OGGETTI E SOGGETTI Direttore Bartolo A Università degli Studi di Bari Comitato scientifico Ferdinando P Università degli Studi di Bari Mario S Università degli Studi di Bari Bruno B Università degli Studi di Bari Maddalena Alessandra S Università degli Studi di Bari Ida P Università degli Studi di Bari Rudolf B Ruhr Universität–Bochum Stefania B University of Wisconsin–Madison OGGETTI E SOGGETTI L’oggetto e il soggetto sono i due poli che strutturano la relazione critica secondo Starobinski. Il critico individua l’oggetto da interpretare e in qualche modo lo costruisce, ma lo rispetta nella sua storicità e non può farne un pretesto per creare un altro discorso in cui la voce dell’interprete copre la voce dell’opera. Ma d’altro canto egli non si limita a parafrasare l’opera né ad identificarsi con essa, ma tiene l’oggetto alla distanza giusta perché la lettura critica produca una conoscenza nuova. In questa collana si pubblicheranno contributi articolati sulla distinzione e sulla relazione tra gli « oggetti » e i « soggetti », ossia fra il testo dell’opera o delle opere e la soggettività degli studiosi. a Fra’ Giuseppe Rossi nella poesia di Dino Campana Opera pubblicata con il contributo del Dipartimento di Scienze politiche, della Comunicazione e delle Relazioni internazionali, Università degli studi di Macerata. Marcello Verdenelli Giampaolo Vincenzi «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» Transiti nella scrittura di Dino Campana Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre Indice MARCELLO VERDENELLI Per una musicalità di segno avanguardistico Il libro unico tra sacrificio e residuo «Io sono un povero diavolo che scrive come sente» «io che vivo al piede di innumerevoli calvari» La fotografia fra studium e punctum Campana e l’immaginario Giro d’Italia Il Fauno e l’Errante Campana liberty? Montale su Campana: una «onorevole eccezione» Tabucchi e Campana nel «gioco del rovescio» «un piccolo lembo di muro giallo», parola di Proust Campana «povero troviero di Parigi», Pessoa sugli escudos portoghesi «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» . . . o del transito invisibile della scrittura Finale con vista sul cielo GIAMPAOLO VINCENZI «L’acqua a volte mi pareva musicale» Ipse ignotus egens «Dai confini del nulla» Indice dei nomi Appendice fotografica M V Per una musicalità di segno avanguardistico I Canti Orfici hanno nella musicalità, o meglio, per riprendere il titolo di un importante contributo critico di Maura Del Serra di qualche anno fa, nell’«evoluzione degli stati cromatico–musicali» , il loro vero punto di forza, laddove la musicalità si configura come una questione chimica, risultato di continue e significative reazioni e controreazioni a catena. Musicalità da inquadrarsi comunque nell’ambito di quella più vasta idea di avanguardia di segno futurista, cubista, o meglio ancora cubofuturista, orfica, avendo come principale collante il nietzschianesimo di fondo, cui la scrittura di Campana continuamente si richiama, al di là di certe ufficiali prese di distanza soprattutto nei confronti del futurismo. Perché in Campana per non incorrere in facili e forvianti equivoci critici è bene distinguere, e il caso del futurismo lo dimostra chiaramente, tra il piano delle dichiarazioni ufficiali, spesso di tono sarcastico, irriverente, e l’effettiva assimilazione invece a livello di scrittura di categorie estetiche che vengono dal mondo delle avanguardie europee, e di cui Campana è stato, in Italia, una delle personalità più ricettive, più sensibili. In questa ottica torna, in tutta la sua esemplarità, la dichiarazione rilasciata . Cfr. M. Del Serra, Evoluzione degli stati cromatico–musicali, in Aa.Vv., Dino Campana Oggi, (Atti del Convegno — Firenze – marzo ), Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux–Firenze, Firenze, Vallecchi, , pp. –. «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» da Campana al dottor Carlo Pariani di aver voluto creare una «poesia europea musicale colorita», recando quel «senso dei colori, che prima non c’era, nella poesia italiana» , accanto naturalmente all’ammirazione per certi musicisti: «Dei musicisti ammiravo molto