LA COSTRUZIONE NARRATIVA DELL`AZIONE - Padis

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LA COSTRUZIONE NARRATIVA DELL’AZIONE DEVIANTE:
ANALISI DEI CONTENUTI E DELLE STRUTTURE NARRATIVE CON ATLAS.ti
EUGENIO DE GREGORIO
DOTTORATO DI RICERCA IN PSICOLOGIA SOCIALE
DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DEI PROCESSI DI SVILUPPO E SOCIALIZZAZIONE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
COORDINATORE: PROF.SSA LUCIA MANNETTI
TUTOR: PROF. GAETANO DE LEO
DOCENTI ESAMINATORI:
PROF.SSA CRISTINA STEFANILE
PROF.SSA PATRIZIA CATELLANI
PROF.SSA ANNAMARIA MANGANELLI
Abstract:
La tesi ha avuto l’obiettivo di rilevare con metodi qualitativi e narrativi le modalità in cui 34 autori
di reati costruiscono narrativamente la loro azione. Il focus principale era nell’analisi dei contenuti e
delle strutture narrativa con particolare riferimento alla messa a punto di un percorso di ricerca
qualitativa metodologicamente completo e coerente.
Le informazioni ottenute con le interviste narrative sono state analizzate a differenti livelli di
complessità: sono state dapprima ottenute e commentate le mappe concettuali relative ad alcuni
concetti chiave emersi dalle narrazioni e focalizzati su specifici obiettivi teorici, successivamente si
è proposta una verifica delle relazioni strutturali fra le dimensioni narrative al fine di verificare
l’eventuale esistenza di un modello condiviso soggiacente alle narrazioni e trasversalmente alle
interviste secondo due criteri principali: il tipo di reato commesso e l’esperienza dell’autore nel
circuito della devianza: i risultati di quest’ultima fase hanno evidenziato due fenomeni ancora ignoti
nella letteratura sull’argomento: un processo di socializzazione narrativa alla costruzione delle
azioni (in virtù della quale i soggetti esperti costruiscono narrazioni più complete e coerenti dei
soggetti non esperti) e la narrabilità dei diversi reati in funzione della prototipicità di questi nel
senso comune.
Indice
Introduzione
3
CAPITOLO 1 – Le cornici di contesto e i riferimenti teorici
1.
I contesti di riferimento
1.1
Le prospettive teoriche ed epistemologiche
1.2
Gli studi sull’accountability (nei contesti legali)
2.
La costruzione narrativa dell’azione
2.1
La teoria dell’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi
3.
La costruzione narrativa del Sé
3.1
Il posizionamento discorsivo
8
8
8
9
11
14
20
21
CAPITOLO 2 – I metodi e gli strumenti
1.
I metodi qualitativi
2.
Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva
3.
Le interviste qualitative: biografiche e narrative
3.1
Le interviste biografiche
3.1.1 Le autobiografie
3.1.2 Le storie e i racconti di vita
3.1.3 Le interviste narrative
29
29
31
34
35
35
37
39
CAPITOLO 3 – Le analisi delle narrazioni
1.
Le analisi qualitative dei contenuti narrativi
1.1
L’analisi del contenuto classica e la “statistica testuale”
1.2
L’approccio della “Grounded theory”
2.
Le analisi qualitative delle strutture narrative
2.1
La metodologia “Comparative narratives”
2.2
Le strutture profonde delle narrazioni
2.3
La “Event Structure Analysis”
2.4
L’ “Evaluation model”
3.
Contenuti o strutture: integrazione possibile?
44
44
44
45
50
51
52
54
55
58
CAPITOLO 4 – La ricerca
1.
Obiettivi
1.1
La costruzione narrativa in termini di contenuti
1.2
La costruzione narrativa in termini di struttura
2.
Il contatto con gli intervistati
2.1
Il setting e la conduzione delle interviste
3.
La costruzione della traccia d’intervista
4.
Descrizione dei partecipanti alla ricerca
5.
Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti
5.1
La creazione dell’unità ermeneutica
5.2
La codifica delle interviste
5.2
L’aggregazione in “families”
5.3
La verifica delle ipotesi nella ricerca qualitativa: il Query tool di ATLAS.ti
5.3.1 La verifica delle relazioni su una parte dei documenti
60
60
60
61
62
62
63
68
71
72
74
76
78
81
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 6.
6.1
6.1.1
6.2
6.2.1
6.3
6.4
I risultati
I contenuti narrativi
I temi ricorrenti
Le strutture narrative: presenza delle dimensioni
Le strutture narrative: verifica delle relazioni e del modello
Le relazioni specifiche per categorie di reati e per anni di esperienza
Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa?
81
81
81
109
110
118
129
7.
I criteri di validità e attendibilità nella ricerca qualitativa
134
8.
Conclusioni e implicazioni
141
Bibliografia
146
Appendice A
Appendice B
Appendice C
Appendice D
Appendice E
Appendice F
Appendice G
161
162
170
171
172
173
175
2
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Introduzione
- Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
- Niente, - le risposi, - mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo avverto un certo
dolorino.
Mia moglie sorrise e disse: - Credevo che ti guardassi da che parte ti pende.
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:
- Mi pende? A me? Il naso?
E mia moglie placidamente: - Ma sì, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra.
Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente,
come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel
che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo
deforme: che cioè sia da sciocchi invanire le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel
difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo. Vide forse mia moglie molto più addentro di me in
quella stizza e aggiunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi
pure, perché il naso mi pendeva verso destra, così…
- Che altro?
Eh, altro! altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circonflessi, ^ ^, le mie orecchie
erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri difetti…
Eh sì, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nella gambe (no, storte no!), la destra, un pochino più arcuata
dell’altra: verso il ginocchio, un pochino.
Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allora, scambiando certo per
dolore e avvilimento la meraviglia che ne provai subito dopo la stizza, mia moglie per consolarmi
m’esortò a non affligermene poi tanto, ché anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo.
Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ciò che come diritto ci è stato prima negato.
Schizzai un velenosissimo «grazie» e, sicuro di non aver motivo né d’addolorarmi né d’avvilirmi, non
diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero
vissuto senza mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracciglia e quelle orecchie, quelle
mani e quelle gambe; e dovevo aspettar di prender moglie per aver conto che li avevo difettosi.
Così Luigi Pirandello inizia a descrivere le vicende di Vitangelo Moscarda, il protagonista
di Uno, nessuno e centomila: a lui l’Autore affida le riflessioni sul concetto di sé e sul senso
di identità personale che – a partire da una definizione altrui (quella della moglie) – innesca
meccanismi di attribuzione, di giustificazione, di strategie retoriche di autopresentazione.
Pirandello anticipa le correnti più recenti della psicologia culturale e dell’interazionismo
simbolico: la letteratura precorre le scienze umane ed evidenzia gli aspetti di costruzione
sociale dell’identità individuale; da questo momento in poi, anche le azioni di Vitangelo
Moscarda dipendono da questa definizione.
Analogamente, l’attribuzione sociale da parte degli altri di aver commesso un crimine
ingenera nell’autore meccanismi di riflessione e di rendicontazione di tali eventi che - sebbene
non siano letterariamente comparabili con la grottesca, tragica, narrazione di Moscarda - sono
esemplificativi di un “modus narrandi” condiviso; questa è l’ipotesi abbiamo cercato di
tradurre nella ricerca che verrà presentata nelle prossime pagine: che ci siano contenuti e
strutture condivise nella narrazione di eventi criminosi e che gli attori principali di tali eventi i detenuti - condividano una loro “cultura del resoconto” che abbiamo cercato di delineare; in
questo senso, l’attribuzione di identità deviante operata dagli altri incontra (talvolta si scontra,
altre volte completa) la descrizione di Sé e della propria azione operata dal protagonista. A
tali costrutti ci siamo riferiti nei termini delle recenti formulazioni della Teoria del
posizionamento discorsivo (cap. 1 § 3.1).
Gli obiettivi di conoscenza sono stati perseguiti facendo esplicitamente riferimento agli
approcci costruttivisti e narrativi: è evidente che essi non esauriscono il panorama delle
prospettive degli studi sulla narrazione dell’azione e di Sé, ma in questa sede abbiamo operato
3
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante una scelta (fra le molte che saranno descritte nel corso del lavoro), quella di eleggere un punto
di vista specifico e di impostare un disegno di ricerca qualitativa coerente con esso.
È proprio sulla base della coerenza fra obiettivi, metodi e scelte relative all’intero percorso
e all’impostazione della ricerca che un progetto di questo tipo può essere valutato, com’è stato
autorevolmente sostenuto in ambito nazionale (Mantovani, 2003) e internazionale (Seale,
1999; Silverman, 2000; Steinke, 1999).
La struttura del lavoro comprende una prima sezione teorica: in essa vengono illustrate le
prospettive teoriche ed epistemologiche che, negli ultimi mesi, hanno fatto da cornice al mio
lavoro di studio e ricerca (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a,b). La maggior parte dei
riferimenti ruotano intorno al lavoro compiuto nel corso degli ultimi 30 anni dal prof. Rom
Harré con cui ho avuto il piacere di intrattenere una corrispondenza formativa e motivante.
Nel secondo capitolo, ho provato a illustrare il percorso logico che mi ha portato a
scegliere l’impostazione metodologica per la ricerca: coerentemente con le cornici teoriche ed
epistemologiche di riferimento, la mia attenzione si è rivolta ai metodi qualitativi e, in
particolare, all’intervista narrativa. Nel secondo capitolo ho provato a descrivere al lettore il
percorso concettuale che mi ha portato a effettuare tali scelte.
Analogamente, per quanto riguarda la scelta dell’approccio all’analisi delle informazioni
rilevate con le interviste narrative, nel terzo capitolo ho descritto le strategie di analisi
disponibili nel panorama della ricerca nazionale e internazionale: in questa sezione, in
particolare, ho provato a evidenziare l’importanza di considerare le narrazioni come testi
analiticamente complessi, cioè come fonti di informazioni sia rispetto ai contenuti che
veicolano sia per gli aspetti strutturali/linguistici. I due ambiti (le analisi dei contenuti
narrativi e quelle delle strutture narrative), infatti, non sono stati - a mio avviso adeguatamente e proficuamente integrati in nessun settore della ricerca psicologica e
psicologico-sociale. Ne è prova il fatto che quasi tutti i riferimenti bibliografici citati
afferiscono ad aree diverse dalla psicologia sociale: la sociologia, la sociolinguistica,
l’antropologia culturale. Il capitolo si chiude con una proposta di analisi integrata contenutistrutture che viene attuata nel quarto e ultimo capitolo. In esso, la ricerca condotta viene
descritta ampiamente: dall’articolazione degli obiettivi (generali e specifici), al contatto con
gli intervistati fino all’analisi delle informazioni condotta (e illustrata in maniera dettagliata)
con il programma ATLAS.ti; in questa sezione, in particolare, mi fa piacere evidenziare la
funzione innovativa che il lavoro condotto può assumere, non tanto (o non solo) per l’utilizzo
del programma in sé stesso, ma per la proposta di strategie di analisi specifiche, di raffinate
soluzioni e scelte tecniche, di modalità di reporting dei risultati.
A conclusione, l’ampio corredo bibliografico (completato con riferimenti relativi ad altri
settori delle scienze umane e sociali) che spero sia utile a quanti, da questo momento in poi,
siano interessati a intraprendere percorsi di ricerca analoghi augurando loro di ritrovarvi
altrettanta motivazione, interesse e soddisfazione. A questo riguardo mi fa piacere sottolineare
il fondamentale contributo delle principali biblioteche d’area psicologica (di Padova, Milano,
Torino, Firenze), senza i loro prestiti interbibliotecari la ricerca non sarebbe nemmeno
iniziata: senza lo staff della biblioteca interdipartimentale di psicologia “E. Valentini” di
Roma non avrei mai imparato, già a partire dalla tesi di laurea, a fare una buona ricerca
bibliografica.
Così, se qui inizia (come spesso succede alla fine della sezione introduttiva) la parte dei
ringraziamenti è bene che il lettore sappia che il contributo da molti fornito al lavoro che ho
svolto non sarebbe affatto sintetizzabile in poche righe né in uno (sterile) elenco di nomi: non
sarebbe sintetizzabile in poche righe la stima, l’affetto e il rispetto reciproco che mi legano a
Gaetano De Leo e a Patrizia Patrizi; non lo sarebbe la fiducia e il sostegno nell’ombra della
mia famiglia; non lo sarebbe l’amicizia e la complicità che mi lega a Francesca Mosiello, a
Francesca Vitale, a Silvia Landi e ad Anna Bussu; non lo è per la fattiva collaborazione del
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (specificamente nella persona del dott.
4
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Roberto Felici) e della Direzione dell’Istituto Penale “Regina Coeli” di Roma né per il
contributo imprescindibile di Margherita Marras e Barbara Santoni. Senza il lavoro
preliminare di Melania Marini l’esordio dell’indagine sarebbe stato più difficile.
Non sarebbe sintetizzabile in poche righe neppure la gratitudine verso Alessandra Fasulo,
per i suoi illuminanti, adeguati e tempestivi suggerimenti in ogni parte della ricerca, né a tutto
il Collegio dei docenti del XVII ciclo del dottorato in Psicologia sociale.
E non sarebbe possibile chiudere senza un abbraccio a tutti i ragazzi che hanno voluto
condividere con me le loro storie.
A tutti loro va - senza retorica - il più vivo ringraziamento.
5
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante All’inizio del dottorato ho condiviso l’entusiasmo con te,
vicino o lontano c’eri sempre tu;
i tre anni di faticoso lavoro sono stati condivisi con te,
vicino o lontano ci sei sempre tu;
Da adesso in poi, vicino a me ci sarai sempre tu.
6
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Background teorico
Aprii gli occhi. Che vidi? Niente. Mi vidi. Ero io, là, aggrondato, carico del mio stesso pensiero, con un viso molto disgustato. M’assalì una fierissima stizza e mi sorse la tentazione di tirarmi uno sputo in faccia. Mi trattenni. […] Ah, finalmente! Eccolo là! Chi era? Niente era. Nessuno. […] Chi era colui? Nessuno. Un povero corpo, senza nome, in attesa che qualcuno se lo prendesse. (L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila). 7
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Capitolo 1 - Le cornici di contesto e i riferimenti teorici
1. I contesti di riferimento
Ci sembra utile iniziare la trattazione dello studio che abbiamo condotto facendo alcuni
brevi cenni alle prospettive di base che – dal punto di vista epistemologico – danno una
chiave di lettura per le attività di ricerca.
Come si sa, la scelta di un approccio epistemologico a un dato fenomeno sociale indica (e
implica) una modalità di relazionarsi con l’oggetto di studio: nello scegliere una prospettiva, il
ricercatore implicitamente comunica quale immagine ha della realtà sociale e in che termini
ritiene di porsi rispetto al proprio oggetto di studio.
1.1 Le prospettive teoriche ed epistemologiche
A costo di semplificare eccessivamente proponiamo la classica esemplificazione fra
positivismo e costruttivismo al fine di delineare con chiarezza (attraverso l’approfondimento
del secondo) quale è il contesto di riferimento nel quale abbiamo scelto di collocarci.
Gli approcci variamente rifabili al positivismo (e alle sue riformulazioni più recenti) hanno
chiaramente dichiarato di preferire una lettura della realtà sociale come oggettivamente
conoscibile: il ricercatore e l’oggetto della ricerca fanno parte di due universi ontologicamente
separati e la realtà esiste esterna al sistema cognitivo del ricercatore e a prescindere dalle
forme di conoscenza impiegate da questo (Harré, 1989a).
Al contrario, chi afferisce a un approccio costruzionista valorizza una prospettiva secondo
cui il ricercatore esclude a priori qualunque ipotesi di “realismo” (o “oggettivismo”: esclude
cioè che esista una realtà esterna oggettivamente conoscibile). Contro l’artificiosità della
ricerca di laboratorio, i costruttivisti1 prendono spunto dall’antropologia e propongono di
entrare - letteralmente - nel contesto che stanno studiando, di incontrare i partecipanti alla
ricerca nel loro contesto di vita (la scuola, la famiglia, l’azienda o – come descriveremo nel
corso di questo lavoro – i contesti detentivi). Secondo questi approcci (l’uso del plurale
dipende dalla consapevolezza delle articolazioni interne alla prospettiva più generale),
l’obiettivo della ricerca sociale e psicologica è la comprensione dell’oggetto-nel-contesto, non
la formulazione di leggi generali in forma di ipotesi “se… allora…”:
ciò che prendiamo per conoscenza oggettiva e vera è il risultato del punto di vista. Conoscenza e verità sono
create, non scoperte nella mente. [I costruttivisti] enfatizzano la natura pluralistica e plastica della realtà:
pluralistica, nel senso che la realtà si può esprimere in una varietà di simboli e sistemi linguistici; plastica, nel
senso che essa è adattata e modellata alla luce degli obiettivi di agenti umani dotati di intenzionalità (Schawandt,
1994, p. 125).
Nel quarto capitolo descriveremo come i partecipanti alla ricerca abbiano chiaramente
indicato di preferire raccontare i reati che hanno commesso e il percorso di carriera nella
devianza a un ricercatore: dichiaravano apertamente di non voler relazionarsi in tal senso con
nessuna delle figure che a vario titolo erano deputate a raccogliere la loro voce (avvocati,
magistrati, assistenti sociali) in quanto ritenevano che solo con una persona totalmente esterna
1
Vedremo più avanti che la stessa categoria generale può essere messa in discussione in funzione delle sue articolazioni
interne.
8
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante al contesto carcerario potevano sentirsi liberi di raccontare il loro punto di vista senza
costrizioni di sorta. Questa breve anticipazione descrive chiaramente in che termini
intendiamo valorizzare una prospettiva costruttivista allo studio dell’azione deviante: i ragazzi
che abbiamo incontrato nelle sezioni di Regina Coeli e di Rebibbia hanno ricostruito con il
ricercatore una loro immagine della realtà che hanno vissuto indipendentemente da cosa il
sistema giudiziario abbia accertato essere “vero”: evidentemente, l’obiettivo che siamo posti
non era relativo all’accertamento della verità processuale, ma era piuttosto orientato a rilevare
le costruzioni soggettive, le attribuzioni di senso, l’unicità della prospettiva degli attori che
aveva attuato azioni giuridicamente e socialmente ritenute “devianti”.
Come riporta Schwandt (1994), la prospettiva costruttivista ha subito delle revisioni in un
duplice senso: da una parte, una radicalizzazione dovuta al lavoro di Ernst von Glaserfeld
secondo il quale «non si può conoscere una cosa come indipendente e oggettiva totalmente
staccata dalla nostra esperienza di quella stessa cosa. Quindi, non possiamo parlare di
conoscenza di qualcosa come rappresentazione corrispondente, come uno specchio, di quel
mondo» (Schwandt, 1994, p. 127); dall’altra, la proposta di Gergen (1985) amplia la
prospettiva: la conoscenza dei fenomeni sociali è un processo tutt’altro che individuale, esso
invece vede la compartecipazione di una molteplicità di attori. Questa prospettiva, nota come
“socio-costruzionismo”, implica che
i resoconti sul mondo hanno sede nei sistemi condivisi di intelligibilità – solitamente nei testi orali o scritti.
Questi resoconti non sono visti come espressioni esterne ai processi interni del parlante (quali cognizioni o
intenzioni), ma come espressione delle relazioni fra persone (Gergen, 1985, p. 78 cit. in Schwandt, 1994).
Questa revisione dell’approccio costruttivista è stata approfondita dagli esponenti della c.d.
“psicologia dialogica” (Shotter, 1995): a partire dai quotidiani flussi di comunicazione,
l’attenzione viene spostata all’analisi delle funzioni del parlato in contesti specifici. Nel
secondo capitolo approfondiremo la trattazione degli approcci discorsivi nella ricerca
psicologica; adesso ci preme evidenziare la natura che il linguaggio (la comunicazione, in
senso lato) assume: esso viene definito come uno strumento, un mezzo, che consente agli
individui di perseguire specifici obiettivi. Questo uso del linguaggio implica una convergenza
fra azioni di attori diversi:
nelle nostre negoziazioni e contese momento per momento con altri con cui sia coinvolti [in situazioni comuni],
continuiamo a interagire fino alla costruzione di un risultato che sia soddisfacente per tutte le parti. Nel fare
questo, invece di agire esclusivamente come individui isolati […], dobbiamo anticipare quello che gli altri
possono fare o dire in risposta a ciò che noi facciamo o diciamo. In altre parole, gli individui non sono entità
isolate, ma occupano situazioni condivise (Shotter, 1995, p. 166).
1.2 Gli studi sull’accountability (nei contesti legali)
Già da queste prime pagine, è evidente come costruire narrativamente un’azione deviante
significhi necessariamente dover render conto di un comportamento contrario a un sistema
normativo (formale e/o informale) vigente. In tal senso, diventa centrale lo studio delle
argomentazioni (in termini di contenuto) e delle strategie retoriche (in termini discorsivi) - che
a partire dalle pionieristiche ricerche di Scott e Lyman (1968) e di Semin e Manstead (1983) –
sono utilizzate da un attore (detto “accounter”) per assumersi o, al contrario, spostare da sé la
responsabilità a lui attribuita da un altro (detto “reproacher”)2. Buttny (1993) chiama
“funzione trasformativa” (o “riparativa”) la caratteristica prettamente discorsiva degli account
orientata a modificare - appunto - una valutazione altrui negativa3.
2
Scott e Lyman hanno chiamato questo scambio di accuse e difese “valutative inquiry”, evidenziando la funzione valutativa nei confronti di chi ha commesso l’azione riprovevole - del contesto rappresentato dall’accusatore (Cody e McLaughlin,
1990, p. 227).
3
Per la contestualizzazione dell’accontability nelle situazioni di “rottura” delle routine interattive si vedano Semin e
Manstead (1983) e Hewitt (1996, trad. it. 1999).
9
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante La necessità per l’accounter di instaurare un circuito discorsivo di questo tipo è dovuta alla
necessità di mantenere una positiva immagine di sé (Wetherell e Potter, 1989), di evitare (o
comunque allontanare il più possibile) le attribuzioni negative (Semin e Manstead, 1983;
Felson e Ribner, 1981), di riparare i conflitti relazionali causati dall’evento critico (Bies,
Shapiro e Cummings, 1988): tali obiettivi (come è stato ampiamente dimostrato) vengono
perseguiti attraverso strategie discorsive che – nelle formulazioni più recenti – sono vicine
alle tecniche “neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza, 1957; Fritsche, 2002) e ai
meccanismi di “disimpegno morale” (cfr., fra le tante fonti, Bandura, 1997; 1999) di cui
parleremo diffusamente in seguito.
Scott e Lyman (1968) hanno identificato due categorie di account:
‐ le scuse, con cui l’accusato ammette di aver causato un danno ma nega di esserne
pienamente responsabile,
‐ le giustificazioni, con cui ci si assume la responsabilità di un’azione sanzionabile, ma si
nega la sua effettiva gravità o, addirittura, se ne evidenziano le conseguenze positive.
Questa categorizzazione ha avuto, nel corso degli anni, diverse rivisitazioni, conferme
empiriche in vari contesti e significativi ampliamenti fra i quali sottolineiamo quello operato
da Schönbach (1980) che ha introdotto il concetto di “sequenze di account” (evento
riprovevole, accusa della parte offesa, account dell’attore “deviante”, valutazione della
validità dell’account) e due forme discorsive aggiuntive a quelle proposte da Scott e Lyman:
‐ le concessioni: l’attore semplicemente ammette le proprie responsabilità,
‐ il diniego: si nega con forza qualsiasi attribuzione di responsabilità e anzi, talvolta, si
nega l’autorità dell’accusatore.
Il collegamento fra responsabilità e accountability è infatti uno degli aspetti che meritano
maggiore attenzione: come ha efficacemente sottolineato Buttny (1993), attribuire a sé
(versione autoresponsabilizzante) o ad altri, oppure a cause esterne non controllabili (versione
autoassolutoria) ha immediate implicazioni pratiche sulle azioni e sulle interazioni:
in qualità di individui agenti, noi di solito conosciamo meglio di altri le condizioni, le circostanze e i vincoli
delle nostre azioni. Queste “condizioni”, se veicolate attraverso i resoconti e combinate con conoscenze
condivise, possono trasformare il significato degli eventi. L’evento può essere “visto differentemente” per la
riconfigurazione delle sue condizioni soggiacenti, o per le circostanze precedentemente sconosciute o
sottovalutate (Buttny, 1993, p. 5).
In questo senso, la responsabilità diventa un “gioco discorsivo”, una versione più o meno
plausibile dei fatti, una dialettica fra attribuzioni, intenzioni, attori coinvolti, cause interne ed
esterne: «nel costruire un resoconto un attore può far riferimento a una ampia gamma di
condizioni contestuali e precedenti che possono alterare la comprensione e la valutazione
dell’episodio in questione» (ibidem, p. 6) con evidenti implicazioni in termini di attribuzione
di responsabilità. Il significato degli eventi diventa una questione di “punto di vista”,
interattivamente negoziabile.
L’accountability è dunque una pratica discorsiva diretta a porre in una luce diversa l’attore
e, in ultima analisi, lo facilita ad allontanare da Sé la responsabilità di aver compiuto
un’azione sanzionabile.
Un altro collegamento importante si può fare fra il resoconto e la narrazione: le forme di
giustificazione, di scusa, di diniego e di autocolpevolizzazione assumono infatti una forma
narrativa in quanto sono sempre inseriti in contesti discorsivi caratterizzati da dimensioni e
vincoli spaziali e temporali. Dare una struttura logica agli eventi, argomentare le cause e le
conseguenze delle azioni e ridefinire le relazioni passate e future impone all’attore (come
vedremo più approfonditamente nel cap. 2) di organizzare i contenuti secondo una forma
narrativa (Sarbin, 1986a): l’account è dunque una narrazione che può, a sua volta, essere
inserita in una storia più ampia.
Complessivamente, la ricerca ha consolidato alcuni risultati significativi: gli account che si
sviluppano in contesti interattivi assumono una forma canonica nella quale la sequenzialità
10
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante evento - - accusa - - account - - valutazione è soggetta ad articolazioni dipendenti dai contesti
specifici (Cody e McLaughlin, 1988; 1990).
Per quanto riguarda - in particolare - i contesti legali, Danet (1990, p. 538) ha sostenuto
che «ci sono grandi differenze nei temi studiati, nei fondamenti teorici, nei metodi di ricerca e
nella rilevanza dei settori specifici per l’applicazione a contesti sociali». Bisogna ricordare
che questo tipo di ricerca ha visto la prevalenza del processo penale come contesto
privilegiato: in tale settore, sono stati fondamentali i contributi di O’Barr (1983), Atkinson e
Drew (1979), Drew (1985), Penman (1987) e Drew e Heritage (1993). Si tratta di studi
pionieristici, dalla forte valenza applicativa, che hanno privilegiato una prospettiva
sociolinguistica, discorsiva e/o conversazionalista.
Dal punto di vista strettamente metodologico, gli studi citati hanno privilegiato un
approccio quantitativo ai dati coerentemente con l’obiettivo di spiegare le relazioni fra
costruzioni discorsive specifiche, variabili contestuali e personali degli attori (Cody e
McLaughlin, 1988; Antaki, 1985; 1988; Bies e coll., 1988; Riordan, Marlin e Kellogg, 1983;
Felson e Ribner, 1981)4.
Con particolare riferimento ai nostri interessi bisogna sottolineare tuttavia che il contesto
carcerario è stato trascurato, probabilmente per i problemi di accessibilità che (per ragioni di
riservatezza e di sicurezza) il ricercatore incontra5.
Terminano qui i brevi riferimenti agli studi sull’accountability: essi hanno avuto l’obiettivo
di delineare un contesto; nelle prossime pagine faremo spesso riferimento ai concetti espressi
in questo paragrafo: si tratterà di collegamenti necessari, dovuti all’importanza delle strategie
di rendicontazione dell’azione che - sebbene non centrali rispetto ai nostri obiettivi - ne
costituiscono un momento di confronto imprescindibile.
2.
La costruzione narrativa dell’azione
Le premesse di contesto appena descritte lasciano emergere e avvalorano la nostra ipotesi
per lo studio dei modi in cui l’azione deviante penalmente sanzionabile viene narrativamente
(ri)costruita dall’autore al fine di presentarla (e in ugual modo presentare sé stesso) in maniera
socialmente accettabile o, quanto meno, passibile di sanzioni meno pesanti. Riteniamo infatti
che le prospettive descritte nel paragrafo precedente (gli approcci discorsivi e
conversazionalisti), seppure specificamente orientati a rilevare le strategie di rendicontazione
e giustificazione utilizzate, lascino per lo più in secondo piano i complessi meccanismi di
costruzione narrativa vera e propria: in altre parole, focalizzandosi sulle interazioni in cui era
espressamente richiesta una spiegazione delle ragioni e delle cause per l’aver compiuto
un’azione riprovevole, gli studi citati hanno finito col focalizzarsi su un ambito, a nostro
avviso, ristretto, quello della “botta e risposta”, dello scambio dialogico “punto per punto”
(come se gli attori in quel momento coinvolti nel processo discorsivo fossero metaforicamente - paragonabili a due tennisti impegnati in uno scambio). La loro unità di
analisi minima analizzabile è, più esattamente, il turno specifico nel quale – come abbiamo
descritto – si succedono rapide sequenze “evento - - accusa - - account - - valutazione” (Cody
e McLaughlin, 1988; 1990; Scott e Lyman, 1968; Semin e Manstead, 1983).
Per queste ragioni abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzione su obiettivi di più
ampio respiro – la ricerca sulle narrazioni riferiti a contesti non inquisitivi - e su unità
d’analisi6 (le costruzioni narrative, appunto) meno ancorate alla richiesta contingente di una
4
In lingua italiana si veda - ad esempio - Mannetti, Catellani, Fasulo e Pajardi (1991).
Fanno eccezione pochi studi, fra i quali – come descriveremo dettagliatamente in seguito – riveste particolare interesse
quello di O’Connor (1994; 1995).
6
Più avanti nel corso di questo lavoro, illustreremo con maggiore precisione cose abbiamo inteso con “unità di analisi”.
5
11
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante “giustificazione” vera e propria7. Come descriveremo nel cap. 4, la richiesta di raccontare
liberamente il proprio punto di vista, l’azione come si è svolta senza condizionamenti o
censure ha prodotto argomentazioni e temi che non sono direttamente e completamente
riconducibili a un approccio giustificazionista. Dal punto di vista metodologico, si tratta,
come è evidente, di una proposta che si affianca (senza pretesa di sostituzione) a quelle
esistenti e proprio in ragione di questa continuità logica riteniamo opportuno iniziare la
descrizione dei modelli teorici di riferimento a partire dalla letteratura di afferente agli
approcci discorsivi per spostarci poi sugli approcci interazionisti e interpretativi.
Facendo riferimento agli approcci riferibili alla psicologia discorsiva, si prefigura una
divaricazione in quanto la costruzione narrativa dell’azione è essa stessa un’azione: il
principale riferimento teorico è dato dal DAM (Discoursive Action Model) proposto da
Edwards e Potter (1992) nell’ambito degli studi sulla memoria e sull’attribuzione causale. Si
tratta di un insieme di principi (più che di una teoria vera e propria) secondo i quali - come
scrivono De Grada e Bonaiuto (2002) - i contenuti di cui si parla, in una situazione discorsiva,
(spiegazioni di eventi, resoconti di esperienze, etc.) non sono prodotti sulla base di processi
psicologici esclusivamente intraindividuali, ma sono «retoricamente costruiti per servire scopi
pratici, interpersonali o sociali, e perciò costituiscono azioni» (ibidem, p. 158)8. I fenomeni e
processi psicologici avrebbero, secondo questo approccio, una realtà differenziata a seconda
degli eventi conversazionali in cui sono inseriti: in un processo penale o in un’intervista
sull’azione deviante, la costruzione dell’azione va incontro a criteri di plausibilità mediante i
quali lo stesso discorso viene impostato in maniera da soddisfare tali criteri: convincere gli
altri della veridicità della propria versione dei fatti, allontanare da sé la responsabilità,
accusare altri. La costruzione vera e propria, inoltre, si serve di dispositivi retorici9 che
agevolano il processo di rappresentazione dell’accaduto come un quadro fedele della realtà: si
tratta (come è evidente da quanto scritto fino a ora) di manovre persuasive che tuttavia
rinforzano l’idea di un apparato concettuale e metodologico specificamente adatto per lo
studio dei processi persuasivi, piuttosto che della costruzione ordinaria, colloquiale, degli
eventi.
Analogamente, la proposta di Harré e Gillett (1994) si colloca nel panorama della
cosiddetta “svolta discorsiva” allo studio dei processi psicologici (ne parleremo
approfonditamente nel cap. 2 § 2), ma - a differenza dei rappresentanti del DAM - gli Autori
propongono una rivalutazione del ruolo del soggetto che produce la narrazione nei termini di
“agentività” (o capacità di agire) all’interno di una costruzione discorsiva e di intenzionalità
della riproduzione dell’azione non necessariamente confinata in un obiettivo persuasivo.
Secondo Harré e Gillett (1994), la valutazione dell’evento e della ricostruzione operata dal
soggetto che l’ha attuata deve essere fatta con riferimento al contesto specifico in cui si è
svolta. Senza tale riferimento, si perderebbe il significato che effettivamente l’azione ha avuto
nel momento in cui si sono svolti i fatti: per questa ragione, una ricostruzione operata in
tribunale ha necessariamente un carattere artificioso perché prodotta in un contesto differente
(Bruner, 2002) nel quale oltretutto gli obiettivi specifici della ricostruzione stessa sono
riferibili alla necessità di evitare una pesante condanna e/o allontanare da sé parte della
responsabilità, riparare la propria immagine da eventuali attribuzioni negative: «il compito
delle teorie discorsive dell’azione è perciò reinserire il soggetto agente nella storia, l’unico
che inizia l’azione, l’unico che, in qualche modo, ha un ruolo cruciale nell’attribuire
significati a ciò che fa e a ciò che è» (Harré e Gillett, 1994, trad. it. 1996, p. 128). Il concetto
di “agentività” è qui proposto nel senso di capacità dell’individuo di riposizionarsi al centro
del proprio universo di significati che comprende l’azione su cui è chiamato a rispondere o
l’identità che intende assumere (De Fina, 2004). Più avanti (e nel corso dell’intero lavoro)
7
Si tratta di un rilievo critico che è mosso anche da O’Connor (1995), in uno studio che descriveremo approfonditamente più
avanti.
8
Sullo stesso argomento si veda anche Melucci (2001).
9
Per una dettagliata analisi i tali dispositivi rinviamo a De Grada e Bonaiuto (2002).
12
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante questo concetto sarà ripreso più volte secondo una duplice accezione: da una parte quella, che
abbiamo appena descritto, di azione intenzionale nel contesto della rievocazione (Harré,
1995b) e dall’altra – secondo una definizione tradizionale e più consolidata - nel senso di
assunzione della responsabilità e della capacità d’agire individuale rispetto all’azione
specifica nel momento in si è svolta (Bandura, 1986).
In entrambe le situazioni, ci troviamo dinnanzi a formulazioni a posteriori operate in
contesti specificamente deputati alla ricostruzione di versioni plausibili di eventi (Bruner,
1991; 2002), secondo criteri e modelli che descriveremo nel cap. 2.
O’Connor (1994; 1995) si è dedicata specificamente allo studio delle costruzioni narrative
di azioni devianti operate in contesti in cui non veniva espressamente richiesto un account,
una giustificazione. La ricercatrice ha effettuato 19 interviste in carceri degli Stati Uniti: si
trattava dunque di una situazione “colloquiale” in cui un detenuto sceglie, dapprima, di
incontrare un ricercatore e, successivamente, di raccontare e raccontarsi in forma libera, non
vincolata da tempi e domande pressanti, né da costrizioni giuridiche, senza il rischio di
instaurare situazioni tendenti alla conflittualità:
Diversamente dai discorsi formulati in tribunale, dove le sequenze domanda-risposta elicitano fatti criminosi, il
discorso prodotto nelle narrazioni autobiografiche studiate in questa sede è meno diretto e più aperto, e consente
ai detenuti di riferire con lunghi passaggi narrativi (O’Connor, 1995, p. 430).
Oltre alla condivisione di queste osservazioni, le ragioni di interesse della ricerca di
O’Connor sono molte:
‐ l’utilizzo di narrazioni autobiografiche orientate a cogliere il punto di vista dei
protagonisti dell’evento (cfr. cap. 2),
‐ il riferimento ai temi dell’agentività e della assunzione di responsabilità (di cui
abbiamo parlato in precedenza e che riprenderemo nel cap. 4),
‐ il collegamento fra i concetti di “agency” e “posizionamento discorsivo” (quest’ultimo
sarà approfondito nel § 3.1 in questo capitolo) che riprenderemo alla fine di questo
percorso di ricerca, parlando dei risultati e delle loro implicazioni operative.
L’agentività, in particolare, è stata operazionalizzata dall’Autrice facendo riferimento a un
ideale continuum di ammissione e assunzione di responsabilità: a un estremo, si collocano le
narrazioni prodotte dai soggetti che cercano di spostare le attribuzioni negative fuori dalla
propria persona (“deflecting agency”); all’altro polo, si trovano coloro che si assumono
pienamente la responsabilità delle azioni che hanno compiuto (“claiming agency”); ci sono
poi una serie di strategie intermedie proprie di chi prova a “problematizzare”, a contrattare,
l’attribuzione di responsabilità (“problematizing agency”). Si tratta, a nostro avviso, di
un’utile tripartizione (e, in generale, la valutazione può essere estesa all’impostazione di
ricerca) che - pur nella sua semplicità - ha un’evidente funzione euristica per almeno due
ragioni: in primo luogo, ci consente di collegare stabilmente il concetto di agentività
all’imputazione di responsabilità penale; inoltre, la gradazione in livelli differenti di
ammissione di responsabilità favorisce una maggiore analiticità nell’analisi delle produzioni
narrative in correlazione con altri aspetti dei resoconti narrativi: è ragionevole cioè supporre
che una dislocazione della responsabilità totalmente all’esterno (o un tentativo di mediare le
attribuzioni negative pur riconoscendo le proprie colpe) si colleghi a uno stile narrativo (in
termini di contenuti e di struttura delle argomentazioni, come descriveremo nei capp. 3 e 4)
specifico che comprende altri aspetti specifici relativi, ad esempio, alla descrizione
dell’azione in sé, alle intenzioni, alle dimensioni del posizionamento attuale e retrospettivo, al
tipo di reato commesso e così via.
2.1 La teoria dell’azione e l’anticipazione degli effetti comunicativi
Un utile spunto di riflessione (rispetto alla costruzione narrativa dell’azione deviante e allo
sviluppo del progetto di ricerca che abbiamo condotto) arriva dal modello teorico della Goal
Directed Action (GDA o Teoria dell’Azione), secondo la formulazione originaria di Mario
13
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante von Cranach e Rom Harré (1982; von Cranach, Kalbermatten, Indermülhe e Gugler, 1982;
von Cranach e Valach, 1983).
È bene precisare subito che la proposta degli Autori non è riconducibile direttamente alle
costruzioni narrative (così come i modelli precedenti), ma si tratta di un riferimento che in
lavori precedenti di questo tipo (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a; De Leo e Patrizi,
1992; 1999) e in contesti clinici (De Leo, 1995; De Leo, Bosi, e Curti Gialdino, 1986; De Leo
e Bollea, 1984) si è dimostrato euristicamente fecondo: sulla base di tali evidenze abbiamo
infatti ritenuto utile strutturare la traccia di intervista narrativa utilizzata in questa ricerca e
che verrà descritta in dettaglio nel quarto capitolo (§ 2). Come vedremo in questo paragrafo la
sua funzione applicativa in tale contesto è rilevabile in particolare con riferimento a una delle
tre dimensioni, quella dei significati sociali, maggiormente implicata nei processi ricostruttivi
e attributivi sul senso delle azioni devianti. Per contestualizzare adeguatamente questa
implicazione ci sembra utile accennare brevemente alle caratteristiche salienti dell’intero
modello, rimandando il lettore al quarto capitolo per una dettagliata argomentazione della sua
applicazione alla strutturazione della traccia di intervista narrativa.
Secondo le formulazioni originarie, l’azione umana è rappresentabile - a fini didattici e
divulgativi - con un “triangolo concettuale” (figura 1), composto dalle seguenti dimensioni: il
comportamento manifesto, la cognizione (cosciente), il significato sociale.
Fig. 1: Rappresentazione grafica del modello Goal Directed Action (fonte: von Cranach e Harré, 1982; adattato
da De Leo e Patrizi, 1992)
Il Teorema dell’azione chiarisce le interazioni fra le tre dimensioni:
Nell’agire finalizzato (nell’associazione di azioni) il comportamento manifesto è guidato (parzialmente) da
cognizioni coscienti, che a loro volta sono (in parte) di origine sociale; in tal modo la società, attraverso il
controllo delle cognizioni, (parzialmente) produce e controlla l’agire dell’individuo, che, d’altra parte, attraverso
le proprie azioni, modifica le strutture sociali (von Cranach e Ochsenbein 1994, p. 80).
Il modello enfatizza l’orientamento all’obiettivo dell’azione: il concetto di “obiettivo” è
centrale perché gli scopi sono presenti in tutte le azioni, in quelle più complesse come in
quelle automatiche e non-intenzionali (Bargh e Chartrand, 1999; Bargh e Ferguson, 2000;
Bargh, Chen e Burrows, 1996; Aarts e Dijksterhuis, 2000). Tutte le azioni, anche quelle
quotidiane, ordinarie (come le ha chiamate von Cranach: cucinare, andare al cinema, etc.)
sono sempre orientate da scopi: in esse gli obiettivi, seppure non più evidenti, si sono
automatizzati, le azioni sono cioè diventate routinarie (sono diventate abitualizzazioni: Berger
e Luckmann, 1966) ed in esse lo scopo è diventato implicito ed è quindi fuori dalla
consapevolezza dell’attore. Come abbiamo argomentato altrove (De Leo e coll., 2004a), è
14
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante possibile individuare uno scopo persino nelle azioni apparentemente non pianificate: i c.d.
“raptus”, ad esempio, sono considerati azioni con uno scopo emergente: da questo punto di
vista, anche persone con problemi psichiatrici, a cui difficilmente potrebbe essere imputata
un’intenzionalità, in realtà manifestano scopi che hanno senso, per loro, nel loro sistema
cognitivo.
Il triangolo di von Cranach e Harré consta (come accennavamo in precedenza) di tre
dimensioni fortemente collegate sia dal punto di vista teorico, sia (come vedremo in seguito)
da quello empirico. Sebbene l’originaria proposta degli Autori preveda (come mostra la figura
1) un metodo di studio specifico per ciascuna di esse (portando quindi a una frammentazione
dell’unità di analisi) abbiamo proposto l’utilizzo dei metodi narrativi e biografici come
strumento di integrazione e di coerenza con l’unitarietà teorica.
La prima dimensione è nell’ambito di cui ci stiamo occupando, la devianza di tipo
criminale, il comportamento manifesto osservabile, di ispirazione comportamentista, è quella,
che manifesta una maggiore (evidenza forse anche di ovvietà): essa fornisce, proprio in virtù
del suo richiamo agli esiti visibili, un immediato riferimento empirico al ricercatore che sia
interessato a studiare l’azione in quanto “sequenza di comportamenti”10. Si tratta tuttavia
anche di una dimensione che problematicamente può essere utilizzata a fini empirici in
contesti reali: la difficoltà sta nella difficoltà a effettuare analisi dirette (per così dire “in
tempo reale”) dal momento che il ricercatore, l’investigatore e il criminologo si trovano
sempre di fronte a ricostruzione successive degli eventi.
Come si vede nella figura 1, il comportamento manifesto può essere studiato in maniera
empirica solo attraverso metodi di osservazione sistematica. Allo stesso modo, come vedremo
a breve, anche le “cognizioni coscienti” e i “significati sociali” verrebbero ricondotti a diverse
opzioni metodologiche, restringendo così il campo delle possibilità di integrazione - anche
teorica - all’interno di un concetto (l’azione sociale, appunto) che assume senso proprio
nell’integrazione fra le dimensioni costitutive.
Gli aspetti cognitivi dell’azione (la seconda dimensione e ulteriore lato del triangolo nella
figura 1) possono essere sono operazionalizzati – seguendo la trattazione di von Cranach e
Ochsenbein (1994) - con riferimento a indicatori quali:
- gli obiettivi espliciti, che costituiscono il filo conduttore fra presente, passato e futuro e
sono ordinati gerarchicamente in funzione della meta: molti obiettivi spesso
riconducono a movimenti routinari, abitualizzati, ed emergono come obiettivo solo nel
caso di imprevisto;
- piani d’azione e strategie: danno avvio al processo atto a raggiungere una meta,
consentendo successivamente di monitorare l’intero percorso;
- intenzioni: «possono riferirsi alle mete e ai piani: la loro realizzazione viene vissuta
soggettivamente come atto di volontà» (von Cranach e Ochsenbein, 1994, pp. 44-45);
- mete di processo, tappe intermedie verso il raggiungimento dell’obiettivo principale;
all’interno della dimensione cognitiva, una caratteristica fondamentale dell’azione
sociale è il continuo monitoraggio che ristruttura gli obiettivi: si tratta di un controllo in
itinere (durante e dopo).
- emozioni che precedono, accompagnano e seguono l’azione.
Rimandiamo agli Autori (von Cranach e Ochsenbein, 1994; von Cranach e coll., 1982) per
ulteriori dettagli sulla definizione delle cognizioni coscienti e dei relativi indicatori e risultati
empirici. Quello che ci preme sottolineare in questo contesto è la rilevanza che hanno gli
aspetti cognitivi, secondo il modello appena descritto; essi avvalorano la tesi di una specifica
10
In un lavoro recente, condotto nell’ambito del Laboratorio di Psicologia Investigativa della Facoltà di
Psicologia 2 e la cui pubblicazione dei risultati è ancora in corso, abbiamo utilizzato il modello della GDA con
particolare riferimento alla dimensione del comportamento manifesto: in quel contesto avevamo a disposizione
23 filmati di videosorveglianza relativi a rapine condotte in banche, farmacie e gioiellerie (si tratta di materiali
privi di audio) rispetto ai quali abbiamo cercato di rilevare eventuali pattern di azione condivisi e consolidati nel
modus operandi degli autori di reato.
15
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante attenzione che la GDA pone al controllo consapevole dell’azione: poca attenzione viene data
ai processi automatici, non controllati dalla coscienza (si parla di “sub-routine” di tipo non
conscio)11.
Il significato sociale (la terza dimensione, che esplicitamente consente di costruire un
ponte fra il livello individuale e quello sociale di spiegazione) rappresenta il senso
dell’azione, sia nei termini più ampi della cultura che in quelli circoscritti della situazione.
Esso richiama l’importanza del contesto in cui l’azione è attuata: i contesti sociali possono
attribuire significati diversi ad analoghe azioni o lo stesso significato ad azioni diverse; le
azioni, in altri termini, diventano interazioni e acquistano significato a seconda del contesto in
cui si svolgono e il contesto costruisce le azioni attraverso i significati che ad esse vengono
attribuiti.
Dal punto di vista metodologico, Harré e coll. (1985) propongono di studiare i significati
sociali mediante tecniche di tipo intensivo. Tali tecniche - distinte da quelle estensive, che
fanno uso di elaborazioni statistiche di dati raccolti su ampi campioni - sono adatte allo studio
dei sistemi di credenze che individui, da una parte, e piccoli gruppi, dall’altra, utilizzano come
veicolo nell’azione quotidiana. Si tratta, secondo gli Autori, dei metodi più adatti per mettere
in evidenza le strutture di significati che contribuiscono alla definizione degli atti sociali.
Anche nel caso dei significati sociali, come per il comportamento manifesto e le cognizioni
coscienti, il focus empirico rischia di frammentare il senso di unitarietà dell’azione.
De Leo e Patrizi (1992, 1999), che hanno affrontato lo studio dell’azione deviante entro un
paradigma socio-costruzionista, a partire dallo schema concettuale della Goal-Directed
Action, hanno approfondito lo studio delle possibili anticipazioni dei percorsi d’azione. In
particolare, si sono chiesti:
• quali sono le funzioni specifiche di quell’azione per quel soggetto in quel dato
momento storico?
• rispetto a quali contesti e persone/sistemi di riferimento?
• in che modo, secondo quali criteri interpretativi e rispetto a quali ambiti di rilevazione,
l’attore anticipa le conseguenze delle sue scelte comportamentali?
Hanno differenziato due principali tipologie di effetti, intesi come anticipazioni che
orientano all’azione: effetti pragmatici-strumentali ed effetti espressivo-comunicazionali.
I primi riguardano ciò che la persona concretamente cerca di ottenere: si tratta di qualcosa
di immediato e tangibile. È tuttavia possibile avvicinarsi alla devianza considerandone gli
aspetti comunicativi: ogni nostra azione è infatti guidata anche da anticipazioni di tipo
espressivo. Sono effetti il cui scopo è desumibile solo con un atto interpretativo, non è cioè
immediatamente rintracciabile. Questa tipologia rinvia a una tradizione di studi che spazia
dagli studi filosofici di Wittgenstein e della Teoria degli atti linguistici di J. Austin (1962),
alla Pragmatica della comunicazione umana della Scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin e
Jackson, 1967).
Secondo Sykes e Matza (1964), la devianza possiede uno strutturale potere di amplificare
la comunicazione, di evidenziare messaggi: nel corso dello sviluppo ontogenetico e sociale
l’individuo impara dall’esperienza che la trasgressione è un forte attrattore di interesse e
reazioni da parte del contesto. Tali reazioni sono sempre in qualche modo riferite alla
“lettura” che gli organismi di controllo, le agenzie di socializzazione ed eventualmente i
mezzi di comunicazione hanno fatto di quelle trasgressioni.
Gli esempi di situazioni come quella descritta sono sotto gli occhi di tutti: la cronaca
quotidiana parla di casi in cui a una debole (talvolta apparentemente assente) funzione
strumentale si affiancano obiettivi rispetto ai quali sembra prevalere una dimensione
espressiva: la scelta dell’azione (talora violenta ed eclatante), della vittima (si pensi alle
11
È recente l’enfasi che questi hanno ricevuto sia nelle premesse di intenzionalità e controllo razionale dell’azione (Searle,
2001), sia per quanto riguarda la verifica sperimentale delle ipotesi sui meccanismi automatici del comportamento sociale
(Bargh e Chartrand, 1999; Bargh e Ferguson, 2000; Bargh, Chen e Burrows, 1996; Aarts e Dijksterhuis, 2000).
16
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante “vittime designate” di molti serial killer), del tipo di arma sono casi in cui la “spiegazione
strumentale” non soddisfa: in essi (si pensi a molti casi di omicidio) l’azione è prima di tutto
“sociale” in virtù della prevalenza della dimensione espressiva su quella strumentale (De Leo
e Bollea, 1984; De Leo, Bosi e Curti Gialdino, 1986). C’è sempre un referente simboliconormativo, un destinatario dell’azione-comunicazione.
L’esperienza clinica e le indagini empiriche hanno mostrato come sul piano espressivocomunicazionale siano individuabili quattro principali effetti che l’attore sociale anticipa
attraverso la devianza:
- gli effetti Sé: si tratta di messaggi (proseguendo sul modello-metafora della
comunicazione) che l’attore riferisce a se stesso come sistema agente e sulla sua
organizzazione. Si immagini la situazione in cui un individuo agisce situazioni che poi rivede
(come se fosse osservatore esterno a se stesso) e rispetto alle quali enuclea implicazioni,
riferimenti, valutazioni: in questo senso, è possibile sostenere che egli invii messaggi al Sé
agente e - rivedendosi - assume feedback sul proprio operato. Tale esemplificazione è
coerente con l’approccio drammaturgico (Goffman, 1959; 1967) per cui ogni azione
rappresenta anche una fonte di indicazioni su quell’identità che l’ha attuata12;
- gli effetti di relazione: sono connessi agli effetti Sé, ma riguardano in particolare la
valenza comunicativa dell’azione compiuta all’interno di una relazione reale o immaginata,
significativa per l’attore. In generale, comunicare qualcosa all’interno della relazione può
significare ridefinirla in termini di ruoli e di dimensioni di potere: in chiave interazionistasimbolica, gli effetti di questo tipo possono riguardare direttamente la vittima o ciò che essa
rappresenta (pensiamo ai reati omicidiari di tipo seriale, dove la vittima è spesso un bersaglio
simbolico), ma possono essere rivolti ad altri sistemi di relazione dell’autore - significativi
nella sua attuale fase di vita o rispetto alla sua storia passata13;
- gli effetti di controllo: possono essere considerati come una specificazione degli effetti
relazionali, come riconducibili a una relazione specifica e particolare, quella con le agenzie di
controllo (famiglia, forze dell’ordine) e con i sistemi normativi formali e culturali. Secondo la
formulazione più classica dell’approccio etogenico, si può dire che l’azione sociale è sempre
guidata da regole: l’azione deviante, in particolare, nel seguire delle regole deve
necessariamente trasgredirne altre in contraddizione con le prime (De Leo e coll., 2004a; De
Leo e Patrizi, 1999);
- gli effetti di cambiamento riconducono ad un’impostazione di taglio sistemico secondo
la quale i rapporti fra individui e fra sistemi sono legati da criteri di interdipendenza: per
questa ragione, ciascun cambiamento (inclusi quelli omeostatici, cioè diretti a ristabilire un
equilibrio) apportato a una sola componente del sistema ha ripercussioni sull’intero sistema.
Nello specifico contesto della devianza, «l’effetto che l’autore ricerca può andare nella
direzione di “rompere” organizzazioni sistemiche (equilibri) che appaiono statiche,
disfunzionali rispetto allo sviluppo di sé o, al contrario, è proprio la staticità ad essere
ricercata e ipotesi di cambiamento, avvertite come minacciose, possono rappresentarsi come
oggetto di contrasto. La cronaca mostra molti possibili esempi di azioni eclatanti in cui gli
obiettivi di cambiamento (nel duplice senso di obiettivi ricercati o evitati) subordinano gli
effetti più strumentali di eliminazione di figure o personaggi» (De Leo e coll., 2004a, pp. 4552).
12
Gli studi sull’identità sociale, d’altra parte, offrono molti spunti in proposito con riguardo agli schemi di sé,
alla gestione delle impressioni, alla conformità/negoziazione rispetto alle norme, alla costruzione e al
mantenimento di un senso di coerenza di sé anche attraverso il riferimento ai gruppi di appartenenza (si vedano a
titolo esemplificativo i recenti manuali in lingua italiana: Arcuri, 1995; Mannetti, 2002).
13
Si pensi, ad esempio, ai casi di violenza sessuale operata da un gruppo in cui è possibile leggere la valenza
relazionale dell’azione secondo una duplice direzione: (a) verso la vittima con cui gli autori instaurano una
relazionalità (reale o fittizia) distorta, (b) fra i componenti del gruppo, rispetto ai quali - ad esempio - il leader
“comunica” il suo ruolo egemone nel determinare il destino della vittima e il gregario manifesta (nel peggiore
dei modi, secondo criteri di accettabilità morale) la sua appartenenza al gruppo.
17
3.
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante La costruzione narrativa del Sé
L’argomento del quale parleremo in questo paragrafo è collegato a quello del precedente.
Si tratta tuttavia di un collegamento che abbiamo rilevato empiricamente nel corso di
svolgimento dello studio qui presentato e che ci sembra importante illustrare ai fini di
un’accurata analisi della costruzione narrativa dell’azione deviante. Durante la conduzione
delle interviste ci siamo infatti resi conto che i partecipanti inserivano – nel corso dei
resoconti sulle azioni – importanti aspetti che li descrivevano sia con riferimento specifico
all’evento remoto nel momento in cui si è svolto sia (e questa ci è sembrata la cosa più
importante) per quanto riguarda le (auto)attribuzioni sviluppate nei mesi e negli anni
successivi. In altre parole, la descrizione degli eventi narrati procedeva di pari passo alla
presentazione di Sé in un duplice contesto (Tedeschi e Reiss, 1981) come è stato evidenziato
anche da O’Connor (1995, p. 438):
Nella narrazione di un evento attuale si possono presentare non solo le azioni, ma anche il sé durante quegli
eventi. In questo modo, nel contesto delle interviste, attraverso la cornice del resoconto di una storia, la
narrazione dà una doppia lettura dell’agentività del parlante e del posizionamento – attraverso le azioni riferite e
attraverso gli stati d’animo descritti
La costruzione narrativa dell’identità14 non può non dipendere dai contesti specifici in cui
viene effettuata: come ha scritto recentemente Mancini (2001, p. 263),
l’identità si costruisce attraverso un percorso a spirale dove ogni processo realizza prodotti che innescano nuovi
processi in una logica di cambiamento continuo, ma non necessariamente e sempre nella direzione di uno
sviluppo lineare.
È difficile immaginare la realizzazione di questo percorso al di fuori dei contesti relazionali, sociali, storici e
culturali in cui le persone vivono […]. Il contesto sociale forgia le immagini che le persone hanno di sé a diversi
livelli: attraverso le interazioni più quotidiane ed immediate ed il gioco di reciproco rimando alle proprie
immagini di sé; attraverso le appartenenze che definiscono il proprio posto e i propri ruoli all’interno della
matrice sociale; […] L’identità non è tuttavia solo il prodotto di tali influenze, ma è anche creatività,
innovazione, tensione aperta verso il futuro […] perché le influenze esterne acquistano significato e diventano
parti dell’identità solo passando attraverso processi psicologici di tipo ricostruttivo.
Da questi primi introduttivi riferimenti è chiaro quale sarà il filo conduttore della ricerca
qui presentata: privilegeremo un approccio interazionista e costruzionista15 (Harré e Gillett,
1994) allo studio dell’azione (e del Sé) e a partire da questa scelta epistemologica di fondo
guideremo il lettore attraverso i percorsi di ricerca sui metodi di rilevazione delle
informazioni e della loro analisi fino alla presentazione di un impianto metodologico coerente
con le scelte via via effettuate. Tutto ciò nella consapevolezza della parzialità del punto di
vista adottato: è bene infatti precisare che gli studi sul Sé non sono riducibili agli approcci
costruttivisti e narrativi (Mancini, 2001); in questa sede, abbiamo operato una scelta: di
privilegiare un punto di vista specifico e di impostare un disegno di ricerca qualitativa
coerente con esso.
14
È di fondamentale importanza precisare che nel corso di tutto il lavoro condotto i concetti di “Sé” e di
“identità” sono utilizzati in maniera intercambiabile. Pur nella consapevolezza delle diverse tradizioni di ricerca
e contesti applicativi, infatti, riteniamo che solo una prospettiva integrata potesse consentirci di cogliere sia la
costruzione consolidata dell’immagine di Sé (con enfasi sulla storia pregressa e sugli eventi che hanno
caratterizzato lo sviluppo della persona) sia gli aspetti di cambiamento, tensione al futuro e alla (ri)costruzione di
questa immagine. Tale prospettiva è confermata in una recente monografia sull’argomento (Mancini, 2001).
