EMOZIONE VERONICA PEPARINI MICHELE MASTROIANNI body is architechture ei LACCIO MODULO PROJECT giorgio ROSSI tra musica e poesia 64 PAGINE interviste tendenze approfondimenti caterina genta & marco schiavoni una colonna sonora di pura danza N°6 2015 SOMMARIO DANZA E ARCHITETTURA PAG 24 BODY IS ARCHITECTURE CREATING NEW STRUCTURES Il nuovo lavoro del coreografo e Art Director Michele Mastroianni. bimestrale di approfondimento di Annachiara Eliseo ph. Martin Charrat Direttore Responsabile Vito Cutro Direttori di Redazione Luana Luciani Monica Ratti Responsabile Redazione Angela Testa Hanno collaborato a questo numero: Lara Crippa Anna Chiara Eliseo Gabriella Gori Monica Ratti Angela Testa COPERTINA PAG 4 EMOZIONE VERONICA La mia coreografa preferita Intervista alla star televisiva Veronica Peparini di Monica Ratti Art Direction Francesca Fini PAG 14 LA FAMIGLIA SI FA MODULO PROJECT Con Laccio a tu per crew Intervista a Emanuele Cristofoli, direttore creativo dei Modulo Project di Lara Crippa ph. Gianluca Palma COMPAGNIE Direzione-Redazione Via Galazia 3 00183 Roma Tel 06 77209065 Fax 06 99701064 Edizioni Accorpamente via Galazia, 3 00198 Roma Il Servizio Abbonamenti è a vostra disposizione al numero 06 70493730 o scrivendo a: [email protected] Iscrizione Tribunale Dance And Culture N. 96/ 2014 del 24 aprile 2014 Emanuele Laccio Cristofoli 2 ph. Sara Venuti ph. Dominik Mentzos SOMMARIO Francesco Ventriglia COREOGRAFI PASSO A DUE SCUOLE PAG 34 GIORGIO ROSSI Dare un senso alla Danza tra Musica e Poesia Intervista al coreografo e direttore artistico dell’Associazione Sosta Palmizi PAG 44 CATERINA GENTA & MARCO SCHIAVONI, PASSI IN SCALA Intervista al compositore e video artista Marco Schiavoni e alla coreografa e danzatrice Caterina Genta PAG 58 ROBERTO FASCILLA Danza, non solo passi Intervista all’etoile, coreografo e Direttore di Corpi di Ballo e Teatri Stabili di Gabriella Gori di Angela Testa di Monica Ratti CERCA I CONTENUTI SPECIALI: 3 veronica peparini 4 COPERTINA di Monica Ratti EMOZIONE VERONICA la mia coreografa preferita E Era la fine degli anni ’80, quando le gloriose sale dello IALS, con le lezioni del famoso maestro Roberto Salaorni, erano gremite da centinaia di ballerini, sì, prevalentemente ballerini, perché allora la televisione, il Teatro Sistina, le compagnie di danza, la Compagnia Della Rancia, i tour con i cantanti, le convention offrivano tante opportunità di lavoro. In sala 1 i ballerini, non trovando posto, si sistemavano anche fuori della pedana danza, sui corridoi di pavimento che la delimitavano, e tra i Silvio Oddi, Luigi Grosso, Tania Piattella, Matilde Brandi, Giuliano Peparini, Tony Bongiorno, Cristina Gangalanti, Mauro Mosconi e molti altri c’era anche lei, Veronica Peparini. Anche Veronica lavorava in televisione e durante la lezione la osservavo perché era molto riservata, a dire il vero la consideravo antipatica, con una di quelle classiche valutazioni che fai a pelle senza conoscere minimamente la persona. La ritrovai a distanza di anni, nel 2005, al Teatro del Sogno a Roma perché partecipò con la Palestra Planet di Via Appia, dove ancora oggi insegna, al Concorso Chorea Mundi, organizzato dalla One grazie a un contributo del Comune Di Roma sotto la direzione artistica di Stefano Vagnoli ed il mio coordinamento. Fu un colpo di fulmine. Appena vidi il suo lavoro me ne innamorai perdutamente, era intenso, gli allievi bravissimi, soprattutto dal punto di vista interpretativo, le scelte musicali accattivanti, lei non ricercava la perfezione del movimento ma la perfezione nel trasmettere emozioni, ogni suo danzatore era completamente diverso dall’altro per aspetto fisico e preparazione tecnica, ma tutti insieme amalgamati sapientemente erano emozione pura. E fu lei, infatti, a vincere il premio Chorea Mundi in una travolgente finale all’Auditorim della Conciliazione dove in giuria c’erano Heather Parisi, Roberto Salaorni, Vittoria Ottolenghi, Mimmo Del Prete, Luciano Cannito, Stefano Vagnoli. Da quel momento il mio rapporto con Veronica si è trasformato in amicizia, lavoro, 5 confidenze, risate e ancora oggi, che è all’apice del successo perché riconosciuta da un’ampia platea conquistata grazie al programma Amici di Maria De Filippi, il suo modo di rapportarsi con me non è cambiato per nulla, e di questi tempi è cosa rara. In qualunque situazione lavorativa da me gestita, Veronica è sempre stata l’artista più intelligente e capace di creare il prodotto più giusto per il tipo di esigenze che venivano richieste e così dalla Fiera del Fitness a Firenze per la Peugeot, fu confermata per il Motor Show di Bologna, dove gli organizzatori di Miss Italia non se la fecero sfuggire, rinnovandole il contratto per le successive edizioni. In seguito, organizzai uno spettacolo con la sua compagnia, si chiamava Free Dance Company poi Compagnia Veronica Peparini, al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dove la rivide Vittoria Ottolenghi che la invitò al Todi Arte Festival con i suoi ballerini per realizzare, nell’ambito di una delle sue famose Maratone, un lavoro per Heater Parisi. Nello spettacolo al Teatro Ambra Jovinelli partecipò anche Kledi Kadiu, suo storico amico, e la coreografia che interpretò sul brano ‘Minchia signor Tenente’ fu molto apprezzata. Con quello spettacolo Veronica e Kledi realizzarono la loro prima tournée. Ma il progetto più ambizioso che realizzammo fu per la piattaforma Avvertenze Generali al Festival di Bolzano Danza nel 2011. Un concerto in danza con musica dal vivo dei Velvet, un lavoro imponente, straordinario, in cui solo la miopia dei nostri programmatori italiani non riuscì a vederne le potenzialità. Vi invitai anche un famoso operatore che all’epoca 6 aveva strettissimi rapporti con il programma Amici. “Devi venire assolutamente” gli dissi “ti devo mostrare il lavoro di una coreografa che a mio modesto parere è adattissima al programma”. Con mio grande rammarico, la bocciò senza esitare su tutti i fronti ma Veronica, da persona intelligente e poco presuntuosa qual è, pur con grande delusione, incassò con eleganza. Gli replicai che si stava sbagliando perché, scusate la presunzione, per queste cose ho sempre avuto naso. E infatti così fu! Ebbi ragione. E se tutti voi pensate che Veronica stia nel programma Amici grazie a suo fratello Giuliano Peparini, bè, vi sbagliate! Veronica fu invitata in qualche puntata prima di Giuliano, per poi essere sempre più presente. Giuliano entrò a farvi parte perché fu proprio lei, la sorella, a parlarne a Maria De Filippi che, invece, in quanto a naso ne ha da vendere. Mamma di due deliziosi bambini, Daniele di 8 anni e Olivia di 3 anni e mezzo, moglie di un ballerino, Fabrizio Prolli, Veronica si barcamena come tutte le donne in carriera tra lavoro e casa, i viaggi per seguire i suoi lavori come Romeo e Giulietta di David Zard, o i grandi spettacoli realizzati per Franco Dragone o, più semplicemente, per i vari stage che la vedono sempre più impegnata in tutta Italia. Hai ballato, hai insegnato, hai coreografato, ora sei star in tv. Cosa vorresti fare nell’ambito della danza che ancora non hai fatto? Mi piacerebbe fare un altro grande spettacolo con i Big della musica, l’esperienza con i Velvet ancora la porto nel cuore e se ben ricordi l’abbiamo realizzata con scarsi mez- zi anche se per noi nel 2011 erano tanti rispetto a come eravamo abituati. I Velvet poi furono adorabili nel sposare il progetto. Peccato che poi non ci fu seguito e tutto si fermò al progetto Avvertenze Generali realizzato a Bolzano. Tra gli artisti con cui mi piacerebbe fare uno spettacolo di musica e danza una è Elisa (che tra l’altro non è nuova a questo genere di cose perché molti anni fa realizzò con Vittoria Ottolenghi a Castiglioncello una serata evento con il coinvolgimento di diverse compagnie e coreografi, da Bigonzetti a Sieni, da Celli a Micha e tanti altri, uno di quei progetti unici e irripetibili di Vittoria Ottolenghi) e l’altra è Miley Cyrus. Cosa significa per te insegnare? Cosa ti prefiggi di essere per i tuoi allievi? E’ uno stimolo per ricercare cose nuove, i ragazzi che studiano con me arrivano generalmente da altre realtà, hanno una base, in molti casi un’ottima base. Io non sono un’insegnante di formazione, con me studiano per perfezionarsi in un linguaggio, già proiettati al mondo del lavoro, col loro background, le loro esperienze che mi arricchiscono e io contraccambio dando loro esperienze nuove; ecco, è questo l’insegnamento per me. Non mi prefiggo nulla in realtà, solo farli lavorare in un ambiente sereno. Insegno perché mi piace ancora ballare e con i miei allievi non spiego solo ma ballo, questo è un ottimo modo per sperimentare insieme e crescere. Perché secondo te i ragazzi che studiano danza non sentono l’esigenza di andare a vedere spettacoli di danza? Non sono curiosi, si fermano a quel poco che hanno attorno e non vanno a vedere nulla Natalia Horecna in prova con la Junior Company del Vienna State Ballet per la coreografia ‘Malerei Eines Traumes’, ph. Ashley Taylor 7 WORK’N... Veronica Peparini con David Zard vince il Premio Oscar del Musical 2015 per la miglior coreografia con lo spettacolo Romeo e Giulietta Veronica Peparini in viaggio con Kledi, Natalia Titova, Garrison e Alessandra Celentano. 