Beethoven, Mozart, Schumann. Verdi anche mi piace; Spontini, Rossini. Eh! Questi li so tutti; suonavano sempre la musica italiana in Argentina» . Quell’espressione, una «poesia europea musicale colorita», suona come un manifesto tra i più calzanti, significativi per definire il carattere fisiologicamente aperto, appunto europeo, della poesia di Campana, del suo fisiologico, necessario intreccio con una sensibilità europea che stava proprio in quegli anni conoscendo clamorose accelerazioni, clamorosi sviluppi. Ed effettivamente senza questo quadro di riferimento perderemmo le coordinate principali di riferimento di un progetto poetico maturato all’interno proprio di questa ampia, densa rete culturale; progetto così innovativo da apparire ai più, almeno all’inizio, incomprensibile, bizzarro, a partire da quella precisa indicazione di poetica contenuta in quella espressione di «poesia europea musicale colorita». La formidabile attualità del progetto poetico di Campana sta proprio qui, in questo incrocio di diversi codici espressivi, che ha fatto dei Canti Orfici un libro così singolare, insolito nel panorama italiano di primo Novecento. Libro che ha dovuto pagare peraltro un prezzo molto alto relativamente a certi aspetti leggendari della vita di Campana (il vagabondaggio, la pazzia), che se per un verso sono serviti a tenere alta nel corso degli . C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Con un’appendice di lettere e testimonianze, a c. di C. Ortesta, Milano, Guanda, , p. . . Ivi, p. . Per una musicalità di segno avanguardistico anni l’attenzione su Campana, per un altro verso hanno notevolmente penalizzato il discorso critico sui Canti Orfici. Libro che ha agganciato proprio su precise e innovative direttrici culturali il treno dell’Europa moderna, disorientando l’orizzonte d’attesa di molti lettori, di molti, tranne qualche eccezione, addetti ai lavori. I Canti Orfici è un libro che ha realizzato come pochi altri quell’idea di «transitabilità dell’arte» di cui ha parlato, sulle orme della filosofia di Henri Bergson, Vladimir Jankélévitch, secondo cui le varie espressioni artistiche «transitano» tra loro, stabilendo collegamenti profondi, strutturali, a livello di sensibilità, di pollini che si respirano nell’aria e che non si sa da dove provengano esattamente. Perché, come ha scritto Giacomo Leopardi, ci sono epoche caratterizzate da certi «stati di fusione» dove non si sa bene dove finisca il vecchio e inizi il nuovo. E sono, tra l’altro, epoche tra le più affascinanti a livello artistico–culturale. Campana davvero dà l’impressione di vivere una di queste epoche particolari, uno di questi «stati di fusione», soprattutto per quell’impasto, vero e proprio collante, filosofico, la lezione di Nietzsche su tutte, chiamata a filtrare, a dare un senso diverso e persino più compiuto a tutte quelle suggestioni artistiche, di cui la sua scrittura continuamente si nutre. In fondo, la poesia di Campana oscilla sempre tra queste due fondamentali forze, l’una centripta che indirizza verso un centro gravitazionale, l’altra centrifuga che la porta continuamente fuori da quel centro. Non a caso Eugenio Montale ha parlato della poesia di Campana come di una poesia continuamente «in fuga», volendo appunto sottolineare questa cifra inquieta, ansiogena, della scrittura campaniana, che appena raggiunta una forma, stilisticamente anche molto importante, subito la dissolve, e non per una spinta autolesionistica, ma semmai per «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» costruire un senso più impegnativo, più profondo. Perché nella poesia di Campana c’è sì sogno, bellezza, ma anche tanta fatica, che il poeta ha voluto ricordare ad avventura dei Canti Orfici già conclusa. Nella parte finale di una breve lettera indirizzata a Sibilla Aleramo, datata Marina di Pisa, ottobre , Campana ha annotato alcuni versi che indirizzano verso questo fisiologico bisogno: «Fabbricare, fabbricare, fabbricare / Preferisco il rumore del mare / Che dice fabbricare fare e disfare / fare e disfare è tutto un lavorare / Ecco quello che so fare» . Sintagma, «fare e disfare», che ci sembra, anche nella sua cadenza