15
Per proposte di impostazione e prospettive diverse di veda, ad esempio, il concetto di “Life Story Schema”
(Bluck e Habermas, 2000; Habermas e Bluck, 2000; Habermas e Paha, 2001): secondo questo modello, pur non
escludendo completamente le influenze culturali, la struttura narrativa del Sé fa fa riferimento a uno schema
cognitivo interindividuale. McAdams, Diamond, de St. Aubin e Mansfield (1997) propongono invece una
metodologia quantitativa per la codifica e l’analisi delle interviste autobiografiche.
18
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Secondo queste prospettive, il passato, il presente e il futuro sono collegati nella
ricostruzione attuale che un attore-narratore opera in un contesto di resoconto (Hewitt,
1996)16. Si tratta, come è ovvio, di una duplice ricontestualizzazione del Sé: nella situazione
in cui si sono svolti gli eventi, “lì e allora”, e nel presente della richiesta di fornire un
resoconto, “qui e ora” (Bruner, 1990; Leone, 2001; Stame, 2004): nel tentativo di stabile una
coerenza narrativa fra le due condizioni, è possibile che il soggetto rielabori la propria
esperienza passata alla luce delle conseguenze che essa ha avuto e che (questo è un passaggio
particolarmente cruciale rispetto al contesto di cui ci stiamo occupando) vengono rivisitate
alla luce di nuovi obiettivi riformulate, adattate al dover rendere conto (Bruner, 2002;
Lorenzetti e Stame, 2004).
Secondo Bruner (1990; 1991; Bruner e Weisser, 1995), la realtà - e tutti gli elementi in
essa presenti - ha una struttura narrativa che consente al narratore di ancorare gli eventi a un
modello consolidato, culturalmente disponibile, che favorisce l’interpretazione delle
ambiguità e la comunicazione intersoggettiva17. Nella narrazione autobiografica, il soggetto
attribuisce un significato alle sue azioni18 (Ornaghi, 1999; Ruth, Birren e Polkinghorne,
1996), confermando quindi il collegamento logico e teorico fra costruzione narrativa
dell’azione e costruzione narrativa del Sé. La spinta a iniziare un percorso narrativo
(impegnarsi nella ricostruzione, rischiare di cadere nelle trappole della memoria) è data un
evento problematico: la difficoltà (uno degli elementi della c.d. “pentade scenica”), come
argomenteremo più avanti, può consistere in un elemento tecnico della scena, ma – con
particolare riferimento alla devianza, al contesto di applicazione della presente ricerca – è
problematica anche l’attribuzione altrui di uno status deviante, il riconoscimento (spontaneo o
forzato) di Sé come persona che non rispetta le regole della convivenza. Nel prossimo
paragrafo ci occuperemo specificamente della collocazione interazionale e discorsiva del Sé e
delle proprie azioni rispetto ai sistemi normativi condivisi (il concetto di “posizionamento
discorsivo”).
Smorti (1997), che si è occupato della costruzione narrativa del Sé in quanto forma
testuale, ha definito (rifacendosi a Sommers, 1992) - “narrazioni ontologiche” quelle relative
alla descrizione della propria identità che si fondano sulla memoria autobiografica. Esse sono
da sempre oggetto di studio della psicologia. Le “narrazioni concettuali” sono i modelli
culturali, gli schemi, che vengono utilizzati per interpretare le narrazioni ontologiche. Esse
sono tradizionalmente studiate in antropologia, in linguistica, in letteratura19 (nel prossimo
paragrafo ci riferimento ad esse nei termini delle “story line”). Questa distinzione ci è utile
per introdurre il tema della circolarità che si instaura, in primo luogo, fra eventi e modelli
interpretativi ma anche e soprattutto fra narratore e ascoltatore: ogni ricostruzione di Sé è
sempre inserita in un contesto di altri attori cui il narratore - esplicitamente o implicitamente rivolge la sua autodescrizione. Tale contesto fornisce le coordinate al primo (il narratore) per
dare una forma (discorsivamente e narrativamente) adeguata al modello condiviso con i
secondi (gli ascoltatori) e ad essi per reinterpretare il messaggio, ancorarlo al già noto,
anticiparne gli sviluppi:
Il processo di interpretazione comporta un particolare tipo di rapporto tra soggetto conoscente ed oggetto: questo
rapporto non avviene in senso lineare (soggetto Æ oggetto), ma circolare. Il soggetto conosce l’oggetto
attraverso un processo di comprensione basato sull’assunzione di un punto di vista. Questo punto di vista, o
presupposto dal quale il soggetto parte, non è altro che il contesto che egli sceglie per inquadrare l’oggetto. In
questo modo l’oggetto può essere compreso solo in rapporto ad un contesto, ma questo contesto a sua volta viene
16
A questo riguardo, l’Autore ha sostenuto che «la realtà della persona è individuale e sociale, ancorata alle
numerose situazioni della vita quotidiana e creata nuovamente in ogni situazione e nelle biografie che ognuno si
costruisce o che altri costruiscono per lui o lei» (Hewitt, 1996, trad. it. 1999, p. 100).
17
Su questo tema si vedano anche Smorti (1997) e Sarbin (1986a).
18
In linea con quanto descritto nel paragrafo precedente.
19
L’articolazione di Sommers (1992), ripresa da Smorti (1997), è in realtà quadripartita e include anche le
“narrazioni pubbliche” e le “metanarrazioni”.
19
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante modificato dal significato che viene attribuito all’oggetto. Così fra oggetto e contesto si attiva un processo
circolare senza che sia in effetti possibile stabilire un vero punto di partenza (Smorti, 1997, p. 13).
Nell’ultimo capitolo, questo aspetto della “situatività” delle argomentazioni sul Sé e sulla
propria azione sarà evidente: i partecipanti alla ricerca hanno infatti fatto ampiamente uso di
repertori di significati contestualmente idonei a “riferire” sulla propria azione senza
compromettere l’immagine di Sé. Ci riferiamo, specificamente, alle tecniche di
neutralizzazione della norma (vedi infra cap. 4 § 6), che verranno discusse nella loro
applicazione specifica all’ambito di ricerca nel contesto penitenziario.
Il considerare la narrazione autobiografica come un testo ha due ordini di conseguenze:
1. da una parte, come sottolinea lo stesso Smorti (1997), rende necessario un processo di
interpretazione intesa come processo di attribuzione di intenzioni all’autore (del testo e
dell’azione, allo stesso tempo). Considerare la narrazione autobiografica come testualizzabile
significa operare nei suoi confronti gli stessi procedimenti interpretativi che si mettono in atto
con qualunque altro testo. Ma con una importante particolarità: che le intenzioni del
dell’autore di un testo (supponiamo letterario) sono diverse da quelle dell’autore di un “testo
che parla di un reato e di chi lo ha commesso”: in questo caso infatti la dissimulazione, la
creazione di un falso contesto storico, il gioco delle accuse e delle giustificazioni (come
abbiamo descritto nel paragrafo sull’accountability, § 1.2 in questo capitolo) rendono difficile
e complessa l’interpretazione dell’azione, delle intenzioni del suo autore e l’anticipazione
delle conseguenze seguendo un modello condiviso. Sembrerebbe quasi superflua una
sottolineatura del concetto di “attribuzione di intenzioni” dal momento che stiamo trattando di
un contesto, quello penale in cui l’imputazione di responsabilità per un’azione delittuosa è
assolutamente centrale. Tuttavia, come argomenteremo più avanti, la costruzione narrativa
dell’azione deviante e dell’attore (cioè, le argomentazioni che un autore di reato utilizza per
descrivere se stesso e il reato che ha commesso) ha qualcosa di diverso dal testo
letterariamente inteso:
- dal punto di vista dei contenuti ha un obiettivo palesemente strategico, quello di presentare
come “giustificabile” un’azione penalmente rilevante,
- dal punto di vista delle strutture narrative, ha delle configurazioni che non sono state ancora
adeguatamente analizzate nella ricerca criminologica e psicologico-sociale;
2. dall’altra parte, il metodo di analisi di un testo di questo tipo non può prescindere dal
fatto che esso è ottenuto in una situazione dialogica in cui un intervistatore/ricercatore e un
intervistato/detenuto si incontrano e concordano di esplorare - per obiettivi di conoscenza del
primo – qualcosa che attiene alla sfera esistenziale del secondo20. L’impostazione
metodologica (e ancora prima quella epistemologica) deve essere adeguata a cogliere la
complessità dei processi (discorsivi, interpretativi, logici) implicati. In tal senso, come
argomenteremo in tutto il cap. 4, la proposta del complesso impianto metodologico è un
tentativo di completare i modelli esistenti per le analisi delle informazioni qualitative, modelli
consolidati nella ricerca psicologico-sociale che hanno favorito una caratterizzazione della
ricerca qualitativa come ancillare rispetto a quella quantitativa. Nel cap. 3 verranno descritti
metodi con fondamenti teorici che solo in tempi recentissimi sono entrati nel campo di
applicazione della ricerca in psicologia sociale.
Smorti (1997), inoltre, fa una precisazione che - alla luce dei nostri obiettivi - ha
un’importanza fondamentale:
L’attribuzione di significato al testo (orale o scritto) richiede dunque un esame delle intenzioni del suo autore, le
quali, a loro volta potranno essere meglio comprese se collocate in un contesto, ad esempio, quello fornito dalle
altre opere. Questo apparente allontanamento dal testo, lungi dal determinare uno smarrimento di senso, porterà
un arricchimento che contribuirà ad una migliore interpretazione di quel brano e consentirà di decidere se
l’autore aveva voluto dire effettivamente quello che noi abbiamo pensato di capire. […] Questa attribuzione di
20
Fra i tanti possibili riferimenti sull’intervista intesa come processo di costruzione delle conoscenze si veda Furlotti (1998).
20
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante intenzionalità è indispensabile non solo per un’adeguata comprensione del significato delle affermazioni
contenute nel testo, ma anche per l’interpretazione del significato delle azioni (ibidem, p. 22).
Il legame fra analisi del testo e analisi dell’azione - che abbiamo ipotizzato di poter
studiare - è confermato almeno a livello teorico. Rimane da identificare il livello di
specificità/generalità dell’unità di analisi. Secondo la Teoria degli atti linguistici (Austin,
1962; Ninio, 1986), le parole - in virtù della loro forza illocutoria - consentono di fare
concretamente delle cose: ma a quale livello dell’articolazione del parlato è possibile
rintracciare questo collegamento fra testo e azione? A un livello di analisi (che possiamo
definire “micronarrativo”), gli studiosi si sono occupati dell’uso che nella costruzione
narrativa viene fatto dei pronomi e delle forme verbali (Harré, 1989b; 1995a,b; 1998; Shotter,
1989; Lorenzetti, 2004; De Fina, 2004). Si tratta di un focus che in questa sede scegliamo di
non utilizzare perché complessificherebbe notevolmente il collegamento fra aspetti teorici ed
empirici della narrazione: gli studi in questo settore infatti sono stati svolti prevalentemente
nei Paesi di lingua e cultura anglosassone per cui (a causa di un’eccessiva specificità rispetto
alle convenzioni linguistiche e culturali del parlato) sarebbero di difficile applicazione nel
contesto italiano. Riteniamo pertanto che il livello di studio dell’uso dei pronomi e delle
forme verbali, sebbene indicativo di una possibile costruzione narrativa del Sé, non sia
adeguato per lo studio dell’azione.
La prospettiva degli approcci afferenti all’analisi della conversazione e alla psicologia
discorsiva (Bonaiuto e Fasulo, 1998) mantengono l’interesse per un’unità di analisi a un basso
livello di astrazione. Da una parte, la “sequenza conversazionale”, il “turno”, le
“sovrapposizioni”, la “coppia adiacente” sono i focus dell’attenzione degli studiosi
conversazionalisti: l’enfasi è sulla struttura delle argomentazioni e sulle modalità con cui lo
scambio comunicativo viene attuato; dall’altra, i “dispositivi retorici” e i “repertori
linguistici” consentono di analizzare i contenuti delle argomentazioni. In entrambi i casi,
tuttavia, il ricercatore non ha l’accesso ai significati più ampi, a un livello di astrazione più
elevato, non ha – a nostro avviso – l’accesso all’intellegibilità dell’azione. Nel cap. 4,
esporremo la nostra proposta riguardante la scelta dell’unità di analisi.
Per il momento, riteniamo utile riportare i rilievi critici che Bruner (1990, trad. it. 1992, p.
101) muove al procedimento di scelta di un impianto metodologico per lo studio del Sé:
È ormai chiaro che la ricerca in qualsiasi campo produrrà dati che rispecchiano le procedure sperimentali usate
nell’osservazione o nella misurazione. La scienza inventa una realtà che si adatta alla teoria. Quando noi
“confermiamo” la nostra teoria per mezzo di “osservazioni”, non facciamo altro che escogitare procedure che
andranno a corroborare tale plausibilità.
3.1 Il posizionamento discorsivo
Una proposta completa e organica sulla costruzione narrativa del Sé è la Teoria del
posizionamento proposta a partire dagli anni ‘90 da Harré (Davies e Harré, 1990; Harré e van
Langenhove, 1999a; Harré e Moghaddam, 2003a). Il termine “posizionamento” è mutuato dal
linguaggio del marketing: indica la collocazione di un prodotto o di un servizio nel panorama
commerciale comprendente sia le proposte delle ditte concorrenti sia i prodotti di linee
differenti dello stesso brand. Più esattamente, con il termine “Positioning Theory” si intende
l’impostazione teorica e metodologica per lo studio delle ricostruzioni (operate in situazioni
discorsive) del Sé, degli interlocutori e dei sistemi di relazione a cui l’individuo appartiene
(Wortham, 2000; Georgakopoulou, 2000; Bamberg, 1997; 1999; Lucius-Hoene e
Deppermann, 2000; Bercelli, 2004). In psicologia, consiste in una cornice concettuale e
metodologica in base alla quale l’individuo si colloca, per mezzo di pratiche discorsive, in un
sistema di coordinate che ne identificano e limitano le possibilità d’azione: «un
posizionamento implicitamente limita l’entità ciò che è logicamente possibile dire e fare e
delimita adeguatamente una parte del repertorio delle azioni possibili in un dato momento in
un contesto specifico, incluso ciò che riguarda gli altri. Questo è il confine delle azioni
socialmente consentite» (Harré e Moghaddam, 2003b, p. 5). La posizione costituisce uno dei
21
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante tre vertici del c.d. “triangolo posizionale” (Harré e Moghaddam, 2003b; Harré e van
Langenhove, 1992) costituito anche dalle strutture degli atti (o delle azioni) linguistiche e
dalla “story-line”, che secondo Harré e Moghaddam, 2003b, pp. 5-6) sono definibili nei
termini seguenti:
-
-
“Posizione”: un insieme di diritti e doveri per svolgere determinate azioni con specifici significati, gli
atti, ma che possono anche includere proibizioni o divieti di accesso ad alcuni repertori locali di atti
significativi […].
Atti linguistici e altri atti: ogni azione socialmente significativa, movimento deliberato, ogni parola deve
essere interpretato come un atto, un comportamento socialmente espressivo e significativo. Una stretta di
mano è un’azione intenzionale: esprime un saluto, un addio, congratulazioni, suggella un accordo, o
qualcos’altro? Ha un significato solo all’interno dell’episodio in cui è inserito. Una volta interpretato
soggiace alle regole e agli standard di correttezza, non solo per se stesso ma anche per l’adeguatezza
delle sue premesse e conseguenze.
Story line: […] gli episodi sociali non si sviluppano in maniera casuale. Tendono a evolversi
ripercorrendo pattern già consolidati, che - per convenienza - sono stati chiamati story line. Ognuna di
esse è esprimibile in un ampio insieme di convenzioni narrative21.
Il posizionamento è dunque un processo in divenire la cui caratterizzazione momento per
momento dipende dalla configurazione che assumono i tre elementi appena descritti: la loro
interrelazione dà forma all’azione discorsiva (figura 2) mediante la quale l’attore sociale
descrive sé e gli altri (“posizionamento di primo livello”) ed è a sua volta ricollocato nel
sistema sociale dai discorsi altrui (“posizionamento di secondo livello”)22 secondo le
formulazioni di Harré e van Langenhove (1992):
Fig. 2: Azione discorsiva tripolare nel posizionamento di primo livello (le frecce nere) e di secondo livello (le
frecce grigie) [fonte: Boxer, 2003, p. 256]
Una “posizione” è un complesso insieme di auto- ed eteroattribuzioni, variamente
strutturate ma sempre discorsivamente veicolate, che servono a identificare l’attore sociale
all’interno di un contesto (gruppo, comunità, classe sociale): tale caratterizzazione attiene
specificamente alla assegnazione flessibile23 di sistemi di diritti e doveri, di obblighi verso
altri individui e di crediti sociali24 da essi assunti (Harré e van Langhenove, 1999c).
21
Il concetto di “story line” in quanto modello narrativo consolidato è stato precisato implicitamente anche da Bruner (2002,
p. 102-103) che ha affermato «Le trasgressioni dell’ordinario, una volta addomesticate narrativamente, recano l’impronta
della cultura, […] un’approvazione in forma di “Oh, ecco di nuovo la vecchia storia”. Una volta nobilitate come genere o
come “roba vecchia”, esse divengono legittimate e interpretabili come trasgressioni o infortuni o errori di giudizio umano - il
figlio integrato, il coniuge infedele, il servitore ladro. Diventano l’imprevisto di repertorio e noi ci facciamo consolare che
sotto il sole non ci sia nulla di nuovo».
22
Dobbiamo precisare per completezza che è possibile un “terzo livello di terzo livello”, quello operato da un osservatore
esterno che assiste all’evento (come farebbe il telecronista di un evento sportivo: Boxer, 2003).
23
«L’agente è tematizzato come un insieme di collocazioni soggettive, che non hanno una relazione predeterminata l’una
rispetto alle altre e non possono essere fissati in nessun tipo di unità stabile» (Törrönen, 2001, p. 314).
24
Si veda a questo riguardo il concetto di “capitale sociale” (Putnam, 1993; 2000) che – pur non essendo esplicitamente
collegato dagli Autori all’interno della cornice teorica della Teoria del Posizionamento – ci sembra mostrare ampi margini di
sovrapposizione:
22
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tale dinamismo (al quale tutti gli scritti citati in questo paragrafo fanno più o meno
direttamente riferimento) ha portato Boxer (2003) ha proporre un’analogia fra i processi
sociali implicati nel posizionamento e le leggi fisiche sui campi magnetici: le dinamiche che
si instaurano fra generatori elettrici che causano campi magnetici sono simili alle “forze” che i
componenti la scena sociale mettono in campo. Il risultato di questo gioco di componenti è –
metaforicamente – un “flusso sociale”. Ma quali sono esattamente questi aspetti della vita
sociale che innescano processi posizionali? Secondo le più recenti riformulazioni delle
proposte originarie, si tratta di un complesso sistema di dimensioni interagenti (figura 3):
- il sistema locale (ma culturalmente condizionato) dei diritti25,
- i doveri e gli obblighi legati ai ruoli sociali ricoperti,
- le azioni (discorsive e non) attuate in contesti pubblici e nei discorsi interiori,
- l’ordine morale del contesto specifico.
Fig. 3: Interazione fra le componenti del sistema sociale nella formazione ed evoluzione dell’azione discorsiva
(fonte: Boxer, 2003, p. 259)
Come prodotto discorsivo (emergente cioè dalle pratiche comunicative quotidiane), il
posizionamento ha la caratteristica di essere sempre in qualche modo contrattato (ridefinito,
culturalmente condizionato dalle prassi narrative consolidate) sulla base delle interazioni con
altri (Tschuggnall, 1999): è una concezione che si inscrive esplicitamente nell’approccio
etogenico (Davies e Harré, 1999; 1990; Harré, 1977) e in un panorama costruzionista (Harré,
2002; Boxer, 2003; Howie e Peters, 1996), ma con delle importanti distinzioni rispetto alle
proposte più estreme del costruzionismo sociale (Gergen, 1985). Allo stesso tempo infatti ha
una connotazione intraindividuale nella misura in cui ciascun individuo, da una parte, ha un
ruolo attivo nella ridefinizione dei posizionamenti di Sé operati da altri (svilupperemo più in
dettaglio a breve questa affermazione) e, dall’altra, allestisce una rappresentazione di sé anche
nei “discorsi privati”, nella conversazioni locali fra sé e sé. In tal senso, è stato definito
“posizionamento riflessivo” (Moghaddam, 1999; Harré e van Langhenove, 1999c; Jones,
1997; Tan e Moghaddam, 1995; Taylor, Bougie e Caouette, 2003) e spiegato nei termini
seguenti:
allo stesso modo in cui gli aspetti autobiografici delle conversazioni sono il requisito fondamentale per il
posizionamento interpersonale, quello riflessivo è un processo l’individuo - intenzionalmente o non
intenzionalmente - si colloca in una storia personale raccontata a se stesso. Questo processo può assumere varie
forme, la più elaborata delle quali potrebbe essere la scrittura di un diario o di una autobiografia.
Poche vite, comunque, sono scritte in queste forme: la maggior parte sono presentate “localmente”, come
frammenti di storie personali di un parlante rese manifeste a se stesso. L’autovalutazione di una propria
prestazione, la giustificazione per aver condotto una certa azione, l’attribuzione di azione a forze soprannaturali,
la spiegazione data a se stessi per essere stati da altri in un modo o nell’altro (e la risposta che supponiamo di
ricevere dall’ascoltatore) sono esempi del modo in cui ciascuno posiziona se stesso per se stesso nell’arco della
25
Ulteriori specificazioni e dettagli sui concetti di “diritto” e “dovere” e sulle loro implicazioni di carattere culturale si
vedano Moghaddam, Slocum, Finkel, Mor e Harré (2000) e Bathia (2000).
23
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante giornata. Infatti, ciascuno inevitabilmente colloca se stesso nei discorsi interni che produce (Moghaddam, 1999,
p. 75-76).
A nostro avviso, il concetto di posizionamento discorsivo apre prospettive di ricerca e
percorsi di riflessione che non sono stati precedente tenuti in considerazione nella ricerca
classica sul Sé secondo gli approcci socio-cognitivi. Dalla prospettiva proposta infatti emerge
un attore attivo costruttore di immagini di Sé con un ruolo tanto più attivo quanto più
variegate e complesse sono le situazioni sociali che incontra: l’ottica del posizionamento
consente di superare la staticità delle letture precedenti in base alle quali il Sé era definibile
con riferimento a uno schema cognitivo, a una struttura solo parzialmente variabile nel corso
dell’arco di vita, ma sostanzialmente stabile e coerente nelle diverse situazioni quotidiane.
L’immagine di un Sé dentro il sistema cognitivo della persona, che può essere richiamato alla
memoria e che è soggetto a distorsioni (“biases”), non soddisfa i sostenitori degli approcci
narrativi (Sarbin, 1986a,b) e gli stessi teorici del posizionamento26. Secondo costoro, infatti, il
ricercatore dovrebbe occuparsi della ricostruzione narrativa che il soggetto opera di Sé in
situazione rispetto a una serie di eventi passati ma allo stesso tempo dovrebbe rilevare la
descrizione che emerge dalla stessa situazione in cui la rievocazione è richiesta (durante
un’intervista, un colloquio, in un’autobiografia, in un discorso pubblico, etc.) e in
collegamento con i posizionamenti operati da altri (Mishler, 1986a).
In secondo luogo, inoltre, è necessario ripensare alla “veridicità storica” della narrazione
autobiografica. Lucius-Hoene e Deppermann (2000) hanno puntualizzato efficacemente
questo problema: secondo gli Autori, quando un individuo narra una storia autobiografica è
convinto di farlo rispettando una verità storica (ad esempio, seguendo adeguatamente l’ordine
cronologico27, collocando ogni evento e ogni personaggio al proprio posto e così via);
tuttavia, anche il fatto stesso di produrre una narrazione autobiografica all’interno di una
situazione di ricerca ha l’implicazione di indurre nel narratore la tendenza a collegare gli
elementi dello scenario in modo che il quadro complessivo appaia coerente e a fornire
un’immagine di Sé quanto più possibile positiva (Brockmeier, 1999; Tedeschi e Reiss, 1981):
Le interviste narrative mettono di fronte all’intervistato la necessità di fornire un resoconto rappresentativo della
sua identità narrativa. Le narrazioni quotidiane, comunque, solo molto di rado meritano di essere considerate
rappresentazioni biografiche complete. […] Dunque le narrazioni che emergono nelle interviste a scopi di ricerca
devono essere considerate come artefatti scientifici che richiedono specifiche attività e abilità riflessive e
comunicative. Al narratore è richiesto di assumere un nuovo punto di vista (che può essere meravigliato o
imbarazzato) sulla propria vita e questo obiettivo può essere piacevole e gratificante, ma anche frustrante o
deprimente (Lucius-Hoene e Deppermann, 2000, p. 205).
Si tratta di considerazioni che suggeriscono cautela anche nell’utilizzo delle interviste
narrative e che dimostrano che l’artificiosità delle situazioni empiriche (la distanza da contesti
reali) è comune sia agli approcci positivistico-quantitativi che a quelli costruzionisticoqualitativi. Nella consapevolezza che non esiste una soluzione tecnica che risolva il problema
della discrasia fra verità storica e verità narrativa, nel corso del lavoro qui presentato
scegliamo di privilegiare la seconda: optiamo cioè per la considerazione delle narrazioni (che
verranno analizzate e che sono state rilasciate dai partecipanti alla ricerca) come “verità
narrative”, intendendo con questo termine la fedeltà del resoconto solo ai criteri di coerenza,
plausibilità e realismo che il narratore ritiene funzionali alla costruzione di un’adeguata
immagine di Sé e della propria condotta. In altri termini, non ci porremo mai il quesito se i
fatti che vengono raccontati siano più o meno reali, più o meno veri, ci chiederemo semmai
quale significato il narratore intende veicolare nella formulazione di quella esatta versione dei
fatti.
26
In particolare, la tesi che stiamo trattando è sviluppata in Harré e Van Langenhove (1999c) e Van Langenhove
e Harré (1993).
27
Brockmeier (1995a,b; 2000).
24
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Questa scelta ci consente peraltro di valorizzare il collegamento virtuoso fra modello
teorico dell’azione e degli effetti comunicativi (§ 2.1 in questo capitolo) e posizionamento
discorsivo così come è stato definito in questo paragrafo: il tema dei significati (o, meglio, i
“temi significativi”) è l’elemento di congiunzione che dà coerenza e pertinenza all’intero
sfondo teorico: in questo senso, abbiamo avuto modo di confrontarci con l’Autore di entrambi
i modelli, il prof. Rom Harré (comunicazione personale), che ha confermato in una recente
corrispondenza l’utilità di stabilire un collegamento empiricamente fondato fra narrazione
sull’azione e posizionamento discorsivo.
Come abbiamo accennato in precedenza e come evidenziato già dai primi articoli sulla
teoria (Davies e Harré, 1990; Harré e van Langenhove, 1992) il posizionamento discorsivo
viene esplicitamente proposto come l’alternativa “costruzionista” al concetto di “ruolo”:
quest’ultimo infatti veicola una sorta di staticità nella definizione dell’identità in senso
psicologico-sociale. In particolare, il posizionamento - rispetto al ruolo - focalizza l’attenzione
sui processi e sull’evoluzione:
dobbiamo chiederci se i concetti di “ruolo” e “posizione sociale” possano essere usati nell’analisi delle
interazioni della vita quotidiana in maniera complementare a quello di “posizionamento”, oppure se
semplicemente occupano porzioni delle stesse aree concettuali. Ruolo e posizionamento sono collegati […] nel
senso che “un ruolo” sta al “posizionamento” come “colore” sta a “rosso”. Un altro ruolo può essere collegato ad
altri posizionamenti come “figura” sta a “quadrato”, etc. Adottando o avendo assegnato un ruolo fisso, sono
possibili solo una gamma di posizionamenti compatibili con quel ruolo. La posizione sociale e il posizionamento
sono a volte complementari […] Certamente avere una posizione sociale in un conversazione o in qualunque
altra interazione sociale significa al tempo stesso avere un posizionamento il suo utilizzo può richiedere
l’esplicitazione o l’attribuzione di caratteristiche personali che non sono rilevanti per il raggiungimento di una
posizione sociale (Harré e van Langenhove, 1999b, p. 195-196).
Analogamente, i concetti di “episodio” e di “sequenze d’azione” (che si leggono spesso
negli articoli riferiti al posizionamento) non sono sovrapponibili agli analoghi proposti da
Goffman (1967) in quanto il lavoro di quest’ultimo «si è focalizzato principalmente sulle
interazioni fra individui e l’ambiente sociale in cui operano. Poca attenzione è stata posta agli
aspetti generali delle interazioni fra le persone, data la situazione in cui essi stessi si trovano»
(Harré e Van Langenhove, 1999c, p. 60, corsivo nostro).
Dal punto di vista metodologico, i sostenitori della teoria del posizionamento si dedicano
all’analisi – prevalentemente con metodi interpretativi - dei testi, dei discorsi e delle
conversazioni in cui si assume che vengano riportate rappresentazioni di individui e gruppi.
Gli obiettivi di ricerca devono tenere conto della complessità del modello di riferimento:
«specificamente, la teoria del posizionamento fornisce un framework per l’esplorazione dei
significati condivisi dagli individui. Il livello di analisi adeguato deve aver luogo nei discorsi»
(Taylor e coll., 2003, p. 204) mediante i quali gli individui si scambiano, contrattano e
ricostruiscono reciprocamente “pezzi di rappresentazioni sul mondo e sulla propria identità”.
Harré e van Langenhove (1992) hanno dedicato ampio spazio alle implicazioni
metodologiche della teoria del posizionamento. Le considerazioni più rilevanti, a nostro
avviso, sono quelle relative alla temporaneità delle collocazioni posizionali: trattandosi di
proprietà fortemente ancorate alle pratiche discorsive, esse hanno una natura talvolta effimera
(che dipende da molteplici fattori non sempre facilmente riconoscibili e codificabili), altre
volte possono essere tanto radicate da risultare addirittura non modificabili (rappresentazioni
stereotipiche o pregiudiziali: cfr. van Langenhove e Harré, 1995b; 1999a). Inoltre, se il
posizionamento è rilevabile nelle produzioni discorsive che dinamicamente vengono
scambiate fra gli attori sociali, allora un elemento importante per l’impostazione dei progetti
di ricerca sta nella concezione che lo scienziato sociale ha del comportamento e della natura
umana (“real life behaviour”).
Infine, come hanno sostenuto Harré e van Langenhove (1992, p. 405)
25
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante È importante evidenziare che, così come tutte le conversazioni coinvolgono sempre una sorta di posizionamento,
l’atto conversazionale dell’intervistare o chiedere a qualcuno di rispondere alle domande di un questionario, deve
necessariamente essere inteso nei termini della triade “posizione-atto linguistico-story line”. Ciò significa che
concetti come “atteggiamento” o “tratto” hanno un senso nella misura in cui si ritiene che c’è qualcosa di
personale che può essere rilevato dallo scienziato sociale. Chiedere a qualcuno di rispondere sul locus of control,
per esempio, o sui comportamenti autoritari è una forma di posizionamento e deve essere intesa come tale: ci
dice qualcosa su come le persone si posizionano nel rispondere a un questionario somministrato da un
ricercatore.
Oltre alle dimensioni descritte, gli Autori hanno adottato ulteriori differenziazioni che
distinguono fra:
- il posizionamento operato nei confronti di altri individui o di collettività nel qui e ora o
in una ricostruzione narrativa,
- la simmetricità/asimmetricità e la concordanza/discordanza dei posizionamenti
reciproci fra attori in interazione,
- la collocazione deliberata, o al contrario imposta da altri.
Si tratta, come è evidente, di diversi criteri di classificazione delle dimensioni teoriche che
caratterizzano il posizionamento discorsivo. Come filo conduttore del presente lavoro e al fine
di operazionalizzare adeguatamente il modello, riteniamo utile descrivere brevemente le
dimensioni che - trasversalmente ai diversi contributi citati - consentono di applicarlo alla
ricerca qui descritta. L’obiettivo (circoscritto a questa fase ma coerente con gli scopi generali
della ricerca) è quello di definire un “modello di posizionamento” che caratterizzi le
narrazioni nei contesti legali: in accordo con Harré e van Langenhove (1995), infatti,
cercheremo di delineare un modello ideale condiviso di collocazione posizionale nei contesti
legali28:
gli stereotipi sono evidenti come posizioni e come personaggi nelle story line nei discorsi di tutti i tipi. In questo
modo, il terzo elemento nel triangolo posizionale, la story line, può essere interpretata come veicolo di stereotipi.
Una story line, o uno stile narrativo, incorpora non solo un corso di eventi […] ma anche di personaggi. […] per
la ricerca da qui avviata c’è una grandissima opportunità, quella di identificare e classificare il tipi di personaggi
che figurano nelle presentazioni discorsive di storie controverse come – ad esempio – i dibattiti scientifici, i
discorsi sull’ambiente e cosi via (Harré e van Langenhove, 1995, p. 369).
A partire dal pionieristico articolo di Davies e Harré (1990; cfr. anche Harré, 1984), le
dimensioni prevalenti29 sono state identificate in:
- ordine morale: indica il posizionamento rispetto ai sistemi culturali e locali di doveri e
diritti, obblighi e crediti; include le attribuzioni, le credenze, gli atteggiamenti, i valori;
- ordine sociale: indica il posizionamento rispetto al sistema degli interlocutori (si veda il
concetto di “matrice condizionale” nel cap. 3 § 1.2) secondo le declinazioni di tipo
sociologico-anagrafico, i ruoli agiti e vissuti, le collocazioni storiche e attuali,
- ordine spaziale: indica la collocazione in un contesto reale delimitato da confini e
caratterizzazioni definite; corrisponde alla localizzazione fisica dell’evento narrato;
- ordine temporale: indica il posizionamento in un momento storicamente definito e
ridefinibile narrativamente; dal punto di vista della rilevazione empirica, corrisponde la
collocazione in un duplice contesto: quello del momento in cui si sono svolti i fatti (“lì e
allora”) e quello della rievocazione narrativa attuale (“qui e ora”).
28
Questo obiettivo di definizione di un modello generale non significa tuttavia dimenticare la natura situazionale dei
posizionamenti discorsivi (così come sono stati fin qui descritti): ci riferiamo infatti a un modello valido per il gruppo
specifico di rispondenti considerando essi come rappresentanti (non rappresentativi) dei detenuti che hanno compiuto reati
analoghi. Le narrazioni prodotte hanno quindi (come verrà ampiamente descritto nel cap. 2) carattere situazionale, costruttivo
di (e costruito in) contesti specifici pur nella generale tendenza programmatica verso la definizione di un modello condiviso
fra i partecipanti della ricerca.
29
Precisiamo - anticipando un argomento che verrà approfondito in seguito (cap. 3 § 1.2) - che il “livello di astrazione” delle
dimensioni è relativo alla distanza concettuale, logica e operativa fra i concetti (e le dimensioni che li compongono) e gli
indicatori empirici rilevabili.
26
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Rimandando agli Autori per ulteriori approfondimenti (e per le distinzioni concettuali fra
posizionamento di primo e di secondo ordine, tacito o intenzionale, “performative/accountive
positioning”), ci preme tuttavia ricordare l’ampia gamma di applicazioni che la teoria ha
avuto negli ultimi anni: gli studi sulla personalità (Davies e Harré, 1990; 1999), la definizione
delle identità di genere (Moghaddam, Hanley e Harré, 2003; McKenzie e Carey, 2000; Lynn
Adams e Harré, 2001; 2003), le relazioni interculturali (Slocum e van Langenhove, 2003; Tan
e Moghaddam, 1995; 1999; Moghaddam, 1999), l’uso di stereotipi (van Langenhove e Harré,
1999a; 1995), la struttura delle argomentazioni scientifiche (van Langenhove e Harré, 1999b),
la costruzione narrativa dell’identità sociale, nazionale o professionale (Harré e van
Langenhove 1992; 1999c; Berman 1999; Carbaugh, 1999; Taylor e coll., 2003; Phillips, Fawn
e Hayes, 2002), la partecipazione alle comunità di pratiche lavorative (Linehan e McCarthy,
2000), il linguaggio della progettazione e valutazione delle tecnologie (van Langenhove e
Bertolink, 1999), la comunicazione mediata da nuove tecnologie (Riva e Galimberti, 1997), lo
studio delle opinioni pubbliche conflittuali (Harré e Slocum, 2003a,b), la costruzione
narrativa del disagio e della malattia (Sabat, 2003; Wetherell, 2003; Sabat e Harré, 1999;
Wortham, 2000; Georgakopoulou, 2000), l’espressione delle emozioni e delle motivazioni
(Apter, 2003; Gerrod Parrott, 2003; Walton, Coyle e Lyons, 2003; Benson, 2003).
In conclusione, la teoria del posizionamento offre una ampia e complessa chiave di lettura
degli eventi quotidiani così come li vede e li descrive un attore-osservatore partecipante che
nella definizione della situazione (implicitamente o esplicitamente) narra pezzi della sua
identità in quel contesto; è possibile che il lettore di queste pagine ne ricavi un’idea di
vaghezza e scarsamente approfondito impianto metodologico e, in effetti, gli stessi autori ne
precisano natura e obiettivi:
La teoria del posizionamento non dovrebbe essere ritenuta una “teoria generale” che richiede un’applicazione
deterministica a specifiche applicazioni. Non è come la teoria gravitazionale. Piuttosto, può essere considerata
come un punto di partenza per riflettere su molti differenti aspetti della vita sociale (Harré e van Langenhove,
1999d, pp. 9-10).
27
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Background metodologico
Non c’è niente di più pratico di una buona teoria. Kurt Lewin (1890‐1947) 28
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Capitolo 2 - I metodi e gli strumenti
Stando alle premesse teoriche descritte in precedenza, diventa chiaro come - dal punto di
vista metodologico - la scelta debba indirizzarsi verso metodi e tecniche di ricerca capaci di
cogliere e valorizzare la complessità dell’oggetto di studio.
La nostra attenzione si dunque è orientata verso la ricerca qualitativa e le tecniche di
rilevazione delle informazioni di tipo narrativo. Descriveremo adesso brevemente, nel primo
paragrafo, questo contesto (che abbiamo chiamato background metodologico) e le ragioni
della scelta. Ci dedicheremo poi, nel secondo paragrafo alla discussione dei “modelli
culturali” più generali che fanno da sfondo alla ricerca presentata nel prossimo capitolo.
Infine, faremo una rassegna delle tecniche specifiche di rilevazione (le interviste narrative) e
di analisi delle informazioni (analisi delle strutture e analisi dei contenuti).
1.
I metodi qualitativi
Sotto il profilo epistemologico e metodologico, la posizione di chi scrive è caratterizzata da
una preferenza per i metodi qualitativi.
Non è questa la sede per rispolverare la vecchia (forse ormai superata) dicotomia fra
metodi qualitativi e metodi quantitativi, ovvero fra orientamenti positivi (e post- o
neopositivisti: Mannetti, 1998; Guba e Lincoln, 1994) e orientamenti (socio)costruzionisti
(Gergen, 1985; 2004; Kruglanski e Jost, 2000). Ci limitiamo qui a sottolineare alcuni termini
salienti del dibattito più recente, che - più che esacerbare ed enfatizzare le differenze - cerca di
ricomporle in un coerente quadro dei rispettivi obiettivi e delle implicazioni sulla natura della
conoscenza. Come sostiene Mazzara (2002, p. 23), «l’opposizione fra le due modalità di
concepire la scienza, e più in generale la conoscenza, è molto meno radicale e netta di quanto
potrebbe apparire»: nonostante le resistenze che ancora da più parti si registrano, infatti, i
diversi filoni di studio sembrano poter essere collocati lungo il continuum delle polarità con
posizionamenti graduati e intermedi.
Su questo tema Mazzara (2002, pp. 26-27), le cui riflessioni condividiamo pienamente,
afferma che
si può osservare una contrapposizione fra concezioni definibili rispettivamente come minimaliste e massimaliste
[…]. Per le prime la scelta fra quantità e qualità è solo un problema di metodo, o addirittura di tecnica, e
ciascuno può legittimamente utilizzare metodi diversi, anche in combinazione tra loro, in funzione degli scopi
della ricerca o della specifica fase in cui ci si trova, ma anche in funzione del tempo e delle risorse che si hanno a
disposizione, senza che questo implichi scelte di base a livello epistemologico. Per le seconde, al contrario, il
contrasto è in primo luogo un’opposizione fra paradigmi interpretativi, sicché i due mondi della quantità e della
qualità esprimono scelte di campo diverse e per molti aspetti incompatibili circa la natura stessa della
conoscenza.
La prima opzione, sovente descritta in termini di “eclettismo metodologico”, ha raccolto numerose critiche,
centrate sul carattere eccessivamente pragmatico o in qualche caso addirittura opportunistico delle scelte
effettuate, ma riguardanti soprattutto la scarsa definizione del modo in cui i risultati conseguiti vanno a inserirsi
in un complesso sistema di conoscenza. La seconda opzione, che si qualifica per una più rigorosa attenzione per
gli aspetti teorici ed epistemologici, ha finito per diventare, specie se interpretata in maniera molto rigida, una
barriera alla comunicazione fra i due approcci e un reale ostacolo alla loro reciproca fecondazione. […] valido e
interessante può considerarsi l’obiettivo di migliorare complessivamente le nostre capacità conoscitive attraverso
29
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante un più fecondo interscambio fra le due prospettive, ciascuna delle quali presenta indubbiamente vantaggi
specifici dei quali sarebbe opportuno approfittare e che vengono invece sacrificati in una logica di
contrapposizione rigida.
In termini molto generali e considerando gli obiettivi di conoscenza consentiti da ciascun
approccio, possiamo sostenere che il ricercatore che preferisca servirsi di metodi qualitativi
avrà un maggiore interesse per la comprensione e l’interpretazione del fenomeno, mentre chi
predilige metodi quantitativi probabilmente mira alla spiegazione in termini (positivisti) di
previsione e controllo. I metodi qualitativi consentono di catturare la ricchezza dei temi
emergenti nel parlato del rispondente piuttosto che ridurre le risposte a categorie
quantitative30 (Smith, 1995).
Marecek, Fine e Kidder (1997) hanno sostenuto che «il cuore dell’orientamento qualitativo
è il desiderio di dare un senso all’esperienza»; per questa ragione «gli approcci qualitativi
sono meno prescrittivi e più flessibili dei metodi della psicologia ortodossa. Infatti, alcuni
sostengono che tali metodi debbano essere chiamati “modo di lavoro” più che “metodi” in
senso stretto» (p. 637).
Secondo gli Autori, infatti, la misurazione di manifestazioni individuali (dei “punti di
vista”) mediante scale, questionari e test impone che queste vengano forzatamente ricondotte
entro le categorie teoriche definite a priori dai ricercatori. Un approccio qualitativo invece
valorizza l’attribuzione di senso che - individualmente (nei processi cognitivi dell’attore), ma
anche ricostruttivamente (nelle interazioni finalizzate alla rilevazione di dati empirici) - viene
data alle peculiari esperienze di vita di ciascuno (Leone, 2001; Bercelli, 2004; Stame, 2004).
A sostegno di questa “utilità” dei metodi qualitativi per lo studio di oggetti sociali
complessi, Cicognani (2002a, p. 17) afferma che «nella misura in cui l’oggetto di indagine è
costituito dai significati, per analizzarli occorre un’attività di interpretazione e di
concettualizzazione che non può essere affidata (o non può essere affidata solamente) agli
strumenti di misurazione convenzionali, ma richiede inevitabilmente l’intervento del
ricercatore e delle sue capacità e risorse interpretative»: al ricercatore è richiesta un’attenzione
allo scambio che si realizza fra gli attori coinvolti e una partecipazione del ricercatore alla
costruzione dell’unità di analisi. Tuttavia, «l’indifendibilità della dicotomia qualità/quantità
sul piano logico non esclude che attraverso di essa passino abitudini, forme mentali, stili
cognitivi profondamente radicati e - in qualche misura - davvero alternativi» (Ricolfi, 1997, p.
38).
Dal nostro punto di vista, riteniamo che per cogliere l’unicità e il senso soggettivo che
l’attore sociale ha inteso dare alla sua azione - in virtù della funzione espressiva di cui parlano
De Leo e Patrizi (1992; 1999) - sia opportuno preferire modalità di rilevazione delle
informazioni31 che limitino le costrizioni categoriali in favore di una maggiore possibilità di
espressione libera, da parte del narratore, e di comprensione in profondità, da parte del
ricercatore (Silverman, 2000).
Da queste premesse, diverrà via via sempre più evidente come l’interesse per i significati
soggettivi (cioè, la costruzione soggettivamente rilevante) ci abbia portati a scegliere il testo
(cioè, la trascrizione di questa costruzione in forma narrativa) come unità di analisi (Leccardi,
1997). La soluzione che proponiamo costituisce il caso intermedio, nella terminologia di
Ricolfi (1997), fra i dati ad alta organizzazione e i dati a bassa organizzazione32: si tratta delle
ricerche che operano sui testi sottoponendoli a processi di organizzazione tipici degli approcci
qualitativi ed ermeneutici:
30
Per ulteriori approfondimenti sul rapporto fra metodi qualitativi e metodi quantitativi suggeriamo al lettore i recentissimi
contributi di Mazzara (2002), Mantovani (2003) e Corbetta (2003a).
31
Sull’utilizzo del termine “informazioni” al posto di “dati” si veda più avanti il capitolo 4 e De Gregorio e Mosiello (2004).
32
Con “organizzazione dei dati”, Ricolfi (1997, p. 24) definisce «il processo attraverso cui le informazioni vengono
trasformate in dati e immerse in strutture più o meno rigide e più o meno complesse»: “dati ad alta strutturazione” sarebbero
quelli la cui analisi si basa sulla matrice, “dati a bassa strutturazione” sono quelli che si basano sulla mera ispezione
informale dei testi (interviste in profondità e storie di vita).
30
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Una volta che si concepisce il compito di comprendere il comportamento umano come qualcosa che comporta
interpretazione ed empatia, piuttosto che predizione e controllo, le auto-descrizioni (self-reports) delle persone
che si stanno studiando divengono molto importanti in ogni progetto di ricerca psicologica (Harré e Gillett, 1994,
trad. it. 1996, p. 24).
2.
Dalla psicologia narrativa alla psicologia discorsiva
Un orientamento come quello appena descritto si collega a sfondi culturali generali rispetto
ai quali esso assume maggiore coerenza e prospetta utili implicazioni di tipo tecnicometodologico.
La psicologia narrativa, intesa come struttura dei processi di pensiero e di ricostruzione
degli eventi, è uno di questi contesti culturali (Sarbin, 1986a,b; Murray 1995): secondo i suoi
princìpi, infatti, «gli esseri umani pensano, percepiscono, immaginano e sognano secondo una
struttura narrativa. Dati due o tre input sensoriali, un essere umano li organizzerà all’interno
di una storia o, almeno, nella cornice di una storia» (Mancuso e Sarbin, 1983, p. 234); in altri
termini l’individuo dà agli eventi un ordine e una trama (= plot) ponendo così le basi per una
descrizione narrativa della realtà alla luce delle intenzioni dell’attore-narratore (Biancheria e
Cavicchioli, 1998; Melucci, 2001):
Le espressioni narrative deriverebbero […] dal bisogno degli individui di comprendere e interiorizzare la realtà
circostante attraverso un lavoro interpretativo che consenta loro di diventare parte integrante della realtà
raccontandola. […] Si tratta di narrare e comunicare la propria visione della realtà, di rendere pubblico tramite
rappresentazioni simboliche il significato interiorizzato, di far emergere le proprie credenze, intenzioni e i propri
sentimenti che a loro volta diventano interpretabili (Groppo, Ornaghi, Grazzani e Carruba, 1999, pp. 23-24).
Il racconto di eventi - come è stato ampiamente argomentato (Bruner, 1991) - rappresenta
una forma convenzionale trasmessa culturalmente. Tale natura culturale e condivisa fa sì che
il racconto (scritto o orale che sia) è un prodotto costruito in-relazione con altri
relazionalmente costruito e con obiettivi sovra-individuali (Gergen e Gergen, 1983; 1988).
Date queste premesse di “narratività” della vita quotidiana, di natura culturale e costruita
dei processi di pensiero, lo studio delle narrazioni assume un ruolo di rilievo tale che
emergono paradigmi ermeneutico-interpretativi per i quali i significati diventano l’unità di
analisi privilegiata. Secondo Bruner (1990) il comportamento (nel nostro caso “l’azione”, ma
per una distinzione concettuale fra i due concetti rimandiamo a De Leo e coll., 2004) è
comprensibile facendo emergere dall’individuo la capacità di narrare: in questo modo (e
coerentemente con quanto gli esponenti della “svolta discorsiva” hanno affermato sulle
strutture dei processi cognitivi: cfr., fra i tanti, il classico testo di Harré e Gillett, 1994; 1995)
l’azione diventa intelligibile secondo il punto di vista del suo protagonista che le dà una
“forma narrativa” in accordo con i canoni culturali di riferimento (Bruner e Weisser, 1995;
Harré e Van Langenhove, 1999c) e le regole dei generi narrativi (Feldman, 1991).
La struttura portante di un racconto è, quindi, caratterizzata da una componente individuale
(scelta di cosa narrare, attribuzione dei significati, processi cognitivi: memoria, emozioni,
pianificazione) e da una culturale (scelta di come narrare, condivisione dei significati, processi
storico-sociali): si tratta di ciò che in altra sede (De Leo e coll., 2004a) abbiamo chiamato “la
forma del pensiero” e che ha la sua origine nella corrente della psicologia narrativa.
Individualità e “culturalità” si incontrano e il prodotto di questo incontro è la narrazione di un
evento personale (nel nostro caso, l’azione deviante).
Ma come è possibile conciliare aspetti cognitivi individuali e riferimenti culturali? La
letteratura sull’argomento ha fatto ampiamente riferimento ai pionieristici studi di Bartlett
(1932) sul racconto di storie: descriviamo, a questo riguardo la rivisitazione che ne hanno
fatto Robinson e Hawpe (1986). Centrale è il concetto di “schema cognitivo”: secondo gli
Autori, la flessibilità del pensiero narrativo è radicata (“rooted”) in schemi cognitivi che
31
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante fanno da base per la generazione di ogni possibile storia. Si tratta di canoni generali sulla base
dei quali identificare le informazioni fondamentali che rendono ogni storia narrabile.
Il passaggio fondamentale su cui ci preme richiamare l’attenzione è quello di un necessario
fit fra un evento critico da narrare (l’azione deviante, ad esempio) e il modello narrativo
(“narrative plan”, nei termini di Robinson e Hawpe, 1986): l’aderenza dell’uno all’altro
diviene patrimonio individuale come storia di un evento: «Le storie sono il modo per
interpretare gli eventi costruendo un pattern causale che integra ciò che è noto di un evento
con ciò che è congetturale ma rilevante per l’interpretazione» (Robinson e Hawpe 1986, p.
112).
L’intenzionalità di tale ri-costruzione di pattern esperienza-schema narrativo da parte del
soggetto narrante è evidente dall’organizzazione che egli dà ai contenuti. Introduciamo qui il
concetto di “salienza del contenuto narrativo”33 a indicare che l’emittente/narratore, guidato
dall’esperienza e dagli schemi narrativi, valuta cosa inserire come rilevante e cosa no e il
destinatario, a sua volta guidato da schemi narrativi complementari, ricostruisce (decodifica)
ciò che il narrante ha codificato come saliente.
Come mostra la figura 4, in ogni atto comunicativo esiste uno spazio comune nel quale
emittente e ricevente (es., intervistato e intervistatore) condividono una parte dei significati di
cui ciascuno di essi è portatore nel proprio contesto sociale e cognitivo (i “contesti
informativi”).
Fig. 4: Significati soggettivi e significati condivisi nell’inter-atto comunicativo ( fonte: Anolli e Ciceri, 1995, p. 94)
INSERIRE FIG. ANOLLI SULLO SCAMBIO DEI SIGNIFICATI
La selezione delle informazioni rilevanti, il confronto fra esperienza34 e modelli narrabili,
e l’inferenza di dati dall’esperienza sono attività cognitive che «giocano un ruolo chiave come
intermediari fra gli obiettivi della storia in costruzione, il fatto da narrare e l’esperienza del
narratore» (Robinson e Hawpe 1986, p. 116).
A questo punto attraverso il concetto di “intenzionalità”, diventa evidente il collegamento
che il presente lavoro ha con il secondo sfondo culturale premesso nel titolo: la psicologia
discorsiva, «lo studio delle modalità e delle strategie che le persone utilizzano, in quanto
soggetti attivi e pianificatori, attraverso sistemi simbolici in contesti a volte pubblici a volte
privati al fine di attuare progetti e di raggiungere scopi» (Pagliaro 1996, p. 11).
La dimensione narrativa, secondo le definizioni che ne abbiamo dato in precedenza (in
questo paragrafo), costituisce il punto di contatto fra la cultura e la natura intenzionale
dell’azione:
33
Ne riparleremo nel prossimo capitolo.
Con il termine “esperienza”, Robinson e Hawpe (1986) intendono anche le storie precedenti cioè le narrazioni divenute
fatti a cui ancorare le narrazioni attuali. Esemplificano questa tesi con un parallelismo fra costruzione ‘ingenua’ delle
narrazioni e processi decisionali nei contesti legali anglo-americani in cui le sentenze diventano “precedenti” e come tali
danno fondamento alle decisioni successive.
34
32
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante l’agente torna a essere considerato depositario di intenzionalità, gradi di consapevolezza e controllo, ragioni e
significati che organizzano il suo modo di agire, nonché di responsabilità rispetto agli effetti d’azione,
soggettività e “unicità” definite dai posizionamenti e dai punti di intersezione non replicabili nell’ambito dei
discorsi e delle relazioni costitutivi della sua vita mentale pubblica e privata. Di qui la rilevanza attribuita alla
capacità delle persone di produrre discorsi intorno alle loro azioni; di costruire resoconti giustificatori o
esplicativi in base a svariati criteri morali, etici, situazionali, normativi, culturali, e così via; di proporre il loro
punto di vista rispetto a se stessi e al mondo che li circonda; di esplicitare i sistemi di credenze, convinzioni,
valori, credo ideologici di diversa natura; di dispiegare le loro competenze narrative costruendo e ricostruendo le
storie personali nelle dimensioni temporali canoniche (passato, presente e futuro); di selezionare, attivare e
negoziare concettualizzazioni e significazioni rispetto al proprio e altrui modo di agire, attingendo al vasto
repertorio di pratiche discorsive culturalmente accessibili, in rapporto alle opportunità, ai posizionamenti e ai
vincoli regolativi normativi e convenzionali che esse implicano. Il linguaggio ordinario, socialmente costitutivo
della conoscenza di senso comune, emerge come dimensione appropriata per la comprensione dei mondi
personali e la “creazione” di racconti utili e plausibili in rapporto agli obiettivi, cambiamento compreso (Pagliaro
e Dighera, 1996, pp. 244-245).
Nel corso degli anni ‘90 la psicologia sociale ha incrociato le correnti maggiormente
rappresentative della cosiddetta svolta discorsiva: in particolare, gli studi che hanno inteso il
legame fra azione e linguaggio secondo la duplice accezione di produzioni discorsive
sull’azione sociale (Harré e Gillett, 1995; 1994; De Leo, 1995; Melucci, 2001) oppure
produzioni discorsive come azione sociale (vedi, fra i tanti, Edwards e Potter, 1993; De Grada
e Bonaiuto, 2002). La seconda rivoluzione cognitiva – come è stata anche chiamata questa
rinata enfasi sugli aspetti discorsivi dei processi cognitivi35 (Harré e Gillett, 1994; Bruner,
1990) – ha diversi aspetti in comune con le recenti ipotesi socio-costruttiviste dell’azione,
(cfr.: De Grada e Bonaiuto, 2002)36: su questa comune base logica ed epistemologica che si
fonda la nostra ipotesi di studio dell’azione deviante e della sua manifestazione più rilevante
sul piano empirico: la narrazione.
De Leo e Gnisci (1996) hanno parlato a questo riguardo di costruzione dell’azione e delle
sue implicazioni psicologiche, relazionali e organizzative: il riferimento principale è ai
contesti applicativi di area specificamente giuridico-criminologica nei confronti dei quali è
possibile ipotizzare utilizzi dei concetti appena illustrati: così, ad esempio, i significati
culturali che strutturano l’attività e la presentazione che un individuo fa di Sé (Baumeister e
Newman, 1994; Harré e Gillett, 1994; 1995) ci porterebbero a riflettere su qual è il significato
che il soggetto dà all’azione deviante. L’enfasi sulla relazione con il contesto e sulle norme
interattive, d’altra parte, si collega a topics tradizionali della riflessione in criminologia
(culture e sottoculture, teoria delle associazioni differenziali). La considerazione, infine, che
agli eventi e agli oggetti viene attribuito un significato attraverso i discorsi in cui appaiono e
in relazione a ciò che viene espresso (Harré e Gillett, 1994) si attualizza nella ricostruzione di
un crimine in tribunale (Bruner, 2002): si tratta di una serie di collocazioni situazionaliinterattive e normativo-simboliche che definiscono i confini del contesto inteso come
insieme complesso, ma nel contempo finito e definito, di elementi normativi e convenzionali, di regole
interpretative e prescrittive, procedure formali e informali, culture locali e organizzative, definizioni di ruoli e
posizionamenti, sistemi di aspettative reciproche, rappresentazioni sociali e repertori d’azione condivisi, quadri
di significato in qualche misura negoziabili, in relazione a cui gli attori organizzano, dirigono e controllano le
proprie azioni essendone, entro certi limiti, circolarmente e riflessivamente organizzati, diretti e controllati. Il
contesto, a differenza del generico ambiente, è caratterizzato sul piano simbolico […] e diviene così cornice e
sfondo rispetto a cui l’attore agisce di volta in volta diverse immagini e rappresentazioni del Sé (Pagliaro e
Dighera, 1996, p. 148).
Queste le proposte di sostegno teorico allo studio narrativo dell’azione deviante: riteniamo
infatti che i concetti espressi e, soprattutto, le ragioni teoriche ed epistemologiche esposte
possano essere applicati allo studio delle narrazioni sull’azione (Harré e Gillett, 1994; Smorti,
35
36
Inclusa la pianificazione dei percorsi d’azione e il resoconto di essi.
Vedi oltre, nel paragrafo successivo.
33
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 1997; Lorenzetti e Stame, 2004) e, in particolare, sull’azione deviante. Tale ipotesi è sostenuta
da una serie di riflessioni e studi di provenienza sociologica (Leccardi, 1997), secondo i quali
attraverso i testi (intesti come trascrizioni di interazioni con una loro autonomia di significato)
sarebbe possibile ricostruire il senso di un’azione. Ci sono evidenze infatti che, nel momento
in cui il soggetto narra la sua storia personale, inevitabilmente conferisce un significato alle
sua azione e, mediante questo significato, si inserisce nel sistema simbolico e culturale di
appartenenza (Groppo e coll., 1999; Bruner, 1991).
