene considerato uno dei massimi librettisti di scuola napoletana
Giovanni Bertati
Giovanni Bertati (Martellago, 1735 – Venezia, 1815) in- della prima metà del Settecento.
traprese gli studi ecclesiastici presso il seminario di Treviso, tuttavia successivamente riuscì a diventare libret- Carlo Goldoni
tista. Nel 1763 scrisse il suo primo Libretto, La morte di Carlo Goldoni (Venezia 1707- Parigi 1793) lasciò la
Dimone, musicato dal compositore Antonio Tozzi. Nel carriera giuridica per il teatro, raggiungendo il primo
1765 fu rappresentata a Vienna L’isola della fortuna, successo nel 1734 con la tragedia Belisario. Fece
con Libretto di Bertati e musica di Luchesi. Dal 1770 la- parte come poeta drammatico della compagnia di Givorò a Vienna più volte collaborando con Baldassarre rolamo Medebach di Venezia, rappresentando la sua
Galuppi. Dall’imperatore Leopoldo II fu nominato Poeta prima commedia nel 1743, La donna di Garbo. Per la
Cesareo dell’Opera Italiana a Vienna, succedendo a stessa compagnia e per il Teatro Sant’Angelo, Goldoni
Lorenzo Da Ponte. Rimase a Vienna fino al 1794, per- scrisse numerose commedie, attuando quella riforma
ché poi fu sostituito da Giovanni De Gamerra. Tornato stilistica esposta nel Teatro Comico del 1751, secondo
a Venezia diventò archivista presso l’Arsenale. Durante la quale l’autore si propose di restituire dignità letteraria
tutta la sua carriera di librettista si dedicò quasi esclu- al teatro, sostituendo all’improvvisazione buffonesca
sivamente alla scrittura di drammi giocosi prendendo della commedia dell’arte uno studio dei caratteri frizcome esempi il celebre Carlo Goldoni e Pietro Chiari, zante e gradevole. Nel 1762 si trasferì a Parigi a diriperò senza mai arrivare alla fama di questi grandi libret- gere la Commédie Italienne; divenne poi insegnante di
tisti. Di Giovanni Bertati sono conosciuti 70 libretti, quello italiano per le figlie di Luigi XV. Morì quasi in miseria a
più celebre fu Il matrimonio segreto musicato da Dome- Parigi nel 1793. Scrisse oltre 150 lavori in italiano e in
dialetto veneziano. Famose le sue Mémoires, in francese,
nico Cimarosa (1792).
iniziate nel 1784 e pubblicate nel 1787. Come librettista di opere comiche Goldoni si distinse per l’abilità con
Gennaro Antonio Federico
(… – Napoli, 1744), avvocato di professione divenne cui adattò la sua capacità di scrittura alle esigenze muperò attivo come librettista; fu autore di commedie in sicali che richiedevano una riduzione dei dialoghi. Tra i
prosa e libretti per componimenti sacri, opere buffe e suoi libretti si ricordano due musicati da Galuppi L’arcaintermezzi. Durante la sua attività librettistica l'opera co- dia in Brenta (1749), Il filosofo di campagna (1754),
mica napoletana cominciò a utilizzare un linguaggio La Cecchina, la famosa trasposizione di un romanzo
più italianizzato al posto del dialetto. Il suo testo più epistolare inglese Pamela, musicato da Niccolò Piccinni
popolare è l’intermezzo La serva padrona (1733), (1760) e poi Il mondo della luna, musicato da Haydin.
messo in musica da Giovanni Battista Pergolesi. Riscosse
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Giuseppe Palomba
Giuseppe Palomba (prima del 1765 – dopo il 1825),
nipote del poeta e librettista Antonio Palomba, fu attivo
a Napoli e scrisse oltre 300 libretti che furono messi in
musica dai maggiori operisti dell'epoca. Anche se la sua
vena poetica era di livello stilistico inferiore allo zio Antonio, la sua attività comunque fu molto proficua. Numerosi sono i libretti da lui scritti tra i quali si ricordano
le opere comiche musicate da Paisiello La Molinara più
noto come L’amor contrastato (1788), da Rossini Le
cantatrici villane (1798), da Cimarosa Le astuzie femminili (1794).