8 ...PROGRESS Veronica Peparini e il marito Fabrizio Priolli 9 che non li coinvolga direttamente. C’è però una mancanza da parte dello Stato a rendere la cultura fruibile, accessibile e soprattutto non c’è una progettualità tesa a formare nuove generazioni più sensibili nei confronti delle forme artistiche in generale, ma non è mio compito fare politica in tal senso, è solo una considerazione sulla nostra condizione in Italia. C’è da dire però, nello specifico, che molta danza ha allontanato l’interesse del pubblico per questa forma di spettacolo. Le persone desiderano che gli venga raccontato qualche cosa, se uno spettacolo ti annoia è ovvio che non ripeti l’esperienza una seconda volta. E’ un modo sicuramente un po’ semplicistico di spiegare una questione piuttosto complessa ma è inutile girarci attorno, il pubblico oggi è così. Nella mia esperienza di Romeo e Giulietta di David Zard la cosa che più mi ha colpita sono stati i matinée per le scuole, 4000 bambini seduti per 3 ore, rapiti, stupiti, incantati, entusiasti. C’è poco da fare, se uno spettacolo ti offre scene, costumi, belle luci, racconta una storia in modo che tu possa leggerla durante lo spettacolo, ottimi artisti, come non può non diventare magico anche per un bambino? E da questo potremmo poi riuscire anche a coinvolgerlo e sensibilizzarlo per altro e non viceversa. Com’è il rapporto con tuo fratello? Da un punto di vista lavorativo come fratello e sorella lo scontro è più facile, la discussione, c’è una confidenza maggiore, meno freni. Ora però siamo riusciti a trovare un giusto equilibrio. Abbiamo anche due staff diversi che ci aiutano nel nostro lavoro e che a volte entrano anche un 10 po’ in competizione tra loro, ma è nelle cose, per cui oltre a dover mediare tra di noi, capita che le scintille partano anche tra i collaboratori. Ma io e Giuliano siamo sempre stati molto legati, prima di tutto come fratelli, poi la danza ci ha unito ancora di più. E io sono testimone del fatto che quando collaboravamo e facevamo eventi insieme tu non mancavi mai di parlarmi di tuo fratello che, pur essendo uno straordinario e riconosciuto artista già all’epoca, non aveva ancora fatto il grande salto verso la notorietà e ricordo con quale affetto e stima me lo proponevi; ho ancora il progetto che mi inviasti per uno spettacolo di cui parlai con Giuliano e che poi lui realizzò in Francia. Ho sempre amato e apprezzato il lavoro di mio fratello come ben sai e anche lui mi ha sempre dimostrato stima e affetto, tra fratelli qualche incomprensione e litigio ci può stare. Quali sono gli insegnanti a cui sei più legata? Mi riferisco al periodo della tua formazione. Ho iniziato a studiare al Dance Studio di Renato Greco a Piazza Esedra, anche Giuliano ha iniziato lì, classico, modern; da Renato facevamo tecnica Matox, poi sentii dire che alla Crazy Gang si studiava con le scarpe da ginnastica e questa cosa mi fece impazzire, io curiosa, dovevo capire cosa fosse. Così andai alla Crazy Gang dove però continuai a studiare anche classico con Piero Martelletta, poi proseguii allo IALS, il mitico luogo che a Roma ha visto il passaggio di migliaia di professionisti dove studiavo con Michel Ellis, Roberto Salaorni ma l’insegnante che porto maggiormente nel cuore, e che definisco anche un caro amico, è Mauro Mosconi. Ho sempre studiato classico perché ritengo sia fondamentale nella formazione di un danzatore, ma amo particolarmente chi viene dal mondo Hip Hop, dalla Break Dance, hanno una preparazione atletica, una sensibilità musicale che mi affascina, sono danzatori travolgenti che non si risparmiano. E i coreografi con i quali hai lavorato? Principalmente con Luca Tommassini per i lavori che definirei più Pop e con Giuliano per progetti più poetici, contemporanei, poi ho lavorato anche con Mauro Mosconi, Marco Garofalo, Roberto Croce, Franco Miseria. I ricordi più divertenti o bizzarri legati al tuo periodo di ballerina? Partivo per l’Oman con Luca Tommasini per uno spettacolo dedicato ai militari, era subito dopo l’11 settembre. Volavamo su aerei militari e poi sull’elicottero che doveva portarci nel deserto a fare lo spettacolo. Eravamo tutti dotati di copricapi e occhiali a infrarossi, non ci sentivamo, ci vedevamo solamente, eravamo nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, io ero terrorizzata, mentre scendevo dall’elicottero urlavo, continuavo a ripetere: “Ma chi me lo ha fatto fare, sono matta!” In realtà nessuno mi sentiva ma ridevano a crepapelle perché io gesticolavo come una pazza. Con Michele Oliva e Francesco Saracino ancora ce lo raccontiamo. Un altro periodo bellissimo è quello di Macao, dove sono stata per lungo tempo per lavorare allo spettacolo Tabù di Franco Dragone, uno show forte, di quelli che a me piac- ciono particolarmente e dove ho sentito di potermi esprimere al meglio. Ho portato con me i figli malgrado le critiche di tutti: come farai a lavorare, chissà che situazione troverai. Invece mai luogo si è rivelato più adeguato per consentire a una mamma di lavorare senza dover rinunciare alla presenza dei suoi figli. Quali sono i coreografi italiani che stimi di più e quali gli stranieri? Tra gli italiani il lavoro di Enzo Celli, soprattutto il Celli prima maniera, è quello che mi ha maggiormente interessato. Celli ha avuto coraggio nell’elaborare un linguaggio suo, ri- conoscibile ma originale, fuori dagli schemi a cui eravamo abituati, un lavoro fresco, di impatto, che mescolava hip hop, arti circensi, danza contemporanea, il primo a fare questo in Italia. Tra gli stranieri, Cristal Pait del Nederland e mi piace molto il lavoro della Compagnia Batsheva. Spesso ho letto che fai parte di una famiglia tutta artistica, cogliamo l’occasione per dire ai nostri lettori che a parte Giuliano i tuoi genitori, in realtà, non c’entrano nulla col mondo dello spettacolo, sono in realtà commercianti: hanno un negozio di scarpe a Roma. Da tempo, però, la tua 11 famiglia si è allargata, anche artisticamente, perché tuo marito Fabrizio Prolli è un ballerino, come vi siete conosciuti? Durante le mie lezioni alla scuola di Kledi, lui era un mio allievo, da allievo è diventato assistente, da assistente marito, è uno straordinario padre ma soprattutto è l’altra parte di me, la parte organizzata, quadrata, razionale, insieme ci compensiamo perfettamente. Al termine dell’intervista ci raggiunge anche Fabrizio, il marito, ripartono i ricordi, gli episodi, le risate. Siamo negli studi di Amici, il luogo che l’ha resa popolare al grande pubblico, e malgrado sia strafelice per lei e per il suo successo, per me lei è e rimane la mia coreografa preferita: non avevo bisogno di Amici per accorgermene. O I C C w A e r L c n r co u pe t a LA SI FA FAMIGLI PR O MODUL J EC 14 T COMPAGNIE I MODULO PROJECT, (da sx a dx) Valentina Cristofoli, Manuela Saccardi, Fabio SHAKE Bernardini, Emanuele LACCIO Cristofoli, Laura Bernardini, Ilenya Battista, di Lara Crippa T The Voice of Italy vuole le loro coreografie, così com’è stato per i programmi televisivi Barbareschi Sciock, Stasera niente MTV con Ambra Angiolini o The Show must go off con Serena Dandini; i programmi musicali fanno firmare loro le sigle di apertura, da Wind Music Awards all’Arena di Verona a MTV hip hop awards 2012 e MTV awards 2014; i cantautori italiani si avvalgono delle loro modulazioni coreografiche 15 16 ed estetiche, da Tiziano Ferro a Raf, Gianna Nannini, Laura Pausini, Giorgia, Zucchero, Giusy Ferreri, la lista è infinita; la moda se li contende alle inaugurazioni, dall’apertura dello store a Roma di Louis Vuitton al Tezenis fashion show 2015. Chi sono i Modulo Project, che se non bastasse hanno anche una loro scuola di danza nel paese di origine e un’accademia a Milano con relativa compagnia? Alla vigilia della festa per i loro primi 10 anni abbiamo intervistato Laccio (Emanuele Cristofoli, classe 1981), ballerino, coreografo e direttore creativo, per farci condurre in questa realtà modulare, comprenderne gli equilibri estetici e strutturali, e scoprire come la fama di questi incredibili ragazzi si radichi sull’unione, la consapevolezza, il lavoro, e una desueta educazione. Laccio, legante dei Modulo, cominciamo dal nome. Sono Laccio da sempre, da quando la mia vecchia insegnante, richiamandomi perché mi allacciassi le scarpe, per sbaglio se ne uscì con questo “laccio!”. Mai nickname fu più calzante. Mantenete un forte legame con Pontinia, la vostra città di origine, dove vi siete formati e conosciuti. Siamo cresciuti insieme. Siamo stati una formazione, un gruppo, una crew… eravamo un “modulo” prima ancora di saperlo. Lì c’è ancora la prima scuola Modulo che abbiamo fondato, da cui tutto è nato, e che oggi è gestita da mia sorella Francesca. Quale influenza hanno tracciato i tuoi studi di design? Il nostro nome, Modulo, essere polivalenti come i moduli architettonici. Non ho terminato gli studi allo IED di Roma perché stavo seguendo Tiziano Ferro in tournée, e poi tutto è esploso, ma la scuola ti influenza. Cerchiamo di lavorare a 360 gradi, poter curare tutti gli aspetti di un evento, l’immagine, l’allestimento. È questo il ruolo di un Direttore Creativo. E la moda? Sei finito nelle pagine di Vogue. Avevo creato una collezione per gioco, e uno sceicco del Kuwait l’ha presentata ai guru della moda. Ma non avevo radici. Questo aspetto l’ha proseguito mia moglie Manuela all’interno della compagnia, curando e seguendo i nostri abiti e costumi. Al giorno d’oggi suona quasi obsoleta una realtà di danza urbana fondata sulla famiglia - Laccio, Manuela, Laura e Shake 17 14 Modulo Project 15 due migliori amici, le rispettive mogli, due sorelle - una squadra, i Modulo Project, che compie 10 anni nel dicembre 2015. Il team è fondamentale, solo se fai squadra puoi rimanere insieme. E il gruppo è anche la nostra forza. Siamo un collettivo che spazia dai 25 ai 40 anni, unito da sodalizi familiari, ma dove ognuno ha la sua