3. Le interviste qualitative: biografiche e narrative
Come rendere a ottenere testi per le analisi delle narrazioni sulle azioni devianti?
Il nostro interesse si è rivolto alle interviste narrative come particolare declinazione delle
interviste qualitative. In questo paragrafo proveremo a tracciare il percorso che ha portato alla
scelta di questa tecnica: a questo fine, proponiamo una discussione sulle interviste37,
strumento elettivo per cogliere il punto di vista degli attori (l’attribuzione di significati
soggettiva e situazionale) e rendere testualizzabile (per le ragioni illustrate nel paragrafo
precedente) l’unità di analisi.
Cosa si intende per “intervista qualitativa”? Si tratta di
una forma di conversazione professionale che segue regole e impiega tecniche specifiche, […] uno scambio di
opinioni su una base di sincerità, tra due persone che si confrontano su un tema di interesse comune producendo
conoscenza (Cicognani, 2002a, p. 47).
Essa viene utilizzata con l’obiettivo generale di avere un “accesso” alla prospettiva dei
rispondenti a un’indagine (Corbetta, 2003b). Come strumento di rilevazione delle
informazioni risente di concezione partecipativa della ricerca qualitativa: in essa l’intervistato
e l’intervistatore sono in un rapporto di reciprocità, orientato alla co-costruzione del processo
di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997; Losito, 2004), e in cui i significati «scaturiscono
dalla tendenza dialettica […] tra chi parla e chi ascolta» (Paolicchi, 2002, p. 195)38.
È, in altri termini, un’interazione in cui un attore (l’intervistatore) cerca di ottenere
informazioni, in maniera non precodificata, da parte di un altro attore (l’intervistato) che le
detiene: le due parti coinvolte hanno ruoli diversi e definiti (nella situazione specifica si tratta,
come detto, di ruoli asimmetrici). Una situazione di questo tipo presenta diverse peculiarità: le
dinamiche di potere, ad esempio (in senso lato, dalla competenza alla posizione, dalla
relazione alle influenze delle variabili di genere), «sono continuamente giocate all’interno di
una cornice che vede di volta in volta la prevalenza, ora di chi detiene le informazioni, ora di
chi può dirigere il corso dell’interazione stessa con una maggiore o minore direttività» (De
Leo e coll., 2004a, p. 67).
Si tratta tuttavia di definizioni difficilmente generalizzabili tout court: se infatti la ricerca
qualitativa in genere valorizza il contributo degli intervistati e degli intervistatori alla cocostruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997; Lucius-Hoene e
Deppermann, 2000; Losito, 2004), succede spesso che l’inevitabile disposizione di una
specifica tecnica di rilevazione delle informazioni su un continuum direttività/apertura
costringe tale processo entro cornici temporali e contenutistiche previste e dominate in primis
dal ricercatore.
Si evince da osservazioni appena esposte che interazione e complessità sono i criteri guida
da tenere presenti già dalle prime fasi di progettazione di una ricerca o di un intervento che
utilizza le interviste qualitative.
37
Più avanti il termine “intervista” verrà ulteriormente declinato nelle sue concrete applicazioni empiriche.
L’atteggiamento costruttivo è coerente con le più recenti formulazioni della rivoluzione contestuale in psicologia sociale
(Bruner, 1990, trad. it. 1992): cfr. la “Psicologia discorsiva” di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
38
34
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Numerose sono le declinazioni di intervista qualitativa presenti in letteratura: intervista in
profondità (Miller e Glasser, 1997), intervista motivazionale (Castiello D’Antonio, 1994;
Levati e Saraò, 2002), intervista ermeneutica (Montesperelli, 1998), intervista discorsiva
(Cardano, 2003), intervista semi-strutturata (Cicognani, 2002a; Smith, 1995), intervista
focalizzata (Flick, 1998) e - nello specifico settore di cui ci stiamo occupando - intervista
investigativa (Fielding, 2004; Kuhns, 1998). Non ci dilungheremo sulle rispettive definizioni,
sulle analogie e differenze39: ci interessa soprattutto sottolineare come spesso l’etichetta con
cui viene nominata una tecnica, corrisponde a una sua specifica caratteristica (relativa allo
stile di conduzione generale, o al contenuto specifico, oppure alla maggiore o minore
standardizzazione delle domande).
Rispetto ai nostri obiettivi, approfondiremo invece le strategie di intervista che più si
avvicinano alla generale definizione di intervista qualitativa e che, soprattutto, rappresentano
gli orientamenti teorici ed epistemologici descritti nel paragrafo precedente.
3.1 Le interviste biografiche
Si caratterizzano per la definizione composita e complessa, poiché nell’aggettivo
“biografico” è inclusa una duplice caratterizzazione sia, in termini prettamente metodologici,
sul ruolo dell’intervistatore (De Waele e Harré, 1979), sia una caratterizzazione temporale: si
tratta di una macrocategoria all’interno della quale è possibile identificare diversi tipi di
intervista accomunati dall’interesse per l’autobiografia, il resoconto sull’esperienza
individuale. La scelta fra uno fra questi diversi aspetti in cui si declina l’autobiografia (come
vedremo a breve) è soggettiva e dipende dallo specifico oggetto della ricerca.
A questo proposito, Atkinson (1998, trad. it. 2002, p. 33), ha notato che
benché alla narrazione autobiografica si possa applicare una metodologia di ricerca piuttosto uniforme […]
l’intervista autobiografica può implicare una certa dose di soggettività, e persino di casualità. Lo stesso
ricercatore può usare domande diverse con diversi intervistati. […] l’intervista autobiografica è sostanzialmente
un modello, che si applicherà diversamente in situazioni diverse, circostanze diverse o ambienti diversi.
Per l’Autore, in altri termini, l’intervista ideale sarebbe possibile solo adattando lo stile, la
traccia e l’interazione alle specifiche circostanze.
Faremo adesso una breve rassegna delle tecniche incluse sotto il termine di “intervista
biografica”.
3.1.1
Le autobiografie
Una delle prime interpretazioni di come deve essere un’intervista focalizzata sul percorso
evolutivo individuale è stata fornita da De Waele e Harré (1979): con il termine
“autobiografia” hanno inteso un account retrospettivo e individuale formulato in un dato
momento della propria vita: le narrazioni autobiografiche e i temi che ne fanno parte
forniscono un accesso alla matrice cognitiva dell’attore, al suo sistema organizzato di
conoscenze sociali a cui attinge per agire e per rendere conto delle proprie azioni (De Waele e
Harré, 1979; Bichi, 2004).
Come gli stessi Autori notano, si tratta di uno strumento di difficile applicazione per lo
studio dell’azione sociale: in prima istanza, per ragioni epistemologiche, è messa sicuramente
in secondo piano l’importanza dell’interazione fra soggetto/fonte di informazioni e un
intervistatore/ricercatore che stimola e coordina lo svolgimento dell’incontro, e inoltre
Problemi di oggettività, validità e affidabilità fanno perdere ai metodi biografici il confronto con i metodi
psicometrici e la loro utilità è stata valutata semmai come strumento di studi preliminare o esplorativo: di fatto
l’autobiografia naive non dovrebbe essere considerata come un obiettivo in se stessa ma come uno strumento di
ricostruzione biografica che integra e completa i dati provenienti da altre fonti (De Waele e Harré, 1979, 179).
39
Ne abbiamo già parlato nel capitolo 3 in De Leo e coll. (2004a) a cui rimandiamo.
35
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Oltre a questo, De Waele e Harré (1979) affermano che i metodi autobiografici sono
generalmente ignorati dagli psicologi probabilmente, a loro avviso, per una forma di
autocritica sulla presunta non-validità dei propri strumenti o forse per l’elevato dispendio di
risorse che comporterebbe il loro utilizzo nel momento in cui si cercasse di andare oltre
un’analisi di superficie per mettere in relazione le categorie dei significati a livelli di
astrazione maggiore (Strauss e Corbin, 1990).
Per inciso, diciamo che il problema della “validità” delle indagini qualitative è stato
affrontato, negli anni più recenti, secondo diverse prospettive. Ne parleremo nell’ultima parte
di questo lavoro, limitandoci qui a indicare l’approccio intersoggettivo (implementato anche
nelle funzioni di utilizzo di ATLAS.ti), quello che confronta i risultati ottenuti da fonti diverse
(Denzin, 1978 cit. in Mantovani, 2003), la prospettiva di Silverman (2000), secondo il quale
la bontà di una ricerca di tipo qualitativo si valuta prima di tutto dalla coerenza interna del
percorso logico e metodologico mediante il quale sono state raggiunte le conclusioni.
Lo strumento principale per la conduzione di un’intervista biografica secondo questo
approccio è il Biographical Inventory: si tratta di uno strumento composto da domande aperte,
questionari e scale di valutazione che vengono utilizzati per integrare i dati provenienti da
fonti diverse (incluse le autobiografie propriamente dette e i “diari”). Lo schema di codifica
consta di una lista di topics che possono essere usati dall’analista per “leggere”
sistematicamente il corpus di dati da differenti punti di vista e desumere da esso le
informazioni utili alla compilazione dell’inventario. Questo è, in altre parole, del tutto simile a
una griglia di analisi del contenuto di molteplici fonti di dati contemporaneamente.
In questo modo, la tecnica/strategia di intervista consiste in una serie di focalizzazioni
successive orientate a fare emergere le dimensioni più esplicative sui significati riferiti al
comportamento sociale.
La logica sottostante l’approccio appena descritto è sintetizzata dagli Autori e ha diversi
aspetti in comune con i nostri obiettivi di conoscenza sull’azione:
Al cuore della spiegazione del comportamento sociale c’è l’identificazione dei significati soggiacenti. Parte
dell’approccio orientato alla loro scoperta coinvolge l’acquisizione di resoconti – le stesse affermazioni
dell’attore sulle azioni in oggetto - su quali significati sociali sono dati alle azioni dall’attore e dagli altri. Tali
informazioni devono essere raccolte e analizzate e spesso portano alla scoperta delle regole che stanno alla base
del comportamento stesso. La spiegazione tuttavia non è completa finché diversi resoconti sono negoziati (De
Waele e Harré, 1979, pp. 197-198).
La proposta appena descritta ha, alla luce dei nostri obiettivi di conoscenza, alcuni aspetti
di interesse: l’integrazione multi-metodologica - con la convergenza di diverse tecniche
(questionari, diari, etc.) - è senza dubbio il suo punto di forza. Ma non possono essere
trascurati gli elementi di criticità: se infatti (e come più recentemente è stato sottolineato e
come abbiamo scritto nei paragrafi precedenti) - la situazione di intervista è essa stessa un
episodio sociale, la mancanza di un’interazione effettiva (“faccia-a-faccia”) fra intervistato e
intervistatore (che caratterizza questa tecnica) elimina una componente fondamentale
dell’incontro ermeneutico (De Grada e Bonaiuto, 2002): l’azione del “fare un resoconto” l’account (come abbiamo scritto nel primo capitolo) - è influenzata in maniera decisiva dal
tipo di episodio sociale in cui è inserita: ogni azione (o meglio, ogni azione discorsiva),
secondo questo modello prende la forma del contesto in cui viene attuata40. Secondo il
Discoursive Action Model, in particolare, le formulazioni discorsive che vedono impegnati gli
attori sociali «vengono retoricamente costruite per servire scopi pratici, interpersonali o
sociali, e perciò costituiscono azioni» (De Grada e Bonaiuto, 2002, p. 158):
Il carattere di azione sociale delle formulazioni verbali, soprattutto di quelle che riguardano le cognizioni di
eventi, trova riscontro nella possibilità che, riguardo a uno stesso evento, tali formulazioni, pur senza essere
oggettivamente scorrette, possano prevedere un numero pressoché infinito di versioni differenti (ibidem, p. 159).
40
Pensiamo, ad esempio, all’adattamento che un’intervista focalizzata subisce nel momento in cui diventa l’interrogatorio di
un testimone in un processo penale.
36
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 3.1.2
Le storie e i racconti di vita
Secondo Bichi (2002), all’interno dei metodi biografici possiamo distinguere i racconti di
vita (Bertaux, 1998) e le storie di vita (Bichi, 2000): la differenza sta nel fatto che i primi
centrano l’attenzione (e la consegna iniziale) su un arco temporale ridotto o su un fatto
specifico, mentre le “storie di vita” partono dalla generica richiesta di “parlare di sé”. A
questa apparente semplicità a livello di definizioni dobbiamo tuttavia affiancare le molteplici
caratterizzazioni delle concrete prassi empiriche: la stessa Bichi (2002, p. 28) infatti ci
informa che «dietro l’etichetta “storia di vita” si cela […] una vasta complessità strumentale;
questo tipo ideale trova, infatti, nella pratica, innumerevoli contaminazioni». Esiste comunque
un filo conduttore che accomuna tutte le varianti e sta nella modalità di gestione della
situazione e di “somministrazione”41 delle domande: si tratta infatti di situazioni nonstrutturate nelle quali l’intervistatore - pur avendo una traccia articolata e complessa che
consente di prevedere i possibili percorsi dell’interazione - guida l’intervistato in un processo
di continua scoperta del proprio percorso biografico.
Comune a tutte le forme di intervista è la tecnica di conduzione: ogni intervista biografica
(dopo l’indispensabile fase di presentazione dell’intervistatore e della ricerca) parte da una
domanda narrativa generativa (Flick, 1998), che ha l’obiettivo di stimolare il racconto libero
da parte dell’intervistato lungo una direttrice coerente (la “narrativa principale”). Come
avverte Cicognani (2002a, pp. 61-62)
la domanda generativa deve essere formulata in termini molto ampi. […] è seguita da domande più specifiche in
cui i frammenti narrativi che non erano stati trattati in modo esaustivo o non erano chiari vengono ripresi
dall’intervistatore con un’altra domanda generativa e completati (ad esempio, “Mi ha detto che prima è passato
da X a Y. Non mi è molto chiaro come si è verificata la malattia dopo questo. Potrebbe raccontarmi più
dettagliatamente questa parte della storia?”).
Un altro aspetto comune sta nella partecipazione congiunta di intervistatore e intervistato
alla produzione delle informazioni: le due figure non sono separate ma implicate insieme nella
situazione di intervista, che è intesa come
l’insieme degli avvenimenti che consentono lo sviluppo di un’azione sociale complessa, costruita dialogicamente
da due o più attori e attraverso la quale viene raccolta-prodotta un’intervista biografica. È una situazione nella
quale gli attori agiscono entro “ruoli” definibili, con finalità e aspettative […] la situazione d’intervista delinea,
allora, un tipo particolare di azione sociale, che va definito e circoscritto, analizzato e interpretato e nel quale
trova posto anche la pratica scientifica del ricercatore (Bichi, 2002, p. 37).
L’enfasi è sulla natura interazionale dell’intervista biografica, un evento in cui le due parti
mostrano un’intenzione di conoscenza, una motivazione all’incontro:
il racconto dell’esperienza viene ritenuto una situazione sociale nella quale, come in tutte le situazioni sociali, ha
luogo la costruzione, la riproduzione e la comunicazione di forme di socialità. Questo processo, vissuto
nell’interazione sociale provocata dall’intervista, consente all’intervistato di spiegarsi e argomentare, di dare con le parole - un senso alla propria esperienza, di ri-costruire connessioni e modelli, di valutare e comparare in
funzione del proprio divenire sociale (ibidem, p. 39).
Questa attribuzione di intenzionalità (assente nell’autobiografia proposta da De Waele e
Harré) rende ogni intervista una situazione assolutamente singolare e irripetibile, un’azione
sociale, appunto, in cui ogni sequenza comportamentale risponde a (e pretende risposte da)
un’altra in una duplice escalation dialogica: fra attore e intervistatore, da un lato, e fra la
realtà storica della vicenda e la realtà ricostruita nella narrazione, dall’altro (De Leo e coll.,
2004b).
41
Il termine “somministrazione” è virgolettato in quanto viene qui utilizzato per estensione, essendo tradizionalmente usato a
proposito degli item di un test o di un questionario.
37
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Rimangono da aggiungere alcune considerazioni sugli sviluppi successivi dell’intervista.
La domanda narrativa generativa, come abbiamo visto, deve essere formulata in maniera
ampia e onnicomprensiva con l’obiettivo di stimolare la maggior quantità possibile di
“informazione spontanea”, la traccia successiva (che verrà formulata sotto forma di domande
vere e proprie solo nel caso in cui le aree previste non vengano toccate dal racconto libero
dell’intervistato) dovrà essere tanto articolata da includere in sé una completa mappatura del
percorso logico-metodologico che articola il concetto (argomento della ricerca) nelle sue
dimensioni definitorie e costitutive e queste ultime negli indicatori empirici rilevabili
(Lazarsfeld, 1958; Losito, 1998; De Gregorio, in stampa). Rimandando alle fonti citate per
ulteriori approfondimenti sull’articolazione concetto-dimensioni-indicatori, ci preme
sottolineare un aspetto importante relativo al rischio che l’intervistatore possa suggerire
contenuti e risposte all’intervistato e che, di conseguenza, la “libertà d’espressione” di
quest’ultimo rimanga un obiettivo e non venga concretizzata in chiave empirica. In altra sede
(De Gregorio e Mosiello, 2004; De Leo e coll., 2004a,b) ci siamo riferiti a questa
problematica nei termini della dialettica fra aspetti Emic e aspetti Etic delle situazioni di
ricerca qualitativa. Ne riassumiamo i termini nella finestra 1.
Un ultimo aspetto riguarda i criteri di strutturazione che hanno guidato la costruzione della
traccia di intervista biografica (sia essa racconto o storia di vita): essi potranno sempre essere
messi in discussione, coerentemente con gli orientamenti più estremi nella ricerca
qualitativa42. In altri termini, la traccia di intervista infatti avrà una sua strutturazione iniziale
ma dovrà essere “aperta” e comprendere le concettualizzazioni che il ricercatore va via via
costruendo lungo il percorso di ricerca. Dovrà dunque essere aperta alle revisioni sulla base
delle indicazioni e informazioni che - emergendo dalla situazione di intervista - porteranno
nuovi contributi al processo di costruzione di conoscenza, intesa come impresa congiunta di
attore e ricercatore (De Leo e coll., 2004a; Losito, 2004 Holstein e Gubrium, 1997; LuciusHoene e Deppermann, 2000).
42
Per una rassegna su tali orientamenti rimandiamo - fra i tanti - a Silverman (1993; 1998).
38
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Finestra 1: Le dimensioni Emic/Etic dell’incontro ermeneutico
Il problema della relazione fra categorie cognitive
Ogni situazione di intervista è implicitamente un processo di interazione sociale in cui due universi cognitivi
(quello dell’attore/rispondente e quello del ricercatore/intervistatore) si incontrano e talvolta - inevitabilmente - si
scontrano.
Si tratta di situazioni in cui - inconsapevolmente - ciascuna delle due parti rischia di imporre contenuti e schemi
(narrativi e cognitivi) sulla base dei quali interpretare gli eventi raccontati. Parliamo ovviamente di “rischio” in
quanto un processo dialogico e costruttivo (come l’intervista qualitativa, che abbiamo descritto in questi termini)
porta in sé la possibilità che gli attori coinvolti non riescano a trovare un terreno comune e soprattutto che i
contenuti espressi dall’uno vengano travisati, distorti, dall’altro. Nel corso dello studio su cui verte il presente
lavoro (che verrà descritto dettagliatamente nel quarto capitolo) un intervistatore proseguì a lungo la sua
narrazione convinto che stesse parlando con un avvocato e che gli obiettivi del colloquio fossero relativi alla sua
difesa e non alla partecipazione a una ricerca di area psicologica: questa incomprensione di fondo faceva spostare
la discussione sui temi dell’involontarietà di commettere il reato (lo stato di ebbrezza in cui il protagonista si
trovava in quel momento) e sulla necessità di farlo capire al giudice. Al momento del chiarimento, l’intervistato
si è rifiutato di “perdere tempo a continuare questa cosa”. L’intervista ovviamente è stata cestinata. È un
esempio che mostra chiaramente uno dei possibili effetti di un’incomprensione a causa della quale intervistato e
intervistatore stanno parlando di due cose diverse, con obiettivi divergenti e secondo punti di vista non
conciliabili (De Leo e coll., 2004b).
Secondo una prospettiva, introdotta negli anni ’50, dal linguista K. Pike e ripresa in sociologia (Nigris, 2001), le
due prospettive possono essere sintetizzate nei termini di un confronto fra dimensione Emic dell’incontro e
dimensione Etic: «con i due termini (che derivano dai suffissi dei termini phonemic e phonetic), si fa riferimento
in particolare, alla consapevolezza che attore e ricercatore sono attivi costruttori di conoscenza e immagini di
realtà ciascuno da un suo peculiare punto di vista» (De Leo e coll., 2004a, p. 76). In una situazione di questo tipo,
tutte le operazioni di classificazione (inevitabili in qualunque operazione di ricerca, dalla formulazione delle
domande all’uso di euristiche di risposta, dalla definizione operativa delle variabili all’analisi dei dati) sono
condizionate dal punto di vista che l’attore sociale rappresenta.
In cosa consistono esattamente questi “punti di vista”? Seguendo la trattazione di Nigris (2001, p. 156) è
possibile definire l’emic come «incentrato sulla raccolta dei significati autoctoni, legati al punto di vista degli
attori, mentre l’etic poggia su osservazioni esterne indipendenti dai significati veicolati dagli attori. […]
Utilizzare i termini emic ed etic in questa maniera non significa opporli, ancor meno stabilire una gerarchia tra di
essi, ma semplicemente sapere chi parla, o di chi si parla» (a questo proposito si veda anche Koborov, 2002):
i costrutti emic sono affermazioni, descrizioni e analisi espresse nei termini degli schemi concettuali e delle
categorie considerate dotate di senso ed appropriate dai membri nativi della cultura le cui credenze e i cui
comportamenti sono oggetto di studio. I costrutti etic sono affermazioni, descrizioni e analisi espresse nei
termini degli schemi concettuali e delle categorie considerate dotate di senso ed appropriate dalla comunità
degli osservatori scientifici (Nigris, 2001, p. 158).
Qualunque strategia di ricerca, qualunque metodo di raccolta delle osservazioni (Mannetti, 1998) dovrà
inevitabilmente tener conto di questa articolazione.
3.1.3
Le interviste narrative
Secondo Cortese (2002) è possibile includere nel termine “intervista narrativa” tre
principali accezioni:
-
nella story un singolo intervistato racconta brevemente un’esperienza su un tema
specifico come risposta a specifici interessi del ricercatore,
39
-
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante nella life-story43 l’intervistato racconta estensivamente le esperienze durante tutto
l’arco di vita; può essere riferita anche a un periodo circoscritto rispetto al quale si
chiede il resoconto di un evento significativo,
nella history il ricercatore effettua una sintesi dell’esperienza di un altro protagonista e
la riferisce in terza persona44.
La schematizzazione appena esposta - sebbene utile a fini espositivi - è tuttavia spesso
smentita dalla prassi: nella realtà empirica infatti coesistono modelli che possono essere
assimilati ora a forme ibride con caratteristiche che comprendono l’una e l’altra, ora ad altre
interviste narrative che costituiscono metodi alternativi: infatti «anche se la dizione “intervista
narrativa” è ormai diffusa in letteratura, il suo significato varia a seconda della prospettiva
teorico-metodologica di riferimento e della sua traduzione in concreti disegni di ricerca»
(Paolicchi, 2002, p. 193).
Il filo conduttore che ci consente di parlare di “interviste narrative” come di un insieme di
tecniche organico e coerente (anche a prescindere dalle specifiche opzioni del ricercatore e
dalla contingenze delle singole situazioni di rilevazione) è l’atteggiamento di apertura e di
flessibilità dell’intervistatore:
non ci riferiamo solo a una generica “capacità di ascolto”, ma ad una vera e propria competenza (da apprendere
con un training specifico e da affinare con l’esercizio) di guidare l’interazione, facilitando un processo aperto i
cui contenuti sono da lui stesso previsti ma non imposti. Attore e protagonista dell’intervista narrativa rimane
dunque l’intervistato al quale il ricercatore deve proporsi con interesse “sincero” e senza cercare di dirigere il
corso dei pensieri e delle argomentazioni verso le sue categorie interpretative (De Leo e coll., 2004a, pp. 75-76).
Si ripropongono, in questo caso, le riflessioni esposte nel paragrafo precedente
sull’interferenza del sistema cognitivo dell’intervistatore su quello del rispondente: è un
rischio sempre presente tanto che Cicognani (2002a, p. 61) ha sostenuto che «in questa
prospettiva, il ricercatore si astiene dall’esercitare ogni forma di influenza ed è l’intervistato
che determina, dal suo punto di vista particolare, ciò che è rilevante e ciò che non lo è.
L’intervistato è il vero esperto della situazione di intervista» .
Nelle interviste narrative l’intervistatore mantiene un atteggiamento non direttivo, orientato
a stimolare l’approfondimento, se necessario, con tecniche di rilancio e di probing al fine di
non perdere nessuna informazione utile e, se possibile, di fare emergere i significati latenti
(Smith, 1995):
sia l’intervistatore che l’intervistato sono coinvolti in una ricerca di significato che trasforma l’intervista in un
processo attivo, necessariamente collaborativo. […] L’intervista più efficace, di conseguenza, sarà quella in cui
l’intervistatore può fare un passo indietro, osservare il processo mentre è in corso, decidere in quale direzione
conviene orientarlo e stabilire in anticipo quali domande porre. Essere un’abile guida, in grado di prevedere
esattamente quello che deve accadere nel prosieguo, è davvero essenziale per un’intervista ben riuscita. […] La
parte più difficile dell’intervista sta nell’adottare uno stile personale, o per meglio dire interpersonale, che induce
l’intervistato a raccontare la sua vicenda umana con un profondo coinvolgimento emotivo (Atkinson, 1998, trad.
it 2002, pp. 66-67).
Anche in questo caso la qualità delle informazioni raccolte si fonda quindi sulla positività
della relazione (con particolare enfasi sulla collaborazione e sul ruolo attivo di entrambi gli
attori), sulla flessibilità del percorso conoscitivo (che forse può mancare nelle fasi iniziali di
conoscenza reciproca), sulla condivisione di obiettivi e aspettative reciproche rispetto ai ruoli
specifici, alla situazione, ai contenuti:
Una tradizione ormai lunga di studi critici sulle interviste ha infatti evidenziato le distorsioni prodotte
dall’intervento di variabili diverse dall’opinione dell’intervistato, che si vuole oggettivare: da minime variazioni
nella forma linguistica della domanda o nella comunicazione non verbale da parte dell’intervistatore, agli effetti
43
44
Chiamata da Cicognani (2002a) anche “life history interview”.
È una modalità simile all’autobiografia di cui parlano De Waele e Harré (1979), cfr. § 3.1.1 in questo capitolo.
40
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante della posizione di una domanda nella sequenza dell’intervista, all’interpretazione dell’intervistato circa gli scopi
e i presupposti del ricercatore. Tutto ciò ha diffuso la convinzione che l’idea di uno stimolo standard sia una
chimera, ed ha ridato forza all’ipotesi che la variabilità del modo in cui gli intervistatori fanno domande sia
centrale nella tecnica dell’intervista ma non possa essere risolta con la standardizzazione (Mischler, 1986), e
debba quindi essere utilizzata per capire ciò che interessa realmente, il significato e non la formulazione verbale
della domanda e della risposta (Paolicchi, 2002, pp. 193-194).
Tutto quanto abbiamo appena esposto è facilmente collegabile ai temi della psicologia
culturale: ciò che interessa al ricercatore è infatti la possibilità di attuare un duplice
«approccio rivolto a cogliere sia i modi in cui la cultura è riflessa nel soggetto, sia i modi in
cui questo se ne appropria venendo a costituirsi come punto di vista storicamente situato e
autore di una storia dotata di una sua essenziale singolarità» (Paolicchi, 2002, p. 196):
l’intervista narrativa diventa «scambio comunicativo, fondato su un’essenziale tensione
dialettica tra dimensione individuale e sociale, tra produzione di significati attraverso la
capacità simbolica di ogni singola mente e condivisione, fra la peculiarità della singola storia
e il suo essere interna al contesto della situazione comunicativa attuale e a un più ampio
contesto culturale» (Paolicchi, 2002, p. 200).
D’altra parte, l’utilizzo del parlato (o in generale dei metodi discorsivi), come “strumento
di rilevazione dei significati” è una caratteristica centrale della psicologia sociale secondo
l’approccio etogenico (Harré, 1977), «basato sull’assunto che le fonti cognitive dell’azione si
possono rintracciare soltanto nello studio integrato di comportamento umano e discorso che lo
accompagna; l’approccio divide le azioni sociali, da una parte, in sequenze-azioni nel cui
svolgimento la realtà sociale è creata e mantenuta e, dall’altra, in comportamenti nei quali il
livello precedente diviene oggetto di resoconti45 e racconti» (De Waele e Harré, 1979, p. 183).
In questo senso, tornano utili i riferimenti fatti nel paragrafo precedente sulla psicologia
narrativa (§ 2, in questo capitolo) con specifica attenzione ai processi di pensiero intesi come
strutture narrative mediante le quali dare un senso alle esperienze quotidiane (Atkinson, 1998;
Bruner, 1991): la prospettiva narrativa l’osservatorio privilegiato per tentare di cogliere quelle
relazioni fra azione e resoconto dell’attore.
Adottando tale approccio diventa imprescindibile un’attenzione agli aspetti ermeneutici
della lettura del testo-intervista (Montesperelli, 1998) con un ritorno, se possibile, a un livello
di complessità maggiore, delle variabili di relazione, di (ri)costruzione di senso, di dialettica
fra il contesto attuale e il contesto rievocato.
Queste considerazioni tuttavia ci portano ad affrontare alcune altre problematiche relative
all’ “epistemologia” delle narrazioni. Riportiamo nella finestra 2 le riflessioni compiute a
questo riguardo (De Leo e coll., 2004b)
45
In questa sede, e in accordo con Baumeister e Newman (1994), considereremo termini “narrazione”,
“resoconto” e “storia” come sinonimi.
41
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Finestra 2: Approccio narrativo e approccio realista
Il dibattito fra carattere situato-narrativo e carattere realista delle rievocazioni
Silverman (2000) ha elaborato alcune riflessioni epistemologiche e metodologiche in cui propone
una distinzione fra approccio realistico ai dati qualitativi e approccio narrativo. Il primo consiste in
un tentativo di “oggettivizzare” le risposte dell’intervistato (Miller e Glassner, 1997), come se
descrivessero una realtà esterna (per esempio fatti, eventi) o un’esperienza interna (per esempio
sentimenti, significati). Seguendo questo approccio «è appropriato inserire nel disegno della ricerca
diversi strumenti per assicurare l’accuratezza della […] interpretazione» (Silverman, 2000, trad. it.
2002, p. 183); l’approccio narrativo (Holstein e Gubrium, 1997; Mishler, 1986a) include quegli
orientamenti di ricerca che considerano i metodi narrativi come un accesso a diverse storie con cui
gli individui descrivono il loro punto di vista sul mondo: si sostiene che, abbandonando il tentativo di
trattare le storie dei rispondenti come quadri veri della realtà, il ricercatore debba orientarsi verso
l’analisi delle strategie (culturalmente definite) «attraverso cui intervistatori e intervistati, insieme,
generano racconti plausibili del mondo» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 183). Particolarmente
forte, anche se forse anche storicamente datata, è la posizione di Ong (1982) secondo cui la
narrazione - essendo in stretta relazione con la memoria (processo ricostruttivo per eccellenza) - ha
una natura fondamentalmente retrospettiva: «tutta la narrazione è artificiale, e il tempo che emerge
dalla memoria è artificiale, variamente collegato al tempo esistenziale. La realtà non si presenta mai
in forma narrativa» (p. 12).
In uno studio sulle costruzioni narrative emerse dai colloqui peritali condotti con il serial killer MP
(De Leo e coll., 2004a), abbiamo rilevato che, da un lato, il carattere situato delle narrazioni è un
criterio di valutazione e interpretazione imprescindibile; tuttavia, riteniamo che anche un approccio
narrativo possa portare, se si risolvono opportunamente le questioni relative alla dialettica emic-etic
(vedi supra), a una ricerca la cui “qualità” (in termini di correttezza delle prassi metodologiche) è
pari a quella delle ricerche improntate al realismo.
42
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante È un grosso errore teorizzare prima di avere dei dati: spesso si alterano i fatti per adattarli alla teoria, anzicchè adattare la teoria ai fatti. Arthur Conan Doyle (1859‐1930)
43
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Capitolo 3 - Le analisi delle narrazioni
1. Le analisi qualitative dei contenuti narrativi
1.1 L’analisi del contenuto classica e la “statistica testuale”
La ricerca sociologica e psicologica ha elaborato diversi metodi di analisi dei contenuti
narrativi. Dal punto di vista storico, merita una citazione la c.d. “semantica quantitativa”
(Losito, 1993; Amaturo, 1993; Gemini e Russo, 1998): si tratta di un insieme di tecniche
(Verbal-Adjective Quotient, l’Analisi delle contingenze, l’Analisi preposizionale, l’Analisi dei
modi dell’argomentazione, e così via) che - a partire da informazioni qualitative (i testi) applicano sistemi di classificazione del contenuto al fine di ottenere dati quantificabili
(variabili metriche) da sottoporre ad analisi statistiche (Gemini e Russo, 1998). Queste
tecniche sono accomunate da procedimenti in base a cui la validità delle indagini è
subordinata alla chiara enunciazione delle regole di classificazione adottate per garantire
l’obiettività e la replicabilità di tutte le fasi di ricerca: tutte le analisi del contenuto consistono,
di fatto, in una scomposizione dell’unità che si vuole analizzare; tale sistematicità è agevolata
dall’uso di software appositi che (a partire dagli anni ‘60) hanno facilitato il trattamento dei
dati testuali (Cipriani e Bolasco, 1995):
L’analisi del contenuto nasce con intenti precipuamente “quantitativi”, sull’onda lunga del neo-positivismo e
nella convinzione che il conteggio della frequenza con cui, all’interno di un testo, compaiono determinate parole
o categorie di significato costituisca un elemento indisputabile di valutazione.
A ben vedere, un uso così rudimentale di uno strumento di raccolta dei dati limita rigorosamente il campo
d’applicazione, distanziandosi considerevolmente dai propositi di analisi sistematica del messaggio che tante
altre analisi del contenuto si sono proposte.
Tuttavia, […] ci si proponeva, inizialmente, proprio il consolidamento di una procedura di indagine che, forte del
rigore metodologico, evitasse di offrire il fianco ad eventuali riserve sulla correttezza dell’interpretazione di un
testo (Nobile, 1997, p. 26).
Le affermazioni di Nobile (sebbene espresse per tracciare il quadro storico dello sviluppo
di un settore metodologico) ci danno lo spunto per anticipare la valenza della loro trattazione
in questo contesto: si tratta infatti di tecniche che sono state per così dire “in ballottaggio” per
l’applicazione alla ricerca che stiamo descrivendo e che non sono state preferite proprio per
l’ispirazione e i fondamenti sulla natura della conoscenza scientifica che esse veicolano. Ne
parliamo quindi, brevemente, con l’obiettivo di evidenziare le ragioni della scelta e - per
differenza - la caratterizzazione che abbiamo inteso dare allo studio presentato nelle prossime
pagine.
Tecnicamente, l’analisi del contenuto consiste in una scomposizione del testo che viene
successivamente ri-categorizzato secondo dimensioni teoriche previste dal ricercatore: «tale
scomposizione deve però avvenire in modo sistematico, utilizzando cioè criteri espliciti e
standardizzati, da applicare all’intera unità in oggetto; successivamente, gli elementi
individuati sono classificati in un sistema di categorie, e dunque trasformati in variabili
categoriali o ordinali che è possibile sottoporre a trattamenti statistici di vario tipo»
(Ghiglione, 1995, p. 35).
Gli studi che hanno applicato le analisi del contenuto hanno focalizzato l’attenzione
soprattutto sui testi scritti (come aspetti manifesti e “oggettivabili” della comunicazione):
tuttavia, per la complessità delle espressioni narrative come oggetto di ricerca, i sostenitori
44
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante della funzione semiotica della comunicazione hanno evidenziato i rischi della reificazione
insita nel conteggio di frequenze di simboli e parole-chiave:
nella polemica è stata sostanzialmente sottolineata la complessità dei processi comunicativi, che rende
improponibili analisi centrate esclusivamente sul contenuto di un messaggio, ignorando che la sua comprensione
non può prescindere né dai processi interattivi che si stabiliscono fra gli interlocutori […] né tanto meno dalla
molteplicità di significati che è possibile rintracciare all’interno del messaggio stesso, di cui è sempre possibile
una lettura a molti diversi livelli (Amaturo, 1993, p. 24).
Seguendo le indicazioni fornite da Nobile e citate in precedenza si può però sostenere che essendo gli obiettivi dell’analisi del contenuto orientati a «cercare nel materiale analizzato le
risposte a specifiche domande di ricerca […] rispetto alle ipotesi formulate» (Amaturo, 1993,
p. 29) e non a rintracciarne i significati profondi - essa rientra a pieno titolo negli approcci
orientati alla verifica delle ipotesi e quindi, in senso lato, non può che essere inserita nel
panorama della ricerca quantitativa.
Nonostante questa caratterizzazioni, possiamo affermare che la scelta del livello di
scomposizione, la scelta dell’unità di analisi (parola, tema, frase), la creazione di un sistema
di categorie a priori ha molto in comune con approcci in cui la tensione qualitativa è
maggiore:
non si può trascurare infatti che una tipica scheda di analisi del contenuto (Losito, 1993) è del tutto simile a una
traccia di conduzione di un’intervista narrativa (o, come abbiamo visto in precedenza, di una storia di vita), fatta
eccezione forse per il minore rigore metodologico imposto a queste ultime in termini di validità e affidabilità (De
Leo e coll., 2004a, p. 99).
Un discorso analogo può essere fatto rispetto alla c.d. “statistica testuale” (Bolasco 1995;
1997; 1999), sia per quanto riguarda le ragioni della loro eventuale scelta sia per le
implicazioni teoriche e metodologiche della loro applicazione:
tali approcci al testo infatti - enfatizzando gli aspetti statistici, talvolta anche molto complessi - lasciano, a nostro
avviso, in secondo piano le componenti di significato, di interazione fra osservatore e soggetto osservato che
invece (coerentemente con quanto affermato a proposito della ricerca qualitativa tout court) risultano le
condizioni crucialmente rilevanti dei processi di costruzione di conoscenza (Silverman, 2000). In altri termini,
anziché “dalle parole ai numeri” (Amaturo e Gambardella, 1995), preferiamo passare dalle parole ai significati
(De Leo e coll., 2004a, p. 100).
Nonostante questi rilievi critici, non mancano elementi di interesse e di comunanza fra gli
approcci alle informazioni qualitative e quello che verrà presentato nelle pagine seguenti (in
particolare, nel capitolo 4): ad esempio, la necessaria accuratezza nella scelta delle unità
d’analisi; come rileva Bolasco (1999, pp. 193-194):
In certi casi, risulta determinante anche l’ampiezza del frammento di testo, visto come unità di contesto, su cui
operare una ricerca per la cattura di un’occorrenza. Ciò al fine di indagare sulle co-occorrenze di due o più
termini. I frammenti possono infatti essere naturalmente già definiti, come nel caso delle risposte libere in un
questionario o dei titoli di articoli della stampa, o dei paragrafi e/o commi di un testo giuridico. Ma possono
invece non esserlo, come nel caso dei testi letterari e di interviste non direttive. Allora, l’incertezza delle scelte è
elevata, poiché non vi sono regole generali per la segmentazione del corpus.
1.2 L’approccio della “Grounded theory”
Si tratta di un approccio alla ricerca qualitativa di tipo interpretativo (De Gregorio e
Mosiello, 2004), più che di una tecnica di analisi, che è stato proposto un ambito sociologico a
partire dagli anni ‘60 (Glaser e Strauss, 1967) e - con poche rivisitazioni - è arrivato fino ai
giorni nostri (Strauss e Corbin, 1990; Charmaz, 1995; Cicognani, 2002b; Strati, 1997; Pandit,
1996). La Grounded theory - o, più correttamente, la grounded theory methodology (Strauss e
Corbin, 1994; 1998) - la cui tradizione è ampiamente consolidata in sociologia (Strati, 1997)
ma appena agli inizi in psicologia (Cicognani, 2002b; Henwood e Pidgeon, 1992) - privilegia
la scoperta di una teoria emergente dai dati piuttosto che la ricerca in essi di costrutti
45
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante preesistenti alla rilevazione stessa: viene dunque proposta come la soluzione
metodologicamente più idonea a “mettere ordine” in grandi quantità di informazioni,
identificando temi ricorrenti e relazioni fra essi. Analogamente al paradigma neopositivista di
verifica (al quale tuttavia si oppone rispetto all’enfasi che questo dà alle “ipotesi”, agli
obiettivi di controllo e previsione) la Grounded theory ha sviluppato un proprio apparato
epistemologico, ambiti di applicazione e propri criteri di validità che consentono anche a chi
fa ricerca qualitativa di condurre studi rigorosi e sistematici (Silverman, 2000).
Secondo Charmaz (1995), infatti, la Grounded theory consente di apportare nella ricerca
qualitativa gli stessi requisiti di sistematicità e validità che caratterizzano gli studi secondo il
paradigma neopositivista.
Secondo le prassi - proposte inizialmente da Glaser e Strauss (1967) e successivamente
ridefinite in maniera più organica da Strauss e Corbin (1990) - il ricercatore dovrebbe
accostarsi ai soggetti che costituiscono il campione del suo studio senza alcun modello teorico
che guidi la conduzione dell’intervista, né l’ordine delle domande e, naturalmente, neppure
l’interpretazione delle interviste. Dovrebbe, invece, (anche con l’ausilio di recenti software
creati sulla base del modello proposto), intraprendere un processo iterativo fra dati,
interpretazione e teoria emergente dalla loro interazione. Tale processo, in cui
l’interpretazione inizia fin dalla prima intervista raccolta (figura 5)46, ha l’obiettivo di
«costruire la realtà sociale dal punto di vista dei partecipanti, tentando di determinare i
significati simbolici […] hanno per gruppi di persone mentre interagiscono le une con le
altre» (Cicognani, 2002a, p. 45).
Fig. 5: Il processo di ricerca nella Grounded theory (fonte: adattato da Steinke, 1999, p. 26)
46
Nella figura i termini “formale” e “sostantiva” fanno riferimento al livello di generalità/specificità della
spiegazione teorica: le prime si limitano al singolo fenomeno sociale, le seconde li includono classi più ampie.
46
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Il materiale narrativo può essere analizzato rispetto a una molteplicità di dimensioni, come il contenuto, la
struttura, lo stile del parlato, le caratteristiche affettive, le motivazioni, gli atteggiamenti e le credenze del
narratore, il suo livello cognitivo. Inoltre, i dati sono influenzati dall’interazione fra l’intervistatore e
l’intervistato e da altri fattori contestuali. Un’altra caratteristica della ricerca narrativa riguarda il ruolo delle
ipotesi: negli studi narrativi di solito non ci sono ipotesi a priori. Le direzioni specifiche dello studio emergono
dalla lettura del materiale raccolto. Inoltre, il lavoro eseguito è interpretativo, e un’interpretazione è sempre
parziale, personale e dinamica. […] Nel corso del processo, il lettore della storia entra in un processo interattivo
con la narrativa e diventa sensibile alla voce e ai significati del narratore. Le ipotesi e le teorie sono pertanto
generate durante la lettura e l’analisi delle narrative, in un processo circolare (Cicognani, 2002a, p. 108).
Come abbiamo riportato anche altrove (De Gregorio e Mosiello, 2004; De Leo e coll.,
2004b), tuttavia, la certezza di poter “mettere da parte” le categorie teoriche di riferimento ci
sembra un’operazione cognitiva ingenua perché non tiene conto del fatto che inevitabilmente
il ricercatore porta nell’intero processo di ricerca (dalla formulazione delle domande
dell’intervista all’analisi delle informazioni) i propri orientamenti e inclinazioni, gli interessi
di ricerca, la soggettività, incluso l’angolo visuale della propria formazione teorica e del
proprio gruppo di riferimento (comunità scientifica).
Ci sembra utile, a questo riguardo, la nozione di “concetti sensibilizzanti” (proposta da
Blumer, 1969), con cui ci si riferisce proprio ai punti di partenza (espliciti o impliciti)
dell’analisi, le premesse teoriche, rispetto alle quali il ricercatore valuta (ribadiamo:
esplicitamente o implicitamente) e l’aderenza (“fit”) con i dati che emergono dalla situazione
di ricerca (ad esempio, l’incontro con l’intervistato). Si tratta, in altre parole, di un processo di
“doppia significazione” in cui il cuore dell’analisi qualitativa sta nell’interpretazione che il
ricercatore attribuisce alle interpretazioni dell’attore, intese come modi di concettualizzare la
propria esperienza.
Il processo di ricerca complessivo appare dunque caratterizzato da una divergenza di fondo
da quello degli approcci neopositivisti: piuttosto che una sequenza standardizzata di fasi,
come quella descritta nella figura 6 (tipico della ricerca tendenzialmente quantitativa), il
metodo qualitativo viene solitamente descritto come un processo circolare (Gobo, 1998), che
non si sviluppa attraverso una sequenza lineare di fasi sequenziali, ma si muove in avanti e
indietro fra dati e evidenze empiriche, sempre aperto a innovazioni e aggiustamenti.
Fig. 6: Il modello lineare del processo di ricerca (fonte: Cicognani, 2002a, p. 26)
In questo modo, si ha l’opportunità di modificare in itinere alcuni aspetti dell’indagine,
confermandoli o correggendoli in ogni momento.
Generalmente, il punto di partenza è costituito da una “domanda cognitiva” (Cardano, 2003) - piuttosto che da
un’ipotesi da verificare - riferita ad un problema specifico che necessita di trovare una risposta. La raccolta dei
dati47, attraverso la scelta di una tecnica appropriata alla natura della domanda, procede di pari passo con la loro
interpretazione. Nel momento in cui il ricercatore inizia a raccogliere il materiale, quanto più possibile ricco e
dettagliato, comincia la sua attività di riflessione orientata a far emergere i significati racchiusi nelle
informazioni che di volta in volta vengono codificate. Esemplare in questo senso è il concetto proposto da
Strauss e Corbin (1990) di “matrice condizionale”, un diagramma utile alla descrizione del contesto legato al
fenomeno oggetto di studio. Tale matrice permette di collegare contemporaneamente - attraverso la struttura
logica a cerchi concentrici - i diversi livelli pertinenti all’oggetto di studio (De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 19).
47
Per comodità espositive utilizzeremo d’ora in poi il termine “dati” insieme a quello di “informazioni”, sebbene tenda a
richiamare alla memoria un’impostazione oggettivista che si allontana dall’orientamento di tipo qualitativo. Si rimanda
comunque al cap. 4 per una maggiore articolazione delle differenze d’uso fra i termini “informazioni”, “dati” e
“osservazioni” (cfr. anche Mannetti e Pierro, 1998; De Gregorio e Mosiello, 2004).
47
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante La matrice condizionale può essere rappresentata come mostra la figura 7:
Fig. 7: Rappresentazione grafica della matrice condizionale secondo Strauss e Corbin (1990, p. 163)
individuo
gruppo
organizzazione
comunità
nazione
cultura
Il principale elemento di divergenza dagli approcci quantitativi è quindi dato dalla
direzione del percorso di ricerca: nel procedimento logico - formulato analiticamente da P.F.
Lazarsfeld (1958) e rappresentato nella figura 8 - un concetto ad elevato livello di astrazione
(ad esempio, il concetto complesso di “rappresentazione dell’oggetto sociale X”) viene
trasformato in una variabile del disegno della ricerca a un livello di complessità inferiore,
viene cioè tradotto in concrete operazioni di ricerca (Marradi, 1984; Losito, 1998):
Fig. 8: Il passaggio dai concetti agli indicatori secondo il paradigma lazarsfeldiano (fonte: Cannavò, 1999, p.
131)
il passaggio è possibile attraverso una precisa definizione del concetto di partenza e una sua scomposizione nelle
dimensioni che lo costituiscono (nella figura 1: da C1 a D1, D2 e D3). Tale scomposizione può portare a
dimensioni concettualmente semplici – a un basso livello di astrazione - e quindi facilmente traducibili in
indicatori e nelle relative definizioni operative (es.: le domande di un questionario), come in D2 e D3; oppure,
può essere necessario un ulteriore passaggio di definizione concettuale e di scomposizione in sottodimensioni, al
fine di specificare la complessità e rendere possibile l’identificazione degli indicatori empirici (De Gregorio, in
stampa).
48
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Il procedimento proposto dalla Grounded theory, inverte i termini del modello: si parte dai
dati (a un livello di astrazione vicino a quello degli indicatori) per arrivare ai concetti teorici e
produrre una spiegazione che renda conto delle relazioni tra i dati e dei processi che
organizzano tali relazioni.
Complessivamente, l’approccio si caratterizza per una coerenza interna descritta da una
serie di concetti-chiave che hanno, in un certo senso, l’obiettivo di delineare un percorso
ideale per la conduzione di una ricerca secondo la prospettiva grounded. Della matrice
condizionale abbiamo già parlato, gli altri concetti sono:
9
campionamento teorico: la formazione del campione48 della ricerca step-by-step sulla
base delle informazioni che emergono nel corso dell’analisi delle informazioni e
servono per la costruzione della teoria: è guidato da interessi teorici contingenti e ha
l’obiettivo di collezionare eventi e situazioni che siano indicativi (non necessariamente
rappresentativi) delle categorie, delle loro proprietà e dimensioni, delle relazioni fra
queste;
9
saturazione teorica: rappresenta la situazione in cui non è più possibile evincere
informazioni rilevanti rispetto a un concetto teorico rilevante, le relazioni fra categorie
sono stabilizzate e ogni nuovo elemento non aggiunge nulla di nuovo ai risultati
ottenuti.
Un ultimo aspetto d’interesse riguarda le opzioni di codifica (a cui accenniamo ma che
verranno riprese empiricamente nel quarto capitolo): esse sono differenziate in
a)
codifica aperta (“open coding”, nella terminologia di Strauss e Corbin, 1990): consiste
nel ricondurre i dati a concetti generali che ne riassumono contenuto e significato e
nello sviluppare da questi categorie e dimensioni del fenomeno oggetto di studio49; ciò
al fine di «di concettualizzare e non di descrivere, di indicare e non di riassumere, di
etichettare i processi caratteristici delle interazioni in corso, di cogliere e utilizzare le
etichette in uso impiegate dai soggetti di quelle interazioni» (Strati 1997, p. 154),
b)
codifica assiale (“axial coding”): a partire dai codici ottenuti dalla fase precedente,
implica un perfezionamento concettuale. Vengono scelte le dimensioni più rilevanti ai
fini dell’analisi (con o senza riferimenti teorici diretti) e vengono definite le relazioni
fra loro in termini di causalità, contiguità, opposizione, inclusione, etc.50,
c)
codifica selettiva (“selective coding”): ha l’obiettivo di strutturare un quadro teorico
più definito attraverso l’identificazione della dimensione principale (“core category”)
e delle sue relazioni con tutte le altre51. Essa infatti verrà sistematicamente “incrociata”
con le altre man mano che prosegue la raccolta delle informazioni, e la loro analisi,
fino alla definizione della story line52 (Strauss e Corbin, 1990) che sintetizza il
processo oggetto di studio.
Tale versione della Grounded theory è stata criticata in quanto - come sostiene Silverman
(2000, trad. it. 2002, p. 211) - mostra una
incapacità di riconoscere il ruolo delle teorie implicite che guidano il lavoro sin dalle prime fasi. Inoltre, risulta
più chiara sulla produzione di teorie e meno sul loro controllo. Utilizzata in modo non intelligente, può anche
degenerare in una costruzione abbastanza vuota di teorie o in una cortina di fumo impiegata per legittimare
ricerche puramente empiriche.
Come abbiamo detto in precedenza, sarebbe ingenuo ritenere che il ricercatore possa
accostarsi al proprio oggetto di studio senza alcun parametro (scientifico, culturale,
48
Giova precisare che nella ricerca qualitativa in generale il termine “campionamento” non implica alcuna pretesa di
rappresentatività rispetto a una popolazione di riferimento: ci si riferisce infatti a un “set di documenti” o a un “gruppo di
soggetti”.
49
Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “codici”.
50
Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione in termini di “families”.
51
Nel capitolo 4 ci riferiremo al prodotto di questa operazione nei termini delle “network”.
52
Sul concetto di “story line” si veda il § 3.1 nel cap. 1.
49
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante orientamento personale) che ne indirizzi e, inevitabilmente, ne condizioni la lettura del
fenomeno. Ovviamente, per quanto riguarda l’ambito psicologico si tratta di una critica
fondamentale. A riguardo, condividiamo quindi le riflessioni di Cicognani (2002b, p. 44) a
proposito della revisione costruttivista dell’approccio:
si ritiene che i ricercatori debbano possedere alcune risorse teoriche (di varia provenienza: ad esempio
conoscenze teoriche, esperienza) e una prospettiva dalla quale iniziare l’analisi, senza tuttavia applicarla
automaticamente a dati, problemi e contesti nuovi, ma piuttosto, cercando di raggiungere un equilibrio delicato
fra l’avere un grounding nella disciplina e spingerla un po’ oltre.
2. Le analisi qualitative delle strutture narrative
Una ulteriore possibile strategia di analisi è relativa alle strutture narrative. La letteratura,
soprattutto di ispirazione sociolinguistica, ha proposto alcune soluzioni interessanti sia dal
punto di vista teorico che da quello metodologico. In questa sede, proponiamo una breve
sintesi delle proposte principali con particolare attenzione a due modelli specifici. Prima però
è necessario comprendere cosa è una struttura narrativa.
Le origini di questo tipo di studi si fanno solitamente risalire al lavoro di V. Propp
(1928)53: le sue ricerche sulle “funzioni narrative” delle fiabe di magia russe hanno segnato
una tappa importante degli studi sulle strutture delle narrative che - sempre facendo esplicito
riferimento a lui, nonostante la specificità dei testi di partenza - hanno proposto modelli di
analisi molto diversi.
Propp, in particolare, aveva rilevato nelle fiabe di magia pattern di associazione specifici
che si presentavano secondo strutture condivise fra le diverse narrazioni: tale modello sebbene molto complesso (l’Autore ha identificato 31 funzioni complessive) - ha una duplice
funzione: da una parte consente al ricercatore di semplificare la lettura della fiaba a
prescindere dalla molteplicità delle forme del contenuto; dall’altra, suggerisce implicitamente
al lettore uno schema (uno script, nei termini cognitivisti di Schank e Abelson, 1977) sulla
base del quale prevedere il percorso e l’esito delle narrazioni stesse. Questo tipo di operazione
(la semplificazione dei contenuti narrativi in strutture stereotipate) consente, per inciso, la
differenziazione fra generi narrativi diversi (Feldman, 1991)54: il lettore, o il moderno
spettatore di un film, tenta infatti di anticipare lo svolgimento di una storia di cui è testimone
proprio attraverso l’applicazione di un modello strutturale socialmente condiviso (Smorti,
2003; Bruner, 2002). Il come si svolge una storia (il canovaccio di una piece teatrale, la trama
di un romanzo o di un film) è solitamente condizionato da questa condivisione fra autore e
lettore/spettatore (Eco, 1979).
Bruner (2002), riapplicando le tesi di Burke (1945) ai contesti legali, ha proposto il
concetto di “pentade scenica” come modello di convenzione narrativa. Ogni storia consta di
cinque elementi fondamentali (che potremo chiamare “dimensioni narrative”) che la
caratterizzano: un attore, in una situazione, compie un’azione, per raggiungere un fine con un
mezzo. La narrazione di un evento, secondo questo approccio è necessaria nel momento in cui
si presenta
una difficoltà, un impedimento, una contraddizione fra i cinque elementi (il “problema”) che rende necessario un
resoconto del corso d’azione (Bruner, 2002): la narrazione ha cioè un senso sulla base delle difficoltà che
rendono narrabile l’esperienza […]. Gli aspetti interessanti della vita di ciascuno (ciò che merita di essere
narrato) non sono quelli che fanno parte della quotidianità routinaria, ma gli eventi salienti. La narrazione appare
quindi come costrutto utile ai fini della comprensione di un’azione, ma necessita di un’adeguata struttura di
analisi qualitativa che consenta di cogliere i nodi attorno a cui la narrazione stessa è organizzata: di cogliere, in
53
Il filone di studi che più direttamente deriva dagli studi del formalismo russo (rappresentato da Propp) è noto oggi come
“narratologia” (Murray, 1995; Manning e Cullum-Swan, 1994; 1998).
54
Per un’applicazione del concetto di “genere narrativo” all’analisi delle interazioni discorsive si vedano, fra i tanti, Fasulo
(1997; 2003).
50
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante altri termini, i significati rilevanti per il soggetto, i passaggi secondo cui il narratore imposta la resocontabilità
della propria esperienza, ovvero il senso con cui tale esperienza è stata soggettivamente costruita ed elaborata
(De Leo e coll., 2004a, pp. 112-113).
Si tratta, in altri termini, della violazione della canonicità (Smorti, 2003; Bruner, 2002) che –
soprattutto nei contesti legali, di cui ci stiamo occupando – assurge a criterio fondamentale
per la “resocontabilità” dell’azione: approfondiremo nel prossimo capitolo le implicazioni
narrative specifiche del contesto, per ora ci preme sottolineare l’importanza di una prospettiva
che collega due ambiti narrativi diversi, quello “realista” (vedi finestra 2, nelle pagine
precedenti) in cui l’azione non-canonica è avvenuta e quello “narrativo” in cui la stessa azione
viene rievocata. Entrambi questi ambiti costituiscono dei contesti narrativi, allo stesso modo,
rilevanti ai fini di un’accurata ricostruzione dell’evento: in ciascuno la violazione della
canonicità assume un ruolo fondamentale per la costruzione narrativa dell’azione: nel passato,
il fatto-reato e la violazione hanno la forma narrativa dell’episodio con inizio e fine definiti.
Nel presente, la violazione (delle norme e della canonicità narrativa) assumono il carattere
dell’episodio dotato di senso rispetto al quale si amplia la cornice interpretativa: in altri
termini, l’attore contestualizza l’azione deviante in un sistema di altri eventi (precedenti e
successivi) in cui questa viene connotata, come vedremo nel cap. 4, secondo codici
comunicativi di disimpegno morale e di neutralizzazione della norma:
È un resoconto fatto da un narratore nel “qui ed ora” e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome e
che è esistito nel “là ed allora” e la storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonde con il narratore. Gli
episodi narrativi che compongono la storia della vita hanno una struttura tipicamente laboviana55 rigorosamente
aderente alla sequenza e alla giustificazione per eccezionalità. Ma la storia nel suo complesso presenta un
elemento fortemente retorico, come se volesse giustificare perché era necessario (non in senso causale ma
morale, sociale, psicologico) che la vita prendesse quella determinata direzione. Il Sé come narratore non si
limita a raccontare, bensì giustifica. E il Sé come protagonista è sempre, per così dire, orientato al futuro.
