G. Marini, Diritto e politica. La costruzione delle tradizioni giuridiche

di Giovanni Marini *
Sommario: 1. La tensione diritto-politica e l’ascesa del diritto comparato. 2. L’apporto del diritto
alla costruzione del contesto culturale: i nuovi trends del diritto comparato. 3. Comparative law
as literature: il diritto come narrazione. 4. Un prodotto del diritto come narrazione: la tradizione
giuridica. 5. La tradizione giuridica e il processo di armonizzazione europea. 6. Uno sguardo
all’interno della tradizione giuridica europea: ancora sulla dicotomia pubblico-privato. 7. La distinzione mercato-famiglia e i suoi risvolti alla periferia del mondo. 8. Le narrative tradizionali
della comparazione e la riappropriazione delle narrative del centro da parte della periferia: il
pensiero sociale. 9. La comparazione delle globalizzazioni del diritto: strategie di recezione, appropriazione e reinvenzione. 10. Le narrative fra politica dell’identità e distribuzione. 11. C’è una
teoria della tradizione? 12. Per una genealogia del diritto come narrativa: continuità e discontinuità nella comparazione. 13. I percorsi della comparazione fra scienza e critica. 14. Dalla sineddoche all’ideologia ed all’egemonia. 15. Verso nuove (e più egalitarie) forme di ‘comparative
law and economics’? 16. Conclusioni.
1. La tensione diritto-politica e l’ascesa del diritto comparato.
Diritto e politica costituiscono due poli di una tensione ancora esistente, che
continua ad animare gran parte del dibattito contemporaneo. Intorno a questa contrapposizione sono state infatti costruite altre dicotomie come quella
fra creazione ed applicazione del diritto, fra legislatore e giudice, fra valutazioni oggettive e soggettive, fra potere e diritti o più recentemente fra distribuzione delle risorse ed efficienza allocativa.
Eppure nessuno può dubitare del ruolo che il diritto ed i giuristi assumono
*
Giovanni Marini è Professore ordinario di Diritto Privato Comparato nell’Università di Perugia, membro del Nucleo di Coordinamento dei dottorati in Diritto Comparato in Italia e del
comitato di coordinamento dell’attività redazionale della Rivista Critica del Diritto Privato.
Fra le sue più recenti pubblicazioni: Gli anni 70 della responsabilità civile. Uno studio della
relazione pubblico/privato (2008); La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche nel
diritto della personalità (2006); Il corpo nel prisma del giuridico (2002); Causa, oggetto, motivi, frode alla legge (2000).
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Diritto e politica.
La costruzione delle tradizioni giuridiche
nell’epoca della globalizzazione
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indirizzando sistematicamente il modo in cui risorse, facoltà e poteri vengono attribuiti all’interno delle diverse società, tanto da meritarsi spesso critiche – anche aspre – per gli esiti a cui le soluzioni proposte danno luogo.
Naturalmente i teorici più sofisticati raramente aderiscono ad una contrapposizione netta fra i due domini. Anzi, il più delle volte, riconoscono che il
confine fra le due aree è difficile da tracciare, talvolta persino sfuggente e
dunque che la politica spesso riesce a penetrare nell’area del diritto. Di
fronte a questo fenomeno l’atteggiamento teorico prevalente è stato quello
di delineare un confine più chiaro fra i due campi, in modo da mantenere le
infiltrazioni al minimo.
In questo senso a giocare un ruolo determinante nel mettere in crisi i possibili rapporti fra i due, in Italia almeno, è stata certamente l’ascesa del diritto
comparato quando, intorno alla fine degli anni ’70, riaffermando il suo carattere di scienza ha contemporaneamente posto fine ad ogni velleità (da parte
dei funzionalismi di vario genere) di affermare un legame fra diritto e società. Ma, forse, la storia non può considerarsi chiusa lì.
2. L’apporto del diritto alla costruzione del contesto culturale: i
nuovi trends del diritto comparato.
Nel corso dell’ultimo decennio la diffusione degli studi di diritto comparato
ha subito un’accelerazione vertiginosa. Al tempo stesso, l’intera disciplina è
stata esposta ad una serie di critiche che non ha certamente precedenti rispetto al passato. Queste hanno toccato i suoi stili, la sua retorica, la sua
politica del diritto, le sue pratiche argomentative fino a coinvolgere l’intero
progetto disciplinare.
L’incontro con i nuovi filoni di studi giuridici e della teoria critica ha prodotto
una completa ristrutturazione dell’intero campo teorico e del suo vocabolario classico. Sono potute così emergere anche una serie di variegate posizioni dissidenti rispetto al mainstream, fondato su una metodologia ispirata
prevalentemente al funzionalismo o allo strutturalismo, che aveva sino ad
allora dominato il campo.
Ora, all’interno di uno scenario complesso, sono all’opera diverse generazioni
di comparatisti e si possono pure delineare diverse fasi della comparazione.
Ce ne sarebbe abbastanza, allora, per tracciare i lineamenti per un possibile
aggiornamento della storia intellettuale della disciplina. In ogni caso chiunque ci provasse avrebbe difficoltà a ricostruirla in termini di un’evoluzione
progressiva; il quadro pare segnato piuttosto da una successione di rotture,
che talvolta possono addirittura sovrapporsi o intrecciarsi fra di loro poiché
non seguono neanche una rigida scansione cronologica.
1
2
Per il primo cfr. K. ZWEIGERT-H. KÖTZ, An Introduction to Comparative Law, Oxford University Press, Oxford, 1998; antesignano del secondo può essere certamente considerato R.
David, il quale già enfatizza come i singoli sistemi presentino profonde differenze dovute al
dato culturale. L’enfasi sull’immersione del diritto nella cultura operava criticamente nei
confronti delle versioni più estreme del funzionalismo (gli stessi scopi, funzioni e finalità del
funzionalismo sono termini definiti dalla stessa cultura e non possono essere generalizzati
in modo soddisfacente). Questa impostazione ha condotto ad abbandonare la presunzione
di similitudine fra i diversi sistemi e focalizzarsi invece sulla diversità culturale e sulla necessità di rispettarla. Alcuni dei problemi che l’enfasi su questo elemento sollevano riguardano la validità di uno studio che sia ontologicamente dipendente dal contesto e dalla società da una parte e di quali fra i molteplici elementi che possono entrare a comporre una
cultura debbano essere presi in considerazione dalla comparazione, dall’altra. Su questi
punti variamente A. RILES, Wigmore’s Treasures Box: Comparative Law in the Era of information, in 40 Harv. Int’l L.J., 1999, 221; Da. KENNEDY, The politics and methods of comparative law, in M. BUSSANI-U. MATTEI (eds.), The Common Core of European Private Law, The
Hague-Kluwer Law International, 2003, 131-207; A. RILES, Comparative Law and sociolegal studies, in M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (eds.), The Oxford Handbook of Comparative
Law, Oxford University Press, Oxford, 2007, 775; R. COTTERELL, Comparative Law and legal
culture, in M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (eds.), The Oxford Handbook of Comparative Law,
Oxford University Press, Oxford, 2007, 709; G. TEUBNER, Legal irritants: Good faith in british
law or how unifying law ends up in new differences, in 61 M.L.R., 1998, 11.
Il saggio pionieristico in materia è di G. FRANKENBERG, Critical comparison: re-thinking comparative law, in 26 Harv. Int’l L.J., 1985, 411, il quale pone il problema della separazione fra
diritto e società in questi termini: “[t]his ethos of value freedom suppresses how language,
interests and experiences, which even the comparatists concede are culture-based, contribute to the comparison”, 425.
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Vi sono però alcuni dati di fondo significativi che forse è opportuno ricordare. Intanto perde terreno la contrapposizione fra un approccio tecnico, definito così per l’attenzione riservata prevalentemente alle regole giuridiche, ed
un approccio culturale, la cui enfasi tende invece a spostarsi più sul contesto sociale o socio-economico o, appunto, culturale, in cui queste regole sono intese e chiamate ad operare 1.
La dicotomia è stata rimessa in discussione dall’ormai acquisita consapevolezza che molte delle osservazioni che entrano a dar corpo al dato culturale
non possono essere ignorate da nessun metodo che si proponga di realizzare una seria comparazione. E così puntualmente si è rivelato essere ad una
più attenta considerazione.
Oggi, però, tale critica assume una colorazione assolutamente nuova nella
prospettiva della rilettura dei rapporti fra diritto e società, cioè fra testo (il complesso costituito da ogni sistema giuridico) e contesto culturale nel quale il primo è chiamato ad operare. A questo angolo visuale è apparso sempre più nitidamente il contributo del diritto stesso alla costruzione dello stesso contesto
culturale nel quale le regole operano. E ciò porta ad interrogarsi sul contributo
particolare che proprio il diritto comparato può dare nella sua costruzione 2.
Fa segnare invece una battuta d’arresto il progressivo superamento della
comparazione delle “differenze”, il cui obiettivo era valorizzare l’identità na-
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zionale e magari la superiorità di un sistema sull’altro 3, a favore della comparazione delle “somiglianze”, che si proponeva invece il riavvicinamento degli ordinamenti 4. Oggi il pendolo sembra essere tornato di nuovo verso la
contrapposizione, l’antagonismo però non è più funzionale alla riaffermazione di un’identità nazionale, quanto piuttosto a mettere in competizione fra
loro ordinamenti diversi nel nuovo quadro transnazionale 5.
La contrapposizione fra common law e civil law viene ora riletta come contrapposizione fra un sistema europeo (in cui i classici modelli francese e tedesco vengono accostati ed integrati insieme con tutti gli altri) ed un sistema americano in un quadro in cui è la stessa common law a diventare una
posta in gioco attratta, a seconda delle ricostruzioni, dall’uno o dall’altro. In
questo quadro riprendono quota quei sistemi giuridici che, come quello cinese, indiano, latinoamericani per non parlare di quelli africani, erano stati
marginalizzati come diritti del “terzo mondo”, “in via di sviluppo” o “transitori”. Questi, ora, hanno riguadagnato centralità e l’interrogativo principale riguarda proprio la loro posizione all’interno del confronto.
3
Classici R. SALEILLES, Etude sur la théorie génerale de l’obligation d’après le premier project
de Code civil allemand, Dijon, Paris, 1890 che compara il codice francese rispetto al codice tedesco e ne afferma la superiorità pratica ed estetica, anche come base per un processo di unificazione del diritto, mentre ne importa le soluzioni (ma per un più dettagliato
quadro sul ruolo della comparazione in quel frangente C. JAMIN, Saleilles’and Lambert’s old
dream revisited, in 50 Am. J. Comp. L., 2002, 701), H.C. GUTTERIDGE, Comparative law: an
Introduction to the comparative method of legal study and research, Cambridge, 1946, che
invece esalta la flessibilità del diritto inglese.
4
Classici K. ZWEIGERT-H. KÖTZ, Introduction, cit., I, 3, per i quali le soluzioni convergenti dovevano dimostrare ciò che di “eternamente valido ed universale” è condiviso da ogni sistema. Sulla riduzione delle distanze fra common law e civil law, seppure in una diversa
prospettiva, cfr. G. GORLA, La “communis opinio totius orbis”, in M. CAPPELLETTI (ed.), New
Perspectives for a common law of Europe, Sijthoff, Leyden, 1978, 45; G. GORLA-L. MOCCIA,
A “revisiting of the comparison between “continental law” and “english law” (16 th to 19th
century), in 2 J. leg. Hist., 1981, 143 sulla base che il diritto continentale sarebbe stato, fra
il XVI ed il XVII secolo, un diritto giudiziale, ancora più radicalmente M. LUPOI, Alle radici del
mondo giuridico europeo, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1994; ID., The origins
of European Legal order, (A. Belton trad.), Cambridge University Press, Cambridge, 2000,
per il quale i due sistemi si sarebbero sviluppati a partire da un ceppo comune altomedioevale, ma anche R. ZIMMERMAN, Diritto romano ed unità giuridica europea, in AA.VV., Studi di
storia del diritto, I, Giuffrè, Milano, 1996, 16 sulla diversa base che il diritto inglese arrivi dopo
secoli alle stesse soluzioni continentali, dimostrandone l’intrinseco carattere europeo. Una
messa a punto è già in A. WATSON, Roman law and comparative law, University of Georgia
Press, Athens-London, 1991 e sulla circolazione dei modelli argomentativi, D. IBBETSON,
The Roman Law tradition, in D. IBBETSON-A.D.E. LEWIS (eds.), The Roman Law tradition,
Cambridge University Press, Cambridge, 1994, 8.
5
P.G. MONATERI, Comparer les comparaisons: la légitimité culturelle et le Nomos du droit, in
Op. J., vol. 1/2009, paper n. 1, 1-26, disponibile anche all’indirizzo: http://ssrn.com/abs
tract=1354055. Sul problema A. ZOPPINI (a cura di), La concorrenza fra ordinamenti giuridici,
Laterza, Roma-Bari, 2004; A. SOMMA, Tanto per cambiare … Mutazione del diritto e mondializzazione nella riflessione comparatistica, in Pol. dir., 2005, 89.
6
Du. KENNEDY, Three globalizations of Law and Legal Thought, in D.M. TRUBEK-A. SANTOS
(eds.), The new law and economic development: A Critical Appraisal, Cambrdige University
Press, Cambridge, 2006.
7
Collega la classificazione delle famiglie giuridiche all’evoluzionismo ed in particolare all’idea
secondo la quale la società europea avrebbe costituito lo stadio finale dell’evoluzione di
tutti gli altri sistemi giuridici (implicito nella definizione di David “altre concezioni di diritto
ed ordine sociale”) P. GLENN, Comparative legal families and comparative legal traditions, in
M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (eds.), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford University Press, Oxford, 2007, 422. Il passaggio è anticipato dalla rilettura delle famiglie giuridiche in chiave dinamica e sociologica da U. MATTEI-P.G. MONATERI, Introduzione breve al
diritto comparato, Cedam, Padova, 1997, e da U. MATTEI, Three Patterns of Law: Taxonomy
and Change in the World’s Legal Systems, in 45 Am. J. Comp. L., 1997, 5, 23.
8
M. REIMANN, The progress and failure of comparative law in the second half of the 20 century, in 50 Am. J. Comp. Law, 2002, 671. In particolare cfr. J.H. MERRYMAN, The civil law
tradition: An Introduction to the Legal Systems of Western Europe and Latin America, Stanford University Press, Stanford, 1985; P. GLENN, Legal traditions of the world, Oxford, 2004;
M.A. GLENDON-M. GORDON-C. OSAKWE, Comparative legal traditions, in St. Paul, Minn., 1994;
P. LEGRAND-R.J.C. MUNDAY (eds.), Comparative legal studies, traditions and transitions,
Cambridge University Press, Cambridge, 2003. Rileva come il ricorso alla tradizione sia avvenuto prevalentemente nell’area di un sistema ritenuto aperto come la common law A.
SOMMA, Tradizione, in Tecniche e valori nella ricerca comparatistica, Giappichelli, Torino,
2005, 161 (dove anche una comparazione con quelle ricerche volte a sottolineare la connessione fra il diritto e la società come quelle che si ispirano all’“esperienza giuridica”).
9
Le tradizione giuridica infatti pare meglio attrezzata rispetto ai suoi predecessori per accogliere al suo interno il fenomeno di una molteplicità di diritti, compreso quello soft, e di una
graduazione della loro forza che si può applicare in un dato spazio giuridico reso evidente
dal declino dello stato nazionale e dall’affermazione di altre entità giuridiche che con esso
concorrono: cfr. P.G. MONATERI, La costruzione giuridica del globale e lo scontro delle giustizie, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 677-702.
th
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Al tempo stesso, però, la graduale riaggregazione delle varie esperienze nazionali attorno a polarità diverse dal passato, ha contribuito a mettere in luce
un quadro sensibilmente più fluido, in cui emerge soprattutto come il grado
di apertura o chiusura che ognuna di queste esperienze può assumere nei
confronti delle altre è storicamente relativo e comunque sempre in continuo
movimento.
Comincia a diventare evidente, anzi, come in questo nuovo ordine transnazionale, le singole diversità nazionali non siano altro che una soluzione particolare nell’ambito di una struttura e di un linguaggio ormai largamente comuni 6.
In questo quadro è possibile rilevare un’altra interessante novità. L’emersione (o il ritorno, forse) dell’idea di tradizione giuridica che affianca e talvolta
sostituisce del tutto nei discorsi del mainstream le più classiche ricostruzioni in termini di famiglie 7 e sistemi giuridici 8. L’idea di tradizione giuridica
appare oggi – nell’era della globalizzazione – uno strumento più idoneo a
svolgere un’indagine di tipo comparativo 9.
È ovvio che il comparatista si interroghi allora sui prodotti, sulle architetture
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e sulle dinamiche interne della propria attività intellettuale. E le domande
che oggi si pone tendono ad essere diverse da quelle classiche che si poneva in un passato pure recente. Gli interrogativi che il comparatista si pone
infatti non riguardano più soltanto la corrispondenza delle sue rappresentazioni alla realtà e l’esattezza dei criteri che permettono di ritenerle tali, né l’utilità che possono svolgere le rappresentazioni (scopo) ed i parametri dai quali
muovono (unità di analisi). Ora il comparatista si domanda come le raffigurazioni prodotte dalla sua disciplina (insieme alle varie sottodiscipline che la
costituiscono) contribuiscono a creare la realtà stessa, chi o che cosa le produce, le controlla e per quali motivi 10.
L’attenzione allora viene tutta presa dalle narrative, dai modi con cui gli interpreti inquadrano e descrivono la realtà, dalle visioni del mondo delle quali
essi si servono nel tentativo di offrire una rappresentazione della società e
di ciò che ne assicura la legittimità.
3. Comparative law as literature: il diritto come narrazione.
Insieme ad esse cambiano anche i riferimenti della comparazione, che non
sono più costituiti (solo) dalle scienze sociali ed economiche; entrano in gioco
infatti le scienze umane ed in particolare la critica letteraria e gli studi culturali 11. L’importazione dei loro schemi analitici permette di considerare il diritto come un prodotto culturale, una pratica culturale.
Questa associazione con la critica letteraria e gli studi culturali può aprire a
nuove forme di law and 12. Com’è accaduto però a tutte le forme di law and,
10
Nella prima prospettiva l’oggetto dell’analisi è assolutamente esterno rispetto all’attività intellettuale del soggetto interprete, nella seconda l’oggetto è problematizzato: la critica dello
scientismo, cioè la teorizzazione guidata dai paradigmi delle scienze naturali, rimette in discussione non solo ciò che si osserva, ma anche chi lo osserva.
11
L’impostazione che riconduce ai metodi umanistici è ora chiaramente sviluppata in P.G.
MONATERI, Deep inside the brumble bush: complessità e riaffermazione delle scienze umane, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 481 e ID., Comparer les comparaison: la légitimité culturelle
et le Nomos du droit, cit.