specificità, la propria indipendenza. Una crew a sua volta indipendente, una piccola casa di produzione che fa tutto da sé, foto, grafica, costumi. Shake, per esempio, sta sviluppando il video 16 Laccioland Company making, è lui che si occupa della nostra produzione video. È dura, ma insegno sempre che solo imparando la tecnica delle maestranze si può diventare indipendenti. A proposito di insegnamento, oltre alla scuola Modulo di Pontinia avete anche fondato una Urban Dance academy a Milano, la MF - Modulo Factory. A chi è rivolta? La Modulo Factory è una vera e propria accademia per ragazzi dai 16 ai 25 anni che finiti gli studi vogliono tentare la professione. Gli spazi sono all’interno della Lo Schiaccianoci di Amedeo Amodio, con le scene e costumi di Emanuele Luzzati ph. Rosellina Garbo struttura DanceHaus di Susanna Beltrami. I ragazzi fanno 12 lezioni concentrate nei primi 3 giorni della settimana, così da poter lavorare nei weekend. Le classi sono ovviamente di danza urbana, hip hop, out dance. I docenti siamo sempre noi, ma ci avvaliamo anche di un team esterno che permetta ai ragazzi di avere comunque a che fare con realtà professionali. E la Modulo Factory ha prodotto la compagnia Laccioland. Come si sta sviluppando il modulo teatrale? Ho voluto che la compagnia dell’accade- mia fosse legata al mio nome, il mio stile. I ragazzi, i diplomati, vengono scelti con un’audizione interna in base ai lavori che dobbiamo o vogliamo fare. Abbiamo sviluppato tre progetti teatrali: RE_Born nel 2005, Cre/azione nel 2013 - nato per metà in DanceHaus e conclusosi a Scenario Pubblico (Catania), dove ha debuttato. Roberto (Zappalà, il direttore artistico) mi ha proposto di diventare artista associato. Ora, grazie anche a Susanna Beltrami, stiamo lavorando su Coscienze, che debutterà proprio in DanceHaus il 23 e 24 gennaio, e poi la tournée. Cos’è per te il Teatro? Che importanza ricopre nella vostra poliedricità produttiva? Il Teatro è la mia parte intellettuale, dove trovo quello che voglio, dove sono io a dettare le regole al mio flusso di coscienza. Fuori sono al servizio di una commissione, nonostante mi sia costruito grande libertà e stima, ma do comunque quello che mi viene richiesto. Punto sempre sull’emozione, ma qui è movimento, la par- 17 te più cruda della danza, mentre fuori è soprattutto emozione estetica. Come racconteresti il tuo stile? Il nostro linguaggio ha radici nella danze urbane – New Style, House Dance, L.A. Style - contaminate sullo stile Modulo, ma concettualmente siaI Modulo Project 22 mo vicini alla danza contemporanea e al suo utilizzo dello spazio. I più tradizionalisti non riescono a definirci nella vastità della danza urbana, mi chiedono “Cosa fai?”. Rispondo, “Non lo so, ma faccio”. La meta più ambita di Laccioland Company non è essere invitati al più grande evento Hip Hop, ma a Romaeuropa Festival. Come ti rivolgi ai 20enni che cercano in te e nella vostra scuola ispirazione e concretezza? Molti giovani pretendono molto per la via più semplice, e spesso più di quanto potrebbero e dovrebbero. Ma la qualità si riconosce dalla qualità tecnica. È un’età in cui si cerca di consolidare i propri sogni, ma bisogna avere pazienza, sperimentare e ricercare tantissimo, e avere educazione. Conoscere più linguaggi possibili, trovare la formula giusta per farsi notare, ma sempre con eleganza. I veri grandi li riconosci dalla semplicità, la consapevolezza di un percorso, l’umiltà. Come festeggeranno i Modulo Project i loro primi 10 anni? Una festa, il 13 dicembre, in uno spazio espositivo di 600mq all’interno di DanceHaus. Ma in scena non ci saremo noi. Abbiamo deciso di far ballare i nostri allievi storici, creare con e per loro, dar spazio e soddisfazione a chi ci ha vissuto e ci ha permesso di essere qui oggi. Quindi una grande performance, foto gallery, e ovviamente un rockabilly party… se non si brinda che festa è! www.laccioland.com www.moduloproject.com www.modulofactory.it 23 DANZA E ARCHITETTURA BODY IS ARCHITECTURE CREATING NEW STRUCTURES dialogue between body and art in ex-Caserme Guido Reni, Roma “Il corpo è un’architettura stupenda, la più complessa. Siamo un punto, tracciamo una linea, siamo una spirale, siamo infinito. Partiamo da questi archetipi per costruire nuove strutture: ci uniamo, ci espandiamo, ci inseguiamo, camminiamo vicini come due parallele, prendiamo le distanze, corriamo liberi alla ricerca di nuovi spazi. 24 Michele Mastroianni, Art Director & choreographer, Ex-Caserme Guido Reni, Roma Artista: Alexandros Vasmoulakis, “Relics” Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma ‘Tieniti forte e lasciati andare con dolcezza.’* Ci teniamo con i piedi saldi al terreno e difendiamo il nostro punto di vista ardentemente ma siamo consapevoli che prenderemo presto nuove forme. Danziamo e sfidiamo insieme la gravità durante il nostro viaggio che parte dal punto A e giunge al nostro punto Z”. Michele Mastroianni Art Director “Body is architecture” * P. Brook, Il punto in movimento 1946-1987, Prefazione alla settima edizione 25 T “That’s what architecture means to me and that’s how I try to think about it. As a bodily mass, a membrane, a fabric, a kind of covering, cloth, velvet, silk, all around me. The body! Not the idea of the body, the body itself! A body that can touch me.” (Peter ZUMTHOR, Atmospheres, Basel, Birkhäuser,2006) Il linguaggio dei corpi é il vincolo originario che lega danza e architettura. L’architettura stessa é corpo; l’insieme delle sue qualità si rivela ai sensi attraverso il movimento. “Gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi nella luce” (Le Corbusier), l’architettura trova il suo senso nell’interazione con i corpi e con la luce, nell’essere percorsa, osservata, vissuta. Da oltre un secolo il tema della riappropriazione dello spazio attraverso il corpo ha assunto un ruolo centrale nelle richerche in ambito artistico, sociologico ed antropologico. L’azione creativa del corpo nello spazio puo farsi strumento di questa riappropriazione, generando un accrescimento del nostro livello di percezione e guidandoci alla conoscenza profonda ed empirica dello spazio nei suoi caratteri estetici, simbolici, materici. L’arte restituisce un valore aggiunto agli spazi che da essa vengono toccati: luoghi dimenticati tornano alla vita. Michele Mastroianni visita l’Outdoor Festival e gli spazi delle Ex-Caserme Guido Reni ed insieme ad un team di giovani professionisti propone un inedito dialogo tra corpo, arti visive e architettura. Firma come Art Director e coreografo il progetto fotografico “Body is Architecture”, un’interpretazione duale ed inedita dello spazio architettonico investito dalle opere degli artisti Alexandros Vasmoulakis, Rub Kandy, Martin Whatson, e di 2501/Recipient/the blind eye factory. Gli scatti realizzati in collaborazione con il fotografo Gianluca Palma propongono una nuova chiave di lettura degli spazi e delle opere; la materia grezza delle strutture dei padiglioni emerge dal contrasto con i corpi dei danzatori, in un delicato equilibrio tra fragilità e forza. “La danza è la sinfonia che viene generata dal corpo in movimento”, dice Mastroianni, “la vibrazione che si fa forma ed esprime la nostra vera essenza di esseri umani. Un ringraziamento speciale va allo staff dell’Outdoor Festival, agli artisti presenti con le loro opere e ai performers, che si sono lasciati trasportare ed hanno amplificato questa vibrazione”. Annachiara Eliseo, Architetto, Bruxelles 26 Artists: 2501/Recipient/the blind eye factory: “Nomadic Room 1” - Performer Giamo Luci Art Director, choreographer Michele Mastroianni Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma Artista: Rub Kandy, “room1” - Performer: Antonio Cafagna Art Director, choreographer Michele Mastroianni Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma Amarcord, balletto in due atti di Luciano Cannito, con Rossella Brescia e Nicolò Noto Ph.Mario Sguotti 21 28 Artists: 2501/Recipient/the blind eye factory: “Nomadic Room 1” - Performer Giamo Luci Art Director, choreographer Michele Mastroianni, Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma 29 30 Artist: Martin Whatson - Performer Flavia Morgante Art Director, choreographer Michele Mastroianni, Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma 31 32 Artist: Rub Kandy “room2” - Performers Giorgia Calenda e Michele Satriano Art Director, choreographer Michele Mastroianni, Make-up/hair Eleonora De La Vallèe, Stylist Giorgio Miserendino - Photo by Gianluca Palma 33 COREOGRAFI R O I G O I G S O R I S Dare un senso alla Danza tra Musica e Poesia di Gabriella Gori 34 L Lui dice che “oggi in scena nella danza c’è molta ginnastica. Il coinvolgimento emotivo è sempre minore e si perde il senso di quello che si fa”. Chiaro e limpido il messaggio e forse non possiamo dare del tutto torto a Giorgio Rossi, uno dei co-fondatori dello storico Sosta Palmizi e ri-fondatore insieme a Raffaella Giordano dell’Associazione Culturale Sosta Palmizi. A leggere il nutrito curriculum vitae non sfugge però che Rossi, lombardo di nascita ma aretino d’adozione, è un ‘acrobata’ capace di saltare dalla danza, al teatro, al cinema, alla televisione, senza escludere progetti che coinvolgono musica, danza e 35 poesia. Un considerevole atletismo artistico che gli permette di vivere esperienze performative afferenti all’olismo teatrale, al di là delle specifiche declinazioni settoriali. E pur non volendo ripercorrere passo passo i successi di Giorgio nella compagnia Teatro e Danza La Fenice di Venezia diretta da Carolyn Carlson e nei Sosta Palmizi, corre