ripetitiva, un’altra formidabile indicazione di poetica, da collegarsi sicuramente alle categorie nietzschiane dell’«apollineo», categoria che viaggia verso la dimensione aggregante, ascensionale, e del «dionisiaco», categoria che viaggia verso la dimensione disgregante, discensionale. Categorie che non possono prescindere comunque da quella musicalità di fondo, nella succitata lettera a Sibilla ancora «rumore del mare», ma che nei Canti Orfici, a partire dallo stesso titolo, e anche oltre, si trasforma il più delle volte in canto, in melodia, in una dolce, misteriosa, avvolgente musica di cui Campana dice di non ricordare neanche una nota, ma di cui pure avverte tutto il fascino, l’importanza, la necessità. Ne La Verna colpisce certamente questo passaggio di chiara ascendenza nietzschiana: «Così conosco una musica dolce nel mio ricordo senza ricordarmene neppure una nota: so che si chiama la partenza o il ritorno». Musicalità che incide, in maniera sensibile, sul ritmo . S. Aleramo — D. Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere –, a c. di B. Conti, Milano, Feltrinelli, . p. . . D. Campana, Canti Orfici, Con il commento di F. Ceragioli, Firenze, Vallecchi, , p. . Per una musicalità di segno avanguardistico iterativo della sintassi dei Canti Orfici, le cui prove tecniche di avvicinamento a quello che risulterà essere un tratto distintivo della lingua di Campana si possono benissimo leggere nel Quaderno, nei Taccuini, abbozzi e carte varie I e II, ne Il più lungo giorno, a dimostrazione di una reale necessità culturale e stilistica cui Campana non rinuncia mai. Si è già accennato alle clamorose sviste in cui la critica è incorsa all’apparire dei Canti Orfici. In questo quadro tendenzialmente di segno negativo, spicca certamente, per intuito critico, la posizione di Giovanni Boine, il quale, recensendo nel il libro campaniano su «La Riviera Ligure», centrò l’importanza strutturale di quel dato musicale, una musica che vince davvero su tutto, anche su quelle punte più ossessive, quasi da incubo, di cui le parole campaniane sono spesso portatrici: «Ci sono pagine limpide di osservate serenità; ci sono lirici idilli dove Piazza Sarzano a Genova col ponte dei suicidi lì sopra, e gli intrichi di vicoli bui; dove Faenza e Fiorenza e la Verna si trasfigurano in tremiti di lievi colori quasi in musica stemperati: pagine di prosa fresca fra l’impressionismo scorrivia e (sempre) una sotterranea commozione come di scatenato respiro. — Ma jam furor humanos nostro de pectore sensus expulit. . . giungono momenti che il respiro nella gola s’affanna e la vertigine vince. Allora le parole ossessionano come gli incubi, si dilatano come occhio di paura, si puntano come riluttanti vite all’abisso; finchè l’onda via le travolge, meravigliosi frantumi in un gorgo canoro. La musica vince i discorsi, i vocaboli son fatti di voce; son simboli di suono con un polline vago d’imagini», rimanendo, nel contempo, letteralmente incantato, Boine, da quel tono di «smarrita e decadente musicalità» . . G. Boine, Dino Campana. Canti Orfici, in «La Riviera Ligure», a. XXI, «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» Ed effettivamente, come studi più recenti hanno dettagliatamente dimostrato, quella musicalità di Campana è da ascriversi a un coté decadente, europeo, che Campana rivisita da par suo, in un groviglio di suggestioni, di spunti culturali che trovano in quella musicalità il loro centro gravitazionale, il loro vero senso, il loro vero approdo. Punto, questo, assolutamente decisivo, strategico, per cogliere la direttrice cromatico–musicale della scrittura campaniana, generalmente intesa, in una evoluzione incalzante, progressiva, che fa di Campana un esponente di punta, ma per certi versi anche incompreso, in Italia di quella moderna sensibilità europea. E Campana ha insistito molto su questo carattere musicale della sua poesia. Disse al Pariani, parlando di Piazza Sarzano: «son note musicali che facevo io» e di Toscanità a Bino Binazzi, apparsa nella «Riviera Ligure» nel novembre : «È una fantasia pittorica, sono stati di fantasia. Sono colorismi più che altro. Sono un effetto di colori e di armonia; una armonia