Gli auguri del Sindaco 15dicembre2015 Australia Stella di Natale? Il

Gli auguri del Sindaco
15dicembre2015
Australia
Stella di Natale?
Il rosmarino. Quante cose!
Rubriche: Quiche di cardi
Le attività del mese
Natura e Ragazzi
Presso Giardino Botanico Dina Bellotti
www.naturaeragazzi.it
25 dicembre 2015
Anno 1
Numer0 1
CITTA’ DI ALESSANDRIA
UFFICIO STAMPA
Alessandria, 18 dicembre 2015
Cari Amici e Concittadini, il Natale si avvicina e con esso uno dei periodi
più suggestivi dell’anno. Voglio rivolgere a tutti voi i miei auguri personali e
quelli dell’intera Amministrazione Comunale.
Lo faccio con la speranza che la magia e la solennità di questo momento,
possano alimentare l’amore per la nostra Città e la partecipazione di tutti
alla
sua
crescita
ed
alla
costruzione
del
suo
futuro.
Lo faccio avendo alle mie spalle il simbolo più autentico del Natale, questo
albero che ha fatto tanto parlare di sé, ora recuperato ed addobbato dai
dipendenti comunali dell’orto botanico e dai volontari che gravitano attorno
alla struttura, e che adesso fa bella mostra all’interno della serra
comunale, con i suoi otto metri di altezza.
E’ un albero della tradizione piemontese, addobbato con fiocchi e pacchi,
ma la cui storia ci deve far riflettere sulla necessità ed importanza,
sopratutto in momenti come questo, di andare oltre l’apparenza alla
ricerca della vera sostanza delle cose. Natale è anche questo, un
momento di riflessione, sul valore e sul significato profondo di quanto ci
circonda.
Buone Feste a tutti voi!
Il sindaco
Maria Rita Rossa
Quindicidicembre2015
di Angelo Ranzenigo
E come al solito sono in ritardo. Vittoria mi
ha appena chiamato ricordandomi che sta
aspettando l’articolo di fondo per il primo
numero di questa rivista. E come al solito
la rassicuro dicendo che è praticamente
finito. Termino la telefonata e mi ritrovo
davanti al foglio: completamente bianco!
Io e la mia pipa ci alziamo e guardiamo
fuori dalla finestra. A differenza mia, il
freddo non ha tardato ad arrivare, visto che
siamo a dicembre. La sua costanza
condiziona tutta la natura.
rapidamente.
Le gimnosperme invece tornano attrici
protagoniste: le foglie aghiformi, ad
eccezione del Larix decidua, rimangono
al loro posto e le rendono ancora più
maestose, affascinanti ed appariscenti e
dimostrano come le conifere siano
capaci di resistere ai lunghi periodi di
siccità invernale.
Già, perché se pur vero che in inverno
l’acqua è abbondante, è altrettanto vero
che sotto forma di neve e ghiaccio non è
“bevibile” dalle piante. Come fanno
allora? Chi ha partecipato ai nostri corsi
sa benissimo che la risposta a questo
quesito sta nella struttura particolare
delle cellule di queste piante che hanno
rinforzato la parete cellulare. In realtà
anche alcune angiosperme, se pur non
aghiformi, conservano le loro foglie
durante l’inverno. In questo caso il
mancato
congelamento
dell’acqua
tissutale è legato alla produzione di
composti vari - tra cui zuccheri e
amminoacidi - che, rilasciati nel
citoplasma e nei vari apparati,
abbassano di molto il punto di
La maggior parte delle angiosperme,
caducifoglie, hanno ormai traslocato da
tempo l’energia dalle foglie alla parte più
bassa del fusto spogliando i rami e
rallentando
al
massimo
il
loro
metabolismo. Aspettano la neve senza
temerla, perché senza foglie il peso di
questa sarà sopportabile e non aprirà ferite
nei rami. Viene la tentazione di iniziare le
potature, ma le piante da “sistemare” non
sono poi molte: così, come consiglio
sempre agli altri, decido di avere pazienza
e di rinviare più saggiamente il tutto verso
la fine dell’inverno. Le ferite aperte dalle
mie
forbici
cicatrizzeranno
più
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congelamento e quindi di formazione di
aghi di ghiaccio. Tutto questo avviene se le
temperature si abbassano coerentemente:
davanti a freddi rigidi e improvvisi
purtroppo queste difese non fanno in
tempo a divenire efficaci.