Quando sentiamo affermare, per riassumere la storia di un’infanzia: “Ero un grazioso ragazzino ribelle”, di solito
questa valutazione a posteriori può essere intesa anche come una profezia (Bruner, 1990, trad. it. 1992, p. 117).
Dal punto di vista più specificamente analitico, la letteratura offre un panorama composito
che proviamo a riassumere nelle prossime pagine.
2.1 La metodologia “Comparative narratives”
Secondo P. Abell (1984), l’azione sociale è studiabile attraverso le forme narrative in cui è
descritta. Secondo l’Autore, gli esseri umani descrivono le loro azioni utilizzando una forma
narrativa orientata a fornire una visione della realtà sociale, oltre che del proprio
comportamento.
Questa prospettiva può essere riassunta nei seguenti termini:
a)
per spiegare gli accadimenti del mondo sociale, bisogna descrivere le azioni che
avvengono,
b)
ogni azione può essere spiegata da punti di vista multipli: ciascuno offre un punto di
vista non esclusivo,
c)
ciascun attore (da ciascun punto di vista) genera una storia in forma narrativa in cui
diverse azioni sono interrelate,
d)
quando di cerca di spiegare (o descrivere) due o più eventi identici o correlati si
devono necessariamente confrontare due o più narrazioni.
Questo il quadro teorico. Abell descrive inoltre la metodologia qualitativa che sottende allo
studio delle azioni/narrazioni: questa necessita prima di tutto di una sintassi mediante la quale
descrivere (codificare) gli eventi e consiste in:
1. un set di azioni vere e proprie: a1, a2, a3, a4, etc.
2. un insieme di attori: α, β, γ, δ, etc.
3. una dimensione temporale lungo cui collocare le azioni: t1, t2, t3, etc.
55
Del modello di Labov parleremo fra poco nel corso di questo paragrafo.
51
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante un insieme di relazioni possibili, per cui a1 L a2 (significa che a1 transitivamente
compie un’azione verso a2).
Da questo punto in poi, l’analisi delle narrazione assume una forma matematica che
implica la costruzioni di matrici e tabelle di contingenza: le analisi consentite hanno alcune
ristrettezze quali, ad esempio, l’arbitrarietà del punto di partenza (da quale evento iniziare la
ricostruzione del modello) e il fatto che ogni percorso d’azione possibile deve essere
unidirezionale (non sono possibili processi ricorsivi): in questo modo, è possibile confrontare
due narrazioni prodotte dallo stesso parlante, in due momenti diversi, ma a differenti livelli di
astrazione, oppure le narrazioni di uno stesso evento prodotte da due attori diversi (i due punti
di vista). La procedura è resa possibile dalla schematizzazione a cui viene sottoposto il
materiale verbale e dalla riconduzione a simboli e codici matematici che rendono possibili
operazioni (anche molto complesse) di confronto fra dimensioni rese, in questo modo,
logicamente equivalenti.
Nonostante, l’Autore ritenga di poter applicare questo metodo anche a complessi processi
interattivi (ad esempio, le folle di una manifestazione) e pur ritenendo inappropriata una
categorizzazione delle proprie ipotesi sotto l’etichetta positivista, bisogna tuttavia riconoscere
che il modello di Abell soffre di una forse troppo drastica tendenza alla schematizzazione e
alla formalizzazione matematica: la stessa enfasi sulla necessaria unidirezionalità delle azioni
studiabili limita senza dubbio le possibili applicazioni a situazioni e contesti reali56.
Si tratta di analisi qualitative che non rinunciano alla quantificazione e implicano relazioni
causali.
4.
2.2 Le strutture profonde delle narrazioni
Nel corso degli anni ‘80, diverse equipe di ricercatori hanno cercato di mettere a punto
metodologie per rilevare l’eventuale presenza di strutture soggiacenti nelle produzioni
linguistiche e narrative sia per quanto riguarda le singole frasi (Gee e Grosjean, 1983) che
rispetto a vere e proprie storie (Mandler, 1987; Mandler e Goodman, 1982; Gee e Grosjean,
1984). Prendendo spunto dalle analisi letterarie e linguistiche, Gee (1986); Gee e Kegl (1983)
e Gee e Grosjean (1983; 1984) si sono interrogati su due aspetti in particolare:
□
su quali siano le strutture delle narrazioni sia nell’attività del resoconto sia per quanto
riguarda la loro collocazione in memoria. Gee e Kegl (1983) hanno identificato una struttura
schematica che illustra quali sono (e che relazioni intercorrono fra esse) le parti che
compongono una narrazione. La figura 9 mostra la struttura come a tutti gli eventi: in essa,
l’intero Testo appare formato da due componenti principali, un’Introduzione e la Storia vera e
propria. La Storia si divide in Iniziazione e Conclusione: nella prima di esse il narratore
inserisce episodi specifici caratterizzati da un’Azione e da una Risoluzione (“Result”) che a
sua volta - a seconda della complessità dell’evento - può essere ulteriormente
sottodimensionata in sequenze azione-risoluzione (tale operazione può essere retoricamente
sfruttata per allontanare la Conclusione e generare nel lettore/spettatore uno stato emotivo di
attesa o suspense). Allo stesso modo, la Conclusione può essere descritta come una sequenza
di Interrogativi e Risposte fino alla completa chiusura dell’evento narrativo;
□
quale elemento del discorso dovesse, in particolare, essere considerato unità di analisi
privilegiata (Gee, 1986). I concetti di “episodio” e “sezione” rendono evidente che ci stiamo
muovendo in uno scenario di studi sulle strutture narrative: la “stanza” specificamente è
l’unità di testo che - a un livello di astrazione intermedio fra la linea di testo e la sezione racchiude un tema ristretto e specifico. Essa è più informativa della linea di testo (che può non
esaurire tutte le informazioni sull’oggetto di interesse), ma allo stesso tempo ha un carattere
più limitato e preciso della sezione narrativa (in cui possono insistere diversi temi). È l’unità
cruciale anche perché rispetto a un tema ristretto, essa consente di caratterizzarlo in tutte le
56
È pur vero che un modello analogo a quello di Abell è stato applicato, in ambito sociologico, alla ricerca di modelli
condivisi nelle carriere dei musicisti (Abbott e Hrycak, 1990), ma in questo caso è stata dichiarata la matrice positivista (sul
modello delle scienze naturali) delle procedure di codifica e analisi dei materiali.
52
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante sue caratteristiche definitorie: il tempo e lo spazio di svolgimento dell’evento,
l’interconnessione con altri attori, la prospettiva individuale e il punto di vista di uno
spettatore esterno. L’identificazione di una sequenza, una concatenazione, di stanze consente
al ricercatore di ricreare la storia nel suo insieme e di dare coerenza all’intero evento.
Fig. 9: Struttura gerarchica della narrazione secondo Gee e Kegl (1983, p. 248)
Secondo gli Autori, oggetto dell’interesse dei ricercatori non deve essere tanto il problema
se la narrazione ha o no una struttura gerarchica (come quella descritta nella figura 9), ma
piuttosto su quali metodologie sono più adeguate per studiare strutture narrative complesse.
Non si può infatti trascurare che la maggior parte degli studi presentati in questa sezione
fanno riferimento a testi sempre molto brevi (nell’ordine di 10-12 righe al massimo) e che la
“narratività quotidiana” (sia essa riferita a situazioni normative o ad eventi particolari come le
azioni devianti) invece si sviluppa spesso lungo criteri spazio-temporali più estesi.
Lehnert (1981) ha condotto degli studi di particolare interesse sugli aspetti di rievocazione
mnestica delle narrazioni: l’ipotesi di partenza è che quando un individuo legge una storia
ricostruisce nella sua memoria una rappresentazione, un modello schematico interno,
mediante il quale la rievocazione successiva è favorita:
se chiediamo a chi legge una storia di riassumerla successivamente, una gran quantità di informazione residente
in memoria è selettivamente ignorata per produrre una versione semplificata della narrazione originaria. Questo
processo di semplificazione si basa su una struttura globale della memoria che consente di focalizzare
l’attenzione sugli elementi centrali della storia ignorando i dettagli periferici (Lehnert, 1981, p. 294).
In questo quadro, è centrale la nozione di “plot” (la struttura della storia): secondo
l’Autrice, ogni unità strutturale - una frase, un concetto, anche una singola parola - ha una sua
colorazione affettiva che consente al lettore (e al ricercatore) di “marcarla” secondo
quest’accezione. Questa operazione è semplice e consiste nell’associazione ad ogni passaggio
narrativo di un simbolo che distingue gli eventi positivi (+), da quelli negativi (-) e da quelli
emozionalmente neutri (M). Utilizzando l’esempio fornito dall’Autrice:
La macchina di John non parte
John deve partire
Paul fa partire la macchina di John
M
+
(evento a caratterizzazione negativa)
(evento a caratterizzazione neutra)
(evento a caratterizzazione positiva)
In questo semplice esempio, è possibile stabilire delle relazioni causali fra gli eventi in cui
il terzo risolve gli altri due, ma ogni narrazione avrà configurazioni più complesse e le
relazioni fra eventi saranno di vario tipo anche in base alla sequenza temporale degli eventi
53
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante fino alla applicazione di una vera e propria sintassi delle strutture narrative che lega tutte le
possibili configurazioni di “-”, “+” e “M”. Tanto più lunga e tematicamente complessa è la
narrazione tanto più articolata sarà la configurazione degli stati emotivi. Allo stesso modo, il
ricercatore potrà facilmente verificare la coerenza intra-narrativa attraverso l’identificazione
di strutture simmetriche speculari e/o complementari.
In tempi più recenti (e parallelamente all’evoluzione delle tecnologie informatiche), alcuni
Autori, soprattutto in ambito sociologico, hanno proposto metodi di analisi delle narrazioni
che forniscono utili spunti di riflessione per la nostra proposta di analisi delle narrazioni di
azioni devianti. Ci riferiamo, in questo caso alla cosiddetta ricerca su base logica (Agodi,
1997). In questo tipo di studi «il computer produce diagrammi relativi a questi eventi e
permette all’utente di esplorare e verificare le relazioni logiche tra gli eventi, incrociando
narrative diverse; permette inoltre di comparare le diverse strutture narrative» (Silverman,
2000, trad. it. 2002, p. 235).
Si tratta, in ogni caso, al pari di quelli sui modelli matematici, di studi che enfatizzano gli
aspetti quantitativi delle analisi narrative: la riconduzione di corpora informazioni in forma
narrativa a schemi elementari consente l’operazionalizzazione di questi in variabili metriche.
La maggior parte di questi studi infatti è orientata dalla verifica di ipotesi specifiche sui
modelli in differenti contesti. La valenza qualitativa dell’approccio rimane dunque a livello di
unità di analisi (i testi), è parziale nel momento della codifica e scompare nella fase di analisi
vera e propria delle informazioni: un meccanismo di questo tipo è ancora più evidente
nell’approccio descritto nel prossimo paragrafo.
2.3 La “Event Structure Analysis”
La proposta di analisi delle narrazioni di D. Heise (1988; 1989; 1991) ha caratteristiche
peculiari su cui riteniamo utile soffermarci. L’Autore propone un modello di analisi delle
strutture che è coerente con l’idea che le storie siano costruzioni narrative caratterizzate da
uno svolgimento lineare e da sequenze comuni di eventi sovrapponibili. Si tratta di
un’attualizzazione della proposta di V. Propp (1928), ma, per così dire, modernizzata con la
proposta di modelli automatici di codifica e analisi delle informazioni. Heise, dal punto di
vista sociologico e di antropologia cognitiva, ritiene infatti che ogni narrazione (dalla
narrazione autobiografica alla favola) è la ricostruzione fedele di una realtà di per sé logica e
(auto)organizzata: da questa premessa deriva la conseguenza - sul piano metodologico - che
la struttura narrativa può essere rintracciabile con opportuni metodi: l’obiettivo delle sue
ricerche è stato dunque quello di mettere a punto un impianto metodologico per la
ricostruzione qualitativa di tali strutture logiche (Heise, 1989), supponendo che siano esse a
guidare l’azione umana (individuale e collettiva) e la sua ricostruzione in termini narrativi
(Heise e Durig, 1997): l’azione umana sarebbe caratterizzata da sequenze ordinate,
unidirezionali, di eventi secondo la formula “se…, allora…”. Il conflitto fra situazioni (cioè la
possibilità che una ricostruzione incontri un bivio o che il narratore possa essere tradito nella
sua ricostruzione da un’interferenza) è risolta con il criterio della priorità: viene attivato il
percorso narrativo che l’attore elegge come prevalente in termini di salienza e di coerenza con
gli obiettivi. Tutte le componenti esterne al sistema agente non sono negate: esse invece
contribuiscono alla definizione delle priorità.
Il “principio della commutazione” prevede le strutture degli eventi possano essere
rappresentate graficamente con un inizio e una fine definiti ma senza fare ricorso a
meccanismi ciclici.
Si tratta di un modello di azione (anche narrativa) che - alla luce degli sviluppi più
cognitivisti della ricerca nelle scienze sociali (inclusa la psicologia) - potremo definire
“cibernetica”, sebbene anche le proposte più estreme di modelli computazionali dell’azione
umana abbiano sempre previsto sistemi di retroazione: il modello e la metodologia di Heise
sono “costruiti” coerentemente a una data immagine della realtà sociale (di tipo
54
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante deterministico) che esclude a priori che una storia possa avere una deviazione dalla norma
(essendo prevista come una sequenza ordinata di eventi).
Operativamente, gli eventi sono codificati in maniera univoca (vengono assegnate delle
etichette verbali, ciascuna delle quali identifica un solo evento) e vengono stabilite le relazioni
logiche fra di essi (la “grammatica delle azioni”: Heise, 1991): il computer57 si occupa poi di
strutturare modelli che - trasversalmente alle diverse storie - tengano conto delle eventuali
priorità assegnate dal ricercatore.
Lo stesso Heise ha ammesso la preferenza che il metodo di analisi proposto venga
applicato a fenomeni routinari (Heise, 1988), rispetto ai quali il ricercatore definisce i
possibili percorsi di svolgimento e il computer verifica empiricamente in narrazioni diverse:
per questa ragione il modello di analisi proposto da Heise ci senza di indubbio interesse per lo
studio di eventi semplici e routinari: la sua applicazione a contesti (di azione e di narrazione)
di maggiore complessità prospetta tuttavia diversi problemi di ordine epistemologico e
metodologico. Se infatti assumiamo come eccessivamente semplicistica la descrizione della
realtà sociale come sequenza ordinata di eventi secondo il modello “se… allora…”, anche la
scelta di un software come ETHNO, degli assunti di relazioni unidirezionali fra codici
narrativi, dei criteri di priorizzazione degli eventi diventano difficilmente accettabili.
Analogamente ai modelli di Abell (1984; 1987), Abbott e Hrycak (1990), Gee (1986; Gee
e Grosjean, 1983; 1984; Gee e Kegl, 1983), Mandler (1987; Mandler e Goodman, 1982) e
Lehnert (1981) ci sembra che quello di Heise soffra di un’intrinseca tendenza al riduzionismo
dei fenomeni sociali (inclusi i prodotti culturali) che - sebbene avvalorati da una loro coerenza
interna e da raffinati modelli di analisi - rimandano a scelte epistemologiche diverse da quelle
descritte nei capitoli precedenti e preferite nell’ambito di questo studio.
Per questa ragione, l’interesse che essi rivestono non va al di là di una “consapevolezza
storica” su ciò che le scienze sociali hanno proposto sul tema delle analisi delle strutture
narrative: più convincenti, invece, riteniamo le proposte di W. Labov, che descriviamo nel
prossimo paragrafo.
2.4 L’ “Evaluation model”
Secondo William Labov (1982; 1997; Labov e Waletsky, 1967), che da decenni studia le
narrazioni secondo una prospettiva sociolinguistica, la narrazione è un mezzo per
rappresentare e ricapitolare l’esperienza passata per mezzo di una sequenza ordinata di
affermazioni58 «che corrispondono all’ordine degli eventi originari» (Labov, 1997, p. 398).
Sebbene quest’ultima asserzione non ci trova completamente d’accordo (si veda a questo
riguardo la finestra 2 sulla contrapposizione fra approcci realistici e narrativi), alcune
riflessioni di Labov ci hanno offerto utili spunti di lavoro. L’Autore ha distinto due proprietà
fondamentali delle narrazioni: da una parte, esse hanno delle caratteristiche formali basate su
pattern ricorrenti di asserzioni (cioè, una struttura invariante delle narrazioni); dall’altra,
Labov ne ha identificato una proprietà funzionale in base alla quale ogni narrazione riveste
una duplice funzione:
la prima, detta referenziale, ha l’obiettivo di fornire all’interlocutore/lettore le
informazioni sull’esperienza del narratore,
l’altra, detta valutativa59, ha la funzione di trasmettere a chi ascolta/legge i significati
che l’attore-narratore ha attribuito alla propria esperienza.
Labov e Waletsky hanno dimostrato che la comprensione della narrazione è riconducibile a
un una struttura formale, soprattutto per quanto riguarda la fondamentale definizione delle
narrazioni come possibilità di scelta di repertori linguistici specifici per riferire gli eventi
passati. Il framework sviluppato da Labov e Waletsky per le narrazioni orali dell’esperienza
57
Heise ha creato un software apposito per le analisi di strutture di questo tipo, ETHNO.
Questa definizione è condivisa anche da Cortazzi (1993) e da Baeger e McAdams (1999).
59
Da cui prende il nome l’intero modello.
58
55
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante personale si è dimostrato utile per lo studio di un’ampia gamma di situazioni narrative, incluse
le memorie riportate oralmente, le fiabe popolari, i racconti, le interviste in contesti terapeutici
e, ancora più importante, le semplici interviste della vita quotidiana […]. Abbiamo
gradualmente capito che le narrazioni sono la forma privilegiata del discorso e che esse
giocano un ruolo centrale in quasi tutte le conversazioni (Labov, 1997)60.
Labov ha identificato sei elementi che compongono la struttura formale delle narrazioni: li
riportiamo (nei termini originali) nella tabella I:
Tab. I: Le fasi della struttura narrativa secondo Labov (1982; 1997): adattato da De Leo e coll., (2004a)
Abstract
È uno dei due elementi opzionali della struttura narrativa, che introduce
l’argomento riassumendone i punti principali.
Orientation (o Setting)
Il narratore fornisce i dettagli sulle variabili contestuali all’evento
narrato: tempo, luogo, partecipanti, situazione. Di solito, è espressa da
espressioni verbali in forma passata. Esprime l’antefatto dell’evento.
Complication
Similmente alla “pentade scenica” (secondo il riadattamento di Bruner:
cfr. § 2 in questo capitolo), descrive l’elemento problematico che spinge
a costruire intorno a esso la narrazione stessa: è, per questa ragione, il
nucleo della narrazione.
Evaluation
Comprende una serie di “dispositivi valutativi” che illustrano
l’orientamento del narratore nei confronti degli eventi narrati in termini
di attribuzioni di significati agli eventi, colorazione emozionale,
riferimento al punto di vista di attori esterni.
Result
Descrive la fase di risoluzione dell’evento. Dal punto di vista strutturale
può seguire sia la sezione valutativa sia la descrizione dell’elemento
problematico.
Coda (o Termination)
Opzionale come l’abstract, chiude la narrazione riportando gli attori alla
situazione attuale. Spesso viene declinata nei termini di “morale della
favola”.
La narrazione, estendendo il modello di Labov, è definibile non solo come magazzino di
informazioni, ma anche come vero e proprio mezzo per ri-organizzare la struttura percettiva,
la memoria (Riessman, 1993) e il Sé autobiografico (Baumeister e Newton, 1994; Bluck e
Habermas, 2000).
In anni più recenti, lo stesso Labov (2003) ha spostato l’attenzione alle conversazioni
ordinarie con il concetto di “riportabilità” una narrazione: «un evento riportabile è non
definito in termini assoluti, ma in relazione alla situazione narrativa. Se un turno in una
conversazione è una singola fase in sé conclusa, una narrazione è caratterizzata da una
estensione maggiore di questo. […] Un evento riportabile è quello che giustifica l’automatica
60
Uno studio, in particolare, è riferito allo studio delle proprietà formali delle narrazioni di azioni violente (Labov, 1982).
56
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante assegnazione al narratore del ruolo di parlante»61 (p. 5). Questa prospettiva fa capire anche
perché spesso si raccontino eventi che in sé per sé non hanno valenza di riportabilità: si tratta
di un modo per mantenere il turno e incrementare l’attesa dell’ascoltatore (Labov, 2004)62.
Dal punto di vista più direttamente metodologico, può sorgere il dubbio di una indebita
sovrapposizione fra narrazioni come prodotti culturali e condivisi e interviste qualitative
secondo un approccio narrativo: utilizzando queste ultime infatti (secondo le differenziazioni
descritte nel capitolo precedente), ci si può chiedere se è possibile studiare le risposte a
un’intervista come se fossero delle narrazioni. In altri termini, è possibile studiare
scientificamente un prodotto culturale e idiosincratico allo stesso tempo63?
Gli stessi studi di Labov hanno evidenziato, in particolare, che anche le narrazioni orali (e
non c’è dubbio che le forme di intervista rientrano in questa categoria) hanno una struttura
tipica che può essere indagata con metodi scientifici.
Riessman, collegando esplicitamente le due forme narrative, sostiene che «l’obiettivo è
vedere come i rispondenti alle interviste mettono ordine al flusso di esperienza per dare un
senso agli eventi e alle azioni dello loro vite. L’approccio metodologico esamina la storia
dell’informatore e analizza come questo mette insieme le risorse culturali e linguistiche»
(1993, p. 2).
Un’ulteriore conferma viene dal successo che il modello di Labov ha avuto anche in
psicologia, come sostiene Mishler (1986b, pp. 240-241):
quando si teorizza sulla struttura, le forme e le regole dell’azione sociale si richiede questo tipo di analisi, o uno
equivalente, che preservi il complesso ordine delle azioni e delle reazioni che costituiscono la realtà sociale.
L’interpretazione di offerte, richieste e le risposte conseguenti dipende dai modelli di analisi che includono le
loro reciproche concatenazioni. Questa (analisi) non può essere come quegli approcci standard in cui ogni
sequenza è isolata dal suo contesto, codificata nel quadro di un sistema di codifica definito e poi aggregata fra
popolazioni diverse di rispondenti e soggetta ad analisi statistiche. È questo il notevole contributo di metodi di
analisi narrativa: la storia contiene la sequenza di atti socialmente significativi senza la quale non ci sarebbe la
storia stessa; la sua analisi dunque fornisce la base per un’interpretazione diretta di una complessa unità di
interazione sociale, in contrasto con gli approcci standard in cui tali inferenze sono basate su porzioni minime
decontestualizzate.
Per questa ragione, abbiamo scelto di valorizzare il contributo appena descritto (rispetto a
quelli precedenti)64 ricercando un’applicabilità all’oggetto di studio su cui verte il presente
lavoro. Si tratterà - come descriveremo approfonditamente nel prossimo capitolo - di
un’analisi dei testi alla luce delle categorie strutturali descritte da Labov: l’obiettivo specifico
di questa fase è funzionale a una migliore comprensione delle produzioni narrative in contesti
giudiziari, piuttosto che a una mera verifica empirica del modello (già ampiamente disponibile
in letteratura).
Prima, tuttavia, è necessario trattare ancora un aspetto delle analisi narrative: la scarsa
attenzione che la ricerca ha dedicato all’integrazione fra aspetti strutturali e aspetti
contenutistici: a questo argomento dedicheremo il prossimo paragrafo.
61 Un’analoga definizione della narrazione in termini conversazionalisti (come ampio turno di un parlante) è presente in
Riessman (1993).
62 Recentemente Labov (2003) ha introdotto il concetto di “concatenazione narrativa” (“narrative chain”) e le “regole della
costruzione narrativa”, sempre seguendo un approccio conversazionalista.
63 In questo modo possiamo infatti definire le narrazioni poiché esse forniscono un modello che rende intelligibili sia una
specifica realtà individuale sia i canoni culturali che contribuiscono a definirla (Brockmeier e Harré, 1997).
64 Un’ampia rassegna e una discussione critica dei modelli di analisi strutturale con particolare attenzione all’ordinamento
temporale degli eventi e alla coerenza narrativa è presentata in Mishler (1986b; 1995).
57
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 3. Contenuti o strutture: integrazione possibile?
Come è chiaro da quanto abbiamo illustrato in questo capitolo, le analisi delle strutture
narrative e quelle dei contenuti hanno seguito, per la loro evoluzione storica e metodologica,
percorsi diversi che le hanno fatte considerare sempre soluzioni alternative fra loro.
In occasione dello studio sulle costruzioni narrative del serial killer M.P. (De Leo e coll.,
2004a), abbiamo proposto una soluzione integrativa per tenere conto di entrambi gli aspetti: ci
siamo avvalsi del contributo di G. Rosenthal (1993) che, in uno studio sulle ricostruzioni
narrative nelle storie di vita, ha ipotizzato una soluzione di integrazione per includere i due
aspetti e valorizzarne le reciproche interazioni:
Lo scopo dell’analisi delle narrazioni sulle storie di vita è la ricostruzione del significato attuale delle esperienze
e la ricostruzione dell’ordine temporale della storia evolutiva sia essa scritta o narrata oralmente. L’analisi
riguarda in particolare la scoperta dei meccanismi di selezione che guidano la scelta degli elementi testuali (o
delle storie) in relazione al generale orientamento tematico dell’intervista. L’oggetto di questa fase analitica chiamata Thematic Field Analysis - è la ricostruzione della forma e della struttura della narrazione, cioè del
modo in cui la narrazione stessa è temporalmente e tematicamente ordinata nell’intervista (Rosenthal, 1993, p.
40).
L’organizzazione temporale (la struttura) e quella tematica (i contenuti) consentono al
ricercatore di ottenere dal testo un’informazione più completa perché orientata da criteri di
pertinenza e di salienza: l’ordine di elicitazione dei contenuti, la loro sequenzialità nel
discorso, l’interconnessione con temi affini o, al contrario, antitetici. Si tratta di criteri che
sicuramente spiegano di più della semplice frequenza di occorrenza nei testi delle parolechiave:
Studiando la sequenza delle storie nelle interviste, le connessioni tematiche e linguistiche fra esse, un ricercatore
può vedere quanto gli individui legano fra loro gli eventi significativi e le relazioni importanti nelle loro vite.
L’analista identifica i segmenti narrativi, riduce le storie al loro nucleo (“core”), esamina la scelta del lessico, la
struttura, le preposizioni, le sequenze di azioni (Riessman 1993, p. 40, corsivo nostro).
Le analisi delle strutture narrative possono aiutare il ricercatore a ricostruire il sistema dei
significati presenti nella narrazione. La Thematic Field Analysis consente dunque di
ricostruire il significato delle azioni individuali all’interno di un contesto unitario quale è la
narrazione di un percorso evolutivo complessivo:
le storie […] non possono essere considerate come una serie di esperienze isolate, disposte in ordine cronologico
come se fossero strati di rocce sedimentarie; le esperienze individuali sono sempre incluse in contesti coerenti e
significativi, in una costruzione biografica (Rosenthal 1993, p. 62).
La Thematic Field Analysis consiste in due operazioni congiunte: (a) una segmentazione
delle unità narrative, (b) un’analisi dei temi emergenti e delle loro connessioni sia dal punto di
vista della “realtà storica” sia da quello della loro attualizzazione nella situazione di intervista
(cfr. finestra 2, nelle pagine precedenti).
Nell’ultima parte del prossimo capitolo descriveremo un possibile utilizzo di questo
metodo finalizzato all’analisi delle interviste sull’azione deviante.
58
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Studia prima la scientia e poi seguita la pratica nata da essa scientia. Quelli che s’nnamorano di praticha senza scientia sono come li nocchieri che entran in naviglio senza timone o bussola. Leonardo da Vinci (1452‐1519)
59
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Capitolo 4 - La ricerca
Alla luce delle premesse teoriche e metodologiche descritte nei capitoli precedenti, lo
studio è stato progettato e impostato nei termini che verranno descritti nei prossimi paragrafi.
1.
Obiettivi
Gli obiettivi dello studio sono stati molteplici e riferiti ad ambiti di conoscenza diversi.
Rispetto alle specificazioni operative, essi possono essere formulati come segue:
9 è possibile rilevare nelle produzioni narrative di individui che hanno commesso reati dei
pattern comunicativi e narrativi condivisi e consolidati? Esistono cioè dei temi
narrativi sottostanti che danno coerenza e credibilità ai resoconti prodotti dagli autori
di reato? Questo obiettivo generale può essere articolato in declinazioni più specifiche
e formulato nei termini seguenti:
• quali sono le principali analogie e differenze rispetto ai modelli teorici disponibili in
letteratura?
• esistono differenze qualitativamente apprezzabili nelle costruzioni narrative riferite a
differenti tipi di reato?
9 è possibile definire univocamente una struttura delle narrazioni prodotte in contesti
penali non inquisitivi? In altri termini, esiste - anche per la narrazione delle azioni
devianti - un modello strutturale delle narrazioni così come gli studi linguistici e
sociolonguistici hanno rilevato un altri contesti discorsivi e conversazionali? Anche
questo obiettivo generale può essere sottoarticolato in quesiti di ricerca più specifici:
• la struttura narrativa dei resoconti di azioni devianti è conforme ai modelli narrativi
consolidati e acquisiti nella letteratura scientifica?
• esistono differenze qualitativamente apprezzabili nella struttura delle narrazioni
riferite a diversi tipi di reato e all’esperienza degli intervistati nel circuito della
devianza di tipo penale?
1.1 La costruzione narrativa in termini di contenuti
Una prima classe di obiettivi è relativa i contenuti espressi dai partecipanti allo studio65: in
particolare, ci interessava conoscere i nuclei concettuali elicitati nelle risposte alla traccia di
intervista (vedi oltre). Tali nuclei concettuali, o “temi narrativi” (come, in alternativa, li
abbiamo chiamati in lavori precedenti: De Leo e coll., 2004a) sono riferiti alle salienze
soggettivamente percepite rispetto all’oggetto della narrazione. Si tratta, in altri termini, di ciò
65
Iniziamo, fin da adesso, a chiamare “partecipanti” (o “rispondenti”) gli individui che hanno scelto di sostenere l’intervista
narrativa (vedi oltre, in questo capitolo) con il ricercatore: la scelta ha motivazioni teoriche ed epistemologiche precise:
l’utilizzo del termine “partecipante” è stato preferito a quello di “soggetto”, in virtù della connotazione di attività/attivazione
rispetto alla costruzione delle informazioni della ricerca. Per ragioni analoghe, più avanti si parlerà di “gruppo di
partecipanti” invece che di “campione della ricerca”, non avendo il requisito della rappresentatività: il reclutamento è
avvenuto infatti su base volontaria (vedi oltre, in questo capitolo).
60
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante che gli individui ritengono importante precisare rispetto al tema su cui sono chiamati a
rispondere. Il termine “salienza” ha diverse implicazioni:
• da un lato, infatti, ha a che fare con i riferimenti valoriali e normativi condivisi in un
dato assetto culturale o sub-culturale: è saliente ciò che attiene alla sfera dei valori, delle
norme e, in senso più astratto, della costruzione intersoggettiva di un ordine nelle cose
(Marsh, Rosser e Harré, 1978). Ha dunque una dimensione psicologico-sociale;
• dall’altro - a livello soggettivo - esso richiama inevitabilmente i processi di
(ri)costruzione mnestica, di attribuzione di senso a episodi del passato, di attualizzazione di
questi nel presente, nella prospettiva scenari futuri66: si tratta dunque di una dimensione
che suggerisce ampi riferimenti all’ambito sociale (seppure molti temi narrativi sembrino
spesso legati a una “desiderabilità sociale”), ma la cui dinamica e fenomenologia si
colloca a un livello prioritariamente individuale.
Un primo assunto è dunque che i contenuti delle narrazioni individuali siano salienti (nel
senso appena esposto).
In secondo luogo, si auspica che ci sia una convergenza intersoggettiva su tali temi: nel
corso delle analisi infatti dovrebbero essere evidenti le ricorrenze di temi narrativi
trasversalmente alle diverse narrazioni. In tal senso, lo studio si prefigge l’identificazione dei
nuclei concettuali che dovessero risultare qualitativamente prevalenti e intersoggettivamente
salienti. La descrizione e la definizione concettuale di tali temi costituirà obiettivo di
conoscenza e di approfondimento. In altri termini, ragioneremo sulla possibilità di parlare di
salienza collettiva (o condivisa) in quanto rappresentazione su cui convergono i temi narrativi
di tutti i rispondenti alla ricerca.
A differente livello di complessità, tali temi narrativi verranno analizzati - sfruttando le
potenzialità del software ATLAS.ti (che verrà descritto in seguito) - alla luce delle possibili
co-occorrenze: si cercheranno infatti eventuali pattern di associazione fra temi narrativi (cfr.
nelle pagine seguenti: i livelli di codifica secondo Strauss e Corbin, 1990) con l’obiettivo di
ricostruire stili narrativi con contenuti condivisi: particolare enfasi verrà data alla presenza
nelle costruzioni narrative di temi riferiti ai modelli teorici del “Disimpegno morale”
(Bandura 1997; Caprara e Malagoli Togliatti, 1996; Caprara, 2000) e alle “Tecniche di
neutralizzazione della norma” (Sykes e Matza, 1957; Fritsche, 2002).
1.2 La costruzione narrativa in termini di struttura
Un ulteriore livello di conoscenza attiene alle strutture delle costruzioni narrative. Tale
ambito - affine a quello che nel capitolo precedente abbiamo chiamato “analisi delle strutture
narrative” - è sviluppato nella ricerca qui presentata a un livello prevalentemente esplorativo:
la letteratura sull’argomento infatti mostra un panorama ampio in cui tuttavia è difficile
trovare modelli consolidati; una variabile importante è l’estensione dei testi da sottoporre ad
analisi: da una parte, sono stati forniti risultati interessanti con testi brevi (Labov e Waletsky
1967; Labov 1982; 1997), dall’altra l’analisi di lunghe interviste ha favorito il consolidamento
di modelli di analisi di tipo matematico-quantitativo (Abbott e Hrycak, 1990; Abell, 1984;
1993).
Nel nostro caso, la natura qualitativa dello studio ci porta a preferire la prima area con
particolare attenzione all’Evaluation Model (a cui abbiamo fatto riferimento nel capitolo
precedente, § 2.4): proveremo dunque ad applicare questo a testi estesi quali le trascrizioni
delle interviste narrative per lo studio dell’azione deviante.
Trasversalmente alle categorie di obiettivi descrittivi, sarà oggetto di interesse e
valutazione un’analisi dei pattern di associazione fra temi narrativi, aspetti strutturali e tipi di
66
Nello specifico contesto di applicazione dello studio (la realtà penitenziaria) i riferimenti temporali al presente, al passato e
al futuro assumono un significato particolare: si tratta infatti (come vedremo in seguito) di dimensioni fortemente
caratterizzate dal tema del cambiamento e della responsabilizzazione. Il cambiamento, in particolare, si collega al passato
(una situazione normativamente connotata su un versante negativo: il reato) e a una previsione/aspettativa futura di
comportamenti intenzionalmente orientati a un versante positivo (il rispetto delle regole, la riconciliazione con la vittima, le
prospettive risocializzanti, etc.).
61
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante reati commessi dai rispondenti: si ipotizza infatti che diversi reati siano connessi a diversi stili
e contenuti narrativi. Tale differenza, sia di tipo quantitativo che qualitativo, se effettivamente
esistente, ha importanti implicazioni per la comunicazione e l’intervento.
2.
Il contatto con gli intervistati
Ai fini della rilevazione delle informazioni necessarie per implementare le analisi
qualitative descritte in precedenza è stato necessario percorrere un iter burocratico per
ottenere le formali autorizzazioni da parte degli organismi competenti.
In una prima fase, è stata inviata una richiesta preliminare di autorizzazione all’Ufficio
Segreteria Generale e Direzione Generale Detenuti e Trattamento (copia del documento è
riportata in Appendice C).
In un secondo momento, ottenuta l’autorizzazione da parte della Segreteria Generale, sono
stati presi contatti con l’Istituto Penale “Regina Coeli” (Roma): al direttore, il dott. Mauro
Mariani, è stato inviato il documento (Appendice D) in cui si forniscono le informazioni sul
sistema di reperimento degli intervistati, sulle garanzie di anonimato, sull’archiviazione delle
informazioni.
Infine, grazie alla collaborazione della dott.ssa Margherita Marras e della dott. Barbara
Santoni, è stato possibile accedere alle Sezioni dell’Istituto. In particolare, sono state
frequentate le seguenti sezioni:
II:
riservata principalmente ai detenuti con problemi di tossicodipendenza,
IV e V:
riservate principalmente ai detenuti coinvolti in reati comuni,
VI:
riservata principalmente ai detenuti lavoranti,
VIII:
riservata principalmente ai detenuti coinvolti in reati a sfondo sessuale o
soggetti a isolamento.
Un iter analogo era stato seguito in precedenza per contattare un gruppo di detenuti presso
l’Istituto Penale “Rebibbia Nuovo Complesso” (Roma), dove è stata svolta una fase pilota
nell’ambito di una tesi di laurea curata dalla cattedra di Psicologia Giuridica dell’Università
degli Studi di Roma “La Sapienza” (prof. Gaetano De Leo): in tale occasione sono state
effettuate in totale 38 interviste (18 delle quali sono state incluse nella base empirica della
presente ricerca)67 ed è stata perfezionata la traccia di intervista narrativa (descritta in
precedenza). Le interviste svolte a Rebibbia sono state effettuate fra febbraio e marzo 2003
dalla dott.ssa Melania Stefania Marini. Il periodo di svolgimento delle interviste a Regina
Coeli è compreso fra ottobre e dicembre 2003.
2.1 Il setting e la conduzione delle interviste
A ciascun detenuto è stata proposta la partecipazione in forma assolutamente anonima alla
ricerca. I volontari che hanno accettato lo hanno fatto mostrando un particolare interesse al
dialogo e al confronto con un ricercatore totalmente esterno al contesto carcerario: per questa
ragione, tutti coloro che hanno partecipato hanno parlato molto e volentieri mettendo in
campo anche episodi di vita personale e aspetti emotivi legati alle relazioni sociali (familiari,
con le vittime dei reati, con le istituzioni).
Tutte le interviste si sono svolte negli spazi riservati ai colloqui con gli operatori (assistenti
sociali, psicologi, sacerdote) previo consenso degli agenti di polizia penitenziaria della
specifica sezione: tali ambienti consistono in stanze di circa m 2 x 4, arredati da un tavolo,
due sedie e un piccolo armadio, illuminati da luce prevalentemente artificiale. L’esordio
consisteva sempre in una breve descrizione della ricerca e dell’intervistatore; era importante
instaurare un clima di fiducia, apertura e dialogo: per questa ragione, prima di iniziare
67
Tale operazione, in ottemperanza ai principi del “campionamento teorico” (cfr. Strauss e Corbin, 1990: vedi anche capitolo
precedente), è stata necessaria per ottenere interviste con rispondenti accuati di omicidio: a “Rebibbia” infatti si riscontra una
maggiore quantità di detenuti per tale reato.
62
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante l’intervista tutti gli intervistati sono stati informati sui diritti che - in quanto partecipanti alla
ricerca - avevano nei confronti delle informazioni scambiate. L’appendice E mostra il modulo
che ciascuno di essi ha letto e sottoscritto in duplice copia: una per sé stesso e uno da tenere
agli atti dell’amministrazione del carcere. In esso sono contenute anche tutte le informazioni
sulla tutela della privacy.
Tutte le informazioni sono state riportate sui protocolli di intervista (appendice B) e
successivamente (lo stesso giorno della conduzione) sono stati trascritte in formato digitale in
file Microsoft Word per l’analisi qualitativa mediante ATLAS.ti.
Purtroppo, data la particolare natura del contesto di rilevazione (il carcere) e la delicatezza
delle informazioni (dettagli sui reati, sui percorsi di carriera deviante, altre informazioni
personali) non è stato possibile audioregistrare nessuna intervista. Per questa ragione,
l’intervistatore ha effettuato le prime interviste con un obiettivo esplorativo di messa a punto
dei protocolli, dei metodi di trascrizione veloce, della conduzione complessiva del colloquio
anche rispetto alle tecniche di rilancio, di riformulazione delle domande e di probing
(Zammuner, 1996; Montesperelli, 1998).
La durata media delle interviste è stata di 1 ora e 15 minuti circa.
3.
La costruzione della traccia d’intervista
Rispetto agli obiettivi descritti nel paragrafo precedente e in virtù degli orientamenti teorici
ed epistemologici descritti nei capitoli precedenti, abbiamo scelto di utilizzare - come
strumento di rilevazione delle osservazioni68 - un’intervista narrativa.
Tale strumento ci consente di lasciare ampio spazio all’intervistato per l’espressione
individuale: come abbiamo scritto altrove (De Leo e coll., 2004a), l’obiettivo di ricostruire
narrativamente l’azione deviante può essere perseguito mediante una tecnica di ricerca
qualitativa che consente di valorizzare la capacità tipicamente umana di attribuire significati
soggettivamente e interattivamente co-costruiti nella situazione di intervista stessa.
Il percorso che ci ha consentito di optare per l’intervista narrativa (fra le tecniche di ricerca
qualitativa disponibili) è stato diffusamente descritto in un lavoro precedente (De Leo e coll.,
2004a e anche nel capitolo 2): in quella sede abbiamo trattato delle interviste qualitative (in
generale) e di quelle specificamente dedicate allo studio dell’azione deviante. Ne riprendiamo
adesso i punti principali iniziando da una definizione generale di “intervista qualitativa”:
l’intervista è un’interazione69 tra un intervistato e un intervistatore, con finalità di tipo
conoscitivo, guidata in maniera più o meno direttiva dall’intervistatore sulla base di uno
schema di interrogazione (Bichi, 2002; Corbetta, 2003b); essa consente di
studiare i processi in cui la parola è il vettore principale (azioni passate, saperi sociali, sistemi di valori e di
norme) e anche di studiare “la parola” in sé (attraverso l’analisi delle strutture discorsive, dei fenomeni di
persuasione, dell’argomentazione, ecc.). È un dispositivo d’indagine che consente di superare molte resistenze
dell’intervistato ed è dunque utile alla conoscenza dei progetti di senso, è un modo d’accesso efficace alle
rappresentazioni e alle opinioni individuali, è uno strumento utile allo studio dei processi di categorizzazione,
permette di leggere la profondità temporale e dunque il divenire processuale dei fenomeni studiati, consente di
ridurre l’opacizzazione provocata dalla standardizzazione (Bichi, 2002, p. 10).
Sebbene inevitabilmente condizionata da vincoli temporali e da dimensioni legate
all’intrinseca dinamica fra ruoli (con implicazioni rispetto al “potere” di gestire e indirizzare
Si deve a Mannetti e Pierro (1998), la distinzione fra “osservazioni” e “dati”: gli Autori hanno efficacemente sostenuto la
connotazione maggiormente positivista che il secondo termine implica. Da parte nostra, tendiamo dunque a privilegiare il
termine “osservazioni” o - come scritto altrove (De Gregorio e Mosiello, 2004) - quello di “informazioni”.
69
L’accezione di “relazione interattiva” è presente anche in alcune definizioni del concetto di “narrazione”: essa «è una
transazione sociale. Ciò che si scambia è una storia: la stessa narrazione assume la forma che assume proprio perché c’è una
storia che transita. La narrazione è dunque la pratica sociale in cui due o più persone mettono in comune una storia»
(Jedlowski, 2000, p. 66).
68
63
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante la relazione) l’intervista qualitativa valorizza il contributo degli intervistati e degli
intervistatori alla comune costruzione del processo di conoscenza (Holstein e Gubrium, 1997;
Losito, 2004)70.
L’intervista narrativa che ha fatto da base per la rilevazione delle informazioni (la cui
traccia è riportata in Appendice A e in appendice B, sotto forma di protocollo) tiene conto
degli aspetti teorici ed epistemologici che abbiamo appena descritto e di quelli a cui si è fatto
riferimento nel capitolo precedente.
Essa si fonda su due domande aperte, dette “generative” (Bichi, 2002) interamente
riportare nella finestra 3:
Finestra 3: La formulazione delle domande generative
A
Potrebbe raccontarmi il reato per cui si trova in
carcere o un reato che è stato particolarmente
importante? Un’azione che ha avuto conseguenze
penali e di cui le andrebbe di parlarmi?
La prego di raccontare dal suo punto di vista.
Non intendo un riassunto di quello che è successo,
ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne
sa niente, che è molto interessato al racconto e che
ha molto tempo a disposizione.71 (Specificare che il
racconto può iniziare da un qualunque momento
temporale, dalle conseguenze o dagli antecedenti, e
da qualunque sua sequenza).
B
Le nostre vite cambiano continuamente, ma
alcuni sono cambiamenti cruciali, cambiamenti di
direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in
genere, sono legati ad episodi rilevanti.
Ripensando a lei, alla sua storia, può individuare
alcuni di questi episodi (2 o 3)? Può raccontarmeli
brevemente spiegando anche le ragioni per cui li
considera così rilevanti?
La due domande, da cui (come vedremo a breve) originano due tracce di intervista affini
ma distinte, si caratterizzano per un diverso orientamento conoscitivo. La prima (domanda A)
è stata inizialmente sottoposta a tutti rispondenti: essa punta l’attenzione su un singolo eventoreato rispetto a cui la persona sceglie l’azione che reputa più significativa ai fini della
narrazione oppure quella che lo espone meno dal punto di vista degli errori in cui è possibile
incorrere o delle contraddizioni. Tale scelta implica anche la dimensione temporale che verrà
valorizzata: si può, ad esempio, scegliere un’azione recente o una più lontana nel tempo,
iniziare il racconto a partire dagli antecedenti o dai suoi effetti.
In ogni caso, e come è nella natura delle domande generative, la risposta può essere
esauriente di tutti i temi importanti dell’intervista e salienti per la persona: l’intervista, in
questo caso, si esaurirebbe qui. Se la persona si mostra disponibile e collaborativa (interessata
e motivata all’approfondimento dei temi emersi), allora l’intervistatore può assecondare
l’intervistato inserendo, al momento opportuno, richieste di chiarimento secondo quanto
previsto dalle domande di approfondimento.
La domanda B è stata sottoposta a quei rispondenti che riferivano di aver avuto una lunga
serie di episodi-reato e rispetto ai quali poteva essere utile ricercare una costruzione narrativa
della carriera deviante.
Si tratta di domande che favoriscono una elaborazione “aperta” delle possibilità di risposta
lasciando al soggetto la possibilità di scegliere da dove iniziare il racconto e quale contenuto
privilegiare come saliente (vedi § 1 in questo capitolo) orientando - a partire dai contenuti
emersi e in maniera progressiva - specifici percorsi di approfondimento.
Per quanto riguarda la traccia A, alla domanda riportata nella finestra 3 potevano seguire
ulteriori domande con eventuali specificazioni su temi non adeguatamente approfonditi. Si
trattava ad esempio, di temi:
‐ a cui l’intervistato aveva accennato per aver poi cambiato argomento, oppure
70
71
Vedi a questo riguarda anche il capitolo precedente (§ 3).
La formulazione di quest’ultima richiesta è stata tratta, con gli opportuni aggiustamenti, da Bruner e Feldman (1999).
64
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante intorno a cui girava il discorso, ma che non erano mai stai approfonditi, o ancora
che sulla base delle interviste condotte in precedenza andava assumendo contorni
definiti e rilevanti (questa ultima opzione è in linea con i principi dell’approccio
Grounded theory)
Tali domande erano fondate sugli indicatori riportati in Appendice A e riferite – proprio in
virtù di questa articolazione interna - a modelli teorici rilevanti nel contesto della disciplina.
Nella strutturazione della traccia infatti abbiamo fatto particolare riferimento alle dimensioni
presenti nella Goal-Directed Action (il “triangolo concettuale” di von Cranach e Harré (1982)
nelle successive elaborazioni con particolare riguardo alle funzioni strumentali ed espressive
dell’azione deviante (De Leo e Patrizi 1992; 1999).
La traccia A tiene conto degli aspetti teorici descritti nel cap. 1. Nella sezione successiva
alla domanda generativa costituita dalle domande 1 e 2 (da questo punto in poi cfr. Appendice
B) - esamina la dimensione oggettiva e oggettivabile dell’azione (il comportamento
manifesto, secondo il modello di von Cranach e Harré, 1982) esplorando i diversi elementi
costitutivi della situazione:
- contesto (tempo, spazio, partecipanti e loro relazioni);
- situazione immediatamente precedente;
- comportamenti specifici (facendo riferimento eventualmente anche a movimenti,
posture, etc.);
- interazioni;
- reazioni.
Si tratta di descrivere cosa è successo nel momento in cui l’azione ha avuto luogo,
valorizzando una prospettiva (il più possibile) “esterna” all’attore-narratore.
La sezione successiva (domande da 3 a 13) ricerca informazioni sugli aspetti cognitivi (le
cognizioni coscienti: von Cranach e Harré, 1982) che hanno accompagnato il corso d’azione:
- le convinzioni consapevoli sulle scelte fattuali (prima, durante, dopo l’azione);
- gli obiettivi che hanno preceduto l’inizio dell’azione;
- l’intenzionalità soggettiva rispetto allo scopo;
- l’anticipazione delle conseguenze;
- l’importanza percepita del ruolo che altri hanno avuto rispetto al corso d’azione.
In particolare, vengono indagate le ragioni/motivazioni autoattribuite, legate all’azione, a
sé, agli altri partecipanti, alle conseguenze attese.
Nella quarta sezione dell’intervista (domande da 14 a 24) si esplora il senso dell’azione
secondo il punto di vista, soggettivamente elaborato dall’autore, dei diversi attori coinvolti,
della cultura di appartenenza, delle norme e regole vigenti in quel contesto (i significati
sociali); vengono indagate le funzioni - anticipatorie rispetto all’azione, contemporanee e
conseguenti – riguardanti:
- il Sé;
- gli altri significativi (famiglia, gruppi di appartenenza e di riferimento);
- la vittima;
- il controllo informale;
- le agenzie del controllo sociale formalizzato.
In particolare, rispetto all’ultimo referente, viene esaminata la forensic awareness (la
consapevolezza di “giocare” con le forze dell’ordine), quale variabile presente e critica
nell’agire deviante, come mostrano alcuni casi di cronaca recente (si pensi al caso di
Unabomber).
In questo contesto, si colloca l’analisi dei vissuti personali e dei significati che l’attore
riferisce al contesto in cui l’azione deviante è stata perpetrata (la situazione, gli altri
partecipanti, la vittima, i referenti normativi, il controllo sociale formale e informale). In
questa parte dell’intervista, più in particolare, si evidenziano i riferimenti alle funzioni svolte
dall’azione: si tratta della distinzione (di cui abbiamo già parlato nel cap. 1 § 2.1) fra gli effetti
strumentali (gli obiettivi diretti e concreti che l’attore ha, consapevolmente, perseguito) e gli
‐
‐
65
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante effetti espressivi (quali comunicazioni, secondo una prospettiva pragmatica, egli ha voluto
inviare?). Il resoconto rappresenta, in questo senso, lo strumento attraverso cui l’attore sociale
riporta al livello di consapevolezza queste tensioni comunicative (gli effetti espressivi
attengono, spesso, in qualche modo, a una soglia pre-attentiva, latente).
Le tre domande di chiusura (da 26 a 28) suggeriscono alla persona di pensare a possibili
scenari alternativi, di evocare le ipotesi effettuate di percorsi non attualizzati o di esprimere
quanto di soggettivamente rilevante non è stato previsto dalle domande poste.
Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici della formulazione delle domande, abbiamo fatto
riferimento alle indicazioni proposte da Geiselman, Fisher, Firstenberg, Hutton, Sullivan,
Avetissian e Prosk (1984) e da Geiselman, Fisher MacKinnon e Holland (1986) riguardo alla
conduzione di interviste con vittime o con testimoni di reati72. In tali circostanze infatti la
necessità di interrogare sul reato le vittime che lo avevano subito ha prodotto una particolare
attenzione alle tecniche di recupero dell’informazione. Basandosi sul Principio della
specificità di codifica73 (Tulving e Thomson, 1973), Geiselman e coll. (1984) hanno proposto
un metodo di memoria guidata che si avvale di quattro memotecniche la cui validità è stata
ampiamente dimostrata nella ricerca di laboratorio:
1. rivivere mentalmente il contesto ambientale e lo stato d’animo personale “vissuti” al
momento dell’evento criminoso: l’obiettivo è di favorire la memoria episodica attraverso la
ricostruzione delle sequenze comportamentali o la rivisitazione della scena del crimine,
2. riferire qualunque cosa, anche le informazioni apparentemente secondarie:
l’incoraggiamento dell’espressione libera, incensurata, contribuisce a rendere i resoconti più
completi,
3. riferire gli eventi variandone l’ordine di esposizione: particolarmente utile quando il
testimone è un soggetto in età evolutiva, consente di rilevare particolari diversi rispetto alla
semplice rievocazione cronologica,
4. rievocare gli eventi da un punto di osservazione diverso da quello in cui il soggetto si
trovava al momento dello svolgimento del fatto: l’adozione della prospettiva di altri testimoni
(o della vittima, se il rispondente è l’autore del reato) consente di variare sia la prospettiva
visuo-spaziale sia quella psicologica.
La traccia B ha come principali presupposti teorici il concetto di “carriera morale” (Harré,
1979; 1993; Goffman, 1961) e il modello carriere devianti (Becker, 1963).
Secondo Harré (1993, trad. it. 1994, pp. 274-275),
una carriera morale [...] è la storia di un individuo elaborata in riferimento agli altrui atteggiamenti e opinioni,
nonché agli atteggiamenti e alle opinioni che l’individuo sviluppa verso se stesso, formati sulla base
dell’interpretazione degli atteggiamenti e delle opinioni manifestate dagli altri.
Dal punto di vista psicologico, le credenze che una persona sviluppa rispetto agli avvenimenti della propria vita e
ai valori che producono sono cruciali per quel che riguarda la pianificazione del futuro e la memoria del passato.
[...] proprio al livello in cui le credenze sono significative per la persona che conduce una determinata esistenza e
per le persone che la circondano, ogni vita è unica e differente da qualsiasi altra (ibidem, p. 272).
Questo orientamento invita a considerare l’agire deviante, le sue conseguenze, come un
“filtro” che organizza il modo in cui la persona stessa interpreta e riferisce il percorso di vita.
Secondo l’ipotesi contenuta, in particolare, nella seconda edizione de La spiegazione del crimine (De Leo e
Patrizi, 1999), è importante poter collocare la singola azione all’interno di un percorso deviante (anche se i
concetti potrebbero essere applicati a qualunque carriera in qualunque settore) e, in senso più ampio, all’interno
di un intero percorso biografico, per cogliere il senso con cui la persona interpreta e dota di senso l’azione
rispetto alla propria storia e, continuamente, reinterpreta quest’ultima alla luce del proprio agire e del proprio
72
Per una trattazione ulteriore e un’applicazione al contesto italiano si vedano anche Cavedon (1994) Scali, Calabrese e
Biscione (2003), Scali e Calabrese (2002) e Gulotta e Cutica (2000; 2004).
73
Dice che «il ricordo di un evento è migliore quando tutto il contesto relativo al momento dell’immagazinamento e della
codifica dell’evento è simile al contesto al momento del recupero» (Gulotta e Cutica, 2000, p. 536).
66
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante narrare di quell’agire. La storia di vita è uno strumento di ricerca qualitativa che - dagli studi pionieristici di
Howard S. Becker - è stato ampiamente usato proprio per lo studio delle carriere (De Leo e coll., 2004, pp. 118119).
È al prezioso contributo di Becker (1963) che dobbiamo l’avvio più sistematico dello
studio sulle carriere devianti. Tale modello è stato ripreso e ampliato da De Leo (1992), De
Leo e Patrizi (1992; 1999) che hanno delineato uno schema concettuale per analizzare il
processo, articolato in tre fasi, che conduce all’assunzione di un’identità deviante.
Le fasi e il processo sono descritti qui contestualmente all’illustrazione della traccia B
dell’intervista la cui struttura prevede infatti tre sezioni. La prima sezione consta della
domanda generativa B riportata in precedenza nella finestra 3 (si veda anche l’Appendice B):
in essa il percorso di carriera viene operazionalizzato facendo riferimento ai “punti di
svolta”74 che l’hanno caratterizzato. Per quanto riguarda le aree successive, la domanda n. 4 è
riferita, specificamente, al percorso di devianza. La traccia prevede, poi, una serie di domande
di approfondimento degli aspetti eventualmente non compresi nelle risposte precedenti del
narratore (domande da 5 a 19)75.
La formulazione delle domande ha l’obiettivo di orientare la persona ad esplicitare la
percezione di Sé e della sviluppo evolutivo (“processualità”) dell’azione deviante. La traccia
prevede, pertanto, approfondimenti sulle tappe della carriera:
- antecedenti storici (comprensivi degli incidenti critici): si tratta delle condizioni iniziali
nel percorso di vita del soggetto con particolare riferimento alla storia familiare, alle
relazioni in ambito scolastico e/o lavorativo, alle esperienze maturate all’interno del
gruppo dei pari. Tali condizioni antecedenti, soggettivamente percepite e vissute, possono
essere considerate come indicatori di rischio a-specifici: questo perché, pur essendo
presenti nella maggior parte delle carriere devianti, non hanno necessariamente come
esito quello della devianza;
- crisi ed esordio delle azioni devianti: rappresenta la fase più rischiosa dell’intero
processo (rispetto alla possibilità che si instauri un percorso di carriera deviante) e
consiste in episodi soggettivamente percepiti in maniera negativa. In questa fase, i rischi
a-specifici della prima fase (antecedenti storici) possono acquisire una direzione specifica
verso la devianza;
- prosecuzione: dalle prime esperienze, l’attore sociale scopre i vantaggi strumentali o
simbolici delle sua azioni. Avviene in questa fase il riconoscimento da parte degli altri del
proprio “saper fare nella devianza”: la persona sperimenta “con successo” situazioni, le
trasgressioni penali, dove il confronto fra le attese altrui, le sfide proposte e le proprie
capacità di gestione appare, seppure pericoloso, più “semplice” ed immediato questa
sperimentazione di successo, che ha importanti implicazioni anche a livello
dell’autostima individuale e della “stima” degli altri, verrà in seguito rintracciata e
sostenuta dal tema narrativa dell’autoefficacia (vedi oltre, § 6);
- stabilizzazione: fa riferimento alla probabilità che il percorso della devianza si possa
consolidare. È una fase che (rispetto alle altre) può avere lunga durata ed essere foriera di
componenti emotive forti che stabilizzano il percorso: si tratta di aspetti che - unitamente
a un riconoscimento di Sé come deviante e dei contesti di appartenenza (famiglia, altri
significativi) - suggeriscono un consolidamento del percorso stesso76: diciamo qui che il
consolidamento dei percorsi d’azione attiene, secondo la classica interpretazione dei
teorici del labelling (Becker, 1963), alla convergenza fra la definizione di Sé (dell’attore)
74
«Con “punti di svolta”, Bruner intende i momenti chiave di cambiamento e di rottura degli schemi canonici di riferimento,
sono dei veri e propri nodi nelle strutture narrative e […] costituiscono le ragioni di squilibrio che producono il resoconto.