l’obbligo di ricordarne alcuni saltando da un evento all’altro. Eccolo allora partecipare nel 1995 a Io ballo da sola di Bertolucci, firmare Caso, un’improvvisazione di musica, danza e poesia, e Gli Scordati, entrambi del 2000, essere coinvolto nel 2003 in produzioni tra musica e teatro con l’attrice-cantante Maria Cassi e il pianista Leonardo Brizzi, recitare nel 2007 nell’Edipo e la Pizia di Lucia Poli, essere “corpo sonoro” in Cielo accanto a Paola Turci, esibirsi con jazzisti del calibro di Paolo Fresu, ballare nella tra- 36 smissione Vieni via con me su RAI 3 nel 2000, assumere la direzione artistica con la Giordano della sezione danza dell’Arezzo Wave Love Festival, realizzare le parte coreografica di Carmen nel 2103, ideare Sulla Felicità, un progetto del 2014 insieme a dodici “danz/attori - Artisti Associati Sosta Palmizi”, e debuttare nel 2015 con Da dove nascono le stelle. Una coproduzione Associazione Sosta Palmizi e Compagnia Déjà Donné a cui fanno da corollario il Premio “Danza&Danza” del 1998 e il Premio Florencio 2000-Uruguay per Piume, l’intensa attività didattica e il nuovo arricchimento umano e professionale con i diversamente abili. Giorgio, danza, musica e poesia possono considerarsi parole chiave della sua poetica? Ho sempre cercato di unire danza, musica e poesia e Lasciati amare (un assolo del 2014, ndr) rispecchia questa principio. È l’utopia di liberare i pensieri e l’anima nell’universo. L’arte è un continuo scambiarsi ed io, che sono nato e vivo in Italia, trovo che sia un paese ricco di poeti meravigliosi e che la poesia si avvicini tantissimo alla danza. Nella poesia ci sono delle metafore e delle evocazioni che aiutano a creare il movimento e il pubblico se sente il linguaggio definito delle parola si tranquillizza e non si chiede più che cosa vorrà dire o cosa significa quella danza. Fra le tante creazioni sembra prediligere l’assolo. Lo trova congeniale alla sua ispirazione? Ho cinquantacinque anni e ho fatto solo quattro assoli. Ogni anno mi capita di fare due o tre creazioni differenti e il rapporto è di uno a trenta però spesso lavoro con jazzisti, attori, scrittori, e in questo tipo di collaborazioni l’assolo mi è congeniale perché mentre loro suonano, 37 , ph. 38 recitano o leggono, io danzo. L’assolo mi piace molto perché per il danzatore è l’opera d’arte completa, lui è il creatore e come il pittore dipinge il quadro, lo scrittore scrive il libro, il musicista suona lo strumento, il danzatore usa il suo corpo e il suo corpo è la sua opera. Sosta Palmizi è stata una tappa fondamentale nella storia della danza italiana. Nata nel 1984, si scioglie nel 1990 per rinascere nel 1995 come Associazione culturale Sosta Palmizi. Qual è stata la spinta di questa ripartenza? Tutto è successo circa ventisei anni fa quando Carolyn Carlson decise di andarsene. Allora in sei decidemmo di creare Sosta Palmizi e nel giro di tre anni creammo tre spettacoli (Corti- le, Tufo, Perduti una notte, ndr). Quando anche Roberto Castello si staccò dal gruppo, restammo in due, Raffaella ed io, e pur avendo all’attivo percorsi diversi, come del resto tuttora, decidemmo di far rinascere il nucleo come Associazione culturale Sosta Palmizi. Tra l’altro la nostra è un’associazione di artisti associati e intorno a noi gravitano quarantenni, trentenni, ventenni. Siamo una costellazione e collaboriamo con tantissime persone, li aiutiamo a migliorarsi e a distribuire i loro lavori. Ad Arezzo il festival “Invito di Sosta, appuntamenti con la danza contemporanea d’autore” è organizzato dalla vostra Associazione. Con quali criteri scegliete i gruppi che vi partecipano? La rassegna dura sei mesi e prevede uno spettacolo al mese. Cerchiamo di invitare prima di tutto compagnie italiane e poi le scelte tengono conto delle affinità elettive. Quest’anno ci sarà Fabrizio Favale, gli ex Sosta Palmizi come Roberto Castello, Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano e altri artisti. L’intento è quello di essere trasversali, avere sempre una compagnia di giovani e in questa edizione è presente un gruppo che abbiamo visto al festival Kilowatt di Sansepolcro. Più o meno il nostro modus operandi è simile a quello dei Cantieri Florida di Firenze, siamo analoghi per la sezione danza anche nel tipo di programmazione e con i Cantieri Florida, Company Blu e Aldes 39 “ritengo che uno dei grossi problemi della danza sia la mancanza di senso. La gente danza senza senso, senza consenso, senza sensualità.” 40 ci siamo uniti per far venire una compagnia belga, però composta dagli italiani Alessandro Benardeschi e Mauro Paccagnella, che hanno presentato lo spettacolo Happy Hour. L’obiettivo è dare vita a sinergie creative. Ne Un’opera da tre soldi, dalle stelle alle stalle ci sono attori e danzatori professionisti, ma anche persone diversamente abili. Perché inoltrarsi in un campo così delicato? Perché operiamo su diversi fronti e facciamo questo spettacolo con i disabili per la prima volta collaborando con il Teatro DanzAbile, una compagnia con cui ho lavorato in Svizzera. Un’opera è liberamente ispirata all’Opera da tre soldi di Brecht ed è estremamente trasversale, ci sono persone con diverse abilità fra cui la focomelica, il down, l’anoressica, l’autistico, l’extra comunitario, i bipolari e poi danzatori e attori. Questo spettacolo ha vinto un premio e ad Arezzo abbiamo ricevuto molte adesioni delle associazioni perché è andato in scena al Teatro Mecenate nella giornata mondiale della disabilità e anche in matinée per le scuole. Questo evento fa parte di “Altre Danze”, una serie di appuntamenti pensati da artisti associati per bambini e adulti la domenica pomeriggio e il lunedì mattina per le scuole e sta funzionando benissimo. Da due anni abbiamo anche la rassegna “Cinema e Danza” in cui proiettiamo film che parlano della danza e del balletto e momenti dedicati al circo. Lei oltre ad essere ballerino e coreografo, è docente. Quando insegna cosa tende a precisare? Il senso, perché ritengo che uno dei grossi problemi della danza sia la mancanza di senso. La gente danza senza sen- 41 so, senza consenso, senza sensualità. I sensi sono importanti e quando insegno cerco di far capire l’importanza di ballare con gusto, di assaporate il movimento, di annusate il piacere di muoversi, di sentite gli odori, di essere presenti a se stessi. Troppo spesso i ballerini sono capaci di virtuosismi pazzeschi ma li eseguono in modo completamente disconnesso con ciò che è la consapevolezza dei sensi. In questa ricerca di senso ha avuto dei maestri? Senza dubbio, a cominciare da Carlson, Dupuis, Patarozzi, ma anche registi come Fellini, senza dimenticare il grande Totò. Quando insegno vado molto per immagine e mi capita di citare anche i cartoni animati per aiutare a capire il senso, la maestria del gesto che esprime il sentire e rende le intenzioni chiare. Nella vita del resto alle sollecitazioni si risponde con reazioni altrettanto chiare e questo deve accadere anche nel momento in cui ci si trova a gestire il tempo magico del teatro. A proposito di dare senso a quello che si danza, Mikhail Baryshnikov può costituire un esempio? Certo che sì. Baryshnikov è tuttora uno dei più grandi danzatori sulla faccia della terra. Lui è riuscito ad unire la maestria, la sensualità e il consenso. Anche quando fa una pirouette gli dà senso. Ho avuto la fortuna tre anni fa, quando Micha van Hoecke mi chiamò per creare una coreografia per l’Opera di Roma, di essere seduto accanto a Denis Ganio e insieme stavamo guardando dei danzatori del corpo di ballo che alla fine della lezione continuavano a fare pirouettes all’infinito e ogni volta cadevano. Ricordo che Denis citò una frase di 42 “Questa è la differenza tra arte e sport: lo sport fa dei record, e lo si pratica per vincere, nell’arte non si può prescindere dal coinvolgimento emotivo.” Balanchine che diceva “Una pirouette è qualcosa, due sono abbastanza interessanti, tre mi annoiano”. Baryshnikov, a parte i virtuosismi giovanili, alla fine ha cercato il senso, la sensualità, il fascino dell’espressione del corpo e dell’anima. A questo proposito mi vengono in mente grandi ballerine come Marcia Haydée, Carla Fracci, e il modo come portavano le braccia, le mani, tenevano il respiro e non si trattava di avere le gambe alte. Nella danza oggi in scena c’è molta ginnastica e sempre meno coinvolgimento emotivo. Vado a teatro per essere coinvolto, altrimenti vado a vedere uno sport. Questa è la differenza tra arte e sport: lo sport fa dei record, e lo si pratica per vincere, nell’arte non si può prescindere dal coinvolgimento emotivo. Cosa bolle in pentola per il futuro? Intanto l’assolo Lasciati Amare, poi ho appena rifatto una versione femminile di un duo che si intitola ironicamente Da dove nascono le stelle con due ragazze meravigliose, Elisa Canessa e Fabritia D’Intino; insegno molto e ho degli spettacoli in repertorio che mi richiedono. Ne ho fatto uno sulla felicità con dodici interpreti; poi c’è la serata 6 Qui con tutti gli exSosta Palmizi per festeggiare il trentennale ad Arezzo. Ci esibiremo con il pianista Arturo Annichino che ha scritto le musiche del Cortile. Con Raffaella pensiamo ad un progetto sulla formazione e su richiesta mi dedicherò ai disabili. Ho appena lavorato con l’Orchestra di Piazza Vittorio e dei danzatori gypsi e indiani sulla Carmen di Bizet. Insomma non mi lamento e sono abbastanza contento. www.sostapalmizi.it 43 PASSO A DUE caterina&genta marco schiavoni PASSI IN SCALA di Angela Testa una colonna sonora di pura danza 44 Caterina Genta, ph.Florindo Rilli U Una colonna, accanto