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CONTRIBUTI
METAROMANTICISMO ITALIANO? QUALCHE NOTA DI TEORIA
LETTERARIA
LORENZO OROPALLO
Università degli Studi di Verona
Tutta la storia della poesia moderna è un continuo commento al breve testo
della filosofia: ogni arte deve diventare scienza, e ogni scienza arte; poesia e
filosofia debbono essere unite.
F. SCHLEGEL
Ora appunto la molta scienza ci toglie la naturalezza e l’imitare non da
filosofi ma da poeti, come faceano gli antichi, dove noi dimostriamo da per
tutto il sapere ch’essendo troppo, è difficilissimo a ricoprirlo, e scriviamo
trattati in versi, ne’ quali non parlano le cose ma noi, non la natura ma la
scienza, e così la finezza e squisitezza delle pitture, e le sentenze
frequentissime e acutissime e recondite, di rado nascoste e contenute e
nascenti da se quantunque non espresse, ma per lo più rilevate e scolpite, e
brevemente ogni cosa manifesta la decrepitezza del mondo, la quale com’è
orribile a vedere nella poesia, così vogliono i romantici e i pari loro acciò
colla maraviglia del rimanente si spenga tra gli uomini anche quella delle
opinioni portentose, che s’imprima altamente nelle poesie moderne come
carattere e distintivo, in maniera che apparisca e dia negli occhi a prima
giunta. Chi nega che poetando non ci dobbiamo giovare della cognizione di
noi medesimi, nella quale siamo tanto avanti? Gioviamocene pure, e poiché ci
conosciamo bene, dipingiamoci al vivo; ma per Dio non mostriamo di
conoscerci, se non vogliamo ammazzare la poesia.
G. LEOPARDI
I
l romanticismo, come momento privilegiato di autoconoscenza della
modernità (in quanto epoca della riflessione), si conosce nella misura in
cui si fonda, rappresenta anche il momento in cui quella riflessione, sotto
le spoglie di una speculazione poetologica ed estetica, perviene alla
costituzione di una civiltà altra da quella classica, connotata dallo sviluppo di
istituti artistici, filosofici, e, in senso lato, culturali propri che perdurano
ancora oggi.
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Non è un caso, allora, che la recente riscoperta soprattutto della grande
stagione del primo romanticismo europeo, a fronte di una serie di ricerche di
ordine eminentemente teorico, concernenti lo statuto concettuale proprio della
nostra epoca, abbia dato luogo a una rielaborazione di quella stessa
autocoscienza che ne ha descritto efficacemente lo sviluppo in sede filosofica,
facendola riconfluire, in un secondo momento, in una prospettiva storica e
storicistica gravida di conseguenze nel presente.
Si osservano così, da un lato, il sorgere di un dibattito intorno alle origini del
mito (Mythos-Debatte), che si prefigge il compito, ad esempio con
Blumenberg, di elaborare una metaforologia del presente che, in quanto erede
proprio di quella tradizione filosofica romantica, non può esularne ma anzi vi
riconosce pienamente il proprio atto di fondazione, e, dall’altro, la ripresa e la
ri-tematizzazione della problematica dell’autocoscienza (Selbstbewußtsein),
che trova nella cosiddetta "Scuola di Heidelberg" i suoi maggiori promotori.
Alla rielaborazione della metafisica di tradizione idealistica operata da
Dieter Henrich, che riscopre in Kant e in Hegel i paradigmi conoscitivi propri
dell’attualità, l’allievo Manfred Frank oppone così un movimento di pensiero
che, direttamente connesso all’epistemologia del primo romanticismo tedesco,
è in grado di fondare una filosofia del soggetto in cui l’individuo si pone al
centro di ogni forma di conoscenza.
Insieme alla dimensione propriamente filosofica della modernità, di una
modernità che riscopre così i presupposti ineliminabili del suo pensiero, si
afferma però anche un contromovimento che, da Nietzsche a Derrida, da
Heidegger a Gadamer, individua proprio in quei presupposti la condanna di
una storia ancora e sempre inattuale, che non può trascendersi mai
completamente nella misura in cui non si decostruisce radicalmente: è allora il
trionfo di quella controfilosofia che, lungi dal voler perpetuare nel presente
una forma di pensiero che non riconosce più come propria, segue perciò
invece un percorso di rottura con quella stessa tradizione che l’ha generata.
Lo sviluppo autotelico della modernità giunge così al proprio culmine con
l’elaborazione di un pensiero che, fondato stabilmente su se stesso, opera
attivamente contro se stesso, esemplificando in tal modo un movimento
dialettico e dicotomico insieme che ritrova ancora una volta nella doppia
riflessione della tradizione filosofica idealistica quel marchio indelebile delle
proprie origini in cui non a caso Derrida ha riconosciuto i presupposti di
quella "doppia scienza", scienza delle origini stesse e scienza di se stessa, che
la decostruzione ha il compito di contrastare fino in fondo senza mai
potersene però liberare completamente1.