Giuseppe Petrosellini
Giuseppe Petrosellini (Corneto, oggi Tarquinia, 29 novembre 1727 – Roma, ca. 1797) fu librettista al servizio
della corte pontificia, nonché membro dell'Accademia
dell'Arcadia e di molte altre accademie. Egli preferiva
scrivere commedie cariche di travestimenti e macchinazioni, e per tali libretti si impegnarono i più noti compositori d'opera della sua epoca e successivi, come
Baldassarre Galuppi, Giuseppe Nicolini, Niccolò Piccinni, Pasquale Anfossi, Domenico Cimarosa, Giovanni
Paisiello, Antonio Salieri, Wolfgang Amadeus Mozart.
Famoso il dramma giocoso Il Barbiere di Siviglia ovvero
La precauzione inutile, musicato nel 1782 da Giovanni
Paisiello.
Ottavio Rinuccini
Ottavio Rinuccini (Firenze 1562 - 1621) fu il primo vero
librettista d’opera. Di famiglia aristocratica, frequentò
giovanissimo la Camerata de' Bardi, il circolo di intellettuali, poeti e musicisti, nell'ambito del quale nasce il me-
lodramma. È infatti di Ottavio Rinuccini il Libretto del
primo melodramma Euridice (1600) musicata da Peri e
Caccini, che venne rappresentata a corte in occasione
di nozze. Sull'esempio di Gabriello Chiabrera e della lirica francese (per qualche anno infatti fu in Francia, alla
corte di Enrico IV), compose anche delle poesie, pubblicate postume, nel 1622.
BEAT GENERATION
Gregory Corso
Esponente di spicco della sua generazione, Gregory
Corso (1930 – 2001) rappresenta una delle anime più
indomite della stagione poetica di rivolta del secolo
scorso. Si avvicinò giovanissimo alla cultura e alla letteratura nel periodo in cui entrava e usciva di continuo dal
riformatorio. Disse di lui la scrittrice Fernanda Pivano: «Insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più
assoluta imprevedibilità, qualunque cosa abbia detto o
scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una
sciocchezza». Mentre Kerouac sottolineava: «Gregory
era un ragazzino duro dei quartieri bassi che crebbe
come un angelo sui tetti e che cantava canzoni italiane,
con la stessa dolcezza di Caruso e Sinatra». Incarcerato
nella prigione di Stato di Clinton come scassinatore nel
1947, Gregory Corso iniziò a scrivere poesie. Rimesso in
libertà nel 1950, tornò a New York e qui incontrò Allen
Ginsberg in un bar nel Greenwich Village. Subito colpito
dalle sue poesie, Ginsberg presentò Corso agli altri membri della scena letteraria e lo aiutò a trovare un editore.
Tra le sue raccolte ricordiamo Gasoline del 1958 e Elegiac Feelings American del 1970. Corso visse a lungo in
Europa, trascorrendo quasi un decennio a Parigi, in cui
risiedettero anche Ginsberg, Peter Orlovsky e William Burroughs. Tra gli anni Settanta e Ottanta fu spesso in Italia,
soprattutto a Roma, tenendo letture, a volte con performance musicali. Le sue ceneri riposano a Roma nel Cimitero acattolico, vicino la tomba di Shelley, poeta al quale
si è spesso ispirato; nello stesso luogo, poco più distante,
è sepolto anche John Keats, altro poeta particolarmente
apprezzato da lui.
Lawrence Ferlinghetti
Nasce New York nel 1919. Suo padre morì prima della
sua nascita, poco dopo la madre impazzì e fu ricoverata
in un ospedale pubblico, a questo punto il piccolo Lawrence finì in un orfanotrofio. Iscritto alla University of North
Carolina diventa il direttore del giornale universitario.
Dopo avere terminato gli studi decide di andare in Francia, dove lavora al dottorato di laurea in poesia alla
Sorbona di Parigi. Successivamente torna a San Francisco dove insieme a Peter Martin inizia la pubblicazione
del magazine «City Lights». Dopo poco tempo i due
aprono la libreria The City Lights bookstore, che ancora
oggi si trova nel luogo originario. Ferlinghetti pubblica il
suo primo libro di poesia Pictures from a Gone World nel
1955 per la City Light, la casa editrice da lui fondata. La
seconda raccolta A Coney Island of the Mind esce nel
1958 e diventa subito un successo, tanto che fino a oggi
è riuscito a vendere oltre un milione di copie. Nella sua
attività di editore è stato il primo a pubblicare la discussa
opera di Allen Ginsberg Howl. Dopo la pubblicazione
di Howl, Ferlinghetti fu accusato di pubblicazione di
opera oscena e indecente. Trasforma il suo capanno a
Big Sur, piccolo e rustico ritrovo sulla costa californiana,
in un luogo di ritrovo e di riflessione poetica/ambientalistica, tanto che Kerouac vi ambienta il suo intimistico romanzo Big Sur. Una delle menti più “politiche” del beat,
Ferlinghetti è tuttora impegnato nella battaglia pacifista.