12
L’associazione che viene in mente, anche se non del tutto riducibile ad essa, è quella fra
law e literature. In questa prospettiva il diritto è stato associato agli studi letterari almeno in
tre modi differenti. Un prima tendenza umanistica guarda ai testi letterari, ritenuti variamente necessari per “elevare moralmente” il giurista, nel senso di indirizzarlo verso forme diverse meno astratte e meccanicistiche di ragionamento o per conoscere meglio la natura
umana. Una seconda ermeneutica guarda alla teoria letteraria per ispirarsi alle metodologie
interpretative dei testi. Una terza si occupa delle narrative per lo più nel senso di valutare il
carattere persuasivo delle varie storie che i giuristi raccontano, l’enfasi sulla strategia retorica delle costruzioni però è solo una delle versioni, altre volte l’enfasi sullo storytelling serve per dimostrare come il diritto funziona realmente (nel senso di escludere sistematicamente gli outsiders e sollecitare delle counter-narratives o storie “dal basso”) o per sottoli-
neare il carattere inevitabilmente parziale di ogni punto di vista. Fra i molti, J. BARON-J. EPLanguage and the Law: Literature, Narrative and legal Theory, in D. KAIRYS (ed.), The
politics of Law: A Progressive Critique, Pantheon Books, New York, 1998, 662; P. BROOKSP. GEWIRTZ (eds.), Law’s stories: Narrative and Rhetoric in the Law, Yale University Press,
New Haven-London, 1996; S. LEVINSON-S. MAILLOUX (eds.), Interpreting law and literature: a
Hermeneutic reader, Evaston, Illinois, 1988. Ora in italiano G. MINDA, Teorie postmoderne del
diritto, Il Mulino, Bologna, 2001.
STEIN,
13
Per tutti R. COOTER, Prices and sanctions, in 84 Colum. L. Rev., 1984, 1523 e M. POLINSKY,
Una introduzione all’analisi economica del diritto (1983), Zanichelli, Bologna, 1986, 7. Varie
applicazioni in AA.VV., Interpretazione giuridica e analisi economica, Giuffrè, Milano, 1982.
14
Per tutti Du. KENNEDY, Three globalizations of Law and Legal Thought, cit.
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anche questo genere di associazione non può sottrarsi al vaglio di un test. È
necessario infatti che la prospettiva di lettura che viene avanzata in questo
modo sia in grado non soltanto di porre in evidenza una possibile somiglianza fra i rispettivi metodi delle due discipline, ma deve riuscire a dirci davvero qualcosa di più sul diritto rispetto a quanto conoscevamo già prima.
È necessario insomma che vengano portate alla luce questioni nuove, come
è accaduto ad esempio nel caso forse più famoso di law and: la law and
economics. L’analisi economica del diritto, infatti, ha certamente fatto segnare un significativo passo in avanti nel campo degli studi giuridici solo nel
momento in cui ha messo in luce come il diritto non possa essere considerato soltanto sotto il profilo della sanzione, ma anche come un prezzo da
pagare o un costo da sopportare 13.
Così, se certamente la presenza di un testo che deve essere sottoposto ad
interpretazione può giustificare un’associazione fra diritto e critica letteraria,
non è questo il dato originale e forse neanche il più importante da considerare.
Vi sono invece due altre questioni che l’associazione con queste discipline
è in grado di mettere in luce. La prima è che, come tutti i testi letterari, anche quelli giuridici seguono dei generi, rispondono cioè ad un canone che
regola la produzione del significato. Questo prodotto opera in un campo
culturale dato, un campo che consente di individuare le possibilità estetiche
(schemi organizzativi, vocabolario concettuale, modelli di ragionamento e
tecniche argomentative) che sono concesse all’autore, in un dato momento
storico e geografico, per la produzione di tali artefatti culturali e che servono a
legittimare il suo operato, ma anche a delimitare il suo campo d’azione 14. Canoni e modelli che, come tutti i prodotti culturali, sono destinati ad una larghissima circolazione. La seconda è che l’autore, come spesso accade in
ogni campo culturale, attraverso le sue opere può perseguire obiettivi strategici. I suoi prodotti non sono soltanto il semplice riflesso di un più ampio contesto storico-culturale, ma costituiscono una vera e propria riappropriazione
del complesso degli elementi che lo costituiscono per reinventarlo legittiman-
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do canoni diversi, talvolta in antagonismo con altre ricostruzioni. È importante
allora capire le ragioni per le quali i vari testi vengono assemblati in un determinato modo, il progetto culturale che l’autore persegue ed i suoi risultati.
Con ciò vengono portati alla luce i caratteri retorici ed ideologici che la
comparazione può assumere nel suo processo di organizzazione dello spazio e della sua rappresentazione 15. Valorizzare questi caratteri permette allora di sottrarsi alla visione del diritto come la ricerca dell’unica regola corretta possibile senza cadere nell’affermazione opposta che “il diritto non sia
nient’altro che politica”.
L’enfasi posta sul carattere di narrativa delle rappresentazioni giuridiche non
deve però far passare in secondo piano un altro importante profilo che le
caratterizza. Vi è infatti un elemento che rende il diritto irriducibile a (quasi)
tutte le altre discipline. Se il diritto può essere considerato alla stregua di un
prodotto culturale, non bisogna dimenticare come il diritto, diversamente da
questo, sia in grado di produrre effetti ulteriori – costitutivi e distributivi –
capaci di incidere pervasivamente sulle esistenze individuali dei singoli 16.
Il diritto infatti distribuisce potere e risorse, determinando l’identità concreta
dei soggetti. Insomma il diritto non stabilisce soltanto le regole del gioco,
ma distribuisce la posta ai giocatori e ne determina perfino l’identità 17. Anche quando le decisioni giuridiche sembrano essere affidate a fattori “esterni” come accade quando si invoca il mercato o la libertà individuale, non si
può negare il ruolo che svolge la regolamentazione giuridica nella costruzione del primo e nella determinazione dei margini della seconda.
Il diritto opera dunque anche dove non appare. Anzi, proprio questa caratteristica lo rende ancora più efficace 18. Non si può negare, infatti, come di-
15
La capacità di rappresentare un nomos nel senso di Robert Cover, “Nomos and narrative”
(R. COVER, The Supreme Court, 1982 Term – Foreword: Nomos and Narrative, in 97 Harv. L.
Rev., 1983, 4, ora M. MINOW-M. RYAN-A. SARAT (eds.), Narratives, Violence and the Law. The
essays of Robert Cover, University of Michigan Press, Michigan, 1992) come “un mondo
normativo in cui viviamo e che delimita le possibilità d’azione”.
16
Il diritto è in una relazione complessa con la società e la cultura, una relazione biunivoca,
poiché il diritto non è solo il loro prodotto, ma contribuisce a sua volta a produrle. La forza
del diritto non è soltanto coercitiva, ma anche discorsiva e produttiva (G. FRANKENBERG, Critical comparison, cit.).
17
Il punto è stato chiarito dai realisti giuridici (per la posizione più netta cfr. R. HALE, Coercion
and distribution in a supposedly non-coercive state, in 38 Pol. Sci. Q., 1923, 470) ed è stato
ampiamente ripreso da Du. KENNEDY, The stakes of law, or Hale and Foucault!, in Sexy
Dressing Etc. Essays on the power and politics of cultural identity, Harvard University Press,
Cambridge, 1993, 83. Per una rielaborazione autoctona, volendo, G. MARINI, Gli anni settanta della responsabilità civile. Uno studio sulla relazione pubblico-privato (I-II parte), in Riv. crit.
dir. priv., 2008, 23-229 ed ID., Distribuzione ed identità nel diritto dei contratti, in A. DONATIA. GARILLI-S. MAZZARESE-A. SASSI (a cura di), Diritto privato, 3, Utet, Torino, 2009, 455.
18
La valenza estetica del diritto cela il suo potere effettivo (fra i moltissimi P. GOODRICH, Lan-
4. Un prodotto del diritto come narrazione: la tradizione giuridica.
Classici esempi del modo di operare di una narrativa possono certamente
essere rintracciati nella costruzione delle tradizioni giuridiche. Recentemente riportate alla ribalta anche nel diritto comparato, le tradizioni giuridiche
costituiscono un’opera di rappresentazione della realtà sulla base di un insieme di dati che sono stati in precedenza appresi.
Rispetto al bagaglio consueto che ci offre l’apparato metodologico tradizionale, all’interno del quale oggi certamente possiamo annoverare i formanti
con le loro regole operazionali e formule declamatorie, le tradizioni giuridiche introducono un elemento ulteriore. Seppure di difficile definizione ed in
continua evoluzione, questo elemento richiama in ogni caso la cultura nazionale, la mentalità o i valori 20. Quando si tratta di discutere delle somiglianze
e delle divergenze fra sistemi, di prospettare il loro ravvicinamento o armonizzazione, c’è qualcosa di più allora che è chiamato in gioco.
Le tradizioni giuridiche vengono ora candidate come uno strumento più adeguato a svolgere un’indagine di tipo comparativo rispetto agli altri, come
le famiglie ed i sistemi giuridici, ai quali si è finora affidata l’analisi 21. La tradizione giuridica sembra infatti in grado di cogliere ed esprimere meglio certe caratteristiche come la mutevolezza, la dinamicità e la porosità che oggi
tendono a comparire anche all’interno delle più classiche unità di analisi 22.
guages of Law: From Logics of Memory to Nomadic Masks, Weidenfeld and Nicolson,
London, 1990, 251).
19
È merito dei realisti giuridici aver focalizzato la propria attenzione sul ruolo delle regole (anche di diritto privato) che, permettendo o limitando l’azione individuale, conducono alla definizione giuridica del potere contrattuale e sul fatto che il non intervento, non meno dell’intervento, costituisce una scelta a monte da parte dell’ordinamento.
20
Elementi, questi, evidenziati variamente anche in J. VANDERLINDEN, Comparer les droits, Kluwer, Bruxelles 1995; D. NELKEN (ed.), Comparing legal cultures, Aldershot, Hants, 1997 e P.
LEGRAND, Le droit comparé, Presses Universitaires de France, Paris, 1999, 22.
21
Ovviamente la rilevanza della tradizione e la ricerca dei nessi con la cultura possono essere
presenti anche in coloro che continuano a ricorrere ai sistemi, per tutti A. GAMBARO-R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, in Tratt. dir. comp., Utet, Torino, 2008, 22.
22
Questo elemento emerge variamente nelle diverse ricostruzioni, attraverso la complessità
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penda dal diritto la misura dei poteri con i quali i singoli individui possono
“negoziare” le loro esistenze individuali ed esprimere così la propria identità 19. Poteri che sono destinati ad essere rilevanti non solo nelle relazioni economiche, ma anche in tutte le altre relazioni di potere. E tali particolari effetti, che solo le narrative giuridiche sono in grado di produrre, non dovrebbero
allora mai rimanere nell’ombra.
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Le tradizioni giuridiche, mentre vincolano l’interprete, sono però sempre in
continua evoluzione e risultano difficilmente governabili 23. La dimensione della tradizione giuridica poi tende a superare i confini geografici e nazionali: le
tradizioni giuridiche possono infatti identificare aggregazioni regionali più
grandi dei tradizionali spazi nazionali come avviene per la tradizione europea
o islamica, ma anche latinoamericana e persino asiatica nella misura in cui sia
praticabile l’itinerario di ricondurre ad unità la molteplicità delle componenti
che la caratterizzano 24. Al tempo stesso, più tradizioni giuridiche possono essere presenti in uno stesso sistema, come accade per quella di common law
e di civil law che convivono insieme in molti paesi di diritto c.d. “misto”.
L’idea di tradizione giuridica, però, appare qualitativamente diversa rispetto
alle altre possibili unità di analisi, per i caratteri con i quali indiscutibilmente
si presenta. Intanto la presenza di una tradizione giuridica colora con una
tinta più forte la differenza poiché porta in esponente un qualcosa di fondamentale ed irriducibile che traccia un confine difficilmente valicabile. In
secondo luogo, la tradizione giuridica inevitabilmente assume una valenza
prescrittiva, non costituisce cioè soltanto un modo per presentare una determinata visione della realtà, ma anche di produrre attraverso la rappresentazione determinate conseguenze. L’appartenenza ad una tradizione giuridica, infatti, sebbene non vincoli, può però offrire la giustificazione per l’adozione di un regime giuridico nel quale si riflettano determinati valori o un modello di famiglia.
Infine la tradizione giuridica si afferma attraverso processi selettivi. Pur essendo di solito presentata nella prospettiva organicistica, nelle vesti cioè di
una lenta, progressiva e spontanea evoluzione, la sua rappresentazione tende a selezionare fra i vari elementi che la possono definire, privilegiandone
qualcuno nei confronti di altri.
I passati dibattiti che hanno riguardato variamente l’esistenza e la definizione dei confini della tradizione giuridica europea, l’isolamento della common
delle tradizioni, che possono conoscere anche una dimensione interna e collaterale (nella
classica elaborazione di P. GLENN, Legal traditions of the world, Oxford University Press,
Oxford, 2004 (nuova ed.), 292), che può non essere coerente con la tradizione principale o
con la sua versione dominante, portando alla luce la necessità di un contemperamento
(tolleranza) all’interno di questo discorso.
23
A questo proposito è stato notato come l’ultimo evento cambia molto spesso la percezione
che noi abbiamo dell’intera traiettoria di sviluppo e la configurazione del passato P.G. MONATERI, Deep inside the brumble bush, cit.
24
Così proprio P. GLENN, Legal tradition, cit. dove però tale tradizione tende ad essere identificata in quella cinese a causa della sua ampia influenza. Per alcune possibili osservazioni
critiche, cfr. i contributi raccolti in N.H.D. FOSTER, A fresh start for comparative legal studies? A
Collective Review of Patrick Glenn’s Legal Traditions of the World, 2nd edition, in 1 J.
Comp. Law, 2006, 100-199.
25
Il riferimento è al processo con il quale vengono individuati nei nomi e negli aspetti delle
vecchie istituzioni le tracce delle nuove (In tale prospettiva si moltiplicano gli antecedenti
funzionali e le “variabili di un comune tema europeo” (cfr. R. ZIMMERMAN, Diritto romano, diritto contemporaneo, diritto europeo: la tradizione civilistica oggi, in Riv. dir. civ., 2001, I,
709, 746, ma critico T. GIARO, Zivilistik als Geschichte und Theorie, in Rechtshistorisches
Journal, 1995, 358 ed ID., Traditionswerkstat Rechtsgeschichte, in Rechtsgeschichte, 2002,
237). Non dovrebbe però dimenticarsi il peso e la presenza di altri elementi non romanistici, che soltanto la pandettistica è riuscita a livellare attraverso l’astrazione. Con la conseguenza che molti dei dogmi della civilistica tendono a differire da quelli romanistici “classici”. Emblematico per la proprietà A. GAMBARO-A. CANDIAN-B. POZZO, Property, Propriété, Eigentum. Corso di diritto privato comparato, Cedam, Padova, 1992, ma anche R. SACCO, La
codificazione, G. PUGLIESE, Diritto romano e diritto comparato, in AA.VV., Incontro con G.
Pugliese, Giuffrè, Milano, 1992, Il fatto è spesso presentato nella visione continuistica variamente come presenza “in nuce” degli ulteriori sviluppi o dei principi o di “surrogati” nel
diritto romano.
26
Anche rispetto alla stessa tradizione romanistica è emersa una certa disomogeneità conseguente al fatto che gli elementi che costituiscono il nucleo della Western Legal Tradition
emergerebbero soltanto dopo il terzo secolo ed in concomitanza con l’affermazione di una
diversa civiltà su fondamenti provenienti dall’Oriente e dall’Africa cfr. P.G. MONATERI, Black
Gaius. A quest for the multicultural origin of Western Legal Tradition, in 51 Hastings Law J.,
2000, 479.
27
Per i francesi la base del code è diritto romano riordinato secondo ragione, per i tedeschi
significa unicità del diritto romano, un ordine di principi che si concretizzano e si articolano
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law o l’autonomia della famiglia dei paesi socialisti ci offrono un chiaro esempio di queste caratteristiche e del modo in cui tali raffigurazioni siano state
continuamente rimesse in discussione proprio per la selezione – ritenuta discutibile, se non talvolta arbitraria – di alcuni dei loro tratti distintivi o per il
ricorso spesso ardito (troppo) ai concetti c.d. latenti o a surrogati funzionali
di eccessiva vaghezza 25.
Nell’esperienza giuridica europea la tradizione è radicata nel diritto romano,
tale tradizione dovrebbe infatti costituire l’esito di un processo graduale nel
quale le radici storiche sono state rielaborate in varie epoche ed in paesi
differenti, con il risultato di mettere in evidenza la continuità che caratterizza
l’intera tradizione giuridica occidentale.
Bisogna ricordare, però, come lo stesso diritto romano, che viene posto alla
base di tale tradizione, da una parte abbia già nel Medioevo, prima ancora
che in epoca moderna, conosciuto profonde modificazioni, e dall’altra abbia
subito a sua volta significative influenze orientali 26.
La tradizione romanistica è stata così variamente ricostruita e posta al servizio di diversi progetti, in tempi ed in paesi diversi, sempre nel segno dell’edificazione di un qualcosa nuovo. È da tutti conosciuto l’uso del diritto romano da parte di francesi e tedeschi nell’Europa dell’Ottocento. Ai primi servì
come “ratio scripta”, per cioè legittimare come logiche e razionali le soluzioni giuridiche del Code civil in modo da rendere evidente la rottura rispetto all’Ancien Régime ed il ribaltamento delle sue forme giuridiche 27; ai se-
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41
focus
42
condi servì invece come elemento del Volkgeist rielaborato dalla stessa scienza
giuridica allo scopo di riattualizzare le fonti per dar vita ad un modello scientifico in contrapposizione alla stessa Francia 28. Ancora oggi l’appello alla tradizione romanistica come jus commune, in cui civil law e common law possono addirittura trovare il punto d’incontro, serve per edificare una più complessa Western Legal Tradition con nuove altre finalità 29.
Due dati sono allora immediatamente evidenti. In primo luogo, l’impossibilità di individuare un’unica tradizione romanistica, perché diverse sono le configurazioni che questa può assumere. In secondo luogo, la capacità della tradizione di rappresentare al tempo stesso una rottura (rivoluzionaria) di continuità, ma anche una ripresa della continuità ininterrotta. All’esito di questo
processo di ricostruzione emerge però anche un terzo ulteriore dato: alla continuità (ritrovata) delle forme giuridiche corrisponde, molto spesso, una significativa discontinuità nell’assetto sociale che la ritrovata continuità è chiamata a promuovere 30.