ad una fabbrica per la l avo ra z i o n e dei marmi, si sente a casa sua. Però la colonna è sonora e chi si sente a casa sua è Marco Schiavoni in quel di Spoleto. Una parete del suo studio è fatta interamente di finestre. Immagino quanto sia rilassante star seduti ad una delle scrivanie a lavorare o aggirarsi tra gli scaffali pieni di reperti discografici o libri polverosi. mondo che gli tengono buona compagnia. Dietro l’angolo, appesi in ordinata fila, gli abiti e gli oggetti di scena di Caterina. Davanti alla enorme specchiera antica della mamma di Marco si può mangiare il risotto alla zucca che prepara Caterina oppure si può ammirare, sia in foto che dal vivo, il mobile giradischi di suo padre, o ancora si possono pizzicare le corde del … posato accanto al pianoforte a coda insieme ai numerosi strumenti etnici reperiti negli innumerevoli viaggi per il Non basta una giornata insieme per vedere tutto, non basterebbe un mese o un anno per godere della biblioteca, nastroteca, discoteca, cineteca che Marco ha messo insieme. Gli sono serviti tre anni Tutto è realizzato a mano da Marco, le librerie di legno chiaro che foderano interamente lo studio, i barattoli doverosamente ricavati dalle latte di pomodoro, gli interruttori dei led sparsi nei punti strategici, che paiono piccole faccine mute. Tutto è rigorosamente al suo posto in questo luogo immenso, compresi gli elastici raccolti per misura, e l’occhio si perde nella meraviglia di un negozio di leccornie. 45 46 per il trasloco. E Marco non è uno che si ferma troppo a lungo. Ti manca il cavetto di un vecchio computer? Marco ce l’ha. Non trovi un disco raro? Marco ce l’ha. Hai un problema tecnico? Marco te lo risolve… se ti risponde al telefono. E si, perché un uomo che maneggia la video tecnologia come fosse un astronauta, poi però la tiene a debita distanza. Il cellulare rimane a caricarsi in bagno o chiuso in auto e la tv viene accesa solo ed esclusivamente come tributo al suocero, il padre di Caterina, quelle volte che lui e la moglie arrivano in visita. Camilla, la teenager figlia di Caterina, è una di quei pochi giovani italiani che durante il tempo libero, incredibilmente, legge. Magari i Manga, perché raccontano storie felici, e non Leopardi, ‘perché era depresso’, però legge! Una giornata con Marco Schiavoni e Caterina Genta è come stare al Luna Park con il naso all’insù e la bocca spalancata. Due nomi che paiono inscindibili. Ma in che modo un compositore da notte degli Oscar (eh sì, la sua colonna sonora ha portato il film La vespa e la regina con Claudia Gerini a Los Angeles) ed una danzatrice uscita dalla scuola di Pina Baush sono diventati sodali nella vita e nel ‘lavoro’? CATERINA GENTA Caterina è figlia d’arte, nasce a Roma da un’insegnante di danza, Diva Conte, e un avvocato. Frequenta la scuola di danza della madre quando lo stage con Patrizia Cerroni ed Enzo Cosimi la spinge ad avventurarsi in ambito contemporaneo. Studia a New York da Cunningham, con la compagnia di Roberta Escamilla Garrison, dove poi lavora. Decide di frequentare per ben cinque anni la Folkwang Hochschule di Essen diretta da Pina Baush, “una full immersion in una scuola molto dura dal punto di vista sia fisico che psichico, in cui la cosa bella era veder danzare gli insegnanti, interpreti fantastici, imparare andando a vedere gli spettacoli di Pina. Si studiava tantissima tecnica, si faceva un lavoro approfondito sulla qualità e non sul virtuosismo, ma sul dettaglio, su un uso consapevole di tutto il sistema, il corpo diventava uno strumento per esprimere non belle pose ma cose autentiche. ‘Non ti credo’ era la critica fondamentale per la crescita espressiva” mi racconta. “A Berlino sono venuta in contatto anche con il Buto. Con la tecnica di improvvisazione del danzatore Tetzuro Fukuhara mi sono liberata di tutte le zavorre di impostazione tecnica che mi portavo appresso. Il desiderio di mettere insieme l’arte visiva con la danza mi viene dal Buto.” Lavora sia in Europa che in Italia come, per esempio, ad Anversa, con la compagnia di Ria de Corte, Air de C’, a Cannes con la Dance Concept, o a Cesena col Teatro Valdoca. Come si sono incontrati la donna spirituale che ha praticato il buddismo, lo yoga e il tai chi e l’uomo pragmatico che è Marco? Con Marco ci conoscevamo già prima che partissi per Essen. Quando lavoravo con Roberta Garrison andai nel suo studio per fare il montaggio della musica che avevo composto per il mio primo spettacolo, Scanditi a curva. Lui mi regalò un’audiocassetta Caterina Genta, Di qui, ph.Giancarlo Russo di musica per danza che portai ad Essen e che ho portato con me in tutti gli spostamenti che ho fatto, senza nemmeno capire come mai. Quando sono rientrata in Italia, volevo realizzare uno showreel. Sono tornata da Marco con il mio materiale e gli ho detto: “Fai tu!” ma lui era sempre impegnatissimo. Lo invitavo a tutti i miei spettacoli perché mi era molto simpatico ma non veniva mai. Quando realizzai un cortometraggio prodotto dall’Imaie, Il maleficio della farfalla, ispirato ad un mio assolo prodotto da Mediascena Europa, e tratto da un testo di Garcìa Lorca, con canzoni scritte da me, il girato lo feci montare ad una mia amica regista di Ginevra, mentre per l’ottimizzazione Mimmo Del Prete - una persona fantastica che mi ha accolto allo Ials come insegnante per i professionisti - mi suggerì di rivolgermi di nuovo a Marco Schiavoni. Malgrado la mia riluttanza, dovuta alla sua poca disponibilità, alla fine andai a Vetralla, dove si era trasferito, e lì sono rimasta per tre giorni. Mi sono entusiasmata del suo lavoro ed è proprio lì che è nato anche il nostro rapporto sentimentale, dal Maleficio della farfalla. Cosa è nato artisticamente? Avevo voglia di sviluppare un progetto musicale e abbiamo cominciato a lavorare sulle musiche del Maleficio della Farfalla. Col nuovo bando dell’Imaie ho presentato il progetto Di qui a cinque anni, un altro testo di Garcìa Lorca su cui abbiamo creato uno spettacolo, un cortometraggio ed un disco. E’ diventato il nostro gioiello, uno spettacolo con scene e compagnia digitale. C’erano tre film proiettati in contemporanea mentre recitavo e interagivo con gli attori 47 sullo schermo. Dovevo essere un orologio svizzero. C’era un continuo passaggio dal virtuale al reale. Per realizzarlo abbiamo preso una residenza a Tuscania e il lavoro è durato un anno. E’ un testo molto difficile da portare in scena. Il rappresentante dell’Accademia di Spagna appena insediato venne a vederlo al Teatro Greco e ci invitò a rappresentarlo in Accademia. L’ispanista Milena Locatelli ha scritto un bellissimo articolo di venti pagine pubblicato sulla rivista scientifica dell’Università di Madrid dedicata al teatro contemporaneo, dove nessun italiano è stato mai citato prima. Siamo addirittura in copertina. Abbiamo donato il video alla Biblioteca dell’Accademia di Spagna e da questo spettacolo sono nati il cortometraggio Il sogno sopra il tempo, sempre prodotto dall’Imaie, il disco, dei concerti. Cosa pensi delle qualità artistiche di Marco e come ti sei trovata a lavorare con lui? E’ stato un bellissimo viaggio perché io ero abituata a fare da sola. Con lui ho dovuto mettere da parte il mio ego, anche perché è un vulcano. Gli dai il ‘la’ e lui parte con una marea di idee esteticamente diverse dalle mie, io più essenziale, lui ipercolorato, anche un po’ barocco, che però mi piacciono sempre tantissimo. E’ stato veramente interessante mettere insieme queste due anime così diverse. Con me lui ha assunto il ruolo della direzione. Marco è geloso delle sue creazioni o ti chiede consiglio? Chiedere consiglio proprio no. Sono più io a chiedere consiglio a lui. In genere gli propongo dei progetti. In questi dieci anni abbiamo prodotto tantissimo insieme. Abbiamo all’attivo sei produzioni teatrali che possiamo portare in scena. In questo periodo stiamo lavorando di più su progetti separati. Da sola ho realizzato delle performance, però continuo a chiedere il suo supporto. Per esempio, da finalista al Premio Equilibrio avevo preparato un progetto con un gruppo di danzatrici per cui Marco ha curato la musica e i video. Oppure, nella mia performance La sposa senza volto lui suonava dal vivo. Marco quando crea qualcosa, me la fa sentire, ma non mi chiede cosa ne penso. Credo che non ne abbia bisogno. E’ una persona molto indipendente e certamente non dipendente dal giudizio altrui. Al contrario, per me il feedback è molto importante, anche se, piano piano, sto diventando come lui. La danza è stata la tua unica passione o ne hai sviluppate altre nel tempo? Non penso di essere particolarmente portata per la danza, piuttosto da piccola ero molto portata per la pittura, un talento che non ho sviluppato, o il teatro. Ho sempre desiderato stare sulla scena, fin da quando, bambina, mia madre mi ci portò per un saggio. Ciò che amavo era il palcoscenico, non la danza in sé. Poi, studiandola, mi sono appassionata al suo linguaggio in un’ottica di espressione autentica, non estetica. La considero, però, un’arte fredda, un po’ per addetti ai lavori. Il balletto può piacere ai tantissimi ‘ballettomani’ mentre, purtroppo, penso che il pubblico della danza contemporanea sia stato distrutto dalla tanta danza brutta che c’è in Italia o dalle brutte copie Caterina Genta, 70 Minuti, ph. Ada Lombardi 48 di teatro-danza. E’ forse un po’ per questo, e un po’ per l’amore che ho per la scena in generale, che ho scelto di praticare la performance completa, cercando sempre di realizzarla con qualità. contro con Alessandro Fabrizi, ho seguito per due anni il metodo di