La poesia di Ferlinghetti è insieme popolare e colta, ricca
di echi di impronta romantica wordsworthiana.
Diane Di Prima
Nasce a Brooklyn, New York, nel 1934. È di origine italiana, il nonno materno Domenico Malozzi fu un attivista
anarchico. Comincia a scrivere giovanissima, conoscendo nel tempo figure come Ezra Pound e Kenneth
Patchen. La sua prima raccolta poetica, This Kind of Bird
Flies Backwards, viene pubblicata nel 1958 dalla Totem
Press di Hettie e LeRoi Jones. Nel 1962 conosce il maestro zen Suzuki Roshi, grazie al quale si avvicina al
buddismo. Diane Di Prima pubblica The Floating Bear
con Amiri Baraka (LeRoi Jones) e insieme fondano il New
York Poets Theatre. Ha fondato, inoltre, la Poets Press.
Nel 1966 si trasferisce a Millbrook, entrando nella comunità psichedelica di Timothy Leary. Nel 1969 pubblica il racconto della sua esperienza beat in Memoirs
of a Beatnik. Nel 1970 si trasferisce in California, dove
vive tuttora. Qui entra a far parte del movimento “Diggers” e studia il buddhismo, il sanscrito, lo gnosticismo e
l'alchimia. È in questo contesto culturale e spirituale che
esce il suo lavoro maggiore, il poema Loba, nel 1978.
Dal 2000 insegna in un master di Poesia a Chicago.
Nel 2009 è stata nominata poeta laureato di San Fran- Allen Ginsberg
Nato nel New Jersey da famiglia ebraica (1926 –
cisco.
1997), crebbe influenzato da un padre poeta e pro-
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fessore di liceo e una madre affetta da una rara malattia psicologica che non venne mai correttamente
diagnosticata, fu membro attivo del Partito Comunista.
Difatti, già da adolescente cominciò a scrivere lettere
al «New York Times» su questioni politiche e i diritti dei
lavoratori. La biografia diventa uno snodo fondante
della sua poetica, come il primo lungo poema Kaddish
per Naomi Ginsberg (1894-1956), in cui fotografa episodi della sua infanzia. Durante gli anni in cui era matricola alla Columbia, conobbe Lucien Carr, un
compagno di università che lo presentò a un certo numero di scrittori beat, tra cui Jack Kerouac, William S. Burroughs e John Clellon Holmes. Ginsberg e Carr
parlavano animatamente di una nuova visione (una
frase presa da Arthur Rimbaud), per la letteratura e
l'America. Carr fece conoscere Ginsberg a Neal Cassady, per il quale ebbe una lunga infatuazione. Kerouac
descrisse in seguito l'incontro tra Ginsberg e Cassady
nel primo capitolo del suo romanzo del 1957 On the
Road. Nel 1948, in un appartamento a Harlem, Ginsberg ebbe un’allucinazione uditiva durante la lettura
di una poesia di William Blake (in seguito denominata
la sua visione Blake). Ginsberg in un primo momento sostenne di aver sentito la voce di Dio, ma poi interpretò
la voce come quella di Blake stesso. Howl venne messa
al bando per oscenità poco dopo la sua pubblicazione, nel 1956, da parte della City Lights di San Francisco. Nel 1957, Ginsberg sorprese il mondo letterario
abbandonando San Francisco; in seguito viaggiò
molto (Parigi, Londra, India…). Tra le sue opere ricordiamo Hadda be Playin’ on a Jukebox, un poema che
ruota attorno a eventi degli anni Sessanta e Settanta,
Plutonian Ode, poema contro gli armamenti nucleari e
Empty mirror del 1961. Negli anni Settanta, contro l’imperialismo americano, scrisse The fall of America e, dopo
un deciso rifiuto nei confronti della società occidentale,
convertitosi al buddismo, nel 1978 scrisse Mind breaths.