28
29
30
nella storia dei popoli in vario modo (la norma non parte da un principio generale, ma
riceve senso dai fenomeni sociali), ma che non possono essere catturati una volta per tutte
come sistema dal giurista con esclusione di tutti gli altri diritti. In Savigny l’adattamento del
diritto alla multiformità d’espressione dello spirito dei popoli non è una riduzione culturalistica dell’ampiezza dei principi, ma il loro stesso modo di esistenza.
Ancora P.G. MONATERI, Diritto, estetica e soft power. La competizione culturale fra ordinamenti giuridici, in Riv. crit. dir. priv., 2005, 274 “quel particolare nascondimento della propria realizzazione che sta a fondamento del «classico»” si realizza nel codice civile che, richiamandosi al diritto romano, produce però un nascondimento che non è mera ideologia
poiché, nei dettagli, determina un ri-assetto dei rapporti fra ceti sociali; il codice civile si richiama inoltre alla common law rispetto alla quale rovescia l’ordine delle fonti.
È Savigny che ancora il diritto, in quanto “storicamente divenuto”, alle tradizioni locali, allo
spirito del popolo e dunque al diritto romano che doveva contrapporsi ad un diritto universale fondato sulla ragione ed alla codificazione in quanto prodotto artefatto. Sul diritto romano come tradizione giuridica e sugli usi ai quali viene destinato ancora cfr. A. SOMMA, Da
Roma a Washington, in P.G. MONATERI-T. GIARO-A. SOMMA (a cura di), Le radici comuni del
diritto europeo, Carocci, Roma, 2005, 169.
H.J. BERMAN, Law and Revolution. The Formation of Western Legal Tradition, Harvard University Press, Cambridge, Mass., London, 1983. Di essa può porsi alla guida il diritto statunitense, erede della common law, che incorpora i valori dell’illuminismo francese e le più
avanzate soluzioni dottrinali tedesche in un sistema giudiziale di qualità superiore.
L’appello a Roma (ed alla Grecia) rimane il quadro fondamentale lungo il quale si organizza
la tradizione europea cfr. P.G. MONATERI, Black Gaius. A quest for the multicultural origin of
western legal tradition, in 51 Hastings Law J., 2000, 479. Porta in evidenza la dinamica
dell’Anfang, che caratterizza il richiamo alle tradizioni, cioè del collegamento che molto spesso viene a fondarsi fra l’appello all’originario, come ritorno alle fonti, per contrapporsi e superare la tradizione (che pure alle stesse fonti si richiamava) anche nel campo del giuridico
P.G. MONATERI, Diritto, estetica e soft power, cit., 271, mediazioni come fonti di trasmissione (continuità) e novità (rottura). Sottolinea come il diritto romano sia stato richiamato anche alla base di altri progetti con un segno opposto come quello comunitaristico ed antiindividualistico, A. SOMMA, Da Roma a Washington, in P.G. MONATERI-T. GIARO-A. SOMMA (a
cura di), Le radici comuni, cit., 186.
43
31
Per una critica efficace cfr. A. GAMBARO, Perspectives on the codification of the law of property: an overview, in 5 Eur. Rev. Pr. L., 1997, 497 ed ID., Toward a codification of the European Law of Property, in A. GAMBARO-M. RABELLO (eds.), Towards a new European Jus Commune, Sacher Institute, Gerusalemme, 1999, 89.
32
Cfr. P.G. MONATERI, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, in
Riv. dir. civ., 2003, I, 409-422. Il riferimento è all’equity (M. HESSELINK, The Concept of Good
faith, in A.S. HARTKAMP-E.H. HONDIUS-C.A. JOUSTRA-C.E. DU PERRON-M. VELDMAN (eds.),
Towards a European Civil Code, Kluwer Law International, The Hague-London-Boston,
2004, 471-498; ora anche in formato elettronico all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=
1098856) ed ai rimedi che originano in equity come il promissory estoppel o alle tecniche
dell’implied terms (sul punto volendo G. MARINI, Promessa ed affidamento nel diritto dei
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La presenza di una consolidata tradizione giuridica può rivelarsi allora un argomento decisivo, nello spazio globale, per giustificare forme di resistenza
nei confronti di un processo di integrazione o armonizzazione giuridica o soltanto, più semplicemente, per condizionarne le modalità o rallentarne i tempi.
Com’è avvenuto in passato di fronte all’espansione di una legislazione sociale disorganica, la tradizione giuridica europea – identificata nel rigoroso
impianto sistematico-dogmatico della sua scienza giuridica – è stata ancora
recentemente invocata come baluardo per contrastare l’espansione di una
legislazione di origine comunitaria ritenuta troppo disordinata. L’argomento,
utilizzato a più riprese nei confronti delle interferenze comunitarie nell’area
del contratto, una volta conquistato definitivamente quest’ultimo alla causa
dell’armonizzazione, viene ora riproposto quasi negli stessi termini di fronte
all’espansione in atto nell’area della responsabilità civile o a quella che si
paventa nella proprietà 31.
Identificata invece con il complesso dei valori sociali che si vogliono trovare
all’interno della sua costituzione politica, la tradizione giuridica europea è spesso utilizzata come un argine nei confronti della diffusione dei modelli statunitensi, presentati come eccessivamente individualistici. Se ci si sposta sul
terreno della teoria del contratto non mancano gli esempi: viene infatti subito alla luce l’ennesima riedizione del vecchio antagonismo fra l’egoismo del
contratto di common law e la solidarietà del contratto europeo. Ora il conflitto è diventato quello fra un modello rugiadoso, sempre aperto alla ridefinizione giudiziale attraverso la buona fede, ed uno più rude americano, in cui
gli spazi per la sua operatività sono assai ridotti. Eppure non bisognerebbe
dimenticare tutti i vari percorsi, interni ai diritti di common law, che hanno
condotto ad attenuare nella law in action la “rudezza” di quel modello contrattuale, lasciando emergere il carattere ideologico che la contrapposizione
talvolta può assumere 32.
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5. La tradizione giuridica e il processo di armonizzazione europea.
focus
44
A loro volta tocca ai valori sociali della tradizione giuridica europea essere rimessi in discussione, così avviene quando si evocano i più scottanti fra i
loro darker legacies. Nel quadro di una indagine volta a valorizzare l’elemento culturale, una comparazione dei diritti della personalità nelle due esperienze ha contrapposto la liberty del modello americano (privacy come garanzia di uno spazio privato, anche ideale, nei confronti di illegittime interferenze da parte di terzi) alla dignità di quello europeo (diritti della personalità
come protezione nei confronti di forme di umiliazione o degradazione nei
confronti del pubblico o della società in genere). È evidente come la radicalizzazione dei due modelli, alla base della ricostruzione, rischi di andare ben
oltre il semplice tentativo di riabilitazione della privacy, in passato accusata
di eccessivo élitarismo. La ricostruzione getta infatti un’ombra sulle possibili
compromissioni del modello continentale, poiché riannoda le radici genealogiche dei diritti della personalità attraverso le “old norms of social honour”
direttamente all’onore nazista 33.
Eppure, anche in questo caso, un’attenta ricognizione comparatistica potrebbe meglio chiarire i modi complessi in cui libertà e dignità convivono invece
– e da sempre – in entrambi i modelli 34 come pure le modalità altrettanto com-
contratti, Jovene, Napoli, 1995). La differenza sembra risiedere allora eventualmente negli
incentivi che le parti possono avere a non lasciare il contratto incompleto. E qui l’analisi diventa più sottile, il modello del contratto rugiadoso è messo in discussione solo nelle realtà in
cui contraenti (professionali) si trovano l’uno di fronte all’altro ad armi pari, l’idea che il giudice
possa fare per le parti il contratto che avrebbero voluto, se si fossero immaginate diverse
contingenze non solo deve scontare il probabile deficit informativo del giudice, ma rialloca alla collettività i costi di contrattazione; in queste situazioni è invece opportuno preferire regole
strette di interpretazione del testo contrattuale, che rialloca sulle parti i costi delle loro ambiguità, costituendo un incentivo verso la maggiore precisione, verso la negoziazione magari in
cambio di un prezzo differente per gli ulteriori impegni di controparte. Diversamente vanno le
cose se le parti si trovano in condizioni di asimmetria, come chiarisce bene proprio chi tali definizioni del contratto ha recentemente coniato cfr. P.G. MONATERI, I contratti di impresa ed il
diritto comunitario, in Riv. dir. civ., 2005, I, 502, ma sulla funzione di incentivo delle regole
contrattuali, volendo, cfr. ancora G. MARINI, Promessa ed affidamento, cit.
33
Il riferimento è ai tentativi di catturare le mitologie che definiscono i simboli con i quali una
comunità si rappresenta di J. WHITMAN, From Fascist “Honour” to European “Dignity”, in C.
JOERGES-N.S. GHALEIGH (eds.), The darker legacy of European law: Perceptions of Europe
and perspectives on a European order in legal scholarship during the era of Fascism and
National Socialism, Hart Publishing, Oxford, 2003, 243-266 al quale si rimanda per la discussione su altri darker legacies e ID., The two western cultures of privacy: liberty vs. dignity, in 113 Yale L. J., 2004, 1151 dove l’enfasi posta sulla differenza culturale sollecita la
comparazione ad un’indagine che vada al di là dei rapporti strettamente strumentali allo
sviluppo economico; il riferimento a ideali e valori generalmente condivisi, pur essendo importante, non può far dimenticare come la loro interpretazione possa variare in modo significativo tra gli stessi partecipanti ad una cultura (a proposito di dignità cfr. M.R. MARELLA,
The Old and the New Limits to Freedom of Contract in Europe, in Eur. Rev. Contr. L., n.
2/2006, 258-274).
34
In ogni caso né la metafora spaziale ricordata per la privacy, né quella espressiva dell’ono-
re sono in grado di riflettere ed esaurire l’attuale complessità dei diritti della persona, sia
relativamente alle origini che rispetto alla loro attuale evoluzione su entrambi i lati dell’Oceano
(volendo G. MARINI, La giuridificazione della persona. Ideologie e tecniche dei diritti della
personalità, in Riv. dir. civ., 2006, I, 359). Nella prima direzione non si può trascurare infatti
il debito che gli stessi padri fondatori del right to be let alone hanno nei confronti dell’elaborazione continentale dei diritti della personalità, né il contributo che l’idea di libertà gioca
anche nei nostri (sul punto ora G. RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, Jovene, Napoli, 2005). La radicalizzazione è stata superata ed ambedue i profili riassorbiti da
una nuova generazione di diritti della persona che enfatizza, a vari livelli – vedi proprio la
constitutional privacy – la possibilità di costruire la sfera privata e l’inevitabile connessione
fra sfera privata e pubblica che viene in tal modo a crearsi (volendo sempre G. MARINI, La
giuridificazione della persona, cit.). In ogni caso la ricostruzione non chiarisce il nodo fondamentale e cioè se l’esportazione del modello americano, che si candida a costituire la
naturale espressione dei valori dell’uomo medio, debba portare con sé anche il limite della
state action con il risultato di renderlo opponibile solo all’azione statale e non ai privati.
35
H.J. BERMAN, Law and Revolution. The Formation of the Western Legal Tradition, cit. Nella
prospettiva di questo autore il collegamento con la tradizione occidentale è rappresentato,
non tanto dalla radice romanistica, ma dalla canonistica medioevale, l’area viene in questo
modo ampliata a tutto lo scenario dell’Europa centro-orientale, ma vedi T. GIARO, Comparemus! Romanistica come fattore d’unificazione dei diritti europei, in Riv. crit. dir. priv., 2001,
539.
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plesse con le quali le diverse regole operazionali si collegano all’espressione di tali differenti valori. C’è infatti da ricordare come anche all’interno di
una cultura in cui certi valori possono essere considerati generalmente accettati, nondimeno la loro interpretazione può variare in modo significativo e
difficilmente riesce a tradursi in modo automatico in un semplice principio o
regola giuridica.
Se da una parte l’enfasi sul carattere europeo della tradizione conduce a ridimensionare l’elemento americano, dall’altra l’enfasi sul carattere occidentale può condurre invece nella diversa direzione di marginalizzare gli ultimi
arrivati: i paesi dell’Europa orientale. Così la loro tradizione giuridica continua a rimanere in qualche modo perennemente in bilico, una sorta di tradizione collaterale o una sottotradizione di quella europea.
In realtà la sua specificità, almeno nei termini in cui l’abbiamo potuta conoscere in passato, è un prodotto abbastanza recente (forse solo a partire dalla
guerra fredda) della sovietologia che però sembra perpetuarsi ancora in alcuni
studi di law and development. A voler risalire più indietro 35, i segni della sua
separatezza si fanno più incerti. Di solito questa tradizione viene localizzata in
un’area in cui diritto consuetudinario, diritto bizantino, influssi ortodossi ed ottomani hanno prodotto variegati spazi giuridici, caduti poi per la maggior parte
sotto il dominio dei sovietici. In realtà, in una visione più ampia, la loro appartenenza alla tradizione civilistica si deve almeno alla recezione dei codici napoleonici. Solo la recezione della pandettistica permise la definitiva e totale “civilizzazione” dell’area, dando vita ad una tradizione sincretica che, utilizzando
successivamente anche i prodotti del pensiero sociale della scuola scientifica
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in chiave critica del diritto borghese 36, tenne durante tutto il periodo del socialismo reale, nonostante tutte le declamazioni che affermavano il contrario 37. La
stessa reazione nei confronti del diritto occidentale, prodotta dal diritto socialista russo, com’è ormai noto, era affidata a strumenti giuridici di origine
pandettistica (talvolta passati al filtro del pensiero sociale) e risultava dunque implicitamente occidentalizzata 38.
6. Uno sguardo all’interno della tradizione giuridica europea: ancora sulla dicotomia pubblico-privato.
Lo studio della tradizione riguarda non soltanto i suoi contenuti e le sue procedure, ma anche la struttura con la quale il diritto viene organizzato. In questa prospettiva costituisce un profilo fondamentale la suddivisione dello spazio giuridico in campi e sottocampi e l’individuazione dei principi intorno ai
quali sono organizzati. Divisioni del genere esistono all’interno di tutte le tradizioni giuridiche e diventano allora parte integrante di esse (una tradizione
interna?). Possono assomigliarsi, possono essere più o meno marcate o addirittura del tutto differenti da una tradizione all’altra.
Nella tradizione giuridica europea è ancora abbastanza in voga distinguere il
diritto pubblico dal diritto privato ed all’interno di quest’ultimo differenziare il
diritto del mercato rispetto a quello della famiglia.
36
Il pensiero sociale, sebbene criticato dal marxismo, venne assimilato dal diritto socialista e
sovietico cfr. G.M. AJANI, Formalism and antiformalism under socialist law: the case of general clauses within the codification of Civil Law, in 2 Global Jurists Advances, 2002, 2, esso permette di realizzare “un diritto civile nuovo non soltanto nel contenuto, ma anche nella
forma” (A. WOLTER, Diritto civile polacco, Jovene, Napoli-Camerino, 1976, 137) offrendo gli
strumenti per armonizzare l’esercizio del diritto soggettivo con l’insieme delle condizioni di
esistenza della società socialista allo scopo di assicurarne lo sviluppo e porre le basi per
quella che veniva presentata come una “sorta di umanizzazione del diritto civile”.
37
L’avvento della pandettistica, preparato dalla scuola storica, conquistò tutta l’Europa orientale, dalla Grecia ai paesi nordici, alla Russia, estendendosi anche quei paesi che, come la
Serbia o la Romania, avevano scelto altri modelli, quali, l’ABGB o il code civil (cfr. G.M. AJANI, Diritto dell’Europa orientale, in R. SACCO (a cura di), Trattato di diritto comparato, Utet,
Torino, 1996) avendo definitivamente la meglio sul diritto consuetudinario locale che dominava il quadro frastagliato dei paesi dell’Europa orientale (fattori politici come le contrapposizione di gran parte di quelle nazioni all’Impero tedesco ed al diritto romano o la mancanza di una autonomia politica nel sud est soggetto alla dominazione ottomana avevano
impedito l’elaborazione del diritto bizantino di origine romana, producendo la sua “mummificazione” come in Grecia o Romania cfr. T. GIARO, Diritto romano attuale. Mappe mentali e
strumenti concettuali, in Le radici comuni del diritto europeo, in P.G. MONATERI-T. GIARO-A.
SOMMA (a cura di), Le radici comuni, cit., 77.
38
Sul punto cfr. il pionieristico lavoro di R. SACCO, Il substrato romanistico del diritto civile dei
paesi socialisti, in Riv. dir. civ., 1969, 115; H. IZDEBSKI, La tradition et le changement en droit, in
Rev. int. dr. comp., 1987, 860; G.M. AJANI, Il modello postsocialista, Utet, Torino, 1996.
39
G. FRANKENBERG, Remarks on the philosophy and politics of public law, in 18 Legal Stud.,
1998, 177.
40
D. CARUSO, The missing view of the Cathedral: the private law paradigm of European legal
integration, in 3 Eur. L. J., 1997, 3.
41
Per una prospettiva critica cfr. Du. KENNEDY, The political stakes in “merely technical” issues
of contract law, in 10 Eur. L. J., 2002, 7.
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La dicotomia fra pubblico e privato – sebbene oggetto di una critica a volte
anche corrosiva, che oscilla fra l’impossibilità di mantenere una rigida contrapposizione fra le due sfere e la denunzia della sua vaghezza ed instabilità 39 – continua nondimeno a riemergere e giocare un ruolo fondamentale
quando si tratta di operare una classificazione sistematica dei problemi, di inquadrare i casi o determinare la specializzazione professionale dei giuristi.
La contrapposizione fra un’area (il privato), caratterizzata dalla dimensione
orizzontale delle relazioni che governa e dall’uguaglianza dei suoi attori,
dominata dalla neutralità delle sue regole, dall’estraneità ai conflitti politici e
dalla oggettività delle costruzioni scientifiche ed un’altra (il pubblico), caratterizzata invece dalla dimensione asimmetrica e verticale delle relazioni, da
interventi contingenti e dunque più aperta alla politica ed alla redistribuzione
sembra radicata stabilmente nell’impianto retorico che viene dispiegato per
raggiungere le varie soluzioni, esercitando un’influenza decisiva.
Nel privato, in particolare, tende a perdere visibilità il carattere regolamentare che sembra – nella visione del mainstream – costituire invece patrimonio
esclusivo del pubblico. Così l’adozione di regole che ha origine nel privato
non evoca il genere di conflitti tipici del pubblico, ma richiede al massimo il
consenso delle categorie professionali o una rapida verifica alla luce del test
dell’efficienza economica. Al contrario l’intervento del pubblico in un’area
considerata privata ha sempre bisogno di un surplus di giustificazioni che
legittimino l’interferenza con il funzionamento di meccanismi che vengono
ritenuti naturali e non politici.