1
Si legga, ad esempio, quanto Derrida afferma già ne La scrittura e la
differenza a proposito di un linguaggio che, improntato com’è a una
tradizione metafisica che ne è anche il fondamento stesso, non può sperare di
liberarsene se non a costo di perdersi irrimediabilmente e irrevocabilmente:
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LETTERARIA
In questa prospettiva, che si delinea tanto nel campo filosofico che in quello
artistico e culturale, il sorgere di una teoria letteraria che sia al contempo
teoria della letteratura e teoria della letteratura (nel doppio significato del
genitivo) non è un mero accidente, ma si pone piuttosto come esito
prevedibile di una riflessione che, partorita in ambito estetico, è destinata a
rimanervi confinata almeno fino a che non pretenda di riscoprirsi (e di
ridefinirsi) quale attività che non è dotata di uno statuto epistemologico
autonomo, ma che risente invece di quelle stesse oscillazioni e di quegli stessi
sommovimenti cui è soggetta la nostra civiltà culturale nel suo complesso.
La teoria letteraria, in altre parole, erede di una tradizione che si è fondata in
quanto estetica, fonda il proprio campo specifico d’azione nella misura in cui
è già preceduta dall’esistenza di quello stesso campo, descritto e connotato da
una precisa serie di caratteristiche di cui l’avvento della modernità, e, con
essa, della sua autocoscienza, aveva previsto lo sviluppo: è la prospettiva che,
anche in ambito sociologico, ha ad esempio sposato recentemente Pierre
Bourdieu2.
In questo senso, allora, la permanenza e la riproduzione della letteratura in
un ambito di studi specifico, la sua istituzionalizzazione, non solo non è diretta
conseguenza della svolta romantica, ma ne è, indirettamente, la nemesi; e così
come trova però proprio in ambito romantico una forma di legittimazione,
legittimazione che è legata indissolubilmente al suo destino storico, vi trova
anche la propria dissoluzione, calcando in tal modo le orme di un pensiero
nichilista che, foriero tanto di chiusure che di aperture, ne mostra la intima
riflessione sul (e nel) nulla, la costitutiva natura sempre metanaturale (e perciò
metaculturale).
La duplice natura di un romanticismo che, al contempo, fonda se stesso e,
che, non trovando nulla al proprio fondo, deve perciò costantemente rifondarsi
e istituzionalizzarsi, non è sfuggita alla critica degli ultimi anni, che ha potuto
così riconoscervi l’atto di fondazione di quella stessa teoria che, sviluppatasi
soprattutto in ambito novecentesco a ridosso della svolta compiuta in campo
artistico e letterario da un modernismo estetico diretto erede degli sviluppi
tardo-ottocenteschi, non ha tardato troppo perciò a riconoscere il proprio
"Bisogna tentare dunque di affrancarsi da questo linguaggio. Non tentare di
affrancarsene, perché sarebbe impossibile senza dimenticare la nostra storia.
Ma sognare di farlo. Non di affrancarcene, cosa che non avrebbe senso e ci
priverebbe della luce del senso. Ma di resistergli quanto più possiamo", (J.
Derrida, Forza e significazione, in ID., La scrittura e la differenza, Torino:
Einaudi, 1990, p. 35).
2
Cfr. P. Bourdieu, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo
letterario, Milano: Il Saggiatore, 2005.
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debito nei confronti tanto della filosofia romantica che di quell’indagine
novecentesca destinata a svelarne le origini storiche e concettuali3.
Al romanticismo come evento storico ed estetico, è stato allora opposto
quello che Paul Hamilton ha definito un "metaromanticismo", ovvero un
romanticismo che, date le sue premesse culturali in seno alla società europea
di fine '700, non solo costituisce, ma si costituisce come generale presa di
coscienza, da parte delle élites intellettuali dell’epoca, di un mutamento che è
preparato e che è guidato da quella stessa epoca; così, se si può definire quello
metaromantico come momento che rappresenta "the specific ways in which
major writers in the romantic period generalize their practices", ne consegue
che: "Metaromanticism does not, as might have been expected, belong to a
language outside romanticism, but is a characteristic product of romantic
discourse"4.
Se Hamilton fa diretto riferimento alla grande stagione del primo
romanticismo europeo, che trova nella declinazione tedesca e inglese il luogo
e il momento privilegiato della sua costituzione teorica, il discorso può però
essere esteso anche al movimento romantico in generale, così come al periodo
del cosiddetto secondo o tardo romanticismo, che avrà corso ancora per tutto
l’Ottocento, e che, lungi dal proporre una ri-tematizzazione o una
rielaborazione della tradizione primo ottocentesca, ne decreterà invece
l’assestamento definitivo in relazione allo sviluppo della nostra modernità
culturale.
