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La crisi della fisica classica: la Relatività e la fisica quantistica
Dalla fisica classica alla fisica moderna
“È proprio tra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX secolo che alcune osservazioni sperimentali pongono in crisi le
concezioni classiche del mondo fisico: da un lato il comportamento della luce rispetto a diversi sistemi di riferimento in
moto fra loro, dall'altro i primi indizi sulla struttura granulare dell'energia emessa o assorbita dai vari corpi sotto forma di
radiazione. È nel XX secolo che questi primi quesiti, e molti altri da essi derivati, trovano la loro risposta, gli uni nella
Teoria della Relatività, gli altri nella Teoria Quantistica...”. Con queste parole il fisico italiano, Edoardo Amaldi, nel 1955
sintetizzava gli eventi straordinari che rivoluzionarono il pensiero scientifico nel XX secolo, segnando il passaggio dalla
fisica classica alla fisica moderna.
Fisica classica
Fino al 1900 la fisica classica era stata in grado di spiegare qualsiasi fenomeno naturale basandosi su principi semplici
ma fondamentali. Il più importante, su cui si fondano tutte le teorie della fisica classica, prevede che lo spazio e il tempo
siano entità assolute, ossia le medesime per tutti gli osservatori.
Considerare il tempo assoluto permette di definire una relazione di causalità, cioè di capire con assoluta precisione come
ciò che avviene prima influenzi ciò che accade dopo. Inoltre il tempo è assolutamente disgiunto dallo spazio.
Prima della formulazione della meccanica galileiana, nel XVII secolo, lo spazio assoluto permetteva di distinguere con
precisione un oggetto fermo da uno in movimento e, inoltre, ogni oggetto possedeva una velocità ben definita.
Galileo nel Dialogo sopra i due Massimi Sistemi del Mondo (1632) introdusse un nuovo concetto di spazio (relatività
galileiana), secondo il quale non è possibile distinguere in nessun modo un oggetto fermo da uno che si muove di moto
rettilineo uniforme (moto rettilineo con velocità costante). Come conseguenza, la velocità non è più assoluta, ma
esistono dei sistemi di riferimento, detti inerziali, per i quali valgono le leggi della meccanica.
Crisi della Fisica classica: la Relatività di Einstein
La relatività galileiana entrò in crisi nel XIX secolo a seguito della formulazione delle quattro equazioni di Maxwell ad
opera del fisico e matematico scozzese James Clerk Maxwell. Le equazioni dimostrarono chiaramente come i fenomeni
dell'elettricità, del magnetismo e la luce che, fin ad allora, venivano trattati separatamente, fossero la manifestazione di
un'unica grandezza: il campo elettromagnetico. Dall'analisi delle equazioni, Maxwell potè evincere un risultato
fondamentale: la luce si muove a una velocità fissa, indicata con la lettera c. Il risultato era importantissimo e, soprattutto,
in contrasto con quanto prescritto dalla relatività galileiana. Si affermava che la velocità della luce è assoluta.
Per lungo tempo si cercò di salvare il principio galileiano, cercando di dimostrare che esisteva un particolare sistema di
riferimento inerziale, per il quale valevano le equazioni di Maxwell. Insomma un modo per salvare capre e cavoli!
Einstein risolse la disputa nella Teoria della Relatività Ristretta formulata nel 1905, nella quale si afferma definitivamente
che il tempo e lo spazio non sono assoluti e sono intrinsecamente legati a formare uno spazio-tempo a quattro
dimensioni. Einstein sostituì le trasformazioni di Galileo, le equazioni che permettevano di calcolare lo spazio, il tempo e
la velocità a seconda dell'osservatore, con le trasformazioni di Lorentz. Einstein stabilì definitivamente che la velocità
della luce nel vuoto è la stessa per tutti gli osservatori, indipendentemente se essi siano fermi o in moto rispetto alla
sorgente.
Il GPS e la Relatività
Il Global Positioning System, noto comunemente con la sigla GPS, è ormai uno strumento essenziale per l'orientamento.
L'elevata precisione nel suo funzionamento non potrebbe essere ottenuta utilizzando la relatività galileiana. Infatti, il GPS
si basa sulla conoscenza della Teoria della Relatività Ristretta e Generale di Einstein.
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Il GPS permette di determinare con estrema precisione la distanza tra due punti, basandosi sul rilevamento di segnali
emessi da diversi satelliti in orbita intorno alla Terra e ricevuti da stazioni sul suolo terrestre.