Per queste ragioni, nella saga dell’integrazione europea, il diritto privato, in
quanto area separata, espressione più profonda di una comune cultura giuridica e dominio della scienza giuridica, è potuto rimanere a lungo indenne
di fronte all’incalzare del processo di integrazione che doveva rimanere confinato soltanto nell’area del pubblico attraverso l’abolizione di tutte le misure di
carattere variamente protezionistico 40. Successivamente, una volta che l’enfasi è stata riportata sulla logica funzionalistica o sul carattere “meramente
tecnico” delle sue regole, è stato proprio il diritto privato a venire inesorabilmente attratto dal processo di integrazione attraverso l’azione graduale e settoriale delle direttive o quella più totalizzante del CFR o di un codice civile 41.
Ora il pendolo sembra di nuovo oscillare in direzione del pubblico. Sembra
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infatti che soltanto una particolare colorazione della materia in chiave “pubblica”, cioè “politicamente sensibile” (in quanto collegata ad alcuni valori costituzionali tipici, ad una identità nazionale, a precise scelte politiche di inclusione/esclusione sociale, a questioni apertamente considerate distributive) 42
permette di coltivare qualche chances di successo a chi tenta di sottrarre il
campo al processo di integrazione. In passato qualche cosa di simile è accaduto per il diritto di famiglia, considerata materia troppo permeata da
considerazioni politiche e valori culturali per rientrare nell’orbita di quel processo 43. Ora è il diritto di proprietà che, proprio grazie all’enfasi posta sul
lato “pubblico” dei suoi caratteri, tende ad assumere una connotazione di “eccezionalità” che gli permette di riguadagnare una certa distanza rispetto agli
altri istituti classici del diritto privato, ai quali peraltro è stato sempre in passato
associato, e di evitare così di condividere il loro comune destino 44. Eppure,
non sfugge ad una più attenta osservazione che né l’uno (il diritto di famiglia),
né l’altro (il diritto di proprietà) possano mostrare un carattere più pubblico
(quanto a valori, scelte politiche, distribuzione) di altri istituti che, come il contratto, sono entrati da tempo nell’orbita del processo di integrazione 45.
42
D. CARUSO, Private Law and Public Stakes in European Integration: the case of Property, in
10 Eur. L. J., 2004, 751 per una analisi degli argomenti a favore e contro tale forma di
“eccezionalismo”.
Nello spazio globale il ricorso alla dicotomia pubblico-privato ed alle sue narrative può favorire la nascita di nuovi centri di autorità, la sua dimensione spiccatamente scientifica e non
politica, l’idea di un diritto che si evolve organicamente secondo una propria logica ed in modo indipendente dai diversi centri di potere politico gli offre la possibilità di fornire argomentazioni apparentemente inattaccabili che presentano questioni altamente ideologiche come
neutrali, il diritto privato diventa allora fonte di legittimazione delle nascenti istituzioni postnazionali. Sul contributo allo state-making del diritto privato nello spazio globale cfr. D. CARUSO, Private Law and State making in the Age of globalization, in 39 New York Un. J. of Int. L.
& Pol., 2006-2007, 1. Ugualmente quello della soft law costituisce un attacco alla pretesa del
monopolio statuale del diritto, dall’altra si serve dell’emergenza di queste nuove forme
giuridiche allo scopo di offrire un’alternativa più attraente in quanto strumenti adattabili, in
grado di assicurare una maggiore partecipazione e di ridurre lo iato fra law in the books e law
in action (A. DI ROBILANT, Genealogies of Soft Law, in 54 Am. J. Comp. Law, 2006, 499).
Ambedue possono velare gli interessi che sostengono i differenti progetti di armonizzazione. L’enfasi sul privato con la sua spontaneità, orizzontalità e dialogo può costituire una
critica nei confronti di centri di autorità (a livello nazionale), ma anche un sostegno per rafforzare quelli che cercano di emergere (a livello internazionale). Così il diritto soft può aggiungere un connotato sociale ad una politica mercantile o una caratterizzazione efficientistica ad un progetto sociale.
43
M.R. MARELLA, The NON-subversive of European Private Law: the case of harmonization of
Family Law, in 12 Eur. L. J., 2006, 78, dove si sottolinea ancora una volta la duplicità di utilizzazioni, sia per ostacolare che favorire il processo di integrazione, della connotazione.
44
M.R. MARELLA, Il diritto di famiglia fra status e contratto: il caso delle convivenze non fondate sul matrimonio, in M.R. MARELLA-F. GRILLINI (a cura di), Stare insieme. I regini giuridici della convivenza fra status e contratto, Jovene, Napoli, 2001, 3.
45
Sul punto cfr. H. COLLINS, La giustizia contrattuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 659;
49
Du. KENNEDY, The Political Stakes, cit.; G. MARINI, Gli anni settanta della responsabilità civile.
Uno studio sulla distinzione pubblico-privato, in Riv. crit. dir. priv., 2008, pt. I e II, 23 e 229;
M.R. MARELLA, The family economy versus the labour market (or housework as a legal issue),
in J. CONAGHAN-K. RITTICH (eds.), Labour Law, Work, and the Family, Oxford University
Press, Oxford, 2005, 157.
46
Per una elaborazione della dicotomia famiglia-mercato ed una sua decostruzione cfr. M.R.
MARELLA, La contrattualizzazione delle relazioni di coppia, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 57.
47
Significativo come, viceversa, nei paesi dell’Europa orientale nella vigenza dei diritti socialisti, a garantire l’autonomia della famiglia fosse l’argomento secondo il quale la famiglia era
stata sottratta dal socialismo ai rapporti patrimoniali, cessando di essere un organismo di
natura economica, come nei sistemi borghesi (caratterizzati da una preponderanza degli ele-
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All’interno del diritto privato l’altra fondamentale distinzione (una tradizione
interna?) è fra il diritto del mercato (le obbligazioni) ed il diritto di famiglia.
Quest’ultimo rappresenta una “periferia” rispetto al modello conflittuale con
il quale viene normalmente descritto il diritto del mercato, un’area particolare la cui autonomia sotto il profilo della sua regolamentazione è fuori discussione anche se diversi possono essere gli argomenti che la giustificano.
La prevalenza di interessi sovraordinati o comunque la sua diversità funzionale rispetto al mercato hanno garantito l’“eccezionalità” di tale campo giuridico. E ciò non solo quando domina una logica strettamente statualistica
in cui la famiglia rappresenta una istituzione fondamentale per l’organizzazione sociale e che pertanto giustifica una regolamentazione particolare dei
rapporti fra i componenti nell’interesse della società o dello stato; ma anche
in tutti gli altri casi in cui si affermano logiche diverse (private), secondo le
quali la famiglia è comunque una formazione sociale retta da un suo ordine
interno, con il quale è preferibile non interferire, lasciando alla morale, alla religione o alla cultura locale regolare i rapporti fra gli appartenenti al gruppo.
Alla soglia della famiglia si arresta dunque l’individualismo del diritto del mercato ed al suo interno trovano varia espressione principi diversi come l’altruismo e la solidarietà, ma anche la gerarchia e lo status 46.
In ogni caso, il diritto di famiglia, proprio in quanto settore particolare, contrapposto al diritto “tecnico” del mercato, come si è sottratto all’armonizzazione in Europa, sembra essersi potuto sottrarre altrove ai fenomeni di modernizzazione. La massiccia importazione di diritto occidentale, realizzata
nel contesto coloniale e postcoloniale, è rimasta confinata al diritto del mercato e non ha riguardato mai, se non incidentalmente, il diritto di famiglia
che, alla periferia, è potuto rimanere nazionale, organizzato cioè secondo le
particolarità locali (culturali, religiose, popolari) 47.
PÒLEMOS
7. La distinzione mercato-famiglia e i suoi risvolti alla periferia
del mondo.
focus
50
Così, mentre il diritto del mercato veniva permeato dai modelli occidentali in
virtù dell’imitazione per il prestigio o dell’imposizione per la forza, il diritto di
famiglia è rimasto generalmente aperto alle tradizioni giuridiche locali la cui
presenza ha permesso di legittimare la resistenza nei confronti dei modelli
provenienti dall’esterno 48.
I risultati, come sempre, possono essere ambivalenti, ognuno mostra cioè il
suo dark side. Se su di un piatto della bilancia c’è da mettere il ritardo con il
quale si è avviato il processo di emancipazione della donna e della famiglia,
sull’altro invece si può mettere il rispetto per lo “specifico” locale che ha evitato l’occidentalizzazione e, in alcuni casi, rallentato l’ingresso di possibili forme di commodification dei rapporti familiari 49.
In ogni caso non sembra corretto sostenere che la famiglia ed il suo diritto
siano rimasti estranei al processo di modernizzazione realizzato attraverso l’intervento dello stato coloniale. Al contrario, i diversi sistemi giuridici – ristrutturando e ridefinendo il diritto di famiglia all’interno di un quadro caratterizzato dalle contrapposizioni fra tradizionale e moderno, religioso e laico, consuetudine e diritto – hanno attivamente contribuito a tale progetto. Più precisamente hanno proiettato la famiglia in una dimensione pluralistica, un pluralismo giuridico che, però, tende ad assumere configurazioni particolari: un
pluralismo in cui la compresenza di ordini giuridici diversi spesso diventa compresenza di una serie di spazi giuridici diversi, ma combinati fra di loro 50.
La disciplina della famiglia non meno che quella del mercato è insomma il
frutto dell’incontro con il coloniale. Anzi, dalla “resistenza” nei confronti del
menti patrimoniali la cui finalità è la realizzazione dello sfruttamento), per portare in esponente invece l’elemento personale (A. WOLTER, Diritto civile polacco, cit.).
48
Anche dove l’eguaglianza fra i coniugi è stata riconosciuta limiti all’intervento nell’area della
famiglia giustificata dal fatto che l’intervento avrebbe corrotto la solidarietà e l’armonia che
deve regnare all’interno di quell’area (cfr. M.R. MARELLA, Status e contratto, cit.).
49
Da segnalare come non sempre la creazione dell’area separata del diritto di famiglia segua
la contrapposizione fra l’universale ed il locale, questo può permettere di recuperare fra i
materiali per la sua costruzione anche il diritto di origine europea considerato adeguato cfr.
I. JARAMILLO, From the tradition of the family to the family as tradition: Family law reform
in nineteenth century Latin America (paper presentato al Convegno “The construction of
legal tradition”, Perugia, 2007, in corso di pubblicazione per la Rivista critica di diritto
privato).
50
È invece abbastanza ovvio che il diritto definisce tanto le istituzioni del mercato, quanto ciò
che è famiglia ed i suoi confini, l’intervento istituzionale opera in modo selettivo, definendo
quali spazi proteggere e quali abbandonare. Nelle colonie l’“eccezionalità” della disciplina
della famiglia costituiva la possibilità prima di partecipare all’eredità occidentale e romanistica senza perdere contatto con le specificità locali, poi di contrapporsi al potere coloniale
ed alla “degenerazione” del mondo occidentale (cfr. LAMA ABU ODEH, Comparatively speaking: the Honor of the “East” and the “passion” of the “West”, in 2 Utah L. Rev., 1997, 287;
R. KAPUR-B. COSSMAN, Subversive sites: Femminist engagements with the law in India,
Thousand Oaks, New Delhi, 1996; Du. KENNEDY, Three globalization, cit.).
8. Le narrative tradizionali della comparazione e la riappropriazione delle narrative del centro da parte della periferia: il pensiero sociale.
Con la loro capacità di ridisegnare continuamente i confini dello spazio, le narrative della comparazione costituiscono un’arma potente nella geopolitica del
diritto 52. Non si può certo negare il contributo del diritto comparato ai progetti
di governance. Il diritto comparato produce visioni del mondo ed in base ad
esse cataloga i suoi prodotti; nel tracciare il solco fra tradizionale e moderno,
esotico e normale, arretrato e sviluppato, il diritto comparato contribuisce anche a suggerire la direzione che deve prendere l’imitazione dei modelli.
Ciò riporta l’attenzione sul ruolo dell’interprete e sulla sua capacità di definire e fondare (in modo consapevole o inconsapevole) l’identità e la differenza, attraverso processi selettivi che tendono all’isolamento (esoticizzazione)
o all’omologazione (normalizzazione) a seconda degli elementi che considera
rilevanti o meno per il modello. In questa prospettiva le preoccupazioni maggiori sono venute dalla visione eurocentrica (o etnocentrica), e dallo studio
dei modi in cui la definizione della propria identità determina (anche implicitamente) l’esoticizzazione dell’“altro” e la creazione dei soggetti coloniali/
postcoloniali 53.
51
Cfr. YUN-RU CHEN, Ally with the West – The politics of identity in modernization of Taiwanese
Family Law under the oriental empire of Japan (1845-1945) paper presentato alla Conversation on Comparative Family Law, Washington College April 12, 2007).
52
Il senso di costruzione politica dello spazio e della retorica della storia è bene evidenziato
in C. COSTANTINI, La lege ed il tempio. Una storia comparata della giustizia inglese, Carocci,
Roma, 2007.
53
Cfr. T. RUSKOLA, Legal orientalism, in 101 Mich. L. Rev., 2002, 179. L’originaria visione dell’“orientalismo” che sottolinea come l’“oriente” sia stato costruito attraverso categorie concettuali occidentali (E. SAID, Orientalism, Pantheon Books, New York, 1978).
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coloniale scaturisce anche l’elaborazione di quella tradizione a cui la disciplina della famiglia è ricollegata.
Si tratta di un fenomeno talvolta assai complesso come illustra la diversa traiettoria che segue la resistenza condotta da Taiwan contro l’imposizione del
diritto di famiglia da parte dei giapponesi. Qui infatti viene messa in discussione la modernità delle soluzioni giapponesi che, messe a confronto con le
regole consuetudinarie taiwanesi (come l’eguaglianza dei figli nel diritto successorio ad esempio), si dimostrano molto più lontane da quelle occidentali di
quelle contenute nel codice giapponese, promuovendo un processo di modernizzazione diverso da quello che avrebbero desiderato i giapponesi 51.
PÒLEMOS
51
focus
52
La comparazione segue così un percorso molto spesso parallelo a quello
degli studi coloniali e postcoloniali nella misura in cui ambedue riflettono una
crescente consapevolezza del modo in cui la cultura occidentale ha prodotto, diffuso e mantenuto una serie di narrative del “sud” o dell’“est” tali da
assicurargli una posizione di egemonia nei confronti degli “altri” paesi.
Classiche rappresentazioni, in tal senso, sono contenute spesso nelle narrative della tradizione islamica offerta da alcuni mainstreamers. Il paradigma funzionalista, dominante nel diritto occidentale, secondo il quale il diritto si evolve per rispondere alle esigenze sociali, non può che collocare agli antipodi il
diritto islamico che, in quanto dipendente da una legittimazione teocratica, è
legato alle scritture ed è pertanto immutabile, impermeabile a qualunque evoluzione in senso storico se non nel limitatissimo margine concesso a fonti diverse dalle scritture, come la siyasa ed il diritto consuetudinario (’orf) 54.
Ancora l’identificazione delle caratteristiche del diritto con tutto ciò che è
occidentale (il diritto come razionalità nel senso weberiano o nel senso della
“rule of law” liberale) ha prodotto l’esclusione dell’Oriente dal diritto e dalla
modernità, contribuendo a ridurre perfino uno stato sovrano come la Cina
ad una condizione coloniale. Ma tali considerazioni possono essere estese,
con le opportune varianti, anche al diritto indiano o al diritto giapponese 55.
Letture che potremmo ben definire “orientaliste”, in quanto hanno enfatizzato la tensione fra la staticità e l’inadeguatezza del diritto tradizionale e la condizione moderna, hanno popolato il background culturale che ha accompagnato costantemente i rapporti fra il diritto occidentale e gli “altri” sistemi
giuridici. Queste si sono rivelate fondamentali sia al momento della modernizzazione di molti dei sistemi giuridici per sostenere l’introduzione dell’anglomuhammadan law nell’India britannica o del droit musulman algérien nell’Algeria occupata o le codificazioni in genere nei paesi islamici, che al momento
della decolonizzazione, quando hanno spinto la diffusione del law and deve-
54
A. SHALAKANY, Islamic legal histories, in 1 Berkeley J. of Middle East & Islamic Law, 2008,1
con riferimento alla islamistica di Schacht e Coulson, ma anche a quelle critiche che mettono in discussione l’immutabilità delle regole derivate dalla sharì’a attraverso un processo
evolutivo affidato al fiqh o rivalutando le fonti “minori” come istihsan o maslaha (S. ZUBAIDA,
Law and power in the islamic world, I.B. Tauris, Londra, 2003; W. HALLAQ, The origins and
evolution of Islamic law, Cambridge University Press, Cambridge, 2005), poiché ambedue
non scalfiscono il binomio tradizione-modernità. Un’alternativa subalterna considera invece
all’interno del diritto islamico la sharì’a insieme con la siyasa attraverso la teoria della funzione politica dei testi sacri (“siyàsa shar’iyya”) e conduce ad una rilettura della “occidentalizzazione” e secolarizzazione in chiave di sviluppo degli strumenti già presenti nella siyasa e
dunque sentiti non in conflitto con i valori islamici di cui corrompono l’autenticità precoloniale.
55
In tutti questi sistemi vi è un blend di idee giuridiche, costumi sociali e religione. Sul punto,
per tutti, G.M. AJANI-A. SERAFINO-M. TIMOTEO, Diritto dell’Asia orientale, Utet, Torino, 2007.
56
Diversi sono i progetti condotti nei Paesi islamici che vanno dall’assoluto rifiuto della riforma del diritto islamico (islamizzazione della modernità) alla piena secolarizzazione del diritto islamico, o conoscono approcci intermedi (come ad esempio trattare la tradizione interpretativa usul al fiqh e l’egemonia accordata al processo formalistico deduttivo (qiyas) attraverso considerazioni di utilità (darura) o pubblico interesse (maslaha). Questi ultimi, a loro volta, possono essere considerati sia un prodotto della modernizzazione economica
(con nessuna partecipazione da parte locale) sia parte di un rinascimento politico, nelle
sfumature della sottomissione, assimilazione, reinterpretazione. Sull’acculturazione nel diritto islamico F. CASTRO, voce Diritto musulmano, in Dig. it., disc. priv., vol. VI, Torino, 1990,
284-314.
57
Il modo in cui questo binomio determina l’atteggiamento verso i progetti di riforma è in A.
SHALAKANY, I heard it all before: Egyptian Tales of Law and development, in 27 Third World
Quarterly, 2006, 833.