Jean-Louis Lebris de Kerouac
(noto come Jack Kerouac)
Jack Kerouac (1922 – 1969), nasce da una famiglia di
emigranti canadesi di condizioni modeste e nel 1928
inizia a frequentare la scuola parrocchiale di St. Louis
de France, dove l’insegnamento è in lingua francese e
permeato di religiosità cattolica. Nel 1940 si immatricola alla Columbia University grazie a una borsa di studio ottenuta per meriti atletici, ma un infortunio alla
gamba lo esenta dagli allenamenti, avendo così la
possibilità di frequentare locali jazz, musei, cinema, teatri,
e tutte le seduzioni di Times Square e di Harlem. Nel
1944 incontrò Lucien Carr, che gli farà conoscere William Burroughs e Allen Ginsberg, con i quali darà vita al
nucleo originario della beat generation (termine da lui
stesso coniato nel 1947) che annovera le presenze di
Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Gary Snyder, Michael McClure e Charles Olson. Una mattina Carr uccide un suo amante e Kerouac viene arrestato come
testimone. Il padre si rifiuta di pagare la cauzione e la
famiglia di Edith Parker si offre di coprire queste spese,
a patto che Jack sposi la ragazza. Ma l’incontro più importante per la sua vita lo ebbe nel 1946, quando conobbe Neal Cassady, un giovane che aveva fatto
l'esperienza del riformatorio e aveva interessi letterari, il
quale divenne per Kerouac il simbolo della vera emarginazione e fonte di ispirazione letteraria. Deciso a raggiungere il nuovo amico a Denver, Jack intraprende il
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primo viaggio verso il Nord America, viaggio che costituisce la prima parte di On the Road, scelta di vita (e
letteraria) alla maniera degli hobo e manifesto della
Beat generation, che sancisce il definitivo approdo a
quella che chiamerà “prosa spontanea”. Esordisce
come scrittore con il romanzo The Town and the City,
pubblicato nel 1950 e influenzato dallo stile dello scrittore americano Thomas Wolfe. Nonostante ciò, ebbe
un immediato successo. Ritornato a New York in seguito
ad un nuovo viaggio verso ovest, Jack conosce Joan
Haverty, che sposerà nel 1950. Nascono così capolavori poetici che testimoniano un percorso sostanzialmente autobiografico da Big Sur (1962 ) a The Dharma
Buns (1958) a The Subterraneans (1953). «La mia opera
forma un unico grosso libro come quella di Proust, soltanto che i miei ricordi sono scritti di volta in volta» (Jack
Kerouac, 1962).
Norman Mailer
Mailer (1923 – 2007) nacque nel New Jersey, crebbe
a Brooklyn e studiò ad Harvard, laureandosi in ingegneria aeronautica, ma divorando i classici del realismo
americano. Nel 1943 partì per il fronte della seconda
guerra mondiale, attento a trasformare ogni esperienza
nel romanzo più sensazionale. Difatti ci riuscì, nel 1948,
e The naked and the Dead lo rese famoso e ricco. Intanto, come fondatore e cronista del giornale del Greenwich Village, iniziò la propria battaglia contro la
società americana totalitaria, repressa, repressiva e nevrotica. Così si fece portavoce della rivolta hippie, di
cui creò a un tempo la filosofia e la mitologia in The
White Negro (1967). In quest'opera egli gettò le basi
di un misticismo della carne, ispirato alla spontaneità,
alla violenza, alla ricerca di sensazioni immediate che
sarebbero proprie dei neri. La sua stessa vita si improntò
a questo modello, e spesso diede esca a cronache
scandalistiche: si rese famoso come bevitore di whisky
e fumatore di marijuana, ma anche per aver accoltellato la moglie e per aver sfidato un campione di pugilato. Finì in carcere, ma ormai la sua fama lo precedeva.
Nel 1964 con An America Dream, rileggendo Karl Marx
attraverso il sessuologo Wilhelm Reich, ha fatto un quadro allucinante delle nevrosi del suo paese (la guerra
del Vietnam sarebbe diventata una compensazione di
tali nevrosi). Nel 1967 fu alla testa della marcia pacifista
sul Pentagono, descritta poi in Armies of the Night (premio Pulitzer e National Book Award nel 1969).