È costituito da una costellazione di 27 satelliti, in orbita a circa 20.000 chilometri d’altezza e 4 stazioni di controllo a terra
che verificano lo stato dei satelliti e correggono i loro orologi e le loro posizioni orbitali.
Rappresentazione della costellazione di satelliti
GPS. Credits: http://www.gps.gov
Il funzionamento è semplice: almeno 4 satelliti mandano un segnale a un ricevitore contenente l'indicazione dell’ora
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esatta (con una precisione del nano secondo, 10 secondi) in cui il segnale è partito e la posizione del satellite. Il
dispositivo di ricezione calcola la distanza da ognuno dei satelliti e, mediante una triangolazione, stabilisce la propria
posizione.
Alla base del sistema GPS c’è il postulato fondamentale della teoria della relatività, ovvero il fatto che la velocità della
luce sia costante, indipendentemente dal moto del satellite e del ricevitore. Bisogna inoltre tener conto di alcune
correzioni relativistiche. Infatti, sempre secondo la Relatività ristretta, poiché i satelliti si muovono rispetto al ricevitore, i
loro orologi vanno più lentamente; mentre secondo la Relatività Generale i campi gravitazionali modificano sia la velocità
degli orologi che la propagazione dei segnali radio. Tenendo conto di tali correzioni è possibile definire la posizione con
una precisione di 10 m su 20.000.000 m, in caso contrario si commetterebbero anche errori di chilometri rendendo
inutilizzabile il sistema GPS.
La meccanica quantistica
La meccanica quantistica nasce intorno al 1900 quando, il fisico tedesco Max Planck risolve definitivamente il problema
del corpo nero affermando la natura discreta dell'energia. La radiazione elettromagnetica viene emessa o assorbita dagli
atomi solo in quantità discrete, chiamate appunto quanti di energia. La meccanica quantistica scalzò rapidamente le
leggi classiche della meccanica nel mondo microscopico, introducendo un atteggiamento opposto a quello classico,
secondo il quale la fisica sarebbe stata in grado di predire con esattezza l'evoluzione dell'Universo una volta determinate
esattamente il valore di tutte le velocità e le posizioni di tutte le particelle contenute in esso. La meccanica quantistica
sostituisce questo determinismo delle previsioni con previsioni regolate dal concetto di probabilità.
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Nel 1927 il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg, premio nobel per la fisica nel 1932, a soli 26 anni formulò il noto
Principio di Indeterminazione, secondo il quale è impossibile conoscere con precisione la posizione e, nello stesso
tempo, la quantità di moto di una particella. Tanto più precisamente si misura una grandezza, tanto maggiore sarà
l'incertezza nella misura dell'altra.
Come conseguenza, è sempre possibile formulare leggi statistiche generali, in grado di predire i fenomeni, ma le
grandezze fisiche relative alle singole particelle presentano un'incertezza ineliminabile. Secondo Heisenberg la
meccanica quantistica stabilisce il crollo definitivo della legge di causalità, infatti, è impossibile evincere ciò che accadrà
in futuro dalla conoscenza del presente, per il semplice fatto che è impossibile “...conoscere il presente in ogni elemento
determinante”.
Dio non gioca a dadi
Contro la meccanica quantistica si schierarono nomi noti della fisica, tra i quali il maggiore esponente è certamente
Albert Einstein. In sintesi, Einstein sosteneva che la meccanica quantistica fosse una teoria incompleta del mondo e che
esistessero delle “variabili nascoste” che, una volta scoperte, avrebbero portato una trattazione deterministica anche dei
fenomeni del mondo microscopico.
In una lettera del 4/12/1926 indirizzata al fisico Max Born, Einstein esprime il suo disappunto verso la meccanica
quantistica:“...la meccanica quantistica è degna di ogni rispetto, ma una voce interiore mi dice che non è ancora la
soluzione giusta. È una teoria che ci dice molte cose, ma non ci fa penetrare più a fondo il segreto del gran Vecchio. In
ogni caso, sono convinto che questi non gioca a dadi col mondo.”
Einstein non modificò mai il suo giudizio, facendosi sostenitore, come lui stesso scrive, della “possibilità di un modello
della realtà, vale a dire di una teoria che rappresentasse le cose stesse e non soltanto la probabilità della loro esistenza”.
Va detto che, pur essendo un critico accanito di tale teoria, fu proprio Einstein a utilizzare e, in qualche modo a rilanciare,
la teoria dei quanti, proponendo l'interpretazione fisica corretta dell'effetto fotoelettrico.