58
Sul punto T. RUSKOLA, Law without law, or is “Chinese law” an oxymoron?, in 11 William &
Mary Bill RTS. J., 2003, 655. La retorica del confucianismo che sistematicamente privilegia
la morale (il singolo è parte di un ordine onnicomprensivo al cui funzionamento armonico deve contribuire, pace sociale e governo di uomini di virtù superiore) sul diritto (minaccia
dell’armonia) come strumento di controllo sociale ha oscurato il fatto che lo stato faceva affidamento su di un complesso sistema giuridico (e non solo di diritto penale) per governare
l’impero. È semmai il fatto che tale diritto incorporasse i valori della moralità confuciana che
contribuisce ad oscurare i confini. Per una rilettura G.M. AJANI-A. SERAFINO-M. TIMOTEO, op. cit.
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lopment e le relative proposte di riforme laiche ritenute essenziali allo sviluppo
economico ed ora connotano la lotta per l’affermazione dei diritti umani.
Del conflitto fra tradizione e modernità, instaurato da queste narrative, in cui la
tradizione è sempre qualcosa che esiste allo stato puro prima dell’incontro con
il coloniale, si sono a loro volta serviti alcuni progetti ricostruttivi che proclamano il ritorno alla tradizione “autentica” 56, depurata dagli elementi occidentali
e adattata allo scopo di soddisfare le esigenze della società moderna 57.
È possibile considerare i vari Orienti descritti nelle diverse ricostruzioni come il frutto, a seconda delle prospettive, o di una rappresentazione inesatta
del diritto, in quanto incapace di cogliere con precisione il modo in cui funziona a quelle diverse latitudini oppure del discorso giuridico stesso, in cui
invece sono proprio le categorie di cui ci serve per la rappresentazione a
creare la marginalità dell’oriente. La differenza fra i due poli dell’alternativa è
la stessa che passa fra moderno e postmoderno. E di conseguenza le risposte potranno essere differenti: la messa a punto della teoria attraverso la
“riscoperta” delle altre fonti nel diritto islamico o di altri meccanismi giuridici
concorrenti rispetto alle declamazioni ufficiali in quelli asiatici 58 o l’individuazione dei modi con cui quelle categorie hanno contribuito alla creazione di
un qualcosa che pretendono solo di rappresentare.
PÒLEMOS
53
focus
54
9. La comparazione delle globalizzazioni del diritto: strategie di
recezione, appropriazione e reinvenzione.
La storicizzazione delle diverse esperienze attraverso la comparazione permette però di evitare il riduzionismo che talvolta caratterizza questo genere di studi, anche quando si sottraggono all’unilateralismo che caratterizza l’impostazione originaria nella quale il coloniale è un prodotto esclusivo (delle categorie) dell’occidente a favore di una visione più complessa in cui vi è invece un
“two ways cultural traffic”, rivelando la condizione di ibridazione che caratterizza tutte le culture 59. La maggior parte di essi, influenzati prevalentemente dal
postmoderno, finiscono poi per ridurre tale relazione in una dimensione puramente “testuale” o letteraria in modo assolutamente indipendente dal contesto
istituzionale che la circonda. All’ibridità che viene recuperata da queste ricostruzioni, l’astrazione dal contesto non permette infatti di offrire contenuti.
Alla comparazione invece intanto è chiaro che l’“altro” che tali narrative disegnano non può essere considerato un semplice oggetto passivo della rappresentazione 60. Le indagini sullo “sguardo sull’altro”, infatti, hanno lasciato
da tempo emergere un quadro più complicato nel quale è l’altro che può appropriarsi della rappresentazione. Ora, come abbiamo visto, se il potere viene acquistato in questo modo, può ritorcersi contro chi lo utilizza, quando
l’ansia ingenerata dell’influenza pervasiva della metropoli spinge in direzione
del nativismo o della ricerca dell’autenticità locale. Altre volte tali appropriazioni possono invece rivelarsi “empowering” 61.
59
L’originaria visione dell’“orientalismo” che sottolinea come l’“oriente” sia stato costruito
attraverso categorie concettuali occidentali (E. SAID, Orientalism, Pantheon Books, New
York, 1978, tr. it. Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano, 1995)
se da una parte chiarisce il modo in cui l’identità coloniale/postcoloniale è prodotta dal discorso, dall’altro però non tiene in considerazione il ruolo che l’“Oriente” svolge nella sua
stessa costruzione. Nel quadro degli studi postcoloniali è stata messa in luce la complessità delle relazioni in cui emerge il fenomeno di ibridazione volontaria da parte del dominato,
(“creolizzazione globale”) ed il desiderio del dominato di assomigliare al dominante (“mimetismo”) (cfr. H.K. BHABHA, The location of culture, Routledge, London-New York, 1994, tr. it.
I luoghi della cultura, Meltemi, Roma, 2001; SPIVAK CHAKRAVORTY GAYATRI, A critique of postcolonial reason: toward a history of the vanishing present, Harvard University Press, Cambridge, 1999, tr. it. Critica della ragione postcoloniale, Meltemi, Roma, 2000). Significativa è
la correzione di rotta dello stesso E. SAID, Culture and imperialism, Knopf, New York, 1993,
tr. it. Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente,
Gamberetti, Roma, 1998, in cui viene sottolineato lo sforzo degli intellettuali di trovare uno
spazio in-between fra le due culture.
60
Da questa impostazione possono non essere esenti gli stessi studi che evidenziano il pregiudizio insito nelle visioni occidentali che pongono lo stato e le sue articolazioni al centro
del sistema e valorizzano il pluralismo giuridico ed il ruolo del “diritto non verbalizzato” (U.
MATTEI, Three patterns of law: Taxonomy and Change in the World’s Legal Systems, in 45
Am. J. Comp. L., 1997, 5.
61
Come nel caso della differenza anche per la comparazione si pone un dilemma, questo
riguarda la base sulla quale la differenza e la somiglianza sono individuate e valutate, è
chiaro che nella comparazione la base sia data dalla collocazione geopolitica dell’osservatore (cfr. B. COSSMAN, Turning the gaze back on itself: Comparative Law, Femminist legal
studies and the postcolonial project, in 2 Utah L. Rev., 1997, 525) e poi del c.d. self orientalism (cfr. T. RUSKOLA, Legal orientalism, cit.).
62
L’influenza può essere diretta attraverso l’imposizione e la negoziazione o indiretta attraverso il prestigio, ma i giuristi locali operano una selezione a seconda dei loro interessi e
dei loro orientamenti. Sulla complessa dinamica cfr. D. LOPEZ-MEDINA, Teoria impura del derecho. La trasformacion de la cultura jurìdica latinoamericana, Ediciones Uniandes, Colombia, 2004, dove anche una teoria dei misreadings, idee ed autori possono essere utilizzati
in modo molto diverso nelle due località, talvolta ciò (il trapianto può assumere un forma
diversa) rende difficile la comunicazione nello spazio transnazionale o producendo effetti
“perversi” (nel senso di diversi da quelli prodotti nel contesto di produzione).
63
Molte delle elaborazioni “periferiche” hanno variamente retroagito sul diritto metropolitano. È il caso dell’identità (G. BASCHERINI, Ex oblivione malum. Appunti per uno studio sul
diritto coloniale italiano, in Riv. crit. dir. priv., 2009, 245, i vari processi attraverso i quali
gli ordinamenti locali venivano assunti all’interno del composito ordinamento coloniale,
modificati e reinterpretati, nel segno del rispetto per il diritto e le culture locali celava un
irrigidimento delle differenze funzionale all’assoggettamento della popolazione indigena.
La civiltà costituisce la giustificazione fondamentale nella visione liberale lascia poi gradualmente spazio alla razza, le differenze vengono costruite non più su base storicoculturale, ma biologica e dunque considerate anche immutabili) o della giustizia contrattuale (G. MARINI, Per una genealogia della giustizia contrattuale, paper in file per la Riv.
crit. dir. priv.).
64
Cfr. F. COOPER, Colonialism in question: Theory, Knowledge, History, University of California
Press, Berkeley, 2005.
65
Ora E. SAID, Traveling theory, in E. SAID, The world, the text and the critic, Harvard University Press, Cambridge, 1983; D. CHAKRABARTY, Provincializing Europe: Postcolonial Thought
and Historical Difference, Princeton University Press, Princeton, 2000, tr. it. Provincializzare
l’Europa, Meltemi, Roma, 2004.
3.
1 / 2010
La “periferia” in molti casi, infatti, si serve (consapevolmente o meno) dei prodotti del “centro” instaurando con esso una relazione complessa. Nella prospettiva della circolazione dei modelli è infatti emerso come alcuni luoghi siano prevalentemente un sito di produzione del modello o della teoria (“il centro”) ed altri un sito di recezione (“la periferia”). Fra i due si instaura una complessa dinamica: arrivati a destinazione, modelli e teorie possono subire processi di deviazione, trasformazione, riciclaggio e cannibalizzazione 62. Ed i modelli importati possono venire rielaborati in modo originale ed anche radicale, talvolta, per poi, così rielaborati, tornare al centro 63.
L’affermazione che l’Europa è stata fatta dalle colonie, nel senso che le categorie con le quali guardiamo al passato coloniale ed al futuro post-coloniale sono state modellate dal processo stesso di colonizzazione 64, vale dunque anche nel diritto comparato.
L’ibridazione nel flusso transnazionale di teorie e teorici – flusso non è mai a
senso unico, ma è multidirezionale 65 – trova così i suoi possibili contenuti.
L’idea stessa di trapianto allora non pare sempre in grado di cogliere tutta
PÒLEMOS
55
focus
56
la complessità delle relazioni (di potere) che si vengono a creare fra centro
di produzione, semi-periferia e periferia coloniale 66.
Di questo fenomeno di riappropriazione delle narrative del “centro” è esemplare il caso del pensiero sociale che, in varie configurazioni, si afferma in
tutta l’area europea come risposta al formalismo del pensiero giuridico classico. Agli inizi del secolo scorso, mentre al “centro” rimane una corrente di
pensiero tutto sommato minoritaria, la critica sociale conosce invece una significativa diffusione nelle “periferie” 67, assumendo una dimensione cosmopolita. Imposto dallo stato centrale o importato in modo autonomo, qui trova un humus particolarmente fertile a causa dalla sua capacità di modellare
il giuridico in modo da consentirgli risposte più elastiche in grado di tenere
conto delle differenze esistenti all’interno delle diverse società e di rispondere meglio con la sua visione solidaristica alle caratteristiche di molte delle
culture locali. Dell’“istanza sociale” la “periferia” doveva allora appropriarsi
ed elaborarla, in modo significativo, proprio per esercitare una forma di “resistenza” rispetto al diritto metropolitano dei colonizzatori 68.
Esempi di queste appropriazioni sono visibili in tutto l’arco di quell’ampia “periferia” dislocata intorno al “centro” europeo. Persino negli Stati Uniti, che tale
possono considerarsi almeno fino alla fine del secondo conflitto mondiale. La
visione comunitaristica della common law, sviluppata in epoca feudale, ed il
suo spirito sociale viene riscoperta, nei primi anni del secolo scorso, da Roscoe
Pound e sorprendentemente ritrovata nel cuore del nascente diritto americano. In questo modo la common law americana può essere considerata non
solo più autentica, ma persino più moderna rispetto alla versione individualistica che ancora caratterizzava la common law degli ex-colonizzatori inglesi 69.
66
67
68
69
Sui trapianti giuridici, oltre agli ormai classici A. WATSON, Legal transplants: an approach to
comparative law, Scottish Academic Pr., Edinburgh, 1974 e R. SACCO, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law, in 39 Am. J. Com. L., 1991, 343-402, vedi però le precisazioni di M. GRAZIADEI, Comparative Law as the study of Transplants and Receptions, in M.
REIMANN-R. ZIMMERMANN (eds.), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford University
Press, Oxford, 2007, 441; ID., Legal transplants and the frontiers of legal knowledge, in 10
Theoretical Inquiries in Law, 2009, 723; D. NELKEN, Comparatists and transferability, in P. LEGRAND-R. MUNDAY (eds.), Comparative Legal Studies, Cambridge University Press, Cambridge,
2003, 446; P. LEGRAND, The impossibility of ’legal transplants, in 4 Maastricht J. Eur. & Comp.
L., 1997, 111.
Du. KENNEDY, Three globalizations of Law and Legal Thought, cit. Nel caso dell’Estremo
Oriente si rivela il canale che permette il recupero di forme giuridiche della tradizione e di
diritti consuetudinari (emblematico il caso dello sfruttamento collettivo di alcune risorse come l’acqua in Giappone che vengono sottratte al binomio pubblico/privato cfr. T. HAYASHI,
Roman Law Studies and the Civil Code in Modern Japan-System, Ownership and coownership, in 55 Osaka Univ. L. Rev., 2008,15).
Resistenza vuol dire non emendare semplicemente il modello o la teoria, ma rompere lo
schema che contrappone ad esempio tradizione e modernità.
R. POUND, The end of law as developed in juristic thought, in 30 Harv. L. Rev., 1917, 201.
Sulla complessa figura di Pound, M. LASSER, Synthetic Readings of Roscoe Pound’s Jurisprudence, in 1 Global Jurist Frontiers, 1, 2001, article 3, reperibile all’indirizzo: http://www.
bepress.com/gj/frontiers/vol1/iss1/art3.
70
A. SHALAKANY, Sanhuri and the historical origins of comparative law in the arab world (or
how sometimes losing your asalah can be good for you), in A. RILES (ed.), Rethinking the
masters of comparative law, Hart Publishing, Oxford, 2001, 152 per una rilettura dell’opera
di Sanhuri che viene variamente ricostruita, fra l’altro come esistenzialmente diviso fra la
necessità di modernizzare il diritto islamico e offrire una visione strumentale del diritto per
conseguire una migliore giustizia sociale, dato che consente di criticare come non-islamico
il processo di riforma, ma la ricerca della “autenticità”, sostenuta dai nazionalismi di vario
tipo, è un elemento molto problematico nel contesto post-coloniale (per un’affermazione
dell’ambivalenza del richiamo all’autenticità della tradizione come vincolo o liberazione N.
BERMAN, Modernism, nationalism and the rhetoric of reconstruction, in D. DANIELSON-K. EGLE
(eds.), After identity: a reader in law and culture, Routledge, New York, 1995, 229-250). Nel
caso di Sanhuri emerge la tensione fra la ricerca della giustizia sociale (realizzata attraverso
gli istituti che denotano il lato “sociale” e le clausole generali che esprimono lo spirito oggettivo del diritto islamico) e la necessità di affermare la differenza che qualifica il processo
di rinnovamento (definendo tali istituti come islamici), Ahmad al-SANHURI, Les restrictions
contractuelle à la liberté individuelle de travail, Marcel Giard, Paris, 1925, ma anche M.
FATHY, La doctrine musulmane de l’abus des droits. Etude d’histoire juridique et de droit
comparé, Paul Geuthnes, Paris, 1913, con la prefazione di Lambert in cui l’oriente è ancora
più avanzato e deve costituire un modello per l’occidente. Sul punto anche A. SHALAKANY,
Between identity and redistribution: Sanhuri, genealogy and the will to islamize, in 8 Islamic
Law & Soc. Journal, 2001, 201-244.
1 / 2010
Nello stesso modo e quasi nello stesso torno di tempo, un’operazione simile viene condotta da Sanhuri, l’autore del codice egiziano del ’49. Nel presentare l’opera egli mette l’accento sulla ispirazione sociale del codice. La
presenza di tutte le “novità” – come il controllo sull’autonomia privata, la
gestione delle sopravvenienze e l’abuso del diritto – care alla critica sociale,
viene però da Sanhuri (a cominciare dal divieto del prestito ad interesse)
saldamente radicata nella tradizione islamica e nello spirito sociale che l’ha
storicamente animata. Al di là di qualunque suggestione funzionalistica di
marca occidentale, il codice rappresenta dunque un ritorno verso il passato
ed un recupero dei caratteri (sociali) originari del diritto islamico. Moderno,
perché sociale, ma nello stesso tempo conforme alla tradizione islamica, il
codice di Sanhuri può essere così contrapposto allo spirito individualista del
diritto romano che ancora anima il modello dei colonizzatori francesi 70.
La cultura giuridica dei sistemi periferici appare allora come un mosaico costruito attraverso tessere estratte da tradizioni diverse in momenti diversi.
Gli studi degli specialisti di area si incontrano con quelli più classici di coloro che sono interessati allo studio del fenomeno più generale dell’appropriazione e re-invenzione a livello “periferico” del diritto del “centro” con l’obiettivo di comprendere i molti modi in cui il centro ha potuto esercitare potere
sulla periferia.
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10. Le narrative fra politica dell’identità e distribuzione.
Vi è però ancora un punto da chiarire perché l’esplosione delle narrative e la
loro trasposizione nel diritto può però rivelarsi tanto illuminante, quanto capace d’altra parte di produrre qualche distorsione. E ciò anche quando la
ricostruzione ha successo nel portare in evidenza la dimensione politica del
prodotto culturale, cioè riesce a porre l’accento sul ruolo dell’ideologia, del
conflitto fra visioni del mondo e del modo in cui tali prodotti vengono utilizzati strategicamente per realizzare – attraverso il diritto – una forma di controllo, insomma un’egemonia 71.
È necessario riportare l’attenzione infatti sull’importanza delle condizioni materiali nelle quali tali prodotti culturali vengono elaborati e delle conseguenze, di carattere economico, che a tale elaborazione possono conseguire. Insomma non tutto si risolve all’interno della cultura, in una dimensione discorsiva in cui i significati, gli elementi ideologici ed i discorsi sono totalmente
fluttuanti 72 e – per continuare ad usare la terminologia gramsciana, ma a
questo punto forse impropriamente – l’egemonia creata può venire continuamente rinnovata, ricreata, difesa e modificata 73.
Se attraverso le narrative è possibile riscrivere una parte della storia (per resistere ad una determinata egemonia culturale), ogni riscrittura però è capace anche di alterare il luogo del controllo di una serie di decisioni fondamentali che riguardano l’ordine sociale ed economico. È dunque in grado di
71
La critica all’impostazione materialistica del diritto ha evidenziato la sua dimensione
simbolica, tanto più forte nella misura in cui è separata dagli interessi materiali (P. BOURDIEU, The force of law: Toward a Sociology of the Juridical Field, in Hastings Law Journal,
38, 1986, 805 per il quale è centrale l’idea di misrecognition, ma particolarmente per il
diritto è necessario convenire che “given the essential role it plays in societal re production, the juridical field has a smaller degree of autonomy than other fields, like artistic
or the literature”).
72
La critica alla teoria dell’ideologia marxista (in cui l’ideologia legittima la struttura di forze e
relazione di produzione che sostiene, inducendo le persone ad accettare l’ordine costituito)
ne ha indotto una rilettura, ma anche la sua dematerializzazione. Nei cultural studies in
particolare l’ideologia attribuita in blocco alla classi viene rimpiazzata con una ricostruzione
ugualmente insoddisfacente in cui il concetto di egemonia diventa malleabile e contingente
ed il dato istituzionale, come il contributo decisivo che lo stato dà alla produzione e riproduzione degli strumenti per la costruzione sociale della realtà, viene ignorato.