Carl Solomon
Scrittore e poeta americano (1928 – 1993) nasce in
quel Bronx a New York che decisamente caratterizzerà
la sua formazione. A undici anni perde il padre, evento
che influenzerà tutta la sua vita d’artista. Terminate le
scuole si arruola nell’esercito americano, grazie al quale
viaggerà molto e riuscirà a entrare in contatto con i movimenti dadaisti e surrealisti francesi. In particolare, a Parigi, rimane colpito dall’opera di Antonin Artaud, dalla
sua necessità di riformulare l’espressività dell’attore, e di
cui diventa per molti anni discepolo. Tornato a New
York, conosce Allen Ginsberg all’ospedale psichiatrico,
lì ricoverato in alternativa al carcere. Nasce un’amicizia
che durerà fino alla morte e proprio grazie a Ginsberg,
che ha dedicato a Solomon il suo poema Howl, la fama
dello scrittore del Bronx è cresciuta. Una delle opere
più conosciute di Solomon è Report from the Asylum: Afterhoughts of a Shock Patient, in cui racconta la sua
esperienza con la terapia dell’elettroshock. Due raccolte di poesie in forma di prosa sono pubblicate dalla
City Lights Books di Ferlinghetti: Mishaps, Perhaps e More
Mishaps, Emergency Messages.
Fernanda Pivano
Saggista, traduttrice, scrittrice e giornalista, Fernanda Pivano (1917 – 2009) nasce a Genova ma la sua formazione avviene a Torino, dove si laurea in Lettere con
una tesi in letteratura americana. È subito una folgorazione, la cultura nordamericana che riesce a tenere assieme fotografia, letteratura, pittura e cinema, è per lei
un moto di spirito. La carriera letteraria inizia nel 1943,
quando pubblica per Einaudi la sua prima traduzione
della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters,
sotto la guida del suo maestro Cesare Pavese. Nel
1949 sposa l’architetto e designer Ettore Sottsass e si
trasferisce a Milano. Nel 1956 compie il primo viaggio
negli Stati Uniti che sarà seguito da numerosi altri viaggi
anche in altri paesi. Dopo aver tradotto e studiato i lavori dei maggiori classici nordamericani ha promosso la
valorizzazione in Italia degli scrittori della Beat generation. In anni più recenti ha continuato a segnalare al
pubblico e alla critica i giovani scrittori U.S.A. di talento
che si sarebbero presto imposti sulla scena letteraria internazionale, da Don De Lillo ai minimalisti. Il suo infaticabile impegno è stato ricambiato da vera amicizia da
parte degli artisti e scrittori (non ultimo, il sodalizio con
Fabrizio De Andrè), riconoscendo in lei una qualità di
studiosa assolutamente originale. È autrice di molte traduzioni, e altrettante curatele, antologie, raccolte di
saggi e memorie, due romanzi e un numero impressionante di articoli, interviste e recensioni. Ha ricevuto mol-
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tissimi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Saint Vincent per il giornalismo (1964), il Premio Monselice per
la traduzione (1975), il Premio letterario Giovanni
Comisso (1985), il Premio Estense (1998), il Grinzane
Cavour (2003).
John Wieners
Originario di Milton, nel Massachusetts, Wieners (1934 –
2002) ha lavorato come attore e direttore di scena
prima di giungere nel 1958 a San Francisco, dove partecipò attivamente alla San Francisco Poetry Renaissance. È di quell’anno la pubblicazione di The Hotel
Wentley Poems a soli ventiquattro anni. Nel 1961 si trasferisce a New York per lavorare come assistente contabile alla Eighth Street Books, vivendo fino al 1963 con
Herbert Huncke. Tornato a Boston nel 1963, s’impiegò
come editor per Jordan Marsh; è di quegli anni il secondo libro Ace of Pentacles. Comincia a insegnare
sotto la guida di Charles Olson fino all’uscita nel 1970
del volume Nerves, una raccolta che “racconta” del suo
attivismo nei comitati di azione politica e il movimento di
liberazione gay. Nel 1975 esce Behind the State Capitol or Cincinnati Pike, un’opera complessa che raccoglie
testi di versi, intuizioni, riflessioni e prose brevi messi insieme
come in un montaggio cinematografico. Nel 1999, al
Guggenheim Museum, Wieners legge per l’ultima volta in
pubblico i suoi testi in una performance dedicata alla
pittura dell’artista italiano Francesco Clemente.
NUOVI POETI
zin), appaiono in volumi miscellanei e su diverse riviste.