In tal senso, come riconosce lo stesso Hamilton, l’autocritica del
romanticismo, cioè la critica che esso compie a un tempo dei suoi prodotti
artistici e di se stesso, che è caratteristica propria del primo romanticismo
tedesco, non esula perciò da quel percorso già intrapreso ma, anzi, ne
legittima la meta, che non è una semplice descrizione di tale percorso, ma ne è
la stessa traccia, ne è il tracciarsi profondo in seno a quella svolta che così
determina; perciò:
Characteristic of romantic discourse, self-critique is just the fashion in
which it struggles with itself, is about itself, beside itself even. Critique
is another way in which it becomes what it is, not a way in which it
posits an alternative to its own Weltanschauung. It produces, in
Friedrich Schlegel’s terms this time, rather than Nietzsche’s, "the
3
Si vedano, tra tutti, volumi come K. H. Bohrer, Die Kritik der Romantik.
Der Verdacht der Philosophie gegen die literarische Moderne, Frankfurt
am Main: Suhrkamp, 1989, o anche il più recente J. CLEMENS, The
Romanticism of Contemporary Theory. Institutions, Aesthetics, Nihilism,
Aldershot: Ashgate, 2003.
4
P. Hamilton, Metaromanticism. Aesthetics, Literature, Theory, Chicago
& London: University of Chicago Press, 2003, p. 1.
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LETTERARIA
poetry of poetry". It takes itself as its subject, but then struggles with
itself, as if against an unwelcome limitation. It wrestles with its angel.
It is literature typical of what Kant and Schlegel after him called a
"critical" age. But, again, this criticism always finally seems selfserving, a discontent with poetic solutions whose unhappiness still
produces the poetry of poetry, not something else5.
Quella che sarà, infatti, una scoperta tarda di una critica (e di una teoria)
letteraria che dovrà riconoscere in ultima analisi la propria impossibilità di
costituirsi come metalinguaggio, cioè come linguaggio altro e superiore
capace di dare una piena e perfetta descrizione di ogni linguaggio artistico
subordinatole, la sua impossibilità, in sintesi, di costituirsi come discorso
"scientifico" distinto e a un tempo critico di quell’arte che si voleva relegata a
espressione totalmente trasparente e giudicabile, in un’ottica ancora di matrice
fondamentalmente kantiana, non è perciò, in ultima analisi, il rovesciamento
di quello stesso paradigma di critica romantica che ne aveva fissato lo statuto,
più di quanto non ne sia, piuttosto, l’affermazione indiretta, ma ne
rappresenterebbe bensì l’esito più diretto e più autentico: non è necessario,
allora, richiamare alla memoria per più di un momento il celebre saggio di
Walter Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, nel quale si
identifica, in quella stessa critica romantica che aveva preteso
l’individuazione nell’arte di un movimento dello spirito che non le era
opposto se non nel senso di un continuo rimando dialettico tra antinomie
complementari, il completamento di quella stessa arte, la sua trasfigurazione,
in ambito filosofico, nel proprio concetto, la trasformazione, insomma,
dell’arte, nell’arte dell’arte, nell’artisticità che ne determina, a un tempo, la
sostanza e ne è determinata quale necessario corollario della sua forma
storica.
Tale statuto propriamente critico dell’arte stessa, come quello,
analogamente, dell’artisticità della critica, sarà così conquista, non a caso, di
una teoria letteraria decostruzionista, che, nell’andare a criticare a principio,
ancora una volta, le istituzioni proprie del campo letterario, dovrà risolversi a
riconoscerne la sfuggente fisionomia e la legittimità estetica in quanto esito
non di un evento di natura ontologica, ma di un’autoleggitimazione storica e
appunto teoretica6.
5
Ivi, p. 2.
Si veda il saggio illuminante di G. H. Hartman, Criticism in the Wilderness
(trad. it. La critica nel deserto. Uno studio sulla letteratura
contemporanea, a c. di V. Fortunati e G. Franci, Modena: Mucchi, 1991).
Seppure non recentissimo, tale saggio ha infatti il merito ancora attuale di
aver tratteggiato gli esiti di un’indagine decostruzionista sugli statuti letterari
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6
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In seguito alla svolta che va compiendosi perciò in ambito romantico, e che
determina al contempo ed è determinata da nient’altro che da se stessa,
Hamilton può così concludere che:
Art is something increased rather than judged by reflection. Critical
reflection upon art does not say what art is but generates more of what
art is. Art is not known as an object by a subject, the interpretations it
relates are not different from its being. Its power to provoke a series of
different interpretations throughout history, at different times,
characterizes its nature. Conversely, we can say that critical activity,
the attempt to know what the work of art means, does not belong to a
different order of existence from the work of art itself. Romanticism is
also metaromanticism7.