“C’era una volta, in una città lontana
lontana, un gruppo di amici…”: iniziano
così alcune delle fiabe più belle, in cui
mille principesse vengono salvate da
draghi cattivissimi grazie al prodigioso
intervento dei Principi Azzurri, che con
il loro destriero bianco sono i fautori
dell’happy end. Ai nostri tempi è ancora
così, se ci pensiamo bene: le Principesse
sono trasformate in bambini, il castello
in un Giardino Botanico, i draghi cattivi
sono travestiti da incuranza e
trascuratezza e Voi, tutti Voi, siete stati
per un intero anno i Principi azzurri
tanto attesi.
Ma forse la pianta che affascina di più noi
botanici in inverno è il Calicanthus
praecox con il cui fiore, prodotto sui rami
ancora del tutto spogli, i nostri nonni
sapevano come profumare ecologicamente
gli ambienti della casa.
Per noi è inverno, è freddo e le giornate
sono ormai corte... Ma non è così in altre
parti del mondo. È il caso dei Cacti di
Natale, delle Euphorbia pulcherrima dette
stelle di Natale: queste piante, forzate e
non, colorano i loro fiori e le loro foglie
proprio in questa stagione. Lo fanno
perché sono geneticamente regolate sui
cicli stagionali dei luoghi in cui si sono
evolute: il 21 dicembre ha segnato l’inizio
dell’estate nell’emisfero australe.
Ritorno alla mia scrivania e riempio di
questo articolo il foglio bianco. Lo rileggo
e sento che manca qualcosa…. Manca il
grande “grazie” a tutti voi per l’anno da
“favola” che avete regalato.
Grazie al vostro aiuto siamo riusciti ad
entusiasmare più di duemila bambini
facendoli sognare: stimolando la loro
curiosità li abbiamo trasformati in
piccoli esploratori durante le visite
guidate e, sulle orme di Darwin, li
abbiamo accompagnati all’interno di
alcuni dei processi fisiologici delle
piante durante le Olimpiadi Botaniche.
Insieme a loro altri quattromila visitatori
hanno potuto godere di corsi dedicati al
verde e agli animali, passeggiando
all’interno dell’Orto Botanico e
partecipando alla Alessandria Green
week 2015, riappropriandosi di un luogo
prezioso per la nostra città, che è stato
pensato e costruito davvero per tutti.
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L'AUSTRALIA: LA SUA NATURA, I SUOI PAPPAGALLI
di Gianni Ravazzi
Fin da bambino, da quando la passione per
gli animali mi ha fatto “conoscere”
l’ornitorinco,
ho
sempre
pensato
all’Australia come al mio luogo ideale per
vivere: natura ricchissima, animali e piante
da scoprire, spazi illimitati dove vivere
grandi avventure. Un posto in parte fisico
in parte dello spirito dove il fantastico,
l’incontaminato e il primitivo si mescolano
come nelle favole.
Quando poi, da adulto, ci sono stato, mi
sono reso conto che quanto avevo
immaginato sulle sue bellezze naturali è
reale e le varietà di forme di vita, vegetale
e animale, sono tali che nessuno può
rimanere immune al loro fascino.
Gli ambienti sono i più disparati: le zone di
savana semidesertica con pochi arbusti, lo
scrub
australiano,
dove
regnano
indisturbati rettili e sauri protagonisti di
tante storie aborigene, come il
“bungarra” (Varano di Gould – Varanus
gouldii); le zone del bush australiano
fatte di praterie più o meno
lussureggianti
con
isolati
alberi
centenari a dominare le pianure, dove è
facile incontrare gruppi di “kangaroo” i canguri rossi (Macropus rufus) – e
infine le foreste di eucalipto, dove si
alternano giovani alberi e autentici
giganti come gli Eucalyptus regnans,
alti fino a 90 metri, che ospitano gli
ormai sempre più rari e sonnecchiosi
koala (Phascolarctos cinereus).
