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Anno XXXIII, n. 2 BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI Dicembre 2015
RECENSIONI
COSTRUZIONI E DECOSTRUZIONI DELL’IO LIRICO NELLA POESIA
ITALIANA DA SOFFICI A SANGUINETI
Atti del Convegno Binazionale “L’io fra autenticità e messinscena. Il
problema del soggetto lirico dal moderno al postmoderno”
(23-26 giugno 2011, Villa Vigoni)
a cura di Damiano Frasca, Caroline Lüderssen e Christine Ott
Firenze: Franco Cesati, 2015. 231 pp.
ALBERTO COMPARINI
Stanford University
L
’obiettivo di questo libro, scrive Christine Ott nell’introduzione, è di
costruire un “percorso diacronico [che] tracc[i] l’evoluzione dell’io
lirico attraverso il Novecento italiano. Partendo dalla crisi dell’io agli
inizi del ventesimo secolo – decantazione, ‘velocizzazione’ dell’io che si può
rivelare, per certi versi, estremamente liberatoria – si prenderanno in
considerazione le varie protesi di cui l’io si serve per ‘rattopparsi’: un
carismatico tu, citazioni e travestimenti, eventualmente anche un corpo” (p. 13).
Questa prospettiva prende forma in un’analisi teorica, storica e testuale,
condotta su un campione multiforme di autori che, come recita il titolo, muove
dai versi di Soffici fino alla poesia di Sanguineti. Non si tratta, però, di un
confine sincronico inviolabile: ogni critico è conscio della sovranazionalità del
tema preso in esame; lo sguardo, quindi, è necessariamente comparato e mira a
studiare la lirica italiana del Novecento come centro e snodo storico-letterario
della teoria della poesia europea.
Il libro è aperto da un saggio (introduttivo) di Stefano Agosti, Io semantico
e io grammaticale. Due esperienza della soggettività (pp. 13-28). Il Soggetto
secondo A. è un “essere-di-linguaggio” che è necessariamente e
costitutivamente parte integrante di uno “schermo [a] partire dal quale [esso]
entra in comunicazione con se stesso – anche se non parla, anche in silenzio –
e, naturalmente, con gli altri Soggetti” (p. 14). Il problema dell’autenticità e dei
livelli di comunicazione del Soggetto, e quindi degli equivoci che si possono
generare nel testo e nella mente del lettore, sono da ricondurre a quelle relazioni
che A. chiama “gradi di complessità e di estraneità aggiuntive, messi in atto
rispetto allo stato ordinario del linguaggio” (pp. 16-17). Nella lirica, questa
alterazione del linguaggio si attua attraverso gli “apparati formali messi in
opera, e concernenti gli schemi ritmico-timbrici, sia nelle diverse e varie
complicazioni delle articolazioni semantico-sintattiche” (p. 17). L’inconscio,
da cui A. deriva i modelli di autenticità dell’io, può esprimersi solamente
attraverso forme verbali, che possono essere “semantiche” o “grammaticali” (p.
18). Prendendo come esempio la poesia di Pasolini, A. definisce semantiche
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quelle strutture verbali dell’io che “porta[no] sulla pagina […] non solo il corpo
vivente ma anche il corpo morto del Soggetto, quale viene consegnato nella
scrittura prima della morte, come nelle ‘finzioni’ ordinarie delle scritture
testamentarie” (p. 23). L’’io grammaticale, invece, come si manifesta in
Vocativo e IX Egloghe di Zanzotto, è un “Soggetto” interamente “concentrato
e raccolto sul pronome che lo designa, l’io”, e ne “accampa la manifestazione
su un vuoto generalizzato” (p. 24).
Sulla scia lacaniana e greimasiana di questo importante lavoro prendono
forma gli altri saggi del volume. Alessandro Viti (pp. 29-44) affronta le
problematiche del soggetto lirico all’inizio del Novecento, discutendo la
“presenza grammaticale dell’io” in Pianissimo di Camillo Sbarbaro, la cui
ridondanza pronominale porta, volutamente, a uno svuotamento semantico,
nonché psicologico, dell’identità del soggetto; e l’“ipertrofia egotica” (p. 32), a
tratti solipsistica, dei Frantumi di Boine, che porta a un progressivo
dissolvimento dell’identità dell’io. Marc Föcking, in un saggio assai più
convincente, sia per la contestualizzazione storico-letteraria, sia per la struttura
teorica del suo lavoro (pp. 45-58), traccia una storia della ‘velocità poetica’ –
che diventa a sua volta una storia della modernità – che va da La maison du
berger di Alfred Vigny (1844), passando per La bonne chanson di Paul Verlain
(1870), e che ha come punto di arrivo la poesia Treno-Aurora di Ardengo
Soffici, pubblicata nella raccolta Simultaneità nel 1915. Tra la stasi, il
movimento e la velocità della poesia, F. registra “‘un’azione corrosiva’ dell’io,
che in Soffici è radicalizzata e portata fino ad un suo annullamento” (p. 58):
“non c’è più un pronome, né in prima persona né in seconda persona, che possa
indicare un parlante” (p. 57). Ilena Antici dedica il suo saggio a uno dei temi
più toccati della critica montaliana, Il tu montaliano tra autobiografia e
figurazioni (pp. 59-79). A. si inserisce nella linea interpretativa di Mazzoni e
Scaffai, indagando la funzione relazionale del ‘tu’ nella poesia di Montale.