A fronte di tale natura eminentemente duplice del romanticismo, che, nel
momento in cui si produce, produce anche la propria produzione, o, meglio, si
riconosce quale parte della propria produzione e si scopre perciò romantico
proprio in quanto metaromantico, il che, naturalmente, avviene soprattutto in
ambito tedesco, dove la speculazione poetologica si sposa con gli esiti della
nascente filosofia idealistica, possiamo parlare di un metaromanticismo anche
a proposito di un romanticismo come quello italiano, convenzionalmente
riconosciuto come spurio, quando non drammaticamente distante da quello
ben più fecondo prodottosi in terra tedesca e inglese?
Come si sa, il dibattito sulla natura del romanticismo italiano è tuttora in
corso, sebbene diversi contributi più e meno recenti vi abbiano riconosciuto
all’unisono i caratteri di una svolta storico-culturale che precede e getta le basi
del futuro Risorgimento più che non quelli di un’autentica rivoluzione
filosofica.
Già all’inizio del '900, ad esempio, la comparatista Gina Martegiani, in un
suo celebre studio proprio sulla natura del romanticismo italiano, rilevava che
"il Romanticismo italiano non è esistito perché i caratteri di quel movimento
letterario a cui fu dato tal nome sono addirittura anti-romantici"8.
In confronto al romanticismo soprattutto tedesco, che presenta infatti quei
tratti tipici di speculazione teorica che abbiamo brevemente considerato, il
romanticismo italiano appare alla studiosa viziato da una incomprensione di
fondo della natura e degli esiti di quella stessa riflessione, che avrebbe
che non ne può risparmiare la messa a nudo definitiva, nel senso di un
superamento dei paradigmi acquisiti che la decostruzione si prefigge se non
altro di indicare.
7
P. Hamilton, op. cit., p. 9.
8
G. Martegiani, Il romanticismo italiano non esiste. Saggio di letteratura
comparata, Firenze: Seeber, 1908, Prefazione, p. VII.
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METAROMANTICISMO ITALIANO? QUALCHE NOTA DI TEORIA
LETTERARIA
ingenerato quindi negli intellettuali nostrani, da un lato, una superficiale
volontà di emulazione, e, dall’altro, un grossolano tentativo di trasposizione
politica dei suoi maggiori assunti, cosa che avrebbe perciò determinato il
carattere patriottico e civile preminente del successivo Risorgimento.
Più recentemente, anche gli studi di Mario Puppo hanno rilevato la natura
sostanzialmente realistica e poco incline alla speculazione filosofica dei nostri
autori romantici, di cui forse l’opera di Manzoni rappresenta il culmine con
l’elaborazione di una poetica fondata su "la concezione dell’arte come
rappresentazione del vero"9.
Tra gli altri, G. A. Camerino ha tracciato infine un profilo storico del
romanticismo italiano, che, direttamente ispirato a tale "poetica del vero", ha
permesso di rivalutare alcuni autori "minori" che sembrano rispondere
efficacemente, ancora una volta, a una descrizione del romanticismo italiano
imperniata su di un riconoscimento della sua natura prevalentemente politica,
civile e culturale10.
A nessuno dei critici è sfuggita però quella figura tanto anomala nel nostro
panorama ottocentesco, che sola può forse contribuire a ridisegnarne la
fisionomia in modo tanto sconcertante quanto ancora largamente incompreso:
mi riferisco naturalmente a Giacomo Leopardi.
Diversamente da Foscolo, al cui impegno politico in prima linea corrisponde
una poetica che risente fortemente di influssi neoclassici, o da Manzoni, il cui
intento è soprattutto quello di un impegno didattico e di una fondazione
morale, prima che politica, della nazione, Leopardi spende buona parte della
sua vita isolato da quei turbinosi eventi mondani che interessano il paese, e,
sebbene ne partecipi comunque a livello sentimentale, la sua attività rimane
legata principalmente a una riflessione estetica e filosofica sulla natura e sul
destino dell’uomo e della sua opera nel mondo.
Non che Foscolo o Manzoni non abbiano contribuito a loro volta a conferire
al romanticismo italiano un carattere peculiare, che, così come viene
improntato a una dimensione di azione politica e culturale, allo stesso modo,
per lo meno già a partire dalla celebre polemica sorta intorno alla lettera di
M.me de Stäel comparsa sulla Biblioteca italiana, non può che risentire degli
influssi di un clima intellettuale intimamente combattuto tra la difesa di una
tradizione classica, che proprio l’avvento del romanticismo permette di
riconoscere come peculiare del carattere letterario nazionale, e la necessità di
una profonda ridiscussione di quella stessa tradizione.