Cristine Linkleiter per liberare la voce naturale. Nel periodo in cui sono entrata ad Essen, in realtà, mi sarebbe piaciuto molto anche studiare Musical, o andare in Francia per un corso di Mimo alla Scuola Internazionale di Teatro Jacques Lecoq, o un corso di circo. Insomma, non volevo centrarmi solo sulla danza. Così la parte più creativa di me l’ho realizzata creando coreografie. Avevo cominciato con gli assolo per l’Accademia Nazionale di Danza come giovane coreografa, prima di Essen, e così ho continuato anche dopo. Il primo assolo al mio rientro in Italia è stato Licht, che ha vinto il Premio Internazionale Città di Udine. Fino a quando sono tornata in Italia la danza è stata centrale nella mia vita. La musica ne ha fatto parte da bambina, con lo studio del pianoforte, del flauto traverso e del canto. Poi è tornata recentemente a far parte della mia vita, anche con il rapporto con Marco. Quello che a volte si vede è una brutta copia di quello che faceva Pina, che utilizzava la parola in scena. Potevano non avere una dizione perfetta o non ‘portare’ la voce come gli attori ma lei riusciva a far uscire la parola dai danzatori in modo autentico. Raramente in Italia ho visto cose allo stesso livello. Quando sei rientrata in Italia? La collaborazione con Marco è ancora produttiva? A tua figlia cosa augureresti? C’è stato un tentativo di rapporto con la danza? L’ho portata da Renato Greco che per la propedeutica ha un’ottima scuola. Quando sono andata a vederla mi sono emozionata pensando all’inizio di un’avventura che avevo già vissuto. Poi ci siamo trasferiti a Spoleto e lei non ha mostrato un grande interesse. Ha preferito la ginnastica artistica e la musica. E sta dimostrando un grande interesse per la recitazione. D’altronde fare danza è un po’ come diventare una suora, devi dedicarti completamente. ph. Helen Maybanks Nel ’98. Ma qui le compagnie non suscitavano il mio interesse e ho preferito non lavorare più come scritturata. Ho continuato col mettere in scena cose mie e ho cominciato a fare l’attrice, ambito in cui ho incontrato il mio ex-marito, Giacomo Rosselli. Ho studiato alla Nuct-Scuola Internazionale di Cinema e Televisione a Cinecittà. In quel periodo prendevo in considerazione quegli spettacoli di danza che avessero anche un testo recitato. Ho collaborato spesso con Orietta Bizzarri o Renata Zamengo, Laura De Marchi. Recentemente, grazie all’in- Cosa pensi dell’uso della parola nella danza? L’ultimo lavoro, Tempest, l’ho fatto da sola e Marco mi ha dato una mano. Spero che la nostra collaborazione, che si è interrotta quando ci hanno tolto la sovvenzione ministeriale per il Balletto di Spoleto (ex compagnia di Fiorenza D’Alessandro che esisteva dal 1992) che avevamo ‘adottato’ dal 2011 al 2013, possa riprendere presto. Marco, all’epoca, si era fatto carico della responsabilità di portarla avanti dando fondo ai suoi risparmi, e avremmo anche proseguito se il Ministero ce l’avesse permesso. Ci eravamo orientati in 49 modo diverso, puntando sulla qualità, coinvolgendo tanti coreografi invece di puntare su un solo nome, coinvolgendo Luca Bruni, Max Campagnani, Luciano Cannito, Renato Greco, Walter Matteini e Dino Verga per lo spettacolo I 7 coreografi. Ciascuno di loro aveva realizzato una coreografia per me, gratis. Una produzione così dovrebbe costare cinquantamila euro. E, invece, ci hanno tagliato la sovvenzione proprio per questa produzione: perché c’era solo una danzatrice in scena. Così, quando avevamo già realizzato tutta l’attività, ci siamo ritrovati senza fondi e Marco, dopo questo shock, ha deciso di riprendere i suoi contatti la- vorativi in modo autonomo. Pur non pentendoci di quanto realizzato il mio dispiacere è che tutta questa energia impegnata sia morta. Ritengo assurdo che gli artisti per poter realizzare le proprie creazioni debbano diventare produttori, amministratori, organizzatori, politici. Cosa c’entra tutto questo con l’arte? E aggiungo di più, perché un artista deve essere costretto ad insegnare per poter realizzare i suoi progetti? In Italia, la situazione produttiva è difficilissima. Si trovano solo porte chiuse e tanti miei amici e colleghi hanno fatto la scelta di ritornarsene all’estero. Ma poi ci sono porte che si aprono, come quella di Anita Bucchi che devo ringraziare, e allora è un’altra storia. Quali sono oggi i tuoi progetti? Ho la proposta di un regista tedesco, Markus Herlyn, del Theaterinstitut di Brema, come attrice per la Lulu di Wedekind. Tra pochi giorni saremo in residenza a Tuscania per il progetto Lulu e ci saranno anche Giancarlo Vulpes e Federico Favetti, gli interpreti del suo Caterina Genta, Las Rosas, ph. Paolo Porto 50 primo studio su Aspettando Godot di Beckett per proseguirne il lavoro, mentre insieme stiamo dando vita ad un progetto che avrà anche un risvolto metodologico nuovissimo. Ancora non posso dirti come si chiamerà ma ci sono di mezzo le parole Teatro e Amore. Ultimo, ma non ultimo, il progetto internazionale di TeatroDanza GENER-AZIONI Il tempo, il corpo, la memoria che unisce la ricerca creativa e l’indagine coreografica e teatrale a un percorso formativo e divulgativo che coinvolge persone di tutte le età, anche alla loro prima esperienza con la danza, per accompagnarle alla scoperta di un linguaggio espressivo, quello del teatro-danza, capace di offrire a ciascuno la possibilità di raccontare e raccontarsi, di percorrere in modo autentico le strade della propria esperienza. Il progetto vede la collaborazione dei danzatori e coreografi formatisi presso la prestigiosa Università per la danza Folkwang di Essen tra gli anni ‘80 e ‘90, sotto la direzione di Pina Bausch: Rodolfo Seas Araya, Mark Sieczkarek, Enrica Spada (coordinatrice del progetto) ed io. Il 28 dicembre sarà avviata una residenza di creazione che culminerà con lo spettacolo presso il Teatro Massimo di Cagliari il 17 gennaio, con la partecipazione di danzatori professionisti e non professionisti di età compresa tra i 7 e i 90 anni. Poi con il Buto realizzo delle performance come modella fotografica. E’ tutto incentrato sulla persona e sulla plasticità del corpo. Sono anche insegnante di Metodo Feldenkrais: è un’esperienza di crescita cognitiva, emotiva e fisica che coinvolge tutta la persona. E poi ho anche un gruppo rock... www.caterinagenta.com 51 MARCO SCHIAVONI Anche Marco è di Roma, nato da una famiglia borghese, di origini abruzzesi, ma ha rischiato di nascere a Parigi. Il nonno Giuseppe, professore per l’Istituto d’Arte di Penne, scultore e artista del legno, vi si era trasferito dopo aver vinto il premio dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Così Fidia, il padre di Marco, ha avuto un’infanzia e una giovinezza parigina. Immaginate Parigi nel’25, il Mercato delle Pulci, dove accanto ai mobilieri si vendevano i primi grammofoni e i primi 78 giri. Nasce da qui l’amore di Fidia per i dischi, la musica, una passione sconfinata che lascerà in eredità a Marco insieme a parte della sua immensa collezione, e che lo porterà a vivere in Italia e a lavorare in RAI. Marco, che ha vissuto la RAI come una seconda casa - anche la madre e il fratello ci hanno lavorato - da bimbo curioso e attento, in un ambiente così Marco Schiavoni in azione musicale, ph. Ada Lombardi 52 stimolante, ha imparato tutto da solo: a suonare, a comporre, a trafficare con tutti quegli aggeggi elettronici che si sono avvicendati sul mercato dagli anni ’70 ad oggi. Un oggi che lo vede musicista, compositore, montatore, videomaker, visual artist e chi più ne ha più ne metta. Partendo dallo studio della chitarra è approdato al pianoforte, all’uso del sintetizzatore, alle tecniche di registrazione. L’esperienza di pianista improvvisatore lo conducono a lavorare come maestro accompagnatore per le lezioni di danza, pianista di piano bar, turnista in sala di incisione, collabora anche con gruppi musicali e cantautori dell’ambiente romano. Già a diciotto anni era amico fraterno di Daniele Patucchi, il compositore di colonne sonore cinematografiche e arrangiatore di Toquinho. L’incontro con Aurelio Gatti e Hal Yamanouchi lo introducono nel mondo del teatro e lo indirizzano verso la sperimentazione e la composizione. Le sue composizioni sono presenti in oltre ottocento produzioni in un ambito che spazia dal balletto classico alla danza contemporanea, dal teatro dei burattini, alla prosa fino ai serial televisivi, dai documentari per la Fao al cinema, dalla sonorizzazione di istallazioni di arti visive a festival internazionali come performer e concertista ma si potrebbe continuare all’infinito senza riuscire a delimitare un’area precisa di suo intervento creativo che è come un magma che si spande da un vulcano in eruzione. E allora, meglio chiedere a lui…i nomi vengono fuori come fuochi d’artificio… Ero a casa di Anna Catalano, a suonare per la tecnica Graham, e venne Leda Roffi, l’unica ballerina italiana entrata nella compagnia di Balanchine, la chiamavano il Cigno bianco. Fu lei che mi disse: “Sei nato per suonare per la danza!” e mi presentò a Mimmo Del Prete che mi chiamò a lavorare allo Ials come pianista nell’83, appena finito il militare. “L’anonimato per me è sempre stato il segreto per capire come fare le cose giuste” Da lì puoi immaginare la parabola Vantaggio, Strejner che insegnava alla Scala, Nunez che insegnava al San Carlo, Zoboskaya, poi la scuola di Renato Greco a piazza Esedra. Ho 53 “Inventare un suono, comporre una musica o realizzare un montaggio per me non ha mai fatto differenza perché la cosa importante è che lo spettacolo funzioni” ph. Marco Schiavoni 54 suonato per 