In L’io tra citazione e travestimento (pp. 81-89), Niva Lorenzini, attraverso
“l’analisi di alcuni testi di Edoardo Sanguineti”, traccia un breve, ma
significativo percorso “circa il trasformarsi dei concetti di ‘simulazione’ e di
‘autenticità’ in rapporto al trasformarsi del soggetto lirico nella poesia
moderna” (p. 81). Come il lavoro di Agosti, quello di L. è molto solido e
problematizza fin dall’inizio alcuni punti: chi parla “quando si parla di io
lirico”? è un io reale, rifratto o ‘teatrale’? qual è il rapporto tra teoria e storia
“di fronte alla messa in crisi del genere lirico e al processo di risemantizzazione
che coinvolge, da qualche decennio a questa parte, il corpo”? (p. 81).
Relativamente a Sanguineti, L. discute la sua ‘terza fase’, “caratterizzata da un
egotismo esasperato. Si può parlare di ipertrofia del soggetto, da un lato, e di
una sua disseminazione, dall’altro, in una miriade di rifrazioni” (p. 83). Da uno
studio di queste forme, L. riconosce un trasferimento dell’“io personaggio in
‘io figura’, cogliendo d’altra parte nel transfert pittorico la resa in citazione,
quasi a calco, del proprio darsi in transfert testuale” (p. 84). In Varie ed
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eventuali, centro dell’analisi di L., Sanguineti “traduce da linguaggio a
linguaggio, e insieme depista il lettore, de-figura il ritratto così come desoggettivizza la propria resa autobiografica in versi” (p. 86). Insomma,
“[a]zzerato l’io, resta la messa in scena della parola, che restituisce il quadro in
resoconto preciso, quasi stenografico, e insieme lo adatta al travestimento” (p.
87).
L’intervento di Enrico Testa, A strappi e toppe. Il soggetto nella poesia di
Sanguineti (pp. 91-99), espande l’analisi di Lorenzini all’antropologia e
all’etnografia, seguendo il gioco citazionale di Sanguineti nella poesia (o
epitome di un saggio del 1938 di Marcel Mauss, Una categoria dello spirito
umano. La nozione di persona, quella di ‘io’) Persona, contenuta in Varie ed
eventuali; la domande sorge spontanea: “la presenza di Mauss e, in genere, di
antropologia ed etnografia [è] solo una presenza tra le tante nella coltissima
poesia sanguinetiana o [ha], invece, un peso e una rilevanza più importanti di
altri riferimenti intertestuali”? (p. 92). T. indaga in primo luogo gli studi di
Sanguineti dedicati all’antropologia e all’etnografia, raccolti da Erminio Risso
in Cultura e realtà (2010), e le nozioni di identità, soggetto e persona nella
“fenomenologia dell’‘autodefinizione’” (p. 96) dell’io sanguinetiano. La sintesi
dialettica di tale incontro, che il lettore potrà leggere in una versione più
allargata e dettagliata in Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella
poesia di Sanguineti (2010), è data dalla “nozione etnografica di persona. Dove,
cioè, l’io è, al contempo, elemento composito e provvisorio, punto d’incidenza
di vari dati (cose fatti incontri discorsi) e, nella sua irrinunciabile tensione a
darsi un senso, frutto di un ‘modellamento’” (p. 97).