Proprio nelle foreste, lungo i ricchi corsi
d'acqua, vivono chiassosi pappagalli tra
cui spiccano alcune delle più interessanti
specie di Cacatua, i tipici pappagalli
australiani con il ciuffo erettile sul capo
che si solleva e si abbassa a seconda
degli umori dell'animale.
I cacatua sono dei grandi giocolieri e
sono capaci di comunicare benissimo
con noi, se solo ci sforziamo di
comprenderli. Il loro è un intenso
linguaggio gestuale e di comportamenti
che non lascia spazio a dubbi
interpretativi. Sono curiosi e socievoli e,
quando vogliono attirare l'attenzione,
allungano il collo in avanti e fanno
movimenti laterali come un serpente
davanti
all'incantatore,
emettendo
richiami striduli, sempre più acuti fino a
quando non ottengono l'attenzione
desiderata.
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Questi comportamenti, più facili da
osservare in ambiente controllato con
animali abituati a convivere con l'uomo
fino dalla nascita, si notano però anche in
natura: ci vuole solamente più pazienza,
ma è possibile avvicinare i cacatua anche
nel loro habitat; o per meglio dire è
possibile essere avvicinati dai cacatua.
in piedi, non se ne vanno troppo
lontano: restano lì ad osservarmi con
quel loro buffo modo di ruotare il collo:
sono io che sto studiando loro o loro che
stanno studiando me?
L’episodio dimostra come questi
pappagalli abbiano una notevole
capacità di socializzare e una grande
curiosità che li spinge a superare la
paura.
Oltre a questi simpatici cacatua,
caratterizzati da un piumaggio generale
bianco con una evidente cerchiatura di
pelle nuda azzurra attorno agli occhi e
da un ciuffo non particolarmente
vistoso, l'Australia è ricca di moltissime
specie che abitano quasi tutti i principali
ambienti tipici. Solo nelle zone
desertiche o semi-desertiche, che
occupano circa il 40% del territorio, I
pappagalli non sono presenti, anche se
ciò non è del tutto vero, visto che anche
in queste zone si possono incontrare
bande di cocorite (Melopsittacus
undulatus).
Verso la fine di un pomeriggio, sdraiato a
terra sulle rive del fiume Grafton (a circa
650 km a nord di Sydney), dopo una
giornata passata ad osservare un grande
stormo di Cacatua sanguinea durante le
occupazioni quotidiane, vengo avvicinato
da un gruppetto di giovani che, da
un'osservazione di taglia e piumaggio,
dovevano essere nati nella stagione
riproduttiva appena finita. Resto disteso e
comincio a canticchiare per non
spaventarli e i cacatua si spostano a piccoli
voletti su rami sempre più vicini a me.
Resto sempre sdraiato e dopo un po' di
titubanza i tre più curiosi atterrano e,
saltellando, prima si avvicinano e subito si
allontanano per poi riavvicinarsi e così per
qualche minuto, fino a quando si
convincono che non rappresento un
pericolo e cominciano giocare con le
stringhe delle mie scarpe e poi, preso
coraggio, con i bottoni della giacca. Si
allontanano solo quando decido di alzarmi
In questi diversi ambienti pappagalli di
oltre cinquanta diverse specie trovano le
condizioni ideali per vivere e riprodursi.
Descrivere anche solo una piccola parte
dei pappagalli australiani piu' noti
porterebbe via ben piu' di un foglio del
nostro giornale, quindi riprenderemo il
discorso nel prossimo numero....
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Stella di Natale? No, Stella di Hollywood
di Vittoria Gianuzzi
Io il mio articolo lo avevo già scritto per
tempo, ma quando ho letto quello di
Angelo ho messo tutto in un cassetto
pronto per riciclo e mi sono rimessa al
tavolino. Sì, perché mi ero scordata del
Natale! E quindi come non parlare della
Stella di Natale, visto che ormai l'abete è
più che altro sintetico?
Il nome Euphorbia mi ha sempre
confuso, visto che in questo genere
rientrano piante che non si somigliano
per nulla, ad esempio la succulenta E.
candelabrum, simile a un cactus, che
può raggiungere i 10 metri, ma anche la
piccola erbacea "calenzuola" che
troviamo nei nostri prati, con fiori a
mazzetto giallo acido. Mi dice Angelo
che il motivo della comunanza sta nella
forma dei fiori: le euforbie hanno una
infiorescenza detta “ciazio”, composta
da un fiore femminile centrale, dotato di
pistillo, circondato da cinque o più
gruppi di fiori maschili ridotti ciascuno
ad un solo stame. L'insieme dei fiori è
avvolto da brattee che formano un
ricettacolo a coppa.