4 anni per Viktor Liktinov. Venivano a studiare la Terabust, la Martinez, Eugenio Buratti. E così che ho inventato le cose più belle e sono diventato un personaggio conosciuto nei posti dove si faceva la danza, è così che hanno cominciato a chiedermi le musiche dopo pochi anni. Non ho mai dovuto pubblicare dei dischi per farmi conoscere. Avevo Mario Piazza, Rossella Fiumi nell’ambente romano, la Malusardi, Giuditta Cambieri che venivano da Milano. La mia carriera di pianista della danza è terminata al CID dove suonavo per Denys Ganio e dove c’erano però anche Roberta Garrison, Nicoletta Giavotto, Sandra Fuciarelli... C’era il gruppo della danza contemporanea italiana romana degli anni ’90. Anche loro mi chiedevano di suonare. Così dalla classica sono passato alla contemporanea. E poi Elsa Piperno… Che dire? Non ho fatto il pianista per lei, però nel ‘90 ho scritto le musiche per un balletto, coreografato da Marco Brega, per la sua compagnia, così ho conosciuto la colonna della danza contemporanea italiana. Tutti quelli che venivano al CID erano stati da lei: Barbarini, Monteverde, Enzo Cosimi, Massimo Moricone, tutti quelli che dovevano fare una cosa contemporanea erano passati da Piazza del Gesù. E’ una carriera, questa, durata 10 anni, mentre in contemporanea veniva alla ribalta la carriera di produzione musicale. Così nasce la tua seconda vita lavorativa, quella da compositore ma non solo. Come è andata? All’epoca, come me, che facevano musica per la danza, c’erano Castellano, Spagno- letti, ma facevano solo quello, mentre a me chiedevano anche di risolvere problemi perché io col Revox sapevo manipolare i suoni, sapevo montare un nastro. Inventare un suono, comporre una musica o realizzare un montaggio per me non ha mai fatto differenza perché la cosa importante è che lo spettacolo funzioni. Certo è che quando Monteverde mi ha chiesto di scriver la Tempesta che andava all’Arena di Verona con Malakov è stato più interessante che rallentare la variazione dell’ennesimo balletto di repertorio per un saggio di danza. Non è che non cogliessi la differenza! Però, il piacere di essere utile, al servizio, è quello che mi ha fatto lavorare tanto, perché io non mi sono mai negato, a volte, sbagliando, a volte esagerando o facendomi un sacco di nemici… Come un’erborista che fa le ricette creavo anche le idee di spettacolo, come Five Season, lo spettacolo di Luciano Cannito per la Bat Dor Dance Company di Tel Aviv. Quanta musica hai composto in questo storico periodo? Nell’arco di quattro o cinque anni ho scritto la musica per quasi venti balletti che hanno fatto centinaia di repliche che hanno girato il mondo. Quelli sono stati anni fantastici. Negli anni 2000 avevo fatto la musica per circa 200 spettacoli ma alla fine, malgrado i lauti guadagni, le questioni economiche mi hanno intristito. Questi dieci secondi anni di composizione sono stati molto intensi e hanno avuto una importanza storica anche per il mio modo di lavorare oltre a portarmi alla fuga da Roma: quando hai Walter Zappolini alle nove di mattina, Luigi Mar- telletta a mezzogiorno, Massimo Moricone alle tre, Patrizio Monteverde alle sette, Cannito alle nove e poi magari a mezzanotte ti portano un flamenco da mixare al volo… Nell’anno in cui andai alla notte degli Oscar c’è un’intervista di Marinella Guatterini che scrisse di me “il compositore che non deve chiedere mai!”. Era quello che dissi, e lo ribadisco ancora con forza facendo innervosire Caterina, ma io non ho mai chiesto a nessuno, è tutto nato sempre e solo da chi mi veniva a chiedere, un lavoro dopo l’altro. L’unica cosa che ho deciso io, per me e Caterina, è stato il Balletto di Spoleto, una storia complicata, perché ho tentato di vendere qualcosa che necessita di altre doti che non sono saper inventare una musica o fare un video in pochi minuti o trasformare una goccia d’acqua in un temporale. Queste sono le cose che io so fare. Cosa hai realizzato per il teatro italiano? Qualunque cosa. Ora sto su una locandina con Eva Grimaldi e Fabio Roncato: è questo che mi dà da mangiare. Ma il mio nome è in locandina anche con Gassman con cui ho all’attivo già nove anni e dodici spettacoli; gli ho realizzato le musiche per Tempeste solari che ha inaugurato il Teatro Eliseo dopo lo spettacolo di Barbareschi con una platea di eccezione. Sono soddisfazioni, però, se ti devo dire, il mio cuore batte per lo spettacolo di Garcia Lorca mio e di Caterina: è un capolavoro assoluto e chiunque l’ha visto lo ha apprezzato; trasformarlo in un evento che si vende non potevo farlo né io né Caterina. Io meno di lei. Ma se da qui in poi mi metto a 55 ph. Massimo Menghini 56 creare solo musica per saggi, sono contento. La sete, la bramosia d’arte di Caterina come di altri non mi appartiene, forse perché ho già sperimentato e realizzato tanto. C’è il piacere di lavorare ed essere utile. E oggi rispetto alla danza come ti poni? La scelta di vivere a Spoleto? Fu una decisione comune con Caterina, dato che lei non desiderava venire da me a Vetralla ed io non volevo tornare a Roma; e il caso volle - ma poi fu un caso? - che ci capitò tra le mani il Balletto di Spoleto. punto di vista, diventare produttore, stare alla ribalta mi ha messo di fronte ad una realtà orrenda. All’Arena di Verona, con Malakov che ballava, ero nel pubblico e potevo ascoltare le persone che commentavano positivamente la mia musica, ignare che fossi io l’autore. E’ una situazione totalmente diversa. L’anonimato per me è sempre stato il segreto per capire come fare le cose giuste. In Italia la danza contemporanea non esiste, c’è solo un’autocelebrazione scevra da un confronto con la danza internazionale: quando nel 90 andai a raggiungere un’amica a Barcellona in tre giorni andai a vedere tre spettacoli di danza contemporanea. C’erano compagnie di tutta Europa tranne che italiane. Lì c’era già una danza di qualità altissima. Questi ultimi 10 anni mi hanno fatto ritornare a stare per conto mio a fare quello che continuano a chiedermi, come è sempre stato, perché mi rendo conto che c’è un problema grandissimo rispetto alla danza. Giovanna Velardi, la coreografa siciliana che ammiro mol- to, e che ha fatto anche parte della commissione del Mibact, ad una riunione del coordinamento regionale dove c’erano un numero sostanzioso di coreografi - e se tu pensi che solo a Roma ci sono un numero notevole di compagnie di danza che fanno tre spettacoli l’anno davanti a 100 spettatori questo è già sintomatico di un problema, a prescindere dalla qualità degli spettacoli – chiese: ma noi abbiamo dei riferimenti della storia della danza contemporanea italiana? Esiste un archivio? Una Ottolenghi della danza contemporanea? Le poche rimaste sono ballettomani e si occupano solo di spettacoli da un certo livello in su, ma il resto? In realtà, c’è stato molto fermento in Italia, che però non ha generato un’estetica della danza italiana, una danza che vada poi all’estero e si metta in mostra nei festival internazionali. In realtà, tolti i capisaldi, ognuno si è fatto la sua storia e il resto è vuoto. D’altronde, quante sono le nostre grandi compagnie sovvenzionate rispetto a quelle degli altri paesi europei? C’è poco altruismo nella danza ma forse i miei ragionamenti sono antichi perché quella domanda è stata fatta dieci anni fa e nessuno ha ancora mai risposto. Ma risposta non ci può essere. E’ anche il momento storico, forse. Certo che negli anni ’90 forse poteva succedere, se si fosse creata la coalizione dei coreografi italiani desiderosi di superare questo limite del teatro dei cento posti, di fare solo festival ‘sfigati’ o di non avere almeno uno stipendio per venti persone tra danzatori, tecnici e musicisti, una cosa come in altri paesi. Però, se non l’hanno fatto c’è un motivo. Tra gli attori c’è an- che un odio feroce ma una stima reciproca di qualità artistica, di tipi di ricerca, che venivano dagli ’60 e dalla Pop Art, c’erano collegamenti che venivano sempre da un respiro internazionale. Pensando al futuro, mi pare di capire che ti poni nell’attesa che ‘il caso’ ti traghetti verso i tuoi prossimi dieci anni di vita in una nuova esperienza, o ‘il caso’ si è già affacciato per proporre qualcosa? Diciamo che lavori in corso ce ne sono diversi, per esempio la collaborazione con Alessandro Gassman con cui c’è una continuità e grande visibilità. Poi c’è il progetto di Shel Shapiro e Marco Cavani ancora in fase di preproduzione, uno spettacolo sugli anni ‘80 per cui farò i video che si intitola TINA, There Is Not Alternative. Uno spettacolo su cui io punto molto. Poi farò sicuramente le musiche per il prossimo spettacolo di Maria Pajato per l’Eliseo. C’è anche chi ascolta la mia musica e addirittura la cerca da 15 anni. Il vero progetto della mia vita è questo: dedicare tutto il tempo che viene a scegliere cosa dare in pasto a quei fortunati selezionatissimi acquirenti del cofanetto di cd composto da una ricercata scelta di musiche del mio repertorio scritte per la danza, per il teatro, per il cinema… Mentre Caterina mi chiede di appassionarmi al suo rock io ho bisogno di silenzio, magari di un flauto traverso...scherzo... di sicuro a me piace stare dietro le quinte e sono contento di tornarci. 