D’altra parte però la riflessione sul legal process avrebbe dovuto gradualmente riportare
l’attenzione sul modo di produzione del diritto e sulle condizioni – anche sociali – della sua
costruzione, erodendo la possibilità di tracciare dei confini che segnano un’area all’interno
dei quali i discorsi e le pratiche giuridiche pretendono di svilupparsi senza alcuna connessione con il sociale.
73
Questa tendenza tipica di alcuni cultural studies tende a debordare ben al di là della critica
letteraria per impadronirsi di altri settori; non ne sono indenni gli studi postcoloniali e neanche quelli giuridici (cfr. T. RUSKOLA, Legal orientalism, cit.).
74
J. ESQUIROL, The fiction of Latin American law (part I), in 2 Utah Law Rev., 1997, 425 il diritto
latinoamericano viene costruito da David come europeo con l’aspirazione di assimilare le
società illiberali del latinoamerica a quelle europee e di rendere il diritto comparato uno
strumento in grado di colmare le lacune dei diritti nazionali, recuperando la perduta scientificità.
75
Non bisogna infatti dimenticare il carattere selettivo della recezione delle codificazioni europee che spesso lasciava spazio al diritto locale di origine spagnola, particolarmente quello castigliano. Il riferimento al diritto romano veniva enfatizzato poiché questo costituiva il
tratto che accomunava le nuove codificazioni con il preesistente diritto locale, rendendole
accettabili come espressioni più mature (A. GUZMÀN BRITO, El pensamiento de Bello sobre
codificaciòn entre las discusiones chilenas en torno a la filiaciòn del derecho civil, in Revista
de Estudios Histórico-Jurídicos, 6, 1981, 259).
76
Nella storia del colonialismo il caso americano è particolare, anche sotto il profilo giuridico.
Contrariamente a quanto è avvenuto in altre situazioni, in cui il dominio coloniale ha opera-
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modificare significativamente la distribuzione di potere e delle risorse fra differenti gruppi sociali che operano in quello spazio geografico.
Le domande relative a come la riscrittura verrà usata e a chi ne trarrà vantaggio diventano parte fondamentale di un discorso sulle narrative.
Certamente la recezione di modelli prestigiosi come quello francese attraverso il codice Napoleone, avvenuta in passato, ha costituito un manifesto
per consentire alle borghesie locali di realizzare forme di modernizzazione
simili a quella realizzata dalla borghesia francese, ma la sostituzione delle
vecchie regole con quelle nuove ha prodotto anche una serie di significativi
risultati distributivi più particolari che riguardano gruppi e categorie in conflitto fra di loro.
Ogni mutamento giuridico infatti produce vincitori e perdenti, alcuni devono
subire i costi della transizione, altri invece ne godono i vantaggi.
Intanto ogni esportazione di categorie e dell’armamentario concettuale e retorico che le accompagna è in grado di selezionare i soggetti ai quali tocca il
compito di dettare la forma e la sostanza del discorso giuridico a livello locale, collocandoli in una posizione di vantaggio rispetto agli altri. La vicenda di
una “periferia” come quella latino-americana è abbastanza indicativa.
La “regione” infatti è stata prodotta da un sofisticato discorso giuridico. La
caratterizzazione dei suoi sistemi giuridici è sempre rimasta in bilico: non
sono abbastanza europei per essere considerati davvero parte integrante di
quella tradizione, ma neanche abbastanza esotici per far valere l’eccezione
“culturale” 74.
La comparazione ha infatti descritto il diritto in ognuno dei paesi della regione come il prodotto di una recezione permanente del diritto continentale
con rare eccezioni per alcune forme di consuetudine locale 75, in modo tale
da rendere comunque impossibile individuare soluzioni e forme giuridiche
locali davvero originali 76.
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Oggi è forse possibile individuare alcune caratteristiche tipiche della tradizione giuridica latinoamericana e riaprire anche la discussione sulla sua appartenenza alla famiglia di civil law 77. Non vi è dubbio però che la massiccia
importazione di un gran numero di strumenti giuridici di origine europea e
del suo intero vocabolario giuridico, nel corso del processo di sistematizzazione dei vari diritti nazionali secondo il diritto straniero che è ancora largamente in corso 78, contribuisce però a limitare tale possibilità 79.
Nonostante la sua forte impronta europea, il diritto latinoamericano non ha
potuto sottrarsi ad una forma di orientalizzazione, di cui è interessante seguire il percorso. La sua condizione “esotica” è stata ricreata al di fuori della
tradizionale dicotomia (in cui il tradizionale-locale viene contrapposto al moderno-universale) che accompagnano tali processi, ma enfatizzando l’incapacità di attecchire nella società latinoamericana.
L’immagine di un diritto “alieno”, eccessivamente formale, proiettato in una
realtà che non riesce a governare si consolida e finisce allora, paradossalmente, per costituire oggi la sola vera “originalità” di quella tradizione giuridica; un carattere che unifica esperienze giuridiche anche abbastanza diverse fra loro come quelle nazionali degli oltre venti stati dell’area.
Il caso riassume bene il modo di operare delle narrative. Intanto perché dimostra come queste possano operare talvolta ben al di là delle intenzioni
dell’autore. Inizialmente l’ascendenza europea del diritto latinoamericano, presentato come un puro prodotto scientifico (di altissimo livello), è messa al
servizio della diffusione degli ideali democratici – che caratterizzano la fa-
to attraverso la trasformazione in diritto di molte delle norme sociali in origine non vincolanti (su tali dinamiche in Africa E. LE ROY, La coutume et la reception des droit romanistes en
Afrique noire, in Bulletin de la société Jean Bodin, 51, 1990, 117), si è sempre immaginato
le Americhe come un continente scarsamente abitato, caratterizzato da popolazioni prive
di regole proprie e dunque senza mai porre la questione dell’adozione dei propri statuti
personali.
77
P.E. LOPEZ MEDINA, El derecho de los jueces. Obligatoriedad del precedente constitutional.
Anàlisis de sentencia y lìneas jurisprudenciales. Teoria del derecho judicial, Ediciones
Uniandes, Bogotá, 2000.
78
Il processo realizzato a partire dalle prime codificazioni da Bello in Cile, sviluppato da Velez
Sarsfield in Argentina, la sovrapposizione al modello francese (in tal modo mentre ci si appropriava del modello continentale si reagiva contro il potere coloniale spagnolo cfr. M.C.
MIROW, Private law in Latin America: Andrés Bello’s use of the Code napoléon in drafting
the chiliean civil code, in 61 La. L. Rev., 2001, 291) di una sistematica verticale di origine
pandettistica ed enfatizzato contemporaneamente da Texeira de Freitas in Brasile, è ancora in corso (cfr. S. SCHIPANI, Armonizzazione e unificazione del diritto, diritto comune in materia di obbligazioni e contratti in America latina, in Roma e America. Diritto Romano comune, 17, 2004, 45 ss. per una identità giuridica latinoamericana fondata sul diritto romano e
sui principi generali anch’essi di origine romanistica).
79
J. ESQUIROL, Fictions of Latin American Law (part I), in Utah L. Rev., 1997, 425 ed ID., Continuing Fictions of Latin American Law, in 55 Fla. L. Rev., 2003, 41.
80
Per una serie di tentativi di ribaltare la visione classica cfr. A. BECKER LORCA, International law
in Latin America or Latin American International Law? Rise, Fall, and Retrieval of a tradition of
legal thinking and political imagination, in 47 Harv. Int.’l L.J., 2006, 282; J. ESQUIROL, Alejandro
Alvarez’s Latin American Law: a question of identity, in 19 Leiden J. Int.’l L., 2006, 931.
81
Per una descrizione delle premesse e del circuito vizioso autolesionistico che si instaura J.
ESQUIROL, The failed law of Latin America, in 59 Am J. Comp. L., 2008, 75 ed ID., Writing the
Law of Latin America, in 40 Geo Wash. Int’l L. Rev., 2009, 693.
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miglia giuridica europea – in una società non democratica che però resiste.
È questa stessa resistenza, ribadita dal law and development per favorire
progetti di riforma di segno diverso, che si trasforma successivamente nella
base per un progetto neocoloniale che consolida lo status quo.
L’opposizione fra diritto e società, che costituisce caratteristica a ben vedere endogena in tutti i sistemi giuridici, nella regione diventa addirittura endemica ed accentua in modo estremo la percezione di un normale fenomeno di pluralismo giuridico.
L’insoddisfazione nei confronti dei prodotti giuridici ha indotto due fenomeni
diversi ma paralleli: da una parte un continuo processo di recezione, una
rielaborazione estremamente formale di materiali provenienti dall’esterno
senza alcuna considerazione però per il patrimonio giuridico locale 80, dall’altra una perdita di interesse per il diritto ufficiale rimpiazzata da una crescente attenzione per i sistemi informali che popolano la legalità alternativa,
con l’abbandono di ogni attenzione per i progetti di riforma.
In ambedue i casi l’adesione alla retorica dominante, soprattutto nella sua
versione più rigorosa, ha prodotto l’abbandono del campo dell’interpretazione del diritto esistente e della configurazione delle sue regole interamente nelle mani delle élites dominanti e del metodo tradizionale, isolandolo del
tutto dal contesto sociale e dagli influssi esterni e rendendo con ciò estremamente difficile mettere in discussione l’allocazione di potere e la distribuzione delle risorse esistenti.
È questa un’altra possibile manifestazione di quella che viene definita, nei
progetti postcoloniali, la difficoltà per i “subalterni di parlare” 81.
Al tempo stesso la vicenda della tradizione latinoamericana costituisce anche un esempio degli effetti distributivi che la costruzione delle identità nazionali è destinata ad avere.
In quel contesto, la conclamata ascendenza culturale europea dei paesi latinoamericani doveva indurre ad abbandonare nei vari progetti di costruzione di quei diritti il conflitto locale-universale per attingere ampiamente sia a
materiali regionali che europei.
Le codificazioni che seguirono all’indipendenza, ispirate per la maggior parte al code Napoleon, mentre reagivano nei confronti del coloniale, nello stesso tempo se ne riappropriavano attraverso l’uso delle fonti spagnole, la cui
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associazione con il diritto romano contribuiva a scolorire il marchio coloniale. Anzi, proprio la continuità con alcune delle soluzioni giuridiche tipiche della
vecchia struttura coloniale spagnola, doveva essere considerato il grimaldello per facilitare l’adozione delle nuove codificazioni. È importante notare,
però, ancora una volta l’uso selettivo delle fonti: mentre nel diritto del mercato e delle obbligazioni veniva fatto ampio ricorso ai modelli francesi e tedeschi d’importazione, liberando in particolare la proprietà dai vincoli, il regime giuridico della famiglia seguiva un percorso diverso non discostandosi
eccessivamente da quello coloniale precedente.
Questo esito era favorito anche dalla convinzione, ampiamente condivisa dai
progressisti, che nuove regole sarebbero state del tutto incapaci a rispondere alle aspettative sociali in una materia come la famiglia ancora largamente dominata dalla tradizione. La soluzione lasciando sopravvivere da una
parte il vecchio regime senza intervenire per riformare ad esempio il trattamento giuridico dei figli illegittimi e la loro successione ed intervenendo invece dall’altra per abolire l’ipoteca a favore della moglie sui beni della dote
in nome della libertà della circolazione dei beni era destinata ovviamente ad
avere effetti distributivi negativi su almeno due gruppi precisi: i non-bianchi,
perché a causa delle condizioni culturali ed ambientali non perfezionavano
(quando potevano) la loro unione in modo da conseguire tutti gli effetti civili
compresi quelli successori, ed ovviamente le donne 82.
Le narrative mostrano allora un’altra faccia interessante: le differenti opinioni implicano una divergenza circa le modalità della loro utilizzazione per affrontare i problemi di una specifica area.
In realtà le differenti narrative possono essere considerate anche semplicemente in termini di dispute ideologiche che riguardano i limiti accettabili di
un progetto redistributivo.
11. C’è una teoria della tradizione?
In realtà, l’esperienza della comparazione mostra assai bene come i vari progetti finiscono per “inventare” quella tradizione che proclamano di voler semplicemente riscoprire o modernizzare 83. Con la precisazione, però, che l’uso
della parola “invenzione” serve ad indicare non tanto la creazione di un qual-
82
I. JARAMILLO, From the tradition of family to the family as tradition: Family law reform in the
nineteenh century Latin America. Ovviamente è un tema destinato a diventare ricorrente
nei vari regimi coloniali.
83
L’espressione “invenzione della tradizione” è ovviamente in E. HOBSBAWN, Come si inventa
una tradizione, in E. HOBSBAWN-T. RANGER (a cura di), L’invenzione della tradizione, Einaudi,
Torino, 2002, 3.
84
La critica delle rappresentazioni richiama il postmoderno. Importato proprio dagli studi culturali, dove è impiegato come una teoria della rappresentazione, in cui enfatizza la parzialità e l’instabilità di tutte le rappresentazioni, nel diritto viene identificato con una deriva relativistica che talvolta evoca la soggettività dell’interpretazione e l’inesauribile manipolabilità
del materiale giuridico. Cosa che non corrisponde esattamente alla dinamica concreta delle pratiche interpretative nel campo giuridico. Il postmodernismo può essere invece inteso
come una critica delle costruzioni giuridiche in quanto artefatti culturali che, prodotti da
una cultura e linguaggio determinati, portano sempre il marchio della loro “contingenza”.
Tale uso attacca la pretesa di tali prodotti di costituire l’unica alternativa possibile, portando invece alla luce quanto è stato soppresso dalla ricostruzione, nel tentativo di recuperare
l’apertura originaria.
85
Il riferimento è al quadro proposto dall’ermeneutica cfr. M. FERRARIS, L’ermeneutica, Laterza, Roma-Bari, 1998.
86
Du. KENNEDY, A semiotics of critique, in 42 Syracuse L. Rev., 1991, 75 ed ora con espliciti
riferimento alle tradizioni ID., Coerenza, valori sociali e tradizione nazionale nel diritto privato
europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 205.
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cosa che prima non esisteva, quanto piuttosto il processo con il quale viene
raggiunta una versione univoca della tradizione, privilegiando alcuni percorsi a scapito di altri. E con esso l’“invenzione” richiama l’attenzione anche sul
grado di apertura che caratterizza quello che viene presentato semplicemente come un processo ricostruttivo del tutto necessitato 84.
Non si tratta tanto allora di scoprire le fonti da cui prende vita e si sviluppa una
tradizione, quanto di individuare le varie componenti che vengono combinate
di volta in volta per dar corpo ad una tradizione ed il modo (la teoria) secondo
cui può essere loro attribuito un senso coerente che legittima la combinazione.
La metafora organicistica alla quale i giuristi da tempo sono ricorsi per spiegare il modo in cui una tradizione viene ad esistenza e si sviluppa non appare più adeguata. Nell’approccio organicistico, infatti, la tradizione giuridica è
un insieme unico che si evolve e mantiene la propria “originalità” secondo
una logica interna e che, a sua volta, si trova in relazione con altri più complessi insiemi come un’altra tradizione giuridica egemonica o una cultura
non giuridica locale. Ora certamente la tradizione è indispensabile perché
delimita gli orizzonti interpretativi, tutti i significati possono assumere senso
soltanto all’interno di una tradizione 85. E questa tradizione cambia continuamente, si evolve nel tempo. Ma se è qualcosa dalla quale veniamo governati, non è altrettanto sicuro il contrario: cioè che la tradizione non possa
essere, a sua volta, governata.
Al posto della metafora organicistica però non può neanche essere adottata
una prospettiva diversa come quella che è stata definita semiotica 86. Secondo questa visione la tradizione diventa un semplice deposito dal quale
attingere regole operazionali, strutture concettuali che servono a configurare ed ordinare gerarchicamente i diversi campi in cui è organizzata l’esperienza giuridica e argomentazioni tipiche che ne giustificano i risultati al
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quale attingere per raggiungere soluzioni che possono variare, nei vari contesti, a seconda delle diverse forze che governano i rapporti fra formanti 87.
Certo, è innegabile che le singole tradizioni siano costituite da una struttura
di tipo complessa, come quella descritta, che delimita gli esiti a cui le varie
combinazioni possono dar luogo. Anzi l’interazione fra “centro” e “periferia”
evidenzia come questa struttura possa essere considerata composta di elementi largamente comuni alle diverse tradizioni 88. Il modo in cui questi si ricompongono nelle varie esperienze, la forza dei vettori per rimanere alla
metafora semiotica è però il prodotto di certe particolari condizioni locali e
non di una logica interna, in cui si intrecciano fattori complessi non sempre
chiaramente evidenti, come l’ordine concettuale che Ewald (via Foucault)
chiama episteme 89 o del tutto latenti come quelli che Sacco ha definito crittotipi 90 o Bourdieu individuato nell’habitus 91.
In ogni caso il modo più adatto per descrivere il processo di costruzione di
una tradizione giuridica è forse quello rappresentato dalla ricerca della sua
genealogia. Ciò richiede di percorrere a ritroso il cammino per individuare
tutte le sue componenti ed il modo in cui sono state intrecciate nei momenti
di cambiamento per produrre nuove versioni 92.
Ricostruire la genealogia, permette anche di individuare lungo il percorso altri
possibili itinerari ricostruttivi che avrebbero potuto essere seguiti, ma non lo
87
R. SACCO, Introduzione, cit. ed ID., Legal formants: a dynamic approach to comparative law,
in 39 Am. J.Comp. Law, 1991, 343.
88
Du. KENNEDY,Three globalization, cit. ne ha individuate tre che corrispondono a diverse fasi
storiche in cui si determina una particolare legal consciusness.
89
Il riferimento è ad una serie di a priori storici con i quali ogni epoca identifica il “modo di
essere degli oggetti” ed i termini nei quali “ogni uomo può svolgere un discorso sulle cose
che è considerato vero” (F. EWALD, Pour un positivisme critique: Michel Foucault et la philosophie du droit, in Droits, 3, 1986, 139 ed ID., Histoire de l’État Providence: les origines de
la solidarité, Librairie générale française, Paris, 1996).
90
R. SACCO, Legal formants, cit., 343 ed ora fra gli altri E. EBERLE-B. GROSSFELD, Patterns of
order in comparative law: discovering and decoding invisible power, in 38 Tex. Int’l L.J.,
2003, 291.
91
P. BOURDIEU, Habitus, code et codification, in Actes de la recherche en sciences sociales,
64, 1986, 40 per il quale coloro che agiscono in un determinato campo sociale incorporano
progressivamente gli schemi d’azione tipici di quel campo modellando le proprie strutture
mentali su di essi, in modo da agire in conformità ad essi, anche se non sono costretti da
una norma giuridica ad hoc ed anche se offrono spiegazioni diverse per renderne conto
(ancora ID., Méditations pascaliennes, cit., 153), come tale l’habitus non opera sempre necessariamente a livello inconscio.