Essi assumono una particolare rilevanza dal punto di vista del nostro lavoro, poiché rappresentano il modo con cui l’attore
cadenza soggettivamente e socialmente la propria vita e, all’interno di essa (secondo la prospettiva teorica delle carriere), i
passaggi cruciali nel percorso della devianza» (De Leo, Patrizi e De Gregorio, 2004a, p. 124).
75
Il procedimento generale (con l’utilizzo interattivo delle domande di approfondimento) è quello già descritto per
l’intervista sull’azione, alla quale pertanto si rimanda.
76
Nei prossimi paragrafi si parlerà spesso della costruzione narrativa dell’azione deviante come “percorso inevitabile”.
67
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante e l’attribuzione di uno status da parte degli osservatori esterni (il controllo, la comunità,
etc.).
4. Descrizione dei partecipanti alla ricerca
La rilevazione delle variabili descrittive è stata effettuata alla fine di ciascuna intervista per
due ragioni: da una parte si voleva evitare di “indisporre” la persona con domande molto
dirette e personali, dall’altra, avendo inizialmente instaurato un clima di cordiale fiducia, era
utile iniziare le interviste con argomenti di maggiore centralità rispetto agli obiettivi
dell’indagine.
L’intero gruppo di partecipanti alla ricerca finale, presentata in queste pagine, è composto
da 33 individui che hanno un’età compresa da 18 a 65 anni. La tabella II mostra la descrizione
rispetto alla variabile anagrafica77: come si vede, la fascia di età più rappresentata è quella fra
31 e 35 anni, quella che ha una frequenza più bassa (età compresa fra 50 e 55 anni) conta un
solo soggetto.
Come mostra il grafico 1, la maggior parte di essi sta scontando una pena per aver
commesso un omicidio (30%), in due casi (6%) nel corso di una rapina. Il 46% ha commesso
solo rapine o furti e il 21% è dedito allo spaccio e/o al traffico di stupefacenti.
Il 24% sta scontando la prima detenzione, il 34% invece è pluripregiudicato (tabella III).
Tab. II: Distribuzione per fasce d’età dei partecipanti alla ricerca
età compresa fra 18 e 25 anni
frequenza
4
%
12,1
età compresa fra 26 e 30 anni
3
9,1
età compresa fra 31 e 35 anni
8
24,2
età compresa fra 35 e 40 anni
5
15,2
età compresa fra 40 e 45 anni
6
18,2
età compresa fra 45 e 50 anni
2
6,1
età compresa fra 50 e 55 anni
1
3,0
età compresa fra 55 e 60 anni
2
6,1
età oltre 60 anni
2
6,1
totale
33
100,0
Grafico 1: Reato per cui si sconta l’attuale detenzione
3%
21%
ra pina / furto
46%
omicidio
ra pina con omicidio
6%
spaccio (o tra ffico) di stupe fa ce nti
24%
77
Si intende l’età al momento della rilevazione.
68
rice ttazione
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tab. III: Sintesi delle detenzioni precedenti
numero di detenzioni
Frequenza
percentuale
nessuna
8
24 %
una
7
21 %
due
6
18 %
tre
1
3%
più di tre
12
34 %
Un altro elemento descrittivo del gruppo è la provenienza geografica (grafico 2):
Grafico 2: Provenienza geografica degli intervistati
3% 3%
9%
18%
Nord Italia
Centro Italia
Sud Italia
Estero, Europa Orientale
Nord Africa
67%
Spicca la provenienza dal Centro-Italia (in particolare dal Lazio), due soli intervistati
vengono da Paesi extracomunitari (uno dal Nord Africa) e uno dall’Est europeo.
Per quanto riguarda il livello di scolarizzazione (grafico 3: a questo item hanno risposto 32
intervistati)78, la maggior parte degli intervistati ha frequentato un istituto tecnico (38 %) e
molti di loro conseguito solo la licenza media (31 %).
Grafico 3: Livello di scolarizzazione degli intervistati
6%
3%
9%
31%
38%
13%
(N = 32)
78
scuola elementare
scuola media
scuola media e 2‐3 anni di scuola superiore
istituto tecnico
liceo
università incompiuta
Solo uno di essi ha preferito non rispondere, non ricordando esattamente quale livello di scolarizzazione aveva conseguito.
69
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Per quanto riguarda la descrizione di questa caratteristica, abbiamo ritenuto opportuno
inserire nella categorizzazione anche due livelli non strettamente corrispondenti a “titoli di
studio”: questo perché alcuni dei rispondenti hanno tenuto a precisare di aver frequentato i
primi anni dell’università (3 %) e un biennio successivo alla scuola media (13 %), senza
tuttavia terminare i corsi di studio.
Nel periodo precedente l’attuale detenzione, la metà degli intervistati erano disoccupati
(grafico 4):
Grafico 4: Occupazione precedente all’arresto
3%
9%
ne s s una o c c upa zio ne
o pe ra io
13%
a rtig ia no
im pie g a to
50%
c o m m e rc ia nte
19%
lib e ro pro fe s s io nis ta
3%
a ltro
3%
(N = 3 2 )
Rispetto ai temi della traccia di intervista narrativa, eravamo inoltre interessati conoscere
verso quali “altri significativi” i rispondenti indirizzavano le loro riflessioni, chi ne è il
referente simbolico: abbiamo dunque chiesto - sempre a livello di informazione di sfondo - da
quante e quali persone era composto il nucleo familiare. Non sorprende che alcuni abbiano
indicato la famiglia di origine (genitori, fratelli e sorelle), altri la famiglia acquisita (moglie e
figli). Il grafico 5 illustra i dettagli delle percentuali:
Grafico 5: Composizione del nucleo familiare
13 %
16 %
3%
6%
10 %
23%
29%
(N = 3 1 )
n e s s un a fa m ig lia
3 pe r s o n e , c o n m a dr e e pa dre
fa m ig lia m o n o pa r e n ta le
m o g lie e fig li (3‐4 pe rs o n e )
fa m ig lia e s te s a o n um e r o s a
fr a te lli e /o s o r e lle
a ltra c o m po s izio n e
Il 29 % dichiara di provenire da una famiglia estesa o numerosa (genitori, zii, cugini o
molti figli), il 23 % fa riferimento esclusivamente alla moglie (e a uno o due figli), solo il 3 %
vive ancora con i entrambi i genitori, mentre il 10 % ha solo un genitore ancora in vita. Solo
due persone hanno preferito non rispondere.
Infine, per un migliore inquadramento del gruppo di rispondenti, ci sembrava interessante
capire quanto tempo avevano trascorso in carcere per l’attuale detenzione (grafico 6) e qual è
l’entità della pena ancora da scontare (grafico 7).
La maggior parte dei volontari che hanno scelto di rispondere all’intervista ha già scontato
più di tre anni di detenzione (47 %: grafico 6) e - in linea con le imputazioni - il 57 % di loro
deve ancora trascorrere in carcere un periodo superiore a tre anni:
70
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Grafico 6: Tempo trascorso in carcere (al momento della rilevazione)
29%
m e no di 6 m e s i
fra 6 m e s i e 1 a nno e m e zzo
fra 1 a nno e m e zzo e 3 a nni
o ltre 3 a nni
47%
12%
12%
Grafico 7: Tempo da trascorrere in carcere (al momento della rilevazione)79
18%
7%
meno di 6 mesi
fra 6 mesi e 1 anno e mezzo
fra 1 anno e mezzo e 3 anni
57%
18%
oltre 3 anni
5. Le analisi delle informazioni con ATLAS.ti
ATLAS.ti è un software di supporto all’analisi del contenuto di tipo interpretativo: esso è
stato progettato in Germania nella prima metà degli anni ‘90 a opera di Thomas Muhr. Come
abbiamo discusso altrove a proposito dei “Computer Assisted Qualitative Data Analysis
Software” (De Gregorio e Mosiello, 2004), ATLAS.ti80 è un software pensato coerentemente
con un approccio Grounded theory: per questa ragione (e come discuteremo ampiamente in
seguito) molte delle operazioni implementabili sono caratterizzate dall’iteratività, dalla
ricorsività, dal progressivo avvicinamento alla definizione (o meglio, al perfezionamento) di
un modello teorico emergente dai dati.
La progettazione di ATLAS.ti rientra nel più generale fermento tecnico-metodologico a cui
la letteratura anglosassone fa spesso riferimento con l’acronimo CAQDAS (Computer
Assisted Qualitative Data Analysis Software): si tratta di programmi che consentono al
ricercatore di gestire l’analisi dei dati qualitativi (Coffey, Holbrook e Atkinson, 1996;
Fielding e Lee, 1991; 1998). Come abbiamo scritto recentemente (De Gregorio e Mosiello,
2004), i CAQDAS facilitano il lavoro del ricercatore in vario modo:
- automatizzando alcune fasi delle analisi,
- rendendo confrontabile il lavoro interpretativo svolto da analisti diversi sullo stesso
materiale,
79
Il dato riportato nel grafico 7 si riferisce a 28 soggetti, in quanto 5 erano ancora in attesa della sentenza definitiva.
Da adesso in poi ci riferiremo spesso al software come “A5” indicando quindi la versione 5.0 di ATLAS.ti, quella che
abbiamo utilizzato.
80
71
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante -
tenendo memoria di tutte le fasi di analisi anche attraverso la creazione di memo, file
di testo in cui il ricercatore può “annotare” definizioni, idee, esplicazioni, note
etnografiche, prassi da condividere con altri membri dell’equipe,
- velocizzando la creazione di output grafici, tabelle, reti di relazioni per la sintesi dei
risultati.
La maggior parte dei CAQDAS oggi disponibili consente di trattare, integrare, analizzare
le informazioni in maniera estremamente versatile. Le differenze fra i principali software
attengono, da una parte, ai modelli teorici dei rispettivi fondatori (Kelle, 1997) e, dall’altra,
alle potenzialità di ciascuno di essi rispetto alle esigenze analitiche dei ricercatori (Barry,
1998).
Anche in Italia, negli ultimi anni, i CAQDAS stanno avendo larga diffusione di pari passo
a un incremento della ricerca qualitativa nel suo complesso nelle scienze sociali (Cipriani e
Bolasco, 1995; Cipriani, 1997; Bichi, 2002), inclusa la psicologia: si vedano, fra i tanti, Milesi
e Catellani (2002), Moscardino ( 2003), Albanesi (2002), Manetti, Migliorini e Venini (2002).
5.1 La creazione dell’unità ermeneutica
La prima fondamentale fase del lavoro in ATLAS.ti è la creazione dell’unità ermeneutica
(d’ora in poi verrà spesso chiamata HU: Hermeneutic Units): si tratta, nel gergo del software,
del “file” principale che comprende al suo interno diversi elementi fra cui i testi81 da
sottoporre ad analisi. È bene tuttavia limitare la denominazione di “file” a questi ultimi (i
documenti originari), in quanto l’utilizzo generico del termine potrebbe far confondere fra i
singoli testi e l’intera HU.
È bene sottolineare inoltre che i testi (nel nostro caso si tratta delle trascrizioni delle
interviste condotte con i partecipanti alla ricerca), una volta inseriti nell’unità ermeneutica,
assumono la denominazione di “documenti primari” (PD: Primary Documents, o Primary
Docs).
La figura 10 mostra l’HU e le sue principali componenti. In essa, oltre all’area dedicata ai
Primary Documents, (il PD Manager e il PD Pane, sono rispettivamente la sezione in cui
sono “catalogati” tutti i file e quella in cui viene mostrato il documento attivo su cui sta
lavorando, ad esempio, operando una codifica) sono evidenti altre sezioni (per la descrizione
di ciascuno rimandiamo alla figura 10):
- il Quotations Manager,
- il Code Manager,
- il Memo Manager.
Sulla parte destra dello schermata si trova la “Margin area”, in cui sono visualizzati i
codici in corrispondenza delle righe di testo a cui sono stati assegnati (posizione strutturale).
Nella parte superiore e lungo il bordo sinistro della schermata sono presenti i pulsanti di
scelta rapida (icone) delle principali funzioni disponibili in A5.
81
ATLAS.ti consente di analizzare anche file di immagini e video.
72
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 10: l’unità ermeneutica e le sue componenti principali (fonte: De Gregorio e Mosiello, 2004, p. 59)
73
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 5.2 La codifica delle interviste
È la fase successiva alla creazione dell’HU e all’inserimento dei documenti da analizzare.
Corrisponde a quella che Strauss e Corbin (1990) hanno chiamato “codifica aperta”: come
abbiamo scritto nel cap. 3 § 1.2, essa consiste nella riconduzione dei contenuti dei testi da
analizzare (ma lo stesso discorso è valido con qualunque tipo di materiale: audio, video, etc.)
a nuclei concettuali che ne riassumono l’informazione. In A5, si opera nel modo seguente:
□ si seleziona con il mouse una parte di testo,
□ si clicca su “Codes Æ Coding Æ Open Coding” (o su “Code by list”,
oppure “Code in vivo”, a seconda che si preferisca associare un codice non ancora
presente nell’HU, uno dalla lista definita oppure se si vuole utilizzare lo stesso testo che
diventa codice e codificato contemporaneamente),
□ si digita il codice nella finestra di dialogo che appare e questo viene “acquisito” nel
Code Manager e nella Margin area.
Un approfondimento merita, a nostro avviso, la decisione (densa di implicazioni) su quale
parte di testo selezionare: è intuitivo che essa dovrà essere una sezione in qualche modo
“significativa”, ma per cosa? E soprattutto, rispetto a quali obiettivi?
Una prima soluzione è quella della codifica line-by-line: in questo caso, avrà scelto come
unità di codifica la riga di testo, a prescindere dalla sua salienza contenutistica. È una scelta
coerente con l’approccio conversazionalista: si può infatti codificare linea per linea con una
apparente decontestualizzazione dell’unità di analisi per poi “ricomporla” nelle fasi di analisi
successive.
In alternativa il ricercatore può optare per una codifica “per episodi” (van Dijk, 1982) o
“per topic” (Shuy, 1982)82. In questo caso, coerentemente con le prospettive discorse ed
etnometodologiche, l’attenzione sarà rivolta all’identificazione nei testi di eventi strutturati
con funzione semantica: in tal senso “un episodio è prima di tutto concepibile come parte di
un tutto con un inizio e una fine ben definiti e con una caratterizzazione temporale” (van Dijk,
1982, p. 179), questa demarcazione può essere attuata con dispositivi retorici relativi a criteri
sintattici e/o grammaticali o mediante l’uso di verbi o pronomi con carattere definitorio.
Infine, si potrà decidere di operare una codifica sui “temi narrativi” (Silverman, 2000): si
tratta di un’opzione (vicina all’approccio Grounded theory) in base alla quale l’unità
prescinde dalle dimensioni dell’estratto di testo (es.: criteri di riga o di paragrafo) e dalla
pregnanza contenutistica propria dell’episodio. Il tema narrativo infatti viene identificato dal
ricercatore con esclusivo riferimento alla sua intrinseca natura di nucleo concettuale in sé per
sé concluso: in altri termini, ogni narrazione si compone di insiemi di temi narrativi ciascuno
con una propria autonomia all’interno della narrazione stessa; ogni tema può essere sviluppato
per diversi paragrafi, oppure può essere ben rappresentato da una sola parola (se la sua forza
illocutoria83 dovesse essere tanto densa di senso da costituire essa stessa un evento
significativo).
La codifica è dunque la prima fondamentale fase di trattamento dei dati qualitativi.
Apriamo una breve parentesi per riportare nella finestra 4 l’efficace descrizione che ne fa C.
Seale (1999).
La scelta fra le soluzioni proposte dipende prima di tutto dagli obiettivi della ricerca sia da
modelli teorici, ma anche da preferenze negli approcci e dalle idiosincrasie del ricercatore.
Nello specifico di questa ricerca, abbiamo scelto l’ultima delle strategie descritte.
82
Le due formulazione non sono comunque intercambiabili: le abbiamo accomunate nella stessa trattazione in virtù di una
somiglianza di fondo e della comune aderenza all’approccio discorsivo.
83
Il concetto di “atto illucutorio” si deve a Austin (1962; cfr. anche Searle, 1979) e identifica l’elemento discorsivo mediante
cui le azioni «si compiono attraverso il parlare medesimo e che corrispondono alle intenzioni comunicative del parlante […].
Il modo con cui è interpretato un enunciato e lo stesso risultato di un atto linguistico dipendono dalla forza contenuta (forza
illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore» (Anolli, 2002, p. 10-11).
74
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Finestra 4: La definizione del concetto di codifica secondo Seale (1999)
«Le osservazioni e le registrazioni dei dati non possono mai essere pienamente libere dai valori, dagli
assunti e dalle prospettive teoriche del ricercatore, sebbene qualcosa può essere fatto per mostrare ai
lettori quali sono questi assunti, in modo da fondare i giudizi di credibilità. L’uso di descrittori a basso
livello di astrazione chiaramente aiuta. Una volta chei dati sono descritti tuttavia diventa rilevante fare
inferenze sul loro significato […].
La codifica è, naturalmente, un tentativo per fissare il significato, costruire una particolare visione del
mondo che non esclude altre possibili visioni del mondo. […]. Comunque, la codifica che definisce
significati troppo presto nel processo di ricerca può rendere vano il processo creativo, bloccare la
capacità dell’analista di vedere nuove cose. Le prime fasi di codifica sono dunque più appropriatamente
chiamate indicizzazione (“indexing”) e agiscono come segnaposti per interessanti unità di dati piuttosto
che rappresentare la versione finale dei significati.
[…] A questo punto siamo passati gradualmente dall’indicizzazione alla codifica. La chiarezza
concettuale, per cui i fenomeni sono esposti a definizioni più rigorose ed esclusive per poter essere
facilmente distinti da altri fenomeni, diventa importante. A questo punto, è importante chiedersi se altri
soggetti vedano le cose allo stesso modo. In questo senso, un esercizio di attendibilità fra codificatori
può essere inteso come prova della potenziale leggibilità di un report di ricerca, per esaminare il grado in
cui questo veicola coerentemente significati condivisi» (Seale, 1999, p. 154).
N.d.A.: È importante precisare che indicizzazione e codifica (come le descrive Seale) corrispondono, in
ATLAS.ti, alla definizione rispettivamente di “codes” e “code families”. Analogamente è necessario precisare che il
concetto di indicizzazione è presente nell’utilizzo di altri software CAQDAS con significati non direttamente
riconducibili alla codifica.
Per questa ragione, ci sembra utile approfondire le implicazioni di tale scelta:
un’immediata conseguenza è che i temi narrativi possono essere fra loro in diversi tipi di
relazione: possono essere seguenti l’un l’altro, oppure possono “innestati” uno dentro l’altro o
sovrapposti in alcuni punti e non in altri: da questo punto di vista, l’analisi per temi narrativi è
più complessa, ma allo stesso tempo più completa perché consente di cogliere tutta la varietà
di significati che il narratore ha voluto dare alle sue parole. Nonostante ciò non si può dire che
essa valorizzi esclusivamente la prospettiva di chi narra: infatti, la scelta di quando il tema
narrativo è concluso dipende dal ricercatore. Questa situazione (ed è qui la seconda
implicazione) rende l’analisi del contenuto di tipo interpretativo (quella di cui ci stiamo
occupando) particolarmente difficile e onerosa in quanto necessita di tempi maggiori (per
rileggere i testi alla ricerca di tutti i temi narrativi in essi presenti), ma la rende anche, a nostro
avviso, più completa in quanto consente di ottenere una vera e propria mappa dei
concetti/temi rilevanti per il narratore84.
Un ulteriore aspetto che ci sembra utile sottolineare a proposito delle operazioni di codifica
riguarda la scelta dei loro nomi: come abbiamo scritto altrove (De Gregorio e Mosiello,
2004), è utile che il ricercatore assegni ai codici (fin dalle prime fasi) delle etichette verbali
chiaramente identificabili anche in assenza del testo cui il codice è riferito: questo perché
nelle operazioni successive (che si basano appunto sui codici) non sempre sarà possibile
risalire agevolmente al testo di partenza (ne verrebbe meno la funzione “riassuntiva” del
codice stesso). In altri casi, il codice può essere nominato con due parti distinte indicanti, ad
esempio, un’azione concreta e il suo significato funzionale. In ogni caso, comunque, la
soluzione dipende da scelte esplicite del ricercatore che a loro volta sono fondate sugli
obiettivi: in tal senso, A5 fornisce uno strumento utile per operazioni che dipendono prima di
tutto dal ricercatore. In altri termini, è possibile adattare ATLAS.ti (e adattarsi come
ricercatori) ad un uso creativo dello strumento: analogamente al concetto di “artefatto” nella
psicologia culturale (Mantovani, 1998; Mecacci, 2000), il software in questo caso diventa una
periferica della mente del ricercatore e come tale, a parità di prestazioni tecniche, può essere
adattato ad usi più creativi di quelli per cui è stato progettato.
84
Mediante gli strumenti offerti da ATLAS.ti è possibile anche verificare la salienza di ogni tema narrativo e le sue relazioni
con altri temi (come vedremo approfonditamente in seguito).
75
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Alla luce degli obiettivi specifici dello studio - l’analisi delle costruzioni narrative delle
azioni devianti - abbiamo ritenuto opportuno effettuare delle analisi che tenessero conto sia
dei contenuti dei temi narrativi relativi (il modello teorico del Posizionamento discorsivo, la
GDA, le teorie sul “Disimpegno morale” e sulla “Neutralizzazione della norma”, i modelli
sull’autoefficacia e sull’agentività, i riferimenti in genere riconducibili alla prospettiva
dell’accountability), sia di tutti gli altri aspetti strutturali della narrazione. Tecnicamente, ci
siamo avvalsi della possibilità di operare su due distinte unità ermeneutiche composte dagli
stessi 34 documenti primari (le trascrizioni delle interviste): una, appunto, per le analisi sui
contenuti e l’altra per la codifica secondo la struttura. Per questa seconda fattispecie abbiamo
preferito, fra i modelli descritti nel cap. 3, l’Evaluation model di Labov (Labov e Waletsky,
1967) in quanto offre un sistema semplice di categorie, ampiamente validato nella ricerca
sulle narrazioni. Inoltre, questa scelta ci ha dato la possibilità di applicare il modello di Labov
a testi estesi più di quelli su cui di solito viene utilizzato.
La scelta di creare due distinte HU è stata dettata anche da ragioni pratiche: da una parte, ci
è sembrato utile tenere distinte le dimensioni di contenuto da quelle strutturali, confidando nel
fatto che - secondo l’approccio di Rosenthal (1993) - sarebbe stato possibile, in una fase
successiva, integrare utilmente i due aspetti; dall’altra, sarebbe stato oltremodo oneroso
lavorare su un’unica HU comprendente tutti i codici.
L’intera fase di codifica è stata divisa in due parti: dapprima sono stati letti e codificati
(secondo le modalità descritte in precedenza) i primi 15 documenti primari (PD); in seguito,
prima di proseguire con le successive codifiche, è stato utile sistematizzare l’elenco dei codici
rilevati fino a quel punto. Come suggerito da tutti i principali metodologi che si sono occupati
di ricerca secondo l’approccio della Grounded theory, il processo di ricerca segue un percorso
- intrinsecamente coerente - di tipo ricorsivo e iterativo (comportando un continuo
spostamento dell’attenzione dai dati alle teorie e fra dati) sebbene complessivamente
progressivo verso la definizione di un modello teorico organico. In questo modo, tutti i codici
sono stati riletti con attenzione alla ricerca delle inevitabili ridondanze dovute al lavoro di
codifica: è possibile infatti che il ricercatore, dovendo analizzare grandi quantità di testi, tenda
a creare più codici di quelli effettivamente necessari rendendone ridondanti alcuni: in altre
parole, è stato necessario cercare nell’HU tutte quelle situazioni in cui inavvertitamente
(soprattutto per l’elevato numero di codici) certi temi narrativi risultavano (sia pure con
formulazioni dei codici leggermente diverse) esser presenti più volte: si è trattato di un lavoro
di “ripulitura” dell’HU e di omogeinizzazione della lista dei codici operata soprattutto
mediante l’opzione “Codes Æ Miscellaneous Æ Merge Code” (unione di codici
di significato affine).
Queste operazioni sono state svolte in due modi concomitanti: manualmente (leggendo e
rileggendo le liste di codici) e automaticamente mediante l’opzione di “Coding
analyzer”85 di A5.
Alla conclusione di tutta la fase di codifica, analogamente, sono state effettuate operazioni
di “ripulitura” della lista dei codici e di perfezionamento dell’output relativo alla codifica di
entrambe le unità ermeneutiche.
Complessivamente sono emersi 580 codici relativi a tutte le aree di interesse.
5.2 L’aggregazione in “families”
La fase successive ci ha consentito di concretizzare la c.d. “codifica assiale” (Strauss e
Corbin, 1990, cfr. anche cap. 3 § 1.2 in questo lavoro); in essa i codici rilevati in precedenza
sono stati aggregati secondo due criteri prevalenti:
(a) l’evidente riferimento a dimensioni teoriche consolidate in letteratura (es.: i
“meccanismi di disimpegno morale” identificati da Bandura, 1997; 1999; o le tecniche di
85
Il tool denominato “Coding analyzer” consente al ricercatore di rilevare tutte le porzioni di testo (quotations) in cui uno
stesso codice è ridondante, essendo queste adiacenti, sovrapposte, innestate una nell’altra (in tutti questi casi sarebbe più utile
unirle e identificarle con un unico codice).
76
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante “neutralizzazione della norma” secondo la formulazione di Sykes e Matza, 1957, e la
revisione di Fritsche, 2002);
(b) una logica attinenza a temi rilevanti nell’ambito dello studio ma non direttamente
riconducibili a un modello teorico consolidato (o, importante, non ad un unico modello: è il
caso delle emozioni che abbiamo distinto in “positive”, “negative” e neutre”).
Complessivamente, l’HU ha compreso 78 famiglie di codici. il Family Manager è mostrato
nelle figura 11.
Fig. 11: Il Family Manager con alcune famiglie e i codici assegnati e da assegnare
Ma qual è la funzione della famiglie? Esse raccolgono l’informazione contenuta (a un
livello di astrazione inferiore) nei codici: le famiglie sono delle vere e proprie dimensioni
teoriche che includono le informazioni degli indicatori empirici (in questo caso i codici).
Come abbiamo descritto nel § 1.2 nel cap. 3, è come se avessimo operato un processo inverso
a quello che nella ricerca quantitativa è noto come “paradigma di Lazarsfeld” (Lazarsfeld,
1958), che consente di scomporre un concetto teorico (ad elevato livello di astrazione) in
dimensioni (ed eventualmente anche in sotto-dimensioni) e queste a loro volta in indicatori
empirici che consentono (in virtù del loro basso livello di astrazione) di passare alle
definizione operative del concetto di partenza. Questo percorso logico consente
l’operazionalizzazione di un concetto al fine, ad esempio, di costruire (o, meglio,
perfezionare) gli item di un questionario. Nella ricerca qualitativa, in questo specifico
approccio alla ricerca qualitativa, l’obiettivo è invece quello di “costruire” un modello teorico
su un fenomeno, un oggetto sociale, a partire dalle evidenze empiriche (nel nostro caso, le
risposte a un’intervista): in questo senso, si può dire che abbiamo proceduto secondo un
percorso inverso a quello del paradigma di Lazarsfeld.
Un’altra categoria di famiglie è ricavabile a partire dai documenti primari.
Oltre alle famiglie di codici, abbiamo ritenuto utile (alla luce di obiettivi specifici e per le
analisi successive) definire anche alcune “famiglie di documenti primari” (“PD families”). In
A5, è possibile infatti raggruppare i testi (o video, o immagini) in categorie per effettuare
analisi più specifiche su sottogruppi di documenti e ottenere risultati più dettagliati.
Nel caso dello studio che stiamo presentando abbiamo ritenuto utile, anche in funzione
degli obiettivi specifici, creare 7 famiglie di documenti primari (figura 12):
77
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante -
-
da una parte, infatti, eravamo interessati a capire se percorsi di devianza differenti (i
reati) suggerivano ai loro autori modalità di rendicontazione e di costruzione narrativa
altrettanto differenziata. Alla luce di questo obiettivo, tutte le interviste sono state
divise in 4 families in base al tipo di reato commesso;
dall’altra, abbiamo ritenuto utile distinguere i partecipanti alla ricerca in base
all’“esperienza” nel settore della devianza per capire se in base a questa variabile le
strutture e i contenuti narrativi presentassero differenze. A tal fine, abbiamo fatto
riferimento alle categorie descritte da R. Matthews (2002) nei suoi studi sui rapinatori:
l’Autore distingue 3 categorie: dilettanti (o novizi), i rapinatori con meno esperienza
che pianificano poco le azioni e scelgono, in genere, obiettivi facilmente accessibili; gli
intermedi, si impegnano in adeguati livelli di pianificazione dei reati e hanno una
carriera criminale abbastanza lunga, di solito partecipano ad azioni di gruppo e non
vivono la devianza come parte della loro identità; i professionisti (o esperti) che vivono
con forte coinvolgimento l’essere devianti tanto che la riconoscono come parte della
propria identità sociale e come un vero e proprio mestiere: in tal senso, pianificano
accuratamente le azioni, scelgono obiettivi ambiziosi e motivanti (astenendosi anche al
rischio di essere catturati).
Fig. 12: Esempio di famiglie di documenti primari
La segmentazione del gruppo di partecipanti alla ricerca risponde dunque a criteri di
maggiore analiticità rispetto agli obiettivi che siamo prefissati. Nelle pagine seguenti questi
obiettivi verranno articolati in specifiche domande di ricerca che è possibile rivolgere al
software.
5.3 La verifica delle ipotesi nella ricerca qualitativa: il Query tool di ATLAS.ti
L’ultimo aspetto tecnico che riteniamo utile illustrare, prima di passare ai risultati delle
analisi delle interviste, è il fondamentale strumento di verifica delle relazioni fra i codici: il
Query tool. Si tratta di una “finestra di interrogazione” mediante la quale il ricercatore chiede
al software di rilevare l’eventuale presenza di relazioni fra i codici o le Code families
nell’intera HU o in gruppi di documenti primari (PD families).
L’aspetto generale del Query tool è rappresentato nella figura 13:
78
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 13: L’area di lavoro nel Query tool
Il funzionamento di base è descritto nella pagine successive in modo da rendere chiara la
logica sottostante al suo utilizzo e l’uso che se ne è fatto nella ricerca qui presentata.
Ogni codice di interesse86 per il ricercatore in una specifica richiesta (o le famiglie di
codici) viene inserito (mediante un doppio click sul suo nome) nell’area delle operazioni:
l’area dei risultati (in basso a destra) mostrerà l’elenco delle porzioni di testo (quotations)
associate a ciascun elemento selezionato in questo modo. Affinché si possa definire
adeguatamente un’operazione di ricerca, i codici e le famiglie devono essere inseriti
nell’ordine in cui si ipotizza che siano in relazione (A Æ B è diverso da B Æ A) e sempre
prima degli operatori che li collegano.
Cosa s’intende esattamente con “operatori” in ATLAS.ti? Sono i criteri mediante i quali il
ricercatore chiede al software di estrarre le porzioni di testo attraverso i codici ad esse
associati: è infatti attraverso le porzioni di testo (le quotations) che è possibile rilevare
l’eventuale associazione fra i codici che (come abbiamo descritto nel § 4.2 in questo capitolo)
le sintetizzano.
Come abbiamo descritto in De Gregorio e Mosiello (2004), in A5 sono disponibili tre
gruppi di operatori:
9 operatori booleani (o logici): sono i classici criteri, utilizzati in tutti i sistemi di ricerca
delle informazioni, riconducibili a semplici relazioni di compresenza o esclusione:
OR: chiede di estrarre le porzioni di testo in cui sono presenti uno solo o entrambi i codici
selezionati,
XOR: chiede di estrarre citazioni in cui è presente esclusivamente uno dei codici selezionati
(e non anche l’altro),
AND: chiede di estrarre le citazioni in cui entrambi i termini sono presenti,
NOT: consente di formulare una richiesta in cui si esclude un codice da un insieme più
ampio (es., tutti i codici i una famiglia meno uno).
La figura 14 dovrebbe chiarire i termini delle differenze:
86
È possibile (fino alla versione di ATLAS.ti attualmente in commercio) effettuare ricerche sulle relazioni fra
due elementi per volta.
79
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 14: Le relazioni di tipo logico fra i codici (fonte: Muhr, 2004, p. 164)87
9 Operatori semantici: consentono di esplorare le relazioni all’interno di reti concettuali
definite precedentemente dal ricercatore88. Ad esempio, il concetto “emozione” (come
mostra la figura 15) può essere articolato almeno con riferimento alle polarità positivonegativo: in questo modo, si stabiliscono delle reti concettuali rispetto a cui è possibile
verificare la coerenza in modelli teorici differenti oppure fra soggetti partecipanti allo
stesso studio. Gli operatori semantici sono:
SUB: opera la ricerca nelle reti concettuali a partire dai livelli superiori e verso quelli
inferiori,
UP: opera la ricerca di estratti di testo dai livelli di astrazione inferiori verso il livello
superiore,
SIBling: ricerca tutte le quotations connesse al codice selezionato e ad ogni altro codice
ad esso associato.
Fig. 15: Esemplificazione delle gerarchie di concetti su cui sono utilizzabili gli operatori semantici (fonte: De
Gregorio e Mosiello, 2004, p. 81)
9 Operatori di prossimità: consentono di testare l’eventuale relazione di tipo spaziale (o
strutturale) fra le porzioni di testo e i relativi codici: mediante gli operatori di prossimità
è possibile verificare, ad esempio, l’ipotesi che gli estratti in cui è presente un certo
tema (supponiamo il tema A) narrativo siano sempre precedenti a quelli in cui è
presente il tema B. Gli operatori di prossimità comprendono relazioni di
inclusione/esclusione (di un codice in un altro), precedenza (di A su B o viceversa),
sovrapposizione.
Rimandando al manuale del software per ulteriori esempi e maggiori dettagli sulle logiche
sottostanti l’utilizzo degli operatori (Muhr, 2004), ci limitiamo a dire in questa sede che gli
operatori descritti possono essere utilizzati anche in query di ricerca anche molto complesse:
87
Nella figura 3.15:
‐
A e B sono le etichette che rappresentano i codici,
‐ Q1, Q2, Q3, Q4, Q5 rappresentano le porzioni di testo richiamate a in base alla combinazione dei codici.
88
Questa classe di operatori sono utilizzabili solo con i codici (e non con le famiglie di codici).
80
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante ATLAS.ti dispone infatti di una vera e propria “grammatica” (secondo cui, per esempio,
vanno inseriti sempre prima gli operandi/codici e poi gli operatori) in base alla quale è
possibile impostare Query in cui diversi operatori vengono incrociati con l’obiettivo di
definire modelli teorici via via sempre più stringenti e complessi.
I risultati di ogni query possono essere salvati come se fossero dei codici aggiuntivi: ottenuto un risultato che
sembra particolarmente significativo e interessante, il ricercatore può (cliccando su “Create Super Code”)
creare un codice (il Supercodice, appunto) che sintetizza l’informazione appena ottenuta; il Supercodice può
essere utilizzato e trattato come qualunque altro codice e (in qualità di “sintesi di altri codici”) consente di
impostare ulteriori query di ricerca più complesse e sofisticate. Essi sono visibili nel Code Manager e sono
contraddistinti per il colore rosso dell’icona: la principale caratteristica è la loro dinamicità: il contenuto (di
codici inclusi e di quotations) varia al variare delle elaborazioni e delle relazioni fra gli elementi che sono inclusi
in esso.
Un ultimo aspetto che ci interessa sottolineare è il seguente: la ricerca delle relazioni mediante il Query tool è
funzionale all’elaborazione teorica; quando si opera qualunque richiesta, si sta cercando di definire “pezzi” di
una teoria sottostante ai dati e fondata nelle informazioni di partenza: per questa ragione, il risultato di ogni
query è un set di quotations. Sono esse infatti che hanno un collegamento diretto con i testi di partenza ed è
attraverso di esse che il ricercatore può (di)mostrare l’esito della sua elaborazione (De Gregorio e Mosiello,
2004, p. 82).
5.3.1
La verifica delle relazioni su una parte dei documenti
Una specifica opzione disponibile a partire dalla finestra principale del Query tool consente
di circoscrivere la ricerca in sottoinsiemi specifici di documenti primari: attraverso la
funzione “Scope” (vedi figura 13) è possibile limitare la ricerca a singoli documenti primari
o a PD-families.
Come descriveremo a breve, questa opzione ci consente di verificare l’esistenza di
eventuali differenze nelle costruzioni narrative operate da soggetti che hanno compiuto reati
di gravità e natura diversa. È infatti ipotizzabile che la costruzione narrativa dell’azione
“rapina” sia diversa dalla quella dell’azione “omicidio” e che queste differenze siano
rilevabili a partire dai testi analizzati. Dei risultati relativi a questo obiettivo specifico
parleremo nel § 6.3 (in questo capitolo).
6.
I risultati
In questo paragrafo verranno illustrati i risultati delle analisi del contenuto e delle strutture
narrative. Al fine di rendere più chiari i percorsi concettuali che emergono dalle narrazioni
analizzate, abbiamo scelto di illustrare i risultati sulle due diverse aree secondo fasi distinte:
dapprima verrà fornito un quadro descrittivo generale sia per quanto riguarda i temi narrativi
principali e le dimensioni strutturali presenti nell’intero corpus dei dati; in una seconda fase, si
illustrano i risultati sulle relazioni fra codici e verrà definito il modello strutturale generale
sottostante a tutte le narrazioni; infine, a un successivo livello di specificità verranno descritti
i risultati relativi alle famiglie di reati e le narrazioni verranno confrontate fra loro (dal punto
di vista del contenuto e delle strutture) rispetto al tipo di reato di cui trattano.
6.1
I contenuti narrativi
6.1.1
I temi ricorrenti
Il primo basilare passo nell’analisi delle informazioni è relativo alla rilevazione dei temi
narrativi che vengono utilizzati per raccontare l’azione: si tratta di un obiettivo totalmente
esplorativo e introduttivo alle fasi successive. Esso consiste in una iniziale mappatura
concettuale dei testi mediante l’identificazione dei temi più salienti (quelli che mostrano un
maggiore utilizzo) per i partecipanti alla ricerca89.
89
Del concetto di salienza nell’economia di un’unità ermeneutica abbiamo già trattato nel § 1.1 in questo capitolo.
81
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante In ATLAS.ti, è possibile attuare questa fase attraverso la predisposizione di output che
evidenziano la presenza (in termini quantitativi) di codici riferiti a temi specifici. In
particolare, attraverso il Code Manager si possono ordinare i codici secondo il criterio
Grounded90 (che esprime quanto ogni codice è “radicato” nei testi che compongono l’HU) e
metterli in ordine di “salienza”, di presenza in tutti i testi.
Nella figura 16, abbiamo scelto di isolare e mostrare tutti i codici con un radicamento nei
testi superiore a 10, cioè i codici che in tutta l’unità ermeneutica91 sono assegnati ad almeno
10 porzioni di testo indipendentemente dal numero di documenti primari effettivamente
coinvolti in questa valutazione.
In altre parole, è possibile che qualunque codice fra quelli mostrati nella figura 16 sia
particolarmente rilevante per alcuni degli intervistati e che quindi costoro ne determino
l’elevata frequenza rilevata nell’HU.
Fig. 16: Code Manager con elenco di codici ordinati secondo la salienza nell’HU
Per verificare questa evenienza, abbiamo chiesto al software l’output di una tabella in cui i
codici vengono incrociati con tutti i documenti primari in modo da verificare la distribuzione
dei primi nell’unità ermeneutica (tabella IV)92: in essa è evidente, ad esempio, come il codice
più frequente (“Carcere come riflessione e cambiamento”: 50 quotations) sia richiamato
maggiormente dal soggetto che ha prodotto l’intervista n. 17 (in 5 passaggi della sua
narrazione è rilevato questo tema narrativo); i codici “Movente strumentale del reato” (32
quotations complessive) e “Movente strumentale del percorso di carriera” (24) hanno una
90
Come mostra la figura 16, altri possibili criteri per ordinare l’elenco del codici sono: il nome-etichetta del codice (ordine
alfabetico), il numero di collegamenti con altri codici (“Density”), l’ordine alfabetico dei codificatori che hanno lavorato
sull’HU (di default il ricercatore viene indicato come “Super”: per specificare le identità è necessario impostare
preventivamente delle password e nomi-utenti differenziati per ciascun codifcatore), la data e l’ora di creazione dei codici e la
data (e l’ora) di ultima modifica.
91
Essa - ricordiamo - include 34 interviste.
92
Nel layout della tabella abbiamo ritenuto utile mantenere l’ordine della frequenza dei codici: il valore è stato riportato
all’inizio di ciascuna riga. Questa operazione dovrebbe agevolarne la lettura e favorire il confronto con la figura 16.
82
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante distribuzione diversa: il primo è particolarmente saliente per gli intervistati nn. 20 e 29 (che
da soli ne parlano in ben 9 estratti delle loro narrazioni), mentre il secondo è distribuito in
maniera più bilanciata in tutta l’HU.
Tab. IV: La distribuzione del codici più salienti in tutte le interviste-PD
Analogamente, gli intervistati nn. 1 e 30 sono quelli che mostrano un più elevato senso di
autoefficacia (ne parlano rispettivamente in 5 e 4 estratti di testo).
L’intervistato n. 8 è quello che più di tutti gli altri imputa la causa delle azioni che lo hanno
portato in carcere all’immaturità e all’ignoranza: egli descrive tali fattori come le premesse
che hanno condizionato la possibilità di scegliere i percorsi d’azione più adeguati.
L’intervistato n. 26 è quello che più degli altri descrive comportamenti specifici: si tratta
delle narrazioni di eventi narrati come se fossero visti da un osservatore esterno (ad esempio:
recarsi sul luogo del reato, afferrare l’arma, minacciare la vittima, prendere la refurtiva, etc.).
Molti intervistati (in 18 porzioni di testo complessive) ammettono di aver pianificato
accuratamente i reati prima di commetterli (rispetto al tema della pianificazione rimandiamo
comunque alle sezioni successive in quanto la precisione di questa informazione dipende
fortemente dal tipo di reato trattato): coloro che non fanno cenno al processo di pianificazione
sono tuttavia la maggior parte dei soggetti con particolare riferimento all’intervistato n. 20 che
in tre passaggi della sua intervista precisa di non aver definito i dettagli delle azioni compiute.
In 13 situazioni (soprattutto l’intervistato n. 26) viene dichiarato di non aver mai avuto
intenzione di far male alle vittime: per loro (si tratta esclusivamente di individui che hanno
compiuto rapine) era importante recuperare la refurtiva rapidamente e preservando
nell’incolumità fisica delle vittime e dei testimoni dei reati.
In 13 e 11 quotations gli intervistati affermano chiaramente di essere preoccupati per le
conseguenze negative che la loro detenzione può avere - rispettivamente - sulla famiglia e sui
figli.
Per quanto riguarda gli effetti espressivo-comunicativi dei reati (che abbiamo descritto nel
cap. 1 § 2.1: De Leo e Patrizi, 1992; 1999), dobbiamo sottolineare che:
- le comunicazioni indirettamente inviate verso il Sé (le azioni con valenza comunicativa
verso la propria identità) sono quelle che l’intero gruppo di intervistati elicita con maggiore
83
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante frequenza (l’intervistato n. 26, in particolare, ne fa un filo conduttore di tutta la propria
narrazione),
- i messaggi di cambiamento (presenti in 12 porzioni di testo) sono distribuiti equamente in
tutte le interviste,
- gli effetti di relazione (meno presenti dei precedenti: 10 volte) sono particolarmente
salienti per l’intervistato n. 28 che in quattro passaggi della sua narrazione vi fa riferimento.
Fin qui la descrizione del quadro concettuale al livello più semplice, quello dei codici: si
tratta come abbiamo descritto nel corso del paragrafo precedente degli elementi dell’unità
ermeneutica che hanno una maggiore aderenza ai testi (le narrazioni) di partenza. Come
descritto nel paragrafo 5.2, i codici sono aggregabili - per le fasi successive - in “famiglie” (le
“Code families”): nelle prossime pagine descriveremo le principali. Prima tuttavia informiamo
il lettore che la presentazione delle famiglie di codici può avvenire in due modi differenti: una
visualizzazione grafica mediante Network view (in cui ogni famiglia di codici viene descritta
per mezzo dei suoi collegamenti con i codici che ne fanno parte) e una visualizzazione
testuale mediante un semplice elenco dei codici. Il vantaggio della prima soluzione è di
fornire una leggibilità immediata della composizione di ciascuna rete di codici; essa tuttavia
otterrebbe l’effetto contrario se la numerosità dei codici fosse eccessiva. La visualizzazione
mediante elenco invece è di comprensione meno immediata, soprattutto perché nell’output di
ATLAS.ti non include il numero delle quotations per ciascun codice: in questi casi ovvieremo
presentando i codici più rilevanti con un layout diverso (in tutte le finestre sui Code families
essi verranno indicati in grassetto).
La Code family che include il maggior numero di codici è quella che abbiamo chiamato
“Strategie per un’autopresentazione positiva” (finestra 5): si tratta di una dimensione non
direttamente riconducibile a un modello teorico univoco.
Finestra 5: Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione positiva”
Code Family: Strategie di autopresentazione (+)
Codes (78):
["mi vengono i brividi se penso a questa cosa"] [accusa ingiusta] [affidamento al servizio
sociale] [arresto per ingenuità] [arresto per vecchi reati] [arresto/morte: anticipazione delle conseguenze possibili]
[aspettative sulle relazioni con i figli] [assenza da luogo del reato/non partecipazione all'azione deviante]
[attività artistiche in carcere] [attività editoriale] [attuale consapevolezza dell'illegalità] [autoimputazione di responsabilità e affidabilità] [auto-vittimizzazione] [autoattribuzione di onestà]
[autoattribuzione di responsabilità/interna] [autoefficacia e orgoglio per i traguardi raggiunti] [bisogno
di espiazione della colpa] [carcere come miglioramento delle relazioni] [carcere come riflessione,
maturazione e cambiamento] [commissione del reato per evitare che lo facessero altri] [comprensione della
famiglia] [consapevolezza dei propri errori] [continua idea di smettere e ricaduta] [enfasi sulla propria
vittimizzazione/ingiustizia] [estraneità (capita sempre agli altri)] [famiglia normale, benestante] [fattore protettivo:
famiglia] [figli, moglie, no devianza] [funzione maturativa e responsabilizzante del carcere] [funzione
positiva del reinserimento] [funzione positiva e protettiva del lavoro] [funzione positiva e rinforzante
degli altri] [funzione responsabilizzante del teatro] [funzione responsabilizzante e maturativa della religione]
[imparare dall'esperienza/dagli errori] [importanza del confronto] [imputazione di non-pericolosità] [incastro]
[ingresso in carcere da anziano] [intenzione di non coinvolgere la famiglia] [lavoro e opportunità per smettere]
[movente strumentale che annulla gli altri] [movente strumentale del reato] [movente strumentale per il percorso di
carriera] [non intenzionalità di commettere il reato] [obiettivo di non fare male alle vittime] [omicidio
accidentale] [omicidio non pianificato] [opportunità di una vita dignitosa (perchè s'inizia)] [pentimento/rimorso]
[positività dell'infanzia e principi sani] [precedenti per piccoli reati] [preoccupazione per gli affetti che
rimangono fuori] [preoccupazione per il figlio cresciuto senza padre] [preoccupazione per l'immagine di sè]
[preoccupazione per la famiglia] [preoccupazione per la sorte dei figli] [reato come punto di svolta e
riflessione] [responsabilizzazione legata alle relazioni umane] [ricordi e rimpianti] [rifiuto della violenza e
delle armi] [riflessioni su come si poteva evitare il reato] [rimpianto per non aver studiato] [riscoperta dei veri
valori] [scelta esplicita fra reati] [scelta esplicità fra bene e male] [senso di colpa per essere stato lontano dalla
compagna malata] [senso di giustizia/voglia di morire] [senso di utilità e gratificazione] [serenità per la situazione
carceraria] [smettere per non far soffrire i cari] [Somalia] [spirito ribelle] [tendenza al miglioramento] [tentativo di
essere un buon padre] [tossicodipendenza e identità] [valori importanti della giovinezza] [vita felice e serena
prima della commissione del reato]
Quotation(s): 322
All’interno di essa i codici sintetizzano contenuti riferiti ai tentativi di dare (nonostante
l’ammissione di colpevolezza) un’immagine positiva di Sé (l’enfasi sulla funzione
84
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante responsabilizzante del carcere e delle misure alternative; la preoccupazione per le
implicazioni della detenzione sui familiari, la precisazione della scarsa responsabilità nella
commissione dei reati ascritti; la descrizione delle origini e delle prime fasi di vita come
positive e lontane dai circuiti della devianza). La finestra 5 sintetizza i risultati elencando i 78
codici che definiscono la famiglia, fra i quali abbiamo messo in grassetto quelli più
rappresentati nell’HU. Tutta la famiglia include, come mostra l’ultima riga della finestra, 322
estratti di testo complessivi.
Dall’altra parte, ci sono stati diversi episodi in cui il narratore si è descritto facendo
riferimento a categorie di senso opposto che abbiamo chiamato “Strategie di
autopresentazione negativa” (in basso nella figura 17). Ciò dimostra che - contrariamente a
quanto si potrebbe ipotizzare seguendo il senso comune - non sempre chi è imputato di reati
ha la tendenza a disimpegnarsi dalle attribuzione esterne e a tentare di fornire sempre e solo
un’immagine positiva di Sé.
Fig. 17: Indicatori della famiglia di codici “Strategie per un’autopresentazione negativa”
La famiglia di codici “Percorso: eventi critici” fa riferimento alle fasi dell’evoluzione della
carriera deviante: si tratta di una dimensione esplicitamente prevista nel modello di sviluppo
della carriera (De Leo e Patrizi, 2002; De Leo e coll., 2004a). Nell’HU che abbiamo
analizzato sono presenti 48 codici (riconducibili a 122 estratti di testi) che sono riportati nella
finestra 6.
Come si nota dalla lettura dei codici principali, l’imputazione di criticità ad un evento
rispetto alla possibilità di innescare un percorso di devianza è riferita a:
- fattori legati alle prime detenzioni e alle loro implicazioni (in termini di stile di vita, di
relazioni, di norme a cui adeguarsi),
- conflittualità con persone rilevanti nel proprio percorso di vita,
- eventi legati alle relazioni interpersonali (inclusi precari stati di salute propri o altrui),
- eventi legati allo stato di tossicodipendenza.
85
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Finestra 6: Indicatori della famiglia di codici “Percorso: eventi critici”
Code Family: percorso: eventi critici
Codes (48):
["io ho sempre rubato"] [abbandono da parte della moglie] [abbandono dalla persona amata]
[aborto della compagna dopo l'omicidio] [arresto dei figli] [attività onesta e ricaduta nella devianza] [attività
politica] [cambiamento lavorativo ed economico] [carcerazione (e regole)] [carcerazione dei figli]
[carcerazioni frequenti] [conferma del tradimento] [conflittualità con la madre] [continui scontri con le agenzie di
controllo] [crisi d'identità] [debolezza, uso della cocaina] [escalation del percorso di devianza] [fare la bella
vita] [Hiv della compagna] [il reato come incidente critico] [importanza dell'uso della droga] [incidente del figlio]
[inizio carriera dopo matrimonio] [latitanza e necessità di lasciare gli affetti] [lavoro per lo Stato e reato contro il
patrimonio] [lunga storia di istituzionalizzazione] [malattia] [mancata comprensione delle proprie esigenze]
[momenti positivi e ricaduta nella droga/devianza] [morte di un congiunto] [necessità di trovare soldi]
[omosessualità] [perdita del lavoro] [pianificazione della rapina e difficoltà: omicidio] [porto d'armi] [precedenti
penali del padre] [problemi di relazione (ambiente, gruppo)] [scelta di lasciare il lavoro] [separazione dei genitori]
[tentazioni dell'età adulta] [tossicodipendenza] [tossicodipendenza del padre] [tradimento dal complice]
[trasferimento in Italia] [uccisione della madre] [uscita dal carcere e tentativi di trovare lavoro] [uscita dalla
comunità e disorientamento] [vicende negative destabilizzanti]
Quotation(s): 122
Analogamente, per quanto riguarda la famiglia “Percorso: fasi di contatto con la devianza”
(38 codici distribuiti in 157 quotations) si evidenziano i temi legati alle frequentazioni (fino ai
contatti con la criminalità organizzata) e i tentativi per evitare di commettere reati nonostante
le difficoltà economiche della vita quotidiana (finestra 7):
Finestra 7: Indicatori della famiglia di codici “Percorso: fasi di contatto con la devianza”
Code Family: percorso: fasi di contatto con la devianza
____________________________________________________________________
Codes (38):
[abbandono/orfanotrofio] [ambiente di violenza] [attività onesta e ricaduta nella
devianza] [attribuzione all'ambiente (cultura, periferia)] [attribuzione droga/psicofarmaci/alcool] [condanne
precedenti] [contesto come antecedente] [criminalità organizzata] [debolezza, uso della cocaina]
[disoccupazione ed espedienti] [droga come mezzo per la socialità] [droga come reazione] [il reato come
incidente critico] [importanza del contesto] [inevitabilità del percorso di devianza] [omosessualità] [porto
d'armi] [precedenti per piccoli reati] [primo reato a 14 anni] [primo reato a 15 anni] [primo reato a 17 anni] [primo
reato a 18 anni] [primo reato a 19 anni] [primo reato a 20 anni] [primo reato a 21 anni] [primo reato a 24 anni]
[primo reato a 28 anni] [primo reato a 29 anni] [primo reato a 35 anni] [primo reato a 43 anni] [primo reato a 7-8
anni] [problemi con la mafia] [rabbia verso le forme di controllo] [stile di vita violento] [tentazioni dell'età adulta]
[uscita dal carcere e tossicodipendenza della compagna] [vita burrascosa] [vita di strada e primi reati]
Quotation(s): 157
Gli incidenti critici (come descritto in precedenza da De Leo e Patrizi, 2002) si collocano
in un percorso evolutivo che include una serie di altri antecedenti storici. Nell’analisi delle
narrazioni che stiamo presentando abbiamo scelto di estrapolare da tale contesto quegli
antecedenti identificati come aventi valenza negativa e riconducibili specificamente
all’ambiente familiare (figura 18) e alla situazione più ampia (figura 19).
La famiglia è chiamata in causa in particolare rispetto agli aspetti di violenza che hanno
pervaso la giovinezza e l’infanzia dei protagonisti. Altri fattori che descrivono la dimensione
e su cui è necessario fare un cenno riguardano le relazioni che si strutturavano nei contesti
familiari: le narrazioni fanno riferimento, in questi casi, sia alla famiglia di origine (composta
da genitori e fratelli) sia alla famiglia acquisita (composta da moglie e figli); un ultimo aspetto
riguarda i fattori meno controllabili della vita in famiglia, in particolare le morti e le
condizioni di indigenza economica.
Il contesto più ampio (oltre la famiglia) diventa preponderante nella sua influenza sul
percorso di carriera sotto diversi punti di vista. Le principali agenzie chiamate in causa come
influenti nell’evoluzione della carriera deviante sono:
- le condizioni lavorative,
- i contatti con la criminalità organizzata,
86
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante -
il gruppo dei pari,
le istituzioni e la partecipazione politica.
Fig. 18: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento familiare”
Fig. 19: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso negativo con coinvolgimento del
contesto allargato”
87
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante La famiglia e il contesto allargato sono chiamati in causa anche nella loro valenza positiva
e supportante: le figg. 20 e 21 descrivono i percorsi concettuali implicati in questa
valutazione.
Fig. 20: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento familiare”
Evidenziamo comunque come i temi narrativi elicitati per queste descrizioni sono pochi e
concettualmente meno significativi rispetto a quelli visti nelle due figure prevedenti:
Fin qui per quanto riguarda gli aspetti descrittivi dei percorsi di carriera e di azioni
devianti. Dalle narrazioni tuttavia emergono altre dimensioni teoriche.
Fig. 21: Indicatori della famiglia di codici “Antecedenti storici di senso positivo con coinvolgimento del contesto
allargato”
Il concetto di responsabilizzazione emerge spesso nelle narrazioni dei detenuti che hanno
scelto di partecipare alla ricerca: si tratta di una rete di codici (figura 22) fra essi
concettualmente associati i cui collegamenti ruotano intorno alla “Funzione maturativa e
responsabilizzante del carcere”.
I principali elementi richiamati nelle narrazioni (alcuni di essi hanno frequenze molto
elevate93) fanno riferimento alle attività socializzative, ma alcune persone sottolineano la
valenza che le relazioni interpersonali assumono rispetto alla propria responsabilizzazione e
all’esito positivo del percorso di reinserimento.
Quello dell’esperienza detentiva come momento di crescita e cambiamento è un tema
narrativo che vede convergere le riflessioni di molti intervistati e la cui rete concettuale
include ampi riferimenti agli aspetti morali del reato, le preoccupazioni per i familiari
(soprattutto per i figli) che rimangono fuori dal carcere, la progettualità sulla vita fuori dal
carcere al termine della pensa da scontare.
Per quanto riguarda l’azione vera e propria, il reato che gli intervistati hanno scelto di
raccontare durante l’intervista, si può dire che le narrazioni hanno spesso fatto riferimento agli
93
Cioè sono collegati a numerose porzioni di testo rappresentate dal primo numero all’interno della parentesi vicino al nome
del codice.
88
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante aspetti cognitivi implicati. È necessario evidenziare come la componente cognitiva dell’azione
sia stata narrativamente riferita all’azione vera e propria e ai suoi sviluppi successivi, ma
quasi mai alle fasi precedenti.
Fig. 22: La rete concettuale della responsabilizzazione
Per quanto riguarda i fattori relativi all’azione narrata (figura 23), i codici emersi
dall’intero corpus di interviste fanno riferimento soprattutto alla pianificazione (scelta del
luogo del reato, dell’arma, della vittima, dei tempi, la stima del bottino e la costituzione di un
team con ruoli definiti94); nella stessa dimensione sono presenti anche aspetti metacognitivi:
l’idea che per fare un’accurata pianificazione sia necessaria molta esperienza e
specializzazione nel settore di attività, il contenimento delle emozioni e le soluzioni per
fronteggiare l’eventuale reazione della vittima. Un’importante aspetto cognitivo, fortemente
collegato alla pianificazione, è l’anticipazione delle conseguenze future dell’azione: si tratta
di un fattore al quale abbiamo dato in precedenza molta enfasi (cfr. cap. 1 § 2.1 sulla Teoria
dell’azione ed effetti comunicativi) e che richiama direttamente la previsione del “cosa
succede se…” con particolare riferimento agli eventuali imprevisti.