È curatore dell’antologia poetica di Umberto Piersanti,
Per tempi e luoghi (Il Battello ebbro, 1999) e degli scritti
Alice Clarini
Alice Clarini nasce a Roma il 15 settembre del 1979. critici di Franco Loi, Baldini per me (in uscita per l’editore
Fin da piccola il suo mondo è fatto di musica e parole. Pazzini). Ha pubblicato la raccolta di versi Altrove, nel
Il suo percorso artistico comincia nel 2000 con piccole folto (a cura di Dario Bellezza, Roma, 1990).
esibizioni live fino a portare alla realizzazione di un
demo e di un progetto discografico. Il mondo della mu- Maria Grazia Calandrone
sica però le richiede dei compromessi commerciali che Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964 vive a Roma)
non è disposta ad accettare. Lasciatasi alle spalle il ha pubblicato: Pietra di paragone (Tracce, 1998, edisogno discografico continua a esprimersi privilegiando zione Premio Nuove Scrittrici 1997), La scimmia randal’universo poetico a quello musicale. Dopo la laurea in gia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima e
Psicologia, decide di far conoscere i suoi componimenti. finalista Premio Dessì), Come per mezzo di una briglia
Nel 2007 partecipa alla seconda edizione del premio ardente (Atelier, 2005 – terna Premio Valeri) La macPensieri d’inchiostro indetto dalla Giulio Perrone Editore china responsabile (Crocetti, 2007 – II Premio San Giue arriva tra i tre finalisti. L’anno seguente lo vince e final- liano e finalista Premio Luzi) e Sulla bocca di tutti
mente vede pubblicata la sua prima raccolta di poesie, (Crocetti, in uscita nel marzo 2010); ha scritto recitativi
Dischi Rotti. Oggi lavora come educatrice in una casa per Sonia Bergamasco e frammenti poetici intorno alla
famiglia per disabili psichici e sta preparando la sua Guerra Civile Spagnola per la compagnia internazionale Théatre en vol e per Radio 3 e ha collaborato
seconda raccolta.
come autrice con il filosofo Massimo Adinolfi per il canale culturale Sky RED TV; ha ideato e cura le introduManuel Cohen
Nato nel 1967, ha trascorso la parte fondamentale zioni critiche di Cantiere Poesia, rubrica dedicata alla
della sua esistenza a Urbino, attualmente si divide tra scoperta di poeti nuovi o dimenticati, per il mensile inRoma e Bruxelles. Cofondatore della rivista italo-svizzera ternazionale «Poesia»; sue sillogi compaiono in antolo«Profili letterari» (1991-96), redattore di «Pelagos» gie e riviste di numerosi paesi europei e delle due
(dal 1991) della neo-dialettale «Il parlar franco» (dal Americhe; dal 1993 viene invitata nei più rilevanti festival
2001), e di «Carte Urbinati» (rivista di critica letteraria nazionali e internazionali e dal 2008 porta in scena in
dell’Università di Urbino, 2009), dirige con Gualtiero De Italia e in Europa con il compositore Stefano Savi ScarSanti una collana di scritture neo-dialettali presso l’edi- poni il videoconcerto Senza bagaglio, finalista al Roma
tore Pazzini. Suoi versi ed interventi critici (saggi su Bal- Europa Festival.
dassari, Baldini, Fucci, Guerra, Bellezza, Bellucci, D’Elia,
Neri, Piersanti, Volponi, Pasolini, Luzi, Buffoni, Serrao, Fran-
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Evelina De Signoribus
Nata nel 1978, si è laureata in Letteratura Italiana Contemporanea a La Sapienza di Roma. Alcune sequenze
poetiche sono apparse su «Nuovi Argomenti» (n. 36,
2006), «Il Caffè illustrato» (n. 34, 2007), «L’immaginazione» (n. 233, 2007) e nell’antologia 12 Poetesse italiane (Nuova Editrice Magenta, Varese 2007), Jardines
secretos Joven Poesía Italiana (trad. di Emilio Coco, SIAL
Ediciones, Madrid 2008). Nel 2008 ha pubblicato il
quaderno di racconti La capitale straniera (questipiccoli, Ascoli Piceno). La sua prima raccolta di poesie si
intitola Pronuncia d’inverno (Canalini e Santoni, Ancona
2009).