92
Lungo questo itinerario diventa evidente che il processo non sia segnato da uno sviluppo
graduale, ma sia caratterizzato invece da una serie di rotture. In questa prospettiva è ovvio
che le tradizioni si presentino come una sedimentazione complessa, una serie di stratificazioni cioè in cui lo strato più recente poggia sui frammenti di quelli più vecchi Du. KENNEDY,
Coerenza, tradizione, cit.
12. Per una genealogia del diritto come narrativa: continuità e
discontinuità nella comparazione.
La dimensione critica, mentre sottolinea il contributo decisivo del discorso
giuridico nel dar forma all’identità dei singoli sistemi, rimette in discussione
anche parecchie delle narrative che hanno caratterizzato il diritto comparato
stesso compresa quella del suo metodo, come frutto di un processo lineare
di messa a punto progressiva di strumenti in grado di misurare in modo
sempre più preciso somiglianze e differenze.
Ci si può domandare a questo punto quale distanza separi questo nuovo
corso della comparazione rispetto all’approccio più tradizionale e quale sia
l’impatto del newstream sull’altro versante della comparazione: quello delle
regole giuridiche e delle categorie alle quali sono legate.
Intanto, se si guarda proprio alla genealogia dei newstreamers non può negarsi che una delle loro radici possa essere trovata – prima ancora che nelle
analisi di Foucault e Bourdieu e dei post di vario tipo che verranno – già nel
metodo strutturale della scuola di Sacco.
La critica strutturale muove infatti dall’insoddisfazione nei confronti del funzionalismo sia come metodo del diritto comparato, che come teoria dei rapporti fra diritto e società.
Nel diritto comparato il funzionalismo, fedele alla sua origine antiformalista,
sottolineava la necessità di ricollegare il diritto al contesto (sociale) nel quale
opera. In questa prospettiva il centro dell’attenzione era riguadagnato dai
problemi o meglio proprio dalla funzione che gli strumenti giuridici, all’opera
nelle diverse culture, servivano a risolvere. La funzione poteva diventare così il tertium comparationis necessario per avvicinare esperienze diverse e
misurare le differenze fra di loro. Viste attraverso la lente della funzione, tutte (o quasi) le società sembravano dover affrontare gli stessi problemi anche
se li risolvevano con strumenti diversi. Per risolverli, infatti, i giuristi nazionali
non potevano che attingere alla “cassetta degli attrezzi” che ogni cultura
giuridica particolare gli mette a disposizione.
Non va dimenticato come l’osservazione che la diversità delle culture condiziona soltanto lo strumento e non il risultato permetteva alla comparazione, già allora, di assumere anche un forte connotato critico, almeno in tutte
93
Du. KENNEDY, A critique of adjudication, cit., 248.
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sono stati, e così di mettere in luce che la strada della sua costruzione è segnata dalla storia, dal conflitto e dalla contingenza 93. In questo modo la comparazione si rivela anche una vera e propria teoria critica (della società).
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quelle culture giuridiche che, come la nostra, erano ancora fortemente sotto
l’influenza del formalismo.
Se, da una parte, il richiamo alla dimensione storica ed alla variabilità degli
istituti che possono essere chiamati a svolgere la stessa funzione, nelle diverse esperienze giuridiche, poteva essere usata per mettere in crisi la reificazione dei concetti 94; dall’altra, però, la tentazione di individuare quale delle varie soluzioni rispondesse meglio alla funzione doveva essere utilizzata
in chiave ricostruttiva. La soluzione, offrendosi come better law, diventava
(attraverso l’uso dell’argomento comparatistico in chiave interpretativa o come soluzione de jure condendo) anche un modello da imitare. Differenze che
potevano essere ascritte ad elementi irrazionali o incidenti storici casuali venivano così facilmente eliminate. La fiducia nelle essenze doveva allora essere rimpiazzata dalla fiducia nella funzione.
Come metodo della comparazione, il funzionalismo con la sua pretesa universalistica era destinato a scontrarsi – prima ancora che con l’obiezione di
aver adottato attraverso il ricorso allo scopo o alla funzione la prospettiva
che ci offrono culture particolari e come tali non universalizzabili – con la
critica di riduzionismo, poiché non riusciva a dar sufficientemente conto di
elementi (per lo più culturali) diversi dalla funzione.
Il funzionalismo era però anche un tentativo di cogliere i nessi fra diritto e
società. Il funzionalismo cercava di reagire al concettualismo, cioè ancora
alla scissione del ragionamento giuridico dal contesto, e sollevare il velo
della forma giuridica per cogliere le scelte di policy che attraverso strumenti
giuridici diversi gli ordinamenti cercano di realizzare. In questo modo il diritto serviva a guidare l’evoluzione della società e diventava un fattore determinante del cambiamento, ridimensionando così anche la contrapposizione
fra applicazione e creazione del diritto 95. Una visione condivisa anche fra
molti comparatisti 96.
94
Molto emblematica da noi è la figura di Gino Gorla in cui una venatura funzionale non è
assente e si coniuga all’estrema attenzione per il dato storico e per il diritto prodotto ed
applicato dalle corti. Gorla rivaluta la storia e la giurisprudenza in chiave antipositivista, insuperabile la sintesi in G. GORLA, ll contratto: problemi fondamentali trattati con il metodo
comparativo e casistico, Giuffrè, Milano, 1954.
95
Una menzione merita la scuola di Nicolò che, pur con impostazioni completamente differenti, muove in direzione di liberare il diritto dalle ipoteche concettualistiche, operando con
un’ampia gamma di soluzioni che va dalla reinterpretazione degli istituti tradizionali ai quali
viene riconosciuta una nuova flessibilità all’apertura all’intervento legislativo ed al giudice,
restituendo centralità alle clausole generali, cercando di mettere il diritto (privato) in condizione di conseguire obiettivi di politica economica.
96
In questo senso il funzionalismo può essere considerato “sovversivo” e così il diritto comparato che vi si ispira cfr. H. MUIR WATT, La fonction subversive du droit comparé, in Rev.
int. dr. comp., 2000, 503.
97
La critica del funzionalismo muove appunto dalla critica alla generalizzazione rappresentata
dalla adozione della funzione e della presunzione di similitudine e dall’appiattimento di prospettiva che realizza il ricorso agli “equivalenti funzionali”, ciò che costituisce un problema
o un’esigenza in una cultura può non esserlo in un’altra (fra i molti, G. FRANKENBERG, Critical
comparisons, in Harv. Int. L.J., 1985, 445) e colpisce anche le ridefinizioni in termini di
“equivalenza circoscritta” (cfr. K. SCHEIWE, Was ist ein funktionales Äquivalent in der
Rechtsvergleichung, in KritV., 2000, 30) o di ecletticismo (cfr. J. HUSA, Farewell to functionalism or methodological tollerance, in RabelsZ, 3, 2003, 419. Vedi ora R. MICHAELS, The
functional method of comparative law, in M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (eds.), The Oxford
Handbook of Comparative Law, 2007 e M. GRAZIADEI, The functional heritage, in P. LEGRANDR. MUNDAY (eds.), Comparative Legal Studies, cit., 100.
Accomuna anche la critica al funzionalismo sotto il profilo dello scientismo A. SOMMA, Tecniche e valori nella ricerca comparatistica, Giappichelli, Torino, 2005, 3.
98
Il punto di riferimento è sempre all’istituzione coercitiva attraverso il diritto del mercato e
dei rapporti individuali fra soggetti astratti come liberi ed eguali (cfr. M. BARCELLONA, La
scienza giuridica italiana ed il marxismo, prima e dopo “l’uso alternativo” del diritto, in Riv.
crit. dir. priv., 2000, 715). Sul punto, volendo, altre osservazioni, G. MARINI, Gli anni settanta
della responsabilità civile, cit., 250.
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Come teoria dei rapporti fra diritto e società, prima ancora che con i possibili “dark sides” della regolamentazione, il funzionalismo doveva scontrarsi
con la sempre maggiore difficoltà a correlare gli eventi prodotti (fenomeni
economici/sociali) all’interno di una società particolare con una forma giuridica determinata. La soluzione offerta dal ricorso agli analoghi funzionali
rappresentava un’arma a doppio taglio 97. Le acrobazie intellettuali che in
alcuni casi erano necessarie per individuarli o la loro eccessiva proliferazione in altri dovevano minare l’attendibilità della teoria rendendo sempre più
problematica la sua generalizzazione. Era necessario allora un ripiegamento
verso obiettivi ancora più generici in cui il diritto serviva ad assicurare prevedibilità o certezza delle relazioni giuridiche, cioè le condizioni minime per
assicurare lo sviluppo delle relazioni economiche. Ma ovviamente ciò indeboliva ulteriormente la teoria.
Con la fine degli anni settanta per la verità si era cominciata a far strada
un’alternativa diversa che, invertendo la prospettiva, poneva in luce il carattere costitutivo del diritto, sottolineando la sua capacità di produrre visioni
del mondo con cui inquadrare le relazioni sociali e determinarne in concreto
i termini, e la difficoltà dunque di mantenere separato il diritto rispetto alla
società ed alla cultura. Ma l’analisi rimarrà sempre ad un livello eccessivo di
astrazione 98.
Sarà facile così per il metodo strutturale assestare un colpo definitivo alla
teoria e recidere, almeno temporaneamente, il legame fra diritto e società.
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13. I percorsi della comparazione fra scienza e critica.
Il successo negli anni ’60 del factual approach di Schlesinger aveva offerto
un altro modo di superare le concettualizzazioni, andando al di là del funzionalismo 99. Negli arcifamosi seminari di Cornell l’indagine comparatistica
riflette sul modo in cui i diversi ordinamenti reagiscono di fronte ad un problema, a partire da un conflitto tipico rappresentato da un caso ipotetico,
focalizzandosi sugli elementi di fatto che caratterizzano le singole soluzioni
al riparo dai condizionamenti delle categorie concettuali nazionali.
La rielaborazione del metodo di Cornell ad opera dell’analisi strutturale consente un avanzamento significativo poiché porta alla luce come, all’interno
di ogni sistema giuridico, non vi sia soltanto un’unica soluzione possibile, ma vi
siano invece molteplici e differenti possibilità, tante quante sono i formanti.
Ogni singolo sistema infatti è costituito da una pluralità di formanti che si
sviluppano in modo indipendente e la cui interazione permette di attribuire
significato alle regole 100. A causa di molteplici fattori, fra i quali anche la circolazione di modelli provenienti da ordinamenti diversi – i vari formanti possono trovarsi non solo in contraddizione fra di loro (dissociazione fondamentale), come accade quando la regola enunciata nel testo legislativo è
differente da quella adottata nella prassi giurisprudenziale o elaborata dalla
dottrina, ma la contraddizione è destinata a riprodursi anche al loro interno
(dissociazione interna) 101. Ogni formante, a sua volta, può infatti dar vita ad
una regola operativa (gli elementi di fatto che sono necessari a produrre un
determinato effetto giuridico) e ad un regola declamatoria che la illustra ed
influisce sul modo in cui tali regole sono comprese e valutate.
Vi è dunque una molteplicità di possibili soluzioni, ma anche una molteplicità di possibili giustificazioni. E queste ultime, come vedremo, si possono por99
100
101
Entrambi condividono la necessità di andare al di là dei concetti e dalle “strettoie dogmatiche tipicamente inerenti il proprio apparato concettuale” per concentrarsi invece sul problema concreto (cfr. K. ZWEIGERT-H. KÖTZ, Introduzione al diritto comparato, I, (1984), Giuffrè, Milano, 1992, 37) o sulle soluzioni (come complesso di fatti che determinano un singolo
effetto giuridico), (R.B. SCHLESINGER, Formation of contracts, A study on the common core
of legal Systems, Oceana Publications, New York-London, 1968), portando in esponente
come le differenziazioni concrete siano molto meno marcate di quanto invece le loro verbalizzazioni a livello concettuale farebbero pensare (R.B. SCHLESINGER, Comparative Law,
Foundation Press, New York, 1998, 42). Per una elaborazione più dettagliata U. MATTEI,
The comparative influence of Schlesinger and Sacco. A study in legal influence, in A. RILES,
Rethinking the Masters, cit., 238.
R. SACCO-P.G. MONATERI, Legal formants, in P. NEWMAN (ed.), The New Palgrave Dictionary
of Economics and the law, Palgrave Macmillan, London, 1998, II, 531.
Casi di contraddizioni, tensioni e discordanze possono trovarsi nel formante legale fra definizioni generali e norme casistiche, in quello giurisprudenziale fra massima e ratio decidendi e in quello dottrinale fra principi generali e casi particolari (cfr. R. SACCO, Introduzione al
diritto comparato, cit.).
102
R. SACCO, Définition savants et droit appliqué dans les systems romanistes, in Rev. int. dr.
comp., 1965, 827; P.G. MONATERI, Règles et techniques de la definition dans le droit des
obligations et des contrats en France et en Allemagne: la synecdoque française, in Rev. dr.
int. dr. comp., 1984, 7.
103
Una impostazione che veniva criticata a causa proprio dell’eccessivo distacco dal contesto
sociale (cfr. M. LOSANO, Sistema e struttura del diritto, Giuffrè, Milano, vol. 3, 2002, 117), o
per la mancanza di senso storico o l’appiattimento sulla struttura logica di un sistema (cfr.
G. LOMBARDI, Premesse al corso di diritto pubblico comparato, Giuffrè, Milano, 1986, 32).
Perplessità evidenti nell’accusa di formalismo che ancora accompagna quel metodo per
interessanti osservazioni cfr. A. VESPAZIANI, Methodological transformations in the Comparison of European Public Law, in 9 German Law Journal, 2008, n. 5.
104
Per tutti R. SACCO, Introduzione al diritto comparato, cit., 12.
105
R. SACCO, Interpretazione del diritto, in J. DERRIDA-G. VATTIMO (a cura di), Diritto, giustizia e
interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 1996 e ID., L’interpretazione, in Le fonti del diritto, cit.,
186.
106
Questa problematica caratteristica della dottrina americana P.G. MONATERI, La dottrina, in
G. ALPA, Le fonti del diritto italiano, II, in Trattato di diritto civile, a cura di R. SACCO, Utet,
Torino, 1999, 485.
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re in varie relazioni rispetto alle prime, possono essere in sintonia con esse
oppure rivelarsi superflue o addirittura contraddittorie 102.
Nella prospettiva strutturale dunque è il contesto che viene reinterpretato
come struttura, non più come contesto sociale 103. Le componenti di un sistema possono essere valutate soltanto in relazione fra di loro 104.
Il metodo strutturale permetteva, così, alla comparazione di diventare al tempo stesso una teoria dell’interpretazione, poiché criticava l’esaurimento del
diritto nella sua formulazione linguistica, ed una teoria del legal process, poiché analizzava le relazioni (dinamiche) fra le diverse componenti del sistema
che operano per la produzione ed applicazione del diritto 105.
Potevano allora essere realizzati due passaggi fondamentali. Intanto, la comparazione non rifiutava, anzi riconosceva ed accoglieva le lacune, l’ambiguità ed il conflitto all’interno della regola giuridica 106. Seguendo la linguistica strutturale poteva essere ribadito il divario fra significato e significante,
l’attribuzione di senso all’enunciato normativo si rivela arbitraria nel senso
che dipende dal complesso gioco dei formanti all’interno di ogni sistema.
Il metodo strutturale poteva essere considerato così antiformalista. E, come
accade a tutti gli antiformalismi, la stessa impostazione poteva rivelarsi al
tempo stesso la base di un progetto scientifico (ricostruttivo) o di una critica
(progetto decostruttivo).
Se il metodo strutturale costituiva il grimaldello per mettere in scacco la
pretesa completezza della dogmatica, esaltando la molteplicità e l’eventuale
conflitto fra le possibili soluzioni, al suo interno era possibile però trovare
anche l’antidoto per curarla.
PÒLEMOS
69
focus
70
Da una parte, la disomogeneità fra le soluzioni dei diversi formanti e le loro
contraddizioni potevano permettere di far riemergere quelle alternative che
erano state soppresse dalle ricostruzioni dominanti; queste operavano come una sorta di dangerous supplement, evidenziavano cioè un’aporia che
mostrava come tali ricostruzioni non tenessero fede ai loro presupposti di
coerenza e ne denunciavano la parzialità. In questo modo era possibile, recuperando tutta la profondità storica, collocare gli eventi non lungo un unico modello di sviluppo, ma lungo multiple traiettorie di possibilità, rispetto
alle quali quello intrapreso non costituiva un cammino necessario, ma solo il
risultato di eventi contingenti.
La teoria applicata ai singoli diritti nazionali, assai prima di ogni suggestione
decostruttiva, produceva una critica della coerenza interna di singoli modelli
e regole molto simile a quella del realismo americano 107.
Dall’altra però lo studio della dinamica interna del diritto avrebbe potuto consentire di prevedere l’esito del conflitto che si creava fra i formanti. Se si
scoprono infatti le condizioni istituzionali che ne caratterizzano la competizione o i vettori che la determinano, se si scoprono i fatti ufficiali (teorie) e
non (i crittotipi), i nessi espliciti ed impliciti (ancora crittotipi) – non necessariamente determinati dall’uomo – che possono influenzare le decisioni è possibile ridurre fino ad azzerare quasi del tutto l’indeterminatezza 108.
Non si poteva negare però come, nello stesso tempo, con tale ricostruzione,
gli ultimi legami che collegavano il diritto con la società erano venuti meno.
Sulla scia dell’osservazione dei sistemi, Sacco avrà buon gioco a mostrare
come società con strutture economico-sociali profondamente diverse abbiano adottato forme e regole giuridiche assolutamente identiche e viceversa forme e regole diverse siano adottate in società assolutamente identiche
sotto il profilo economico-sociale 109.
107
È evidente la critica al mainstream ed all’idea di un sistema vincolante di definizioni e nozioni. Ipotesi dopo ipotesi vengono attaccati dogmi e principi classici come la bilateralità
del contratto (dimostrando la presenza nelle regole particolari e nella prassi giurisprudenziale della promessa come modello antagonista), l’efficacia traslativa del consenso (dimostrando la sopravvivenza della traditio e dell’obbligazione di dare) e con essa l’impossibilità
della scomposizione fra le componenti del diritto di proprietà, la contrapposizione fra diritti
reali e relativi ed altre ancora. Vedine alcune applicazioni in R. SACCO, Introduzione al diritto
comparato, cit. e A. GUARNERI, Diritti reali e diritti di credito: valore attuale di una distinzione,
Cedam, Padova, 1979.
108
Non tutto è riducibile, come nell’approccio realista, alla “law in action”, ma è necessario
cogliere il ruolo delle narrative appunto che usano tutti gli interpreti cfr. P.G. MONATERI,
“Everybody’s talking”. The future of comparative law, in 21 Hastings Int’l and Comp. L.