E allora da dove viene il grande "fiore"
rosso? In effetti non è il fiore, ma si
tratta di una corona di cinque foglie
modificate viranti al rosso (oggi anche
rosa, bianche o variegate) che
circondano il vero fiore, piccolo e giallo.
Per ottenere la fioritura natalizia anche
in zone geografiche diverse bisogna
ingannare la pianta, cominciando
almeno due mesi prima di Natale a
tenerla al buio completo per più di
dodici ore, seguite da brevi ma intensi
periodi di luce solare durante il giorno.
Basta pochissima luce durante la "notte"
a compromettere la produzione di
brattee rosse.
La pianta preferisce una temperatura di
almeno 18 gradi, può anche essere
tenuta all'aperto, purché non geli. Per
avere il vero Natale, però, bisogna
Cominciamo
con
le
informazioni
botaniche: la pianta è nativa del Messico
(clima sub-tropicale), dove gli Aztechi la
usavano come tintura rossa e antifebbrile, e
si è poi diffusa nel Centro America, dove
raggiunge un'altezza che va dai due ai
quattro metri.
Nel 1804, il naturalista Alexander von
Humboldt ne portò con sé in Europa
dall'America un esemplare. Nel 1825 Joel
R. Poinsett, ambasciatore degli Stati Uniti
in Messico, ne importò alcuni esemplari in
Carolina, ed in suo onore la chiamarono
Poinsettia. A Berlino, nel 1833, fu
catalogata e le fu dato il nome botanico di
più bella delle euphorbie dal botanico Carl
Ludwig Willdenow.
All'interno del genere Euphorbia, la sua
specie è quindi euphorbia pulcherrima,
appartiene
alla
famiglia
delle
Euphorbiaceae, classe delle Dicotiledoni,
divisione delle Angiosperme.
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essere attrezzati. Forse per questo motivo e anche perché molto soggetta a malattie e
parassiti - viene buttata dopo le Feste, con
gran gioia dei suoi produttori.
Già, ma chi sono costoro e perché e
quando è diventata simbolo di Natale?
I francescani in Messico nel 17o secolo la
includevano nelle celebrazioni natalizie.
Ma poi non se ne sa più nulla … fino quasi
ai nostri giorni.
E' diventata infatti simbolo del Natale solo
dal 1990, grazie ad una campagna
commerciale fortunata, ed è la storia di una
stella hollywoodiana direttamente dal
Sunset Boulevard!
La famiglia Ecke iniziò a coltivarla nel suo
ranch di Hollywood all’inizio del 1900, ma
fu P. Ecke III a lanciare dal 1990
l’associazione della pianta al Natale. Paul
spedì le talee ovunque via aereo, inviò le
piante alle stazioni televisive per usarle
nelle scenografie delle feste del
Ringraziamento e di Natale, partecipò a
programmi televisivi come The Tonight
Show e allo speciale di Natale di Bob Hope
per promuovere il loro uso natalizio. Un
vero lancio pubblicitario! Malgrado la
concorrenza, nel 2008 la famiglia Ecke
copriva il 70% del mercato americano e il
50 % di quello mondiale.
Questo non intacca il fascino delle belle
brattee rosse e allegre pronte per Natale ma
chi non ama l'eccesso di commercializzazione può rifarsi con un'altra pianta, il
Cactus di Natale. Si tratta di una pianta
succulenta brasiliana, appartenente al genere Schlumbergera, famiglia delle Cactaceae, caratterizzate da una fioritura autunnale o invernale. Produce corti fusti, che si
dividono in lunghe ramificazioni, erette o
arcuate, costituite da sezioni appiattite, di
forma quasi ovale, carnose, dette
“cladodi”. Da noi sono piante da appartamento dalla lunga fioritura nei mesi
freddi: dagli apici di ogni singolo
“ramo”, sbocciano grandi fiori dai petali
carnosi, con pistilli molto evidenti, di
colore rosso, rosato o variegati.