Domenico Donatone
È nato a Termoli (CB) nel 1980. Trasferitosi a Roma, nel
2005 si laurea in Lettere alla Sapienza con una tesi su
Giovanni Cerri (poeta dialettale molisano). Nello stesso
periodo inizia a collaborare con giornali e riviste, per
lo più on-line, come «EuMagazine», «Eclipse-magazine»,
ma soprattutto «Le reti di Dedalus» (rivista ufficiale del
Sindacato Nazionale Scrittori di Roma). Il suo campo
d’interesse come critico militante è la poesia. Ha pubblicato, infatti, diverse recensioni-saggio su autori quali
Giose Rimanelli, Antonia Pozzi, Elena Saviano, Marco
Palladini, Michele De Luca, Marco Giovenale, e affrontato l’opera di giovani poeti emergenti (tra cui Sara Davidivics, Anna Laura Longo, Paolo Ruffini, Gabriele
Iarusso). Sempre per «Le reti di Dedalus» ha pubblicato
un saggio sulla tradizione lirica italiana dal 1980 al
2000; e un excursus sui maggiori poeti dialettali del Molise. Da gennaio 2010 è giornalista pubblicista.
Marco Gatto
Nato a Castrovillari, 1983, vive in Calabria. Laureato in
lettere moderne preso l’Università della Calabria, svolge
un dottorato di ricerca in Estetica presso l’Università
Roma Tre. Si occupa di teoria letteraria di ambito marxista, con un’attenzione particolare rivolta alle esperienze di area angloamericana. Da questi studi è nato
il volume Fredric Jameson. Neomarxismo, dialettica e teoria della letteratura, edito nel 2008 da Rubbettino. Il
suo progetto di ricerca concerne lo studio e la valorizzazione del materialismo culturale e letterario (con particolare riferimento a Edward W. Said, Franco Fortini,
Raymond Williams e Terry Eagleton). È stato visiting scholar presso le università di Cambridge (2006) e Stony
Brook a New York (2009). Nell’ambito della sua attività
critica, si occupa prevalentemente di poesia italiana
contemporanea: ha scritto saggi e interventi di taglio
teorico e critico (Fortini, Bre, Insana, Pasolini, Montale,
Agostino) pubblicati su varie riviste, e in particolare sul
semestrale «Smerilliana», di cui è redattore. Come poeta
ha esordito nel 2006 con la silloge Misura del tempo,
edita da Pellegrini con una prefazione di Renato Nisticò, dopo aver vinto nel 2004 il Premio del Presidente
al Concorso «Corciano». È presente in numerose antologie ed è fra i sette poeti italiani under trenta selezionati da «Nuovi Argomenti» (n. 41, 2008).
Francesco S. Mangone
Francesco S. Mangone è nato e abita a Trebisacce
(sul golfo di Sibari) e ha insegnato nel Liceo Scientifico
di questa cittadina di origine enotria. Ha pubblicato
raccolte di poesie, un saggio di critica letteraria, scrive
di arte contemporanea. Ha già pubblicato un primo ro-
uscita su «Poesia» nel marzo 2006. È inclusa nell’antologia nodo sottile 4 (Crocetti, Milano 2004) e nodo
sottile 5 (Le lettere, Firenze 2008) entrambe a cura di
Vittorio Biagini e Andrea Sirotti, e in Il miele del silenzio.
Antologia della giovane poesia italiana, a cura di
Giancarlo Pontiggia (Interlinea, Novara 2009). Suoi testi
Monica Maggi
Nata a Roma, dal 2002 insegna all’Università Roma Tre sono stati tradotti in spagnolo da Emilio Coco (in Jardi(Scienze Politiche) dove conduce un laboratorio di nes secretos. Antologìa de la joven poesìa italiana, Sial,
giornalismo e scrittura. Ha collaborato con «Il Messag- Madrid 2009).
gero», «Vitality», «Happy Web», «Capital», «For Men
Magazine». Ha lavorato con TeleMontecarlo in Gente Davide Nota
sull’orlo di una crisi di nervi, per Italia 1 nelle due edizioni È nato a Cassano d’Adda (MI) nel 1981. Laureato in
di Cronache Marziane, con Stream per Sex Selen e vi- Lettere Moderne con una tesi sulla “Nuova poesia itadeotape. Per Radio Capital ha scritto e condotto Ca- liana”, risiede dalla prima infanzia ad Ascoli Piceno
pital Hot Line, striscia pomeridiana sull’eros. Al momento dove ha fondato con altri poeti marchigiani il portale
ha una rubrica di attualità su «Grazia», scrive per di poesia e realtà «La Gru». Suoi testi ed interventi sono
«Linus», per «Per Me», «Bella», «Di Tutto», «Geo», stati pubblicati sulle principali riviste di letteratura e poe«L’espresso». Ha curato l’antologia poetica di versi fem- sia contemporanea (tra le tante: «Atelier», «Nuovi Arminili Ti Bacio In Bocca (2004). Nel 2003 esce La Mia gomenti», «Lo Specchio della Stampa», «Chorus», «Ut»
Pelle è un Cifrario, poesie per la Lietocolle di Como etc.), oltre che su quotidiani, periodici e portali web (tra
(nove edizioni). Nel 2006 il libro è stato rappresentato cui «L’Unità», «MicroMega», «Carmilla», «La Voce delle
dall’Accademia del Dubbio al Teatro dell’Orologio voci», «Nazione indiana», ecc). Ha pubblicato due libri
(Roma, 9-11 giugno) nel lavoro Soffiando via i capelli di poesia: Battesimo (LietoColle, 2005), con introdudalle labbra, riscuotendo il tutto esaurito. Nel 2007 zione di Gianni D’Elia, e Il non potere (Zona, 2007), con
una lettera prefatoria di Luigi-Alberto Sanchi. Ha curato
esce Calco.