L'effetto fotoelettrico
L'effetto fotoelettrico è un fenomeno la cui corretta interpretazione si deve all'utilizzo della fisica dei quanti. Consiste
nell'emissione di particelle elettricamente cariche da parte di un corpo, quando questo viene illuminato da radiazione
elettromagnetica. Nella pratica, l'energia trasportata della luce incidente su una superficie metallica porta all'emissione di
elettroni (detti fotoelettroni).
Immagine che descrive l'emissione di un elettrone da una lastra metallica a seguito
dell'interazione con un fotone incidente.
Fonte: http://www.matefilia.it
La scoperta dell'effetto fotoelettrico ebbe un ruolo fondamentale nella crisi della fisica classica, poiché dimostrava che la
radiazione elettromagnetica, oltre a mostrare un comportamento ondulatorio, in alcuni esperimenti mostra anche una
natura corpuscolare. Questo comportamento sarà conosciuto poi con il nome di dualismo onda-corpuscolo.
L’effetto fotoelettrico in realtà era noto fin dal 1880. La teoria ondulatoria classica prevedeva però che l'energia degli
elettroni emessi aumentasse all'aumentare dell'intensità della luce incidente. Nel 1905 Albert Einstein spiegò l'effetto
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fotoelettrico ipotizzando che i raggi luminosi fossero impacchettati in quanti di luce, chiamati fotoni, la cui energia è
direttamente proporzionale alla frequenza dell’onda corrispondente. I quanti di luce, incidendo sulla superficie di un
corpo metallico, cedono parte della loro energia agli elettroni liberi del conduttore, provocandone l'emissione. Il fotone si
comporta a tutti gli effetti come una particella e l'energia dell'elettrone emesso dipende solo dall'energia del fotone
incidente.
Le cellule fotoelettriche
L'effetto fotoelettrico permette di spiegare facilmente il funzionamento delle cellule fotoelettriche ormai in uso ovunque,
nei cancelli ad apertura e chiusura automatica o nelle porte scorrevoli degli ascensori. Le cellule costituiscono un
sistema di sicurezza che evita che le persone rimangano stritolate tra le porte. Come funzionano? Quando una persona
attraversa il fascio di luce prodotto da una delle cellule, questo non giunge più sulla superficie da irraggiare. Il risultato è
l'interruzione del flusso di elettroni emessi. Appositi circuiti rispondono a questa variazione di flusso riaprendo
immediatamente le porte.
Onda o corpuscolo?
Da esperimenti come quello dell'effetto fotoelettrico si evince chiaramente la natura corpuscolare della luce, mentre da
fenomeni come la diffrazione quella ondulatoria. Nel XX secolo questo strano comportamento della luce appariva come
una chiara contraddizione e metteva in luce la doppia natura della radiazione elettromagnetica. Tale comportamento
venne definito dualismo onda corpuscolo, secondo il quale una radiazione elettromagnetica si può propagare come
un'onda, mostrando le tipiche figure di interferenza e diffrazione, ma può scambiare con altri corpi dotati di massa la
propria energia e quantità di moto come una particella, anche se priva di massa.
La meccanica quantistica mostrò inoltre che questo dualismo si presentava anche nel caso di particelle dotate di massa.
Neils Borh nel 1927 riassunse tale comportamento nel principio di complementarità, secondo il quale la natura
ondulatoria e corpuscolare non si evince mai contemporaneamente in un singolo esperimento. Se si effettua un
esperimento atto a evidenziare un aspetto, necessariamente ci sarà impedito di osservare l'altro. L'osservazione di un
fenomeno perturba il fenomeno stesso, tanto che risulta impossibile parlare di un comportamento dell'oggetto fisico
indipendente dall'apparecchio di misura. I due aspetti, ondulatorio e corpuscolare, sono però complementari, perchè per
ottenere una descrizione completa di un fenomeno sono entrambi indispensabili.
Accordo tra fisica classica e fisica moderna
La fisica classica ha rappresentato un perfetto modello della natura per molti secoli. Tuttavia non è da considerarsi
completamente superata e quindi inutilizzabile. Infatti, per corpi di dimensioni non subatomiche, la meccanica classica dà
risultati in perfetto accordo con la meccanica quantistica, mentre per basse velocità, è in accordo con la Teoria della
Relatività.
A cura di Simona Romaniello
Astrofisica e divulgatrice scientifica, per il Planetario di Torino si occupa di formazione e di sviluppo e allestimenti
museali.