Un altro fattore che merita approfondimento (e sul quale, per questa ragione, torneremo
anche più avanti) il senso di “autoefficacia e di orgoglio” che emerge con forza in ben 24
estratti di testo e che mostra come tutte le azioni sfidanti e complesse, anche quelle
socialmente riprovevoli e penalmente sanzionabili, ingenerino nell’autore una soddisfazione
che viene descritta in tutti con enfasi anche a distanza di molto tempo da quando si sono
verificate.
Nella nostra esperienza di conduzione di queste interviste, è stata particolarmente
significativa la constatazione della vividezza della riattualizzazione nella realtà che taluni
eventi (anche temporalmente molto distanti) avevano per gli attori che ne erano stati
protagonisti: queste narrazioni diventavano ancora più articolate e dettagliate proprio quando
l’attore-narratore si cimentava sulla valutazione del Sé-in-situazione, soprattutto se l’azione
era andata a buon fine.
In molti casi, i rispondenti all’intervista hanno chiaramente ammesso di non attuare alcuna
forma di pianificazione. Come abbiamo riportato nella parte bassa della figura 23 (da destra
verso sinistra), in 18 passaggi narrativi gli intervistati fanno riferimento ad una
“Pianificazione preliminare rigorosa” che tuttavia in altri casi è in contraddizione con quanto
94
In particolare, i codici “Pianificazione collaborativa/ruoli” e “Identificazione del leader e importanza del gfuppo” fanno
emergere l’idea di un vero e proprio lavoro di squadra sottostante alle azioni: in questo caso, come è intuitivo, si tratta
narrazione di eventi-rapine.
89
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante riferito in altri estratti e da altri intervistati: l’altra faccia della medaglia è infatti una totale
assenza di pianificazione (13 quotations) o una pianificazione tutt’al più vaga (5 quotations).
Fig. 23: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi dell’azione”
In un solo caso, è stata descritta una pianificazione operata solo per reati più grossi e che
coinvolgono più di una persona: quello degli “Aspetti cognitivi dell’esecuzione dell’azione” è
un tema narrativo che fornisce un’adeguata veste empirica (e allo stesso tempo completa dal
punto di vista concettuale) ai modelli teorici di riferimento sugli aspetti cognitivi dell’azione
sociale. La teoria di von Cranach e Harré (1982), anche nelle recenti formulazioni di von
Cranach e Ochsenbein (1994), nel tentativo di articolare con maggiore specificità le
dimensioni teoriche, ha rischiato di perdere di vista l’azione come unità significativa di
comportamento (la sua intrinseca “molarità”): non erano mai state affrontate adeguatamente le
variabili cognitive relative alla pianificazione di un reato, alle scelte operate, all’anticipazione
delle conseguenze e dei possibili imprevisti, alla valutazione dei percorsi e delle vie di fuga,
alla cooperazione con i complici. L’analisi effettuta in questa sede risolve molti di questi vuoti
teorici.
Per quanto riguarda la descrizione degli aspetti cognitivi successivi allo svolgimento
dell’azione, la figura 24 evidenzia gli aspetti di valutazione dei percorsi d’azione attuati:
- emergono da una parte i temi narrativi della vittimizzazione e del senso di ingiustizia
subita, l’attribuzione di responsabilità alle vittime, l’attribuzione alla malattia mentale
come formula di giustificazione e assoluzione e soprattutto la motivazione reattiva e
difensiva del reato commesso;
- la stessa HU tuttavia include temi narrativi in cui la valutazione del percorso di
devianza si sposta verso una maggiore responsabilizzazione e ammissione di
colpevolezza: la consapevolezza degli errori, l’orgoglio per i traguardi raggiunti
rispetto al percorso di reinserimento sociale e di uscita dai circuiti della devianza, la
funzione maturativa e responsabilizzante della detenzione, le ipotesi e le previsioni di
scenari futuri.
Per quanto riguarda gli aspetti emotivi che accompagnano e seguono l’azione, la Network
view relativa a questi fattori (figura 25) evidenzia diversi elementi di interesse: in primo
90
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante luogo, si nota come (a fronte di 38 codici afferenti a questa Code family95) in 7 passaggi
narrativi gli intervistati ammettono di non aver provato alcuna emozione (parte alta della
figura 25).
Fig. 24: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti cognitivi successivi al reato”
Fig. 25: Indicatori della famiglia di codici “Aspetti emotivi contemporanei all’azione e successivi”
95
Per motivi grafici e di sintesi nella rete abbiamo scelto di rappresentare solo alcuni di essi.
91
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tutti i riferimenti alla descrizione di stati emotivi sono stati codificati con riferimento alla
loro valenza negativa o positiva:
- la parte della destra della figura 25 illustra i primi evidenziando in particolare come
tutte le emozioni di senso negativo siano narrativamente riferite al periodo successivo
alla commissione dell’azione e alla situazione detentiva (il pentimento, i sensi di
colpa, la rassegnazione, i sentimenti di perdita e di sconfitta, etc.),
- la parte sinistra, invece, illustra le emozioni positive che, come si nota, sono riferite
(tranne nel caso della “Solidarietà delle persone care” e un solo rispondente che
manifesta “Serenità per la situazione carceraria”) all’attuazione diretta delle azioni:
l’orgoglio per il compimento efficace dell’azione, il senso di autoefficacia, la
soddisfazione fino alla descrizione dei correlati fisiologici (“l’adrenalina” a cui ben 8
passaggi narrativi fanno riferimento).
Un ulteriore obiettivo di conoscenza era relativo all’articolazione narrativa dell’ “agency”:
si tratta di una nozione ampiamente e variamente utilizzata in psicologia. Il riferimento
principale è sicuramente la formulazione di “human agency”, proposta da A. Bandura (1986;
2001). Con tale concetto si intende la capacità, tipicamente umana, di agire nel mondo non
solo reattivamente ma attraverso la costruzione di attivazioni, di simbolizzazioni, di
anticipazioni96; ma si è inteso anche la costruzione narrativa di un attore intenzionalmente
orientato a riconoscersi come fonte delle proprie azioni (Bruner, 1997) fino alle più recenti
formulazioni a forte connotazione empirica negli studi sulle autobiografie di O’Connor (1995)
e di McAdams, Hoffman, Mansfield e Day (1996).
Nello studio che abbiamo condotto i temi narrativi riferibili all’agency sono stati
categorizzati secondo due accezioni (figura 26): la capacità d’azione (propriamente detta) e il
tema delle scelte che sono rese narrativamente nei termini della intenzione di percorrere linee
d’azione alternative (“lavoro vs. reato”, “devianza vs. attività legali”, “bene vs. male”), della
capacità di riemergere dalle difficoltà della vita quotidiana, della decisione consapevole e
intenzionale di perpetrare proprio quel reato in quel momento specifico, dell’imputazione
all’ignoranza e/o all’immaturità della causazione di scelte sbagliate. Nella figura 26 abbiamo
riportato alcune delle 16 porzioni di testo che riassumono le dimensioni appena descritte
(rispettivamente codificate come “agency” o come “scelte”): ogni estratto, secondo la
notazione di ATLAS.ti, riporta le coordinate del testo in cui si trova, la prima riga dell’estratto
(che solitamente identifica la quotation vera e propria) e l’intero segmento codificato (cioè,
considerato come tematicamente significativo in fase di codifica aperta o by list: cfr. § 5.2 in
questo capitolo).
I temi dell’agency e della scelta di percorsi d’azione specifici sono stati studiati nella
letteratura scientifica anche con riferimento al contesto detentivo (O’Connor, 1995): i risultati
relativi a questa dimensione narrativa tuttavia ampliano il panorama offerto dagli studi
precedenti in cui l’agentività era stata operazionalizzata con riferimento esclusivo alla
collocazione rispetto al sistema agente (interna o dislocata). La ricerca svolta ne chiarisce le
articolazioni narrative specifiche.
Un analogo percorso descrittivo è possibile per quanto riguarda i temi narrativi relativi
all’attribuzione interna di responsabilità: nella figura 27 abbiamo riportato alcune delle
quotations che illustrano la rappresentazione fornita dai rispondenti all’intervista sul tema
dell’assunzione delle responsabilità per i reati commessi.
96
Va detto per precisione e completezza che il concetto di “agency” ha un percorso decisamente più ampio di quello che
ci limitiamo a descrivere in questa sede: a partire dalle formulazione in ambito interazionista simbolico (Harré e Secord,
1972) fino alla già citata Teoria dell’azione (Harré e von Cranach, 1982) e alla psicologia discorsiva (Harré e Gillett, 1994).
92
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 26: Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi della capacità di agire
Tutti gli estratti narrativi sono stati ricondotti a tre codici (a loro volta compresi nella Code
family “Attribuzione interna di responsabilità”) che abbiamo indicato come:
- “immaturità (ignoranza o ingenuità) come cause della devianza”: è un codice che
comprende tutti quei passaggi narrativi in cui gli autori imputavano ai fattori indicati la
causa delle loro azioni; abbiamo scelto di riportare, a titolo esemplificativo, solo alcuni dei
21 estratti che caratterizzano questo fattore:
- “ammissione di colpevolezza”: comprende tutte le porzioni di testo in cui gli
intervistati (seppure non attribuendosi chiaramente la responsabilità) si descrivono
direttamente o indirettamente come artefici del proprio destino. Essi non chiamano in
causa fattori esterni e incontrollabili, piuttosto le loro ammissioni sono velatamente
caratterizzate da una sorta di rassegnazione e inevitabilità del percorso che essi stessi
hanno scelto di intraprendere;
“consapevolezza dei propri errori”: sono i passaggi narrativi maggiormente
caratterizzati dal senso di l’inevitabilità del percorso di devianza instaurato. Come è
evidente dagli esempi riportati nella figura 27, si tratta di estratti tipicamente riferiti all’uso
di sostanze stupefacenti che risultano la principale causa della commissione dei reati in
senso diretto e strumentale (per la necessità di ottenere rapidamente somme ingenti di
93
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante denaro) e indirettamente (come fonte di deterioramento delle condizioni psicofisiche e
della capacità di giudizio e valutazione). In questi casi, la responsabilità dei reati è dunque
indirettamente attribuita a Sé attraverso la mediazione delle droghe, l’uso delle quali
diventa la principale causa della commissione dei reati e vera ragione del rammarico
manifestato.
Fig. 27: Indicazione degli estratti di testo (quotations) per i temi dell’attribuzione interna di responsabilità
Le attribuzioni a cause esterne da sé, che pure sono ampiamente presenti nelle interviste
che abbiamo analizzato, sono riferibili a fonti chiaramente identificate.
94
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Per le attribuzioni esterne di responsabilità, la collocazione della causazione fuori da sé
viene attuata facendo ampio ricorso all’ironia sull’entità della pena da scontare e sulle colpe
delle istituzioni nella determinazione della scelta di commettere reati;
La figura 28 illustra l’articolazione interna di questa dimensione con riferimento ai
seguenti indicatori97:
- le droghe e/o gli psicofarmaci,
- la vittima,
- le agenzie di controllo sociale,
- le istituzioni,
- la subcultura della periferia (borgata),
- una generica attribuzione alla sfortuna,
- una persona chiaramente identificabile (es.: la cognata/convivente) o (più
genericamente) gli altri,
- la famiglia.
97
Per ciascun codice della rete grafica abbiamo riportato a titolo esemplificativo una sola quotation che fosse
semanticamente rappresentativa del codice indicato e, per suo tramite, della Code family “Attribuzione esterna”.
95
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 28: Indicazione degli estratti di testo per i temi dell’attribuzione esterna di responsabilità
96
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Per quanto riguarda gli altri elementi che sono emersi dalle narrazioni, abbiamo rilevato
una presenza di temi narrativi vicini ai meccanismi di disimpegno morale (Bandura, 1997;
1999) e alle tecniche di neutralizzazione della norma (Sykes e Matza, 1957).
Per quanto riguarda i primi - sebbene la loro presenza non sia adeguatamente
rappresentativa del modello e dell’articolazione proposti da Bandura - riteniamo utile
sintetizzarli con riferimento alle figg. 29, 30 e 31:
Figg. 29-30: Esemplificazione del tema narrativo della Minimizzazione del danno e dell’Etichettamento
eufemistico secondo il modello del Moral disengagement
Fig. 31: Esemplificazione del tema narrativo della Dislocazione della responsabilità secondo il modello del
Moral disengagement
Più articolato è il quadro che riguarda le Tecniche di neutralizzazione della norma per la
cui analisi abbiamo fatto riferimento alle più recenti riformulazioni e ampliamenti di Fritsche
(2002) e Minor (1981): nella codifica delle interviste è stata rilevata spesso la presenza di temi
narrativi riferibili al modello proposto da Sykes e Matza (1957).
Le codifiche, in questo caso, sono state effettuate in due fasi:
1.
2.
una codifica per temi (l’assegnazione del codice specifico),
successivamente un’aggregazione dei codici in Code families.
97
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tutte le dimensioni riscontrate sono rappresentate mediante Network view a partire dalla
Code family e per mezzo dei codici che la compongono98. Ciascuna rete riporta inoltre le
quotations (estratti di testo) da cui sono ottenuti i codici al fine di rendere chiaro il percorso
logico sottostante all’analisi dei materiali empirici.
La rappresentazione delle tecniche di neutralizzazione è ottenuta dai temi narrativi
(riportati nelle figure nelle prossime pagine) con i quali gli autori dei reati cercano di
giustificare l’azione o mitigare il peso delle attribuzioni negative:
- “Appeal to higher loyalties” (“Richiamo a ideali superiori”): figura 32,
- “Denial of responsability” (“Negazione della responsabilità”): figura 33,
- “Denial of victim” (“Attribuzione di colpa alla vittima”): figura 34
- “Condemnation of the condemners” (“Condanna dei giudici”): figura 35,
- “Defence of necessity” (“Difesa dello stato di necessità”): figura 36
- “Metaphor of the ledger” (“Richiamo all’esperienza passata”): figura 37,
- “Reference to sin of others”, (“Confronto vantaggioso”): figura 38,
Fig. 32: Articolazione della famiglia di codici “Appeal to higher loyalties”
98
Si veda a questo riguardo l’articolazione concetto-dimensioni-indicatori secondo il modello di Lazarsfeld (cap. 2)
98
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 33: Articolazione della famiglia di codici “Denial of responsability”
Fig. 34: Articolazione della famiglia di codici “Attribuzione di colpa alla vittima” (secondo l’ampliamento di
Fritsche, 2002)
99
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 35: Articolazione della famiglia di codici “Condemnation of the condemners”
100
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 36: Articolazione della famiglia di codici “Defence of necessity” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981)
Fig. 37: Articolazione della famiglia di codici “Metaphor of the ledger” (secondo l’ampliamento di Minor, 1981)
101
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 38: Articolazione della famiglia di codici “Confronto vantaggioso” (secondo l’ampliamento di Fritsche,
2002)
In due circostanze, la codifica operata ci ha fatto rilevare una sovrapposizione fra i
meccanismi banduriani e le tecniche di neutralizzazione, da una parte (si tratta
dell’Attribuzione di colpa alla vittima, “Denial of victim” nei termini di Sykes e Matza, 1957:
figura 36), e il modello di Fritsche (“Reference to sin of others”, il c.d. “Confronto
vantaggioso” per Bandura: figura 37).
Fin qui la descrizione in termini di dimensioni (code families) Æ indicatori (codici) Æ
estratti di testo (quotations) secondo i modelli teorici tradizionali di Bandura e Sykes-Matza.
La letteratura sull’argomento tuttavia ha evidenziato l’esistenza di ulteriori meccanismi di
disimpegno morale e neutralizzazione della norma. In particolare, i contributi di Fritsche
(2002) e Schahn (1993) hanno consentito di gettare nuova luce sui meccanismi implicati nel
resoconto e nella narrazione delle azioni devianti. Gli Autori hanno parlato specificamente di:
- assenza di intenzione di commettere il reato (“Reference to lack of intentionality”): figura
39,
- futura astensione dal comportamento sanzionato (“Promised reform”): figura 40,
- mancata assunzione delle responsabilità per gli eventi successivi collegati (“Refusal to
take responsability for the future”): figura 41,
- imputazione alla pigrizia (“Reference to laziness”): figura 42,
- ammissione di colpevolezza (“Acceptance of guilt”): figura 43.
102
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 39: Articolazione della famiglia di codici “Reference to lack of intentionality” (secondo l’ampliamento di
Fritsche, 2002)
Fig. 40: Articolazione della famiglia di codici “Promised reform” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)
103
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 41: Articolazione della famiglia di codici “Refusal to take responsability for the future” (secondo
l’ampliamento di Schahn, 1993)
Fig. 42: Articolazione della famiglia di codici “Reference to laziness” (secondo l’ampliamento di Schahn, 1993)
104
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 43: Articolazione della famiglia di codici “Acceptance of guilt” (secondo l’ampliamento di Fritsche, 2002)
105
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Rispetto a quanto descritto nelle pagine precedenti, un approfondimento merita
l’articolazione dei temi narrativi relativi al Posizionamento discorsivo (di cui abbiamo parlato
nel cap. 1 § 3.1). Si tratta, come evidenziato in precedenza, di un modello teorico che solo in
tempi recenti ha ricevuto la necessaria attenzione e ha avuto approfondimenti dal punto di
vista empirico: per questa ragione, non è ancora possibile definire un adeguato iter logico e
metodologico di articolazione in dimensioni e indicatori empiricamente rilevabili del concetto
di posizionamento.
Nella ricerca condotta e qui presentata abbiamo quindi preferito (diversamente da quanto
fatto rispetto ai temi narrativi descritti nelle sezioni precedenti) operare una codifica a un
livello di astrazione maggiore (le aree principali che definiscono il posizionamento nei termini
di collocazione nel sistema di coordinate definito dall’ordine morale, l’ordine sociale, l’ordine
spaziale e quello temporale: Davies e Harré, 1990; Harré e van Langenhove, 1992): alla
lettura dei testi ha fatto seguito una codifica in termini di specifiche implicazioni discorsive
rispetto ai quattro livelli di collocazione.
Nelle sezioni seguenti vengono riportati l’output dei codici categorizzati per ogni Code
family. Abbiamo scelto di distinguere fra due dimensioni alternative ma interrelate:
- il posizionamento di Sé vs. il posizionamento di altri,
- la connotazione su un versante positivo vs. la connotazione su un versante negativo.
In particolare, per quanto riguarda il Posizionamento discorsivo di Sé nell’ordine morale
secondo un’accezione negativa (Finestra 8), sono emersi 38 estratti di testo complessivi
riferibili ai temi della scelta di dedicarsi alle attività criminali, della deresponsabilizzazione e
della costruzione discorsiva del disimpegno, del pentimento.
Finestra 8: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del Sé con connotazione negativa
Code Family: Posizionamento discorsivo del Sè nell'ordine morale (versante negativo)
_____________________________________________________________________
Codes (10):
[deresponsabilizzazione] [estraneazione] [minimizzazione] [poca voglia di lavorare] [rapine
= lavoro normale] [ridimensionamento della propria posizione] [scelta consapevole della devianza] [scelta
delle rapine] [tentativo di suicidio] ["io ho sempre rubato"]
Quotation(s): 38
Sul versante della connotazione positiva della stessa dimensione (il Sé nell’ordine morale)
gli intervistati si sono espressi in maniera più ampia con 78 quotations complessive riferite a
temi narrativi del senso di autoefficacia derivante dal successo delle imprese (inclusa la
definizione di Sé come “professionista del crimine”), ma anche del senso di responsabilità e
dell’autocolpevolizzazione, del rispetto per le vittime (non uso delle armi da fuoco e nessuna
minaccia all’incolumità fisica) e per famiglia (che potrebbe subire gli effetti negativi delle
attribuzioni negative altrui), del disimpegno rispetto alle ragioni della scelta di commettere i
crimini. L’output dei risultati è riportato nella finestra 9:
Finestra 9: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento morale del Sé con connotazione positiva
Code Family: Posizionamento discorsivo del Sè nell'ordine morale (versante positivo)
______________________________________________________________________
Codes (15):
[autoefficacia
e
soddisfazione]
["professionista"
affidabile
e
attento]
[autocolpevolizzazione/responsabilità] [brava persona] [criminale per necessità] [dialogo] [estraneità ai fatti]
[famiglia e vita regolare] [furbizia] [gratitudine/riconoscenza] [maturazione e responsabilità] [non
coinvolgomento della famiglia] [non collusione con la mafia] [non far male a nessuno] [padre affettuoso e
attento]
Quotation(s): 78
Il posizionamento degli altri in termini negativi (sempre secondo le coordinate dell’ordine
morale: finestra 10) è manifestato secondo una serie di strategie discorsive implicanti una
106
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante causazione nella direzione altri-Sé: la colpevolizzazione delle istituzioni (tema narrativo già
trattato nella sezione precedente), delle vittime e dei complici, le reazioni violente dei
familiari (quelle delle forze dell’ordine), l’influenza del contesto sono tutte che lasciano
intendere un’influenza esterna sul comportamento deviante messo in atto dall’attore.
Finestra 10: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine morale degli altri con
connotazione negativa
Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versante negativo)
______________________________________________________________________
Codes (20):
[nessun supporto dalla famiglia] [abbandono dalla compagnia] [colpevolezza dei complici]
[colpevolizzazione delle istituzioni] [comportamenti deleteri per sè] [deresponsabilizzazione degli assistenti
sociali] [famiglia sfasciata] [fratelli devianti] [fratello traditore] [Governo] [libertà sessuale] [moglie prudente
(abbandono)] [moglie tossicodipendente] [padre cattivo e violento] [polizia violenta] [poliziotto in malafede]
[reazione negativa della famiglia] [reazione violenta della famiglia] [sfiducia] [vittima disonesta]
Quotation(s): 66
Analogamente, la direzione delle influenze per quanto riguarda la connotazione positiva
del Posizionamento degli altri nell’ordine morale (finestra 11) è collocata dall’esterno (la
famiglia, gli estranei supportanti, la vittima collaborativa) verso il Sé. Purtroppo la bassa
frequenza di porzioni di testo riferibili a questa dimensione non ci consente di estrarre altri
risultati.
È da notare infatti la forte differenza fra il numero totale di quotations riferite all’influenza
negativa degli altri verso il Sé (finestra 10) e quella riferita alle influenze positive (finestra
11).
Finestra 11: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine morale degli altri con
connotazione positiva
Code Family: Posizionamento nell'ordine morale ALTRI (versione positivo)
______________________________________________________________________
Codes (8):
[sostegno dagli estranei] [cittadini onesti] [famiglia integerrima] [famiglia meravigliosa]
[fratelli non devianti] [importanza delle relazioni affettive/interpersonali] [vicinanza della famiglia] [vittima
'buona']
Quotation(s): 18
Questo primo set di risultati riguardanti le caratterizzazioni narrative del Sé e degli altri
secondo accezioni negative e positive confermano quando già evidenziato dalla letteratura
sull’attribuzione causale (De Grada e Mannetti, 1988; Felson e Ribner, 1981): l’enfasi (che
tutto sommato possiamo interpretare come equivalente) che i rispondenti alla nostra intervista
pongono sulla caratterizzazione in termini moralmente positivi del Sé (78 quotations: finestra
9) e in termini negativi degli altri (66 quotations: finestra 10) merita ulteriori approfondimenti
con ricerche strutturate e con una metodologica rigorosa.
Le collocazioni nell’ordine sociale appaiono meno approfondite in termini narrativi. Come
abbiamo descritto nel cap. 1 (§ 3.1), il livello sociale della costruzione narrativa di Sé e degli
altri è relativo alle caratterizzazioni di tipo sociologico-anagrafico, i ruoli storicamente agiti e
vissuti. I due codici caratterizzanti questa dimensione sono illustrati nella figura 44
unitamente agli estratti di testo che li esemplificano:
107
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 44: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento nell’ordine sociale degli altri
Analogamente, gli indicatori narrativi del Sé nell’ordine sociale (sia con connotazione
positiva che negativa) mostrano una scarsa salienza rispetto ai temi della collocazione al
livello morale (finestra 12). Il versante positivo evidenzia i temi della “normalità della vita
quotidiana” e delle aspirazioni per un futuro positivo; in altre narrazioni, spicca una
caratterizzazione in senso negativo che coinvolge la definizione dell’ambiente di vita del
soggetto (la povertà e lo stato di necessità, i tentativi di emergere anche con atteggiamenti
aggressivi, talvolta violenti):
Finestra 12: Indicatori narrativi della costruzione del Posizionamento sociale del Sé
Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del Sé (versante positivo)
______________________________________________________________________
Codes (3):
Quotation(s): 9
[famiglia benestante] [famiglia e vita regolare] [tentativo di essere un buon padre]
Code Family: Posizionamento nell'ordine sociale del Sè (versante negativo)
______________________________________________________________________
Codes (7):
[infanzia brutta] [lavoro per motorino] [rabbia] ["è mio e me lo prendo"] [ambiente
deviante] [bisogno di potere] [famiglia povera]
Quotation(s): 12
L’ultimo aspetto del Posizionamento discorsivo riguarda la collocazione nel sistema di
coordinate spazio-temporali. Si tratta di una dimensione che evidenzia tutta la varietà delle
caratterizzazioni possibili: i rispondenti-narratori si sono orientati in maniera diversa fra loro
rappresentando un’ampia gamma delle localizzazioni in senso temporale e/o spaziale.
In questo senso, i “luoghi” citati in cui vengono ambientate le storie narrate sono (se
consideriamo il livello spaziale della narrazione) quelli in cui i reati si sono svolti
(rappresentati mediante i codici nella parte sinistra della figura 43). È utile notare che tutte le
porzioni di testo rappresentate da questi codici sono 10: senza alcuna pretesa di
dimostrazione, possiamo tuttavia constatare la poca salienza attribuita alle caratterizzazioni di
tipo spaziale.
In maniera simile, i temi narrativi afferenti al livello temporale (parte destra della figura
45) consentono di evincere una localizzazione delle origini dell’azione narrata ora in tempi
108
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante remoti (“nell’infanzia”, “nella giovinezza”, etc.), ora in un momento definito (“ad Agosto”,
“lunedì”, “il giorno delle pensioni”).
Fig. 45: Indicatori narrativi della collocazione nei contesti spazio-temporali
È totalmente assente una riattualizzazione della narrazione nel qui e ora in cui essa si
svolge, come se gli eventi del passato - seppure vividamente collocati nel loro contesto storico
- fossero localmente validi senza una necessità di confronto o di rimessa in discussione
rispetto alla situazione presente.
L’interpretazione complessiva di queste evidenze riconduce al contesto specifico in cui le
narrazioni sono state ottenute: si è trattato di resoconti inseriti in colloqui condotti in carcere
con individui che erano imputati di reati vari (rapine, omicidio, detenzione, spaccio e/o
traffico di sostanze stupefacenti, truffa e ricettazione). In tale situazione, è possibile che i
meccanismi implicati nel render conto (direttamente o indirettamente) delle ragioni dei reati
abbiano fatto preferire agli attori-narratori una collocazione di Sé in un “contesto di
giustificazione” (da cui l’enfasi sui meccanismi di disimpegno morale e di neutralizzazione
della norma) e di messa in discussione dei criteri di definizione degli obblighi e dei doveri, nei
sistemi culturali e locali che includono attribuzioni, credenze, valori.
6.2
Le strutture narrative: presenza delle dimensioni
Per quanto riguarda la presenza, in tutti i testi analizzati, di estratti riconducibili al modello
strutturale preso in esame (l’Evaluation model di W. Labov: cfr. cap. 3 § 2.4) possiamo dire
che si tratta di una valutazione del tutto introduttiva poiché sulle categorie di cui trattiamo (le
dimensioni di tipo strutturale, appunto) sarà opportuno effettuare delle analisi più specifiche
mediante gli operatori di prossimità.
In via preliminare, possiamo dunque riassumere le informazioni facendo riferimento alla
tabella V.
Come è evidente dai totali di ciascuna dimensione strutturale, la componente valutativa
(Evaluation) è la più rappresentata nelle 34 narrazioni (83 estratti di testi): le narrazioni n. 22
e n. 1 sono quelle nelle quali essa si presenta con maggiore frequenza (rispettivamente 11 e 8
volte).
109
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tab. V: Riepilogo della presenza delle dimensioni strutturali in tutti i documenti primari
L’Abstract (che come riferito nel cap. 3 § 2.4 è una componente opzionale che ha la
funzione di introdurre e riassumere contenuti presenti nell’intera narrazione) si presenta in 32
quotations. L’intervistato n. 25 è quello che produce un percorso narrativo con un maggior
numero di riassunti introduttivi: è come se egli, nel corso della stessa intervista, sviluppasse
una serie di micronarrazioni, ciascuna in sé stessa completa e conclusa (comprendente cioè
tutte le dimensioni prevalenti che, in termini strutturali, definiscono una narrazione) con una
forte caratterizzazione in senso valutativo (5 quotations, peraltro comuni con l’intervistato n.
2 ma decisamente inferiori a quelle dell’intervistato n. 22).
La dimensione meno frequente nell’intero corpus dei dati è quella relativa all’illustrazione
degli esiti dei percorsi d’azione e degli eventi (Result): si tratta di una evidenza che può
sorprendere se valutata in assoluto. A nostro avviso, questo risultato è da ricondurre alla
natura degli eventi narrati: si tratta di catene di eventi le cui conclusioni sono spesso negative
per il protagonista dell’azione stessa (l’arresto) e, per certi aspetti, anche autoevidenti; fra gli
eventi critici su cui gli intervistati ritenevano utile produrre una narrazione e intorno a cui
imperniavano gli altri fatti significativi, gli intervistati hanno spesso scelto il reato che li ha
portati all’attuale detenzione: in questo senso, il “risultato” - la conclusione - dell’azione è
ovviamente l’arresto e quindi la situazione detentiva nella quale si trovano al momento
dell’intervista.
In diverse interviste (le nn. 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 18, 32) non è stato possibile
rilevare alcuna componente strutturale: si tratta di testi molto destrutturati nei quali i narratori
appaiono poco propensi a sviluppare narrazioni organiche e tematicamente integrate. Esse
sono state tuttavia particolarmente utili per quanto riguarda l’analisi dei contenuti di cui
abbiamo trattato nei paragrafi precedenti. Riprenderemo più avanti questo discorso cercando
di capire quali sono le implicazioni dell’assenza di strutture narrative in alcuni testi.
6.2.1
Le strutture narrative: verifica delle relazioni e del modello
Per quanto riguarda la verifica delle relazioni fra le dimensioni strutturali delle narrazioni
(con riferimento al modello di Labov) ci siamo avvalsi delle potenzialità della funzione Query
tool di ATLAS.ti.
La prima relazione riguarda la sequenza iniziale del percorso narrativo “Abstract Æ
Setting/Orientation”: secondo il modello di Labov (cfr. tab. I nel cap. 3), le due dimensioni
strutturali comprendono rispettivamente una sezione opzionale che riassume i tratti salienti
dell’evento e la descrizione delle informazioni di contesto (l’inquadramento all’interno del
quale è collocata la scena narrata): attori, luoghi, situazione. La verifica di tale relazione
implica che il ricercatore debba “testare”, attraverso il Query tool, diverse possibili relazioni
strutturali.
Ad esempio, nella figura 46 abbiamo indicato la variazione dei risultati sulla relazione di
precedenza (“precedes”) fra “Abstract” e “Setting/Orientation” (cioè: i temi riconducibili alla
110
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante dimensione “Abstract” precedono quelle relative alla dimensione “Setting/Orientation”?)99 a
seconda della distanza in linee di testo con cui si presentano nelle narrazioni.
Fig. 46: Sequenza di verifica delle relazioni fra “Abstract” e “Setting/Orientation” per diverse distanze in linee
di testo
La prima schermata della figura 46 mostra che ponendo fra i codici “Abstract” e
“Setting/Orientation” una sola riga di testo ATLAS.ti estrae 4 quotations evidenziate nella
parte entro l’ovale (esse sono elencate anche nella parte in basso a destra nell’area dei
risultati): in altri termini, si può dire che solo in 4 estratti narrativi Abstract precede
Setting/Orientation.
Se cambiamo l’impostazione di default della distanza fino a 5 righe i risultati mostrano 5
quotations complessive; se portiamo a 10 le righe di testo (parte bassa della figura 46) le
porzioni estratte diventano 11 ma è chiaro che, in termini concettuali, si tratta di una
forzatura: non ci sembra possibile infatti considerare strutturalmente collegate due sequenze
narrative che distano 10 righe di testo. Per questa ragione logica, abbiamo illustrato questa
prima verifica in tutta la sua complessità, ma nelle pagine successive ci limiteremo a
rappresentare in maniera più sintetica solo le evidenze che sono logicamente plausibili.
E infatti, proprio per gli stessi codici (“Abstract” e “Setting/Orientation”) sono possibili
altre relazioni strutturali: una verifica completa comporta la necessità di mettere alla prova
ogni eventuale relazione fra i codici indicati utilizzando tutti gli operatori di prossimità
disponili in ATLAS.ti (che abbiamo descritto nella figura 13 nelle pagine precedenti).
Nel caso specifico, come mostra la tabella 4, è necessario confrontare il risultato di diverse
operazioni di ricerca100.
99
In questa fase, tutte le possibili relazioni e le operazioni con Query tool sono condotte su tutte le interviste.
Per semplificare l’output dei risultati abbiamo riportato tutti i risultati in numero di quotations in un’unica tabella.
100
111
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tab. 4: Sintesi delle possibili relazioni fra i codici “Abstract” e “Setting/Orientation” nell’intera HU
Dimensione
strutturale_1
Dimensione
Operatore
strutturale_2
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di
testo
Risultato_3
/righe di
testo
4 quotations
/1 riga
5 quotations
/5 righe
11 quotations
/10 righe
ABSTRACT (32)101
precedes
SETTING (48)
ABSTRACT (32)
follows
SETTING (48)
1 quotation102
ABSTRACT (32)
overlaps
SETTING (48)
1 quotation
ABSTRACT (32)
overlapped
by
SETTING (48)
15 quotations
ABSTRACT (32)
within
SETTING (48)
4 quotations
ABSTRACT (32)
encloses
SETTING (48)
1 quotations
L’esito di questa prima verifica delle relazioni fra i temi narrativi riconducibili
all’“Abstract” e quelli relativi al “Setting/Orientation” mostra che la relazione prevalente è
quella in cui essi sono sovrapposti (“overlapping”): più esattamente, in 15 quotations (sulle
32 teoriche possibili)103 la dimensione della descrizione del contesto inizia durante la
narrazione della sintesi dell’intero evento come è esemplificato nell’estratto n. 1 in cui viene
narrato un omicidio:
Estratto n. 1
Domanda:
Risposta:
Potrebbe raccontarmi il reato che ha commesso?
È successo che una settimana prima che succedesse ho pensato di farlo
e pensando alla fine della settimana ero molto deciso,
poi mi sono posto il problema di come farlo.
Ho pensato alla pistola ma poi ho avuto difficoltà nel reperirla, ho pensato al coltello,
ma poi ho scartato anche questo, alla fine un cavo d'acciaio.
Ho aspettato che mia madre tornasse dal lavoro e le ho messo il cavo intorno al collo
e l'ho praticamente uccisa guardandola negli occhi
e questa cosa ha fatto molto scalpore al processo, poi ho portato il corpo in un'altra
stanza e ho aspettato che mio padre tornasse,
mi sono seduto su una sedia all'ingresso, sì all'ingresso e ho aspettato, quando è
entrato ho fatto la stessa cosa anche a lui.
Poi ho spostato il corpo nella stessa stanza di prima e sono uscito
e sono andato a farmi una pera.
Sono tornato la mattina per occultare i corpi e ho abbassato i sedili della macchina e
l'ho messi lì, si vedevano ma non mi vide nessuno.
In maniera analoga è stata testata la relazione strutturale fra la dimensione narrativa
“Setting/Orientation” e quella in cui viene descritto l’evento precipitante che ha condotto al
101
Il numero fra parentesi indica il numero complessivo di quotations relative a quello specifico codice.
Nel caso specifico (e nelle tabelle successive) tutte le relazioni strutturali oltre “precedes” non sono logicamente passibili
di differenze in dipendenza dalla distanza in linee di testo fra i codici.
103
Il concetto di “quotation teoriche”, fa riferimento all’eventualità che tutte le citazioni del termine meno rappresentato (32
citazioni per il codice “Abstract”) possano essere tutte teoricamente in relazione a quelle del termine più rappresentato
(Setting = 48). Nel caso specifico, il codice “Abstract” ha, nell’intera HU, 32 quotations delle quali 15 sono comuni con
“Setting”.
102
112
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante compimento del reato (“Complication”). La sintesi dei risultati, nei due sensi logicamente
possibili (“Setting” Æ “Complication” oppure “Complication” Æ “Setting”), è riportata nelle
tabelle 5 e 6104:
Tab. 5: Sintesi delle possibili relazioni “Setting/Orientation” Æ “Complication” nell’intera HU
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strutturale_1
Operatore
Dimensione
strutturale_2
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di testo
SETTING (48)
precedes
COMPLICATION
(46)
6 quotations
/1 riga
11 quotations
/5 righe
SETTING (48)
follows
COMPLICATION
(46)
3 quotations
/1 riga
6 quotations
/5 righe
SETTING (48)
overlaps
COMPLICATION
(46)
1 quotation
SETTING (48)
overlapped
by
COMPLICATION
(46)
6 quotations
SETTING (48)
within
COMPLICATION
(46)
4 quotations
SETTING (48)
encloses
COMPLICATION
(46)
8 quotations
Complessivamente i risultati sono di difficile interpretazione: l’elemento più certo è che in
nessun caso (zero quotations estratte) i codici riferibili all’evento critico (“Complication”)
precedono quelli della descrizione del contesto (“Setting/Orientation”); in tutti i casi,
l’intensità della relazione è molto bassa: 11 è il numero di quotations più alto che si ritrova
“Complications” follow “Setting” con distanza di 5 righe che è speculare a “Setting”
precedes “Complication” con distanza di 5 righe. In questi casi, tuttavia, la proporzione fra il
numero di quotations estratte (11) e le quotations teoriche (46) non consente di interpretare il
risultato come particolarmente interessante: è come se dicessimo che in soli 11 passaggi di
tutte le narrazioni gli intervistati descrivono il contesto specifico in cui il reato ha avuto luogo
prima di aver spiegato il perché l’hanno effettivamente messo in atto. È possibile dunque che
le categorie narrative riferite alle due dimensioni siano sostanzialmente indipendenti e diffuse
per tutta l’estensione delle interviste senza che sia possibile definire univocamente una
relazione specifica.
Tab. 6: Sintesi delle possibili relazioni “Complication” Æ “Setting/Orientation” nell’intera HU
Dimensione
strutturale_1
Operatore
Dimensione
strutturale_2
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di testo
COMPLICATION
(46)
precedes
SETTING (48)
0 quotations
/1 riga
6 quotations
/5 righe
COMPLICATION
(46)
follows
SETTING (48)
6 quotations
/1 riga
11 quotations
/5 righe
COMPLICATION
(46)
overlaps
SETTING (48)
6 quotations
COMPLICATION
(46)
overlapped by
SETTING (48)
1 quotation
104
D’ora in poi, tralasceremo di riportare i passaggi tecnici esemplificati dalle schermate di ATLAS.ti, ritenendo che sia
ormai chiara al lettore la logica sottostante alle procedure eseguite.
113
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante COMPLICATION
(46)
within
SETTING (48)
4 quotations
COMPLICATION
(46)
encloses
SETTING (48)
8 quotations
Nel momento in cui entra nel gioco delle relazioni fra dimensioni narrative quella da cui il
modello di Labov prende il nome, l’Evaluation, i tentativi di scoprire la struttura intrinseca
delle narrazioni sulle azioni devianti diventano più complessi, ma - allo stesso tempo - i
risultati più evidenti.
Seguendo l’approccio esplorativo che abbiamo proposto nelle ultime pagine, infatti, è utile
proseguire attraverso confronti fra le dimensioni a due a due. In questo modo, si può dedurre,
dall’interpretazione degli esiti di ogni sequenza di confronti, una struttura comune in tutta
l’HU.
La tabella 7 mostra i diversi pattern di co-occorrenze. La dimensione “Evaluation” risulta
essere fortemente interrelata sia alla descrizione degli eventi critici (“Complication”) - senza
tuttavia una netta prevalenza in termini di precedenza o sequenza - sia, in termini
qualitativamente e quantitativamente ancora più importanti, con la definizione del contesto in
cui l’azione ha avuto luogo (“Setting/Orientation”).
Tab. 7: Sintesi delle possibili relazioni fra “Evaluation” e le altre dimensioni strutturali nell’intera HU
Dimensione
strutturale_1
Operatore
Dimensione
strutturale_2
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di testo
COMPLICATION (46)
precedes
EVALUATION (83)
8 quotations
/ 1 riga
14 quotations
/ 5 righe
COMPLICATION (46)
follows
EVALUATION (83)
9 quotations
/ 1 riga
17 quotations
/ 5 righe
COMPLICATION (46)
within
EVALUATION (83)
4 quotations
COMPLICATION (46)
encloses
EVALUATION (83)
4 quotations
COMPLICATION (46)
overlapped by
EVALUATION (83)
8 quotations
COMPLICATION (46)
overlaps
EVALUATION (83)
5 quotations
EVALUATION (83)
precedes
COMPLICATION (46)
9 quotations
/ 1 riga
14 quotations
/ 5 righe
EVALUATION (83)
follows
COMPLICATION (46)
8 quotations
/ 1 riga
17 quotations
/ 5 righe
EVALUATION (83)
within
COMPLICATION (46)
5 quotations
EVALUATION (83)
encloses
COMPLICATION (46)
4 quotations
EVALUATION (83)
overlapped by
COMPLICATION (46)
5 quotations
EVALUATION (83)
overlaps
COMPLICATION (46)
8 quotations
EVALUATION (83)
precedes
ABSTRACT (32)
114
1 quotation
/ 1 riga
4 quotations
/ 5 righe
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 3 quotations
/ 1 riga
9 quotations
/ 5 righe
EVALUATION (83)
follows
ABSTRACT (32)
EVALUATION (83)
within
ABSTRACT (32)
1 quotation
EVALUATION (83)
encloses
ABSTRACT (32)
1 quotation
EVALUATION (83)
overlapped by
ABSTRACT (32)
0 quotations
EVALUATION (83)
overlaps
ABSTRACT (32)
2 quotations
SETTING (48)
precedes
EVALUATION (83)
11 quotations
/1 riga
20 quotations
/5 righe
SETTING (48)
follows
EVALUATION (83)
12 quotations
/1 riga
16 quotations
/5 righe
SETTING (48)
overlaps
EVALUATION (83)
4 quotations
SETTING (48)
overlapped by
EVALUATION (83)
13 quotations
SETTING (48)
within
EVALUATION (83)
1 quotation
SETTING (48)
encloses
EVALUATION (83)
5 quotations
EVALUATION (83)
precedes
SETTING (48)
12 quotations
/1 riga
16 quotations
/5 righe
EVALUATION (83)
follows
SETTING (48)
11 quotations
/1 riga
21 quotations
/5 righe
EVALUATION (83)
overlaps
SETTING (48)
13 quotations
EVALUATION (83)
overlapped by
SETTING (48)
4 quotations
EVALUATION (83)
within
SETTING (48)
6 quotation
EVALUATION (83)
encloses
SETTING (48)
1 quotation
In entrambi i casi (“Complication” overlapped by “Evaluation”, “Setting” overlapped by
“Evaluation” e – naturalmente - nelle relazioni a loro speculari), è evidente una forte cooccorrenza in termini di sovrapposizione: riteniamo questa evidenza particolarmente degna di
nota e densa di implicazioni: il fatto che le dimensioni di valutazione vera e propria degli
eventi siano così concatenati con gli altri temi strutturali e strutturanti delle narrazioni
costituisce una implicita conferma dell’Evaluation model anche in contesti di costruzione
narrativa non consueti per l’applicazione di tale modello quale quello del quale ci stiamo
occupando.
In questo modo, viene confermata anche l’intuizione di Bruner (1990, trad. it. 1992, p.
117) secondo il quale «gli episodi narrativi che compongono la storia della vita hanno una
struttura tipicamente laboviana».
A sostegno della bontà del modello, c’è l’evidenza che i risultati delle co-occorrenze fra
“Evaluation” e “Abstract” non sono particolarmente significativi: molto bassa la quantità di
estratti di testo che collegano le due dimensioni e, conseguentemente, altrettanto trascurabile
la qualità di tali associazioni. A considerare questa parte dei risultati, la relazione è destinata a
115
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante essere trascurabile: tuttavia, come abbiamo avuto modo di verificare variando la distanza in
righe di testo fra “Evaluation” e “Abstract”, è intuibile che all’interno delle stesse narrazioni
(almeno di quelle più estese) una nuova sequenza narrativa inizi alla conclusione della
precedente. Si tratta probabilmente di quelle sequenze narrative che abbiamo identificato
come momenti di passaggio fra la fine di una narrativa principale e l’esordio di un’altra
all’interno della stessa narrazione: all’interno di sequenze discorsive molto estese (come
quelle che abbiamo analizzato), infatti, è stato possibile rilevare una “circolarità strutturale”
per cui al termine della narrazione di un serie di eventi di per sé conclusi (chiaramente
circoscrivibili nei confini di apertura e chiusura) la narrazione prosegue con una nuova
sequenza a partire dalla dimensione strutturalmente deputata all’esordio di una nuova serie di
eventi (l’Abstract). Una chiara esemplificazione di questo meccanismo di “circolarità
strutturale” è presente nell’estratto n. 2:
Estratto n. 2:
Risposta:
Domanda:
Risposta:
Nel frattempo ho fatto quello che ho potuto del mio... diciamo... secondo lavoro..., per
cui dalle 18 alle 22 (se va bene) faccio quello che devo fare: comprare e vendere
eroina e cocaina.
In realtà torno a casa verso le tre del mattino: ho solo corso... non ho tempo per me,
lo scooter segna 70, 80, 100 km al giorno,
con la macchina ne faccio altri 500 a settimana. Poi ci sono i problemi, clienti da
trovare, merci da assaggiare... questo significa che torni alle 7 di notte:
non ho mangiato, non ho avuto tempo per me, non ho avuto tempo per la persona a
cui voglio bene, che mi ha preparato la cena, che sperava che tornassi alle 22... che
ha più bisogno di me di quanto io ne ho di lei...
dalle tre alle otto è il tempo per me e per lei...
però sotto il mattone c'è qualche soldo in più.
Tutto questo con l'idea di realizzare un sogno...
Allora la situazione è la seguente... la famiglia nessun appoggio... a lei non piace...
come non è piaciuta a nessuna ragazza.
Lo stipendio migliore offertomi sono 1000 euro al mese, appena sufficienti per
camparci...
per cui razionalmente non ho fatto altro che continuare sulla strada che mi è stata
indicata chiaramente dai tanti colloqui fatti,
o dalle tante possibilità offertemi...
il sogno è prendere lei è andare a Srinagar, nel Kashmir (fra Cina, Afghanistan e
India): tre-quattro secoli fa gli Inglesi passavano dal Kashmir per andare in India...
gli abitanti del luogo permisero loro di passare ma non di costruire nulla sulla terra:
gli Inglesi, furbissimi, costruirono le case sull'acqua, le boohouse;
portare lì lei, la bambina (o maschietto) che deve nascere... e stare lì tranquillo...
con l'affitto dell'appartamento di Roma... stare lì in quel posto lontano.
E' un posto così buono dove il reato più grave che succede è il furto con destrezza.
...sogno?
obiettivo. poi piano piano...
Nell’esempio riportato è assente il codice “Result” che, nel modello di Labov, identifica il
tema narrativo relativo alla risoluzione dell’evento problematico. Si tratta di un’evidenza
abbastanza condivisa nell’intero corpus dei testi che abbiamo analizzato: nonostante il codice
“Result” si presenti complessivamente 21 volte, si tratta di sequenze narrative che non hanno
particolari forme di relazione con gli altri codici. La tabella 8 mostra le specifiche cooccorrenze strutturali fra “Result” e “Evaluation”: dal punto di vista logico, la narrazione
della risoluzione dell’evento dovrebbe seguire una sua messa in discussione e valutazione ma
nella realtà dei testi che abbiamo analizzato non è affatto così.
La ragione di questo risultato che può apparire insolito (cioè, che le sequenze di eventi
narrati non abbiano una sezione specificamente dedicata alla conclusione, alla narrazione
116
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante della risoluzione dell’evento) è spiegabile, a nostro avviso, valorizzando il contesto di
elicitazione delle narrazioni: tutte le interviste sono state condotte in carcere: questa
definizione di contesto è probabilmente sufficiente a “illustrare” l’esito (chiaramente
negativo) dell’evento narrato.
Tab. 8: Sintesi delle possibili relazioni fra “Result” e “Evaluation” nell’intera HU
Dimensione
strutturale_1
Operatore
Dimensione
strutturale_2
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di testo
RESULT (21)
precedes
EVALUATION (83)
4 quotations
/1 riga
9 quotations
/5 righe
RESULT (21)
follows
EVALUATION (83)
4 quotations
/1 riga
8 quotations
/5 righe
RESULT (21)
overlaps
EVALUATION (83)
3 quotations
RESULT (21)
overlapped by
EVALUATION (83)
0 quotations
RESULT (21)
within
EVALUATION (83)
0 quotations
RESULT (21)
encloses
EVALUATION (83)
1 quotations
É come se - raccontando storie di reati - la costruzione narrativa fosse articolata in tutte le
sue parti tranne che nella sezione conclusiva, quella che in qualunque storia servirebbe al
narratore per chiarire al lettore/ascoltatore i reali termini della risoluzione degli eventi. In altre
parole, il contesto favorirebbe un’implicita e condivisa attribuzione di significati alla storia
narrata (il reato) come un evento che ha avuto un esito negativo: l’arresto. L’ammissione del
fallimento dell’azione, da una parte, e l’ovvietà della situazione (l’intervista si svolge in
carcere), dall’altra, rende superfluo introdurre il tema narrativo della risoluzione dell’evento:
esso è già evidente e di facile interpretazione.
L’ultimo elemento strutturale di cui dobbiamo parlare è la “Coda”: si tratta del codice
(opzionale) che costituisce la parte finale di una sezione narrativa.
Anche la “Coda”, come il “Result”, ha un’incidenza tutto sommato bassa: 40 quotations
delle quali pochissime sono co-occorrenti con altri codici di dimensioni strutturali. Nella
tabella 9 abbiamo riportato i risultati che il Query tool ha fornito sulla co-occorrenza
generica105 (il tasto della funzione è l’ultimo in basso a sinistra nella figura 13) fra “Coda” e
tutti gli altri codici strutturali:
Tab. 9: Sintesi delle co-occorrenze fra “Coda” e gli altri operatori di prossimità
Risultato_1
quot./righe
Risultato_2
/righe di testo
Dimensione
strutturale_1
Operatore
Dimensione
strutturale_2
CODA (40)
cooccur
EVALUATION (83)
11 quotations
CODA (40)
cooccur
SETTING (48)
3 quotations
CODA (40)
cooccur
COMPLICATION
(46)
1 quotation
105
La funzione di co-occorrenza generica nel Query tool di ATLAS..ti include contemporaneamente quattro operatori di
prossimità (“within”, “encloses”, “overlaps”, “overlapped by”): il suo utilizzo quindi rappresenta la ricerca di un’eventuale
associazione strutturale fra codici senza la pretesa di identificarne esattamente la natura.
117
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante CODA (40)
cooccur
ABSTRACT (32)
1 quotation
CODA (40)
cooccur
RESULT (21)
1 quotation
Nell’estratto n. 2, citato in precedenza, la parte “per cui razionalmente non ho fatto altro
che…” è una “Coda” nel senso che chiude - un po’ come una morale della favola - una
sequenza narrativa riassumendone implicitamente o esplicitamente le caratteristiche principali
(nell’esempio si tratta di una sequenza conclusiva a forte connotazione ironica).
Immediatamente dopo inizia un’ulteriore argomentazione orientata a illustrare un aspetto che
era stato accennato in precedenza (il tema narrativo del “sogno”, dell’ideale di vita successiva
all’uscita dal carcere): comincia direttamente da una dimensione di descrizione di un contesto
storico, ma questo viene subito contestualizzato nel presente (il posto ideale dove sarebbe
bello essere ora) e nel futuro (il posto ideale dove sarà bello andare dopo la carcerazione). La
funzione narrativa della “Coda” è, in questo caso, quella di dare il via a una nuova sequenza
narrativa.
Il modello desumibile dai risultati appena illustrati è rappresentato nella figura 47106:
Fig. 47: Modello strutturale dell’HU
6.3 Le relazioni specifiche per categorie di reati e per anni di esperienza
In questo paragrafo, a partire dai risultati introduttivi delineati in precedenza, proveremo a
trarre delle conclusioni per quanto riguarda l’associazione in pattern strutturali e di contenuto
condivisi fra due differenti categorie in cui abbiamo raggruppato i rispondenti alle interviste.
Nell’operare una prima categorizzazione ci siamo basati sul tipo di reato commesso. Tutte
le interviste-PD sono state inserite in PD-families (cfr. § 5.2). Come mostra la figura 12 (nelle
pagine precedenti) il risultato di questa operazione è il seguente:
- omicidi:
- rapine e furti
- reati legati alla droga
- truffa e ricettazione.
Il secondo gruppo di documenti primari è dato dagli anni di esperienza. Per operare questa
categorizzazione ci siamo basati sulla distinzione fatta da Roger Matthews (2002) e della
quale abbiamo parlato nel § 5.2 (in questo capitolo): l’Autore distingue 3 categorie107:
- i dilettanti (o novizi),
106
Le relazioni fra i nodi della Network view sono impostate per mezzo del Relation editor di ATLAS.ti: la relazione
“associated but not closely” è definita dall’utente; la relazione “is part of” è fornita di default dal programma e qui utilizzata
per rappresentare l’evidenza di sovrapposizione del codice fonte verso il codice destinazione.
107
È necessario precisare che l’Autore si riferisce, in particolare, all’esperienza dei rapinatori a mano armata: egli arriva a
definire la categorizzazione dalle risposte che i partecipanti ai suoi progetti di ricerca danno a una serie di interviste
qualitative.
118
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante - gli intermedi,
- i professionisti (o esperti).
Tecnicamente, questa distinzione è stata operazionalizzata facendo riferimento alle risposte
fornite dagli intervisti alle domande nn. 38-39 poste alla fine dell’intervista narrativa
(Appendice B): più esattamente, gli intervistati sono stati collocati nelle famiglie di documenti
primari in base ai criteri:
- “nessuna detenzione precedente” o “una detenzione precedente”: dilettante
- “due” o “tre detenzioni precedenti”: intermedio
- “più di tre detenzioni precedenti”: esperto.
Leggendo le trascrizioni delle interviste è tuttavia evidente che alcuni rispondenti, pur
essendo alla prima detenzione, hanno un ampio trascorso di devianza: in questi casi, con
riferimento alla domanda n. 7 della traccia di intervista sulla carriera deviante (“Ricorda il
primo reato?”), abbiamo rilevato l’effettiva esperienza di permanenza nel circuito della
criminalità. In generale, come mostra la finestra 13, nella categoria “esperti” fanno parte
soprattutto i rapinatori (9/13), gli “intermedi” sono suddivisi fra tutte le categorie di reato, i
“novizi” sono per 6/8 colpevoli di omicidio.
Finestra 13: Suddivisione delle interviste narrative per anni di esperienza dell’autore del reato
Primary Doc Families
______________________________________________________________________
Primary Doc Family: Esperti
Created: 18/10/04 20.43.51 (Super)
Primary Docs (13):
[P 1: 3Reb - rapine_furti.txt] [P 4: 10Reb - ricettazione.txt] [P10: 21Reb rapina.txt] [P13: 25Reb - rapina.txt] [P15: 27Reb - rapina.txt] [P18: 32Reb - rapina_tentato_omic.txt]
[P19: 2.1furto-MB-azione.carriere.txt] [P25: 2.7detenzione e spaccio-RP-carriere.txt] [P26: 4.1rapineGD-azione.txt] [P27: 4.2rapine-RB-carriere.txt] [P28: 4.3spaccio.stupef.-ME-carriere.txt] [P30:
5.1rapina-VS-azione.carriere.txt] [P31: 5.2rapina-ED-carriere.txt]
Quotation(s): 641
______________________________________________________________________
Primary Doc Family: Intermedi
Created: 18/10/04 20.43.12 (Super)
Primary Docs (13):
[P 2: 5Reb - rapina_omicidio.txt] [P 7: 16Reb - omicidio.txt] [P 9: 20Reb omicidio.txt] [P12: 24Reb - traffico_droga.txt] [P16: 30Reb - detenzione_stupefacenti.txt] [P20:
2.2furto-SR-azione.carriere.txt]
[P21:
2.3rapina-MS-azione.carriere.txt]
[P22:
2.4rapina-LTazione.carriere.txt] [P23: 2.5spaccio.stupef.-TD-carriere.txt] [P24: 2.6spaccio.stupef.-RP-carriere.txt]
[P29: 4.4traffico.stupef.-DM-azione.carriere.txt] [P33: 6.2rapina-CM-carriera.azione.txt] [P34: 6.3rapinaMI-carriera.azione.txt]
Quotation(s): 682
______________________________________________________________________
Primary Doc Family: Novizi
Created: 18/10/04 20.43.22 (Super)
Primary Docs (8): [P 3: 7Reb - rapina.txt] [P 5: 13Reb - omicidio.txt] [P 6: 14Reb - omicidio.txt] [P 8:
19Reb - omicidio.txt] [P11: 23Reb - omicidio.txt] [P14: 26Reb - omicidio.txt] [P17: 31Reb parricidio.txt] [P32: 6.1furto-AC-azione.txt]
Quotation(s): 324
Da questo risultato descrittivo, si potrebbe dedurre che i due principali criteri di
differenziazione degli intervistati (“esperienza sul campo” e “reato commesso”) siano
tendenzialmente sovrapponibili: in verità non è così in quanto il reato per cui viene scontata
l’attuale detenzione non è in tutti i casi l’unico reato commesso108: per questa ragione,
l’esperienza di devianza è talvolta più vasta e, soprattutto, più varia di quanto appare
seguendo il criterio nominale dell’imputazione attuale.
108
A questo riguardo è particolarmente informativa la domanda n. 40 (Appendice B).
119
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Rispetto agli obiettivi della ricerca, la verifica dell’esistenza di eventuali costruzioni
narrative specifiche differenziate per tipi di reati commessi, abbiamo proceduto nel modo
descritto di seguito:
- sono stati impostati separatamente i filtri per ciascuna PD-family alla volta (per il fattore
esperienza: “esperti” / “intermedi” / “novizi”; per il fattore reato: “rapine e furti” / “omicidio”
/ “reati legati alla droga” / “truffa e ricettazione”)109;
- sono stati richiesti ad ATLAS.ti le tabelle di output sulle frequenze di incrocio fra codici
e documenti primari mediante la funzione “Code Æ Output Æ Code-Primary
Documents-Table Æ Standard report”110.