9
M. Puppo, Poetica e critica del romanticismo, Milano: Marzorati, 1973, p.
63.
10
Cfr. G. A. Camerino, Profilo critico del romanticismo italiano, Novara:
Interlinea, 2009.
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Accanto alle posizioni di Giordani, Borsieri e Berchet, si distingue così
quella che è una delle più esplicite elaborazioni di un’autentica poetica
romantica in Italia, cioè la celebre lettera al marchese d’Azeglio Sul
romanticismo, in cui Manzoni tenta una sintesi e, al contempo, elabora una
proposta relativa alla svolta romantica che non può prescindere da un suo
adattamento al caso italiano, ma che, proprio nel momento in cui si pone in
tale prospettiva, non può esentarsi dal ridiscuterne il modello acquisito,
esemplificando così, non a caso sotto l’egida di una rivoluzione estetica, la
cornice fondamentalmente teoretica che deve esser riconosciuta caratteristica
anche del romanticismo italiano.
In tal senso si comprende allora anche l’opera speculativa di Leopardi, che
non tarderà ad assumere i connotati di una riflessione su se stessa che è
caratteristica di ogni poetica della modernità: ad esempio, le Operette morali,
che costituiscono opera a sé, sono non meno rappresentative del cammino di
un pensiero che sembra tormentato da quella stessa falla nella tradizione
classicista che già i romantici tedeschi avevano analizzato e riconosciuta come
costitutiva di una modernità che, dalla secentesca Querelle des Anciens et des
Modernes in avanti, produrrà una svolta estetica destinata a risolversi nella
fondazione di un modello artistico e quindi culturale totalmente diverso, che si
riconosce altro da quello classico in quanto, anzitutto, si conosce, cioè riflette
su di sé, riflettendo perciò all’esterno, in quella stessa produzione artistica, i
segni di un mutamento interno prepotente e duraturo.
Non che perciò la stessa arte romantica non risulti intimamente condizionata
da tale coscienza infelice, che, anzi, ne determina il carattere appunto
riflessivo: è il caso tanto della poesia di Novalis che di quella di Coleridge, e
la stessa produzione leopardiana ne sembra intimamente segnata, se è vero
che si è potuto parlare, anche nel suo caso, di una "poesia-pensiero" che si
richiama direttamente a quel "pensiero poetante" di heideggeriana memoria11.
È nello specifico della riflessione poetologica che il pensiero leopardiano
sembra però trovare un’espressione più efficace, e proprio laddove istituisce
quella celebre distinzione tra una poesia, fondata sull’immaginazione, e una
scienza speculativa che ne annulla il potere di trarre in inganno le menti per il
tramite di quell’illusione che ne costituisce l’essenza più profonda ma anche,
in un certo senso, più effimera; così, se già nello Zibaldone è ravvisabile
"l’incontro tra "poesia pensante" e "pensare poetante""12, non sorprende di
cogliervi anche quel necessario confronto tra poesia e filosofia di cui aveva
11
Cfr. F. Ferro, Spirito arcano. La poesia-pensiero di Giacomo Leopardi,
Casale Monferrato: Portalupi, 2004.
12
A. Prete, Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, Milano: Feltrinelli,
1997, p. 87.
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LETTERARIA
già parlato Schlegel: "Ma questo senno e questa esperienza sono la morte
della poesia"13, come dichiara preliminarmente Leopardi.
In polemica perciò con i romantici del Conciliatore, rei di voler ridurre tutta
la poesia moderna al principio del "patetico" su cui insiste di Breme nelle sue
Osservazioni al Giaurro di Byron, inteso come procedimento di generazione
"artificiale" del sentimento, Leopardi non può che denunciarne la ristrettezza
di vedute:
E non si avvedono i romantici, che se questi sentimenti son prodotti
dalla nuda natura, per destarli bisogna imitare la nuda natura, e quei
semplici e innocenti oggetti, che per loro propria forza, inconsapevoli
producono nel nostro animo quegli effetti, bisogna trasportarli come
sono né più né meno nella poesia, e che così bene e divinamente
imitati, aggiuntaci la maraviglia e l’attenzione alle minute parti loro
che nella realtà non si notavano, e nella imitazione si notano, è forza
che destino in noi questi stessissimi sentimenti che costoro vanno
cercando, questi sentimenti che costoro non ci sanno di grandissima
lunga destare; e che il poeta quanto più parla in persona propria e
quanto più aggiunge di suo, tanto meno imita, (cosa già nota ad
Aristotele, al quale volendo o non volendo senz’avvedersene si ritorna)
e che il sentimentale non è prodotto dal sentimentale, ma dalla natura,
qual ella è, e la natura qual ella è bisogna imitare, ed hanno imitata gli
antichi […]: e non si avvedono che appunto questo grand’ideale dei
tempi nostri, questo conoscere così intimamente il cuor nostro, questo
analizzarne, prevederne, distinguerne ad uno ad uno tutti i più minuti
affetti, quest’arte insomma psicologica, distrugge l’illusione senza cui
non ci sarà poesia in sempiterno […] e che mentre l’uomo (preso in
grande) si allontana da quella puerizia, in cui tutto è singolare e
meraviglioso, in cui l’immaginazione par che non abbia confini, da
quella puerizia che così era propria del mondo a tempo degli antichi,
come è propria di ciascun uomo al suo tempo, perde la capacità di
esser sedotto, diventa artificioso e malizioso, non sa più palpitare per
una cosa che conosce vana, cade tra le branche della ragione, e se
anche palpita (perché il cuor nostro non è cangiato ma la mente sola),
questa benedetta mente gli va a ricercare tutti i secreti di questo
palpito, e svanisce ogn’ispirazione, svanisce ogni poesia […]14.