Anche il saggio di Damiano Frasca, Declinazioni dell’io da Mario Luzi ad
Amelia Rosselli (pp. 101-117), è una versione (molto) ridotta, ma non
necessariamente meno solida, di un modello teorico sviluppato più ampiamente
nel suo libro d’esordio, Posture dell’io. Luzi, Sereni, Giudici, Caproni, Rosselli
(Felici Editore 2014). Secondo F., sineddoche della poesia moderna italiana
sono cinque raccolte di versi pubblicate tra il 1964 e il 1966: Variazioni belliche
di Amelia Rosselli; Gli strumenti umani di Vittorio Sereni, Congedo del
viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee di Giorgio Caproni, La vita in
versi di Giovanni Giudici e Nel magma di Mario Luzi. La tesi di F. riguarda la
ripresa di un fenomeno filosofico e testuale già presente all’inizio del
Novecento, la “deflazione del soggetto”, e che ritorna nella poesia degli anni
Sessanta.
L’intervento di Barbara Kuhn è dedicato alla teatralità dell’io nella poesia
di Giudici (pp. 119-146) attraverso uno studio del “rapporto tra poesia e ritratto
o autoritratto per venire poi alla negazione inerente alla lirica di Giudici,
all’onnipresente ‘non’ che, tra l’altro, è anche negazione dell’idea di
rappresentazione o imitazione e, cioè, almeno a prima vista, negazione dell’idea
di ritratto”; in ultima istanza, K. si chiede “cosa possa voler segnalare un’opera
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che ciononostante parli de La vita in versi, oppure anche dei Versi della vita”
(p. 122). Il rapporto tra teatro e figuranti costituisce la forma mentis della lirica
di Giudici; K. rimarca questo aspetto attraverso un’analisi testuale delle poesie
autobiografiche dove la foto e il palcoscenico sono i media utilizzati da Giudici
per scrivere un “autoritratto di una cosa fatta di parole o di un ‘Io fatto persona
non vera’” (p. 128). Nela seconda sezione dell’articolo, dedicato alla funzione
“non” nell’autobiografia giudiciana, K. afferma che è “proprio il ‘non’ a
definire in modo paradossale l’io lirico, questo ‘Io fatto persona non vera’, le
cui parole sono sempre quelle di un altro, quelle di una lingua straniera, opposta
a quella di ogni giorno che non ha bisogno di essere ‘decifrata’” (p. 135). Questa
unità tra io e non-io, tra persona e non persona, sottolinea ulteriormente il valore
auto-bio-grafico che Giudici ha voluto dare, a livello paratestuale, alle sue
raccolte.
Il saggio di Robert Fajen verte sul rapporto tra io lirico e corpo nella poesia
di Tiziano Scarpa e Alda Merini (pp. 147-158), con l’obiettivo di “vedere quali
[sono] le prospettive analitiche ed ermeneutiche offerte dalla corporalità come
possibile categoria nella riflessione della soggettività lirica” (p. 149). La teoria
lirico-corporale di F. si basa sull’assolutezza del testo lirico come fatto
puramente retorico, “legato al potere performativo del linguaggio” (p. 149).
Intendendo il testo come elemento depragmatizzato, F. riconosce al corpo il
potere percettivo della soggettività, in virtù del fatto che l’io non è altro che “un
prodotto di processi neurali, come effetto, dunque, di attività fisiche nei circuiti
del cervello” (p. 151). La poesia di Scarpa esemplifica chiaramente questo
attraversamento del corpo da parte dell’io, fino a diventare parte totale del
tessuto lirico, piegato ad allargare le “possibilità erotiche del linguaggio
poetico, un allargamento che tutti possono condividere e che perciò non ha nulla
a che fare con la propria intimità individuale” (p. 155). In Merini, invece, il
corpo “appare come qualcosa di estraneo, uno spazio brutale e opprimente” (p.
156); rispetto alla poesia postmoderna di Scarpa, dove l’anima non aveva più
predicato di esistenza, nella lirica meriniana la soggettività si basa proprio sul
dualismo tra anima e corpo; la scrittura, allora, diventa “descrizione di una
chiusa oppure evocazione di una possibile trasgressione dei limiti corporali, di
un’espropriazione dell’io, che tende però verso l’autodistruzione” (p. 157). Il
lavoro di Christine Ott si concentra sull’altro polo decostruito della poesia di
Alda Merini: il tu (pp. 159-172). Attraverso un’analisi di due testi esemplari
come La presenza d’Orfeo e A Giorgio Manganelli, O. afferma che,
relativamente alla prima lirica, la dimensione empirica del tu-Orfeo è
decostruita attraverso una struttura binaria delle marche pronominali, io-donnaEuridice, tu-uomo-Orfeo; nella seconda poesia, e più in generale nei testi
dedicati a Manganelli negli anni Novanta, il parossismo intimo generato dal
rapporto tra io e tu è talmente estremizzato che il soggetto e l’oggetto del
desiderio dell’io diventano figurae testuali, figuranti di quel “soggettivismo
estremo postulato da Mazzoni per la poesia del secondo Novecento” (p. 171).