di colori e di assonanze» . E la costante ricerca di musicalità, di armonia, che va ben al di là di una questione puramente metrica, prosodica, e dunque tecnica, è il vero focus della scrittura campaniana, il vero reagente con cui le stesse suggestioni, trame artistiche devono necessariamente fare i conti, misurarsi. Si tenga conto, e sono parole che dobbiamo alla generosità di Neuro Bonifazi, che «futurismo e orfismo sono diversi, dal punto di vista filosofico, ma non da quello artistico e letterario di allora, e appartenevano entrambi all’avanguarn° , , pp. bis– bis, in M. Verdenelli — G. Vincenzi, «La sua critica mi ha ridato il senso della realtà». Bibliografia campaniana ragionata dal etc., Roma, EdiLet–Edilazio–Letteraria, , pp. –. . C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana. . . , cit., p. . . Ivi, p. . Per una musicalità di segno avanguardistico dia, con fondamento nietzschiano, orfico–cubista–futurista francese ed europea!. . . E a Campana facevano schifo i futuristi–puttane ed esibizionisti, non la loro pittura. . . Al contrario! (la Fantasia su un quadro di Ardengo Soffici non è una parodia! . . . è una chiave interpretativa)» . Perché un dato che balza subito agli occhi è che se si rimane alle indicazioni ufficiali di Campana sembra quasi che quel moto avanguardistico, nelle sue varie sfaccettature, lo abbia solo sfiorato, laddove invece i debiti, le assimilazioni, le consonanze sono, a dir poco, decisivi nella impaginazione della sua scrittura, col rischio persino di isolare la stessa cifra orfica così pure saldamente inscritta in quel variegato moto avanguardistico. Si pensi solo all’importanza dell’ala orfica sviluppatasi all’interno del cubismo con il Salon des Indépendants nel . Né si può pensare di ridurre quell’influenza artistica in Campana alle poche acquisizioni lessicali («cubico», «cubica») intervenute nel passaggio da Il più lungo giorno () ai Canti Orfici (), laddove quell’apporto risulta invece di carattere più strutturale, e certamente non episodico, insomma di diversa visione della realtà, e la stessa sintassi frantumata, ripetitiva, e insieme musicale, di Campana ne è un segnale inequivocabile. Nello stesso Epistolario, pure ricco di nomi che vengono dalla Europa moderna, non ci sono riferimenti alle due personalità storicamente più accreditate del movimento cubista: Pablo Picasso e Georges Braque, mentre il nome di Paul Cézanne, certamente più laterale . In un recente e intenso scambio epistolare abbiamo avuto modo di approfondire queste questioni con Neuro Bonifazi, cui va il nostro più sincero ringraziamento, uno dei campanisti più accreditati soprattutto per quanto riguarda l’incidenza della lezione nietzschiana nella poesia di Campana. Nel presente lavoro, ci siamo avvalsi perciò di alcuni suoi importanti suggerimenti critici, riportati ovviamente tra virgolette. «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» rispetto alla strada maestra del cubismo, ricorre in un testo, fitto di significative tramature artistiche, come Arabesco — Olimpia. Lo stesso discorso valga per il futurismo, movimento verso cui Campana ha avuto parole, specialmente nelle sue dichiarazioni al Pariani, a dir poco, sferzanti, irriverenti: «Ogni tanto scrivevo dei versi balzani ma non ero futurista. Il verso libero futurista è falso, non è armonico. È una improvvisazione senza colore e senza armonie. Io facevo un poco di arte» . E ancora: «I futuristi li trovavo vuoti» . E riferendosi ad Arabesco — Olimpia: «Cercavo armonizzare dei colori, delle forme. Nel paesaggio italiano collocavo dei ricordi. È una delle mie più belle» . Per non parlare poi del teatro futurista, ancora più deludente, banale, prevedibile, laddove il pubblico risulta essere più spiritoso dell’autore: «Teatro futurista. Scena rovesciata. C’è un morto sulla scena. Si alza, riceve una coltellata, letica, gioca, abbraccia. Questo ci ha fatto pensare ai casi nostri. Si affermava tra i futuristi la genialità dell’idea scenica. Purtroppo il pubblico è più spiritoso dell’autore» (Storie I) . Così come pure altre inequivocabili annotazioni, sempre di segno negativo, si leggono nel Taccuinetto Faentino: «Futuristi se aveste il senso del grottesco se sentiste l’enorme parodia dei fischi della macchina del riso umano» . Tutto ciò contraddetto, tutto questo astio, tutta questa an. C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana. . . , cit. p. . . Ivi, p. . . Ivi, p. . . D. Campana, Canti orfici e altri scritti, a c. di A. Bongiorno, Introduzione di C. Bo, Milano, Mondadori, , p. . . D. Campana, Taccuinetto Faentino, a c. di D. De Robertis, Prefazione di E. Falqui, Firenze, Vallecchi, p. . Per una musicalità di segno avanguardistico tipatia, da importanti assimilazioni, soprattutto in chiave di impaginazione estetica, avvenute nella scrittura campaniana. Perché in Campana c’è anche molto futurismo, forse il futurismo più vero, più autentico, più originale, più europeo, che la letteratura italiana di quel periodo sia riuscita a esprimere. E ancora una volta il punto di profonda distinzione da proclami troppo ufficiali, asseverativi passa da quel tratteggio musicale della parola di Campana, da quella costante ricerca di armonia, vista non come dato secondario, ma come dato funzionale al risultato artistico. Tra l’altro, questa particolare sensibilità per una «poesia europea musicale colorita» non poteva non incrociare altre significative istanze che si stavano elaborando, sempre in campo poetico e pittorico, in Europa. L’estetica di Campana intercetta, come è stato giustamente sottolineato dalla Del Serra, in riferimento a certi scorci di Crepuscolo mediterraneo, discorso che si può estendere in generale alla scrittura campaniana, «il concetto europeo di Klangfarbe teorizzato da Kandinskij proprio in quegli anni: il colore che risuona musicalmente, in senso insieme psichico e spaziale, è usato infatti da Campana come un leitmotiv dinamico, vagamente surreale, e crea alla fine del brano un vero sipario musicale, formato dalla catena luce elettrica–notte–oro–verde metallico–bianco minerale–oro crepuscolare–notte–profumi–accordi» . E ancora, indirizzando il discorso su Piazza Sarzano: «gli stati analogici della materia e del colore hanno un senso più equilibrato, e tendono a riportarsi a una dualità interdipendente di coppie; e cioè, da un lato la dialettica dinamica fra calma lineare e moto vibrante; dall’altro quella cromatica fra il rosa–bianco di luce o d’acqua — che corrisponde alla . M. Del Serra, Evoluzione degli stati cromatico–musicali, cit., p. . «Le vostre parole sono come luce di stella dolce e lontana» calma lineare — e il rosso minerale–verde metallico, che corrispondono al moto vibrante» . E si potrebbe continuare, sempre seguendo il prezioso suggerimento critico della Del Serra, con altri significativi testi: «Attraverso l’onda fonica circolare di Barche amarrate e i toni dissonanti della prosa di Dualismo, il viaggio dell’immagine tocca i leitmotiv sinestetici di Sogno di prigione (il “silenzio di fuoco”, i bianchi e i viola, le “canzoni bronzee” il “blu del sonno” inquadrato pittoricamente in “rabeschi di sbarre bianche”) e poi si ferma nei silenzi argentati di Pampa, che dilatano le presenze e la dimensione psichica del viaggio in direzione spaziale e viceversa. Una nota dissonante è rappresentata dai colori (o suoni) stridenti di Passeggiata in tram in America e ritorno, sospesi fra la musica, la sinfonia sorda e il rombo del mare» . Ed effettivamente la poesia campaniana è continuamente presa, determinata da questo doppio movimento tendente ora alla melodia, ora alla dissonanza, movimento dunque ascendente e discendente, proprio come insegnavano le avanguardie del tempo e che Campana seppe filtrare attraverso le categorie nietzschiane dell’«apollineo» e del «dionisiaco», in una incalzante quanto necessaria costruzione poetica che sembra non conoscere davvero pause, soste. In Campana c’è una dialettica dinamica, quella fra «calma lineare e moto vibrante», che ci sembra davvero riassumere una struttura paradigmatica della sua scrittura. Scrittura sempre saldamente ancorata a riverberi ora di tipo più ascensionale, musicale, melodioso, ora di tipo più discendente, cadenzato, percussivo (come dimostra chiaramente un testo come Batte botte e alcuni passaggi . Ivi, pp. –. . Ivi, p. .