13
G. Leopardi, Zibaldone, a c. di R. Damiani, Milano: Mondadori, 1997, Vol.
I, p. 9.
14
Ivi, pp. 24-25.
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Tali note dello Zibaldone, scritte in concomitanza con lo sviluppo del
dibattito romantico in Italia, lungi dal rappresentare così un’autentica reazione
antiromantica, confermano invece tra le righe l’affermarsi di quella medesima
coscienza infelice di cui i romantici d’Oltralpe avevano già fatto prematura
esperienza, e i cui frutti sono ravvisabili, ad esempio, nel celeberrimo
frammento 116 dell’Athenaeum, assurto a vero e proprio manifesto del
romanticismo tedesco:
La poesia romantica è una poesia universale progressiva. Suo fine non
è solo riunire nuovamente tutti i distinti generi della poesia e mettere a
contatto la poesia con la filosofia e la retorica. Vuole, e anche deve, ora
mescolare ora fondere poesia e prosa, genialità e critica, poesia d’arte e
poesia naturale, rendere viva e sociale la poesia e far poetiche la vita e
la società, poetizzare lo spirito [Witz] e riempire e saturare le forme
dell’arte con il più vario e il più schietto contenuto culturale e animarle
con le oscillazioni dello humor. Comprende tutto ciò che soltanto è
poetico, dal più grande sistema dell’arte, a sua volta comprensivo di
altri, fino al sospiro, al bacio che il fanciullo poeta esala in un canto
spontaneo. Così si può perdere nel rappresentato a tal punto da far
credere che per essa caratterizzare individualità poetiche di ogni sorta,
sia l’Uno ed il Tutto; pure, non esiste ancora alcuna forma che possa
essere siffatta da esprimere completamente lo spirito [Geist]
dell’autore: cosicché certi artisti che intendevano semplicemente
scrivere un romanzo, in qualche modo hanno rappresentato se stessi.
Solo essa può, al pari dell’epica, diventare uno specchio dell’intero
mondo circostante, un’immagine dell’epoca. Pure, essa può anche
librarsi, più di tutto, nel mezzo, tra il rappresentato e chi lo rappresenta,
libera da ogni interesse reale e ideale, sulle ali della riflessione poetica,
può potenziare via via questa riflessione e moltiplicarla, come in una
fila interminabile di specchi. È funzionale alla formazione più alta e
più versatile; non solo dall’interno verso l’esterno, ma anche
dall’esterno verso l’interno, in quanto organizza in modo analogo tutte
le parti di ciò che nei suoi prodotti deve essere l’Intero, così che le
viene aperta la prospettiva su una classicità che cresce senza confini.
La poesia romantica è, tra le arti, ciò che lo spirito è [Witz] per la
filosofia, e la società, le relazioni, l’amicizia e l’amore sono per la vita.
Altri generi poetici sono finiti, e adesso è possibile articolarli
completamente. Il genere poetico romantico è ancora in fieri; anzi,
questa è la sua propria essenza, che può solo eternamente divenire, mai
essere compiuto. Non può essere esaurito da nessuna teoria, e solo una
critica divinatoria potrebbe osare caratterizzarne l’ideale. Esso solo è
infinito, come è anche il solo ad essere libero, e riconosce come sua
prima legge, che l’arbitrio del poeta non debba avere a soffrire di
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LETTERARIA
alcuna legge che lo sovrasti. Il genere romantico è l’unico ad essere più
di un genere e al contempo l’arte stessa della poesia, dal momento che,
in un certo senso, tutta la poesia è romantica o deve esserlo15.