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I canzonieri della morte di Umberto Saba, Salvatore Toma e Patrizia
Valduga sono oggetto dell’articolo di Angela Oster (pp. 171-189), il cui
“obiettivo è di descrivere il proseguimento del petrarchismo nella poesia
postmoderna” (p. 171). Con ‘postmoderno’, O. intende, secondo la lezione
germanica “un posizionamento neutrale nel percorso epocale” (p. 174, n. 3). La
poesia ‘prodotta’ in questo periodo e avente come modello Petrarca rivoluziona,
o meglio, riduce la forma-Canzoniere a “‘elaborazione autoriale di
macroconcetti’ (p. 174). In altre parole, il canzoniere postmoderno della morte
è una ‘mortificazione’ storica del petrarchismo” (p. 175).
Il saggio di Gino Ruozzi sulla Decantazione e frammentazione dell’io nelle
poesie e negli aforismi di Ferruccio Masini (pp. 191-202) mostra come i confini
dell’io lirico nella seconda metà del Novecento siano particolarmente labili, a
tal punto che “[s]oggetto letterario e soggetto empirico si intrecciano nella
scrittura aforistica, saggistica e poetica di Masini” (p. 192). La poesia di Masini
è pronominale, dialogica e teatrale; si incarna e si declina “soprattutto [in] ‘io’,
‘tu’, ‘noi’, sia nelle citate forme soggettive sia in quelle oblique” (p. 194). Il
bifrontismo soggettivo di Masini ha una natura fortemente metamorfica,
instabile, per la quale ogni sua forma pronominale è sdoppiata, moltiplicata e
raccontata “insieme [come] soggetto e oggetto” (p. 196). Ciò emerge anche
negli Aforismi di Marburgo, dove nei “molti egli si possono cogliere autoritratti
in atto e in potenza. Nello stesso tempo ogni autoritratto è una rappresentazione
del mondo nelle sue possibilità creative”, grazie alla pluralità dei protagonisti
che “da[nno] voce a un quadro variegato di storie” (p. 201).
Il volume si chiude con un saggio sulle (R)esistenze dell’io lirico nella
poesia di Montale (pp. 203-224). L’indagine è condotta in uno spazio letterario
che ha come estremi gli Ossi di seppia e Satura, dove al tentativo dell’io di
rivendicare “la propria singolarità senza tuttavia affermare una sua unicità
eccezionale” (p. 206) segue quarantasei anni dopo un tipo di lirica dove “il
linguaggio si fa autonomo, si produce da sé” e “l’io scompare […]; non c’è
alcun soggetto che sostenga esplicitamente affezioni, valutazioni e riflessioni
come quello presente nelle poesie di Ossi di seppia” (pp. 207-208). In questo
senso, la poesia della resistenza degli Ossi svanisce nella r-esistenza
postmoderna di Satura. Ciò che resta di questa diaspora dell’io è raccolto da
Montale nei Diari; in essi troviamo una “nuova forma di resistenza dall’interno,
differente dalla collocazione in un esterno incerto sperimentata nella poesia
precedente […]: permane un soggetto critico ma non belligerante, ritirato in una
sorta di passività ferita ma certamente non incosciente” (p. 210). Il discrimine
tra la soggettività moderna e postmoderna di Montale consiste nell’orizzonte
epistemologico che sta alla base dell’uso del discorso lirico: nel primo Montale
l’io “sostene[va] un discorso cognitivo nel linguaggio, [mentre] nella seconda
fase montaliana si trova un io che riflette su di sé i discorsi del mondo che esiste
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solo come residuo di questa operazione, come qualcosa di non completamente
assimilabile ad alcun discorso particolare” (p. 213).
In conclusione, la miscellanea Costruzioni e decostruzioni dell’io offre un
interessante quadro diacronico sull’evoluzione della lirica italiana nel
Novecento, che sicuramente genererà ulteriori discussioni e approfondimenti.
L’unica debolezza del volume consiste nella mancanza di una uniformità
teorica tale da rendere questo volume una raccolta di saggi di teoria della lirica:
nonostante siano ben fatti, alcuni dei lavori pubblicati presentano solamente
analisi testuali secondo modelli critico-interpretativi già consolidati; altri,
invece, come si è cercato di notare, sono forieri di spunti epistemologici di
grande rilievo. Al di là di questo dato ‘biologico’, proprio degli atti dei
convegni, la qualità complessiva di Costruzioni e decostruzioni dell’io rende
tale volume un importante strumento critico e punto di riferimento per gli studi
di teoria della lirica.
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