57 SCUOLE di Monica Ratti Roberto FASCILLA “Fare danza non è solo studiarla” U Alto, distinto, portamento elegante, un divo del mondo del balletto, non solo Étoile ma direttore dei corpi di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, Comunale di Bologna, del primo corpo di ballo dello Stabile di Verona (durante le sue direzioni ha programmato i balletti di tutti i più importanti coreografi del suo periodo), apprezzato coreografo e, infine, oggi, uno dei maestri di danza più richiesti. Roberto Fascilla, tanta energia e fascino in un uomo che non dimostra assolutamente la sua età. Quali sono gli episodi professionali che maggiormente hanno segnato la sua ascesa al successo? Ero a Mantova, debuttavo come coreografo nella Gio- 58 DANZA, non solo passi conda, dove ballavo con Elettra Morini. Ricevetti una telefonata dal sovrintendente della Scala che mi disse di rientrare immediatamente perché l’indomani avrei dovuto danzare nel Romeo e Giulietta con Carla Fracci. Obiettai che mi era stato concesso un permesso per un impegno importante. Nulla da fare, gli ordini erano precisi, dovevo rientrare. Devo ammettere che in quell’istante l’ansia prese il sopravvento ma fu la mia occasione per diventare Étoile. Chi sono le partner con le quali ha avuto un feeling speciale? Ho danzato con straordinarie ballerine: Luciana Savignano, Carla Fracci, Liliana Cosi, Elisabetta Terabust, Margot Fonteyn e molte altre. Ci sono ballerine con cui danzi a livelli altissimi, ma solo con alcune, oltre a danzare, interpreti, questo fa la differenza. Carla Fracci è stata sicuramente la partner con la quale ho trovato l’intesa più forte. Chi sono i danzatori, uomini e donne, della sua generazione con cui, oltre al lavoro, ha condiviso l’amicizia? Romeo (in generale amo i ruoli romantici) forse perché a questo ruolo ho legato il ricordo di John Cranko, la prima versione di Romeo e Giulietta creata da lui per il Teatro dell’Isola di San Giorgio, anche se in quell’occasione ho debuttato nel ruolo di Mercuzio. Ai suoi tempi cosa ha rappresentato il balletto per gli italiani? All’epoca anche per il balletto, come per la lirica, c’erano le tifoserie che infiammavano gli animi e riempivano i Teatri. Callas - Tebaldi, Fracci - Cosi, Nurayev - Baryshnikov. Erano gli anni dei grandi divi e dei grandi interpreti del Teatro in tutte le sue forme, attori, cantanti, ballerini, il mondo telematico e tecnologico era ancora lontano, il Teatro era il luogo della socializzazione dove condividere emozioni, esperienze. Per acquistare un biglietto le persone si mettevano in fila per ore. Oggi, per certi versi, la tecnologia ci aiuta ma per quanto riguarda i rapporti tra persone ho alcune riserve. E oggi, a suo parere, come viene percepita la danza nella società italiana? Con James Urbain, grande competizione sul palco ma vera e sincera amicizia nella vita privata. Paolo Bortoluzzi, per il quale ho creato Convento Veneziano, e Vera Colombo, che per me è stata un tutor, madre, balia, amica e anche mia partner ufficiale. Purtroppo, oggi, la danza è arriva solo attraverso le scuole e le accademie di danza. Inoltre, mentre prima l’attività di chi affrontava l’arte tersicorea era danzare, oggi uno studia danza e non sa bene cosa farà dopo, no anzi, a dire il vero lo sa benissimo, farà l’insegnante o il coreografo. Quali sono i ruoli che ha maggiormente amato? Negli anni ‘80 la televisione è tornata utile per avvicinare le giovani generazioni alla dan- za alimentandone la pratica; cosa pensa dei programmi tv di oggi? Ci sono canali, come SKY Classica, che offrono programmi dove si può guardare bella danza. Credo però che la grande offerta televisiva faccia sì che si perda l’opportunità di avvicinare un pubblico di non addetti ai lavori. Le proiezioni in diretta al cinema dei grandi balletti sono un’ottima iniziativa. Negli anni ’80, con un’offerta ridotta e il corpo di ballo presente nei grandi varietà del sabato sera, sicuramente si raggiungeva una platea più vasta. Sono pochi i giovani che vanno a teatro a vedere spettacoli di danza rispetto alle migliaia che la praticano nelle innumerevoli scuole di danza; lei ha una sua lettura in proposito? Fare danza non è solo studiarla, vuol dire entrare a far parte di un mondo che sprigiona cultura, la danza è musica, scenografia, drammaturgia, costume. Chi la insegna deve cercare di trasmettere valori, non solo passi. Chi la insegna non dovrebbe pensare solo al saggio di fine anno, alle competizioni, ma dovrebbe lasciare un’eredità formativa che sia un bagaglio culturale da portarsi dietro per la vita, soprattutto se la si è praticata solo come attività ricreativa. Inutile ricordare che anche nella scuola, oserei dire sin dalla materna, i bambini dovrebbero approcciare sempre in modo gioioso e intelligente alle svariate forme d’arte. Inoltre, le famiglie devono far quadrare i propri bilanci e il Teatro è un costo. Ritengo che ultimamen- 59 te l’offerta italiana abbia abbassato il livello, l’Ater Balletto non ha più la qualità di una volta e il Balletto di Roma ha perso smalto, le piccole compagnie annaspano e in scena tutto ciò si percepisce, a scapito del coinvolgimento di nuovo pubblico. Quale opinione ha dei docenti sparsi sulla nostra penisola? La maggior parte degli insegnanti ha la presunzione di sapere tutto e ritenersi sempre il migliore. Ritengo che si possa iniziare a insegnare solo dopo aver avuto una serie di esperienze professionali. L’insegnamento della danza è un’arte, la cosa più importante è l’approccio con l’allievo, la conoscenza anatomica del corpo e anche una formazione culturale: insomma, conoscere e approfondire perché la danza è cultura. Quello che noto maggiormente tra gli insegnanti è la mancanza di preparazione musicale. Quando preparano un balletto, spesso la costruzione coreografica, o meglio l’intenzione emotiva che dovrebbe scaturire utilizzando un brano, fa a pugni con il brano scelto. Ma ci sono anche tantissimi straordinari insegnanti, in parti- 60 colare, da quando dirigo il premio MAB, ho potuto verificare la professionalità di piccole realtà dirette da insegnanti molto preparati, non solo dal punto di vista didattico, ma anche artistico. Diploma o non diploma? Io preferisco osservare il lavoro di un insegnante e valutarne la reale capacità; il diploma non dice nulla, ne abbiamo visti tanti insegnare con il libricino di un metodo piuttosto che di un altro e, anche tra gli insegnanti diplomati in Accademia, non tutti sono validi. Inoltre, un bravo ballerino potrebbe non essere un bravo insegnante o coreografo e viceversa, per cui l’insegnamento è sicuramente il lavoro che richiede un insie- me di competenze e capacità che esulano dal rilascio di un diploma. Con il consenso dello Stato il CONI si è aggiudicato la facoltà di distribuire patentini di abilitazione con pseudo corsi di formazione a ore, spesso avallati da docenti di chiara fama, quali sono le sue considerazioni? Una situazione abominevole. Politicamente, chi deve sostenere i valori della danza, quasi sempre è incompetente. Infatti, lo sport, che ha un’attenzione diversa da parte dei nostri politici rispetto alle forme d’arte e di cultura, la fa da padrone. In realtà, come nello sport, ci sono altrettanti ragazzi che fanno danza, suonano uno strumento o frequentano i corsi di teatro ma le associazioni culturali non usufruiscono degli stessi trattamenti fiscali delle associazioni sportive, così lo sport si appropria con facilità, e con il beneplacito del Governo, di competenze non sue. Cosa pensa degli annunci: “Ho 50 anni, smetto e celebro con un Gala in tour”, “Ho 50 anni, ritorno e festeggio con un Gala in tour”? Non sarebbe meglio il solo Gala di fine carriera? Si eviterebbe di prestare il fianco a critiche e di lasciare l’amaro in bocca per quello che eri e oggi non riesci più ad essere? Purtroppo, ad un certo livello, la danza è una droga, non tutti invecchiano allo stesso modo, chi riesce a mantenersi a livel- 61 lo fisico e ha avuto una grande carriera può essere ancora piacevole da vedere su un palco, con coreografie adeguate alla sua maturità artistica ovviamente ma, in generale, non sopporto gli annunci perché questo tipo di decisione deve essere presa con convinzione. Oggi, invece, si annunciano ritiri dalle scene come nuova modalità di marketing, ma ognuno è libero di fare ciò che vuole, non è un problema. Cosa rappresenta per lei il premio MAB? L’opportunità di aiutare giovani e straordinari talenti, una ventata di freschezza. Tutti i nostri vincitori sono ora ballerini nelle compagnie europee più prestigiose. I ragazzi che arrivano in finale al MAB hanno un’ottima preparazione. Peccato che tra le Accademie italiane solo l’Opera di Roma apra a questa esperienza. La scuola della Scala non permette la partecipazione e trovo sia un peccato. Grazie al MAB ho incontrato bravissimi insegnanti con ottimi elementi ai quali hanno fatto comprendere che non si può arrivare a diventare ballerini studiando solo 2/3 giorni a settimana. Sono molte le scuole dove si ritiene che invitando grandi personaggi per qualche stage si possa fare la differenza, a volte, rischiando anche l’indebitamento, pur di postare su Facebook le foto dell’ospite. Lo stage è sicuramente un ar- Carla Fracci, Roberto Fascilla e Paolo Bortoluzzi 62 ricchimento dell’offerta di una scuola, ma è il lavoro quotidiano fatto da docenti capaci che porta al risultato e, in Italia, sono diverse le realtà capaci di condurre alcuni elementi al professionismo, combattendo ogni giorno tra problemi burocratico- amministrativi, gestione dei genitori e aspettative degli allievi, che non studiano danza per diventare ballerini ma semplicemente perché amano questa meravigliosa disciplina. Ecco, la danza è una disciplina che ti educa al rigore, al rispetto, a un’estetica, al rapportarti con gli altri. Credo fermamente che chi ha la fortuna di viverla possa diventare una persona più ricca interiormente e sviluppare una più grande sensibilità. 17