La poesia romantica, cui è affidato così da Friedrich Schlegel un compito
che manifesta tutta la pregnanza moderna di una simile dichiarazione, deve
perciò porsi, nel senso di un superamento costante di se stessa, in quella
posizione, privilegiata e predestinata insieme, che deve renderla non solo
critica, ma autocritica, cioè non solo riflessa, in quanto riflessione del
pensiero, ma autoriflessa, ossia, autofondantesi, e perciò, proprio in quanto
poiesis, autocreantesi, metapoietica.
Ma questa, che è perciò caratteristica fondamentale della poesia romantica,
che, in quanto anche universale e progressiva, deve tendere a uno sviluppo
indefinito che non può prescindere né realizzarsi compiutamente in una
dimensione storica, pretenderebbe di essere anche tratto saliente di tutta la
produzione, di tutta la poiesis moderna, e in quanto tale, in quanto portatore,
cioè, di questa istanza, il romanticismo può allora concepirsi pienamente
anche come metaromanticismo.
La presa di posizione di Leopardi, allora, non appare in netto contrasto con
quella schlegeliana, con cui in fondo condivide la medesima constatazione
della realtà dell’epoca, se non nella misura in cui, così come Friedrich
Schlegel e Novalis vedono in una poetizzazione o "romantizzazione" di quella
realtà la sola palingenesi possibile, che però è al contempo anche la sua
condanna, allo stesso modo Leopardi ne denuncia la medesima condizione,
non intravedendo alcuna scappatoia ma affrontando con la lucidità che è tipica
del suo pessimismo cosmico il destino di una poesia, e di una letteratura, che,
nel momento in cui si istituisce come tale, perde per sempre quella "aura" di
cui parlerà in seguito Baudelaire, perde quella sua natura non nominata che,
proprio in quanto precedente a ogni linguaggio, ne poteva fondare all’infinito,
ma che, una volta invece espressa in parola, una volta, cioè, incarnatasi nel
linguaggio, deve al tempo stesso morire e rinascere costantemente in e con
esso.
Il medesimo concetto, ribadito a più riprese da tutti i romantici di Jena,
quello, cioè, di una superabilità della poesia in se stessa che allude a
un’analoga superabilità del concetto in se stesso, che avrà poi esito in quella
dialettica hegeliana che assegna perciò coerentemente all’arte un ruolo
passato, in quanto deve cedere il passo e risolversi in quello stesso concetto
che ha generato, trova così puntuale riscontro non solo in tutto l’ambito
15
Athenaeum (1798-1800). La rivista di August Wilhelm Schlegel e
Friedrich Schlegel, a c. di G. Cusatelli, Milano: Sansoni, 2000, Frammenti,
n. 116.
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romantico tedesco, ma impronta di sé anche la concezione poetologica di
Leopardi, cui non a caso, individuata in quella poesia che scaturisce dal
sentimento addomesticato e non dalla natura indomabile l’autentica forma
artistica del nostro tempo, non resta se non rassegnarsi stoicamente a
denunciarne il destino, legato perciò a doppio filo col destino stesso
dell’uomo (è in fondo anche il tema di quella celebre lirica, La ginestra, in cui
è ravvisabile una tenue speranza per il futuro, che però, essendo ancora di là
da venire, proprio perciò costringe l’uomo a fronteggiare con angoscia le
intime contraddizioni della sua natura presente)16.
In questa prospettiva, la riflessione leopardiana, che è romantica nella
misura in cui riflette sulla sua stessa natura, e diviene perciò, al contempo,
metaromantica, si mostra così molto più consona e vicina all’esperienza
speculativa d’Oltralpe che a quella italiana, non comprendendone forse fino in
fondo i limiti e le possibilità, ma rilevandone appieno la natura problematica,
così come, proprio nella natura che la tradizione classica aveva voluto oggetto
di imitazione irriflessa, deve infine andare scoprendo una riflessione che
precede e costituisce il soggetto stesso, e che non gli permette più, superate le
prime posizioni espresse nel Discorso di un italiano intorno alla poesia
romantica, di vedervi una madre amorevole, ma una matrigna che destina i
suoi figli a uno stato in cui, orfani di quella stessa madre, devono provvedere
a se stessi, scagliati come sono, in senso heideggeriano, sulla nuda terra.