il libro Riscritti corsari di Gianni D’Elia (Effigie, 2009), la
selezione di poesia civile Calpestare l’oblio (La Gru,
Franca Mancinelli
È nata a Fano nel 1981. Collabora come critica con 2009) e ha collaborato alla realizzazione del libro
«Poesia» e con altre riviste e periodici letterari. Ha pub- omaggio al poeta romano Dario Bellezza L’arcano fablicato un libro di poesie, Mala kruna (Manni, San Ce- scino dell’amore tradito (Perrone, 2006). Dal 2008
sario di Lecce 2007; premio Antica Badia di San abita a Roma dove si occupa di giornalismo culturale
Savino e, per l’opera prima, premio L’Aquila, Giuseppe e politico.
Giusti). Un’ampia silloge, Nel treno del mio sangue, è
manzo nel 2009, Schnellboot s-57 e sta per dare alle
stampe Jonion, un nuovo romanzo sul tema dello smaltimento coatto di rifiuti sulle coste del Tirreno e dello Jonio
mediante navi a perdere.
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Gianluca Pulsoni
Gianluca Pulsoni è nato a San Benedetto del Tronto
nel 1985. Laureato in scienze dei beni antropologici
all'Università di Perugia, è saggista e studioso di letteratura, filosofia ed arti. Redattore della rivista «La Gru»
e membro del gruppo di lavoro del progetto editoriale
tysm (www.tysm.org), collabora a numerose riviste legate
al cinema. Pratica da alcuni anni attività di insegnamento di Storia del cinema presso il Liceo scientifico di
Ascoli Piceno.
del Santarcangelo – International festival of the Arts,
nelle edizioni 2006 e 2007; nel 2008 e 2009 è stato
assistente del direttore del Teatro di Roma e, attualmente, è coordinatore del progetto internazionale di
residenze creative Focus dedicato alla giovane scena
europea. Ha pubblicato il libro di poesie Lèmma – spargimento di cenere (Editrice Zona, Arezzo 2009).
Paolo Ruffini
Nato a Roma nel 1961, è operatore culturale, critico
di teatro e di danza. Ha scritto su diversi magazine e
quotidiani. Ha pubblicato i seguenti libri: Yasmeen Godder (L’Epos, Palermo 2005), Resti di scena – materiali
oltre lo spettacolo (Edizioni Interculturali, Roma 2004)
e, con Stefania Chinzari, Nuova scena italiana – il teatro
dell’ultima generazione (Castelvecchi, Roma 2000). Ha
inoltre curato i volumi: Ipercorpo – spaesamenti nella
creazione contemporanea (Editoria & Spettacolo,
Roma 2005) e, con Olivier Bouin, Scritti sulla contemporaneità (Fandango, Roma 2006). Sempre per Editoria & Spettacolo dirige la collana Spaesamenti,
monografie critiche su alcuni protagonisti della scena
contemporanea italiana. Altri interventi critici appaiono
nei libri dedicati al coreografo Virgilio Sieni (Anatomia
della fiaba, Ubulibri, Milano 2002), alla compagnia Kinkaleri (La scena esausta, Ubulibri, Milano 2008) e al
teatro del poeta Elio Pecora (L’avventura di restare,
San Marco dei Giustiniani, 2009). Infine, un suo scritto è
presente nell’antologia critica Anatomia del corpo scenico (Electa, Milano 2008). È stato condirettore artistico
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Finito di stampare nel novembre 2010
presso la Tipografia Mancini s.a.s.
Tivoli (Roma)