Rev., 1998, 825.
109
Emblematico per tutti R. SACCO, Le invalidità nel diritto sovietico, cit.
71
110
È stata notata l’affiancarsi di una sub tradizione politico-filosofica ad una sub tradizione
tecnico-giuridica che opera per legittimare soluzioni non in linea con quest’ultima cfr. A.
GAMBARO, La proprietà nel common law anglo-americano, in A. CANDIAN-A. GAMBARO-B.
POZZO, Property-Propriété-Eigentum, Cedam, Padova, 1992, 26.
111
In tale contesto, com’è ormai noto, l’enunciato declamatorio presente nel testo del code
corrisponde ai dogmi del giusnaturalismo, mentre la regola operazionale riproduce la prassi consolidata (cfr. P.G. MONATERI, La sineddoche. Formule e regole nel diritto delle obbligazioni e dei contratti, Giuffrè, Milano, 1984).
112
Se però in Marx l’ideologia è un’interpretazione della realtà consciamente o inconsciamente condivisa nell’intero quadro politico e sociale, un elemento che può essere spiegato da
una causa che si trova alla sua base (rapporti di produzione o necessità del capitalismo) e
che l’ideologia appunto legittima perché gli individui ai quali questo genere di discorso è
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Lo studio della dinamica interna del diritto aveva però portato alla luce anche un altro dato destinato a diventare cruciale. Si trattava della necessità
di studiare accanto ai risultati prodotti dai diversi sistemi giuridici anche il
modo con il quale (all’interno di uno singolo scenario delimitato dagli strumenti e dalle limitazioni definite dalla tradizione giuridica) il risultato è prodotto, descritto e giustificato 110.
Se è scontato che l’interprete offra ragioni per motivare le proprie scelte, è
però interessante notare come spesso rappresentazioni, affermazioni teoriche ed argomentazioni che sono addotte per spiegare le regole possano
rivelarsi non solo superflue, ma talvolta addirittura contraddittorie rispetto ad
esse. Della loro “mentitorietà” gli stessi interpreti sono ben consapevoli.
Queste giustificazioni infatti sono destinate ad influenzare il modo in cui le
regole sono accolte e valutate all’interno di ogni sistema. Come tali possono
incoraggiare una “falsa coscienza” di ciò che in realtà il sistema produce.
Le giustificazioni come tutto il sistema di rappresentazioni situate al livello
delle pratiche interpretative sono estremamente importanti sia allo scopo
della comunicazione sociale, che della stabilità sociale.
Non si poteva evocare in modo più preciso il carattere ideologico, inteso
proprio come falsa coscienza” della realtà, che questi elementi possono assumere. Fenomeno non soltanto tipico dei sistemi che, come quello sovietico, erano definiti politicizzati, ma che è possibile riscontrare in tutti gli altri
sistemi. A cominciare da quelli che, come il diritto francese, sono stati storicamente influenzati dal giusnaturalismo. Non a caso è proprio il Code il terreno a partire dal quale viene testata la sineddoche, figura retorica con la
quale si evidenzia una parte per il tutto, la cui presenza consente e facilita la
divaricazione fra regola operazionale e declamazione 111.
La sineddoche lascia così il posto all’ideologia. Questa componente ideologica opera a più livelli 112. Intanto ad un livello più generale, l’ideologia ri-
PÒLEMOS
14. Dalla sineddoche all’ideologia ed all’egemonia.
focus
72
guarda l’interpretazione, in cui l’individuazione del significato di una norma
è considerato il prodotto di un ragionamento puramente tecnico, sia esso di
carattere esclusivamente deduttivo o accompagnato anche da considerazione relative agli interessi (in conflitto) che le regole servono. Attraverso tale rappresentazione l’interprete rinnega costantemente la sua creatività, legittimando il suo operato come neutrale 113.
Al tempo stesso emerge anche una componente “apologetica” interna al
lavoro del giurista: le giustificazioni se non servono alla elaborazione di una
soluzione, possono servire a promuovere “visioni del mondo” che orientano, sono destinate ad essere imitate e riprodotte a loro volta. Le diverse rappresentazioni sono funzionali ai progetti che le élites intellettuali possono perseguire. Presentare, attraverso la comparazione, i diversi modelli come prestigiosi, come abbiamo visto, può realizzare diversi progetti a favore, ma anche contro il paese da cui provengono, ispirando o mobilizzando opposizione e resistenza 114. Di qui all’idea che i prodotti culturali possano essere armi
per eliminare un’egemonia e sostituirla con un’altra 115, il passo è breve.
L’analisi strutturale può considerarsi così alla radice non solo della scoperta
della dissociazione dei formanti (della decostruzione delle definizioni e delle
formule giuridiche), ma anche del recupero delle narrative e delle prassi discorsive.
Del resto le giustificazioni – almeno nelle vesti di motivazioni teoriche e proposizioni di tipo declamatorio, ivi incluse quelle “non sempre strettamente giuridiindirizzato sono persuasi ad accettarla, accettando insieme ad essa l’ordine sociale da cui
dipende. In questa rilettura l’ideologia non legittima un particolare tipo di società, ma soltanto lo status quo, il suo obiettivo non è l’intero quadro politico e sociale, ma soltanto un
numero ristretto di soggetti: l’élite dei giuristi, dei giudici e degli operatori del diritto.
113
Il ruolo dell’interpretazione come “affabulazione” strumento in grado di legittimare le decisioni giuridiche e necessario per renderle “socialmente accettabili” è enfatizzato da P.G.
MONATERI, “Correct our wachtes by the public clocks” (Interpretazione del diritto e nihilismo
giuridico), in Riv. crit. dir. priv., 1997, 403, tale carattere non può rimanere alla luce e deve
pertanto essere continuamente nascosto, poiché non sarebbe professionalmente e politicamente accettabile, ID., “All this and so much more”. Intento originale, antagonismo e non
interpretivismo, ivi, 2000, 207 dove però vi è anche una critica ancora più radicale alla stessa idea di interpretazione, in quanto ricerca di un senso preesistente.
114
Cfr. P.G. MONATERI,“Everybody talking”, cit.; ID., Critica dell’ideologia ed analisi antagonista:
il pensiero di Marx e le strategie della comparazione, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 703; C.
COSTANTINI, L’anima apologetica della comparazione e la ‘geopolitica’ del diritto. Riflessioni
in margine alla fondazione della tradizione occidentale, in Riv. crit. dir. priv., 2005, 183.
115
Rimane cruciale approfondire la questione relativa alla misura dell’agency individuale, cioè
individuare la misura in cui, resistendo, l’interprete riproduca il potere al quale si oppone
(così nella prospettiva foucaultiana in cui il potere viene analizzato come entità che controlla e seleziona la “produzione del discorso” senza identificarsi in un centro capace di controllare la periferia o in una serie di individui cfr. M. FOUCAULT, La volontà di sapere (1976),
Milano, 1978; ID., L’ordine del discorso (1971), Torino, 1994), meno pessimista P. BOURDIEU,
Esquisse d’une théorie de la pratique, Droz, Genéve, 1972.
15. Verso nuove (e più egalitarie) forme di ‘comparative law and
economics’?
È infatti interessante notare come la componente ideologica ed apologetica
messa in evidenza dalla divaricazione fra i processi di selezione delle regole
e le giustificazioni che si apportano a loro favore sia assai comune. Se infatti verifichiamo i numerosi discorsi specifici, che vengono utilizzati per spiegare e giustificare l’adozione di particolari regimi giuridici nel diritto privato,
non si può far a meno di notare un frequente scollamento fra declamazioni
teoriche, regole che vengono introdotte e i risultati conseguiti nei diversi contesti in cui operano. È il caso, ad esempio, dei discorsi che hanno accompagnato ed accompagnano ancora l’applicazione delle regole sulla giustizia
contrattuale. Anzi, questa è una delle ipotesi che fa segnare forse il maggior
distacco fra giustificazioni teoriche – storicamente ispirate da declamazioni
assai impegnative a favore dei più elevati principi ricostruttivi caratteristici
delle varie epoche in cui si sono affermate – e regole operazionali (che producevano risultati distributivi particolari).
Queste, per rimanere nel campo della giustizia contrattuale, mentre le giustificazioni proclamavano variamente la teoria della volontà prima, l’“istanza
sociale” poi ed oggi la solidarietà, producevano risultati difficilmente conciliabili con quelle affermazioni di principio. Basterà ricordare solo come, in
corrispondenza della prima, la giurisprudenza francese del Code fosse assai salda però nel mantenere la legittimazione attiva in capo al solo venditore nella lesione; rispetto alla seconda, le regole operazionali della giurisprudenza tedesca sul § 138, 2 BGB fossero altrettanto salde nel negare qualunque forma di ortopedia del contratto ed interpretare restrittivamente i requisiti della necessità, inesperienza e leggerezza; e rispetto alla terza, oggi
116
R. SACCO, Legal formants, cit., 32.
1 / 2010
che” che pure spesso le accompagnano – costituiscono un elemento presente
già dall’inizio nella lista dei formanti, anche se fra quelli “meno studiati” 116.
Tutto ciò rimanda ai belief systems, alle strutture di pensiero collettivamente
determinate che orientano, in modo implicito ed esplicito, il modo stesso di
pensare dell’interprete. Questi sono i paradigmi intellettuali, di carattere storico e contingente, che limitano il campo in cui si situano le varie condizioni di
possibilità degli interpreti e determinano i risultati che è possibile raggiungere.
Il cammino in questa direzione è stato allora solo indicato, ma è lungo questi percorsi che diventa possibile colmare il gap che separa diritto e società
e riannodare così anche i fili che legano politica e diritto.
PÒLEMOS
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l’espansione dei rimedi a tutela della giustizia contrattuale, se si eccettua il
caso pure emblematico della tutela del consumatore, non sia andata per
ora al di là dei casi di hold up monopolistico fra imprenditori. Risultati diversi rispetto alla giustificazione teorica, ma che lasciano tutti tracce facilmente
rintracciabili della direzione distributiva che hanno preso 117.
In realtà, anche in questo caso, c’è un altro percorso che merita di essere ripreso: quello dello studio degli effetti economici della regola giuridica 118. Un
percorso che per la verità la comparazione aveva già iniziato, gettando il ponte
per un connubio con l’analisi economica, ma percorso solo in una direzione.
La scoperta delle regole operazionali, in quanto complesso di fatti rilevanti,
permetteva infatti non solo una migliore, cioè più scientifica, misurazione
delle somiglianze e delle differenze fra i diversi ordinamenti, ma anche una
serie di altri interessanti risultati. Intanto, andando al di là delle declamazioni
e delle strutture concettuali adottate, promettevano uno studio più accurato
del modo in cui tali regole funzionano all’interno delle diverse società, in
particolare potevano chiarire le conseguenze (incentivi) che sono destinate
ad avere sul comportamento dei componenti di quelle società.
Questa stessa impostazione permetteva anche di valutare quale delle diverse
regole fosse più efficiente nel senso dell’allocazione delle risorse, cioè della
riduzione dei costi 119 e, di conseguenza, anche quale dovesse essere candidata per l’adozione nei progetto di uniformazione ed armonizzazione del diritto o prevedere quale fosse destinata ad un maggior successo circolazione 120.
Che la causa ed i suoi analoghi funzionali servissero a selezionare quali
promesse ed accordi dovessero essere considerati vincolanti aveva messo
117
Emergono così obiettivi (distributivi) certamente legittimi, ma sensibilmente differenti rispetto
alla solennità e generalità dei principi, come la possibilità di reagire principalmente ad un fenomeno speculativo ai danni dei proprietari terrieri nel primo, escludere l’impatto del rimedio
nei conflitti fra capitale e lavoro nel secondo, gestire i problemi dell’opportunismo nei relational contracts nell’ultimo. Sul punto, volendo ancora G. MARINI, Distribuzione ed identità, cit.
118
Fra i molti R. PARDOLESI, voce Analisi economica del diritto, in Dig. it., disc. civ., I, Torino,
1987, 310.
119
La definizione dell’efficienza è notoriamente problematica, in generale essa consiste nella
riduzione dei costi transattivi (cfr. R. COOTER, Il mercato delle regole, Il Mulino, Bologna,
1999; U. MATTEI, Comparative law and economics, University of Michigan Press, Ann Arbor,
1998, 4; U. MATTEI-P.G. MONATERI, Introduzione breve al diritto comparato, cit., 83), ma la loro
individuazione non è ovviamente pacifica. In collegamento con la comparazione l’efficienza
può perseguire progetti politici diversi, in particolare l’adesione ad un modello “obiettivo” e
neutrale (cfr. U. MATTEI, Comparative law and economics, cit., 3) oppure al contrario lo svelamento della dinamica politica retrostante al sistema giuridico (U. MATTEI-P.G. MONATERI,
Introduzione, cit., 108); tende ora a prevalere un più generale atteggiamento critico sotto il
profilo tecnico o il dogmatismo (cfr. A. SOMMA, Al capezzale del malato? Riflessioni sul metodo comparatistico, in Riv. crit. dir. priv., 2005, 41).
120
Così R. COOTER, Le migliori regole giuste, in Quadr., 1991, 526; U. MATTEI, Efficiency in legal
transplants: an essay in Comparative Law and economics, in 14 Int. Rev. Law & Ec., 1994, 3.
121
Vedi l’applicazione della griglia di Calabresi (G. CALABRESI-A.D. MELAMED, Property rules,
liability rules, inalienability rules: one view of the cathedral, in 85 Harv. L.R., 1972, 1089) ai
conflitti interproprietari cfr. U. MATTEI, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria, Giuffrè, Milano,
1987.
122
Il disaccordo permane soltanto intorno ai criteri con i quali tale obiettivo deve essere perseguito, tale criterio permette di affermare anche la sostanziale neutralità del metodo, ma
vedi E. BAKER, The ideology of the economic analysis of law, in 3 J. Phil & Pub. Aff., 1975, 3
e Du. KENNEDY, Cost-benefit analysis of entitlement problems: a critique, in 33 Stan. l. Rev.,
1981, 387.
123
Nel senso che nessuna regola abbia abbastanza forza e precisione da incanalare il sistema
entro una logica particolare (il sistema capitalistico).
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in evidenza la scelta di policy che i diversi ordinamenti erano chiamati a fare
in quei frangenti. Individuare che tali fossero considerate solo le promesse o
gli accordi accompagnati da una contropartita o altri elementi costituiva un
altro passo avanti per verificare se tali risultati potessero essere considerati
anche davvero efficienti.
Le conseguenze prodotte dalle regole operative dovevano essere messe
poi a confronto con le declamazioni. Qui gli schemi dell’analisi economica
permettevano di operare un controllo critico della eventuale distanza fra gli
enunciati e le regole giurisprudenziali, denunciando il distacco che si veniva
a creare fra la sostanza delle regole operazionali (rimedi) e la forma delle
concettualizzazioni (diritti) presenti nei diversi sistemi 121.
In ogni caso, anche nelle versioni più critiche, non veniva però prestata alcuna attenzione verso le conseguenze diverse da un’allocazione efficiente
delle risorse, nella convinzione – condivisa dall’analisi economica classica –
che l’obiettivo di assicurare all’intera società la “torta più grande” (in modo
del tutto indipendente dal modo in cui verrà divisa) fosse l’unico legittimamente perseguibile o possibile attraverso le regole del diritto privato 122.
Sebbene in modo totalmente “de-marxificato” 123 – nel senso cioè che ad
essere in gioco non sono più le sorti del sistema capitalistico, ma semplicemente conflitti “locali” con una posta ben più ridotta – il newstream ribadisce l’importanza delle conseguenze distributive che conseguono all’assetto giuridico promosso attraverso le narrative della comparazione.
È allora a quelle stesse regole operazionali, alle quali si è guardato in passato solo per valutare l’allocazione (più) efficiente, che è possibile guardare
oggi per capire anche il modo in cui risorse e potere sono stati distribuiti.
Del resto proprio la discussione sui progetti di armonizzazione del diritto
contrattuale ha riportato da tempo l’attenzione sul fatto l’adozione o la modifica di una determinata regola – anche attraverso il semplice consolidarsi
di un orientamento giurisprudenziale – possa cambiare i risultati del conflitto
fra le parti, ma anche fra le categorie ed i gruppi ai quali le parti appartengono (la relativa distribuzione delle risorse).
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È chiaro che qui non sono in discussione configurazioni o definizioni generali
che riguardano il contratto, la proprietà o altro, ma invece tutte quelle particolari e minute regole di fondo con le quali ne viene assicurato il funzionamento,
quelle regole cioè che si preoccupano di segnare i limiti entro i quali alle parti
di un contratto è concesso trarre vantaggio dalle proprie specifiche competenze, dalle informazioni che possono acquisire e persino da altre risorse come la posizione sociale o, per muoverci in un’altra direzione, che determinano
il destino dei contributi del coniuge o del partner al ménage familiare.
Non è possibile ignorare che, ogni cambiamento, anche di scala ridotta, nella
struttura istituzionale che governa la disciplina delle transazioni o delle relazioni economiche è in grado di produrre effetti redistributivi potenzialmente
rilevanti sul potere delle parti e sulla distribuzione delle risorse che ne deriva 124. Non vi è alcuno spazio nel diritto privato che possa considerarsi indenne da tali effetti.
Tali regole danno vita all’intelaiatura concreta all’interno della quale sono condotte le relazioni economiche e sociali fra i diversi gruppi e – sebbene di solito
considerate, se non neutrali, quanto meno scarsamente rilevanti – da esse dipende la posizione di forza relativa degli appartenenti e dunque anche quanto
possono ottenere nei rapporti di cooperazione e competizione fra di loro.
16. Conclusioni.
Tornando, allora, per concludere, ai rapporti fra diritto e politica: tanto l’impostazione che vuole ridurre il diritto soltanto a politica, quanto quella che
cerca di tenere la politica del tutto fuori dal diritto sembrano ambedue alternative ugualmente insoddisfacenti.
La politica non può essere tenuta fuori dal diritto, perché, anche se talvolta
non viene compreso o viene negato, la politica è già presente nel diritto
dall’inizio. Ovviamente il diritto è politica “con altri mezzi” ed ha il suo preciso repertorio di regole operative, ordini concettuali, argomentazioni e criteri
di legittimazione. Invece che partire dalla sua contrapposizione sarebbe
meglio forse domandarsi quali sono le reali conseguenze che derivano dalla
sua costante presenza nel campo.
124
La presenza di tali effetti esige una indagine attenta volta a chiarirne l’impatto complessivo,
come tutti i fenomeni redistributivi infatti in alcuni casi (ma non in tutti) i costi possono essere riallocati,come accade nei rapporti fra professionisti e consumatori. Sul punto Du.
KENNEDY, Distributive and paternalist motives, cit.