Anche se sono cactaceae, non
assomigliano al classico cactus e non
solo per la forma. Queste piante si
sviluppano in natura nelle foreste, dove
possono godere di piccole quantità di
luce solare diretta, e in climi miti, con
alta umidità.
Le schlumbergere sono piante epifite,
come molte orchidee, e ne condividono
diverse caratteristiche, dallo stare a
cavallo tra i rami degli alberi all'amare
l'umido senza ristagni. Si coltivano in
vasi poco profondi, riempiti con del
terriccio per piante acidofile, che va
tenuto umido ma non fradicio.
Qualche anno fa avevo in ufficio un
cactus di Natale, andato purtroppo perso
durante un trasloco. Per quasi tutto
l'anno era una pianta che si faceva
notare poco, e meno male perché la
forma mi ricordava una tenia. Poi, verso
Natale, da ogni punta nascevano
boccioli lunghi e succosi finché una
mattina, entrando, mi accoglieva con
un'esplosione di fiori. Pensavo che fosse
il suo modo di ringraziare, proprio per il
Natale, per le (scarse) cure ricevute.
Insomma,
non
si
può
non
innamorarsene!
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Il rosmarino, quante cose!
di Carlo Fortunato
La percezione dell’intenso profumo del
rosmarino spesso accompagna una
deglutizione
inconscia
e
innesca
immediatamente una certa sensazione di
appetito che, anche con i migliori
propositi, riconduce ad un invitante arrosto
con patatine oppure ad una fragrante
focaccia cosparsa dalle sue foglioline
aghiformi.
Percezioni sensoriali e luoghi comuni a
parte, ci sono molte altre cose da conoscere
al suo proposito, ritengo che questo
articolo sia un ottimo pretesto per
avvicinarci meglio a questa pianta la cui
utilità non si riduce di certo a così poco: si
tratta di una pianta estremamente preziosa
con grandi potenzialità.
le sue proprietà medicinali e infatti
medici illustri quali Dioscoride (“De ars
medica”), Ippocrate e Galeno nel I
secolo conoscevano le proprietà del
rosmarino e lo inserivano nelle loro
preparazioni.
Sono numerose le leggende legate ad
esso, infarcite anche da virtù magiche.
Con il legno di rosmarino intagliato si
realizzavano
piccoli
talismani
medioevali e anche pettini, il cui uso
avrebbe preservato dalla calvizie.
Ancora di recente ogni abitazione rurale
ne custodiva un vissuto cespuglio
arroccato nell'angolo più riparato del
cortile, antica tradizione derivante da
uno specifico editto risalente ai tempi di
Carlo Magno che lo imponeva. In alcuni
paesi della nostra provincia persone
molto anziane ancora tramandano la
credenza del legame parallelo tra la
pianta e la persona che si era premurata
di porla a dimora. Cattivo presagio per
quest’ultima, il venir meno del
cespuglio di rosmarino: viceversa, esso
diveniva memoria dello scomparso.
Questa tradizione sembra intrecciarsi
con il simbolo dell’eternità che il
rosmarino rappresentava nella cultura
Egizia e l’usanza nell’antica Roma di
coltivarne cespugli accanto alle tombe
dei propri cari. Parafrasando Ofelia nella
celebre opera di Shakespeare: “Ecco
laggiù il rosmarino, la pianta del
ricordo”.
Il rosmarino è ricca fonte di oli
essenziali: flavonoidi, acidi fenolici,
tannini, resine, canfora. Contiene anche
Quante interpretazioni etimologiche sul
rosmarino
(Rosmarinus
officinalis):
“Rosa-maris” rosa di mare, ”rhusmarinus” arbusto del mare, “ros-marinus”
rugiada del mare... limitiamoci a rilevare
l’evidenza di un arbusto vocato a climi e
ambienti rivieraschi.
Pianta officinale per eccellenza, con
proprietà balsamiche, è conosciuta e
largamente utilizzata sin dall’antichità per
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acido rosmarinico, ottimo antiossidante.