Così, se ancora nel Discorso la disputa tra poesia antica e moderna, che
propende per il recupero di una dimensione immaginifica nel presente che
faccia da contrappeso al predominio demistificante dell’intelletto filosofico, si
appunta sull’ormai insanabile distanza da una natura che non è più attingibile
16
Si legga ancora nello Zibaldone: "La poesia sentimentale è unicamente ed
esclusivamente propria di questo secolo, come la vera e semplice (voglio dire
non mista) poesia immaginativa fu unicamente ed esclusivamente propria de’
secoli Omerici, o simili a quelli in altre nazioni. Dal che si può ben concludere
che la poesia non è quasi propria de’ nostri tempi, e non farsi maraviglia,
s’ella ora langue come vediamo, e se è così raro non dico un vero poeta, ma
una vera poesia. Giacché il sentimentale è fondato e sgorga dalla filosofia,
dall’esperienza, dalla cognizione dell’uomo e delle cose, in somma dal vero,
laddove era della primitiva essenza della poesia l’essere ispirata dal falso. E
considerando la poesia in quel senso nel quale da prima si usurpava, appena si
può dire che la sentimentale sia poesia, ma piuttosto una filosofia,
un’eloquenza, se non quanto è più splendida, più ornata della filosofia ed
eloquenza della prosa. Può anche esser più sublime e più bella, ma non per
altro mezzo che d’illusioni, alle quali non è dubbio che anche in questo genere
di poesia si potrebbe molto concedere, e più di quello che facciano gli
stranieri", (G. Leopardi, Zibaldone, cit., Vol. I, p. 554).
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METAROMANTICISMO ITALIANO? QUALCHE NOTA DI TEORIA
LETTERARIA
direttamente e che deve perciò far ricorso all’illusione poetica, questa, proprio
in quanto tale, cioè in quanto illusione, è destinata a sua volta a cadere,
lasciando un vuoto inquietante che, forse, non è più possibile colmare:
Ora da tutto questo e dalle altre cose che si son dette, agevolmente si
comprende che la poesia dovette essere agli antichi oltremisura più
facile e spontanea che non può essere presentemente a nessuno, e che
a’ tempi nostri per imitare poetando la natura vergine e primitiva, e
parlare il linguaggio della natura (lo dirò con dolore della condizione
nostra, con disprezzo delle risa dei romantici) è pressoché necessario lo
studio lungo e profondo de’ poeti antichi. Imperocché non basta ora al
poeta che sappia imitar la natura; bisogna che la sappia trovare, non
solamente aguzzando gli occhi per iscorgere quello che mentre
abbiamo tuttora presente, non sogliamo vedere, impediti dall’uso, la
quale è stata sempre necessarissima opera del poeta, ma rimovendo gli
oggetti che la occultano, e scoprendola, e diseppellendo e spastando e
nettando dalla mota dell’incivilimento e della corruzione umana quei
celesti esemplari che si assume di ritrarre. A noi l’immaginazione è
liberata dalla tirannia dell’intelletto, sgombrata dalle idee nemiche alle
naturali, rimessa nello stato primitivo o in tale che non sia molto
discosto dal primitivo, rifatta capace dei diletti soprumani della natura,
dal poeta; al poeta da chi sarà? o da che cosa? Dalla natura?17
La scomparsa della natura, prima che dal mondo poetico, da quello umano,
prelude così a un’infondatezza della stessa natura umana che non sfuggirà alla
successiva produzione poetica e critica di Leopardi, la cui opera, isolata nel
contesto italiano, vi svetta però riconducendolo a quella dimensione di
pensiero europea che, originatasi in ambito romantico, non tarderà a
riscoprirsene debitrice.
Nella sua riflessione, tratteggiata per sommi capi in queste pagine, la critica,
l’attività filosofica propria di un’attualità che non può più riconoscersi
pienamente in alcuna poesia che non sia, al contempo, metapoesia e, perciò,
metaletteratura, non ricopre ancora un ruolo paragonabile a quello che,
dapprima in ambito tedesco e poi in ambito francese, assumerà fino alle soglie
del presente, di cui in fondo è generatrice e genitrice, cionondimeno,
dimostrandosi all’altezza della sfida, essa la raccoglie autonomamente e
sviluppa una visione del fatto letterario che non può più prescindere ormai da
una riflessione che se ne fa costitutiva: dopo la parentesi delle Operette
Morali, e ancora e sempre attraverso le pagine dello Zibaldone, Leopardi
17
G. Leopardi, Poesie e prose, a c. di R. Damiani e M. A. Rigoni, Milano:
Mondadori, 1988, Vol. II: Prose, p. 386.
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torna così a una poesia che, proprio in quanto attività letteraria, in quanto,
cioè, attività della letteratura (nel significato soggettivo del genitivo), è la sola
pratica possibile che al contempo ne istituisca e destituisca la fondamentale
artificialità, è la sola opera, cioè, che ne possa svelare e, al contempo, rivelare l’illusione, che non è perciò illusione del mondo, ma delusione
dell’uomo: dell’uomo romantico, che, in quanto uomo dell’uomo, in quel
continuo gioco dialettico proprio di un romanticismo che è ancora e sempre
attuale, costantemente si perde e si ritrova, per sempre ramingo e alieno a se
stesso – così come al suo pensiero, e al pensiero di se stesso.
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