La tabella 10 mostra il risultato dell’operazione rispetto ai reati legati alla droga
(detenzione, traffico e spaccio). Essa illustra, in riga, i fattori che risultano quantitativamente
più salienti per lo specifico gruppo di interviste e, in colonna, tutte le interviste che ne fanno
parte (le nn. 12, 16, 23, 24, 25, 28)111. In ciascuna cella è presente il numero di quotations
estratte per ciascun incrocio “tema x intervista”.
Tab. 10: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Reati legati alla droga”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family reati legati alla droga
-------------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
12 16 23 24 25 28
Tot.
-------------------------------------------------------------------ABSTRACT
0
0
1
3
4
1
9
SETTING/ORIENTATION
0
0
3
3
4
2
12
COMPLICATION
0
0
2
5
3
0
10
EVALUATION
0
0
6
3
5
4
18
CODA
0
0
2
2
1
1
6
colpevolizzazione delle istituzioni
2
0
0
0
1
3
6
Pos.morale112: deresponsabilizzazione 0
0
1
2
2
0
5
preoccupazione per la famiglia
2
1
0
3
0
0
6
--------------------------------------------------------------------
Da una prima valutazione preliminare, è evidente come gli intervistati nn. 12 e 16 siano
quelli che rappresentano meno la categoria in quanto portatori di pochi temi narrativi (fra
quelli considerati salienti per tutta la family); il codice più rappresentato è quello relativo alla
componente valutativa del modello strutturale (“Evaluation”) con 18 quotations.
Complessivamente, le narrazioni degli imputati per detenzione, spaccio o traffico di
stupefacenti comprendono quasi tutti i temi narrativi relativi al modello strutturale (tranne
“Result”)113. Per quanto riguarda i contenuti specifici, i temi narrativi salienti in queste
narrazioni sono quelli - concettualmente e logicamente speculari - relativi alla
deresponsabilizzazione dell’attore rispetto all’azione e della colpevolizzazione delle
istituzioni. Coerentemente con i responsabili di altri reati (come vedremo), manifestano una
109
110
Il percorso in A5 è “Documents Æ Filter Æ All Æ Families”
Non si farà riferimento ai risultati relativi alla PD-family “truffa e ricettazione”, includendo questa un solo documento
primario (una sola intervista).
111
Nella redazione del layout grafico della tabella ci siamo attenuti fedelmente all’output fornito da A5 con due eccezioni:
(a) sono state eliminate alcune righe descrittive dell’HU all’inizio della tabella, (b) sono stati mantenuti nella tabella solo i
codici con un numero di quotations estratte pari o superiore a 5. Nella tabella 10 sono presenti quindi 8 codici.
112
Con l’abbreviazione si intende, da adesso in poi, “Posizionamento nell’ordine morale”.
113
Probabilmente per le ragioni descritte in precedenza sull’evidenza dell’esito dell’azione.
120
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante preoccupazione per le sorti della famiglia che rimane fuori dal carcere durante la loro
detenzione.
Le narrazioni degli intervistati accusati di omicidio mostrano delle differenze rispetto al
gruppo precedente (tabella 11): in primo luogo, sono presenti 20 codici (sempre con un
numero di quotations pari o superiore a 5); per quanto riguarda le dimensioni strutturali,
tuttavia, le narrazioni ne comprendono solo tre (“Abstract”, “Complication”, “Evaluation”) e a fronte di un numero maggiore di interviste - con un’incidenza decisamente più bassa rispetto
a quanto illustrato nella tabella 10.
Tab. 11: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Omicidi”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family omicidi
---------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
2 5 6 7 8 9 11 13 14 17 Totals
---------------------------------------------------------------ABSTRACT
3 0 0 1 0 0 0 0 0 1
5
COMPLICATION
3 0 0 1 0 0 0 0 0 1
5
EVALUATION
5 0 0 0 0 0 0 0 0 0
5
aggressività reattiva
0 0 0 1 0 0 3 1 2 0
7
ambivalenza/dissonanza
1 3 2 0 1 0 3 2 0 0 12
attribuzione all'ambiente
2 1 1 0 3 2 0 0 1 0 10
carcere come riflessione
2 2 0 1 4 2 3 3 3 5 25
descrizione comportamenti
2 1 0 1 0 0 1 0 1 1
7
perdita degli affetti
1 0 0 0 1 1 2 1 1 0
7
funz. maturativa carcere
0 1 0 0 3 2 0 0 0 0
6
reato come incid. critico
0 2 2 0 2 0 1 0 0 0
7
immaturità causa reato
1 1 0 0 6 2 1 0 0 0 11
inevitabilità percorso
0 0 2 1 1 1 0 1 1 0
7
movente strument. carriera 1 1 0 0 1 2 0 0 0 0
5
omicidio non pianificato
0 0 1 2 1 0 3 0 1 0
8
preoccupazione famiglia
0 0 3 0 0 2 0 0 0 0
5
reazione non violenta f.o. 0 1 1 1 0 0 0 0 1 1
5
reazione posit.persone care 0 0 1 0 1 0 1 0 1 1
5
ricordi
1 0 1 0 0 1 1 1 0 0
5
vita felice e serena114
1 0 1 1 0 0 0 2 2 0
7
----------------------------------------------------------------
L’assenza della dimensione “Setting/Orientation” (ricordiamo che si tratta di una minore
salienza rispetto agli altri temi, non di un’assenza vera e propria) ha probabilmente il
significato di una poca attenzione alla descrizione degli aspetti di contesto in cui l’azione si è
svolta: per gli intervistati che rappresentano questo reato è importante specificare quale
evento precipitante ha condotto all’omicidio ed esprimenere una loro valutazione (come
vedremo puntando l’attenzione sugli altri codici presenti nella tabella 11).
Più specificamente, il tema narrativo che prevale è quello della funzione maturativa e
responsabilizzante della detenzione (“carcere come riflessione”): si tratta di un codice che
include - per il gruppo di intervistati colpevoli di omicidio - 25 estratti narrativi (a fronte dei
50 complessivi per tutta l’HU).
Altre informazioni significative arrivano dai codici “ambivalenza/dissonanza” (12 porzioni
di testo riferite) e “immaturità causa reato” (11) e “attribuzione all’ambiente” (10). Si tratta di
114
Si intende prima della commissione del reato.
121
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante tre temi narrativi molto presenti anche nel resto dell’HU, ma che in questo contesto assumono
un significato peculiare: tutti e tre sono inquadrabili nella componente valutativa della
narrazione ed esprimono, da una parte, una difficoltà a valutare oggettivamente la situazione
che ha portato al reato e, dall’altra, una tendenza attributiva diretta all’esterno (nei termini
generici dell’ambiente) ma anche parzialmente verso l’interno (il tema dell’immaturità che ha
preceduto e causato il reato).
In 8 casi, si fa riferimento alla mancanza di pianificazione dell’azione-omicidio. Come sarà
descritto a proposito delle rapine, il tema della pianificazione è una delle principali differenze
fra la costruzione narrativa degli omicidi e quella delle rapine.
Un altro tema che ci sembra utile sottolineare è quello della “perdita degli affetti” (7
quotations): gli intervistati che parlano di omicidi enfatizzano il fatto di aver perso i contatti
dalle persone care. Anche in questo caso di tratta di una differenza sostanziale rispetto alla
costruzione narrativa delle rapine. Come mostra la tabella 12, infatti, la “reazione positiva dei
cari” (8 quotations) è uno dei temi narrativi prevalenti.
Tab. 12: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Rapine e furti”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family rapine e furti
--------------------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
1 2 3 10 13 15 18 21 22 26 27 30 31 32 33 34 Tot.
--------------------------------------------------------------------------ABSTRACT
1 3 0 0 0 0 0 2 2 1 2 1 2 0 1 1
16
COMPLICATION
3 3 1 0 0 0 0 3 7 1 4 2 2 0 2 4
32
EVALUATION
8 5 1 0 0 0 0 2 11 4 6 4 3 0 4 4
52
RESULT
1 1 1 0 0 0 0 1 3 0 1 2 1 0 1 3
15
SETTING/ORIENTATION
4 2 0 0 0 0 0 2 5 4 1 2 1 0 2 2
25
CODA
1 2 0 0 0 0 0 3 6 2 4 3 2 0 2 1
26
adrenalina/sensazioni 0 0 0 2 0 0 0 0 1 1 0 0 1 0 0 0
5
aggressività reattiva 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 1 2
5
ammissione colpevol.
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 0 1 1 1 0
5
anticipaz. imprevisti 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3 1 1 0 0 0 1
7
attribuz. all’ambiente 2 2 4 1 0 0 0 3 0 0 0 1 0 0 0 2
15
attrib. alla droga
0 0 0 2 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 1 1
6
attrib.alla famiglia
0 0 1 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 1
5
autoeffic./orgoglio
5 1 0 0 0 0 0 2 3 0 0 4 1 0 0 0
16
carcere = riflessione 1 2 1 4 3 3 4 1 3 1 0 0 0 0 1 0
24
colpevol. istituzioni 0 0 1 0 0 1 0 0 0 1 4 0 2 0 0 0
9
deresponsabilizzazione 0 0 1 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0 0 0
8
descrizione comport.
0 2 0 1 0 0 0 0 0 4 0 3 0 0 1 1
12
eff.relazione/azione
0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 2 0 1 0
5
eff.relazione/carr.
2 1 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 1 0
6
eff.Sè:soddisfazione
1 1 1 0 0 0 0 0 0 4 2 2 3 0 0 0
14
effetti cambiamento
0 1 1 0 0 0 1 0 0 1 2 0 1 1 0 0
8
immaturità come causa 1 1 1 0 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 1
6
inevitabilità devianza 2 0 2 0 1 1 0 2 0 0 2 1 0 0 1 2
14
mancanza di una guida 0 0 0 2 0 1 0 1 0 0 1 2 1 0 0 0
8
mov.strument.carriere 0 1 0 1 0 0 2 0 3 0 3 2 3 0 1 0
16
mov.strumentale reato 3 0 1 2 0 2 1 2 1 0 1 0 1 0 2 1
17
no pianificazione
0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0
5
non fare male a vittim 0 0 0 0 0 0 0 0 1 3 2 2 0 0 0 2
10
non più reati
0 0 0 0 0 0 0 0 3 1 0 0 0 1 1 1
7
pianificaz. rigorosa
2 1 0 2 1 0 1 2 2 1 0 2 0 0 0 1
15
Pos.: maturazione
1 2 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0
5
Pos.: necessità
1 0 0 0 0 0 0 1 3 0 2 0 0 0 0 1
8
Pos.:"professionista” 0 0 0 0 0 0 0 1 3 1 0 0 0 0 0 0
5
Pos.:autocolpevolizzaz.0 0 0 0 0 0 0 0 2 2 2 0 0 0 1 1
8
122
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante preoccupaz. x famiglia 0 0 0 0 0 2 0 0 3 1 1 0 0 0 0 0
7
reato pensato da altri 1 0 1 0 0 2 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0
5
reazione positiva cari 1 0 0 1 0 2 0 1 2 0 1 0 0 0 0 0
8
ricaduta in devianza
1 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1
5
rifiuto della violenza 0 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 2 0 0 0 0
5
tossicodipend. causa
0 0 0 1 0 0 0 1 3 0 2 0 0 0 0 0
7
vita felice e serena
0 1 0 0 2 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 1
6
---------------------------------------------------------------------------
Non è possibile, a partire dalle informazioni a disposizione, rilevare una salienza narrativa
dei temi relativi agli effetti comunicativi dell’azione deviante: l’ipotesi che le azioni violente,
gli omicidi più efferati, abbiamo un movente prevalentemente di tipo espressivo-comunicativo
(secondo il modello che abbiamo descritto nel cap. 1 § 2.1 e in De Leo e coll., 2004; De Leo e
Patrizi, 1999; De Leo e Patrizi, 2002) non può essere valutata in questo contesto specifico. Si
tratta probabilmente di una implicazione teorico-empirica che va approfondita in ricerche
successive e che tuttavia ha mostrato una sua validità soprattutto in riferimento agli omicidi
violenti con carattere di serialità (come se, in altre parole, la funzione espressiva delle azioni
dei serial killer fosse data anche dal filo conduttore sottostante alle catene di reati: cfr. a
riguardo, De Leo e coll., 2004; Canter e Alison, 1999; Picozzi e Zappalà, 2002).
Per quanto riguarda le dimensioni strutturali, le narrazioni rilasciate dagli intervistatirapinatori sono complete di tutte le dimensioni fondanti il modello di Labov, incluso il fattore
“Result” (che mancava nelle due PD-families precedenti).
Per la spiegazione di questo fenomeno è necessario far riferimento alla natura del reato: i
rapinatori che abbiamo intervistato, a differenza degli autori di omicidi, raccontano, nella
maggior parte dei casi, diversi episodi che hanno avuto esito “positivo” (es., la conquista di un
bottino, la fuga dal luogo del reato). Per questa ragione, si può ritenere che nella narrazione di
una rapina l’autore del reato (narratore) tenga a enfatizzare l’esito dell’azione da lui
commessa (quindi, a inserire nella narrazione elementi strutturalmente riconducibili a
“Result”). Questa possibile interpretazione è coerente con un altro risultato presente nella
tabella 12: il codice “autoefficacia/orgoglio” (significativo della valutazione “positiva” che
l’attore fa dell’azione e dei suoi effetti per sé115) copre (solo per il gruppo dei rapinatori) 16
porzioni di testo. Si tratta di una dimensione narrativa che implica una caratterizzazione
dell’azione come giusta (rispetto a un contesto di ingiustizie subite) e una tendenza motivata
alla soddisfazione del Sé.
Fra gli altri risultati che vale la pena di sottolineare, va evidenziato il fatto che in 24
passaggi narrativi l’esperienza detentiva viene vissuta come fonte di riflessione e di
maturazione116: la permanenza in carcere è, per il soggetto, occasione per ripensare al
cambiamento atteso dalle istituzioni e dalla società, un anello del percorso di reinserimento
(Di Cara, Gervasoni e Steiner, 1990). Questa evidenza è ancora più rilevante se valutata in
comparazione ai codici che esprimono una assunzione diretta di responsabilità: “ammissione
di colpevolezza” (5 quotations) e il relativo posizionamento discorsivo (“Pos.:
autocolpevolizzazione: 8 quotations).
Anche i rapinatori mantengono una tendenziale attribuzione esterna per la causazione della
azione deviante, ma l’intero percorso narrativo configura - più che uno stile narrativo
consolidato che un’attribuzione causale vera e propria: in altri termini, la strategia discorsiva
di imputare all’ambiente (talvolta generico, altre volte identificato chiaramente nelle
istituzioni: “colpevolizzazione delle istituzioni” = 9 quotations) può essere intesa come una
soluzione orientata prima di tutto a preservare una positiva immagine del Sé, soprattutto in
considerazione del fatto che il movente principale del reato e dell’intero percorso di carriera
viene indicato nelle ragioni strumentali (rispettivamente in 17 e 16 passaggi narrativi
115
Il codice “effetti diretti verso il Sé: soddisfazione” comprende 14 porzioni di testo.
Anche in termini del posizionamento discorsivo il codice relativo “Pos.: maturazione” ha un peso relativo di 5 quotations
solo questa gruppo di intervistati.
116
123
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante distribuiti in maniera omogenea in tutta la PD-families); a ulteriore conferma di questo pattern
di associazioni è utile sottolineare che il codice “deresponsabilizzazione” comprende 8
quotations e quello “reato pensato da altri” (implicante un coinvolgimento successivo) ne
conta 5.
Lo stato di tossicodipendenza, inoltre, è considerato una delle cause della commissione dei
reati (“tossicodipendenza causa”: 7 quotations): molti intervistati precisano di essere costretti
a commettere le reati per ragioni economiche (“Pos.: necessità”: 8 quotations) e sottolineano
l’inevitabilità dei rimanere coinvolti nei circuiti della devianza (“inevitabilità devianza”: 14
quotations; “ricaduta in devianza”: 5 quotations). A supportare ulteriormente l’interpretazione
della rapina come scelta funzionale a motivazioni economiche c’è la seguente evidenza:
alcuni codici hanno un diretto riferimento all’assenza di ragioni e all’aspirazione a terminare
il percorso di carriera deviante (“non fare male alle vittime”: 10 quotations; “rifiuto della
violenza”: 5 quotations; “no più reati”: 7 quotations).
Infine, la pianificazione dell’azione (il principale fra gli aspetti cognitivi codificati nelle
interviste) risulta presente nelle narrazioni delle rapine in misura decisamente maggiore che in
tutti gli altri reati. Si tratta di azioni che necessitano di un’accurata e rigorosa previsione dei
tempi e dei luoghi, delle vie di fuga e dei possibili ostacoli. Solo 5 estratti narrativi fanno
riferimento alla totale assenza di pianificazione (codice “no pianificazione”) ma a un’analisi
più approfondita si vede che tutte sono presenti nelle narrazioni di solo 4 intervistati.
Fin qui la descrizione di quanto emerso dall’analisi della salienza rispetto ai tipi di reati
specifici.
Ci sembra utile a questo punto spendere qualche parola sui risultati rilevati rispetto alle
dimensioni strutturali e comparativamente fra reati diversi. Ciò che le tabelle 10, 11 e 12
mettono chiaramente in evidenza è che le dimensioni che caratterizzano una narrazione
strutturalmente completa sono tutte presenti nei racconti delle rapine e dei furti (tabella 12) e
lo sono progressivamente meno per i reati legati alla droga (tabella 10) e per gli omicidi
(tabella 11).
Questa evidenza può far supporre che gli eventi che, in qualche modo, hanno una maggiore
valenza di storia (in termini di interesse per chi ascolta, di narrabilità complessiva) sono quelli
che rappresentano una prototipicità e una salienza nel senso comune (si pensi ai modi
consolidati, ai canovacci, con cui vengono descritte le rapine nella filmografia d’azione): è
come se nella narrazione di questo tipo di eventi l’attore-narratore fosse facilitato dal
condividere con chi ascolta un “modello tipico” di come si svolge un evento-rapina, di quali
ne sono le fasi principali e le tappe salienti.
Nella narrazione degli omicidi, invece, le dimensioni strutturali prevalenti sono “Abstract”,
“Complication” e “Evaluation”: manca in questi casi una completezza narrativa (che sarebbe
rappresentata dalle altre tre dimensioni). La possibile interpretazione ci sembra la seguente:
gli omicidi sono azioni accomunate da minore prototipicità (ad esempio, rispetto ai moventi
oppure alle fasi costitutive) e da una presenza quantitativamente inferiore anche per le
dimensioni comuni (come è evidente leggendo le colonne dei totali): l’attore-narratore può
condividere con chi ascolta che ci sia stato un evento precipitante (una causa scatenante) per
la commissione del reato, ma è difficile che tutti gli omicidi siano legati da un filo conduttore
comune, da una trama che li rende narrabili come storie (cosa che invece è possibile con le
rapine).
Analogamente, si possono proporre indicazioni preliminari per quanto riguarda la
costruzione narrativa dell’azione rispetto all’esperienza nel settore della devianza. La tabella
13 mostra le associazioni per la famiglia di documenti primari “Novizi” e i codici con un
numero di quotations superiori a 5.
La prima cosa che notiamo è la completa assenza delle dimensioni relative al modello
strutturale. Si tratta di una informazione sorprendente e interessante: sorprende perché (come
vedremo anche a proposito delle prossime categorie) alcune delle dimensioni strutturali sono
124
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante sempre presenti; ma è un’informazione che desta l’interesse del ricercatore in psicologia
sociale interessato ai processi di comunicazione, allo sviluppo dell’identità e di
identificazione in un gruppo: l’interesse è specificamente legato a ciò che l’assenza di
dimensioni strutturali nelle narrazioni può rappresentare in una prospettiva di studio sulla
socializzazione al divenire devianti e sull’apprendimento progressivo delle tecniche di
costruzione discorsiva del reato. In altre parole, stiamo proponendo un punto di vista secondo
il quale anche le modalità utilizzate per rendere conto - in un contesto colloquiale (non
investigativo) - dell’azione commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo
dell’individuo, nel corso dello sviluppo di una “carriera deviante”.
Tab. 13: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Novizi”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family Novizi
-------------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
3
5
6
8 11 14 17 32 Totals
-------------------------------------------------------------------aggressività reattiva
0
0
0
0
3
2
0
0
5
ambivalenza/dissonanza
0
3
2
1
3
0
0
1 10
attribuzione all'ambiente
4
1
1
3
0
1
0
0 10
carcere come riflessione
1
2
0
4
3
3
5
0 18
il reato come incidente critico 0
2
2
2
1
0
0
0
7
immaturità/ignoranza precedenti 1
1
0
6
1
0
0
0
9
inevitabilità del percorso
2
0
2
1
0
1
0
0
6
omicidio non pianificato
0
0
1
1
3
1
0
0
6
reazione positiva famiglia
0
0
1
1
1
1
1
0
5
--------------------------------------------------------------------
È bene sottolineare che è difficile immaginare tale risultato come conseguente alla quantità
di interviste: i documenti primari da cui si evince tale risultato sono otto (cfr. tabella 13) e, in
precedenza, abbiamo visto come una iniziale descrizione della costruzione narrativa dei reati
legati alla droga sia stata possibile facendo riferimento a sole sei interviste (cfr. tabella 10).
Per quanto riguarda gli altri temi narrativi, si nota che tutti i codici (9 in totale) sono inclusi
anche nella tabella 11 (quella della costruzione narrativa relativa agli omicidi): questa
evidenza non deve sorprendere dal momento che (come abbiamo detto in apertura di questo
paragrafo) nel gruppo di partecipanti a questa ricerca la categoria dei novizi è
prevalentemente costituita da individui colpevoli di omicidio.
Nelle tredici interviste narrative rilasciate da individui con esperienza di permanenza nel
circuito della devianza compresa fra due e tre detenzioni precedenti le configurazioni
narrative sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle ottenute per i reati che prevalentemente
compongono le PD-families: “rapine e furti” e “traffico e spaccio di stupefacenti”. A
conferma di questa sovrapposizione, si può evidenziare che il tema narrativo più rappresentato
è quello del “movente strumentale del reato” (17 quotations estratte).
Anche in questi casi prevale una tendenza all’attribuzione esterna (10 quotations), con
particolare riferimento alla “colpevolizzazione delle istituzioni” (12 quotations).e alla
“deresponsabilizzazione” (8).
Coerentemente con la narrazione ideltipica dei rapinatori sono salienti i temi di
“autoefficacia/orgoglio” per il successo delle azioni commesse, la descrizione dettagliata dello
svolgimento (sequenze e fasi) del reato (cfr. Teoria dell’azione, § 2.1 nel cap. 1) e degli
aspetti cognitivi (“pianificazione accurata”: 9 quotations).
125
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Tab. 14: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Intermedi”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family Intermedi
--------------------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
2 7 9 12 16 20 21 22 23 24 29 33 34 Totals
--------------------------------------------------------------------------ABSTRACT
3 1 0 0 0 1 2 2 1 3 1 1 1
16
COMPLICATION
3 1 0 0 0 0 3 7 2 5 1 2 4
28
EVALUATION
5 0 0 0 0 2 2 11 6 3 2 4 4
39
RESULT
1 1 0 0 0 0 1 3 1 0 1 1 3
12
SETTING/ORIENTATION
2 1 0 0 0 3 2 5 3 3 1 2 2
24
CODA
2 1 0 0 0 0 3 6 2 2 1 2 1
20
aggressività reattiva
0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 2
5
arresto
0 0 0 0 0 0 1 1 1 1 0 0 2
6
colpevolizzazione istituzioni 0 0 0 0 0 5 1 1 4 1 0 0 0
12
attribuzione all’ambiente
2 0 2 0 0 0 3 0 1 0 0 0 2
10
autoefficacia/orgoglio
1 1 1 0 0 0 2 3 0 0 2 0 0
10
carcere come riflessione
2 1 2 1 1 0 1 3 0 0 0 1 0
12
descrizione comportamenti
2 1 0 1 0 2 0 0 0 0 0 1 1
8
distacco dalla famiglia
1 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 0
5
immaturità come causa
1 0 2 0 0 2 0 1 0 0 1 0 1
8
inevitabilità del percorso
0 1 1 0 0 1 2 0 1 0 1 1 2
10
ironia sulle aggravanti
0 0 0 0 0 3 0 0 0 0 0 1 1
5
movente strumentale reato
0 0 0 2 0 5 2 1 0 0 4 2 1
17
movente strumentale carriera 1 0 2 0 0 1 0 3 0 0 0 1 0
8
pianificazione accurata
1 0 2 0 0 1 2 2 0 0 0 0 1
9
pianificazione: nessuna
1 1 0 0 0 3 0 0 0 0 0 1 0
6
Pos.:autocolpevolizzazione
0 0 0 0 0 0 0 2 1 1 0 1 1
6
Pos.: necessità
0 0 0 0 0 5 1 3 0 0 1 0 1
11
Pos.:deresponsabilizzazione 0 1 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0
8
precedenti per piccoli reati 1 0 1 1 0 1 2 0 0 0 1 0 0
7
preoccupazione per famiglia 0 0 2 1 0 0 0 3 0 0 0 0 0
6
reazione positiva dei cari
0 0 0 1 1 0 1 2 0 0 0 0 0
5
ricaduta nella devianza
1 0 2 0 0 0 0 0 2 1 0 0 1
7
vita felice e serena
1 1 0 2 2 0 1 0 0 0 0 0 1
8
---------------------------------------------------------------------------
In analogia con lo stile narrativo degli spacciatori è evidenziato lo stile attribuzionale
esterno.
Per quanto riguarda la presenza delle dimensioni strutturali, possiamo dire che la tabella 14
mostra una configurazione sostanzialmente sovrapponile a quella descritta come
esemplificativa di tutta l’unità ermeneutica (ad esempio, è analoga l’enfasi data alla
dimensione valutativa e la minore salienza rilevabile per la dimensione “Result”).
In ultimo, ci occupiamo della costruzione narrativa dell’azione deviante per gli “esperti”.
Come abbiamo descritto parlando della costituzione delle PD-families, gli intervistati esperti,
in questa ricerca, sono in prevalenza rapinatori con più di tre esperienze detentive
(complessivamente si tratta di 13 interviste). Tutte le dimensioni strutturali previste dal
modello di Labov sono presenti nelle loro narrazioni e, rimanendo costante la proporzione n°
di quotations totali/n° di quotations specifiche per questa PD-family, è ragionevole supporre
che anche il modello di concatenazione strutturale sottostante sia sostanzialmente
confermato117 (vedi figura 47 nelle pagine precedenti).
117
La frequenza totale di ciascuna dimensione strutturale per questa famiglia di documenti primari è circa il 47-52% della
frequenza complessiva in tutta l’unità ermeneutica, a eccezione di “Complication”. La spiegazione di questa differenza è la
126
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Per quanto riguarda gli altri risultati relativi a questa famiglia, è evidente che la maggior
parte dei codici rilevati sono analogamente rappresentati anche nella categoria “rapine e furti”
(tabella 12). In particolare, la costruzione dei contenuti narrativi dell’azione deviante secondo
gli esperti verte sui seguenti temi principali:
(a) il movente delle azioni è per lo più strumentale (12 quotations per il reato e 14 per la
costruzione narrativa dell’intero percorso di carriera); le motivazioni implicite (quelli che in
precedenza abbiamo chiamato effetti espressivo-comunicativi) sono presenti nei termini di
una tensione al cambiamento (“effetti cambiamento”: 7 quotations118) e come forma di
ridefinizione o conferma della propria identità (“effetti Sé”: 5 quotations).
(b) il percorso di permanenza nel circuito della devianza è pressoché inevitabile (12
quotations), soprattutto in giovane età (quando la “mancanza di una guida” indirizza verso
una modalità alternativa di perseguimento degli obiettivi e prevale uno “spirito di ribellione”
nei confronti delle forme di controllo sociale anche a causa di uno stile educativo rigido e
autocratico);
(c) coerentemente con il profilo narrativo dei rapinatori, gli “esperti” manifestano
apertamente un senso di autoefficacia e di orgoglio per il successo delle proprie azioni (13
quotations) pur attribuendone la causa prevalentemente all’esterno (ambiente: 8 quotations) e,
in particolare, alle istituzioni (12);
(d) alcuni intervistati tengono in considerazione gli eventuali imprevisti (“anticipazione
degli imprevisti”: 5 quotations);
Tab. 15: Output delle frequenze dei fattori strutturali e di contenuto per la famiglia “Esperti”
-------------------Codes-Primary-Documents-Table
-------------------Code-Filter: All
PD-Filter: Primary Doc Family Esperti
----------------------------------------------------------------------PRIMARY DOCS
CODES
1 4 10 13 15 18 19 25 26 27 28 30 31 Tot.
----------------------------------------------------------------------ABSTRACT
1 2 0 0 0 0 1 4 1 2 1 1 2 15
SETTING/ORIENTATION
4 3 0 0 0 0 2 4 4 1 2 2 1 23
COMPLICATION
3 0 0 0 0 0 1 3 1 4 0 2 2 16
EVALUATION
8 2 0 0 0 0 7 5 4 6 4 4 3 43
RESULT
1 0 0 0 0 0 1 2 0 1 0 2 1
8
CODA
1 0 0 0 0 0 5 1 2 4 1 3 2 19
anticipazione imprevisto
0 0 0 0 0 0 0 0 3 1 0 1 0
5
attribuzione all’ambiente
2 2 1 0 0 0 0 0 0 0 2 1 0
8
autoefficacia/orgoglio
5 1 0 0 0 0 1 0 0 0 1 4 1 13
carcere come riflessione
1 1 4 3 3 4 3 0 1 0 0 0 0 20
colpevolizzaz. istituzioni 0 0 0 0 1 0 0 1 1 4 3 0 2 12
condanna dei giudici
0 0 0 0 0 0 1 0 0 3 0 1 0
5
consapevolezza errori
0 0 2 0 0 0 1 1 0 0 0 1 0
5
descrizione comportamenti
0 1 1 0 0 0 0 0 4 0 0 3 0
9
disciplina dura
2 0 1 0 0 0 0 0 0 0 1 1 0
5
effetti cambiam. Carriera
0 0 0 0 0 1 0 0 1 2 2 0 1
7
effetti Sè: identità
1 0 0 0 0 0 0 1 2 0 0 1 0
5
inevitabilità del percorso 2 1 0 1 1 0 2 1 0 2 1 1 0 12
mancanza di una guida
0 1 2 0 1 0 0 1 0 1 0 2 1
9
seguente: come mostra la tabella 12 (code family “rapine e furti”), l’elevata incidenza della dimensione “Complication” (32
quotations complessive) è dovuta anche al fatto che nell’intervista n. 22 essa è presente ben 7 volte, ma la stessa intervista nelle fasi successive - è stata inserita nella categoria degli intervistati con esperienza intermedia, tabella 14 (non negli
“esperti” che infatti mostrano un peso relativo minore per questa dimensione).
118
L’effetto di cambiamento nel percorso di carriera è esemplificabile nei termini descritti nell’estratto n. 2 nelle pagine
precedenti.
127
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante movente strumentale reato
3 2 2 0 2 1 0 0 0 1 0 0 1 12
movente strument. carriera 0 0 1 0 0 2 0 2 0 3 1 2 3 14
pianificazione accurata
2 0 2 1 0 1 0 0 1 0 0 2 0
9
Pos.:autocolpevolizzazione 0 3 0 0 0 0 0 1 2 2 0 0 0
8
Pos.:deresponsabilizzazione 0 0 0 0 0 0 2 2 1 2 0 0 0
7
Pos.: no male vittime
2 0 0 0 0 0 0 0 3 2 0 2 0
9
Pos.:spirito di ribellione 1 0 0 0 0 0 0 0 2 0 0 1 1
5
reazione positiva dei cari 1 0 1 0 2 0 0 0 0 1 1 0 0
6
rifiuto della violenza
0 1 0 0 0 0 0 0 1 1 0 2 0
5
scelte
0 0 1 0 0 0 2 1 1 0 0 0 0
5
tossicodipend. come causa
0 0 1 0 0 0 0 1 0 2 1 0 0
5
-----------------------------------------------------------------------
In generale, per quanto riguarda le strutture narrative, è necessario evidenziare che nelle
narrazioni dei “novizi” non è possibile rilevare alcuna traccia di struttura narrativa condivisa
fra gli intervistati. In termini di processi di comunicazione e di sviluppo dell’identità
l’interesse è specificamente legato a ciò che l’assenza di dimensioni strutturali nelle
narrazioni può rappresentare. Sono possibili a nostro avviso almeno due interpretazioni:
(a) la prima chiama in causa la possibile funzione retorica dell’assenza di una struttura
narrativa. Come ha evidenziato E. Goffman (1961) nei suoi studi sugli internati nelle
istituzioni totali, talune costruzioni narrative specifiche assolvono alla funzione retorica di
suscitare la pietà dell’interlocutore: «la posizione di debolezza […] crea un’atmosfera di
fallimento personale in cui viene costantemente riproposta la propria caduta in disgrazia.
Come reazione l’internato tende a costruirsi una storia, un precedente, una triste biografia una sorta di lamentazione e di apologia - da raccontare continuamente ai compagni per
giustificare in qualche modo lo stato di degradazione in cui si trova» (Goffman, 1961, trad. it.
1968, pp. 93-94); la costruzione narrativa del disagio psicologico ha dunque, secondo
l’Autore, una strutturazione tipica e riconoscibile che consiste in un appiattimento tematico, o
(che poi sarebbe l’altra faccia della medaglia) nell’assenza di una narrazione strutturalmente
complessa. Questa possibile interpretazione, tuttavia, se da una parte consente di spiegare le
narrazioni prodotte dai “novizi”, dall’altra non risulta coerente con la lettura dei pattern
comunicativi degli “intermedi” e soprattutto dei “professionisti”;
(b) la seconda spiegazione, che consente di includere tutti i testi, fa riferimento a una
socializzazione al divenire devianti e all’apprendimento progressivo delle tecniche di
costruzione discorsiva del reato. Infatti, le narrazioni degli “intermedi” e soprattutto quelle dei
“professionisti” includono tutte le dimensioni e ricalcano il modello strutturale generale
sotteso a tutte le narrazioni. Questa evidenza supporta la conclusione che le modalità
utilizzate per rendere conto - in un contesto colloquiale (non investigativo) - dell’azione
commessa possono essere apprese nel percorso evolutivo dell’individuo, nel corso dello
sviluppo di una “carriera deviante”.
Diversi elementi danno fondamento all’interpretazione fornita riguardo alla
“socializzazione narrativa” e all’apprendimento progressivo delle soluzioni per rendere conto,
giustificare o, semplicemente, raccontare in maniera coerente e plausibile una serie di eventi
soggettivamente salienti e normativamente riconducibili a un percorso di devianza.
Per quanto riguarda le strategie retorico-argomentative nella costruzione narrativa, è
interessante notare come le codifiche effettuate sulle interviste di “esperti” abbiano condotto a
una maggiore quantità di temi narrativi salienti (rispetto agli “intermedi” e, soprattutto, ai
“novizi”) e a una articolazione più complessa in termini di attribuzioni di responsabilità e di
tecniche di neutralizzazione delle norme. Questa evidenza - insieme alla non secondaria
rilevanza attribuibile alla completezza e coerenza complessiva delle dimensioni strutturali conferma l’interpretazione fornita riguardo alla “socializzazione narrativa”.
Naturalmente non pretendiamo di avere illustrato risultati conclusivi: come tutte le
tecniche innovative di ricerca anche l’analisi proposta necessita di perfezionamenti
nell’impostazione metodologica e riapplicazioni a quantità maggiori di testi. Tuttavia, a
128
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante partire dai dati illustrati in questa sede, è possibile sostenere che l’ipotesi di pattern narrativi
consolidati (di sequenze di temi contenutisticamente rilevanti) ha un fondamento nelle
narrazioni prodotte dai partecipanti all’indagine.
Per quanto riguarda le strutture narrative, allo stesso modo, è possibile rilevare interessanti
risultati densi di implicazioni teoriche e pratiche: viene confermata, anche per quanto riguarda
le narrazioni prodotte in un contesto di istituzione totale (con tutti i limiti che la
comunicazione intesa come processo sociale può avere all’interno di un carcere119) la bontà
delle considerazioni e delle teorie proposte nell’ambito delle recenti correnti di cui abbiamo
parlato nel cap. 2 (§ 2): è stata rilevata la possibilità di operazionalizzare, anche rispetto alle
narrazioni di reati e con le tecniche descritte, i modelli psicologico-narrativi su cui la
letteratura internazionale ha puntato l’attenzione a partire dagli anni ’80 (Mancuso e Sarbin,
1983; Robinson e Hawpe, 1986; Sarbin, 1986b): secondo tali modelli gli esseri umani
elaborano cognitivamente le loro azioni seguendo una struttura culturale condivisa (un
modello narrativo consolidato).
I modelli sulla costruzione delle storie (Bruner, 1991; 2002; Smorti, 1997), della trama
intrinseca in qualunque produzione narrativa trova in questa ricerca una ulteriore solida
conferma empirica con particolare riferimento alle intenzioni comunicative (retoriche,
discorsive) del narratore (Biancheria e Cavicchioli, 1998; Melucci, 2001).
La descrizione narrativa della realtà può essere dunque considerata un prodotto della
cultura locale nei contesti della devianza (nei termini della socializzazione narrativa descritta
in precedenza) e della influenza dei modelli narrativi consolidati a un più elevato livello di
astrazione. Come ha infatti scritto Bruner (2002, p. 74) «gli atti narrativi diretti a creare il Sé
sono tipicamente guidati da modelli culturali taciti e impliciti di ciò che esso dovrebbe e
potrebbe essere e naturalmente di ciò che non deve essere». In tal senso, tutte le evidenza
descritte nelle pagine precedenti supportano la tesi di una cultura della narrazione condivisa.
6.4 Studiare i contenuti attraverso le strutture o viceversa?
Fino a questo punto la descrizione e l’interpretazione dei principali risultati emersi
dall’analisi di contenuti e delle strutture narrative. Come si ricorderà, tuttavia, nel cap. 3 § 3
abbiamo fatto riferimento alla proposta di Rosenthal (1993) per un’analisi integrata dei
contenuti e delle strutture narrative. La Thematic Field Analysis (come è stata chiamata questa
proposta teorico-metodologica) ha l’obiettivo di arricchire l’analisi dei contenuti e delle
strutture narrative valorizzando le interazioni reciproche. Un’analisi complessiva delle
strutture (l’organizzazione gerarchica e temporale delle narrazioni) e dei contenuti
(organizzazione tematica) consente al ricercatore di estrarre dai testi un’informazione più
ricca e articolata.
Si tratterebbe, in altre parole, di analizzare i contenuti interni alle strutture narrative (ad
ogni singola dimensione strutturale) di modo che i primi siano interconnessi fra loro
attraverso la configurazione logica empiricamente verificabile (come abbiamo dimostrato nel
paragrafo precedente) delle seconde. I criteri orientativi di base per l’esplorazione di tali
connessioni sono ovviamente la salienza e la pertinenza delle reti semantico-strutturali
ipotizzate: ad esempio, ricercare le dimensioni emotive successive al compimento del reato
(contenuto) nelle sezioni in cui l’attore parla degli eventi critici è illogico dal punto di vista
delle ipotesi da sottoporre a verifica ma lo è ancora di più se pensiamo al come
quotidianamente - ordinariamente - si sviluppa l’azione umana (e cioè che le emozioni
successive seguono l’azione deviante e gli incidenti critici solo logicamente precedenti).
Il ricercatore è chiamato quindi, in questo caso, a fare una lettura delle informazioni
disponibili a un duplice livello: (a) quello della esplorazione dei risultati già ottenuti nelle due
diverse sezioni (contenuti/strutture) alla ricerca delle ricorrenze e delle ridondanze
119
Si vedano a questo riguardo Serra (1997; 2002).
129
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante trasversalmente all’intera base empirica; (b) quello della formulazione di ipotesi ulteriori
(logiche e plausibili) sulle connessioni fra i temi narrativi. Per questo secondo livello (ma la
possibilità di implementarlo in maniera efficace dipende dall’esito e dalla bontà delle
operazioni concettuali a quello precedente), il ricercatore si sta muovendo nell’ottica della
Thematic Field Analysis.
Nella ricerca presentata in queste pagine, l’applicazione della tecnica proposta da
Rosenthal (1993) ha presentato elementi di interesse, ma anche di problemi tecnici che
abbiamo tentato di risolvere secondo le soluzioni che verranno descritte nelle prossime
pagine. Va detto che i punti di partenza sono i risultati ottenuti separatamente rispetto
all’analisi dei contenuti narrativi e delle strutture. Essi sono stati elaborati - secondo le
modalità descritte in questo capitolo - operando di due differenti unità ermeneutiche in
ATLAS.ti: in ciascuna di esse le interviste narrative sono state codificate separatamente con
riferimento agli obiettivi di conoscenza rispetto ai contenuti, nella prima, e sulle strutture (il
modello di Labov), nella seconda.
Alla fine delle due differenti operazioni di codifica (naturalmente dopo aver messo a punto
l’elenco definito dei codici, delle famiglie di codici e di documenti primari), le HU sono state
unite attraverso la funzione “Merge HU” di ATLAS.ti120. Il report dell’operazione di
unificazione è riportato in appendice F.
Ma cosa significa esattamente unificare due unità ermeneutiche per ricercare le
connessioni fra temi/contenuti narrativi attraverso le dimensioni strutturali? Si osservi la
figura 48: in essa sono esemplificate due differenti operazioni di codifica su uno stesso corpus
di testi; il ricercatore assegna separatamente i codici relativi ai contenuti (codici A e B) e
quelli relativi alle strutture (dimensioni strutturali A1 e B1).
Fig. 48: Esemplificazione della funzione di unificazione di due unità ermeneutiche
Quando si unificheranno le due unità ermeneutiche i codici e le dimensioni non verranno
unificati ma risulteranno appaiati in modo che se il ricercatore ha rilevato una relazione di
precedenza fra le dimensioni a livello strutturale (nell’esempio la dimensione A precede la
dimensione B) questa relazione sarà applicabile anche ai codici ad esse associati
(nell’esempio i codici A e B sono associati alla dimensione strutturale A e saranno in
relazione di precedenza strutturale con i codici C, D, etc.).
120
La funzione di unione delle unità ermeneutica è stata implementata in ATLAS.ti con l’obiettivo di facilitare il confronto e
la collaborazione fra codificatori diversi che lavorano sulla stessa base empirica o su due sub-unità di uno stesso corpus di
informazioni. Essa consiste tecnicamente nell’aggiungere un’intera unità ermeneutica all’altra “sommando” ciò che esse
hanno di diverso (es.: alcuni codici) e unificando ciò che è comune (es.: i documenti primari). L’unione di due unità
ermeneutiche è un’operazione particolarmente delicata perché la scelta della strategia di unificazione deve essere ben
ponderata per non rischiare di perdere interamente una delle due unità. Per ulteriori dettagli sulla funzione di unificazione
dell’unità ermeneutiche rinviamo a Muhr (2004) e a De Gregorio e Mosiello (2004).
130
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Nella ricerca qui presentata, tutti i codici della “HU dei contenuti” sono stati appaiati a
quelli della “HU delle strutture” al fine di verificare le associazione dei primi attraverso le
seconde. Tale operazione è logicamente possibile perché - come abbiamo descritto nel § 6.2.1
- le dimensioni strutturali presenti in tutte le interviste narrative sono concatenate in maniera
da definire un modello che è “condiviso” in tutta l’HU (figura 47 nelle pagine precedenti).
I codici presi in esame sono quelli rappresentativi dell’intero set di interviste. Per ciascuno
di essi sono state testate diverse combinazioni con le dimensioni strutturali (figura 49)
secondo criteri di plausibilità e di logica delle connessioni121. Per la verifica di tali relazioni è
stato utilizzato il Query tool, in particolare con due degli operatori di prossimità (“encloses” e
“overlapped by”) secondo le modalità già descritte nel paragrafo precedente:
Il risultato dell’insieme di prove sulle co-occorrenze fra le dimensioni strutturali (indicate
sulla sinistra della figura 49) e i contenuti (alcuni dei quali sono indicati, anche raggruppati
per aree, sulla destra) confermano che la costruzione narrativa dei contenuti ha
un’articolazione interna a tutta l’HU che rispecchia quella delle dimensioni strutturali.
Più specificamente, è possibile delineare un percorso in cui progressivamente si passa dalla
definizione del contesto spazio-temporale dell’evento criminoso (unico codice di contenuto
con co-occorrenze significative per la dimensione strutturale “Setting/Orientation”), con
particolare riferimento alla dimensione del “posizionamento discorsivo nell’ordine spaziale e
temporale” (Harré e van Langenhove, 1999) alla descrizione degli “antecedenti storici” (sia
con coinvolgimento familiare che relativi al contesto più ampio) e degli “eventi critici” che
hanno condizionato la probabilità di mettere in atto condotte devianti (co-occorrenti a
“Complication”).
Fig. 49: Esemplificazione dei sistemi di co-occorrenze messi alla prova per la Thematic Field Analysis
Abstract
collocazioni spazio-temporali
Posizionamenti degli altri
nell’ordine morale
(versante negativo/positivo)
Setting
encloses
temi del
disimpegno
morale
neutralizzazione
dissonanza cognitiva
vittimizzazione
Evaluation
attribuzione esterna
di responsabilità
attribuzione interna
di responsabilità
Complication
overlapped
by
funzione responsabilizzante
della carcerazione
autostima
obiettivi successivi
alla carcerazione
aspetti emotivi
dell’azione
temi relativi agli
antecedenti
effetti espressivocomunicativi dell’azione
movente
strumentale
eventi
critici
agency
obiettivi successivi alla detenzione
Posizionamenti del Sé nell’ordine
morale (versante negativo)
Coda
atteggiamenti anti-istituzionali
Posizionamento
del Sé
nell’ordine
morale
La valutazione di tali eventi ha l’implicazione - sempre narrativamente circostanziata - di
indurre l’attore a una scelta intenzionale (temi e contenuti relativi ai contenuti dell’ “agency”,
121
È stata esclusa la dimensione “Result” poiché - come argomentato in precedenza - non aveva una salienza significativa né
connessioni con le altre dimensioni strutturali.
131
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante all’autoefficacia e della “attribuzione interna di responsabilità”) di produrre proprio quel
comportamento. In particolare, merita un approfondimento la rete di relazioni che è possibile
rilevare fra la dimensione valutativa (“Evaluation”) e le articolazioni degli effetti espressivi
dell’azione deviante (De Leo e Patrizi, 1992; 1999): il Query tool ha infatti estratto 19
quotations (su 26 comuni teoriche) specifiche per gli effetti rivolti verso il Sé e 9 (su 20
comuni teoriche) per quanto riguarda gli effetti comunicativi orientati al cambiamento e alle
relazioni. Nessun risultato particolarmente significativo si è avuto per quanto riguarda gli
effetti riferiti al controllo sociale (formale e/o informale).
La consapevolezza di tale scelta viene però meno quando l’attore passa alla valutazione del
percorso d’azione nei termini delle implicazioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si
associano i temi della “neutralizzazione della norma” e del “disimpegno morale”, della
“attribuzione esterna” (a una fonte identificata e a una fonte generica), della
“dissonanza/ambivalenza” e della deresponsabilizzazione. La dimensione “Evaluation”
mostra robuste co-occorrenze con il “posizionamento degli altri nell’ordine morale sul
versante negativo”.
Le sezioni conclusive delle narrazioni (“Coda”) includono quasi esclusivamente i contenuti
relativi alla “funzione responsabilizzante della detenzione”, agli obiettivi di uscita dal circuito
della devianza (“non commettere più reati”) e degli “aspetti emotivi concomitanti o successivi
alla commissione del reato”.
Quello appena descritto è il percorso logico che consente di studiare le connessioni fra i
temi narrativi attraverso le dimensioni strutturali. Non possiamo tuttavia trascurare che la
stessa identificazione di ciascuna dimensione strutturale è fondata su una preliminare ed
essenziale analisi del contenuto, sebbene questa venga effettuata a un livello assolutamente
iniziale, esplorativo: per identificare cosa è “Abstract” o cosa è “Complication”, infatti, è
necessario leggere e interpretare (in senso stretto, possiamo dire che si deve “analizzare”) il
contenuto delle formulazioni verbali. In questo senso, l’analisi del contenuto precede quella
strutturale la quale (in una fase successiva) supporta un perfezionamento della prima. Nelle
pagine precedenti abbiamo provato a descrivere un percorso di analisi di tipo interpretativo di
questo tipo: come è evidente, risulta difficile sostenere il primato di una tecnica sull’altra. Né
è possibile ritenere strutture e contenuti come settori empiricamente e analiticamente distanti
o inconciliabili. Piuttosto, attraverso l’applicazione della Thematic Field Analysis, è stato
possibile mostrare che un’accurata analisi qualitativa di contenuti e strutture non può
prescindere dall’integrazione continua fra i due, da un continuo scambio o - per dirla con i
termini di Strauss e Corbin (1990) - da un processo di ricerca e di analisi progressivo,
iterativo, ricorsivo.
Come esemplificazione dell’intero percorso di analisi (contenuti e strutture) la fig. 50
riporta un’intera intervista (la storia di un giovane rapinatore) con tutti i codici associati così
come visualizzata su ATLAS.ti: in essa è possibile cogliere il senso delle analisi compiute e in associazione con i codici - il percorso metodologico e concettuale seguito122.
122
Purtroppo, per motivi grafici, alcuni codici nella parte destra della Margin area non sono visibili.
132
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Fig. 50: Testo e codifica di una narrazione
133
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 7.
I criteri di validità e attendibilità nella ricerca qualitativa
«Il modo più semplice con cui la ricerca qualitativa può essere definita è in termini di
differenza: è la ricerca che non fa uso di numeri»: così si esprime Clive Seale (1999, p. 119)
in un testo intitolato The Quality of Qualitative Research nel quale traccia una completa ed
efficace descrizione su come si debbano intendere i criteri di “validità” e “affidabilità” in tale
contesto. Se la citazione appena riportata è infatti il modo più semplice, tuttavia è anche il più
riduttivo in quanto - come l’Autore dimostra ampiamente - esistono strategie di ricerca che
prevedono un uso misto di quantificazione e interpretazione. La stessa ricerca che abbiamo
presentato nelle pagine precedenti fa ampiamente uso della quantificazione, ma le tabelle che
abbiamo riportato nel corso dell’ultimo capitolo illustrano le co-occorrenze fra codici/temi
narrativi nei testi di riferimento: si tratta, in altri termini, dell’esito (sono tabelle di output) del
processo di codifica operato dal ricercatore, una sintesi graficamente compatta e concisa di un
lavoro tutto interpretativo compiuto dal ricercatore. E questi output, a loro volta, sono stati
discussi, contestualizzati e rielaborati in una successiva fase interpretativa che ha costituito in
definitiva il resoconto vero e proprio dei risultati. La quantificazione, da questo punto di vista,
134
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante è un necessario passaggio tecnico fra due momenti esclusivamente demandati ai processi
cognitivi del ricercatore e della sua equipe, dipendenti dall’interazione costruttiva fra testo da
analizzare e contesto in cui l’analisi si svolge. La “frequenza” dei codici dipende da quanto e
come il codificatore ha interpretato i testi di base e questa interpretazione a sua volta viene
utilizzata per costruire ulteriori percorsi interpretativi.
Il dato numerico non è centrale, non è il punto di arrivo in un percorso di ricerca di tipo
qualitativo, ma è spesso una conditio sine qua non per una adeguata rendicontazione ed
esposizione dei risultati e delle fasi della ricerca (si vedano, ad esempio, le scelte che sono
state effettuate dopo la codifica e in sede di discussione delle tabelle “codici x documenti
primari”).
Dunque l’uso dei numeri, se da un lato può essere utile per impostare disegni di analisi più
complessi e statisticamente evoluti, dall’altra può anche servire al ricercatore qualitativo per
perfezionare la presentazione e la gestione delle informazioni fondanti la propria ricerca.
D’altra parte, la componente interpretativa del ricercatore è presente anche nelle tecniche
di analisi cosiddette “forti” come spiegano Fielding e Fielding (1986, p. 12)123:
alla fine tutte le tecniche di raccolta dei dati sono analizzate “qualitativamente”, in quanto l’atto di analisi è
un’interpretazione e perciò necessariamente un’azione selettiva. Sia che i dati raccolti siano quantificabili o
qualitativi, si deve affrontare la questione di quale garanzia abbiamo della correttezza delle loro inferenze.
Più specificamente, la letteratura sulla ricerca qualitativa indica chiaramente come si
dovrebbe intendere la qualità degli studi. Ne ripercorriamo brevemente le fasi.
Sebbene la ricerca qualitativa sia sempre stata definita in antitesi (opposizione, talvolta
vero e proprio contrasto) con quella quantitativa, è stato sostenuto (Seale, 1999; Kruglanski e
Jost, 2000) che i due approcci stiano reciprocamente in termini di continuità (storica, logica e
metodologica). Kruglanski e Jost (2000), nel corso di un’ampia e circostanziata rassegna
storico-critica sui rapporti fra costruzionismo sociale e psicologia sociale sperimentale, hanno
sostenuto che «viene da chiedersi […] se la divisione abbia mai avuto ragione d’esistere» (p.
53)124.
E più avanti, dopo aver descritto le connessioni su alcune questioni epistemologiche, gli
Autori scrivono che
Gli sperimentalisti sanno che si possono avanzare molteplici ipotesi (o costrutti) alternative per spiegare la
maggior parte dei risultati empirici, che tali risultati sono essi stessi “carichi di teoria” e che la nostra selezione
della spiegazione più convincente procede per tentativi ed è soggetta a potenziali revisioni. Anche se la maggior
parte degli sperimentalisti (e probabilmente molti della controparte costruzionista) crede che ci sia un mondo lì
fuori, la possibilità di rappresentarlo fedelmente è ritenuto un ideale regolatore piuttosto che un obiettivo
conseguibile (Popper, 1959). Si potrebbe quindi affermare che i costruzionisti sociali enfatizzano la generazione
di “variazioni” ideative, mentre gli sperimentalisti si concentrano sui criteri di “selezione”, ma entrambi gli
schieramenti incorporano i punti di vista dell’altro (ibidem, p. 58).
Da questo punto di vista le implicazioni in termini di qualità vanno riviste,
contestualizzate; va abbandonata l’idea che solo la ricerca quantitativa soddisfi i criteri di
validità “scientifica” (Seale, 1999; Silverman, 1993).
Lo stesso David Silverman, noto studioso dell’epistemologia della ricerca qualitativa, in
una pubblicazione del 1993, cade nella tentazione di definire i criteri di validità e affidabilità
di questa per differenza dagli approcci psicometrici: è una tentazione che - sebbene
didatticamente utile e chiarificatrice - tuttavia continua a veicolare un’immagine della ricerca
qualitativa come concettualmente, metodologicamente e tecnicamente dipendente da quella
123
La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing
Qualitative Research.
124
In termini analoghi, con specifico riferimento al metodo dei focus group, si è recentemente espressa Zammuner (2003, p.
29): «I metodi qualitativi e quelli quantitativi vengono spesso contrapposti l’un l’altro, ma tale contrapposizione è di fatto
priva di significato».
135
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante quantitativa. Ci sono invece fondate ragioni per ritenere che essa abbia una sua specificità
epistemologica rispetto alla quale è utile interrogarsi anche con riferimento alla qualità.
Silverman (2000) riprende le definizioni di Hammersley (1992) che descrivono i concetti
di validità e attendibilità riferiti alla ricerca qualitativa:
Con validità intendo verità: interpretata come il grado di accuratezza con cui un resoconto rappresenta i
fenomeni sociali cui si riferisce (Hammersley, 1992, p. 57).
L’attendibilità si riferisce al grado di coerenza con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da osservatori
diversi o dallo stesso osservatore in occasioni diverse (Hammersley, 1992, p. 57) 125.
Come specifica efficacemente l’Autore, talvolta i dubbi sulla validità della ricerca
qualitativa sono dovuti a un problema esclusivamente legato all’accounting degli studi:
succede infatti che, a causa di cattive abitudini o per i limiti si spazio spesso imposti ai
resoconti di ricerca, vengano trascurati aspetti fondamentali che rischiano di inficiare la
valutazione della qualità delle ricerche. Il primo fattore che può causare una valutazione
negativa è l’aneddottismo, cioè il fatto che il ricercatore scelga di riferire come
esemplificazioni a sostegno delle sue tesi solo alcuni casi, quelli che ne danno una più
evidente (più chiara) dimostrazione.
Constatati questi problemi, più teorici ed epistemologici che tecnici, l’Autore propone una
rassegna su alcune prassi che consentono di ottenere risultati più validi. Ne proponiamo una
breve sintesi:
9 il principio della confutazione: si rifà “realismo critico” di Popper (1959) e può essere
descritto come il metodo della ricerca attiva di casi che possono non confermare
l’ipotesi: «ciò che caratterizza il metodo empirico è il suo modo di esporre alla
falsificazione, in ogni maniera possibile, il sistema che deve essere verificato» (Kirk e
Miller, 1986, p. 42);
9 la tecnica della comparazione continua: consiste nella formulazione e nel tentativo di
verifica di piccole ipotesi provvisorie in un percorso induttivo che arriva fino a quelle
più generali; la tecnica, «poiché implica un avanti e indietro continuo fra le diverse
parti dei dati, richiede qualcosa di più grande. A un certo punto tutte le parti dei dati
dovranno essere esaminate e analizzate. Questo è un aspetto di ciò che s’intende per
trattamento globale dei dati» (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 255);
9 il trattamento globale dei dati: a differenza della ricerca quantitativa (in cui i risultati
sono ottenuti su campioni selezionati da una popolazione generale), in quella
qualitativa «lavorando con una base di dati più piccola ed esposta ad un continuo
riesame, non dovreste essere soddisfatti finché la generalizzazione non si applica a ogni
singola parte dei dati che avete raccolto. Il risultato è una generalizzazione altrettanto
valida di una correlazione statistica» (ibidem);
9 l’analisi dei casi devianti126: «la tecnica parte con una piccola quantità di dati. Si
produce uno schema analitico provvisorio. Poi si confronta lo schema con altri dati e se
necessario si apportano modifiche allo schema. Lo schema analitico provvisorio va
confrontato costantemente con i casi “negativi” o “discrepanti” finché il ricercatore non
ha ottenuto un piccolo insieme di regole ricorrenti che incorporano tutti i dati sotto
esame» (Mehan, 1979, p. 21)127. L’implementazione di tale tecnica richiede tuttavia
una solida base teorica rispetto alla quale valutare “cosa è deviante e cosa non lo è e
per quali ragioni”;
125
Entrambe le definizioni sono citate in Silverman (2000, trad. it. 2002, p. 249).
Clive Seale (1999) si riferisce a questa strategia nei termini (che ci sembrano particolarmente chiarificatori) di
“accounting for contraddiction” (cfr. cap. 6).