Studi mirati hanno portato alla conclusione
che alcuni principi attivi del rosmarino
inibiscono l’azione del superossido,
specifico radicale libero responsabile
dell’ossidazione cellulare, mentre la
presenza di acido carnosico è alleata nella
prevenzione
dell’invecchiamento
cerebrale.
Gli esiti di una successiva ricerca hanno
inoltre
individuato
nel
rosmarino
implicazioni
curative
contro
la
degenerazione maculare degli occhi.
Tisane di rosmarino in abbinamento a
tarassaco e bardana assolvono ad una
discreta azione depurativa del fegato,
nonché alla riduzione del meteorismo e dei
disturbi intestinali in genere. I tannini
presenti in esso inducono anche proprietà
astringenti, motivo per cui è indicato per
contrastare diarrea, emorragie, e ridurre
flussi mestruali abbondanti.
Molto comune in erboristeria è l’utilizzo
del suo olio essenziale. Le nonne facevano
largo uso di questa pianta officinale: in
alternativa alla malva proponevano
sciacqui con rosmarino per lenire il mal di
denti e ridurre l’alito cattivo. Efficaci erano
anche cataplasmi di foglie tritate e
riscaldate in olio per la cura di contusioni e
slogature. I suoi vapori disinfettavano le
stanze dei malati, i rametti riposti in
cassetti ed armadi profumavano e tenevano
lontane le tarme dagli indumenti. Abbinati
a cenere e rametti di alloro costituivano la
“liscivia”, detersivo per il bucato d’altri
tempi. Il suo infuso serviva a rinforzare i
capelli... insomma chi più ne ha più ne
metta!
Come per tutte le piante contraddistinte da
proprietà stimolanti, l’uso curativo del
rosmarino è controindicato in casi di
ipertensione ed insonnia e in soggetti
affetti da epilessia. Questa pianta, alleata
nelle diete iposodiche, con l’alloro è
considerata
aromatica
e
sapore
mediterraneo
per
antonomasia.
Immancabile su carni cotte e crude,
pesce, marinate, intingoli, patate,
focacce e come aromatizzante per olio e
sale.
In conclusione consiglio vivamente una
semplice frittata di soli fiori di
rosmarino, che non dovranno essere
lavati, purché siano, con molta pazienza,
colti in luoghi lontani da contaminazioni
di sorta. Otterrete una preparazione dal
sapore delicato, con un aroma diverso da
quello sprigionato dalle foglie di
rosmarino.
Sorprendente anche un ottimo olio
aromatico ottenuto con l’aggiunta di
foglie di rosmarino e alloro, aglio, pepe
rosa, bacche di ginepro, chiodi di
garofano.
L’olio lasciato insaporire per alcuni
giorni, potrà essere utilizzato nello stato
in cui si presenta per realizzare
un’appetitosa marinata di pancetta
irrorata da succo di limone, oppure,
filtrato, impiegato per altre forme di
condimento, per tartare, carpaccio o
carne all’albese.carne all’albese.
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Dalle Cuoche del Giardino:
Mini quiche di cardi e speck
di Alda Mirabelli
Al Giardino mi hanno chiesto una ricetta
con i cardi, ma che fosse facile da fare e di
bell'aspetto. Insomma, assieme alle amiche
del gruppo Cuoche del Giardino, con la
scusa che sappiamo cucinare (e anche bene
direi) ci chiedono sempre qualcosa, magari
anche un assaggio ;-))
Portare a ebollizione circa 1 litro di
acqua, diluirvi una noce di burro
amalgamato con la farina e mescolare;
unire il succo dell'altro limone e
immergervi i cardi.
Salare e cuocere per 30-40 minuti.
Guardate un po' se questa ricetta, che può
essere usata per preparare un antipasto o
un secondo, vi piace; non posso farvela
assaggiare, ma potete sempre fare da voi.
I più volonterosi potranno cimentarsi nel
preparare da soli la pasta brisée, ma i cardi
richiedono già una lavorazione lunga, e
avendomi chiesto una ricetta facile...quella
acquistata può andare più che bene.
Ingredienti per 6 persone:
1 confezione di pasta brisée;
400 g. di cardi; 60 g. di speck;
50 g. di panna fresca; 2 uova;
2 limoni; 2 cucchiai di latte;
3-4 cucchiai di grana padano grattugiato;
20 g. di burro; 1 cucchiaio di farina;
1 spicchio d'aglio; sale e pepe.
Al termine della cottura, scolare i cardi,
tagliarli a pezzetti e farli saltare nel
burro rimasto, lo spicchio d'aglio
schiacciato, sale e pepe e lo speck a
striscioline; lasciar raffreddare.
Nel frattempo stendere la pasta brisée e
ricavare dei cerchi o dei quadrati da
adagiare in uno stampo per muffin o
Pulire i cardi, staccare le coste
eliminandone i filamenti, tagliarle in 3-4
pezzi e lavarle in acqua acidulata con il
succo di un limone. Il cardo tende ad
annerire e sporcare le dita e il limone,
anche strofinato sulle mani, limiterà il
danno.
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altri stampini, già spennellati con un po'
d'olio. Trasferire i cardi e lo speck nei
gusci di pasta; sbattere le uova con il latte,
la panna, il formaggio grattugiato, sale e
pepe e versare il composto sui cardi.
Cuocere in forno già caldo a 180 oC per
circa 20 minuti. Servire le mini quiche
tiepide e… buon appetito!
La nota del botanico curioso: i cardi
Il Piemonte è terra di bagna cauda, in cui
tradizionalmente vi si intinge il “cardo
gobbo di Nizza Monferrato”, l'unico cardo
adatto ad essere consumato crudo. Le
coste del cardo sono piuttosto dure e di
sapore amaro e per questo sono sottoposte
a imbiancamento; a Nizza le piante
vengono piegate verso il basso prima di
interrarle, diventando così anche gobbe.
Il nome “cardo” è molto generico e si
riferisce a piante appartenenti a diversi
generi tassonomici e addirittura a diverse
famiglie, per lo più Asteraceae, ma anche
Apiaceae e Dipsacaceae.
Fra le
Asteraceae abbiamo il cardo
selvatico,
noto
ed
utilizzato
fin
dall'antichità, da cui sono stati domesticati
il carciofo (Cynara scolymus); il suo stretto
parente, il nostro cardo coltivato (Cynara
cardunculus) che presenta un gusto
intermedio fra il carciofo e il sedano; e
anche il “cardo mariano” (Silybum
marianum), usato nella farmacopea.
Sulle foglie ha macchie bianche che,
secondo una leggenda medievale, sono
gocce di latte cadute dal seno della
Madonna quando fuggiva per sottrarre
Gesù alla persecuzione di Erode.
Fra le Dipsacaceae c'è il “cardo dei
Lanaioli” (Dipsacus fullonum) i cui fiori
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erano usati per cardare la lana, da cui il
termine stesso.
Il cardo è anche un simbolo araldico, ad
esempio della Scozia: si dice che un
Vichingo, prima di un assalto notturno,
pestasse un cardo con il piede nudo. Il
suo grido diede l'allarme, e gli scozzesi,
risvegliatisi, respinsero gli invasori.
Più plebeamente i nostri piedi sono
punti da un'Apiacea, il
“cardo
marittimo” (Eringium maritimum), che
spunta dalla sabbia.
Torniamo ai cardi nostrani: hanno
pochissime calorie, sono ricchi di calcio,
potassio e sodio.
Contengono anche i fenilpropanoidi e i
flavonoidi che aiutano a contrastare il
colesterolo.
Insomma, l'umile cardo si rivela un re.
Le attività del mese
In quest'ultima pagina troverai un elenco delle nostre proposte per il mese successivo,
assieme al resoconto di qualcuna delle nostre attività passate.
Prima di tutto ecco come contattarci: sul nostro sito Web: www.naturaeragazzi.it puoi
leggere di noi e registrarti per ricevere per email le newsletter e il giornalino “I fogli di
Natura e Ragazzi”.
Puoi anche vedere il calendario delle attivit à per le scuole e se vuoi collaborare come
volontario/a scrivici ([email protected]) o vieni a trovarci al Giardino Botanico.
Il gruppo di Natura e Ragazzi, oltre ad organizzare corsi all'aperto e uscite di
esplorazione, si riunisce per minicorsi o conferenze il martedì sera alle ore 21, guarda il
calendario per il mese di gennaio, ispirato ai temi di Expo 2015:
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