127
La traduzione della citazione è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing Qualitative Research.
126
136
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 9 l’uso di quantificazioni128: si tratta dell’argomento con cui abbiamo aperto questo
paragrafo. Come abbiamo indicato, la quantificazione di per sé stessa non è “pro” né
“contro” la ricerca qualitativa: dipende dall’uso che se ne fa. «Non c’è ragione per cui i
ricercatori qualitativi non debbano utilizzare, quando è appropriato, misure
quantitative. Semplici tecniche di conteggio, teoricamente e idealmente basate sulle
categorie impiegate dagli attori, possono offrire un mezzo per esaminare l’intero corpo
di dati […] Il lettore ha la possibilità di avere il senso che emerge dall’insieme dei dati»
(Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 261).
Meno approfondita - e a nostro avviso meno efficace, nonostante l’enfasi posta sulla
necessità di occuparsi dell’argomento - risulta invece la trattazione che Silverman conduce a
sostegno di una “attendibilità della ricerca qualitativa”. Bisogna precisare innanzi tutto che
l’Autore si rifà in particolare alla ricerca etnografica (delimitando quindi ulteriormente le
possibili estensioni ad altri contesti) e alle osservazioni proposte da Glassner e Loughlin
(1987, p. 27)129.
Nei disegni di ricerca più positivistici, l’attendibilità del codificatore viene valutata in relazione all’accordo fra
codificatori, nella ricerca qualitativa non ci si occupa di standardizzare l’interpretazione dei dati. Piuttosto […]
l’obiettivo è stato quello di assicurarsi un buon accesso alle parole dei soggetti, senza basarsi sulla memoria
degli intervistatori o degli analisti dei dati.
L’affidabilità può essere definita come
il grado di coerenza con cui i casi sono assegnati alla stessa categoria da differenti osservatori o dallo stesso
osservatore in momenti diversi (Hammersley, 1992, p. 67 cit. in Silverman, 1993).
Per tenere conto dell’attendibilità il ricercatore o ricercatrice deve documentare la propria procedura e mostrare
che le categorie sono state usate in modo coerente (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 265).
Per chiarire il concetto, Silverman (1993) fa riferimento all’esemplificazione proposta da
Kirk e Miller (1986, p. 19),
un termometro che mostra la stessa temperatura di 82 gradi ogni volta che è immerso nell’acqua bollente dà una
misura affidabile. Un secondo termometro può dare una serie di misure che variano intorno ai 100 gradi. Il
secondo termometro sarebbe inaffidabile ma relativamente valido, mentre il primo non sarebbe valido ma
perfettamente affidabile.
Il resto della trattazione tuttavia non fa altro che riproporre le disquisizioni sui differenti
(presunti) status epistemologici fra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa.
Peräkylä (1997) affronta i temi della validità e dell’affidabilità con particolare riferimento
all’analisi della conversazione, ma indicando chiaramente che si tratta di osservazioni
rilevanti per tutti i settori della ricerca qualitativa. Egli riprende la concezione di affidabilità
proposta da Kirk e Miller (1986, p. 20) che la definiscono come «il grado in cui il risultato è
indipendente dalle circostanze accidentali della ricerca» (come dire che in una ricerca
successiva, date le stesse condizioni iniziali, il ricercatore dovrebbe ottenere grosso modo le
stesse evidenze). La validità «ha a che fare con l’interpretazione delle osservazioni: se il
ricercatore sta chiamando con il giusto nome ciò che rileva» (Peräkylä, 1997, p. 207). Senza
dilungarci troppo nelle questioni descritte dall’Autore (si tratta di osservazioni molto
specifiche delle analisi della conversazione da lui effettuate) possiamo sottolineare come
alcune delle strategie proposte per incrementare la validità e l’affidabilità siano simili a
128
Silverman parla più specificamente di “percentuali appropriate” facendo direttamente riferimento a esemplificazioni tratte
dalle sue ricerche: ci sembra che il termine “quantificazione” sia, in questo caso, più adeguato.
129
La traduzione della citazione, inclusi i corsivi, è tratta dall’edizione italiana del volume di Silverman (2000), Doing
Qualitative Research.
137
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante quanto proposto da Silverman (2000). In particolare, la “generalizzabilità dei risultati” ci
sembra assimilabile a quello che in precedenza è stato descritto come “trattamento globale dei
dati”; “l’analisi dei casi devianti”, intesa come verifica delle eccezioni che confermano le
regole, è comune a tutte le tecniche di ricerca qualitativa, inclusa l’analisi della conversazione
e la ricerca etnografica; la “validazione per mezzo del turno successivo”, intesa come ricerca
della conferma della bontà delle categorie analitiche rilevate fino a un dato momento,
richiama la tecnica della comparazione continua.
Mantovani (2003) ha condotto una rassegna dei criteri di validità della ricerca qualitativa
nel quadro del “realismo critico”:
La questione dei metodi da usare nella ricerca qualitativa e ancora di più la questione dei criteri di validità da
adottare per valutare l’utilizzo dei metodi in una data ricerca dipendono dalla posizione che il ricercatore prende
su questioni di carattere molto generale che riguardano la conoscenza umana […] la conoscenza scientifica […]
la conoscenza nelle scienze sociali […]. La risposta a queste questioni rinvia ad un campo di studio,
l’epistemologia, che si occupa del modo in cui conosciamo e del valore di verità delle nostre conoscenze. Il
ricercatore che intende usare i metodi qualitativi non potrà affrontare in modo consapevole e coerente le
questioni metodologiche che incontrerà sulla su strada se non avrà riflettuto sulle questioni epistemologiche
connesse alle sue scelte di ricerca (p. 27).
Sintetizzando il panorama delle riflessioni proposte nella letteratura internazionale,
Mantovani (2003) sostiene che i criteri di qualità su cui c’è un consenso sono:
- la “contingenza”, per cui una ricerca ha qualità se viene valutata come applicabile e
coerente rispetto al contesto specifico in cui si svolge,
- la “situatività”, per la qualità dello studio va valutata sempre rispetto all’ambito in cui
si svolge,
- la “riflessività”, che implica la consapevolezza da parte del ricercatore di essere nonneutrale sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico (che le sue
conclusioni sono sempre in qualche modo condizionate dai suoi schemi impliciti e
modelli di riferimento),
- la “validazione da parte dei membri”, che consiste nella valutazione del resoconto della
ricerca da parte dei partecipanti,
- la triangolazione (inizialmente proposta da Denzin, 1978)130, che consiste nella ricerca
di convergenza sulle conclusioni incrociando diverse fonti di informazione.
Quest’ultima tecnica, in particolare, è la più ampiamente citata ma anche quella che si
presta al maggior numero di critiche in quanto fa riferimento ad un assunto realista e
oggettivista della ricerca: si suppone cioè - in analogia con i metodi quantitativi - che la realtà
esterna sia slegata dalle lenti deformanti del ricercatore e inoltre che sia oggettivamente
conoscibile. Peraltro Silverman (2000) e Seale (1999) hanno una posizione critica nei
confronti di questa tecnica perchè non risolve completamente il problema della validità dal
momento che già il tentativo di ottenere una “rappresentazione reale” della realtà131 è in
contraddizione con molti assunti della ricerca qualitativa:
Naturalmente questo non significa che non si debbano usare insiemi di dati diversi o impiegare tecniche varie. Il
problema sorge nel momento in cui utilizzate questa molteplicità come un mezzo per sistemare le questioni
relative alla validità (Silverman, 2000, trad. it. 2002, p. 251).
130
Norman K. Denzin (1978) distingue specificamente quattro possibili declinazioni della triangolazione: data triangulation,
con cui si incrociano i dati di diversa provenienza su uno stesso fenomeno; investigator triangulation, mediante la quale la
conoscenza del fenomeno è data dall’integrazione fra i punti di vista di diversi ricercatori (facciamo notare per inciso che
questa opzione sarebbe implementabile in ATLAS.ti attraverso le funzioni di multi-autoring); theory triangulation, rispetto
alla quale il ricercatore tenta di verificare ipotesi relative a diversi modelli teorici: methodological triangulation, con cui il
ricercatore è chiamato all’utilizzo di differenti opzioni metodologiche per lo studio di uno stesso fenomeno.
131
Delle opzioni fra costruzione reale/oggettiva della realtà e costruzione narrativa/situata abbiamo già tra trattato nella
finestra 2 del cap. 2.
138
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante La triangolazione, anche se si propone il lodevole scopo di aiutare il ricercatore a controllare a controllare i suoi
orientamenti personali, non può valere in realtà da garanzia della validità di una ricerca (Seale, 1999, p. 56 cit. in
Mantovani, 2003, p. 32).
Seale (1999) riprende il lavoro di Lincoln e Guba (1985) nel quale gli Autori associano a
ciascun criterio di qualità nella ricerca positivista-quantitativa (“conventional inquiry”) un
criterio omologo per quanto riguarda la ricerca costruttivista-qualitativa (“naturalistic
inquiry”)132:
- la credibilità (“credibility”), analogo alla validità interna, è data da una prolungata
esposizione al campo di rilevazione delle informazioni e da tentativi di triangolazione
con altre fonti di dati. «Ma la migliore tecnica per stabilire la credibilità è la “verifica
dei partecipanti”133, che consiste nel mostrare i materiali come interviste, trascrizioni e
report di ricerca alle persone con cui al ricerca è stata condotta, cosicché essi possano
indicare l’accordo o il disaccordo con la rappresentazione fornita dal ricercatore»
(Seale, 1999, p. 45);
- la trasferibilità (“trasferability”) è ottenibile fornendo «una dettagliata e ricca
descrizione del contesto studiato in modo da dare al lettore sufficienti informazioni per
valutare l’applicabilità dei risultati in altri contesti» (ibidem). Si tratta, com’è intuibile,
di un criterio paragonabile alla validità esterna, ma utilizzabile laddove non è possibile
avere un campionamento probabilistico e una randomizzazione dei soggetti;
- l’affidabilità (“dependability”), che sostituisce l’attendibilità, per il cui raggiungimento
il ricercatore documenta chi valuta su tutte le fasi del suo lavoro (la metodologia, gli
strumenti e tutte le scelte effettuate nel corso della ricerca inclusi i risultati) al fine di
consentire un giudizio sulla coerenza e la correttezza dell’intero percorso;
- l’autenticità (“authenticity”), «si dimostra se i ricercatori possono dimostrare di aver
rappresentato insiemi di diverse realtà (“fairness”). La ricerca dovrebbe anche aiutare i
membri a sviluppare una “più sofisticata” comprensione dei fenomeni studiati
(“ontological authenticity”), ad apprezzare il punto di vista degli altri come se fosse il
proprio (“educative authenticity”), a sollecitare alcune forme di azione (“catalytic
authenticity”) e ad attrezzare i membri per l’azione (“tactical authenticity”)»134 (Seale,
1999, p. 46);
- la confermabilità (“confirmability”) ha a che fare con le implicazioni dell’attendibilità
(nei termini della ricerca qualitativa). Si parla in questo senso di “affidabilità interna” e
di “affidabilità esterna”: la prima è paragonabile a quello che nei termini classici viene
chiamato “accordo inter-codificatori” e riguarda «il grado in cui altri ricercatori che
applicano costrutti simili possano far corrispondere questi ai dati allo stesso modo in
cui è stato fatto dal ricercatore originario» (Seale, 1999, p. 140); l’affidabilità esterna
invece ha a che fare con la generalizzazione (per questa ragione è in parte
sovrapponibile alla trasferibilità)135 e viene descritta in termini di replicabilità
dell’intero studio: «altri ricercatori impegnati nello stesso o in contesti simili
potrebbero generare gli stessi risultati? […] richiede una completa specificazione degli
assunti sottostanti e delle procedure, informazioni che molti ricercatori, in pratica, non
forniscono» (Seale, 1999, p. 141). Talvolta ci si riferisce a questa tecnica in termini di
“riflessività”, cioè di ragionamento e consapevolezza del proprio ruolo e posizione
132
Più specificamente, Clive Seale (1999) si riferisce a tali indicazioni valutative nei termini di “criteri interpretativi”
(“interpretativist criteriology”). In tale rassegna, l’Autore include un elenco completo dei criteri (su cui c’è un consenso
convergente) in base ai quali valutare gli studi di questo tipo: ne riportiamo una traduzione in appendice G.
133
Nella versione originale di Seale si parla di “member check”.
134
È evidente come i criteri dell’autenticità facciano riferimento a una qualità rilevabile e utilizzabile molto “pratica”, cioè
relativa a contesti reali, confermando la vocazione applicativa e l’autonomia di molta ricerca qualitativa.
135
Pur simili nelle definizioni, confermabilità esterna e trasferibilità si differenziano per un’enfasi sulla valutazione del
singolo percorso di ricerca (la prima) e per una maggiore attenzione alla generalizzabilità a contesti differenti (la seconda).
139
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante (epistemologica e pratica) all’interno della ricerca, nel campo, nel rapporto con gli
intervistati, nella costruzione congiunta delle informazioni136.
In un ambito più specificamente criminologico e coerentemente con l’oggetto del presente
lavoro, è interessante la posizione di Lonnie Athens, criminologo interazionista e ricercatore
qualitativo: come riferiscono Ceretti e Natali (2004), che hanno compiuto un’approfondita
analisi del lavoro di Athens, egli identifica tre criteri di valutazione:
1. il valore teorico della ricerca: con riferimento alla distinzione fra teorie sostantive
(quelle che limitano la spiegazione al singolo fenomeno sociale) e teorie formali (quelle le cui
argomentazioni includono classi di fenomeni sociali) operata da Glaser e Strauss (1967),
Athens propone di assegnare maggiore valore scientifico alle seconde. Secondo questa
prospettiva, le teorie formali (più generali e inclusive) hanno una maggiore qualità in quanto
sono applicabili a un più vasto repertorio di eventi, mentre le teorie sostantive limitano il
contributo ad aspetti circoscritti della realtà;
2. la base empirica dei concetti scientifici: è il principio per il quale le asserzioni
scientifiche «devono dimostrarsi coerenti con le osservazioni e i casi empirici da cui sono
ricavati. È chiaro che affinché questa analisi critica possa darsi, è necessario che lo studioso
fornisca separatamente sia i riscontri empirici di partenza che i concetti da questi ultimi
sviluppati» (Ceretti e Natali, 2004, p. 36);
3. la credibilità scientifica dello studio: in base a questo criterio il ricercatore deve fornire
un resoconto che renda chiari tutti i passaggi compiuti (l’accesso al campo di studio, il
contatto con gli intervistati/osservati, le modalità di trattamento delle informazioni, etc.) e
descriva adeguatamente l’impostazione metodologica e gli strumenti utilizzati.
In generale, possiamo dire che le riflessioni sui criteri di qualità della ricerca qualitativa
sono ampie e ben documentate. Manca tuttavia un accordo di fondo e questo spiegherebbe le
varie sovrapposizioni concettuali (talvolta non esplicitate) per cui una stessa tecnica usata in
settori differenti viene chiamata in maniera diversa oppure, al contrario, una stessa etichetta
ha significati differenti a seconda del contesto in cui viene utilizzata.
Come si vede, il panorama dei criteri e delle tecniche proposte è ancora variegato e, alla
prima impressione, appare forse frammentario: la principale ragione è da imputare alla varietà
di nomenclature per indicare cose abbastanza simili (il lettore avrà certamente notato una
ridondanza nell’esposizione delle proposte dei diversi Autori). Una possibile spiegazione di
questo fenomeno potrebbe stare nel fatto che le diverse proposte afferiscono ad aree
disciplinari distanti e che solo in tempi recenti hanno trovato una convergenza metodologica:
abbiamo fatto riferimento infatti a studi di tipo etnografico (Hammersley, 1992), alla
sociologia (Seale, 1999; Silverman, 1993, 2000), alla psicologia (Mantovani, 2003), a
contributi di epistemologi (Lincoln e Guba, 1985) e al contestualismo degli analisti della
conversazione (Peräkylä, 1997). Queste diversità disciplinari sono, a nostro avviso, la
principale chiave di lettura di questa apparente frammentarietà dei criteri di qualità della
ricerca qualitativa.
Che dire quindi della qualità scientifica della ricerca presentata in questa sede?
Ad un primo fondamentale livello di lettura delle informazioni, è chiaro che lo studio non
ha avuto alcuna pretesa di ricostruzione oggettiva e fedele della realtà (Mantovani, 2003): non
è mai stata nostra intenzione accertare la veridicità delle affermazioni prodotte dagli
intervistati in sede di colloquio, né sarebbe stato eticamente possibile farlo, avendo presentato
la ricerca come totalmente indipendente ed estranea al processo penale e al percorso detentivo
specifico di ciascun intervistato. Piuttosto, come dichiarato fin dal titolo del contributo, il
nostro interesse era rivolto alle “costruzioni narrative”, cioè ai modi soggettivi di rendere
conto dell’azione commessa. Ci siamo dunque collocati su un livello di “narrativismo” in cui
136
Si vedano a questo riguardo i vari riferimenti alla c.d. “intervista attiva” (Holstein e Gubrium, 1997) nel cap. 2.
140
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante la realtà emergente dalla narrazione è costruita momento per momento dall’intervista
nell’interazione con l’intervistatore (Miller e Glassner, 1997; Holstein e Gubrium, 1997).
Da queste premesse e dalla natura precipuamente qualitativa dello studio conseguono
specifiche implicazioni in termini di qualità della ricerca. Con riferimento a quanto descritto
nel corso di questo paragrafo, è possibile sostenere che la ricerca sia dotata di una sua qualità
con riferimento alle linee guida principali che abbiamo provato a tenere in considerazione
come possibili criteri di valutazione del presente lavoro:
a) l’intero percorso di reperimento e analisi delle informazioni è stato condotto con
riferimento al criterio della comparazione continua: la lettura e la codifica di ogni intervista ha
comportato il riesame critico su tutto il corpus dei codici sviluppato fino a qual momento.
L’iter della ricerca, in altre parole, si è svolto secondo i criteri di ricorsività, iteratività e
progressione descritti in precedenza e indicati come fondanti la metodologia della ricerca
qualitativa (Cicognani, 2002a; Ricolfi, 1997; Mantovani e Spagnolli, 2003; Mazzara, 2002;
Strauss e Corbin, 1990; 1994; 1998);
b) tutte le procedure della ricerca sono state documentate al fine di fornire al lettore
approfonditi elementi di valutazione sulla correttezza e coerenza dell’intero percorso teoricometodologico sviluppato. In questo senso, la “trasferibilità” di cui parlano Lincoln e Guba
(1985) e Seale (1999) diventa obiettivo perseguibile e la ricerca nel suo complesso assume
un’importanza non limitata alla “sostanzialità teorica” (Glaser e Strauss, 1967; Athens, 1984;
Ceretti e Natali, 2004);
c) il terzo elemento che informa sulla qualità della ricerca descritta nelle pagine precedenti
è la riflessività a cui direttamente o indirettamente fanno riferimento molti dei Autori citati in
questo paragrafo (Mantovani, 2003; Fielding e Fielding, 1986; Seale, 1999; Silverman, 2000):
ne sono esempi le sezioni in cui abbiamo descritto le reazioni degli intervistati alla proposta di
partecipazione alla ricerca (si trattava, come si ricorderà, di risposte positive proprio perché
dirette a un ricercatore estraneo a sistema giudiziario) oppure l’ampia descrizione che è stata
fatta delle prime fasi di trattamento delle informazioni (codifica, definizione delle code
families, perfezionamento della code list, etc.).
D’altra parte, bisogna tuttavia evidenziare l’impossibilità tecnica di utilizzare alcune delle
altre soluzioni previste dai metodologi qualitativisti: la triangolazione - specificamente nelle
accezioni di data, investigator e methodolology triangulation (descritte nella nota n. 130) non era utilizzabile in questo studio per le evidenti ragioni legate al contesto di rilevazione:
non era possibile “installare” in carcere un’equipe di ricerca con l’obiettivo di rilevare e
incrociare set di informazioni provenienti da ricercatori o da fonti di dati differenti, né
chiedere all’amministrazione penitenziaria di tornare successivamente per effettuare altre
interviste con le stesse persone o con la proposta di sistemi di osservazione. Allo stesso modo,
era difficile immaginare a una “validazione da parte dei rispondenti”.
8.
Conclusioni e implicazioni
Lo studio che abbiamo presentato in queste pagine è riferito a un gruppo di rispondenti che
vivono una situazione reale, la detenzione. Da questo punto di vista, si tratta di una ricerca che
si colloca a pieno titolo nel panorama delle strategie di ricerca “sul campo”. La letteratura
sulla devianza e sul resoconto delle azioni devianti comprende anche ricerche che hanno
operato simulazioni di interazioni in laboratorio: Gonzales, Haugen e Manning (1994), ad
esempio, hanno perseguito l’obiettivo di ricostruire - utilizzando metodi sperimentali - le
sequenze narrative e discorsive che si instaurano fra vittime e autori di reato. Tale
impostazione, sia pure utile sotto il profilo del rigore metodologico non rende adeguatamente
conto della complessità delle situazioni narrative in contesti reali.
Come abbiamo descritto in precedenza (§ 3 in questo capitolo), la ricchezza delle
elaborazioni narrative rilasciate dai 34 intervistati che abbiamo incontrato è stata determinata
141
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante in primo luogo dal fatto che essi si trovassero di fronte un intervistatore-ricercatore
completamente estraneo al sistema della giustizia penale e che in tale contesto specifico hanno
ritenuto opportuno raccontare le proprie storie.
Si tratta - come abbiamo anticipato nel cap. 1 § 3.1 - di una chiara attualizzazione della
differenza fra verità narrativa e verità storica delle narrazioni (Brockmeier, 1999): l’esigenza,
necessariamente determinata dal contesto in cui la narrazione si è sviluppata, di fornire una
versione dei fatti plausibile e coerente e la necessità (tipicamente umana) di proporre
un’immagine positiva di Sé hanno favorito l’espressione di contenuti che non si sarebbero
presentati allo stesso modo in un differente contesto (Bercelli, 2004; Brockmeier, 1999). Se
(come univocamente hanno affermato molti intervistati) la richiesta di raccontare fosse
arrivata da una persona strutturalmente appartenente al mondo della giustizia penale i
resoconti avrebbero avuto una differente costruzione narrativa, sarebbero stati meno ricchi di
dettagli. Sarebbero stati, in altri termini, resoconti diversi relativi - narrativamente parlando ad altri fatti137.
A situazioni di questo tipo fanno riferimento Holstein e Gubrium (1997) quando parlano di
“intervistare attivo”:
Anche il narratore è profondamente immerso nelle sue memorie, il suo modo di presentare la storia della sua vita
non è mai indipendente dalla situazione di intervista ed è sempre indirizzato verso il suo ascoltatore. Il ruolo
dell’intervistatore come co-autore della storia emergente ha ricevuto un interesse solo marginale nella ricerca
sulle interviste […]. Ciò è in contrasto con il ruolo del lettore nelle produzioni letterarie (Eco, 1979) o con la
considerazione del ruolo dell’ascoltatore nella pianificazione e nella gestione di una conversazione […].
Un’attenta analisi della situazione dell’intervista a fini di ricerca, comunque, rivela che quella dell’ascoltatore è
una figura complessa che può assumere molte diverse posizioni nel corso dell’intervista (Lucius-Hoene e
Deppermann, 2000, p. 213).
Nelle situazioni descritte, l’intervistatore-ascoltatore interviene ad almeno due livelli:
- quello dell’interazione nel momento in cui la narrazione ha luogo,
- quello dell’analisi successiva.
In entrambi i casi, l’interazione si sostanzia in un flusso continuo di procedimenti
interpretativi reciproci: l’intervistato costruisce in tempo reale una rappresentazione della
realtà (situata nel contesto in cui la narrazione viene prodotta), ma per farlo compiutamente si
basa sull’anticipazione dell’interpretazione che il ricercatore farà in sede di analisi delle
informazioni; quest’ultimo, da parte sua, ricostruisce il senso di quanto ascolta alla luce di
quanto sa da informazioni pregresse e, soprattutto, alla luce degli obiettivi della ricerca che sta
conducendo (Baumeister e Newman, 1994). L’interpretazione delle interviste narrative è un
momento delicato e caratterizzato dal fatto che è «l’esito di un processo fondato sulla
comunicazione, che origina una sequenza di interpretazioni parziali e provvisorie» (Rampazi,
2001, p. 136). Nel corso di questo processo, come ha efficacemente sostenuto Bruner (2002,
p. 75), «i nostri racconti creatori del Sé ben presto riflettono il modo in cui gli altri si
aspettano che noi dovremmo essere. Senza troppo accorgercene, elaboriamo un modo
decoroso di parlare a noi stessi».
La costruzione narrativa dei contenuti sembra articolarsi nei termini di un percorso in cui
progressivamente si passa dalla definizione del contesto spazio-temporale dell’evento
criminoso (con particolare riferimento alla dimensione del Posizionamento discorsivo
nell’ordine spaziale e temporale: Harré e van Langenhove, 1999) alla descrizione degli eventi
critici che hanno condizionato la probabilità di mettere in atto condotte devianti. La
valutazione di tali eventi ha l’implicazione - sempre narrativamente circostanziata - di indurre
l’attore a una scelta intenzionale (temi e contenuti relativi alle dimensioni dell’agency,
all’autoefficacia e dell’attribuzione interna) di produrre proprio quel comportamento. La
consapevolezza di tale scelta viene però meno quando l’attore passa alla valutazione del
137
Si tratta di una specifica articolazione del concetto di “posizionamento” a cui Tschuggnall (1999), riprendendo Bakhtin
(1981), ha dato il nome di “intertestualità”.
142
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante percorso d’azione nei termini delle implicazioni morali: in tal senso, nelle narrazioni si
associano i temi della neutralizzazione della norma e del disimpegno, dell’attribuzione esterna
e della deresponsabilizzazione.
Per quanto riguarda la struttura delle narrazioni, la ricerca ha preso spunto dall’Evaluation
Model (Labov e Waletsky, 1967). In prospettiva di un’applicazione del modello all’analisi
delle narrazioni la ricerca ha portato a una sua conferma solo parziale: il modello strutturale
emerso dalle 34 interviste infatti include una struttura narrativa formata da una
concatenazione fra 4 delle 6 dimensioni originarie. Si tratta di una struttura in cui le
dimensioni previste non si collocano nella sequenza prevista dalle formulazioni del modello
in altri settori (Abstract Æ Setting Æ Complication Æ Evaluation Æ Result Æ Coda) e che
mostra forti differenze in dipendenza dal tipo di reato narrato e dell’esperienza del narratore
nel circuito della devianza.
I risultati hanno il pregio di essere ottenuti su un gruppo di rispondenti “reale” in un
contesto naturale, seppure reclutati su base volontaria. La complessità dell’intero impianto
metodologico mette in particolare risalto l’onerosità del processo di codifica delle interviste
narrative svolto in tornate successive di rilettura dei testi. L’approfondito lavoro di
integrazione fra aspetti teorici ed empirici (condotto conformemente ai criteri di validità della
ricerca qualitativa indicati in letteratura) ha prodotto importanti risultati che completano le
evidenze della ricerca precedente con particolare riferimento alla costruzione narrativa della
responsabilità propria e altrui, della capacità d’azione, degli aspetti cognitivi ed emotivi che
risultano diversamente correlati alle diverse fasi di valutazione dell’evento e delle sue
conseguenze.
Un approfondimento merita la possibilità di generalizzazione dei risultati della ricerca.
Come abbiamo descritto in precedenza, il criterio della trasferibilità, proposto da Lincoln e
Guba (1985) e ripreso da Seale (1999), sostiene la liceità dell’ampliamento delle evidenze
rilevate in uno studio ad altri che condividano talune caratteristiche di fondo138: «il grado di
somiglianza fra il contesto di partenza (“sending”) e quello di estensione (“receiving”). In
questo modo, non è necessario specificare la validità esterna; si può fornire solo la consistente
descrizione necessaria per far sì che coloro che sono interessati a trasferire i risultati possano
valutarne la possibilità» (Lincoln e Guba, 1985, p. 316 cit. in Seale, 1999, p. 107-108). Quello
della possibile estensione dei risultati ad altri contesti è un argomento da non trascurare:
In conclusione, riteniamo dunque che la ricerca presentata nelle pagine precedenti ponga
all’attenzione della comunità scientifica alcune utili indicazioni riferibili alle seguenti aree:
- peculiarità del contributo metodologico, con riferimento alla proposta di un percorso di
reperimento/costruzione e di analisi delle informazioni coerente ad un duplice livello:
(a) coerenza interna, della ricerca nelle sue diverse fasi, (b) coerenza esterna, rispetto
alle indicazioni della letteratura metodologica nazionale e internazionale sulla ricerca
qualitativa;
- specificità della proposta, con riferimento in particolare all’oggetto e al contesto di
riferimento;
- innovazione, nella misura in cui la ricerca si propone come contributo articolato e
coerente su tecniche e soluzioni di analisi, di reporting delle informazioni e su
applicazioni informatiche non ancora sperimentate (talvolta sperimentate in maniera
solo esplorativa) nel panorama della ricerca nazionale;
- propositività, di strategie di reperimento, trattamento e analisi delle informazioni con
particolare riferimento alla ricerca qualitativa nei settori psicologico-sociale e
criminologico.
138
Altrove si scrive che «il fondamento della generalizzazione teorica sta nella logica piuttosto che nella probabilità»
(Mitchell, 1983, p. 200 cit. in Seale, 1999, p. 109) e che «la validità dell’estrapolazione non dipende dalla tipicalità del caso,
ma dalla consistenza (“strenght”) del ragionamento teorico» (Seale, 1999, p. 109).
143
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Dal punto di vista delle implicazioni pratiche e operative, ci sembra che le indicazioni
emerse dal presente lavoro si possano collocare su tre piani distinti ma interagenti: quello
teorico, quello metodologico e quello dell’intervento.
Dal punto di vista teorico, la ricerca ha fatto emergere un possibile completamento dei
modelli esistenti sul resoconto dell’azione deviante. In questo senso, è possibile argomentare
che “collocarsi discorsivamente”, “posizionarsi” nella costruzione narrativa della propria
azione significa certamente ridescrivere i fatti ma significa anche reinterpretarli alla luce della
situazione attuale: gli ampi riferimenti fatti dagli intervistati alle dimensioni della
giustificazione (della neutralizzazione e del disimpegno), alle scelte, alla capacità d’agire e
alla riassunzione di responsabilità ci consentono di complessificare il quadro teorico di
spiegazione dell’azione deviante rispetto alle singole focalizzazioni dei modelli precedenti
fino ad ora disponibili in letteratura. Diventa più evidente che il resoconto dell’azione non può
che collocarsi in un’argomentazione complessa e complessiva che include anche una
descrizione di Sé alle prese con quell’azione e comprende un dialogo costante con gli aspetti
normativi rappresentati, nel qui e ora del resoconto, anche dalla presenza del ricercatore:
se la presenza di norme di condotta impone di pensare al soggetto come a un essere in relazione la cui presenza
sociale passa per e attraverso relazioni, assumere la relazione come unità di analisi comporta innanzitutto
prendere atto che le norme di condotta “derivano” dalla formalizzazione di regolarità riscontrabili nelle relazioni
sociali (Coco, Micheluzzi e Pisapia, 2003, p. 36).
In tale contesto, parlare dell’azione e delle sue implicazioni - attribuirle un significato (non
solo quindi nei termini di cosa è accaduto, ma soprattutto del perché è accaduto) - è un
parlarne all’interno di un contesto sociale e normativo definito in cui anche l’assunzione (o la
non assunzione) di responsabilità riveste un obiettivo specifico, quello della descrizione di Sé
alle prese con l’azione/l’altro/la norma.
Dal punto di vista metodologico, come abbiamo accennato in precedenza, riteniamo che il
percorso esemplificato nelle pagine precedenti possa fornire un contributo in termini di
innovazione delle operazioni di trattamento e analisi delle informazioni testuali: non che
mancassero in precedenza nel panorama della ricerca empirica delle buone prassi, ma la
ricerca psicologico-sociale e criminologica è probabilmente rimasta, negli ultimi tempi,
ancorata a modelli di ricerca e di analisi dei dati che non sempre si adattano all’evoluzione dei
modelli di spiegazione dei fenomeni e dei processi studiati. Se, come hanno scritto Kruglanski
e Jost (2000), la psicologia sociale sperimentale e l’approccio costruzionista condividono
parte degli obiettivi e delle spiegazioni epistemologiche non c’è ragione perché la ricerca
empirica continui a preferire la prima e a trascurare il secondo: in questo senso, riteniamo che
lo studio svolto possa adeguatamente esemplificare un possibile percorso di ricerca secondo il
modello costruzionista.
Infine, dal punto di vista operativo e applicativo, la ricerca svolta mostra i suoi vantaggi
soprattutto in connessione agli aspetti teorici: il resoconto dell’attore che ha commesso
un’azione socialmente e penalmente rilevante è un punto di accesso privilegiato per
comprenderne le ragioni. Rispetto a tali ragioni infatti andranno previsti opportuni interventi
rieducativi e di riabilitazione che devono necessariamente partire dalla “riappropriazione della
propria azione” da parte del soggetto che l’ha compiuta. All’interno del resoconto dell’azione,
ci sono elementi per focalizzare l’attenzione su tre livelli:
- quello della conoscenza (ricollegandosi quindi coerentemente ai modelli teorici alla
base dell’intervento) con particolare riferimento alla fase evolutiva in cui l’azione e il
resoconto si collocano (le evidenze sulla “socializzazione narrativa” prospettano non
poche implicazioni sia dal punto di vista strettamente teorico sia indirettamente in
termini di trattamento idealmente differenziato fra “novizi” ed “esperti”),
- quello dell’operatività e degli interventi di trattamento e prevenzione:
appare chiaro come, in questo processo, assumano importanza fondamentale le agenzie istituzionali ed il
sostegno informale che, attraverso risposte che offrano immagini alternative a quelle strutturate rigidamente
144
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante lungo il percorso deviante, possono indurre prospettive di cambiamento e di rottura dell’identità disadattiva in
cui la persona si riconosce. Il tessuto sociale più ampio può e deve assumere una responsabilità rispetto alla
possibilità per una carriera deviante di essere ridirezionata, attraverso risposte sanzionatorie che includano
l’attenzione alle risorse latenti della persona nell’obiettivo di sostenere percorsi riabilitativi che offrano effettive
opportunità di cambiamento sul piano intrapsichico-individuale e socio-relazionale (Patrizi, 2004, p. 31);
-
quello della (ri)assunzione di responsabilità e di ricollocazione nel sistema di regole da
parte dell’attore:
penso che trovare spazi di riflessività può essere un punto di partenza per il discorso riabilitativo. Per chi è
interessato a lavorare con il prigioniero per aiutarlo a definire un Sé non deviante, espressioni come “Non so chi
me lo ha fatto fare” […] meritano un maggiore approfondimento.
[…] questa ricerca mostra che la promozione di interventi discorsivi è un passo verso la revisione dei prigionieri
di sé stessi come agenti (O’Connor, 1995, p. 452).
145
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160
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice A
Scheda degli indicatori rilevabili nelle narrazioni e riferiti ai modelli teorici
Comportamento manifesto
- descrizione dei comportamenti (anche
degli altri partecipanti)
- prospettiva di un osservatore esterno
Aspetti cognitivi
- organizzazione/pianificazione
- emozioni (prima, durante, dopo l’azionereato)
- obiettivi/aspettative espliciti
- azione come soluzione (anche rispetto agli
altri partecipanti) di un problema
monitoraggio
- strategie di problem solving
- anticipazione dei risultati e/o degli effetti
immediati
- reazione propria e altrui all’arresto
Funzioni e significati
- significati soggettivi precedenti all’azione
- significati soggettivi seguenti all’azione
- significati attribuiti da altri (vittima,
testimoni, famiglia, società)
- effetti riferiti al controllo sociale
(precedenti e successivi)
Tappe della carriera
- periodo precedente all’incontro con la
devianza
- periodo di incontro effettivo con la
devianza
- primo reato (vissuti, sensazioni, ecc.)
- periodo successivo e conseguenze
- prosecuzione
- risoluzione e uscita dal circuito della
devianza
- effetti di relazione (precedenti e
successivi)
- effetti Sé (precedenti e successivi)
- effetti di cambiamento (precedenti e
successivi)
Antecedenti storici
- valenza (positiva/negativa) nella storia di
vita
- valenza (positiva/negativa) rispetto
all’incontro con la devianza
- salienza percepita (anche rispetto alla
devianza)
Incidenti critici
- valenza (positiva/negativa) nella storia di
vita
- valenza (positiva/negativa) rispetto
all’incontro con la devianza
- salienza percepita (anche rispetto alla
devianza)
Scenari alternativi
- eventuali aspetti rilevanti non trattati
(autostima, autoefficacia, tecniche di
neutralizzazione della norma, etc.)
Posizione rispetto all’intervista/resoconto
161
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice B
Traccia di intervista narrativa
Codice intervista-intervistato:
Data:
Reato:
162
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Traccia di intervista per l’analisi dell’azione deviante
Premessa
- Introduzione all’intervista: illustrazione degli obiettivi dell’indagine, delle
finalità e dell’uso di quanto emergerà dall’interazione.
- Rassicurazioni sull'anonimato riguardo a quanto la persona dirà.
- Eventuali richieste o premesse dell’intervistato.
Domanda di apertura
(domanda che può esaurire l’intervista o servire da base per le sezioni successive)
Potrebbe raccontarmi il reato per cui si trova qui (nel caso, frequente, in cui
l’intervista si svolga in carcere o comunque in fase esecutiva della pena) o un reato
che è stato particolarmente importante? Un’azione che ha avuto conseguenze penali e
di cui le andrebbe di parlarmi?
La prego di raccontare dal suo punto di vista. Non intendo un riassunto di quello che è
successo, ma come lo racconterebbe a qualcuno che non ne sa niente, che è molto
interessato al racconto e che ha molto tempo a disposizione.139 (Specificare che il
racconto può iniziare da un qualunque momento temporale, dalle conseguenze o dagli
antecedenti, e da qualunque sua sequenza).
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_____________________________________________________________________
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(solo per gli indicatori non trattati dalla risposta alla domanda precedente: domande
specifiche da 1 a 27)
139
La formulazione di quest’ultima richiesta è stata tratta, con gli opportuni aggiustamenti, da
Bruner e Feldman (1999).
Prima sezione: comportamento manifesto
1. Come racconterebbe questo stesso fatto un osservatore esterno? Cosa avrebbe
visto un passante, uno spettatore di quell’azione?
Le sto chiedendo di raccontare in dettaglio solo ciò che avrebbe potuto vedere
un’altra persona.
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2.
Può descrivermi tutto quello che hanno fatto le diverse persone che erano presenti
in quella situazione?
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Seconda sezione: cognizioni coscienti
3. Ricorda quello che ha pensato, provato, prima di fare quell’azione? Si è
“organizzato”, l’ha preparata?
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4. Qual era il suo scopo? Cosa si aspettava di ottenere?
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5. Ricorda come è nata l’idea di quell’azione?
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6.
(solo se vengono fatti richiami ad altre persone) Chi ci ha pensato in particolare?
163
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante _____________________________________________________________________
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7. E lei che cosa ne pensava?
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_____________________________________________________________________
13. È cambiato qualcosa dopo?
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_____________________________________________________________________
8.
Ricorda i suoi pensieri nel corso dell’azione? (a seconda del tipo di reato e del
suo svolgimento, formulare la domanda utilizzando i momenti salienti dell’azione
indicati dall’intervistato)
_____________________________________________________________________
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_____________________________________________________________________
Terza sezione: funzioni e significati
14. Le sarebbe possibile ricostruire quello che significava per lei quell’azione, prima
di compierla?
_____________________________________________________________________
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_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
9.
Ricorda se, e in quale momento, ha pensato a quello che sarebbe accaduto subito
dopo?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
15. Mentre eseguiva l’azione, e poi, subito dopo che l’ha fatta, quell’azione ha
cambiato in parte significato?
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_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
10. Ricorda cosa pensava quando è stato preso?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
16. Secondo lei, che significato ha avuto per gli altri? Come hanno considerato il
fatto, ad esempio, la vittima, le persone che lo hanno appreso attraverso i
giornali?
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_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
11. Cosa ha provato in quel momento?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
17. Prima di compiere l’azione, ha pensato a come si sarebbero comportate le forze
dell’ordine?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
12. Come hanno reagito le persone a lei più vicine?
164
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante _____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
18. Come si sono comportate poi?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
19. Prima di agire, che significato pensava avrebbero dato alla sua azione il gruppo di
amici e la sua famiglia?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
20. Una volta saputo cosa era successo, cosa le hanno fatto capire i suoi migliori
amici, e i suoi familiari? Cosa ne pensavano?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
21. Secondo lei, che significato ha avuto effettivamente per la sua famiglia, per i suoi
migliori amici?
22. C’è qualcuno per il quale quello che lei ha fatto ha significato qualcosa in
particolare?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
23. (se si è già svolto il processo) C’è qualche differenza, che ritiene rilevante, fra il
modo in cui quello che lei ha fatto è stato considerato durante il processo e il
modo in cui lo considera lei?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
24. In genere, non è semplice descrivere ciò che un’azione rappresenta per noi, il suo
significato più intimo, quello che pensiamo e proviamo mentre agiamo, o dopo,
ripensandoci. Cosa può dirmi in proposito?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive
25. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se...
(si chiede alla persona di completare la frase)
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
26. C’è qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene
particolarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di
vista?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
27. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti
così importanti?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
165
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Traccia di intervista sulla carriera deviante
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Prima sezione: percorso di vita
1.
Le nostre vite cambiano continuamente, ma alcuni sono cambiamenti cruciali,
cambiamenti di direzione, potremmo dire. Questi cambiamenti, in genere, sono
legati ad episodi rilevanti. Ripensando a lei, alla sua storia, può individuare alcuni
di questi episodi (2 o 3)? Può raccontarmeli brevemente spiegando anche le
ragioni per cui li considera così rilevanti?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Seconda sezione: carriera deviante
2. Passiamo alla situazione attuale. Per quale reato è in carcere (o è stato
condannato)?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
3.
Così come abbiamo fatto rispetto alla storia della sua vita, anche riguardo alla sua
storia di rapporto con la giustizia è possibile pensare che ci siano stati periodi
diversi, da quando ha iniziato fino ad oggi. Può parlarmene cercando, se ricorda,
di dirmi come è avvenuto il passaggio da un periodo all'altro e se ci sono stati
episodi importanti che possono aver segnato questi passaggi? (= da quando ha
commesso il primo reato ad oggi avrà attraversato delle fasi importanti, potrebbe
descrivermele raccontandomi gli episodi che hanno segnato il passaggio da una
fase all’altra?)
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
le domande seguenti (5-22) andranno formulate solo nel caso in cui il soggetto non
abbia già risposto - indirettamente – attraverso le domande precedenti
Terza sezione: tappe della carriera
4. Provi a ripensare a se stesso prima di cominciare, cosa ricorda di sé?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
5. E del periodo in cui hai iniziato, ricorda episodi importanti (positivi o negativi)?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
6.
Che descrizione farebbe di sé, riferendosi a quel periodo? Che tipo di persona
era?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
7. Ricorda il primo reato? (anni, tipo di reato, da solo o in gruppo)
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
8. Perché pensa che l'ha fatto?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
166
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 9.
Pensando anche ad altre persone, perché e come pensa che si inizi a commettere
reati?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
10. Per lei, è cambiato qualcosa dopo? (nella sua vita, in famiglia, nel gruppo di
amici)
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
11. Quali sono state le conseguenze più negative sulla sua vita?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
12. Perché pensa di aver continuato?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
13. Ha mai pensato di smettere?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
14. (se sì) In quale occasione? Cosa pensa che le ha poi impedito di farlo?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
15. Quali motivi, secondo lei, possono far sì che una persona decida di smettere?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
16. E per quali motivi, invece, una persona decide di continuare?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
17. Per quanto le riguarda, cosa pensa che potrebbe farla decidere di smettere?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
18. Cosa le viene in mente pensando a sé quando sarà uscito dal carcere (quando avrà
finito di scontare la pena)?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Quarta sezione: scenari alternativi e considerazioni conclusive
19. Le cose avrebbero potuto andare diversamente...se...
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
20. C’è qualcosa di importante che non abbiamo trattato? Qualcosa a cui tiene
particolarmente? Qualcosa che possa consentirmi di capire meglio il suo punto di
vista?
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
21. Cosa pensa di questa intervista e del modo in cui abbiamo affrontato argomenti
così importanti?
167
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Solo alla fine dell’intervista
Dati di sfondo
(per inquadramento descrittivo dell’intero campione: verranno trattati in maniera aggregata senza alcun
riferimento all’identità del soggetto)
28. Età
29. Regione di provenienza
30. Titolo di studio
31. Come consideri il quartiere dove sei cresciuto?
‰
Un quartiere di periferia
‰
Un quartiere di centro
‰
Una zona a rischio
‰
Un piccolo paese
32. Ha la famiglia?
‰
Si
‰
No
33. Se sì, chi siete in famiglia?
34. Era occupato o disoccupato quando ti hanno arrestato?
‰
Occupato
‰
Disoccupato
35. Se era occupato, che lavoro svolgevi?
‰
Operaio
‰
Artigiano
‰
Impiegato
‰
Insegnate
‰
Commerciante
‰
Libero professionista
‰
Altro
36. Da quanto tempo si trova in carcere?
‰
Meno di 6 mesi
‰
Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo
‰
Tra 1 anno e mezzo e 3 anni
‰
Oltre 3 anni
37. Quanto tempo deve ancora trascorrere in carcere?
‰
Meno di 6 mesi
‰
Tra 6 mesi e 1 anno e mezzo
‰
Tra 1 anno e mezzo e 3 anni
‰
Oltre 3 anni
168
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 38. Ha avuto detenzioni precedenti?
‰
Si
‰
No
39. Se sì, quante?
‰
1
‰
2
‰
3
‰
Più di 3
40. Se sì, per quali reati hai avuto detenzioni precedenti?
__________________________________________________________________________________________
Note sul setting
Ulteriori osservazioni
169
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice C
Roma, …/…/….
c.a. Ufficio Segreteria Generale
e Direzione Generale Detenuti e Trattamento
Oggetto: richiesta autorizzazione
Io sottoscritto, Eugenio De Gregorio, dottorando di ricerca in Psicologia Sociale presso il
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione (cattedra di Psicologia
Giuridica, prof. Gaetano De Leo), chiedo l’autorizzazione per accedere alla Vostra struttura al
fine di svolgere una serie di circa 50 interviste con i detenuti del Vostro Istituto nell’ambito
della tesi di dottorato dal titolo “Teoria dell’Azione e Posizionamento discorsivo: verifica e
confronto di due modelli per lo studio dell’azione deviante”. Le interviste verranno strutturate
sotto forma di narrazioni e avranno come argomento centrale lo sviluppo della carriera140 e
dell’azione deviante. Le interviste avranno una struttura narrativa e si prevede una durata di
circa 1 ora per ciascuna di esse.
A tal fine chiediamo la Vostra collaborazione per consentire
- l’accesso ai locali dell’Istituto nei tempi necessari per lo svolgimento delle interviste
secondo le modalità da Voi previste,
- l’utilizzo di un audioregistratore (previo consenso del detenuto), necessario per non
perdere la molteplice ricchezza delle informazioni ottenute dalle interviste.
Ritengo opportuno sottolineare il valore della presente ricerca, che si fonda sull'esigenza di
poter identificare modalità specifiche di strutturazione della narrazione, dei suoi contenuti e
dei significati.
Sottolineo inoltre che tutte le informazioni ricavate dalle interviste saranno trattate in
conformità alla legge sulla privacy, pertanto - oltre garantire l’anonimato - saranno analizzate
cumulativamente e non individualmente.
Per ulteriori chiarimenti e per Vostre comunicazioni rimango disponibile ai seguenti recapiti:
[omissis]
Fiducioso in una vostra positiva risposta,
porgo cordiali saluti.
dott. Eugenio De Gregorio
140
Il titolo della tesi è cambiato, per le ragioni descritte in precedenza, in corso d’opera.
170
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice D
Roma, …./…./….
c.a. dott. Mauro Mariani
Direttore dell’Istituto Penale “Regina Coeli”
Oggetto: ricerca qualitativa e impegni nei confronti della Struttura
Con la presente, io sottoscritto Eugenio De Gregorio, dottorando di ricerca presso il
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, comunico che – in
riferimento alla ricerca da svolgere presso la Vostra Struttura – mi impegno a far sottoscrivere
ai soggetti volontari che sceglieranno di collaborare una lettera liberatoria quale
autorizzazione al trattamento dei dati personali e all’utilizzo delle informazioni ai soli fini
della ricerca (come previsto dalle Legge 675/96). Come da accordi precedenti intercorsi con
la dott.ssa Margherita Marras, tale documento verrà redatto in duplice copia, rimanendo una
delle due agli atti presso i Vostri uffici.
Ricordo inoltre che ai fini dello studio proposto, i soggetti intervistati potranno rimanere
anonimi all’intervistatore e i protocolli delle loro interviste potranno essere contrassegnati da
semplici etichette verbali o numeriche.
Considerando che il termine previsto del corso di dottorato è Dicembre 2004, mi impegno
inoltre a far pervenire presso il Suo Ufficio copia dell’elaborato che verrà redatto entro tale
data.
Ringraziando ancora per la collaborazione, porgo i più cordiali saluti,
dott. Eugenio De Gregorio
dottorando in Psicologia Sociale
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione
171
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice E*
Copia per l’intervistato
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione
Giugno 2003
Titolo della ricerca: Costruzione narrativa dell’azione deviante
Obiettivo
Stiamo conducendo una ricerca sull’azione deviante. A tal fine chiediamo la sua disponibilità
a partecipare a un colloquio / intervista della durata di circa 1 ora – 1 ora e ½.
Si tratterà di una sorta di chiacchierata con un ricercatore in cui le verrà chiesto di discutere
argomenti che riguardano il reato per cui è attualmente detenuto.
Rispetto della privacy
Le seguenti procedure saranno seguite al fine di garantire la confidenzialità delle Sue
informazioni:
Le informazioni che Lei ci fornirà saranno contrassegnate da un numero d’ordine per
salvaguardare l’anonimato.
Tutte le informazioni che Lei ci fornirà saranno utilizzate per soli scopi di ricerca.
La Sua identità non sarà rivelata in alcuna pubblicazione.
Diritti del partecipante alla ricerca
La Sua partecipazione a questo studio è volontaria.
Lei riceverà una copia di questa lettera di consenso da conservare.
Per quanti fossero interessati, il responsabile della ricerca si impegna a far pervenire copia dei
risultati della ricerca, mediante le pubblicazioni che verranno effettuate sull’argomento.
Per qualsiasi difficoltà o problema a proposito di questo studio, può contattare [omissis]
Autorizzo al trattamento dei dati e alla pubblicazione anonima del materiale trascritto come
sopra specificato ai sensi della L. 675/96 e successive modificazioni.
Data _________________
*
Firma
________________________
Per la form relativa a questo documento si ringrazia la dott.sa Claudia Chiarolanza.
172
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice F
HU MERGE REPORT CREATED 30/11/04 22.30.40 BY GUEST
-------------------------------------------------SourceHU: analisi interviste x dottorato Reb+Reg
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interviste x dottorato reb+reg.hpr5]
TargetHU: analisi interviste_ Posiz+Labov
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interviste_ posiz+labov.hpr5]
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Source-HU
Target-HU
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34
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added to target author(s): SUPER
Author(s) of target HU after merge: ADMIN GUEST SUPER
Adding 14 Memos:
-----------------------------------------------Segue elenco delle memos complessive
Adding 490 Codes:
-----------------------------------------------Segue elenco dei codici complessivi
Adding 7 Primary Doc Families:
-----------------------------------------------+ Esperti
+ Intermedi
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+ omicidi
+ rapine e furti
+ reati legati alla droga
+ truffa e ricettazione
Adding 14 Network Views:
-----------------------------------------------+ agency
+ Attribuzione esterna (identificata)
+ Attribuzione interna di responsabilità
+ Network View on: antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento del
173
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante contesto allargato
+ Network View on: antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento
familiare
+ Network View on: antecedenti storici (POSIT) con coinvolgimento
del contesto allargato
+ Network View on: antecedenti storici (POSIT) con coinvolgimento
familiare
+ Network View on: aspetti cognitivi dell'azione
+ Network View on: aspetti cognitivi successivi al reato
+ Network View on: F:*ASPETTI EMOTIVI DELL'AZIONE E SUCCESSIVI_2
+ Network View on: F:antecedenti storici (NEG) con coinvolgimento
familiare_1
+ Network View on: funzione maturativa e responsabilizzante del
carcere
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+ Network View on: Strategie di autopresentazione_1 (-)
Unifying 124 objects
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-----------------------------------------------Segue elenco dei documenti primari e delle intersezioni fra le
quotations
Unifying 90 Quotations:
------------------------------------------------------------------------------------Object sizes per object type after merge:
Object Type
HU after merge
-------------------------------------Primary Docs
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174
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Appendice G
Criteri per la valutazione dei resoconti di ricerca qualitativa**
1. Le metodologie sono appropriate per la natura delle domande di ricerca?
ƒ La ricerca tenta di comprendere processi o strutture, oppure dà indicazioni sulle
esperienze soggettive o sui significati?
ƒ Sono presenti categorie o gruppi di individui che non possono essere preselezionati, o i cui
possibili risultati non possono essere specificati in anticipo?
ƒ Un approccio quantitativo avrebbe consentito di raggiungere gli obiettivi in maniera
migliore?
2. La connessione con un precedente corpo di conoscenze o teorie è chiaro?
ƒ Ci sono adeguati riferimenti alla letteratura?
ƒ Il lavoro è coerente con, o si contrappone criticamente, un modello teorico precedente?
Metodologie
3. Viene dato conto dei criteri usati per la selezione dei soggetti dello studio, per la raccolta
e l’analisi delle informazioni?
4. La selezione dei partecipanti è teoricamente giustificata?
ƒ
ƒ
Le unità di ricerca possono essere persone, eventi, istituzioni, selezioni di comportamenti
naturali, conversazioni, materiali scritti, etc. In ogni caso, sebbene il campionamento
casuale può non essere appropriato, tuttavia è chiaro a quale popolazione si riferisce lo
studio?
È dato risalto al fatto che le unità scelte possono essere peculiari per qualche ragione?
5. La sensibilità delle metodologie è coerente con le domande di ricerca?
ƒ La metodologia accetta le implicazioni di un approccio che rispetta le percezioni dei
partecipanti?
ƒ In che misura ci sono definizioni o aspetti centrali dati per scontati piuttosto che essere
criticamente esaminati o lasciati aperti?
ƒ Sono considerati i limiti relativi all’uso delle interviste?
6. La relazione fra il ricercatore e i soggetti è stata considerata e ci sono prove che la ricerca
è stata presentata e spiegata ai partecipanti?
ƒ Se ha partecipato più di un ricercatore, è stata considerata la confrontabilità?
ƒ Ci sono evidenze sulle percezioni dei partecipanti?
ƒ Ci sono evidenze sui processi di gruppo coinvolti?
7. La raccolta e la registrazione dei dati sono sistematici?
ƒ Le registrazioni sono accurate?
ƒ Sono disponibili prove su esami indipendenti?
ƒ Se appropriati, sono stati utilizzati testi o trascrizioni delle conversazioni?
**
Il testo è la traduzione dell’Appendice A riportata in Seale (1999, pp. 189-192).
175
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante Analisi
8. Ci sono riferimenti a procedure accettate per l’analisi?
ƒ È chiaro come è stata condotta l’analisi?
ƒ È stata considerata la sua affidabilità anche rispetto a ripetizioni indipendenti?
9. Quanto l’analisi è sistematica?
ƒ Quali tappe sono state seguite per controllare la selettività nell’uso dei dati?
ƒ Nelle ricerche con individui è chiaro che non c’è stata una selezione di alcuni casi o una
esclusione dei meno interessanti? Nelle ricerche su gruppi, sono state tenute in
considerazione tutte le categorie di opinioni?
10. C’è un’adeguata discussione di quanto i temi, i concetti e le categorie sono fatte derivare
dai dati?
ƒ A volte è inevitabile usare categorie descrittive esterne o predeterminate, ma sono state
esaminate rispetto al loro reale significato o sulle possibili ambiguità?
11. C’è un’adeguata discussione delle prove a favore e contro le argomentazioni del
ricercatore?
ƒ Sono forniti dati negativi? C’è una ricerca attiva di casi che potrebbero smentire le
conclusioni?
12. È stata testata la validità dei risultati?
ƒ Per esempio, sono state usate tecniche come il riscontro dei rispondenti, la triangolazione,
oppure procedure come quelle previste dalla grounded theory?
13. Ci sono fasi per vedere se l’analisi può essere comprensibile per i partecipanti, se ciò è
possibile e rilevante?
ƒ I significati dei loro resoconti sono stati esplorati con i rispondenti? Le apparenti anomalie
e contraddizioni sono state discusse con loro?
Presentazione
14. La ricerca è chiaramente contestualizzata?
ƒ Sono state fornite tutte le informazioni sul contesto e sulla ricerca?
ƒ Tutte le variabili sono state studiate come integrate nel loro contesto sociale piuttosto che
astratte e decontestualizzate?
15. I dati sono presentati sistematicamente?
ƒ Sono usate citazioni, note di campo, etc. in modo da consentire al lettore di valutare la
gamma delle evidenze usate?
16. C’è una chiara distinzione fra i dati e la loro interpretazione?
ƒ Le conclusioni seguono i dati? (Bisogna notare che le fasi della ricerca - raccolta dei dati,
analisi, discussione - non sono di solito separate e gli articoli non seguono
necessariamente gli schemi quantitativi di metodologie, risultati, discussione.)
17. È dedicato abbastanza spazio per chiarire al lettore le relazioni fra risultati e
conclusioni?
ƒ Sebbene la presentazione dei dati discorsivi richiede sempre più spazio di quella dei dati
numerici, l’articolo è sufficientemente conciso?
176
Tesi di dottorato in Psicologia Sociale ‐ XVII ciclo ‐ La costruzione narrativa dell’azione deviante 18. La posizione dell’autore è chiaramente definite?
ƒ È descritta la prospettiva del ricercatore?
ƒ È stato esaminato il suo ruolo, i possibili biases e l’influenza sulla ricerca?
19. I risultati sono credibili e appropriati?
ƒ Rispondono alle domande della ricerca?
ƒ Sono plausibili e coerenti?
ƒ Sono teoricamente e praticamente rilevanti, oppure sono insignificanti?
Aspetti etici
20. Sono stati considerati adeguatamente gli aspetti etici?
ƒ Le questioni della confidenzialità (spesso particolarmente difficili nella ricerca qualitativa)
sono state affrontate in maniera adeguata?
ƒ Sono state considerate le conseguenze della ricerca (incluso lo stabilirsi di relazioni con i
partecipanti, analizzare le aspettative, cambiare il comportamento, etc.).
177
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